Archivio del Tag ‘Liechtenstein’
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Carpeoro: cacciamo dall’Ue l’Olanda e gli altri ladri europei
Gli Stati Generali di Conte non sono certo la riedizione del Britannia: chi è intervenuto (e chi non è intervento) non li hanno presi sul serio. Non è roba seria, perché si fanno progetti su cose che ancora non si sa se succederanno. Secondo me, l’Europa non riuscirà a varare quel piano economico che ha giustificato tutte le logiche di questo governo, compresa quella degli Stati Generali. Cioè: il governo Conte si è aggrappato, come unica speranza, a una cosa che probabilmente non si verificherà. L’esecutivo non ha Piani-B. E vedrete che, alla fine, cercheranno di dare all’Italia il colpo di grazia, con la scusa che ci sono 5-6 nazioni che non ci stanno (nazioni, tra l’altro, di mentecatti). Dovremmo farci giudicare, sul piano economico e finanziario, dall’Olanda? Io dico: no. In tempi di maggior civiltà, per quanto ci riguarda, l’Olanda sarebbe stato un paese contro cui andare in guerra. E’ una fogna, fotte i soldi a tutte le altre nazioni europee. E’ un paese retto da un governo di farabutti. Con tutte le porcherie che hanno fatto, io avrei già chiesto all’Europa di buttarli fuori – insieme all’Austria e soprattutto all’Ungheria e alla Polonia: sono paesi indegni di condividere un progetto europeo. Questi paesi non hanno mentalità europea, non hanno un governo europeo. Non sono capaci di rispettare gli altri paesi. E devono andare via.Io sono convinto che l’unico progetto serio che possa fare l’Italia è parlare con la Grecia, con la Spagna e con l’Albania, e dare luogo a un progetto nuovo, confederativo, che graviti sul Mediterraneo. Un progetto che ridia dignità al turismo, all’agricoltura, all’artigianato – alle nostre vocazioni, inclusa la nostra vocazione manifatturiera. Cominciando a mostrare, nei confronti dell’Europa, la giusta insofferenza nei confronti di quei soggetti, con cui noi non abbiamo niente da spartire (a livello culturale, economico, storico). E quindi non dobbiamo spartire niente, con quei paesi. La nostra posizione dev’essere molto radicale, in questo momento: e poi vediamo chi sta con noi e chi sta contro di noi. Perché io ho i miei dubbi, che Francia e Germania possano restare sulle attuali posizioni. Francia e Germania li utilizzano, quei paesi (per limitare i nostri interessi), ma non si possono schierare apertamente: anche perché quei paesi non sono fondatori dell’Unione Europea. La Polonia non è fondatrice dell’Ue, così come l’Ungheria. Noi invece siamo fondatori: ci sarà, una differenza da far valere? E nel momento in cui obbligassimo gli altri a schierarsi, non credo che avremmo tutto questo schieramento contro di noi. Magari obtorto collo, molti si dovrebbero schierare con noi. E quindi creeremmo quel giusto isolamento, nei confronti di quei mentecatti, che ci consentirebbe di metterli bruscamente a tacere (dietro la lavagna, come si faceva nelle scuole ai miei tempi).Questi Stati Generali, quindi? Sono come quelli delle feste citate nel cinema di Nanni Moretti: mi si nota di più se vado o se non vado? Non sono una cosa seria. L’opposizione dice che non contano nulla? Sapete, la gara a non contare nulla, in Italia, tra maggioranza e opposizione è una bella gara: combattuta, di pari livello. Maggioranza e opposizione? Sono farlocche, tutte e due. Il problema è impegnarsi a fare l’Europa, quell’Europa che non è stata mai fatta. Dov’è, l’Europa? Non hanno voluto farla. Hanno lasciato tutta una serie di “zeppe” istituzionali, politiche e governative, per le quali non è stata fatta. Se fai una Unione Europea, perché non devi avere un codice penale unico? Perché non devi avere un modo unico di pagare le tasse? Perché, se uno trasferisce l’azienda in Polonia, paga solo il 10% di contributi? Posso elencarne milioni, di queste cose, per cui l’Europa non esiste. Beninteso: l’Europa va fatta. In un mondo fatto di comunicazioni e trasporti, levatevi dalla testa che possa sopravvivere da solo uno staterello di 60 milioni di abitanti, di fronte a blocchi composti da miliardi di persone, come la Cina e l’America. Va fatta bene, però: anche l’Europa è già stata unita (sotto l’Impero Romano, sotto Carlomagno). Non stiamo parlando di qualcosa che non è mai esistito.C’è chi ancora continua a piangere, accampando il problema delle troppe lingue diverse? Ma l’Europa è stata unita lo stesso quando una parte del continente parlava il mongolo: non parlavano latino, gli Unni – che poi si sono integrati perfettamente, perché il Sacro Romano Impero nacque dall’unione tra componenti franche, tedesche e latine. E’ stata unita, l’Europa. Certo, ci sono modi giusti e modi sbagliati, governi giusti e governi sbagliati; ma non è, che sono sbagliati il modo e il governo, è sbagliato anche il progetto. Siete dei morti che camminano, se pensate di poter prescindere dal fare uno Stato europeo unico. Poi lo possiamo fare confederato, lo possiamo fare sul modello americano, in altri modi – ma lo dobbiamo fare. Non va bene fare finta di farlo, in realtà senza farlo (visto che ognuno continua a fare come vuole, tranne che per alcuni temi importantissimi come la misura delle vongole pescabili). Qui oguno fa quello che vuole. Poi ti vengono a rompere le palle misurandoti i chicchi di grano: non è una cosa seria. Ci riusciremo? Vedremo. Ce lo impone l’evoluzione finanziaria, economica e politica globale. Sapete, nella vita te le impongono, alcune cose: te le impongono proprio. Cose giuste, cose sbagliate, cose su cui t’incazzi cose su cui sei tranquillo. Ma il sistema – delle comunicazioni, dell’economia – oggi impone unioni di Stati che abbiano una certa consistenza. Punto.Con chi lo vogliamo fare, questo progetto? Se lo vuoi fare col Marocco, lo fai col Marocco; se vuoi farlo con la Spagna, lo fai con la Spagna. Dite che il Giappone, ad esempio, sopravvivere benissimo da solo? Innanzitutto il Giappone ha i suoi problemi, da almeno una decina d’anni: ha ridimensionato se stesso, in quell’area è stato superato dalla Corea. Un tempo, il Giappone era leader: persino sulla Cina. E adesso non è niente: vi siete chiesti il perché? Vogliamo anche noi essere niente? Benissimo, basta continuare a essere Italia in questo modo. E’ un problema di scelte, la vita. C’è chi cita la Svizzera, come modello di paese autonomo? Bene, ma prima bisogna imparare a rubare i soldi degli altri: se impari a vivere coi soldi degli altri, sei a posto. Anche il Liechtenstein, che nell’Ue ci è entrato, non è diverso dalla Svizzera. Quello è lo spazio-lestofanti. Dipende dalla vocazione: e noi non abbiamo la vocazione degli svizzeri. Ripeto: credo nel progetto mediterraneo, magari con una moneta su basi diverse rispetto all’euro. E a parte Grecia e Spagna, non sottovaluto nemmeno l’Albania: è un paese piccolo, che però ha mostrato grande amicizia nei nostri confronti. E sono sicuro che, di fronte a una proposta di quel genere, ci starebbe. A quel punto, gli Stati Uniti d’Europa (che saremmo noi) diventerebbero un soggetto dell’Unione Europea, con cui l’Ue dovrebbe fare i conti in maniera un po’ diversa. Si rimetterebbero in discussione le quote, capite? Morirebbero gli Stati – Italia, Spagna, Grecia e Albania – e l’Ue dovrebbe trattare con gli Stati Uniti d’Europa. Perché non chiedere il parere degli italiani, su un progetto come questo?(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming “Carpeoro Racconta”, su YouTube il 14 giugno 2020).Gli Stati Generali di Conte non sono certo la riedizione del Britannia: chi è intervenuto (e chi non è intervento) non li hanno presi sul serio. Non è roba seria, perché si fanno progetti su cose che ancora non si sa se succederanno. Secondo me, l’Europa non riuscirà a varare quel piano economico che ha giustificato tutte le logiche di questo governo, compresa quella degli Stati Generali. Cioè: il governo Conte si è aggrappato, come unica speranza, a una cosa che probabilmente non si verificherà. L’esecutivo non ha Piani-B. E vedrete che, alla fine, cercheranno di dare all’Italia il colpo di grazia, con la scusa che ci sono 5-6 nazioni che non ci stanno (nazioni, tra l’altro, di mentecatti). Dovremmo farci giudicare, sul piano economico e finanziario, dall’Olanda? Io dico: no. In tempi di maggior civiltà, per quanto ci riguarda, l’Olanda sarebbe stato un paese contro cui andare in guerra. E’ una fogna, fotte i soldi a tutte le altre nazioni europee. E’ un paese retto da un governo di farabutti. Con tutte le porcherie che hanno fatto, io avrei già chiesto all’Europa di buttarli fuori – insieme all’Austria e soprattutto all’Ungheria e alla Polonia: sono paesi indegni di condividere un progetto europeo. Questi paesi non hanno mentalità europea, non hanno un governo europeo. Non sono capaci di rispettare gli altri paesi. E devono andare via.
