Archivio del Tag ‘Mahatma Gandhi’
-
La New Age vi ha fritto il cervello, ora è tempo di lottare
Devo fare una comunicazione abbastanza forte, ora, a tutti coloro i quali si occupano di spiritualità: compagni, colleghi, amici, fratelli e sorelle. Se qualcuno si sentirà toccato, meglio. E mi prendo anche tutta la responsabilità, da sciamano e coach spirituale, di ciò che dico. E cercherò di farlo nel modo come al solito più chiaro possibile, e senza mezzi termini. La maggior parte di voi è fuori di testa, e siete pure pericolosi. E adesso vi spiego perché. Vi state rifugiando “nella luce” e state fuggendo da ciò che stà arrivando: negandolo. Per polarità, lo alimentate. E vi state parando il culo, dietro a concetti spirituali: corretti, ma completamente distorti. “Stiamo nel flusso”, “Non alimentiamo pensieri negativi”, “Pensate alla luce”, “Tutto andrà bene”, “Facciamo cerimonie”, “Le guide mi hanno detto…”, “Arrivano gli angeli o gli alieni a salvarci”, “Aspettiamo il ritorno del Cristo…”. Mio Dio: sei tu, il Cristo. Quando il Cristo cacciò i mercanti dal tempio non lo fece con amorevolezza. Non era “nel flusso”? No, certo che lo era… un flusso di calci: perfetto.Quando il Signore Krishna manda Arjuna a combattere contro i suoi cugini, e lui dubita che sia la cosa giusta, cosa gli dice il Krishna? “Stai a casa, andra tutto bene”?! No, cazzo: gli dice che deve armarsi di coraggio, perché i suoi cugini sono malvagi e vanno fermati. Si chiama: giustizia. Al mondo esiste, la malvagità: accettalo. Tutto ha un scopo? Certo: quello della malvagità è di farti alzare il culo dalla “zona comfort” e di compiere una scelta. Il monaco guerriero della filosofia zen? Il guerriero tolteco?! Questa spiritualità non va bene? Ma la New Age vi ha fritto il cervello: non sapete più usare l’energia maschile. La state giudicando: credete che uno, solo perché si scalda, “è in reazione”. Se davanti a certe cose “in reazione” non ci vai, sei morto. Vi faccio un esempio pratico. Problema Uno: vedi un tizio per strada che stupra una ragazza; cosa fai? 1. Fai dei mantra o mediti, perché l’universo scelga il bene supremo; 2. Lo lasci fare, perché “tutto è nel flusso”, e quindi è perfetto; 3. Il bene e il male sono concetti e quindi magari è la lezione Dharmica/Karmica in linea con la sua evoluzione. 4. Ti metti ad urlare “polizia!”, lo prendi a calci, chiami i passanti e cerchi di salvare la ragazza.Risposta: nei casi 1, 2 e 3 non sì è “spirituali”, si è dementi. Nel caso 4 si fa semplicemente la scelta giusta, data dal buon senso. Problema 2: vedi che un manipolo di pochi uomini assetati di potere stanno corrompendo il mondo per portarlo alla distruzione, e stanno uccidendo con debito, crisi, povertà, pandemie, veleni e inquinanti, e stanno portando in particolare l’Italia verso una dittatura plutocratica, e in mezzo a una pandemia globale stanno attaccando tutti i diritti costituzionali. Che fai? Stai “nel flusso”? Li fermi a colpi di mantra? Rimani “nella luce”? Pensate forse che in Tibet i più grandi lama del mondo abbiamo fermato l’esercito cinese coi mantra? No. Infatti ora il Tibet è annesso alla Cina, e il Dalai Lama è in esilio dal 1954. Il problema non è ciò che accade fuori: il problema è come scegli di reagire a ciò che accade fuori. Non puoi scappare, dal mondo. Nel mondo esiste la dualità, e tu sei chiamato a scegliere quale parte decidi di servire. Puoi servire il bene oppure il male. Perché l’universo è Uno, ed è tutto perfetto, ma la realtà manifesta è duale. E la non-scelta è l’ignavia dei conigli.Il sistema stesso ha creato la New Age e queste credenze “spirituali” per togliervi il potere personale. Se nella spiritualità manca il coraggio, non è spiritualità. Se manca la passione, non è spiritualità. Se manca la verità, non è spiritualità. Se mancano l’aiuto e la dedizione al prossimo, non è spiritualità. Se la spiritualità è rivolta a solo a te stesso, non è spiritualità: ve la state solo raccontando. Il Dharma del pianeta è capire se governerà il bene oppure il male. E questo lo devono stabilire 7 miliardi di persone, con le loro scelte: qui, adesso, nei prossimi mesi e anni. Adesso, oggi, sono sotto attacco tutti i vostri diritti: libertà di scelta terapeutica, libertà di opinione, sovranità popolare, libera circolazione, libertà di espressione, libertà di pensiero religioso o spirituale, diritto alla salute, diritto alla democrazia, diritto alla privacy, libertà di stampa. I vostri diritti umani sono stati pagati col sangue dei vostri avi, e non state facendo nulla per difenderli.Che cosa ha fatto il Mahatma Gandhi davanti all’esercito britannico? È andato a casa? Ha pensato solo a se stesso? Ha detto al popolo indiano che non dovevano focalizzarsi sul “pensiero negativo” degli inglesi? Gli ha detto che sarebbe arrivato Krishna a tirarli via dai guai? Gli ha detto che la schiavitù era per il loro bene supremo? Gli ha detto che dovevano “stare nel flusso”? No. Gli ha dato coraggio. Gli ha aperto gli occhi. Gli ha detto la verità. Gli ha detto che poteva esserci un futuro migliore. Ma poteva arrivare solo se avessero trovato la forza dentro di loro. Non ha sparato un solo colpo: hanno fatto massa critica. Ma oggi le uniche entità che fanno massa critica sono le Sardine, gli acefali pilotati dal sistema stesso. In questo momento storico, dovreste essere tutti lì a denunciare questo sistema oppressivo, a far sentire la vostra voce, a informare le persone, a infomarvi voi per primi su cosa sta accadendo, e difendere quegli scienziati che stanno difendendo ciò in cui credete, e che vengono radiati e denunciati.Dovreste essere lì a difendere quei canali online che diffondono verità diverse da quelle del regime, e che rischiano l’oscuramento. Dovreste difendere e promuovere la Costituzione, impugnare la Carta dei Diritti Umani, creare movimenti per la verità: perché senza verità non esiste nessuna coscienza (ve la state raccontando). Uniamoci. Facciamo sentire che ci sono quasi 10 milioni di persone, tra operatori e simpatizzanti, che gravitano nel mondo olistico e sprirituale. Creiamo movimenti per i diritti umani, per la Terra e la Natura, per la medicina naturale e alternativa. Questo è il momento di tirare fuori tutto quello che avete appreso finora, e di portarlo nel mondo. Finché eviterete di vedere cosa sta accadendo davvero, e vi rintanate come topi, farete quella fine.