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Cliniche della morte: false diagnosi, per testimoni scomodi
Incidenti stradali, rapine finite male, pallottole vaganti. Oppure decessi archiviati sotto la voce “suicidio”. O ancora: infarti fulminei e complicazioni post-operatorie. Ovvero: “Come uccidere un uomo senza lasciare traccia”. Fino alla perversione più inimmaginabile: medici che uccidono su commissione, all’interno di “cliniche della morte”. Spesso, in questo modo, spariscono testimoni-chiave: poco prima di essere ascoltati dai Pm o prima dell’audizione a qualche commissione parlamentare d’inchiesta. «Il risultato di queste morti improvvise è sempre stata la mancata individuazione di mandanti e autori dei vari delitti o stragi», scrive Paolo Franceschetti. Non si tratta di fantasie: ne parla anche Paolo Muratori nella sua “Enciclopedia dello spionaggio”, pubblicata nel ‘93 dalle Edizioni Attualità del Parlamento (“Servizi segreti, spie, terroristi e dintorni”, prefazione di Flaminio Piccoli e postfazione di Alberto Fumi). «In alcuni casi i lettori sono sembrati un po’ scettici quando abbiamo avanzato dubbi su alcune morti, soprattutto quando il referto autoptico confermava magari l’infarto o il cancro», premette Franceschetti, avvocato per molti anni e docente di materie giuridiche. Già legale delle “Bestie di Satana” Franceschetti ha indagato su alcuni tra i più oscuri misteri italiani, dal Mostro di Firenze alla strage di Erba, dal giallo di Cogne a quello di Avetrana, passando per l’omicidio di Meredith Kercher, la ragazza inglese assassinata a Perugia, e quello di Yara Gambirasio. Delitti rituali?E’ la tesi sviluppata da Franceschetti, attraverso anni di riscontri e accurate analisi: «Spesso gli investigatori non prendono neppure in esame la pista esoterica, perché non ne conoscono il linguaggio». Ovvero: «Esistono circoli occultistici che attribuiscono un valore magico a determinati delitti, che infatti sono disseminati di indizi fortemente simbolici». Spesso, secondo Franceschetti, gli inquirenti vengono depistati «da qualcuno che sta al di sopra di loro, nelle istituzioni, e di fatto “copre” gli autori di certi delitti». Magari facendo anche sparire i testimoni? Nella sua enciclopedia, Muratori – allora presidente dell’Ircs, Istituto Ricerche Comunicazioni Sociali – spiega come si può uccidere una persona facendo credere che sia deceduta per cause naturali. «E’ appena il caso di sottolineare come i metodi elencati siano stati resi pubblici nel 1993 e quindi, con buona probabilità, già all’epoca superati da tecniche molto più sofisticate e ancora sconosciute (altrimenti non li avrebbero pubblicati)», premette Franceschetti, sul blog “Petali di Loto”. Esistono killer che non sparano e non spargono sangue: utilizzano la chimica. Per esempio l’acido cianidrico, comunemente detto acido prussico, usato nell’industria come innocuo disinfettante gassoso: «Sostanza letale ad effetto rapido e sicuro», viene usata «da agenti dei servizi segreti militari per assassinare i nemici».Poi c’è l’acido ossalico: impiegato nell’analisi chimica, come sbiancante nell’industria della stampa e nella produzione di tinture, detersivi, carta e gomma. «Anche questo usato come sostanza letale da agenti di certi servizi segreti militari per assassinare i nemici», scrive Muratori nel suo trattato enciclopedico. Non mancano le “cellule cancerogene vive”, somministrate «con iniezioni» da agenti di alcuni servizi militari per assassinare avversari e agenti nemici. «Il reperimento delle cellule cancerogene vive avviene, clandestinamente, nelle facoltà universitarie di medicina e in certi laboratori che le tengono di scorta per gli scienziati impegnati nella ricerca sulla cura del cancro», scrive Muratori. «Se una persona muore di cancro, come sospettare che sia stata uccisa?». E’ invece chiamata “cianuro” «un’arma di alluminio, con silenziatore, azionata da una pila da 1,5 volt: spara proiettili formati da piccole fiale, contenenti un veleno a base di cianuro che, dopo 5 minuti, non lascia alcuna traccia nell’organismo umano». E’ formata da tre cilindri, l’uno dentro l’altro: «Il primo cilindro contiene una molla e un pistone. La molla mossa da una leva spinge il pistone nel secondo cilindro. A quel momento la fialetta contenente il liquido si spezza ed il veleno è spruzzato verso il volto del nemico».La morte per “cianuro” sopravviene in pochi istanti. E quando il medico effettuarà l’autopsia, non potrà fare altro che constatare l’arresto del cuore: scontata la diagnosi, “crisi cardiaca”. Infine, il tallio: «Sostanza priva di sapore, ad effetto lento sul sistema nervoso, viene usata dalle spie per avvelenare gli agenti nemici e i traditori». Ma ancora non basta. Se queste tecniche sono state rese note nel 1993 e, quindi venivano probabilmente utilizzate nei decenni precedenti, c’è un’altra tecnica, ancora più incredibile: diagnosi infauste, ma false, per convincere la vittima di essere “condannata” da un tumore. Facile, poi, ucciderla, inserendo veleni nei liquidi chemioterapici. Una prassi allucinante, che Franceschetti ha scoperto negli atti della commissione parlamentare d’inchiesta su terrorismo e stragi, presieduta dal senatore Pci-Pds Giovanni Pellegrino. A parlare, nel 2000, non è un teste qualsiasi: si tratta dell’ex questore Arrigo Molinari, che poi sarà ucciso nella notte del 27 settembre 2005 con dieci coltellate infertegli nella sua casa di Andora (Savona). Molinari, ricorda “Repubblica”, era stato vicequestore vicario di Genova e questore di Nuoro. «Coinvolto nello scandalo della P2, era stato sospeso dal servizio e poi reintegrato. Affermava con orgoglio di aver fatto parte di Gladio».Arrigo Molinari si era anche occupato della strana morte di Luigi Tenco: commissario a Sanremo, quel giorno del ‘67 fu il primo a entrare nella stanza del cantante. «Su tutto quello che è accaduto nelle ore successive alla scoperta del suo cadavere – disse – non è stata ancora scritta tutta la verità». Da avvocato, aggiunge “Repubblica”, negli ultimi anni Molinari si era impegnato contro il fenomeno dell’anatocismo bancario: «In seguito a un suo esposto per conto di un cliente, la procura della Repubblica di Imperia aveva aperto un’inchiesta per usura aggravata indagando sei ex direttori della filiale di Imperia di un istituto di credito che si sono succeduti dal 1982 al 2000». La morte, scrive Franceschetti, lo ha colto «proprio pochi giorni prima della prima udienza della causa per signoraggio che aveva intentato contro la Banca d’Italia». Più volte nei mesi precedenti alla morte, Molinari aveva denunciato «tentativi, da parte di “sconosciuti”, di inseguimenti e pedinamenti nei suoi confronti e dei suoi familiari». In più, «fu soggetto di vari tentativi di sabotaggio da parte di non meglio identificati “individui” nei confronti della sua autovettura: cercarono di manomettere i freni». Un uomo nel mirino, dunque, quello assassinato in Liguria: una coltellata l’ha colpita al collo lateralmente, ricorda “Repubblica”, «come se si volesse sgozzarlo».Cinque anni prima, il 18 ottobre del 2000, Molinari risponde alle domande della commissione stragi, giunta alla sua 74esima seduta. E racconta: «Prima del 1978, a San Martino o nei pressi di San Martino, venne istituito un centro diagnostico (che adesso è presente in tutte le città d’Italia, in tutti gli ospedali), il cosiddetto Tac. Il primo di questi impianti ad essere installato in Italia. Ad installare questo impianto fu fittiziamente Rosati, che aveva la gestione di questa Tac. Ma in realtà la Tac era una struttura della P2 che doveva servire…». Pellegrino lo interrompe: «Mi scusi, avvocato