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Usa e Germania ci vendevano il programma con cui spiarci
Quando nel 1986 Ronald Reagan ordinò di bombardare Tripoli, come rappresaglia per l’attentato terroristico alla discoteca berlinese La Belle dov’erano stati uccisi due soldati americani, il presidente annunciando l’attacco disse che gli Stati Uniti avevano prove «precise, dirette e irrefutabili» della responsabilità dei servizi libici. L’ambasciata di Gheddafi a Berlino Est aveva ricevuto l’ordine per l’attacco una settimana prima. E il giorno dopo l’esplosione della bomba, la stessa ambasciata «aveva informato Tripoli del successo della missione». Era chiaro che gli Usa avevano intercettato e decrittato le comunicazioni tra la Libia e la stazione tedesca. Ma quella di Reagan «fu una gaffe madornale, che mise a rischio e in parte danneggiò la più vasta e intrusiva operazione di spionaggio mai messa in campo dalla Cia, il servizio segreto americano». Lo scrive Paolo Valentino sul “Corriere della Sera”: «Per oltre cinquant’anni, una sola compagnia svizzera fornì a oltre cento paesi di tutto il mondo gli strumenti per gestire le loro comunicazioni riservate con spie, militari e missioni diplomatiche». La Crypto Ag, questo il suo nome, aveva iniziato a costruire “macchine cifranti” per gli Usa già durante la Seconda Guerra Mondiale, diventando poi leader del mercato e compiendo con successo negli anni la transizione dalla meccanica all’elettronica.Tra i suoi clienti, nazioni democratiche e dittature: l’Iran prima e dopo la rivoluzione khomeinista, paesi del Terzo Mondo o Stati rivali fra di loro come India e Pakistan, e perfino il Vaticano. «Quello che nessuno ha mai saputo fino ad oggi – scrive Valentino – è che la Crypto Ag era segretamente di proprietà della Cia in società con la Bnd, i servizi segreti tedesco-occidentali». Gli 007 di Bonn «manipolavano sistematicamente le apparecchiature, in modo da poter poi facilmente rompere i codici usati dai vari paesi per mandare i loro messaggi segreti e leggerli». Negli Anni ‘80, aggiunge il “Corriere”, gli strumenti di Crypto consentivano di decodificare il 40% di tutti i cablo diplomatici e le altre comunicazioni intercettate dai servizi Usa. A rivelarlo, scrive sempre Valentino, è uno straordinario pezzo di giornalismo investigativo, realizzato insieme dal “Washington Post” e dalla “Zdf”, la seconda rete televisiva pubblica tedesca, basato su documenti interni sia della Cia che del Bnd, che raccontano sin dalle origini tutti i dettagli dell’operazione, all’inizio denominata Thesaurus e poi ribattezzata Rubicon.«E’ stato il colpo d’intelligence del secolo», si legge negli atti americani: «I governi stranieri pagavano senza saperlo milioni di dollari agli Stati Uniti e alla Germania Ovest per il privilegio di avere le loro più segrete comunicazioni lette dai nostri servizi». Non tutti però abboccavano alle lusinghe di Crypto Ag: «Nel clima di sospetto della Guerra Fredda, i paesi leader del campo rivale, l’Urss e la Cina, non furono mai clienti della premiata compagnia, svizzera solo di nome». Ma la lista di chi usava le apparecchiature truccate, «pagandole milioni di dollari e facendo fare grassi profitti alle due intelligence», comprendeva anche i più stretti alleati occidentali e membri della Nato: Spagna, Grecia, Turchia e ovviamente l’Italia. A partire dal 1970, racconta il “Washington Post”, fu la National Security Agency, l’intelligence militare americana, a prendere il controllo di tutte le operazioni di Crypto insieme ai partner tedeschi, «comprese le assunzioni, la scelta delle tecnologie, il sabotaggio degli algoritmi, la promozione delle campagne di vendita a clienti precisi».Tra il 1970 e il 1975, prosegue il “Corriere”, le vendite annuali di Crypto Ag esplosero: da 15 milioni, passarono a 51 milioni di franchi svizzeri. «Ascoltarono e decrittarono di tutto: i mullah iraniani durante al crisi degli ostaggi del 1979, le comunicazioni dei militari argentini durante la guerra delle Falkland nel 1982 debitamente girate agli inglesi, gli ordini per le campagne omicide delle dittature latino-americane come l’assassinio del leader socialista cileno Orlando Letelier, ucciso nel 1976 in piena Washington dagli agenti di Pinochet. Non ultimo, le comunicazioni del presidente egiziano Anwar Sadat col Cairo durante i negoziati di Camp David tra Egitto e Israele nel 1972». Per inciso, annota Valentino, la famosa gaffe di Reagan sulla Libia insospettì gli iraniani, che erano a conoscenza del fatto che anche i libici usassero la tecnologia svizzera per le comunicazioni segrete. Qualche anno dopo, gli ayatollah arrestarono a Teheran uno dei rappresentanti di Crypto Ag, un cittadino tedesco, e lo rilasciarono solo nove mesi dopo, dietro il pagamento di un riscatto di un milione di dollari: soldi forniti in segreto proprio dal Bnd, l’intelligence di Bonn, dopo che la Cia si era rifiutata di pagare, invocando la linea americana di non versare mai riscatti per ostaggi.Le due documentazioni, messe a confronto dai reporter del “Post” e della televisione di Berlino, rivelano incomprensioni e polemiche tra tedeschi e americani: i primi attenti soprattutto all’aspetto economico della joint venture, che portava milioni di dollari in cassa, gli altri mai stanchi di «ricordare che si trattava di un’operazione di spionaggio». Inoltre i tedeschi erano basiti di fronte alla determinazione e all’entusiasmo dei colleghi Usa nello «spiare su tutti gli alleati». Testualmente: «Gli americani si comportano con i paesi alleati esattamente come con quelli del Terzo Mondo», è la frase di Wolbert Smidt, già direttore del Bnd, citata nei documenti tedeschi. La collaborazione clandestina si concluse nel 1990, finita la Guerra Fredda, quando il governo tedesco ordinò al Bnd di uscire da Crypto Ag: «La Cia, semplicemente, acquistò le quote tedesche e continuò il vecchio andazzo». Crypto Ag non esiste più, ma i suoi prodotti sono venduti ancora oggi a una dozzina di paesi. La vecchia compagnia – conclude Valentino – è stata smembrata nel 2018, «liquidata da azionisti la cui identità rimane ben nascosta dalle leggi del Liechtenstein». Al suo posto ci sono due società: CyOne Security e Crypto International. «Entrambi affermano di non avere alcuna connessione con il mondo dell’intelligence. Ma questa è un’altra storia».Quando nel 1986 Ronald Reagan ordinò di bombardare Tripoli, come rappresaglia per l’attentato terroristico alla discoteca berlinese La Belle dov’erano stati uccisi due soldati americani, il presidente annunciando l’attacco disse che gli Stati Uniti avevano prove «precise, dirette e irrefutabili» della responsabilità dei servizi libici. L’ambasciata di Gheddafi a Berlino Est aveva ricevuto l’ordine per l’attacco una settimana prima. E il giorno dopo l’esplosione della bomba, la stessa ambasciata «aveva informato Tripoli del successo della missione». Era chiaro che gli Usa avevano intercettato e decrittato le comunicazioni tra la Libia e la stazione tedesca. Ma quella di Reagan «fu una gaffe madornale, che mise a rischio e in parte danneggiò la più vasta e intrusiva operazione di spionaggio mai messa in campo dalla Cia, il servizio segreto americano». Lo scrive Paolo Valentino sul “Corriere della Sera”: «Per oltre cinquant’anni, una sola compagnia svizzera fornì a oltre cento paesi di tutto il mondo gli strumenti per gestire le loro comunicazioni riservate con spie, militari e missioni diplomatiche». La Crypto Ag, questo il suo nome, aveva iniziato a costruire “macchine cifranti” per gli Usa già durante la Seconda Guerra Mondiale, diventando poi leader del mercato e compiendo con successo negli anni la transizione dalla meccanica all’elettronica.
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Brexit, Carpeoro: siamo perduti, perché l’Europa non esiste
La Brexit è voluta soprattutto dagli Stati Uniti, che fin dall’inizio sono stati contro l’Europa: si sono resi conto che l’Europa poteva essere un interlocutore indipendente, autonomo, e questo gli Usa non lo vogliono. Per loro, il soggetto più affidabile (sotto il profilo della ancillarità) è la Gran Bretagna, e così se la sono recuperata. C’è poco da esultare, perché comunque la Brexit è una ferita a una speranza: quella di fare dei veri Stati Uniti d’Europa che non siano questa Europa (che fa pena) e che realizzino un’aggregazione storica e culturale di un mondo. Alla gente non importa? La gente ragiona di pancia: per chi è cristiano, è la gente che ha deciso che dovesse essere crocifisso Gesù, e non Barabba. Spesso, la gente si schiera dalla parte sbagliata. La prospettiva europea è ineludibile, a mio parere, perché quello dell’Europa è un mondo che si è evoluto secondo accavallamenti di culture diverse, che necessita dell’integrazione e della formattazione, poi, di un progetto unico. Il mondo dell’Europa prevede una serie di componenti: la penisola greca, l’Italia, la penisola ispanica, la Francia, poi il perfezionamento del contatto con i popoli britannici, e poi le popolazioni del Nord. Ed è mancata la fase finale, la sintesi culturale: cioè il mettere assieme tutte queste voci e farne un’armonia, una musica.
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Dalla mafia soldi in Ue contro l’Italia: il segreto di Borsellino
«Soldi della mafia a fior di politici europei». A che scopo, negli anni Novanta? Inguaiare l’Italia, già terremotata da Tangentopoli, in vista della nascita dell’Ue? Era il grande segreto di Paolo Borsellino, assassinato a Palermo il 19 luglio 1992. Chi lo dice? Gianfranco Carpeoro, saggista e osservatore privilegiato dell’attualità in virtù del suo curriculum: per trent’anni avvocato (vero nome, Pecoraro) e a lungo “sovrano gran maestro” del Rito Scozzese italiano. E come sa, Carpeoro, che Borsellino aveva scoperto l’indicibile? «Sono cose che leggo e che sento», taglia corto, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, l’8 dicembre. Già vicino a Craxi, Carpeoro – benché fuoriuscito dal mondo delle logge – coltiva una sua riservatissima diplomazia massonica, estesa in Italia e all’estero. Nell’estate 2018 le sue affermazioni, di fatto, sventarono il complotto ordito dal francese Jacques Attali, mentore di Macron, per impedire l’elezione di Marcello Foa alla presidenza della Rai (beffando Salvini, che l’aveva candidato). Operazione, secondo Carpeoro, architettata con la collaborazione di Napolitano, Tajani e Berlusconi, ma poi sfumata dopo le esternazioni dell’avvocato, riprese dal quotidiano “La Verità” diretto da Maurizio Belpietro.