(Enrico Balugani, “La piaga della spiritualità oggi”, messaggio pubblicato sulla sua pagina Facebook “Olomind” già il 6 maggio 2020, un anno fa. Balugani si definisce “Shaman” e “Spiritual Coach”).Devo fare una comunicazione abbastanza forte, ora, a tutti coloro i quali si occupano di spiritualità: compagni, colleghi, amici, fratelli e sorelle. Se qualcuno si sentirà toccato, meglio. E mi prendo anche tutta la responsabilità, da sciamano e coach spirituale, di ciò che dico. E cercherò di farlo nel modo come al solito più chiaro possibile, e senza mezzi termini. La maggior parte di voi è fuori di testa, e siete pure pericolosi. E adesso vi spiego perché. Vi state rifugiando “nella luce” e state fuggendo da ciò che stà arrivando: negandolo. Per polarità, lo alimentate. E vi state parando il culo, dietro a concetti spirituali: corretti, ma completamente distorti. “Stiamo nel flusso”, “Non alimentiamo pensieri negativi”, “Pensate alla luce”, “Tutto andrà bene”, “Facciamo cerimonie”, “Le guide mi hanno detto…”, “Arrivano gli angeli o gli alieni a salvarci”, “Aspettiamo il ritorno del Cristo…”. Mio Dio: sei tu, il Cristo. Quando il Cristo cacciò i mercanti dal tempio non lo fece con amorevolezza. Non era “nel flusso”? No, certo che lo era… un flusso di calci: perfetto.
-
La Gruber a Salvini: chi è intelligente la verità non la dice
«Nessun politico intelligente direbbe mai quello che pensa davvero: sarebbe un’ingenuità imperdonabile». A dirlo non è Giulio Andreotti, ma Lilli Gruber, che rinfaccia a Matteo Salvini la sua sincerità. Lo scontro va in onda a “Otto e mezzo”, su La7. Bersaglio, il capo della Lega. In studio, Massimo Franco del “Corriere della Sera” concede all’ex ministro dell’interno l’onore delle armi: almeno, ha costretto l’Europa ad affrontare in modo collegiale il problema dei migranti che sbarcano in Italia. La conduttrice – Dietlinde Gruber (Bolzano, classe 1957) – usa invece la clava: se rivendica la sincerità come virtù, Salvini è politicamente un cretino. La Lilli nazionale lo dice dall’alto della sua carriera: mezzobusto del Tg2 craxiano, poi parlamentare europea nel 2004 con l’Ulivo di Prodi, quindi mattatrice dell’intrattenimento giornalistico di Urbano Cairo e ospite fissa del Gruppo Bilderberg. Machiavelli docet: “golpe e lione”, ha da essere il principe – non allocco. E se invece il presunto ingenuo piacesse, nel 2019? Salvini ereditò la Lega di Bossi al 4%. In sei anni, l’ha portata al 34%: primo partito italiano alle europee, con consensi – stando ai sondaggi – che tendono al 40%. Questo, semmai, è veramente imperdonabile, per i fan del governicchio-horror abborracciato da Grillo e Renzi per evitare le elezioni anticipate e restituire l’Italia ai padroncini franco-tedeschi dell’Unione Europea.Salvini è l’unico politico che abbia sfidato Bruxelles, almeno a parole: sui migranti, le tasse, le pensioni. Un vero contestatore del rigore Ue. Andava espulso a tutti i costi dal governo, con la manovra di palazzo del Conte-bis varata dai due azionisti del nuovo carrozzone italiano, l’ex comico genovese e l’ex rottamatore fiorentino. La verità è sotto gli occhi di tutti, anche se Gruber e soci evitano di ricordarla: a Salvini, che è riuscito a pensionare 200.000 anziani con “Quota 100”, aggirando i vincoli-capestro dell’odiosa legge Fornero, l’establishment non ha perdonato l’intransigenza contro gli sbarchi facili, l’ostilità verso l’austerity di Bruxelles (deficit negato all’Italia) e soprattutto il progetto di riforma fiscale (Flat Tax) per abbattere la tassazione, far respirare le aziende e creare lavoro, risollevando il Pil. L’oscuro Giovanni Tria, piazzato al ministero dell’economia al posto di Paolo Savona, ha sistematicamente frenato Salvini, d’intesa con Conte. Il leader della Lega ha staccato la spina dal governo gialloverde quando ha capito che Conte e Tria l’avrebbero costretto a presentare agli elettori un risultato deludente, con la manovra d’autunno ancora una volta risicata e inefficace, attorcigliata sui bizantinismi dell’Iva e di altre pietose gabelle più o meno occulte. E allora vedetevela voi, ha concluso Salvini togliendo il disturbo (chiamatelo scemo).Ma non l’aveva capito, nei mesi precedenti, con che razza di imbroglioni s’era messo, il capo della Lega? «Mi fidavo di Di Maio e di Conte», ha detto alla Gruber. Apriti cielo: «Lei allora non sa valutare le persone che ha di fronte», le ha risposto – ruggendo – la conduttrice di “Otto e mezzo”. Più che giornalismo, pugilato. Puro linciaggio, in cui vale tutto: persino l’irrisione della festa leghista del Papeete. Per ragioni «di forma e stile», un ministro dell’interno non dovrebbe mostrarsi tra gli ombrelloni, per giunta in costume. «Mi scusi – si stupisce Salvini – ma lei come