Archivio del Tag ‘Live Aid’
-
Boeri e la rivoluzione, la sinistra-chic che domina il popolo
Anni Settanta. Squilla il telefono nell’elegante casa di Renato e Cini Boeri. Il domestico solleva la cornetta, la pone con calma all’orecchio; sente gracchiare una voce: dall’altro capo del filo qualcuno reclama il giovane Tito. Il sottoposto di classe non si scompone; ne ha viste tante; solo dichiara: «Il signorino Tito non c’è, è fuori a fare la rivoluzione». Formidabili quegli anni!, sentenziò in un suo goffo libro Mario Capanna, già coordinatore di Democrazia Proletaria. Capanna fu uno dei volti belli della sinistra d’antan, assieme all’indimenticabile Lucio Magri, co-fondatore de “Il Manifesto”, atletico e abbronzato, amante di Marta Marzotto, conosciuta in casa di Eugenio Scalfari – la bella Marta, a sua volta amante di Renato Guttuso che la immortalò, gnuda, in numerosi, orridi, teloni a olio. Magri, intelligente e rigoroso, completamente disinteressato alla classe proletaria, di cui ignorava tutto, ma assai esigente in alcuni ambiti extraparlamentari: «Guai se per il gigot d’agneau non c’erano il purè di mele e la salsa di menta: non ci si poteva sedere a tavola. O se i chicchi di caviale non erano g-g-g … grossi grani grigi».Disinteressato agli ultimi? Ho sbagliato, lo riconosco; sono stato ingiusto. Mi correggo: egli, pensoso e infelicissimo, come dichiarò – a Magri morto – la Marzotto, era, invece, prepotentemente assorbito dalle superne cose de l’etternal gloria (della sinistra): tanto superne da situarlo stabilmente (e inevitabilmente) fuori delle pulsioni del proletariato. Un fenomeno che venne testimoniato plasticamente da una Tribuna Politica in cui il Nostro, quale esponente del Pdup (Partito di Unità Proletaria, appunto), rimase imparpagliato davanti alla domanda d’un giornalista che gli chiese conto del prezzo d’un litro di latte: i vani bofonchiamenti di risposta testimoniarono le sue esclusive, celesti, preoccupazioni. Così va il mondo; o meglio, così andava nel secolo ventesimo. Ma torniamo a Tito. Nipote di un deputato del Regno d’Italia (Giovanni Battista Boeri, Gran Maestro della Massoneria nella loggia Giuseppe Garibaldi, quindi fascista nel 1924, poi antifascista non si sa quando, e finalmente senatore, stavolta della Repubblica italiana), e figlio dell’architetta Cini Boeri (al secolo: Maria Cristina Damiani Dameno) e dell’illustre neurologo milanese Renato, già comandante di una banda partigiana assieme al fratello Enzo.I fratelli: Sandro (giornalista di “Panorama” e direttore di “Focus”, di largo successo) e Stefano (architetto e urbanista, di largo successo, e politico, di largo successo pure qui, e rivoluzionario, nel Movimento Studentesco del 1975, tanto rivoluzionario che fu rinviato a giudizio per la morte di Claudio Varalli, suo compagno di lotta, caduto durante l’aggressione «rapidissima, premeditata, violentissima» contro lo studente del Fuan Antonio Braggion; Braggion, vistosi perduto a fronte di trenta uomini, prima si rifugò nella propria auto, poi esplose tre colpi di pistola. Varalli rimase a terra; gli altri, fra cui Boeri, fuggirono. Fu istruito il processo. Ci si predispose alla sentenza esemplare fra notevoli strepiti di trombette. Il Caso, tuttavia, imperituro signore delle vicende umane, volle che intervenisse, in tal caso – un caso con la minuscola, però – il pietoso istituto giuridico della prescrizione; intervenne a lenire ferite morali e fisiche e umane e storiche come nardo di Betania: di tutti, di tutti! … non di Braggion, tuttavia, che si beccò dieci anni complessivi, poi ridotti a sei, per eccesso colposo di legittima difesa: un comportamento che, se non altro, gli salvò la pelle, a differenza di Sergio Ramelli, morto un mese prima, povero lui, col cranio spaccato dalle chiavi inglesi Hazet 36, dopo un’agonia terribile).Voi direte: ma dove vuole arrivare questo? A poche cose. La prima. Di questa gente, i vari Boeri Veltroni Fedeli Boldrini e gli altri pontieri della sinistra, occorre fidarsi come Don Vito Corleone si fidava di Hyman Roth: zero. Un consiglio che dispenso ai più