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Carpeoro: Salvini e Rackete giocano nella stessa squadra
«Tra un po’ gli africani saranno un miliardo, milioni di loro alle prese col dramma della fame: secondo voi l’esodo lo si arresta chiudendo qualche porto? E secondo voi è una soluzione salvare 40 naufraghi imponendo all’Italia di accoglierli?». Domande che Gianfranco Carpeoro propone al pubblico del meeting annuale di “Border Nights”, ospitato il 30 giugno dall’associazione culturale veneta Salux Bellatrix, guidata da Francesca Salvador. Argomento bollente, su tutte le prime pagine, il derby tra il Capitano e la Capitana: da una parte Matteo Savini, dall’altra Carola Rackete, tedesca, figlia di un mercante d’armi e comandante della nave “Sea Watch” che ha forzato il blocco navale disposto a Lampedusa, scatenando il caso a livello europeo proprio mentre l’Ue ricatta l’Italia con la minaccia della procedura d’infrazione per eccesso di debito. Attenzione ai dettagli, raccomanda Carpeoro: «La Sea Watch è olandese, e l’Olanda è il paese che più preme per le sanzioni Ue contro l’Italia. L’Olanda – aggiunge Carpeoro – è la anche la fogna d’Europa, insieme a Lussemburgo e Liechtenstein: la legislazione fiscale olandese ha sottratto all’Italia fiumi di denaro, attirando grandi aziende italiane. E se l’Olanda è la fogna, Francia e Germania sono il pulsante dello sciacquone. Capite, adesso, che non c’è niente di casuale nella tempistica del caso?».Può sembrare paradossale, aggiunge Carpeoro, ma Salvini e la Capitana sono due facce della stessa medaglia: forse non se ne rendono conto, ma è come se giocassero nella stessa squadra. «Nessuno dei due propone una soluzione seria per il problema dei migranti, che è di portata enorme». Chiudere i porti e accogliere naufraghi «sono due non-soluzioni», assolutamente identiche nel risultato che ottengono, pari a zero. Di più: «Polarizzare lo scontro attorno a questi due personaggi mediatici serve a continuare così, cioè a non pensare». Conta chi la spunta, a prescindere dal risultato che servirebbe (una vera soluzione per l’Africa, depredata dal colonialismo neoliberista). Salvini e la Rackete, sostiene quindi Carpeoro, sono maschere utilissime al potere che sfrutta il continente nero. Il ministro arcigno, che vede solo la necessità di ridurre gli sbarchi (senza curarsi dell’origine del problema) è contrapposto solo in apparenza alla rivale di oggi, la comandante della “Sea Watch”, che pensa che per ripulire la cattiva coscienza dell’Europa basti salvare qualche decina di naufraghi (a spese dell’Italia, però: e in questo fa benissimo, Salvini, a far valere la sovranità della Penisola, specie se i maggiori azionisti dell’Ue continuano a scaricare solo su Roma il costo dell’assistenza dei disperati che sbarcano a Lampedusa).Salvini e la Capitana, aggiunge Carpeoro, ricordano “i capponi di Renzo”, di manzoniana memoria: si beccano come se fossero nemici mortali, ignorando che li aspetta la stessa pentola. Pedine di un gioco più grande, quello della politica “usa e getta”, destinata a durare lo spazio di un mattino. E’ legittimo contingentare gli ingressi degli stranieri e porre un freno all’immigrazione irregolare, «a patto però che la politica – nel frattempo – pensi anche a come progettare la società». Secondo Carpeoro, «un bravo governante dovrebbe avere un’idea precisa di come sarà l’Italia tra vent’anni, quindi anche mettendo in campo strategie per intervenire in modo costruttivo in Africa». Obiettivo: fare in modo che nessuno debba più imbarcarsi per i precari viaggi della speranza, gestiti da una filiera composta da opache finanziarie europee, scafisti e mafiosi africani, trafficanti di uomini e Ong tutt’altro che trasparenti, generosamente sovvenzionate dai campioni della stessa élite finanziaria che, razziando l’Africa, ha creato le premesse per l’esodo. Litigiare sui porti «serve essenzialmente a continuare a non pensare», premiando la politica-spot fatta solo di slogan contrapposti, «perfettamente funzionale al potere che ha inventato il consumismo e cancellato dall’Occidente la politica vera, capace di pensare e quindi di progettare soluzioni di ampio respiro, che ovviamente richiedono anni di impegno».«Tra un po’ gli africani saranno un miliardo, milioni di loro alle prese col dramma della fame: secondo voi l’esodo lo si arresta chiudendo qualche porto? E secondo voi è una soluzione salvare 40 naufraghi imponendo all’Italia di accoglierli?». Domande che il saggista Gianfranco Carpeoro propone al pubblico del meeting annuale di “Border Nights”, ospitato il 30 giugno dall’associazione culturale veneta Salux Bellatrix, guidata da Francesca Salvador. Argomento bollente, su tutte le prime pagine, il derby tra il Capitano e la Capitana: da una parte Matteo Savini, dall’altra Carola Rackete, tedesca, figlia di un mercante d’armi e comandante della nave “Sea Watch” che ha forzato il blocco navale disposto a Lampedusa, scatenando il caso a livello europeo proprio mentre l’Ue ricatta l’Italia con la minaccia della procedura d’infrazione per eccesso di debito. Attenzione ai dettagli, raccomanda Carpeoro: «La Sea Watch è olandese, e l’Olanda è il paese che più preme per le sanzioni Ue contro l’Italia. L’Olanda – aggiunge Carpeoro – è anche la fogna d’Europa, insieme a Lussemburgo e Liechtenstein: la legislazione fiscale olandese ha sottratto all’Italia fiumi di denaro, attirando grandi aziende italiane. E se l’Olanda è la fogna, Francia e Germania sono il pulsante dello sciacquone. Capite, adesso, che non c’è niente di casuale nella tempistica del caso?».
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Caos migranti, il piano Soros-Cia per destabilizzare l’Europa
Proprio come le forze oscure della miliardaria rete di organizzazioni non governative della Central Intelligence Agency degli Stati Uniti e di George Soros, che complottarono per destabilizzare Medio Oriente e Nord Africa attraverso l’uso dei social media, realizzando la cosiddetta “primavera araba”, tali forze hanno aperto un nuovo capitolo sulla disfunzionalità globale facilitando il flusso di rifugiati e migranti economici da Medio Oriente, Asia e Africa all’Europa. Nel marzo 2011, il leader libico Muhammar Gheddafi predisse cosa sarebbe accaduto all’Europa se la stabilità del suo paese veniva minata dalle potenze occidentali. In un’intervista a “France 24”, Gheddafi predisse correttamente: «Ci sono milioni di neri che potrebbero attraversare il Mediterraneo per la Francia e l’Italia, e la Libia svolge un ruolo nella sicurezza nel Mediterraneo». Il figlio di Gheddafi, Sayf al-Islam Gheddafi, condannato a morte dal regime radicale che governa Tripoli, fece eco ai commenti del padre nella stessa intervista al notiziario francese. Sayf disse: «La Libia può diventare la Somalia del Nord Africa, del Mediterraneo. Vedrete i pirati in Sicilia, a Creta, a Lampedusa. Vedrete milioni di immigrati clandestini. Il terrore sarà vicino».Come si è visto nei recenti avvenimenti, Sayf aveva proprio ragione. Infatti, per l’Europa, il terrore è letteralmente a fianco. Si stima che ben 4.000 jihadisti veterani degli olocausti terroristici in Siria, Iraq e Yemen, abbiano approfittato dell’assenza dei controlli sulle frontiere di Schengen dell’Unione europea per entrare o ritornare in Europa. Molti giovani “migranti” hanno iPhone, bancomat, diversi passaporti e molto contante, difficilmente ciò che ci si aspetta di trovare in possesso di veri profughi di guerra. Non solo gli africani hanno inondato l’Europa meridionale dopo aver attraversato in modo periglioso il Nord Africa, tra cui la Libia, ma i profughi siriani, per lo più creati dal trasferimento massiccio occidentale ai jihadisti siriani di armi catturate in Libia dopo il rovesciamento di Gheddafi, innescando la sanguinosa guerra civile siriana, fluiscono via mare e via terra nel cuore dell’Europa. Soros, che non è altro che un frontman miliardario dell’ancor più ricca famiglia di banchieri Rothschild dell’Europa occidentale, ha supervisionato la completa distruzione degli Stati nazionali nell’Europa sud-orientale, che oggi consentono l’accesso incondizionato dei migranti economici e dalla guerra civile da Siria, Iraq, Nord Africa, Africa sub-sahariana, Afghanistan, Pakistan, Bangladesh, Birmania, Sri Lanka e altre nazioni del Terzo Mondo devastate da guerra e povertà.Risultato