ci va, in spiaggia?». Lilli: «In costume, ma non quando sono ministro». Accipicchia. «Guardi», ribatte Salvini: «Quando tornerò ministro, e accadrà presto, le garantisco che tornerò in spiaggia in costume: si rassegni». Finita? Nemmeno per idea. La Gruber, scatenata, estrae dal cilindro la bassezza più clamorosa: «Comunque, dato che è finita l’estate, è contento che non dovrà più girare in mutande per le strade? Magari senza pancia… sa, per gli occhi delle donne». Salvini, sbigottito, se la ride: cos’altro replicare? E’ semmai la Gruber a restare senza parole, di fronte all’analisi tattica di Salvini. Aveva sottovalutato Conte? Certo, sì: «Ho sottovalutato la vanagloria, la voglia di poltrona di Conte. Quante volte aveva detto che, se il governo fosse finito, sarebbe tornato a fare l’avvocato?». Il governo è finito, ma lui è ancora lì: ha solo cambiato programma e compagni di viaggio.Velenosamente, la conduttrice è riuscita a dire a Salvini: «E’ stato lei a chiedere di essere ospitato, stasera». Vendetta legittima: mesi fa, in un comizio, il leghista s’era divertito a recitare il ruolo del martire, fingendo sofferenza per la serata che lo attendeva nello studio di “Otto e mezzo” («mi tocca andare dalla Gruber: simpatia, portami via»). Perché Salvini insiste per tornare da Lilli, dopo due mesi di assenza? Numeri: la signora del centrosinistra televisivo è la regina incontrastanata del “prime time”, con oltre 2 milioni di telespettatori a sera (e uno “share” che supera l’8%). E’ al pubblico della Gruber, che Salvini vuole continuare a parlare, specie ora che è passato dall’onnipresenza mediatica al limbo punitivo riservato a chi sta all’opposizione. Un ostracismo tanto più necessario, per tentare di proteggere il governo-fantasma del debolissimo professor-avvocato Conte, sostenuto da Renzi e Grillo, puntellato da Bruxelles (Gualteri, Gentiloni, Sassoli) e guardato a vista da Mattarella e da Bankitalia. Quando a far paura erano i grillini, toccò a loro l’esilio televisivo (peraltro, da essi stessi voluto e rivendicato per anni). Ma quando poi Di Maio e Di Battista divennero ospiti fissi di Lilli Gruber, tutti capirono che qualcosa era cambiato: almeno una parte dell’establishment puntava sui 5 Stelle come specchietti per allodole, nella speranza (come poi è stato) che “riportassero a casa” il bottino elettorale populista, accettando di diventare establishment a loro volta, o almeno docili esecutori.Con Salvini è diverso, sembrerebbe, a giudicare dal livore – non esattamente “british” – dell’anomala conduttrice di “Otto e mezzo”, cavallo di razza del post-giornalismo italiano che alle notizie preferisce lo spettacolo, il derby, la rissa. Specialità in cui Salvini resta un fuoriclasse, con una differenza: non fa il giornalista, ma il politico. Come in tribunale l’avvocato, rappresenta (legittimamente) una parte, la sua. Eppure – almeno, il 1° ottobre 2019, dalla Gruber – rivendica la sincerità come valore, dichiarando di essere pronto a perdonarsi eventualmente anche l’ingenuità – meglio essere onesti, piuttosto che bugiardi. «Io almeno sono fatto così», dice Salvini. E la cosa manda in bestia la sua antagonista, che in teoria (essendo una giornalista) dovrebbe avere a cuore proprio la verità. Per Lilli Gruber, invece, a quanto pare la sincerità politica è inammissibile: è indice di dabbenaggine, addirittura di imbecillità. Ma davvero? Ve lo vedete, Gandhi, negare di voler sfrattare gli inglesi dall’India? E Yitzhak Rabin si sarebbe mai espresso contro il diritto dei palestinesi di avere un proprio Stato? Ve lo figurate Nelson Mandela che giudica con indulgenza l’apartheid? Al netto dei tatticismi di prammatica, nei momenti che contano vince sempre la chiarezza. Certo non è il caso di scomodare grandi nomi, se in Italia il menù di giornata propone il match “Gruber contro Salvini”. Ma, sia pure in piccolo, il tema è centrale. Sicuri che il mitico italiano medio non la apprezzi, un po’ di sincerità, dopo tante frottole dispensate a reti unificate? Non sarebbe un bel passo in avanti se, a parte i politici, fossero almeno i giornalisti, ogni tanto, a dire almeno un po’ di verità?«Nessun politico intelligente direbbe mai quello che pensa davvero: sarebbe un’ingenuità imperdonabile». A dirlo non è Giulio Andreotti, ma Lilli Gruber, che rinfaccia a Matteo Salvini la sua sincerità. Lo scontro va in onda a “Otto e mezzo”, su La7. Bersaglio, il capo della Lega. In studio, Massimo Franco del “Corriere della Sera” concede all’ex ministro dell’interno l’onore delle armi: almeno, ha costretto l’Europa ad affrontare in modo collegiale il problema dei migranti che sbarcano in Italia. La conduttrice – Dietlinde Gruber (Bolzano, classe 1957) – usa invece la clava: se rivendica la sincerità come virtù, Salvini è politicamente un cretino. La Lilli nazionale lo dice dall’alto della sua carriera: mezzobusto del Tg2 craxiano, poi parlamentare europea nel 2004 con l’Ulivo di Prodi, quindi mattatrice dell’intrattenimento giornalistico di Urbano Cairo e ospite fissa del Gruppo Bilderberg. Machiavelli docet: “golpe e lione”, ha da essere il principe – non allocco. E se invece il presunto ingenuo piacesse, nel 2019? Salvini ereditò la Lega di Bossi al 4%. In sei anni, l’ha portata al 34%: primo partito italiano alle europee, con consensi – stando ai sondaggi – che tendono al 40%. Questo, semmai, è veramente imperdonabile, per i fan del governicchio-horror abborracciato da Grillo e Renzi per evitare le elezioni anticipate e restituire l’Italia ai padroncini franco-tedeschi dell’Unione Europea.