saggi. Boeri e compagnia (e tutti coloro che vi cedono, compresi alcuni esponenti della destra) vanno sradicati dall’Italia. E non a parole. La seconda. Boeri è di sinistra e, quindi, quanto di più lontano dal socialismo possa esserci. La sinistra italiana promana delle rivoluzioni colorate del 1968 e dintorni, ordite proprio per depotenziare il socialismo assieme a correi circensi come Marco Pannella. Distinguere i due ambiti sociali, storici, psicologici, antropologici è essenziale. Esempio: il comunista vuole liberare l’uomo dall’ignoranza, la sinistra dal nozionismo. Risultato: mai visti tanti ignoranti. Il comunista vuole liberare l’uomo dalla povertà, la sinistra fa della povertà una bandiera fashion (e, infatti, mai visti tanti miserabili con l’iPhone come oggi). Il comunista crede nell’eguaglianza dei diritti materiali, la sinistra nell’espansione dei diritti civili (cioè a niente). Il comunista è fuori della Storia, ormai; la sinistra, invece, è la Storia.I festeggiamenti della Coppa del Mondo (e lo sport olimpico-ecumenico) sono di sinistra; il capitalismo angloamericano è di sinistra (ma questo è matto! per questo ci vuole la camicia di forza!); Giovanni Agnelli, chez Eugenio Scalfari, laico confessore con la ruga sulla fronte, fu di sinistra; Juncker è di sinistra, come la Merkel; Beyoncé è di sinistra, come i telefilm americani, Don Matteo e la Blackwater; Berlusconi è di sinistra; George W. Bush è di sinistra; il Vaticano è di sinistra; Equitalia è di sinistra; i Neo-Con americani sono di sinistra; la Fao, l’Unicef, l’euro, Draghi, la Banca Mondiale sono di sinistra; Luttwak e la Boldrini sono di sinistra; l’Oscar e il Premio Strega sono di sinistra, come gli sceicchi e Cristiano Ronaldo e la regina Elisabetta II; la tecnologia è di sinistra, come il botulino; il Live Aid è di sinistra così come i tagliagole di Palmira e il sessuomane Michel Houellebecq; anche la destra è di sinistra, come le parabole sinistre di Giorgia Meloni e Giuliano Ferrara ci testimoniano abitualmente.La sinistra è solo la nuova vaselina escogitata dal potere. Come possiamo far accettare a otto miliardi di belinoni una schiavitù dolce e una esistenza piatta, miserabile, stupida, idiota? Con lo stato di polizia, la guerra, la repressione? Macché, molto meglio “Imagine” (“Imagine there’s no countries / nothing to kill or die for / and no religion too / imagine all the people living life in peace…”). La sinistra è un modo di governo, un inganno al contrario, uno specchietto per allodole, un trucchetto per far scalciare le mandrie del cretinismo digitale (fascista! Comunista!). Il Potere è apolide, parassita, invasivo, piratesco. Prima o poi dovrete abbandonare le finte trincee ideologiche e grattarvi pure questa bella rogna, l’unica vera rogna da grattare oggi: un po’ più a destra, un po’ a sinistra, sotto l’ombelico e dietro la cucuzza, dove volete voi.(“Young Signorino”, da “Il Blog di Alceste” del 16 luglio 2018).Anni Settanta. Squilla il telefono nell’elegante casa di Renato e Cini Boeri. Il domestico solleva la cornetta, la pone con calma all’orecchio; sente gracchiare una voce: dall’altro capo del filo qualcuno reclama il giovane Tito. Il sottoposto di classe non si scompone; ne ha viste tante; solo dichiara: «Il signorino Tito non c’è, è fuori a fare la rivoluzione». Formidabili quegli anni!, sentenziò in un suo goffo libro Mario Capanna, già coordinatore di Democrazia Proletaria. Capanna fu uno dei volti belli della sinistra d’antan, assieme all’indimenticabile Lucio Magri, co-fondatore de “Il Manifesto”, atletico e abbronzato, amante di Marta Marzotto, conosciuta in casa di Eugenio Scalfari – la bella Marta, a sua volta amante di Renato Guttuso che la immortalò, gnuda, in numerosi, orridi, teloni a olio. Magri, intelligente e rigoroso, completamente disinteressato alla classe proletaria, di cui ignorava tutto, ma assai esigente in alcuni ambiti extraparlamentari: «Guai se per il gigot d’agneau non c’erano il purè di mele e la salsa di menta: non ci si poteva sedere a tavola. O se i chicchi di caviale non erano g-g-g … grossi grani grigi».