dei programmi di reingegnerizzazione delle nazioni, Soros prima ha contribuito a distruggere la Repubblica socialista federativa di Jugoslavia, con l’aiuto attivo dell’Unione Europea e della Nato. Le sette repubbliche indipendenti che una volta costituivano la Jugoslavia, ora sono le principali vie di transito per decine di migliaia e prossimi centinaia di migliaia di migranti non europei. La Grecia, che soffre per l’austerità degli “avvoltoi” dei banchieri centrali e privati europei, tra cui Soros e i suoi mandanti Rothschild, difficilmente può affrontare il massiccio flusso di rifugiati. I banchieri si sono assicurati che la Grecia non possa nemmeno fornire i servizi sociali di base al proprio popolo, lasciando soli i profughi da zone di guerra e nazioni che soffrono del crollo di governi ed economia. La Macedonia, che continua a subire il tentativo di “rivoluzione colorata” in stile ucraino su concessione dei neocon dell’amministrazione Obama, come l’assistente del segretario di Stato per gli affari europei ed eurasiatici Victoria Nuland, non può trattenere l’invasione della massa di rifugiati dalla Grecia. Molti rifugiati sono trattati al confine greco-macedone con fastidio, ammucchiandosi in Macedonia e poi in Serbia.I migranti hanno cercato ogni modo possibile per raggiungere le accoglienti Austria e Germania. I rifugiati a Budapest sommersero la stazione ferroviaria centrale, costringendo a chiuderla ai passeggeri, profughi che cercavano di raggiungere Austria e Germania, così come ungheresi e turisti. I rifugiati musulmani arrivati a Monaco di Baviera erano irritati dalla presenza per le strade di tedeschi e stranieri che celebrano l’annuale “Oktoberfest” bevendo birra. Già vi sono stati scontri per le strade tra celebranti l’Oktoberfest ubriachi e alcuni rifugiati musulmani che si oppongono alla presenza dell’alcol. I funzionari della città di Monaco di Baviera avevano detto che potevano ricevere solo 1000 nuovi rifugiati al giorno. La città ha visto il numero salire a 15.000 al giorno con circa il 90 per cento che non si registra presso le autorità locali, scomparendo per destinazioni sconosciute. Nelle città e nei paesi dell’Europa, i migranti appena arrivati dormono nei parchi e sui marciapiedi creando l’incubo della salute pubblica con feci umane nei parchi e puzza di urina permeare le pareti degli edifici.La situazione è aggravata dal recente arrivo dei rifugiati siriani nel nord della Germania, che scambiano il velenoso fungo selvaggio “tappo della morte” per una varietà commestibile che cresce nel Mediterraneo orientale. Nonostante le avvertenze in arabo e curdo distribuite ai rifugiati, i profughi hanno ingerito i funghi velenosi, subendo vomito e diarrea incontrollabile, aggiungendo altro dilemma alla salute pubblica in Europa. E’ solo questione di tempo prima che le malattie trasmesse dai rifiuti umani, come colera e tifo fanno, facciano il loro trionfale ritorno nelle città d’Europa dalle pandemie mortali dello scorso millennio. La cancelliera tedesca Angela Merkel, il presidente del Consiglio dell’Unione europea Donald Tusk e il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker hanno la responsabilità diretta dell’afflusso di oltre un milione di rifugiati politici ed economici nel cuore dell’Europa. Merkel non ha fatto segreto del desiderio di aggiungerli alle file dei lavoratori ospiti, “Gastarbeiter”. Tuttavia, come mostrato da altri lavoratori ospiti in Germania arrivati negli ultimi decenni, questi lavoratori non si considerano “ospiti” ma residenti permanenti e cittadini.Nel frattempo, Tusk e Juncker, quest’ultimo originario del minuscolo Lussemburgo, hanno minacciato di multare i membri non comunitari Svizzera, Liechtenstein, Norvegia e Islanda se non assorbono la loro quota di rifugiati, una percentuale dettata dagli “eurocrati” dell’Ue a Bruxelles. Anche se Tusk ha chiesto ai Paesi dell’Ue di aprire frontiere e tesorerie ai profughi, la sua nativa Polonia è reticente ad accettarne più di qualche centinaio. L’opposizione della Polonia si unisce a quella di Repubblica Ceca, Slovacchia e Slovenia. Il successore di Juncker a primo ministro del Lussemburgo, Xavier Bettel, primo capo europeo ad avere un matrimonio gay, ha accolto centinaia di rifugiati. Bettel crede nell’Europa senza frontiere e, quindi, come Merkel, Tusk e Juncker, è un eroe delle Ong finanziate da Soros che fanno dell’Europa un esperimento d’ingegneria sociale mortale. Molti lussemburghesi cercano qualcuno come Marine Le Pen in Francia per fermare il carrozzone dell’accoglienza dei rifugiati che minaccia di cancellare il Granducato del Lussemburgo.I paesi che hanno radicalizzato gli eserciti jihadisti in Siria e Iraq, in particolare Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti e Quwayt, hanno ritenuto opportuno non prendere nessun rifugiato dai combattimenti in Siria e Iraq. L’Arabia Saudita ha avuto il coraggio assoluto di offrire alla Germania la costruzione di 200 moschee per i rifugiati, dove viene solo predicato e insegnato la versione wahabita dell’Islam. Nel frattempo, vi sono prove che la Turchia esorti i rifugiati dalla Siria sul suo suolo ad unirsi all’esodo su carrette del mare verso l’avversaria Grecia. Tale mossa ha provocato la morte di molti bambini e donne, servita solo a commuovere gli europei del nord che hanno invitato migliaia di profughi nei loro paradisi sociali. La Turchia ha anche distribuito manuali ai migranti per istruirli su dove andare una volta giunti in Germania, per avere dal governo l’assistenza sociale. Proprio come si è visto con le rivoluzioni colorate dirette da Soros e Cia nei paesi arabi e Ucraina, il flusso di migranti è stato istruito via Twitter su dove c’erano controlli alle frontiere e come aggirarli. Tale direzione “esterna” ha guidato i profughi da Grecia, Macedonia, Serbia a Croazia e Slovenia, instradandosi verso le frontiere austriache e tedesche, evitando in tal modo le sempre più ostili Ungheria e Serbia. C’è già stata una scaramuccia al confine tra polizia croata di scorta a un treno carico di profughi al confine ungherese e le guardie di frontiera ungheresi.Che siano neo-conservatrici e neo-liberisti, le politiche che hanno portato alla peggiore crisi dei rifugiati in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale hanno radice nei crogioli politici dei gruppi di facciata finanziati da George Soros e Cia in Europa e Stati Uniti. E’ solo questione di tempo prima che i loro ruoli in ciò che è avvenuto in Europa sia scoperto da nazionalisti di destra e di sinistra e che loro case editrici e siti web vadano in fiamme. Alla fine, gli europei si sveglieranno e scopriranno che la Russia s’è immunizzata dal flagello dei rifugiati evitando di frequentare l’Ue e le sue messinscene. Quando i migranti appena arrivati inizieranno a defecare, vomitare e urinare per le strade di Tallinn, Riga, Vilnius, Helsinki e Stoccolma, la Russia libra dalla crisi dei rifugiati non sembrerà così male, dopo tutto.(Wayne Madsen, “Il piano Soros-Cia per destabilizzare l’Europa”, da “Strategic Culture” del 24 settembre 2015, ripreso da “Aurora”).Proprio come le forze oscure della miliardaria rete di organizzazioni non governative della Central Intelligence Agency degli Stati Uniti e di George Soros, che complottarono per destabilizzare Medio Oriente e Nord Africa attraverso l’uso dei social media, realizzando la cosiddetta “primavera araba”, tali forze hanno aperto un nuovo capitolo sulla disfunzionalità globale facilitando il flusso di rifugiati e migranti economici da Medio Oriente, Asia e Africa all’Europa. Nel marzo 2011, il leader libico Muhammar Gheddafi predisse cosa sarebbe accaduto all’Europa se la stabilità del suo paese veniva minata dalle potenze occidentali. In un’intervista a “France 24”, Gheddafi predisse correttamente: «Ci sono milioni di neri che potrebbero attraversare il Mediterraneo per la Francia e l’Italia, e la Libia svolge un ruolo nella sicurezza nel Mediterraneo». Il figlio di Gheddafi, Sayf al-Islam Gheddafi, condannato a morte dal regime radicale che governa Tripoli, fece eco ai commenti del padre nella stessa intervista al notiziario francese. Sayf disse: «La Libia può diventare la Somalia del Nord Africa, del Mediterraneo. Vedrete i pirati in Sicilia, a Creta, a Lampedusa. Vedrete milioni di immigrati clandestini. Il terrore sarà vicino».