-
Ingroia: l’astensionismo è un progetto politico del potere
Emergenza Italia: urge un programma di salvezza nazionale. Era il 2011 quando Paolo Barnard pubblicava, inascoltato, il suo esplosivo saggio-denuncia “Il più grande crimine”, scritto l’anno precedente il drammatico commissariamento dell’Italia da parte di Monti e Napolitano, su input dei poteri oligarchici incarnati dalla Bce di Jean-Claude Trichet e Mario Draghi. Una predicazione nel deserto, quella di Barnard, inutilmente contattato da personaggi come Tremonti, da gruppi come Fratelli d’Italia, dagli stessi grillini – che Barnard mise in relazione diretta con Warren Mosler, traduttore della “Modern Money Theory” e autore di un piano salva-Italia da due milioni di posti di lavoro. Di mezzo, dopo Monti, ci sono stati Letta e Renzi. Il menù? Sempre lo stesso: rigore, imposto da Bruxelles. Oggi il timone (si fa per dire) è nelle mani di Gentiloni, che vanta come un successo lo slittamento del Fiscal Compact al 2019, mentre i 5 Stelle hanno definitivamente rinunciato a qualsiasi rivendicazione sovranista esattamente come la Lega, condizionata dall’alleanza elettorale col Cavaliere. Addirittura surreale la discesa in campo di Grasso, cioè Bersani (che votò l’obbligo del pareggio di bilancio in Costituzione) e D’Alema, recordman delle privatizzazioni quand’era a Palazzo Chigi. Alternative, sulla carta? Una, in teoria: la “Lista del Popolo” capitanata da Antonio Ingroia e Giulietto Chiesa. Parole d’ordine: quelle lanciate da Barnard sette anni fa.Nei toni dell’assemblea costitutiva della lista, svoltasi a Roma il 16 dicembre, si coglie ormai la piena consapevolezza della catastrofe incombente: «Non è affatto escluso il rischio, per l’Italia, di essere commissariata in modo anche formale, esattamente come la Grecia». C’è un Rubicone da varcare: «Adesso o mai più, perché domani sarebbe tardi», sostiene Ingroia, spronando i volontari verso quella che appare una missione quasi impossibile: raccogliere da subito migliaia di firme, in pochissimi giorni, sperando di riuscire a presentare effettivamente la lista in tempo per le politiche del 4 marzo. Alla guida di “Rivoluzione Civile”, nel 2013 Ingroia fallì l’obiettivo: raccolse solo il 2% dei suffragi, restando al di sotto della soglia di sbarramento. Stavolta è diverso, sostiene: la crisi morde, la situazione italiana è peggiorata in modo drammatico. Per questo, dice l’ex magistrato, sarà più facile trovare interlocutori. Lo stesso Ingroia è pervenuto a conclusioni ben diverse da quelle di quattro anni fa: oggi infatti dichiara che, senza sovranità monetaria e sotto il peso perdurante dei trattati europei, nessun partito potrebbe mantenere quello che promette. Lui cosa annuncia? L’abolizione della legge Fornero, la rimozione del pareggio di bilancio della Costituzione, la cancellazione del Jobs Act. Smarcarsi dalla Nato, ma soprattutto da Bruxelles: rinegoziare i trattati-capestro, o addio Unione Europea.Prodi e D’Alema? «Sono proprio loro ad aver sottoscritto il Trattato di Lisbona», dice Ingroia: sono i veri responsabili del disastro, nascosti dietro un’etichetta “di sinistra” che, tagliando i viveri allo Stato, espone l’Italia al massacro sociale, alla fine del welfare e dei diritti del lavoro, alla carneficina delle privatizzazioni selvagge. «Siamo un paese impaurito, preda della paura, e questo nostro progetto politico è soprattutto un atto di coraggio», dichiara Ingroia, citando Paolo Borsellino: «Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola». Insiste Ingroia: «Ci vogliono audacia e coraggio per affrontare un’impresa che, non possiamo nascondercelo, è molto difficile». Primo step: riuscire davvero a presentare le liste. Poi: superare lo sbarramento del 3%. «Non ce la faranno mai», è la profezia televisiva di Maurizio Crozza. Ovviamente Ingroia non è dello stesso avviso: «Puntiamo a crescere fino al 60%, rispondendo alla maggioranza degli italiani che ormai ha smesso di votare. L’astensionismo? Fa comodo al potere: meno saremo, e più sarà facile controllarci». Il nemico? «Un sistema politico-finanziario corrotto e mafioso». I partiti? Nessuno affronta il toro per le corna. E in più «hanno tutti paura di noi», dice Ingroia, convinto che il mainstream politico stia sottovalutando la sua “Mossa del Cavallo”.«Vogliono ricacciarci nell’astensionismo – insiste l’ex magistrato – perché è perfettamente funzionale all’élite internazionale, che intende continuare a utilizzare, per i suoi scopi, la piccola élite rappresentata dalla classe dirigente nazionale», che a sua volta agisce «attraverso un’élite di elettori-militanti schierati, quindi controllabili». Aggiunge: «Il crescere dell’astensionismo è un progetto politico, che mira a ridurre il numero dei votanti: meno sono, e meglio sono controllabili». Ingroia spera di «trasformare la disperazione in rivoluzione, la rabbia in progetto». Il mitico 60%? «Un sogno, ovviamente, che però – non domani – potrebbe anche trasformarsi in realtà, a patto di riuscire a infondere fiducia in questa Italia spaventata». A proposito di coraggio, Ingroia cita il massone Martin Luther King, riprendendo la frase che lo stesso eroe americano dei diritti civili prese da un altro massone progressista, lo scrittore tedesco Johann Wolfgang Goethe: «Un giorno la paura bussò alla porta, il coraggio andò ad aprire e non trovò nessuno». Con le parole di un terzo massone, il rosacrociano Gandhi, Ingroia formula il suo auspicio: «Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono, poi