-
The Frontman: il vero Bono, una vita nel nome del potere
«“The Frontman” non si limita a smascherare il luccicante principe del “chiagni e fotti” Bono Vox, ma sfascia l’intera narrazione tossica sui nababbi buoni, i miliardari impegnati, i Live Aid per smacchiare la coscienza, i turlupinatori che parlano di fame in Africa e sono culo e camicia con le multinazionali che devastano l’Africa e il mondo», scrive Wu Ming 1, presentando il libro di Harry Browne sull’ingombrante leader degli U2. Un pamphlet ironico e graffiante, un vero e proprio atto di accusa nei confronti della superstar irlandese: «Senza metterne in discussione i meriti del successo musicale, ne attacca le modalità nell’uso politico di questo successo», annota “Il Megafono Quotidiano”. E’ una biografia non convenzionale di Bono Vox, che lo vede da una parte impegnato ad evitare di pagare le tasse nel suo paese, e dall’altra ergersi a «volto premuroso della tecnocrazia globale» assumendo, senza alcun tipo di mandato, il ruolo di portavoce per l’Africa, fornendo “copertura umanitaria” ai leader del G8 e alle loro politiche. Con un linguaggio depoliticizzato in cui il mondo dei poveri esiste solo come oggetto di attenzione pelosa, “buona causa” da ostentare in società.L’associazione no-profit “One”, da lui fondata, sostiene di lavorare per conto dei poveri ma, ci svela l’autore, è composta in gran parte da multimilionari, dirigenti d’azienda e politici statunitensi. Tra i suoi membri si scoprono Condoleezza Rice (consigliere di George W. Bush che ha promosso la guerra in Iraq) e Larry Summers (economista della Banca Mondiale che ha contribuito a deregolamentare Wall Street) e solo due membri africani: un magnate dell’industria dei telefoni cellulari e un ex amministratore delegato della Banca Mondiale. Non proprio i migliori rappresentanti dei poveri. «Diffidate dei ricchi & famosi che si proclamano “in guerra contro la povertà”», aggiunge Wu Ming 1. «Si avrà una vera guerra alla povertà quando i poveri insorgeranno contro i ricchi. E se mai verrà quel giorno, non sarà un buon giorno per Bono». Non sarà facile insabbiare i dati di fatto raccolti da Harry Browne, sostiene “Counterpunch”: «Nel corso della propria vita, Bono è diventato ricco sfondato. Fico. Adesso usa il proprio status di celebrità rock per guadagnarsi l’accesso ai (e cospargere un po’ di polvere d’oro rock’n'roll sui) pezzi grossi al potere. Già meno fico. Nel mentre, fa prediche sui poveri e sui malati di Aids in compagnia di certi elusori fiscali davvero luridi e di destra, e coi “migliori” di questi accumula ricchezze e ci elude il fisco insieme. Proprio per niente fico».Per George Monbiot, autore di una recensione sul “Guardian”, quello di Browne è un un libro «brillante e ustionante», dal momento che Bono e altri come lui «si sono appropriati di uno spazio politico che altrimenti sarebbe stato occupato dagli africani di cui si riempiono la bocca». Bono, di fatto, «è visto dai leader mondiali come rappresentante dei poveri», ma «questi ultimi non sono mai invitati a parlare». La cosa «funziona bene per tutti quanti… esclusi i poveri». Harry Browne è libero docente alla School of Media del Dublin Institute of Technology. I suoi articoli sono apparsi su “Counterpunch”, sulla “Dublin Review” e in altri giornali irlandesi. Nato in Italia e cresciuto negli Stati Uniti, Browne vive in Irlanda dalla metà degli anni Ottanta del secolo scorso.