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Il marcio Juncker? Perfetto per imporre all’Europa il Ttip
Imbarazzante, impresentabile, ricattabile. Cioè perfetto, per eseguire ordini senza discutere. E’ l’increscioso profilo del lussemburghese Jean-Claude Juncker, imposto dalla Germania alla guida della Commissione Europea. A tracciare il “nuovo” identikit di Juncker, massimo protettore europeo dell’evasione fiscale per i super-ricchi, è l’esplosivo dossier realizzato da Icij, consorzio internazionale di giornalisti basato negli Usa. In realtà, precisa Paolo Raffone, l’indagine svela una realtà già arcinota: da piccolo paese agricolo, il Lussemburgo si è trasformato in potenza finanziaria, collegata sia alla Svizzera sia alla corona britannica, e dagli anni ‘70 ha accomodato convenientemente gli interessi finanziari, con la massima discrezione, di Stati, imprese e facoltose famiglie. Semmai, l’offensiva anche mediatica contro l’indifendibile Juncker – a sua volta a capo di un’istituzione ormai famigerata come la Commissione Europea – può solo preludere a una stretta finale della finanza e delle multinazioni anglosassoni, che attraverso le loro potentissime lobby premeranno sul lussemburghese per ottenere la capitolazione dell’Europa di fronte al Ttip, il Trattato Transatlantico che metterebbe fine alla residua sovranità europea sulle merci e sulla tutela del suolo, della salute e della sicurezza alimentare.L’anello debole, oggi, si chiama innanzitutto Juncker. Qualcuno, scrive Raffone sul “Sussidiario”, dovrebbe ricordarsi dello scandalo Clearstream (“flusso pulito”), esploso grazie a un giornalista tra il 2001 e il 2002, che dimostrava come dagli anni ‘70 era stata creata una “camera di compensazione” per rendere non tracciabili le transazioni finanziarie. «Clearstream serviva da piattaforma “legale” per le compensazioni inter-bancarie (attività perfettamente illegale) che offriva soluzioni mondiali per l’evasione fiscale e il riciclaggio di denaro». Finite nel nulla le prime inchieste giudiziarie avviate in Lussemburgo e in Francia. Seguì una seconda indagine francese, nota come “Clearstream 2”, che attorno alla costituzione di fondi neri dell’industria franco-tedesca della difesa, Eads, coinvolse il presidente Jacques Chirac e il ministro Dominique De Villepin, ma anche indirettamente il presidente Nicolas Sarkozy e numerosi membri dell’establishment francese, oltre a oligarchi russi e narcotrafficanti colombiani. Nel 2013 si concluse con l’assoluzione dei molti politici coinvolti e la condanna di alcuni alti dirigenti della Eads.Un’indagine parlamentare, diretta dall’ex ministro socialista Arnaud Montebourg (poi silurato da Hollande perché contrario al rigore della Troika) si è limitata alla pubblicazione di un rapporto sul riciclaggio, mentre un’indagine del Parlamento Europeo «ricevette l’incredibile risposta dell’allora commissario Frits Bolkestein che ritenne che “non vi erano ragioni di non credere alle autorità del Lussemburgo”». Nel 2006, continua Raffone, l’eurodeputato olandese Paul Van Buitenen, famoso per aver denunciato lo scandalo di corruzione che fece cadere la Commissione Santer, contestò a Barroso la presenza di Frits Bolkestein nella Commissione, visto che lo stesso era nel consiglio di amministrazione della Shell che aveva conti “occulti” con Clearstream. La risposta di Barroso? Burocraticamente evasiva, in pieno stile Ue: un altro lussemburgese, Jacques Santer, nel 1999 fu costretto a dimettersi da presidente della Commissione Europea per un caso di corruzione. Dal 2002, aggiunge Raffone, Clearstream è controllata al 100% da Deutsche Borse. E, insieme alla consorella Euroclear, che fu di Jp Morgan, è il secondo oligopolista mondiale come “depositario centrale internazionale”, cioè dove si trattano tutti gli eurobond e si opera la “clearence” delle transazioni, dai derivati ai conti bancari.Nel 2011, dopo 10 anni, Clearsteram ha perso tutte le cause contro Denis Robert, il giornalista che aveva reso nota la “lavanderia del Lussemburgo”. Clearstream è da sempre legalmente basata in Lussemburgo, continua Raffone, mentre Euroclear è in Belgio, dove dal 1973 risiede anche Swift, cioè il monopolista mondiale della rete di telecomunicazione per le relazioni finanziarie interbancarie, con oltre 9.000 istituzioni collegate in più di 209 paesi. «Coincidenze o il Benelux ha qualcosa di “speciale”?». Per Raffone, l’offensiva anti-Juncker coincide con la grave sconfitta di Obama nelle elezioni di midterm. E i finanziatori della Icij sono tutti anglosassoni, «ampiamente membri delle élites della mondializzazione e del “nuovo ordine mondiale”», mai teneri con l’Europa. Tra loro spiccano la Open Society Foundation (americana, legata a Soros), la Ford Foundation (americana, con collegamenti israeliani), la Adessium Foundation (famiglia Van Vliet, olandese naturalizzata americana e specializzata in asset management), il Sigrid Rausing Trust (famiglia di origine svedese proprietaria della Tetra Pack, basata nel Regno Unito), la David and Lucile Packard Foundation (la famiglia americana fondatrice di Hp), e poi Pew Charitable Trusts (americana, svolge attività di lobbying nel settore pubblico e possiede il terzo più influente think tank di Washington) e la Waterloo Foundation (britannica, impegnata nelle cause ambientaliste).Quanto allo scandalo attuale, che coinvolge «la reputazione e la credibilità di Jean-Claude Juncker nella sua nuova funzione di presidente della Commissione Europea», per Raffone bisogna partire dal passato recente di Juncker che, nel luglio 2013, dopo 18 anni da primo ministro del Lussemburgo, ha dovuto rassegnare le sue dimissioni in seguito allo scandalo delle “intercettazioni segrete” che, per sua negligenza e omesso controllo e vigilanza, i servizi segreti del Granducato avevano compiuto per alcuni anni. «I fatti dell’inchiesta riferiscono che tra il 2004 e il 2009, oltre alle 300 schede personali di politici e imprenditori e almeno 13.000 “fiches d’information” sui 500.000 abitanti, erano state eseguite violando tutte le leggi vigenti». Secondo il capo dei servizi lussemburghesi, durante la guerra fredda erano oltre 300.000 le “note d’ascolto” collezionate dall’agenzia statale. «Inoltre, sono emerse anche commistioni tra il mondo dell’intelligence lussemburghese, gli affari finanziari, il dipartimento delle imposte e alcune aziende che forniscono beni di lusso».Decisamente grave, per il leader di un paese fondatore dell’Ue. «Possibile che nessuno abbia trovato che già questo evento fosse sufficiente a far dubitare dell’onorabilità di Jean-Claude Juncker prima della sua recente elezione a capo della Commissione Europea?». Eppure era persona ben conosciuta, premier dal 1995 al 2013, poi ministro delle finanze, e infine (dal 2005 al 2013) primo presidente dell’Eurogruppo. «Nessuno sapeva? La spiegazione – afferma Raffone – è che a livello dell’Unione Europea vige la regola dell’omertà, che si cristallizza nella relazione incestuosa tra le alte burocrazie nazionali e le tecnocrazie europee». Pletoriche e tardive le proteste di politici come Gianni Pittella o del belga Guy Verohstadt, del gruppo Alde. Juncker dovrebbe “fare chiarezza” al Parlamento Europeo? «È una farsa che avrebbero potuto risparmiarci. Più dignitosa è stata la difesa d’ufficio del capogruppo Ppe, il tedesco Manfred Weber, che reclama “l’imparzialità” di Juncker.», mentre «la voce più chiara è stata quella di Marine Le Pen, del Fn francese, che ha chiesto le dimissioni incondizionate di Juncker e della sua Commissione».Strada senza uscita, scrive Raffone: se Juncker cade, crolla tutto. Ma se resta al suo posto, la credibilità delle istituzioni europee «sarà indecentemente rovinata». Ipotesi: «Un aiuto a quella creazione del “caos” che a certa parte dell’establishment americano, soprattutto dopo la vittoria dei repubblicani, fa molto comodo per “disciplinare” gli europei nell’alleanza transatlantica?». Scandaloso non è solo il regime fiscale del Lussemburgo, ma anche il fatto che Juncker, come premier, abbia concluso oltre 340 accordi con multinazionali perché la loro tassazione fosse inesistente oppure dell’1%. E ancor più grave, aggiunge Raffone, è che questi accordi fossero segreti. «Le solite società di auditing hanno fatto il resto. La patetica difesa della Pwc ricorda quella della blasonata Arthur Andersen quando nel 2007 esplose il caso della Aig americana, che portò alla chiusura di quella “casa di contabili”. Perché Juncker lo ha permesso? E per conto di chi?». Niente di nuovo, comunque: «Per qualsiasi piccolo investitore che cercasse di “ottimizzare” la propria tassazione, era ben noto che in Lussemburgo si potesse “triangolare” con estrema facilità e compiacenza del governo per fare schemi di elusione fiscale trans-europei, coinvolgendo società di comodo in Belgio, Olanda, Polonia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito, senza disdegnare la Svizzera e lo Stato americano del Delaware. Insomma, un gioco fai da te, disponibile anche su Internet».C’è da chiedersi perché la Germania abbia fatto la voce grossa con il principato del Liechtenstein – i famosi nomi trafugati dai servizi tedeschi – mentre sul “suo” Lussemburgo tace. Probabilmente, ipotizza Raffone, il Liechtenstein era uno specchietto per le allodole, mentre la “ciccia” era chiaramente nel Granducato. «Nella guerra finanziaria in corso tra il sistema angloamericano, che in Europa è rappresentato dalla City di Londra, e quello “Ost” rappresentato dalla Germania, per capirci tra Euroclear e Clearstream, questa volta i falchi anglosassoni hanno colpito l’Ue per punire la Germania». Quest’ultima è rea di pensare a un eventuale “Eurogruppo 2” e si è permessa di sfidare il Regno Unito, chiedendo che «decida subito cosa fare, se stare o meno nell’Ue». Detto fatto, reazione puntuale: «A farne le spese non sarà solo la Germania, ma tutti i paesi dell’Eurozona». Juncker? «E’ stato una pessima scelta anche per la Germania», che si è affidata a un politico iper-ricattabile da troppi poteri. Per esempio, gli americani: «Obama deve rabbonire i suoi falchi, ormai vincitori a casa sua. Quindi può avere una sola possibilità per farlo: la resa incondizionata e definitiva dell’Unione Europea all’egemone americano. Primo passo, la firma del Ttip prima del prossimo Consiglio Europeo di dicembre». Forse, conclude Raffone, Renzi e la Mogherini lo avevano intuito, e quindi sin da subito avevano dichiarato che «il Ttip non è solo un accordo commerciale, ma strategico, una scelta culturale».Imbarazzante, impresentabile, ricattabile. Cioè perfetto, per eseguire ordini senza discutere. E’ l’increscioso profilo del lussemburghese Jean-Claude Juncker, imposto dalla Germania alla guida della Commissione Europea. A tracciare il “nuovo” identikit di Juncker, massimo protettore europeo dell’evasione fiscale per i super-ricchi, è l’esplosivo dossier realizzato da Icij, consorzio internazionale di giornalisti basato negli Usa. In realtà, precisa Paolo Raffone, l’indagine svela una realtà già arcinota: da piccolo paese agricolo, il Lussemburgo si è trasformato in potenza finanziaria, collegata sia alla Svizzera sia alla corona britannica, e dagli anni ‘70 ha accomodato convenientemente gli interessi finanziari, con la massima discrezione, di Stati, imprese e facoltose famiglie. Semmai, l’offensiva anche mediatica contro l’indifendibile Juncker – a sua volta a capo di un’istituzione ormai famigerata come la Commissione Europea – può solo preludere a una stretta finale della finanza e delle multinazioni anglosassoni, che attraverso le loro potentissime lobby premeranno sul lussemburghese per ottenere la capitolazione dell’Europa di fronte al Ttip, il Trattato Transatlantico che metterebbe fine alla residua sovranità europea sulle merci e sulla tutela del suolo, della salute e della sicurezza alimentare.