vinci».Emergenza Italia: urge un programma di salvezza nazionale. Era il 2011 quando Paolo Barnard pubblicava, inascoltato, il suo esplosivo saggio-denuncia “Il più grande crimine”, scritto l’anno precedente il drammatico commissariamento dell’Italia da parte di Monti e Napolitano, su input dei poteri oligarchici incarnati dalla Bce di Jean-Claude Trichet e Mario Draghi. Una predicazione nel deserto, quella di Barnard, inutilmente contattato da personaggi come Tremonti, da gruppi come Fratelli d’Italia, dagli stessi grillini – che Barnard mise in relazione diretta con Warren Mosler, traduttore della “Modern Money Theory” e autore di un piano salva-Italia da due milioni di posti di lavoro. Di mezzo, dopo Monti, ci sono stati Letta e Renzi. Il menù? Sempre lo stesso: rigore, imposto da Bruxelles. Oggi il timone (si fa per dire) è nelle mani di Gentiloni, che vanta come un successo lo slittamento del Fiscal Compact al 2019, mentre i 5 Stelle hanno definitivamente rinunciato a qualsiasi rivendicazione sovranista esattamente come la Lega, condizionata dall’alleanza elettorale col Cavaliere. Addirittura surreale la discesa in campo di Grasso, cioè Bersani (che votò l’obbligo del pareggio di bilancio in Costituzione) e D’Alema, recordman delle privatizzazioni quand’era a Palazzo Chigi. Alternative, sulla carta? Una, in teoria: la “Lista del Popolo” capitanata da Antonio Ingroia e Giulietto Chiesa. Parole d’ordine: quelle lanciate da Barnard sette anni fa.
-
Cugia: ragazzi, abbattete il Faraone e il suo regno dell’odio
Che l’abominevole Trump guidi gli Stati Uniti può urtare l’anima di tanta gente, compresa la mia, ma in quel ruolo lui è paradossalmente una novità mentre la Clinton incarnava l’ambiguo passato della democrazia. In Italia è lo stesso, sa tutto di muffa, con la differenza che noi il Trump di Arcore ce l’abbiamo già avuto (per una volta abbiamo anticipato una tendenza rispetto agli Usa) però non abbiamo novità illuminanti né a destra né a sinistra, non tali da farci leggere il mondo con un bel paio di occhiali nuovi. Tra l’altro un buco nero ha risucchiato sia destra che sinistra, mischiandole in una centrifuga da caserma. Intanto il mondo cambia come un cavallo pazzo spronato dalla tecnologia, dalla finanza e dall’odio globale, e noi non riusciamo a stargli dietro neanche con lo sguardo. Dove sono finiti gli occhiali nuovi? Ci mancano le lenti dei nuovi saggi, dei giusti e dei grandi narratori della Storia, né salgono sul palco (in assenza di copioni all’altezza) i grandi interpreti, mentre la grande orchestra tace nella buca. L’aria è da requiem, ma non si vede un Mozart.Ho sempre trovato detestabile chi, dai 50 in su, scrive film per giovani, musica per giovani, s’inventa una politica per giovani o fa abbigliamento per giovani. Anche se disegna un nuovo slip gli scappa sempre un vecchio merletto. Lo stesso se scrive una canzone o fa un partito. Prima o poi ricasca nella muffa, perché si rivolge al giovane rimasto intrappolato dentro se stesso, non ai giovani d’oggi, e questa svista fatale avviene inesorabilmente, eccetto ai geni che non hanno età. La mia generazione ha fabbricato una trappola letale per le generazioni successive. Li ha lasciati senza lavoro e senz’anima. Gli ha rifilato una collana infinita di specchietti per le allodole, un futuro che ricorda i faraoni con gli schiavi. Ragazzi non aspettatevi che i faraoni si ribellino per voi. È impensabile che gente dell’età (e della mentalità) di Donald Trump possa rappresentare un radicale cambiamento della vostra vita. Dovrete aprirvi un varco, una breccia in questo orrendo muro, e in condizioni impossibili.Per ribaltare le cose a questo punto ci vorrebbero dieci nuovi Martin Luther King venticinquenni e una mezza dozzina di Mahatma Gandhi, più almeno un’Anna Kuliscioff, un Che Guevara, un Voltaire, una Evita Peron e un Napoleone per paese. E non li troverete nelle nostre drogherie. Sto dicendo che ci vorrebbero almeno 21 grandi giovani di cui nessuno conosce ancora il volto o il nome. Ma o con la pace o con le più brusche maniere la nuova generazione deve dispiegare le sue grandi anime. Perché fra voi le grandi anime ci sono e su questo solo un cretino ha dubbi. Non vedo l’ora di poter lanciare una pantofola dalla finestra in segno di giubilo quando sfileranno il giorno della rivolta.(Diego Cugia, “Ragazzi, rompete il muro”, dalla pagina Facebook di Cugia).Che l’abominevole Trump guidi gli Stati Uniti può urtare l’anima di tanta gente, compresa la mia, ma in quel ruolo lui è paradossalmente una novità mentre la Clinton incarnava l’ambiguo passato della democrazia. In Italia è lo stesso, sa tutto di muffa, con la differenza che noi il Trump di Arcore ce l’abbiamo già avuto (per una volta abbiamo anticipato una tendenza rispetto agli Usa) però non abbiamo novità illuminanti né a destra né a sinistra, non tali da farci leggere il mondo con un bel paio di occhiali nuovi. Tra l’altro un buco nero ha risucchiato sia destra che sinistra, mischiandole in una centrifuga da caserma. Intanto il mondo cambia come un cavallo pazzo spronato dalla tecnologia, dalla finanza e dall’odio globale, e noi non riusciamo a stargli dietro neanche con lo sguardo. Dove sono finiti gli occhiali nuovi? Ci mancano le lenti dei nuovi saggi, dei giusti e dei grandi narratori della Storia, né salgono sul palco (in assenza di copioni all’altezza) i grandi interpreti, mentre la grande orchestra tace nella buca. L’aria è da requiem, ma non si vede un Mozart.