Molinari: lei sta parlando della “tomografia assiale computerizzata”, cioè un modo di indagine radiografica. La P2 quindi importava per prima questo tipo di macchinario?». Molinari conferma: «Come la P2 frequentava la pellicceria di Pavia “Annabella”, gestiva anche questa struttura, perché doveva utilizzarla, non (come ha ritenuto la magistratura) per compiere truffe alla Regione, ma per avere uno strumento, e avere in mano tutti i medici di San Martino e d’Italia che dovevano servirsi di esso quando avevano dei malati da curare».Non è tutto: «Quando capitava qualche politico o qualcuno che volevano disturbare o molestare, o che sapevano che stava poco bene, effettuavano anche una diagnosi falsa, dicendo che aveva un tumore. I malati poi, magari, si recavano in Inghilterra e scoprivano che il tumore non esisteva. Per cui questa Tac era una struttura della P2, non di Rosati; lo si sapeva, lo sapevano praticamente tutti. La P2 doveva impadronirsi della presidenza della facoltà di medicina; al riguardo c’è una mia relazione». Secondo le dichiarazioni di Molinari, riassume Franceschetti, la Loggia P2, nel 1978, grazie alla complicità di medici “fratelli”, usava le strumentazioni ospedaliere «per diagnosticare falsi tumori a persone “scomode”». Dopo, «eliminarli doveva essere facile, avvelenandoli con iniezioni che venivano fatte passare per cura. Geniale». Ma la cosa più strana, per Franceschetti, è stata la reazione della commissione a una dichiarazione così atroce: nessuna. «Se scaricate l’audizione completa, che è disponibile sul web, potrete notare come la dichiarazione di Molinari non abbia fatto sobbalzare nessuno, e come la commissione abbia preferito proseguire con altro discorso. O erano molto distratti, o non hanno capito la gravità di quanto veniva affermato, o, probabilmente, la cosa era già nota».Certo, questa tecnica richiede tempo: quindi, se il personaggio scomodo deve essere eliminato velocemente, si può sempre ricorrere ai metodi “tradizionali” elencati nell’encliclopedia di Muratori. E la mente, aggiunge Franceschetti, non può che tornare al generale dei carabinieri Giorgio Manes, morto per “arresto cardiaco” pochi minuti prima di deporre davanti alla commissione parlamentare d’inchiesta sullo scandalo del Sifar – Piano Solo. O ancora al colonnello Umberto Bonaventura, dirigente del Sismi (controspionaggio, terrorismo internazionale e criminalità organizzata transnazionale), «un personaggio-chiave nel caso del dossier Mitrokhin: per primo aveva materialmente ricevuto il dossier, quindi più di altri poteva attestarne l’autenticità». Bonaventura? Morto anche lui “per infarto” «pochi giorni prima della sua audizione davanti alla commissione parlamentare chiamata ad indagare sul dossier». Franceschetti ricorda anche il colonnello Stefano Giovannone, «iscritto ai Cavalieri di Malta». Capocentro del Sismi a Beirut dal 1972 al 1981, poi «arrestato nel corso dell’indagine per il traffico di armi tra Olp e Br», è deceduto “per morte naturale” mentre era agli arresti domiciliari.Nella lista delle morti teoricamente sospette, Franceschetti include anche quella dell’ingegner Giorgio Mazzini, capo dei vigili del fuoco di Torino, morto nel palazzo di giustizia «dove si era recato per incontrare i magistrati che si occupavano del rogo alla ThyssenKrupp». Certo, ammette Franceschetti, i sistemi di eliminazione qui riportati sono vecchi di decenni: «Oggi la scienza e la tecnica hanno fatto passi da gigante in tutti i sensi: anche in quelli, purtroppo, deputati ad uccidere un uomo senza lasciare traccia». Come regolarsi? Coltivare il sospetto è più che lecito, sostiene il giurista: «Quando le morti sono troppo tempestive, qualche domanda in più ce la si deve poter porre, senza per forza essere immediatamente tacciati per dietrologi». Quanto alla