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Europei svegliatevi, o entro il 2018 siamo tutti in guerra
La divisione del mondo in due blocchi – l’Occidente e tutti gli altri – non è un’ipotesi pessimistica, ma una realtà che si sta concretizzando sotto i nostri occhi. Gufi e Cassandre non c’entrano. Contrapposizioni, blocchi oligarchici e pericolo di guerra sono reali. Seguono alcuni fatti che cerchiamo di interpretare, proponendo anche una possibile “uscita di sicurezza”. In Medio Oriente si sta compiendo l’ultima fase della dislocazione geopolitica del “mondo arabo”. Il lungo immobilismo imposto dagli europei e dagli americani – nel 1916 e poi dal 1945 al 2010 – non era più difendibile, anche perché insidiato significativamente dalla penetrazione commerciale cinese. La prima fase è stata quella di sostenere attivamente la divisione del mondo sunnita attraverso operazioni di promozione della “democrazia”, inaugurate da Obama al Cairo nel 2009 con il discorso sul “nuovo inizio”, e per la rinascita dei Fratelli Musulmani – che già negli anni ‘20 rifiutavano la dominazione wahabita – attraverso una serie di rivoluzioni che servivano a irreggimentare in nuovi regimi dal volto democratico le legittime rivolte popolari.La seconda fase è stata militare e ha avuto avvio nel 2011 con il bombardamento della Libia e l’uccisione di Gheddafi, seguita dall’inizio della guerra anti-Assad in Siria, compiuta dando sostegno militare a milizie islamiste sunnite che, come oggi vediamo, intendono colpire al cuore il dominio wahabita creando uno “Stato islamico” sunnita tra Iraq e Siria (non a caso l’Arabia Saudita ha schierato 30.000 soldati sul confine iracheno). La terza fase è la neutralizzazione di due nemici strategici dell’Occidente, Arabia Saudita e Iran, attraverso la manipolazione delle informazioni in entrambi i campi contrapposti, cioè sunniti e sciiti. Quest’ultima fase avrà una durata variabile – tra due e cinque anni – e intende dividere e distruggere il Medio Oriente, in modo tale che anche per la Cina, e più recentemente per la Russia, diventi poco conveniente fare commerci in quei territori. È prevedibile che alla fine, per necessità ma non senza difficoltà, Turchia, Iran e Kurdistan sceglieranno un legame più stretto con il “nuovo mondo” che si sta coagulando all’ombra della Russia e della Cina.In Ucraina è in corso una guerra che incide significativamente sulla ridefinizione del carattere politico dell’Eurasia. Come in altri teatri strategici, l’Occidente (anglo-americano) preferisce la frantumazione all’unificazione. Infatti, con la guerra in Ucraina, le potenze atlantiche (Usa, Uk e Francia) vogliono impedire la percorribilità della saldatura tra l’Unione Europea e la Russia, e più precisamente tra la potenza continentale europea, la Germania, e Mosca. La combinazione della potenza industriale tedesca con le materie prime e la forza militare russa avrebbe creato immediatamente un colosso che metteva a rischio il dominio, sebbene declinante, delle “potenze marittime”. La situazione è ancora piuttosto fluida, ma la decisione tedesca di isolare il Regno Unito nella designazione del nuovo presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, è un segnale politico di non poco conto. Infatti, le ultime mosse tedesche – dalle nomine europee alle scelte di orientamento delle politiche energetiche, monetarie e fiscali – indicano che più che una Germania europea stia rafforzandosi l’Europa tedesca.Questo spiega le parole di attrito con la Germania che sono emerse nei recenti discorsi del premier italiano, Matteo Renzi, che è corso a sostegno della linea “atlantica”, anche contro i propri interessi nazionali. Un primo segno di frantumazione dell’unità europea, rappresentata dalla grande coalizione socialisti-popolari-liberali, è emerso con la posizione del gruppo dei socialisti e democratici (S&D) che ha minacciato di non votare Juncker senza una “cambiamento di rotta sulla crescita”. Come abbiamo già riferito su queste pagine, dietro la magica parolina “crescita” si nasconde lo scontro tra due gruppi oligarchici occidentali. Il primo che sostiene “politiche monetarie e fiscali espansive” e il secondo che non cede su quelle rigoriste e d’austerità finalizzate alla difesa e conservazione del valore. A ben vedere sono due anime della sovranità e dell’esercizio del dominio occidentale: la prima è incline alla guerra finanziaria, la seconda a quella economica. Sull’uso della forza militare per difendere i propri interessi, le due oligarchie non differiscono granché. È possibile che la grande coalizione europea reggerà e che il Regno Unito riuscirà a non abbandonare completamente l’Ue. Se così sarà, non potendo trovare sfogo in Eurasia, la potenza tedesca si accrescerà in Europa continentale. Questo è il prezzo che Usa e Uk sono pronti a pagare per ridefinire il carattere politico dell’Eurasia ed evitare la disintegrazione dell’Ue. La conseguenza sarà un’Eurasia sempre più asiatica.A livello mondiale si profilano due blocchi: l’Occidente e il resto del mondo. Quest’ultimo è partito in ritardo, nell’ultimo ventennio, ma sta procedendo a una velocità elevata verso la creazione di infrastrutture e sistemi di scambio commerciale e finanziario progressivamente indipendenti dal dollaro americano. A giugno di quest’anno è stato concluso l’accordo di swap rublo-yuan, per semplificare il finanziamento del commercio tra i due paesi. Questo accordo è la base per la «creazione di un’istituzione di un sistema di scambi multilaterali che permetterà di trasferire risorse da un paese all’altro, se necessario. Una parte delle riserve valutarie potrà essere destinata a questo scopo [il nuovo sistema]» (“Prime News Agency”). Da questo scaturirà un “sistema quasi-Fmi”. I Brics utilizzeranno una parte (molto probabilmente la “parte del dollaro”) delle proprie riserve valutarie per sostenerlo, riducendo drasticamente la quantità di strumenti in dollari acquistati dai più grandi creditori esteri degli Stati Uniti.Anche in Europa cresce la convinzione che un accordo con la Cina e lo yuan sia improcrastinabile. Tra le ultime mosse in ordine di tempo spicca quella della Banca nazionale della Francia, che ha costituito una piattaforma per lo scambio euro-yuan. Il suo presidente, Christian Noyer, avrebbe dichiarato che come corollario a quanto gli americani hanno fatto alla Bnp Paribas (una multa di 10 miliardi di dollari per violazione delle sanzioni Usa), il commercio con la Cina deve essere gestito in yuan o euro. In contemporanea, Usa e Regno Unito stanno accelerando sulla conclusione di due enormi accordi commerciali che hanno la finalità di “consolidare” gli asset dell’Occidente. Sul Ttip, l’accordo di partenariato commerciale degli investimenti tra Ue e Usa, si attende la conclusione dei negoziati entro la fine dell’anno, sebbene ci sia stato qualche disaccordo sull’estensione del Ttip al settore dei servizi finanziari (fortemente sostenuto dal Regno Unito, ma non dalla Francia e dalla Germania).Sul secondo accordo, il Tisa, “Trade in service agreement”, si sa che è stato negoziato dal settembre 2013 a porte chiuse a Ginevra dai seguenti Stati: Australia, Canada, Cile, Taiwan, Colombia, Costa Rica, Unione Europea, Hong Kong, Islanda, Israele, Giappone, Liechtenstein, Messico, Nuova Zelanda, Norvegia, Pakistan, Panama, Paraguay, Perù, Corea, Svizzera, Turchia e Usa. Non riuscendo a inserire il settore dei servizi nel Ttip, il Tisa risolve il problema, allargandone lo scopo a tutte le attività di servizio, inclusi i servizi pubblici. Il settore dei servizi significa il 70% del Pil dei paesi industrializzati e l’ultima volta che fu trattato a livello multilaterale era il 1995 in ambito Gatts e poi Omc. Il 19 giugno scorso, Wikileaks ha rivelato uno dei protocolli del Tisa. Sulle conseguenze e la pericolosità sociale del Tisa si rimanda a un ottimo dossier pubblicato dal quotidiano francese “L’Humanité”.Secondo il quotidiano svizzero “Bilan”, già nell’aprile 2014 il testo finale del Tisa era «sufficientemente maturo» per essere approvato e sottoposto alla firma dei governi. I dirigenti dell’Ue tacciono, così come i governi degli Stati dell’Unione: nessuna informazione pubblica. Recentemente, Mauro Bottarelli, visti i dati finanziari in suo possesso, si interrogava su questo giornale se si stesse avvicinando una guerra. In considerazione di quanto abbiamo descritto sopra, tutto farebbe pensare a preparativi propedeutici a uno scontro tra i due blocchi. Tuttavia, l’eventualità di uno scontro armato potrebbe collocarsi dopo le elezioni presidenziali americane del novembre 2016. Inoltre, la maturazione del blocco non occidentale richiede ancora del tempo. Quindi, semmai si dovesse intraprendere la disgraziata via delle armi, l’area temporale sarebbe tra il 2018 e il 2020. Per evitare questo scenario da incubo – si ricorda che la proliferazione non convenzionale è molto cresciuta negli ultimi anni – l’unica possibilità sarebbe il risveglio degli europei.A iniziare dalla guerra in Ucraina, una soluzione sarebbe, come ha suggerito “Leap 2020”, da sviluppare in tre stadi: a) riconoscere in modo preliminare le responsabilità condivise; b) riprendere al più presto le relazioni euro-russe per creare le condizioni di una soluzione sostenibile per l’Ucraina; c) convocare una conferenza internazionale euro-Brics per risolvere la crisi ucraina. Per la situazione del Medio Oriente, né l’Europa né gli Usa devono intervenire, anche a causa del fardello storico che li farebbe sospettare, non a torto, di essere di parte. Quindi sarà una situazione che potrà trovare uno sbocco solo permettendo alle forze locali di misurarsi e di trovare un punto di equilibrio. Considerata la responsabilità storica, anche recente, che hanno l’Europa e gli Usa, la miglior soluzione sarebbe di evitare mediazioni e coinvolgimenti diretti o indiretti, finanziando invece sostanzialmente le organizzazioni internazionali. Quanto agli accordi Ttip e Tisa, l’Ue e i suoi Stati rischiano di accelerare l’integrazione del continente invece di prevenirla. Sarebbe forse il caso che tali accordi divenissero innanzitutto pubblici e poi che siano sottomessi a referendum popolare. Ma forse questo è il libro dei sogni e i dati di Bottarelli, nella loro crudezza, già indicano il futuro che ci attende.(Paolo Raffone, “Geo-finanza, gli accordi che avvicinano una guerra”, da “Il Sussidiario” del 7 luglio 2014).La divisione del mondo in due blocchi – l’Occidente e tutti gli altri – non è un’ipotesi pessimistica, ma una realtà che si sta concretizzando sotto i nostri occhi. Gufi e Cassandre non c’entrano. Contrapposizioni, blocchi oligarchici e pericolo di guerra sono reali. Seguono alcuni fatti che cerchiamo di interpretare, proponendo anche una possibile “uscita di sicurezza”. In Medio Oriente si sta compiendo l’ultima fase della dislocazione geopolitica del “mondo arabo”. Il lungo immobilismo imposto dagli europei e dagli americani – nel 1916 e poi dal 1945 al 2010 – non era più difendibile, anche perché insidiato significativamente dalla penetrazione commerciale cinese. La prima fase è stata quella di sostenere attivamente la divisione del mondo sunnita attraverso operazioni di promozione della “democrazia”, inaugurate da Obama al Cairo nel 2009 con il discorso sul “nuovo inizio”, e per la rinascita dei Fratelli Musulmani – che già negli anni ‘20 rifiutavano la dominazione wahabita – attraverso una serie di rivoluzioni che servivano a irreggimentare in nuovi regimi dal volto democratico le legittime rivolte popolari.