-
Levy: persino Gandhi capirebbe la violenza dei palestinesi
Attraverso la nebbia del senso di superiorità, della propaganda dei media, dell’istigazione, della disattenzione, del lavaggio del cervello e della vittimizzazione degli ultimi giorni, ritorna pienamente d’attualità la semplice domanda: chi ha ragione? Nell’arsenale propagandistico israeliano non ci sono argomenti giustificati accettabili per una persona onesta. Persino il Mahatma Gandhi capirebbe le ragioni di questo scoppio di violenza palestinese. Persino quelli che rifiutano la violenza, che la vedono come immorale ed inutile, non possono fare a meno di capire come mai scoppia periodicamente. La domanda è perché non scoppi ancora più spesso. Dalla domanda su chi ha iniziato tutto ciò a quella su chi è da condannare, il dito è giustamente puntato contro Israele, solo contro Israele. Non è che i palestinesi siano incolpevoli, ma la responsabilità principale ricade sulle spalle di Israele. Finché Israele non si libererà di questa colpa, non avrà ragioni per fare uno straccio di richiesta ai palestinesi. Ogni altra cosa è falsa propaganda.Come ha scritto recentemente l’attivista palestinese di lunga data Hanan Ashrawi, i palestinesi solo l’unico popolo sulla terra a cui si chiede di garantire la sicurezza dell’occupante, mentre Israele è l’unico paese al mondo che pretende protezione alle sue vittime. E come possiamo rispondere? Come ha chiesto il presidente Mahmoud Abbas in un’intervista ad “Haaretz”: «Come vi aspettate che la piazza palestinese reagisse dopo che l’adolescente Mohammed Abu Khdeir è stato bruciato vivo [nel luglio 2014, dopo l’uccisione di tre giovani israeliani], l’incendio della casa dei Dawabsheh [nell’agosto 2015, in cui è morto carbonizzato un bambino di 18 mesi e, dopo qualche settimana, sono deceduti i suoi genitori], le aggressioni dei coloni e gli attacchi contro le proprietà [palestinesi] sotto gli occhi dei soldati?». E cos’abbiamo da rispondere?Ai cento anni di spoliazione ed ai 50 anni di oppressione possiamo aggiungere gli ultimi anni, segnati dall’intollerabile arroganza israeliana che ci sta esplodendo ancora una volta in faccia. Sono stati gli anni in cui Israele ha pensato di poter fare qualunque cosa senza pagarne il prezzo. Ha pensato che il ministro della difesa [Moshe Ya’alon, del Likud, il partito di Netanyahu] potesse vantarsi di conoscere l’identità degli assassini dei Dawabsheh senza arrestarli, e i palestinesi si sarebbero controllati. Ha pensato che quasi ogni settimana un ragazzo o adolescente potesse essere ucciso dai soldati e i palestinesi sarebbero rimasti tranquilli. Ha pensato che i soldati israeliani potessero irrompere nelle case dei palestinesi ogni notte e terrorizzare, umiliare ed arrestare la gente. Che a centinaia potessero essere arrestati senza un’accusa. Che lo Shin Bet, il sevizio di sicurezza, potesse continuare a torturare i sospetti con metodi satanici.Ha pensato che i prigionieri che fanno lo sciopero della fame e che sono stati liberati potessero essere riarrestati, spesso senza alcuna ragione. Che Israele potesse distruggere Gaza una volta ogni due o tre anni e che Gaza si sarebbe arresa e la Cisgiordania sarebbe rimasta tranquilla. Che l’opinione pubblica israeliana avrebbe applaudito tutto ciò, nella migliore delle ipotesi con sorrisi e nella peggiore con la richiesta di più sangue palestinese, con una sete che è difficile da comprendere. E i palestinesi lo avrebbero perdonato. Tutto ciò potrebbe continuare ancora per molti anni. Perché? Perchè Israele è più forte che mai e l’Occidente è indifferente e gli consente di scatenarsi come non mai. I palestinesi, nel contempo, sono deboli, divisi, isolati e colpiti come non mai dai tempi della Nakba. Così tutto ciò potrebbe continuare perché Israele lo può fare – e il popolo [israeliano] lo vuole. Nessuno potrà fermare ciò, se non l’opinione pubblica internazionale, che Israele rifiuta in quanto anti-ebraica.E non abbiamo detto niente in merito all’occupazione in quanto tale e l’incapacità di porvi termine. Siamo stanchi. Non abbiamo detto una parola sull’ingiustizia del 1948, che avrebbe dovuto finire allora e non continuata con ancor maggiore forza nel 1967, e continuata senza che se ne veda la fine. Non abbiamo parlato delle leggi internazionali, del diritto naturale e l’etica umana, che non può assolutamente accettare niente di simile. Quando giovani uccidono coloni, lanciano bottiglie molotov contro i soldati e scagliano pietre contro gli israeliani, questo è il contesto. Ci vuole una buona dose di ottusità, ignoranza, nazionalismo e arroganza – o di tutto ciò insieme – per ignorare tutto ciò.