(Il libro: Harry Browne, “The Frontman. Bono (nel nome del potere)”, edizioni Alegre, 283 pagine, 15 euro, edizione italiana a cura di Wu Ming 1 e Alberto Prunetti).«“The Frontman” non si limita a smascherare il luccicante principe del “chiagni e fotti” Bono Vox, ma sfascia l’intera narrazione tossica sui nababbi buoni, i miliardari impegnati, i Live Aid per smacchiare la coscienza, i turlupinatori che parlano di fame in Africa e sono culo e camicia con le multinazionali che devastano l’Africa e il mondo», scrive Wu Ming 1, presentando il libro di Harry Browne sull’ingombrante leader degli U2. Un pamphlet ironico e graffiante, un vero e proprio atto di accusa nei confronti della superstar irlandese: «Senza metterne in discussione i meriti del successo musicale, ne attacca le modalità nell’uso politico di questo successo», annota “Il Megafono Quotidiano”. E’ una biografia non convenzionale di Bono Vox, che lo vede da una parte impegnato ad evitare di pagare le tasse nel suo paese, e dall’altra ergersi a «volto premuroso della tecnocrazia globale» assumendo, senza alcun tipo di mandato, il ruolo di portavoce per l’Africa, fornendo “copertura umanitaria” ai leader del G8 e alle loro politiche. Con un linguaggio depoliticizzato in cui il mondo dei poveri esiste solo come oggetto di attenzione pelosa, “buona causa” da ostentare in società.
-
U2, poco di Bono: in confronto, McCartney sembra il Che
Esistono fuochi indimenticabili, mai però eterni. Prima o poi si spengono. E l’incendiario diventa pompiere. Nessuno, nella musica, incarna questa involuzione piccolo borghese come Bono Vox. Cosa è successo al leader degli U2, alla voce salva degli Anni Ottanta? Dov’è finito il divo tascabile che si tuffava sul pubblico al Live Aid, cantando di domeniche sanguinose e Martin Luther King, desaparecidos e strade senza nome? Paul Hewson, cioè Bono Vox, nome ispirato a un negozio di cornetti acustici, ha 51 anni. Capelli corti, occhiali che in confronto Venditti è sobrio, qualche malanno (a maggio è stato operato per problemi al nervo sciatico). Voce ormai lontana dai tempi d’oro, quando ogni suo cinguettio – fosse anche palesemente narciso – si rivelava funzionale alle trame sonore, al messaggio, all’impatto.
-
Bob Dylan, un disco di Natale per sfamare i poveri
A ferragosto, la polizia del New Jersey lo aveva fermato per strada, scambiandolo per un vecchio vagabondo. «Sono Bob Dylan», ha spiegato, ma gli agenti non gli hanno creduto e l’hanno scortato all’albergo dove aveva lasciato i documenti. Ai poveri, comunque, Dylan stava pensando: si intitola “Christmas in the Heart”, Natale nel cuore, il disco natalizio che la Columbia Records lancerà il 13 ottobre. Babbo Natale d’eccezione, il menestrello di Duluth devolverà i proventi in beneficenza: le royalties andranno all’organizzazione “Feeding America”, che conta di utilizzarle per nutrire 1,4 milioni di famiglie indigenti, almeno durante le festività natalizie. «E’ una tragedia che la gente vada ancora a letto affamata»