magistratura, «farebbe bene ad indagare un po’ più a fondo, senza archiviare troppo velocemente una morte solo perché sul referto autoptico c’è scritto: “cause naturali”». Magari si tratta di testimoni che potrebbero svelare retroscena imbarazzanti, per il potere. Per questo, scrive Muratori nella sua enciclopedia, non restano mai senza lavoro quei killer invisibili, così abili nell’arte di non lasciare tracce.Incidenti stradali, rapine finite male, pallottole vaganti. Oppure decessi archiviati sotto la voce “suicidio”. O ancora: infarti fulminei e complicazioni post-operatorie. Ovvero: “Come uccidere un uomo senza lasciare traccia”. Fino alla perversione più inimmaginabile: medici che uccidono su commissione, all’interno di “cliniche della morte”. Spesso, in questo modo, spariscono testimoni-chiave: poco prima di essere ascoltati dai Pm o prima dell’audizione a qualche commissione parlamentare d’inchiesta. «Il risultato di queste morti improvvise è sempre stata la mancata individuazione di mandanti e autori dei vari delitti o stragi», scrive Solange Manfredi. Non si tratta di fantasie: ne parla anche Paolo Muratori nella sua “Enciclopedia dello spionaggio”, pubblicata nel ‘93 dalle Edizioni Attualità del Parlamento (“Servizi segreti, spie, terroristi e dintorni”, prefazione di Flaminio Piccoli e postfazione di Alberto Fumi). «In alcuni casi i lettori sono sembrati un po’ scettici quando abbiamo avanzato dubbi su alcune morti, soprattutto quando il referto autoptico confermava magari l’infarto o il cancro», premette Manfredi sul sito di Paolo Franceschetti, avvocato per molti anni e docente di materie giuridiche. Già legale delle “Bestie di Satana” Franceschetti ha indagato su alcuni tra i più oscuri misteri italiani, dal Mostro di Firenze alla strage di Erba, dal giallo di Cogne a quello di Avetrana, passando per l’omicidio di Meredith Kercher, la ragazza inglese assassinata a Perugia, e quello di Yara Gambirasio. Delitti rituali?
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Missione compiuta, l’Italia muore: la catastrofe in cifre
Un paese in ginocchio, mutilato, raso al suolo dalla crisi inasprita dall’euro e dal regime di austerity imposto da Bruxelles per mantenere in vita la moneta unica. L’Italia sta letteralmente andando a pezzi: tutti se ne accorgono ogni giorno, mentre la disoccupazione dilaga, i consumi crollano, i negozi chiudono e le aziende licenziano. Ma il panorama si fa ancora più impressionante se si osservano, tutti insieme, i numeri della catastrofe. E’ quello che ha fatto il blog “Sollevazione”, pescando tutte le cifre ufficiali degli indicatori-chiave. Un bollettino di guerra, voce per voce. Produzione e ricchezza, industria e redditi, debito e risparmi. L’Italia in rosso, che sta precipando lontano dalla sua storia, senza neppure capire perché. Ognuno combatte, da solo, contro continui rovesci: non ci sono spiragli, non c’è alcuna “ripresa” nemmeno all’orizzonte. Ma nessuno racconta davvero l’assedio del panico, la paura sciorinata dai “crudi numeri”, che forse non fotograno «le dimensioni effettive del disastro economico e sociale che vive l’Italia», però «ci aiutano a comprenderlo».Secondo gli analisti di “Sollevazione”, la resa matematica dell’Italia rivelata dai conti – la lingua spietata del pallottoliere – permette anche di «capire come le politiche austeritarie per tenere in piedi l’euro, il sistema bancocratico e il capitalismo-casinò, abbiano affossato il nostro paese», il cui Pil ha perso 8,7 punti percentuali a partire dal 2007, inclusa la manipolazione dello spread che ha “armato” la gigantesca manomissione operata da Monti e Fornero, con la loro “spending review” e la riforma-suicidio delle pensioni. Un’agenda peraltro proseguita da Letta: tagliare la spesa, ben sapendo che il “risparmio” dello Stato manda in crisi il settore