(Gideon Levy, “Perfino Gandhi capirebbe la violenza palestinese”, articolo pubblicato sul quotidiano israeliano “Haaretz” il 9 ottobre 2015 e tradotto da “Come Don Chisciotte”).Attraverso la nebbia del senso di superiorità, della propaganda dei media, dell’istigazione, della disattenzione, del lavaggio del cervello e della vittimizzazione degli ultimi giorni, ritorna pienamente d’attualità la semplice domanda: chi ha ragione? Nell’arsenale propagandistico israeliano non ci sono argomenti giustificati accettabili per una persona onesta. Persino il Mahatma Gandhi capirebbe le ragioni di questo scoppio di violenza palestinese. Persino quelli che rifiutano la violenza, che la vedono come immorale ed inutile, non possono fare a meno di capire come mai scoppia periodicamente. La domanda è perché non scoppi ancora più spesso. Dalla domanda su chi ha iniziato tutto ciò a quella su chi è da condannare, il dito è giustamente puntato contro Israele, solo contro Israele. Non è che i palestinesi siano incolpevoli, ma la responsabilità principale ricade sulle spalle di Israele. Finché Israele non si libererà di questa colpa, non avrà ragioni per fare uno straccio di richiesta ai palestinesi. Ogni altra cosa è falsa propaganda.
-
L’antispreco è servito, tra gli chef anche Serge Latouche
Bastano tre mele per fare un dolce-capolavoro. L’importante? E’ che siano bacate. Parola di Anna Blasco, “food stylist” e “food maker” torinese. Perché il capolavoro è doppio: non solo il gusto, ma anche il piacere del recupero del cibo che sta per finire nella spazzatura. Pura filosofia: il cibo non è solo un mezzo per vivere, come insegna Emmanuel Lévinas. «All’esteriorità del cibo corrisponde la nostra sensibilità», spiega il professor Enrico Guglielminetti, direttore di “Spazio Filosofico”. «Il rapporto che abbiamo col cibo è analogo al rapporto che abbiamo con gli altri». Mancanza di rispetto: «Lo spreco alimentare, che riduce il cibo a rifiuto, è un caso esemplare». Una sorta di abuso di potere. «Produrre rifiuti allora diventa un vizio, l’opposto della virtù». E noi di cibo ne sprechiamo troppo: 1,3 miliardi di tonnellate l’anno, cioè un terzo di tutta la produzione mondiale di alimenti destinati all’uomo, lungo la filiera-colabrodo dei consumi di massa. Rimediare? Ovvio che sì. Partendo dalla cucina di casa. Basta seguire, alla lettera, le ricette di grandi chef: che si chiamano Maurizio Pallante, Hilary Wilson, Rossano Ercolini, Pamela Warhurst. E Serge Latouche, naturalmente.«Mangiare meglio, non meno», raccomanda il caposcuola francese del pensiero della decrescita. «Partiamo dalla pratica, dalle piccole cose quotidiane: abbandonare l’abitudine di sprecare, di acquistare cibo che arriva dall’altra parte del mondo, rivestito di imballaggi in plastica». Latouche è il maître della tavola (digitale) imbandita da Alessandra Mazzotta, “L’antispreco è servito”, agile manuale in formato ebook. L’autrice, giornalista specializzata in comunicazione ambientale e sostenibilità, si definisce «pessima cuoca, ma buona forchetta». In città si sposta in bici e «viaggia come ecoturista anche in sogno», secondo l’editore, “Bookrepublic”. Sogni? Quello di Latouche è «un’utopia socialista» chiamata decrescita, per «aiutarci a sperare», fuori dal totalitarismo consumistico. Intanto, “L’antispreco è servito” propone ricette domestiche per un risveglio anche immediato. Formule divertenti, come quella del “mago” Ercolini che trasforma in funghi i fondi di caffè. E prodigi sensazionali come il miracolo di Todmorten, vicino a Manchester, dove due donne si sono inventate la rivoluzione verde di “Incredible Edible”, il villaggio dove gli ortaggi a disposizione degli abitanti crescono persino nelle aiuole della stazione di polizia.«In un mondo paradossale in cui un miliardo di persone soffre di fame e un altro miliardo di malattie connesse con l’obesità, le distorsioni pesano troppo nel piatto e assumono un sapore di immoralità», scrive Mazzotta. «Nei paesi industrializzati, solo per fare qualche esempio, si cestinano 222 milioni di tonnellate di cibo, che equivalgono – tonnellata più, tonnellata meno – alla produzione alimentare disponibile dell’intera Africa sub-sahariana». Gli sprechi alimentari sono ovunque: dalla produzione agricola fino alla distribuzione. «Per non parlare di quelli che avvengono a livello domestico, nelle nostre cucine», sui cui antidoti è concentrata la mappa operativa del libro, utilissima per orientarsi da subito, cercare maestri, trovare alleati preziosi. Associazioni, campagne antispreco, Last Minute Market. Un mondo, navigabile partendo dal computer. Dalla piccola distribuzione alla ristorazione, la spesa consegnata in bicicletta e il locale aperto a Leeds dallo chef Adam Smith, dove vengono serviti piatti di ogni genere, dalla bistecca alla zuppa, a base di ingredienti scartati dagli stabilimenti alimentari della città. «Buon cibo salvato dalla discarica, che aiuta anche a nutrire chi fatica ad arrivare alla fine del mese».Il libro propone una geografia confortante, dalla rete milanese dei ristoranti “ad avanzi zero”, ai sommelier dell’Ais che spiegano come portarsi a casa il vino avanzato. Cresce la rete del “food sharing”: negli Usa, puoi fotografare gli avanzi nel piatto per segnalarli