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Tisa, accordo segreto: privatizzare anche scuola e sanità
Si chiama “Tisa”, acronimo di “Trade in services agreement”, ovvero “accordo di scambio sui servizi”. E’ un trattato che non riguarda le merci, ma i servizi, ovvero il cuore dell’economia dei paesi sviluppati, come l’Italia, che è uno dei paesi europei che lo sta negoziando attraverso la Commissione Europea. Obiettivo: privatizzare tutti i servizi fondamentali, oggi ancora pubblici – sanità, istruzione, trasporti – su pressione di grandi lobby e multinazionali. «Un accordo che viene negoziato nel segreto assoluto e che, secondo le disposizioni, non può essere rivelato per cinque anni anche dopo la sua approvazione», spiega Stefania Maurizi su “L’Espresso”, che pubblica – in esclusiva un team di media internazionali – l’ultimo scoop di Wikileaks, l’organizzazione di Julian Assange. Gli interessi in gioco sono enormi: il settore servizi è il più grande per posti di lavoro nel mondo e produce il 70% del Pil globale. Solo negli Usa rappresenta il 75% dell’economia e genera 8 posti di lavoro su 10 nel settore privato.Dopo il Gats del 1995 e il Ttip, il Trattato Transatlantico tuttora in discussione (anche quello a porte chiuse) per vincolare l’Europa alle regole commerciali americane sulle merci, mettendo fine alle tutele europee sul lavoro, l’ambiente, l’energia, la salute, l’agricoltura e la sicurezza alimentare, il Tisa punta dritto alla deregulation privatizzata dei servizi, coinvolgendo i mercati più importanti del mondo: gli angolassoni Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda e Canada, i 28 paesi dell’Unione Europea, e poi Svizzera, Islanda, Norvegia, Liechtenstein, Israele, Turchia, Taiwan, Hong Kong, Corea del Sud, Giappone, Pakistan, Panama, Perù, Paraguay, Cile, Colombia, Messico e Costa Rica. «Con interessi in ballo giganteschi: gli appetiti di grandi multinazionali e lobby sono enormi», scrive “L’Espresso”, che indica la “Coalition of Services Industries”, lobby americana che porta avanti un’agenda di privatizzazione dei servizi, come «la più aggressiva». Per la “Coalition”, «Stati e governi sono semplicemente visti come un intralcio al business». Infatti ammette: «Dobbiamo supportare la capacità delle aziende di competere in modo giusto e secondo fattori basati sul mercato, non sui governi».Bozze del trattato e informazioni precise sulle trattative non ce ne sono, scrive Stefania Maurizi. Per questo è cruciale il documento Wikileaks che “L’Espresso” rivela: «Per la prima volta dall’inizio delle trattative Tisa, viene reso pubblico il testo delle negoziazioni in corso sulla finanza: servizi bancari, prodotti finanziari, assicurazioni». Il primo testo risale al 14 aprile, mentre altre comunicazioni dimostrano divergenze tra i vari paesi, separati da ambizioni differenti. A colpire subito è il carattere di segretezza: «Questo documento deve essere protetto dalla rivelazione non autorizzata», si prescrive. Il documento potrà essere desecretato solo «dopo cinque anni dall’entrata in vigore del Tisa e, se non entrerà in vigore, cinque anni dopo la chiusura delle trattative». Osserva Maurizi: «Pare difficile credere che, nonostante la crisi senza precedenti che ha travolto l’intera economia mondiale, distruggendo imprese, cancellando milioni di posti di lavoro e, purtroppo, anche tante vite umane, le nuove regole finanziarie mondiali vengano decise in totale segretezza».Il carattere top secret si spiega forse con la paura che si scatenò dopo il fallimento del “Doha Round”, cioè i negoziati avviati nel 2001 a Doha, nel Qatar, che scatenarono un’ondata di proteste contro la globalizzazione selvaggia, culminata con il bagno di sague al G8 di Genova. Il forcing per la mondializzazione forzata – da una parte Usa, Ue e Giappone, dall’altra Cina, India e America Latina – è fallito nel 2011, dopo dieci anni di trattative. «Con il fallimento del Doha Round – continua “L’Espresso” – gli Stati Uniti e i paesi che spingono per globalizzazione e liberalizzazioni hanno spostato le trattative in un angolo buio (impossibile definirlo semplicemente discreto, vista la segretezza che avvolge le negoziazioni e il testo dell’accordo), lontano dall’Organizzazione mondiale del Commercio, per sfuggire alle piazze che esplodevano in massicce, e a volte minacciose e violente, proteste “no global”». Il risultato è il Tisa, «di cui nessuno parla e di cui pochissimi sanno», anche se questo accordo «condizionerà le vite di miliardi di persone».«Il più grande pericolo del Tisa è che fermerà i tentativi dei governi di rafforzare le regole nel settore finanziario», spiega Jane Kelsey, professoressa di legge dell’Università di Auckland, Nuova Zelanda, nota per il suo approccio critico alla globalizzazione. «Il Tisa è promosso dagli stessi governi che hanno creato nel Wto il modello finanziario di deregulation che ha fallito e che è stato accusato di avere aiutato ad alimentare la crisi economica globale», sottolinea Kelsey. «Un esempio di quello che emerge da questa bozza filtrata all’esterno dimostra che i governi che aderiranno al Tisa rimarranno vincolati ed amplieranno i loro attuali livelli di deregolamentazione della finanza e delle liberalizzazioni, perderanno il diritto di conservare i dati finanziari sul loro territorio, si troveranno sotto pressione affinché approvino prodotti finanziari potenzialmente tossici e si troveranno ad affrontare azioni legali se prenderanno misure precauzionali per prevenire un’altra crisi».L’articolo 11 del testo fatto filtrare da Wikileaks non lascia dubbi su come i dati delle transazioni finanziarie siano al centro delle mire dei paesi che trattano. L’Europa richiede che nessun paese «adotti misure che impediscano il trasferimento o l’esame delle informazioni finanziarie», ma propone che il diritto dello Stato di proteggere i dati personali e la privacy rimanga intatto, a condizione che «non venga usato per aggirare quanto prevede questo accordo». Un paradiso fiscale come Panama, invece, chiede di specificare che «un paese parte dell’accordo non sia tenuto a fornire o a permettere l’accesso a informazioni correlate agli affari finanziari e ai conti di un cliente individuale di un’istituzione finanziaria o di un fornitore cross-border di servizi finanziari». Gli Stati Uniti invece sono netti: i paesi che aderiscono all’accordo permetteranno al fornitore del servizio finanziario di trasferire i dati dentro e fuori dal loro territorio, in forma elettronica o in altri modi, senza alcun rispetto della privacy.«Quello che colpisce di questo articolo del Tisa sui dati – scrive Stefania Maurizi – è che risulta in discussione proprio mentre nel mondo infuria il dibattito sui programmi di sorveglianza di massa della Nsa innescato da Edward Snowden, programmi che permettono agli Stati Uniti di accedere a qualsiasi dato: da quelli delle comunicazioni a quelli finanziari. Ma mentre la Nsa li acquisisce illegalmente, nel corso di operazioni segrete d’intelligence e quindi la loro utilizzabilità in sede ufficiale e di contenziosi è limitata, con il Tisa tutto sarà perfettamente autorizzato e alla luce del sole». In altre parole, il Tisa rende manifesto che la stessa Europa, che ufficialmente ha aperto un’indagine sullo scandalo Nsa in sede di Parlamento Europeo, «sta contemporaneamente e disinvoltamente trattando con gli Stati Uniti la cessione della sovranità sui nostri dati finanziari per ragioni di business». E sui dati, i lobbisti americani della “Coalition of Services Industries” che spingono per il Tisa non hanno dubbi: «Con il progresso nella tecnologia dell’informazione e delle comunicazioni, sempre più servizi potranno essere forniti all’utente per via elettronica e quindi le restrizioni sul libero flusso di dati rappresentano una barriera al commercio dei servizi in generale».Fino a che punto può arrivare il Tisa? Davvero arriverà a investire servizi fondamentali come l’istruzione e la sanità? “L’Espresso” ha contattato “Public Services International”, (Psi), una federazione globale di sindacati che rappresentano 20 milioni di lavoratori nei servizi pubblici di 150 paesi del mondo. L’italiana Rosa Pavanelli, prima donna alla guida del Psi dopo una vita alla Cgil, è sicura che il Tisa vorrà allungare le grinfie anche su sanità e istruzione. L’Italia? E’ nelle mani della Commissione Europea, delegata a trattare. Daniel Bertossa, che per “Public Services International” sta cercando di informarsi sulle trattative segrete, racconta che, anche se nessuno lo ha reso noto, «per ragioni tecniche che hanno a che fare con il Wto, noi sappiamo che il Tisa punta a investire tutti i servizi», come ammettono gli stessi paesi negoziatori. Bertossa sottolinea quanto sia problematica la riservatezza intorno ai lavori del trattato e il fatto che sia condotto al di fuori del Wto, che, «pur con tutti i suoi problemi, perlomeno permette a tutti i paesi di partecipare alle negoziazioni e rende pubblico il testo delle trattative». Invece, per sapere qualcosa del Tisa c’è voluta Wikileaks. «Ai signori del mercato, stavolta, è andata male».Si chiama “Tisa”, acronimo di “Trade in services agreement”, ovvero “accordo di scambio sui servizi”. E’ un trattato che non riguarda le merci, ma i servizi, ovvero il cuore dell’economia dei paesi sviluppati, come l’Italia, che è uno dei paesi europei che lo sta negoziando attraverso la Commissione Europea. Obiettivo: privatizzare tutti i servizi fondamentali, oggi ancora pubblici – sanità, istruzione, trasporti – su pressione di grandi lobby e multinazionali. «Un accordo che viene negoziato nel segreto assoluto e che, secondo le disposizioni, non può essere rivelato per cinque anni anche dopo la sua approvazione», spiega Stefania Maurizi su “L’Espresso”, che pubblica – in esclusiva un team di media internazionali – l’ultimo scoop di Wikileaks, l’organizzazione di Julian Assange. Gli interessi in gioco sono enormi: il settore servizi è il più grande per posti di lavoro nel mondo e produce il 70% del Pil globale. Solo negli Usa rappresenta il 75% dell’economia e genera 8 posti di lavoro su 10 nel settore privato.