privato, facendo calare il gettito fiscale e quindi esplodere il debito pubblico. Matteo Renzi? Niente di nuovo: neoliberismo puro, a cominciare dal Jobs Act per precarizzare ulteriormente il lavoro. Aggravanti: la neutralizzazione delle ultime difese sociali garantite dalla Costituzione, come vuole l’élite finanziaria, e l’eliminazione fisica dell’opposizione attraverso una legge elettorale come l’Italicum, definita peggiore – per le sue restrizioni – di quella che permise a Mussolini di consolidare il neonato regime fascista.Tutto questo, mentre il paese soccombe ogni giorno: in sei anni, il Pil pro capite è calato di 9 punti (di 10, invece, il reddito reale disponibile per le famiglie). Stesse percentuali per la frana della ricchezza nazionale: -9% dal 2007 al 2013, pari a 843 miliardi di euro. C’era una volta l’Italia: nello stesso periodo, la produzione industriale è crollata addirittura del 25,5%. Sta andando in frantumi, grazie alla politica imposta da Berlino, il maggior competitore europeo della Germania. Tra il 2001 e in 2013, l’Italia ha perso 120.000 fabbriche. Sono cifre da scenario bellico, e non sono riguardano solo l’industria: ci sono anche le 75.000 imprese artigiane costrette a chiudere. Anno record per il fallimenti, l’infame 2013 delle “larghe intese”: qualcosa come 111.000 fallimenti, in appena dodici mesi. Contraccolpo catastrofico, la disoccupazione: dal 2001, con l’ingresso nell’Eurozona, l’industria italiana ha perso un milione e 160.000 posti di lavoro. Colpa anche dell’assenza di credito: nonostante ricevano denaro dalla Bce a tassi «prossimi allo zero», le banche continuano a finanziare le imprese con prestiti al 4,49%, mentre negli altri paesi dell’Eurozona l’interesse medio è al 3,8%.Anche così il lavoro si estingue alla velocità della luce. Dal 2007, la piaga della disoccupazione è più che raddoppiata: dal 6,1% al 12,7 attuale. «I disoccupati ufficiali sono 3 milioni e 300.000», rileva “Sollevazione”, ai quali vanno però aggiunti «altri 3 milioni di persone», che ormai non si rivolgono neppure più ai centri per l’impiego: i cosiddetti “sfiduciati” fanno salire a quasi 6 milioni e mezzo il totale dei disoccupati italiani, proprio mentre la Germania del super-export vede salire ai massimi storici la quota degli occupati. C’è anche il trucco, naturalmente: un tedesco su quattro accetta i mini-job da 450 euro al mese. E’ la strada aperta in Italia dal Jobs Act di Renzi, di fronte a una platea oceanica di giovani senza lavoro: il 43%, più del doppio dei ragazzi disoccupati nel 2007. Sta male, comunque, la stragrande maggioranza dei salari italiani: «Con uno stipendio netto di 21.374 dollari l’anno, l’Italia si colloca al 23esimo posto nella classifica Ocse: se la passano peggio solo i portoghesi e gli abitanti dei paesi dell’Europa orientale». A valanga, la mancanza di impiego si traduce in forte calo dei consumi familiari, tagliati di quasi il 10% solo negli ultimi due anni. A farne le spese è anche il risparmio, continuamente eroso per far fronte all’emergenza economica, mentre la super-tassazione disposta dall’Ue ha raggiunto per l’Italia il 44% del Pil.«Se si considera il periodo tra il 2011 e il 2012 – precisa “Sollevazione” – soltanto l’Ungheria, in Unione Europea, ha conosciuto un aumento delle tasse rispetto al Pil superiore a quello dell’Italia». E’ un circolo vizioso: imporre più tasse a chi già le paga, per tentare (inutilmente) di arginare il calo delle entrate, comunque – già oggi – superiori alla somma delle uscite: situazione che sarà ulteriormente aggravata dal Fiscal Compact e cronicizzata dall’inserimento del pareggio di bilancio nella Costituzione. In pratica, la fine dello Stato sociale e delle garanzie sui servizi vitali – scuola e sanità in primis, peraltro minacciate di privatizzazione forzata dal Ttip e dal