e riciclarli. In Germania, via web, gli abitanti di sette città si scambiano il cibo in eccesso. Stessa cosa a Londra, grazie al “Casseroleclub”. In Italia, “Food Share” è una piattaforma web che permette a privati, produttori e rivenditori di offrire gratuitamente prodotti alimentari in eccedenza a scopi solidali. A Trento basta un’app sul telefonino per ritirare gli avanzi, a Torino provvede una piattaforma web, “NextDoorHelp”, mentre a Treviso lo smistamento dell’antispreco è affidato al frigorifero virtuale di “Ratatouille”, da cui esplorare l’offerta della dispensa eco-solidale. Sono tutti avamposti, per un futuro meno grigio: «Nonostante la crisi, noi italiani buttiamo via ancora troppo cibo: il 55% viene sprecato nella filiera agroalimentare e il restante 45% nel consumo domestico, mense e ristoranti compresi», scrive Alessandra Mazzotta. «Ogni anno, lo spreco domestico ci costa più di 8 miliardi di euro. In media, ogni famiglia getta nella spazzatura più di 500 euro in alimenti».Maurizio Pallante, leader dei decrescisti italiani, punta il dito contro «stili di vita ancora irresponsabili», e spiega: «Manca la consapevolezza del legame tra cibo e stagioni», e in più «non viene data sufficiente attenzione a quanto costa il cibo, produrlo, distribuirlo. Per cui si spreca tanto, con impatti ambientali altissimi». D’altra parte, «chi vende il cibo ha interesse a che se ne venda e se ne sprechi sempre di più». Colpa anche della vecchia agricoltura industriale, pensata come “industria estrattiva” per spremere la terra, allo scopo di vendere e guadagnare sempre di più, grazie anche all’autismo demenziale di una politica che pensa solo al Pil, gonfiato di veleni. L’antidoto si chiama «riscoperta della piccola produzione contadina, con la vendita delle eccedenze, in un’ottica di filiera corta come massima espressione della sovranità alimentare a livello territoriale». Questo, aggiunge Pallante, «favorisce la maturazione della consapevolezza e della responsabilità verso il cibo». Perché, ricordiamolo, l’accesso al cibo è un diritto. Dunque, «non sprecarlo è un dovere», chiarisce Lorenzo Bairati, docente di diritto degli alimenti all’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche a Pollenzo, creata da Carlo Petrini, fondatore di Slow Food.Se il sistema produce ancora passività sprecona, il “decalogo antispreco” di Alessandra Mazzotta propone una via d’uscita praticabile subito, da chiunque: pianificare i pasti, controllare il frigo, verificare etichette e scadenze, gestire gli avanzi e condividerli. C’è un mondo sconosciuto, nel frigorifero: dallo yogurt al tonno, si tratta di decifrare e vigilare sulle date, sulle modalità di conservazione. E di imparare: per esempio, a far “risorgere” ortaggi che ci stanno salutando. Patate e aglio che germogliano? Basta saperci fare, «la natura ha del miracoloso». Sedani, insalate, cipollotti: con poche mosse, un possibile rifiuto diventa una risorsa che ricresce sul davanzale. «Non ricordo di aver mai visto mia nonna buttare via del cibo avanzato», dice Alessandra. «Male che andava, c’era sempre il cane. Chi ha visto la guerra faceva così». Oggi, la “guerra” che abbiamo attorno è un’altra. Per fortuna, «complice forse la crisi e una maggiore coscienza, stanno fiorendo iniziative antispreco un po’ a ogni latitudine». E anche ottimi libri, che ti spiegano come fare. E intanto ti regalano la certezza di essere parte di una comunità. Un’umanità consapevole, che conosce le parole di Gandi: la Terra è abbastanza grande per soddisfare i bisogni di tutti, ma non l’avidità di pochi.(Il libro: Alessandra Mazzotta “L’antispreco è servito”, Bookrepublic, 625,8 Kb, euro 1,99. Mazzotta è redattrice del newmagazine “Econote” e gestisce il blog “Ecoavoi”).Bastano tre mele per fare un dolce-capolavoro. L’importante? E’ che siano bacate. Parola di Anna Blasco, “food stylist” e “food maker” torinese. Perché il capolavoro è doppio: non solo il gusto, ma anche il piacere del recupero del cibo che sta per finire nella spazzatura. Pura filosofia: il cibo non è solo un mezzo per vivere, come insegna Emmanuel Lévinas. «All’esteriorità del cibo corrisponde la nostra sensibilità», spiega il professor Enrico Guglielminetti, direttore di “Spazio Filosofico”. «Il rapporto che abbiamo col cibo è analogo al rapporto che abbiamo con gli altri». Mancanza di rispetto: «Lo spreco alimentare, che riduce il cibo a rifiuto, è un caso esemplare». Una sorta di abuso di potere. «Produrre rifiuti allora diventa un vizio, l’opposto della virtù». E noi di cibo ne sprechiamo troppo: 1,3 miliardi di tonnellate l’anno, cioè un terzo di tutta la produzione mondiale di alimenti destinati all’uomo, lungo la filiera-colabrodo dei consumi di massa. Rimediare? Ovvio che sì. Partendo dalla cucina di casa. Basta seguire, alla lettera, le ricette di grandi chef: che si chiamano Maurizio Pallante, Hilary Wilson, Rossano Ercolini, Pamela Warhurst. E Serge Latouche, naturalmente.