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Fine del segreto bancario, gli Usa padroni della finanza
L’istituzione del segreto bancario ha le ore contate, grazie a due eventi che ne hanno segnato l’inizio della fine: l’attentato alle Torri Gemelle e la crisi finanziaria del 2007-2009. Dopo l’11 Settembre, col pretesto della “lotta al terrorismo”, Washington «ha iniziato a ottenere un sempre maggiore accesso alle informazioni sui clienti delle banche, sui loro conti e sulle loro transazioni», afferma l’economista russo Valentin Katasonov. Il Patriot Act, approvato dopo l’attacco alle Twin Towers, permise all’intelligence statunitense di accedere liberamente a informazioni prima riservate, senza più dover ottenere il permesso dei giudici. Così, attraverso organizzazioni internazionali come l’Ocse e il Fmi, Washington ha iniziato ad avere libero accesso alle informazioni bancarie di tutto il mondo. Il secondo evento, la crisi finanziaria, «ha dato il via a un processo repressivo nei confronti dei conti offshore e del segreto bancario». Chi ha condotto la campagna contro il segreto bancario e i conti offshore? Gli Stati Uniti. Ma, dietro alle motivazioni ufficiali, la guerra al segreto bancario nasconde la volontà di controllare il sistema bancario mondiale.Quando, al culmine della crisi finanziaria, apparve chiaro che nel Tesoro degli Stati Uniti non c’erano abbastanza soldi per tappare i buchi più grandi – scrive Katasonov in un post ripreso da “Come Don Chisciotte” – apparve sulla scena la figura fino ad allora sconosciuta di Bradley Birkenfeld», un ex-dipendente del gigante bancario svizzero Ubs. Birkenfeld dichiarò che nelle banche svizzere c’erano moltissimi evasori fiscali statunitensi e che era pronto a collaborare con le forze dell’ordine statunitensi per denunciare questi evasori. Così, governo e fisco americano iniziarono a chiedere che Ubs e altre banche svizzere rivelassero i nomi dei correntisti statunitensi, accompagnando la richiesta «con la minaccia di ritirare le licenze delle filiali Ubs presenti in America». Il 19 febbraio 2009, ricorda Katasonov, Ubs cedette alle pressioni e accettò di rivelare i nomi di 250 suoi clienti statunitensi che si erano rifugiati nei conti svizzeri per evadere le tasse del loro paese. La stessa banca «dovette pagare una multa di 780 milioni dollari come risarcimento per imposte non corrisposte al Tesoro degli Stati Uniti». Washington non molla: vuole informazioni precise su tutti i 52.000 clienti americani di Ubs.«Si stava creando un brutto precedente», osserva Katasonov: «La crema dell’off-shore mondiale, nota da più di tre secoli con il nome di Confederazione Elvetica, stava per ricevere un colpo mortale». Il ministro delle finanze svizzero, Hans-Rudolf Merz, tentò di persuadere il collega americano Timothy Geithner a ritirare la causa contro Ubs, promettendo che avrebbe garantito l’approvazione nel Parlamento svizzero di un nuovo accordo sulla doppia imposizione. Ma Washington si è mostrata irremovibile. La banca svizzera è stata inoltre minacciata anche dalla giustizia elvetica, alla quale avevano fatto ricorso 8 super-clienti americani, terrorizzati dalla possibile violazione sel segreto bancario. Troppo tardi: «Si è scoperto, infatti, che Ubs aveva già consegnato a Washington informazioni sui propri clienti americani», in violazione quindi delle famose norme bancarie svizzere.Negli ultimi cinque anni, continua Katasonov, dopo la grande crisi finanziaria l’istituto del segreto bancario ha subito un certo di numero di colpi, non solo in Svizzera ma in tutta Europa. Negli ultimi 18 anni, si sono svolti interminabili colloqui all’interno delle istituzioni europee sul tema dell’abolizione del segreto. Di rilievo la svolta europea dello scorso anno, quando l’Ue ha eseguito le direttive di Washington con un accordo interstatale di principio sulla lotta all’evasione fiscale. In particolare, è stato previsto che gli Stati membri dell’Ue debbano scambiarsi automaticamente le informazioni bancarie, per garantire il pagamento delle imposte da parte di individui e aziende all’interno dei propri paesi. Uniche eccezioni, Lussemburgo e Austria, che si sono astenuti dal prendere impegni specifici, interessati a estendere il vincolo anche a Svizzera e Liechtenstein, per evitare che i due paesi off-shore possano beneficiare, a quel punto, di una forma di concorrenza sleale. Bruxelles però ha premuto su Vienna e Lussemburgo, cha a maggio 2014 hanno dovuto capitolare e allinearsi.«La pressione esercitata da Bruxelles e Washington, che nell’ombra sta conducendo l’intero processo, si è ora spostata verso altri paesi europei al di fuori dell’Unione Europea», continua Katasonov. «Bruxelles ha già dichiarato, in più di un’occasione, che auspica di poter concludere entro la fine dell’anno accordi simili con Svizzera, Liechtenstein, Andorra, Monaco e San Marino». Con l’abolizione in Europa dell’istituto del segreto bancario, gli esperti del settore prevedono un aumento del deflusso di capitali verso Singapore, Malesia e Hong Kong. Denaro dunque in fuga dall’Europa. Bruxelles e Washington hanno già iniziato a utilizzare organismi come l’Ocse e il G20 per mettere sotto pressione i paesi non europei, annunciando l’avvio di riforme fiscali internazionali: «La parte più importante di queste riforme sarà l’adozione di un programma internazionale per lo scambio automatico d’informazioni fiscali».La più recente delle misure volte all’abolizione del segreto bancario, aggiunge Katasonov, è stata la firma, ai primi di maggio, di una dichiarazione relativa all’attuazione di un sistema automatico di scambi d’informazioni fiscali tra gli Stati membri dell’Ocse (34 paesi) e altre 13 nazioni. Anche Singapore e Svizzera, i centri finanziari più riluttanti di fronte alla “normalizzazione” del sistema, sono tra i nuovi partecipanti al programma. «Un secondo strumento, ancora più potente nell’erodere il segreto bancario nel mondo – scrive l’economista russo – è la legge statunitense Fatca, sulla tassazione dei conti esteri». La nuova normativa «richiede alle banche di tutto il mondo di fornire all’Agenzia delle Entrate statunitense informazioni sui clienti che rientrano nella categoria di “contribuenti americani”». Il Fatca può essere considerato «un tentativo da parte di Washington di chiedere a tutte le banche del mondo di eliminare totalmente il segreto bancario». Tutte le banche, anche quelle di Mosca: «E alla luce delle sanzioni economiche statunitensi che si profilano sull’orizzonte russo, soddisfare queste richieste potrebbe essere non solo problematico e inutile, ma anche pericoloso».http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=13385L’istituzione del segreto bancario ha le ore contate, grazie a due eventi che ne hanno segnato l’inizio della fine: l’attentato alle Torri Gemelle e la crisi finanziaria del 2007-2009. Dopo l’11 Settembre, col pretesto della “lotta al terrorismo”, Washington «ha iniziato a ottenere un sempre maggiore accesso alle informazioni sui clienti delle banche, sui loro conti e sulle loro transazioni», afferma l’economista russo Valentin Katasonov. Il Patriot Act, approvato dopo l’attacco alle Twin Towers, permise all’intelligence statunitense di accedere liberamente a informazioni prima riservate, senza più dover ottenere il permesso dei giudici. Così, attraverso organizzazioni internazionali come l’Ocse e il Fmi, Washington ha iniziato ad avere libero accesso alle informazioni bancarie di tutto il mondo. Il secondo evento, la crisi finanziaria, «ha dato il via a un processo repressivo nei confronti dei conti offshore e del segreto bancario». Chi ha condotto la campagna contro il segreto bancario e i conti offshore? Gli Stati Uniti. Ma, dietro alle motivazioni ufficiali, la guerra al segreto bancario nasconde la volontà di controllare il sistema bancario mondiale.