Tisa, i trattati segreti euro-atlantici imposti dagli Usa, che Renzi preme per approvare in fretta. Cartina di tornasole di questa autentica catastrofe, il debito pubblico: era pari al 103,3% del Pil nel 2007, ma ha raggiunto il 132,9% nel 2013. «L’ultimo rilevamento di Bankitalia ci dice che il debito pubblico ha toccato a maggio 2014 un nuovo record storico: quota 2.166,3 miliardi, con un aumento di 20 miliardi sul mese precedente».Va in rosso il conto delle famiglie, nel paese che prima dell’avvento dell’euro era il più risparmiatore d’Europa: rispetto al Pil, dal 1998 al 2012 il debito privato delle imprese è passato dall’85 al 120%, quello delle banche dal 40 al 110%, quello delle famiglie dal 30 al 50%. Paradossalmente, osserva “Sollevazione”, «in questo periodo quello che è cresciuto meno è stato proprio il debito pubblico», mentre il debito aggregato – pubblico e privato – è letteralmente esploso, dal 275% ad oltre il 400%. Spaventose pure le sofferenze bancarie, cresciute di 100 miliardi dal 2007 al 2013, per un totale di 147,3 miliardi di euro. Ed ecco l’ultimo gradino della tragedia: la povertà. Un fantasma che mette paura: l’esercito dei nuovi poveri e il timore che crescano furti e rapine ha aumentato del 5,7% i denari lasciati in custodia alle banche, oltre 1,2 miliardi di euro. Secondo Eurostat, gli «individui a rischio povertà o esclusione sociale» nel 2008 erano in Italia il 25,3%, e sono diventati il 29,9% nel 2012. L’ Istat è ancora più preciso: «Un italiano su dieci è in povertà assoluta».Tra il 2012 e il 2013, spiega l’istituto di statistica, l’incidenza della povertà assoluta è aumentata dal 6,8 al 7,9%, coinvolgendo oltre 300.000 famiglie e 1 milione 206.000 persone in più rispetto all’anno precedente. «E’ povera, o quasi povera, una famiglia su cinque». Poi c’è la “povertà relativa”, quelle delle famiglie (sono quasi 3 milioni e mezzo) il cui portafoglio mensile è inferiore alla spesa media nazionale, 972 euro al mese. Sono famiglie che cercano di sopravvivere con meno di 800 euro al mese, che si riducono a meno di 750 nel Mezzogiorno, dove più evidenti sono le diseguaglianze che la “crisi” ha fatto esplodere. Nel 1992, l’Italia era un paese relativamente equilibrato: non c’era un abisso tra ricchi e poveri e la classe media era in ottima salute. Oggi, praticamente, è in via di estinzione e teme di sprofondare giorno per giorno verso la povertà. Nel 2013, l’Italia è risultato «il paese più diseguale dell’Unione Europea, dopo la Gran Bretagna». Solo che il Regno Unito non è ingabbiato dall’euro. Infatti, a Londra, economia e occupazione stanno decisamente meglio rispetto alla media dell’atroce Eurozona, di cui l’Italia – dopo la Grecia – è la vittima principale.Un paese in ginocchio, mutilato, raso al suolo dalla crisi inasprita dall’euro e dal regime di austerity imposto da Bruxelles per mantenere in vita la moneta unica. L’Italia sta letteralmente andando a pezzi: tutti se ne accorgono ogni giorno, mentre la disoccupazione dilaga, i consumi crollano, i negozi chiudono e le aziende licenziano. Ma il panorama si fa ancora più impressionante se si osservano, tutti insieme, i numeri della catastrofe. E’ quello che ha fatto il blog “Sollevazione”, pescando tutte le cifre ufficiali degli indicatori-chiave. Un bollettino di guerra, voce per voce. Produzione e ricchezza, industria e redditi, debito e risparmi. L’Italia in rosso, che sta precipando lontano dalla sua storia, senza neppure capire perché. Ognuno combatte, da solo, contro continui rovesci: non ci sono spiragli, non c’è alcuna “ripresa” nemmeno all’orizzonte. Ma nessuno racconta davvero l’assedio del panico, la paura sciorinata dai “crudi numeri”, che forse non fotografano «le dimensioni effettive del disastro economico e sociale che vive l’Italia», però «ci aiutano a comprenderlo».