Archivio del Tag ‘marò’
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Carpeoro: ma siamo sicuri di sapere cosa sta succedendo?
«Entro il 2020 diventerà di prassi indossare in pubblico mascherine chirurgiche e guanti di gomma, a causa di un’epidemia di grave malattia simile alla polmonite, che attaccherà sia i polmoni sia i canali bronchiali e che sarà refrattaria ad ogni tipo di cura». Lo scriveva nel 2004 Sylvia Browne nel libro “Profezie”, sottotitolo “Cosa ci riserva il futuro”, edito in Italia nel 2006 da Mondadori. «Tale patologia – vaticinava l’autrice, statunitense – sarà particolarmente sconcertante perché, dopo aver provocato un inverno di panico assoluto, sembrerà scomparire completamente per altri dieci anni, rendendo ancora più difficile scoprire la sua causa e la sua cura». Sembra proprio lui, il coronavirus, annunciato con 16 anni di anticipo. «Righe che inducono alla riflessione», ammette Gianfranco Carpeoro: «Mi piacerebbe leggere tutto il libro, vedrò di ordinarlo». La Browne, considerata una “sensitiva”, ha scritto decine di volumi sulle sue doti “medianiche” che si sarebbero palesate fin da quando era bambina. Morta nel 2013 in California, aveva partecipato come consulente per polizia e Fbi ad oltre 100 casi di sparizioni e omicidi. Un vero mistero, secondo Carpeoro, avvolge invece l’emergenza attuale: siamo sicuri di sapere cosa sta succedendo, davvero, in Italia e nel mondo?«Siamo in una situazione in cui tutto può succedere: se avessimo politici capaci saprebbero reagire, e questa situazione la trasformerebbero in opportunità». E’ una tesi già anticipata da Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt: proprio l’emergenza è un’occasione d’oro per stracciare le regole truccate dell’austerity europea e rivendicare l’accesso ai fondi che consentirebbero all’Italia di invertire la rotta, con investimenti capaci di produrre occupazione e archiviare la crisi neoliberista. Si profila invece un disastro economico? «Dipende da come reagiamo noi: nel dopoguerra siamo stati capaci di ricostruire un paese in macerie, facendo addirittura il boom economico», afferma Carpeoro, a sua volta “rooseveltiano”, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Avvocato per trent’anni (vero nome, Pecoraro) nonché giornalista, romanziere e saggista, Carpeoro non è affatto ottimista sul sistema-Italia: «Temo che il governo firmerà la revisione del Mes», annunciata come una catastrofe finanziaria: c’è il rischio concreto che il nuovo organismo europeo imponga in cambio una “ristrutturazione” del debito, con meccanismi draconiani (una patrimoniale, o il prelievo forzoso dai conti correnti italiani).Siamo a questo? «C’è poco da illudersi: ci caliamo le brache con tutti», protesta Carpeoro, ricordando – a titolo di esempio – il caso Regeni e quello dei due marò accusati di aver ucciso un pescatore al largo delle coste indiane. «L’Egitto ci ha ammazzato un italiano e non abbiamo fatto niente. L’India cattura due concittadini innocenti, per una cosa che non hanno fatto, e noi non facciamo niente». Poi non lamentiamoci, aggiunge Carpeoro, se nessuno rispetta l’Italia e tutti ci calpestano. «Ma di che stiamo parlando? Vallo a fare agli americani, e vedi cosa ti succede. Allora vuol dire che hanno ragione loro, a comportarsi così». Vistosa, in questi giorni, la polemica verso gli Usa, sospettati di aver “infettato” la Cina con il coronavirus, finendo col danneggiare anche l’Italia. Carpeoro è scettico: «Di solito, la sovragestione è abile nello sfruttare le crisi, senza il bisogno di crearle direttamente». Il problema, comunque, è la non-reazione delle vittime. «Parliamo di cose serie, accertate: Trump ha colpito l’Italia in modo inaudito, con i dazi. E noi non abbiamo fatto niente: subiamo, senza fiatare».Cosa avremmo potuto fare? «Uscire dalla Nato, per esempio: avete presente cosa significano, per gli americani, quei 30 miliardi che versiamo loro ogni anno? Invece ci limitiamo a obbedire, come se agli americani non fosse possibile dire di no». E di questo, aggiunge Carpeoro, dobbiamo dire grazie ai politici di oggi. «Quelli di ieri, i Craxi che a Sigonella seppero farsi rispettare, li abbiamo mandati in esilio ad Hammamet». Ma da che parte può essere “scappato”, il coronavirus? Carpeoro allarga le braccia: «Si fanno tante ipotesi, ma la verità è che non lo sappiamo». La prima, vera calamità è proprio la disinformazione: silenzi, omissioni, zero trasparenza. «Immagino ci siano retroscena, ma non li conosciamo. E personalmente – aggiunge Carpeoro – non mi fido di quello che ci viene raccontato: non abbiamo modo di verificare praticamente niente, sulla reale entità della situazione che ci sta investendo».Stupisce, infatti, la gravità delle misure intraprese, dalla chiusura delle scuole al totale isolamento di intere regioni. In pratica: 12 milioni di italiani, letteralmente in quarantena. «Le cifre finora diffuse, quanto a contagiati e deceduti – insiste Carpeoro – non giustificano un allarme così grande. Nemmeno in occasione di epidemie ben più gravi, inclusa la Spagnola, si era fatto ricorso a provvedimenti così restrittivi». Colpa del governo, fatto da dilettanti allo sbaraglio? Non è detto: secondo Carpeoro, la realtà potrebbe essere persino peggiore. «Domanda: c’è forse qualcosa che ci nascondono, riguardo alla reale gravità della situazione?». Uno sguardo al resto dell’Europa (e del mondo) non è certo rassicurante: «Francia e Germania sono nella nostra stessa situazione, ma hanno palesemente taroccato i dati sui decessi per non suscitare allarme e non subire contraccolpi economici. E se l’hanno fatto francesi e tedeschi, figurarsi i coreani». Noi, in compenso, siamo riusciti a brillare una volta di più: «Vent’anni di tagli alla sanità ci hanno messo in croce, di fronte all’emergenza». Quanto a Conte e colleghi, complimenti vivissimi per la fuga di notizie sull’isolamento delle zone rosse, da cui migliaia di persone sono fuggite in massa prima che le strade venissero chiuse dai posti di blocco: «Se voleva frenare il contagio, Conte ha ottenuto il risultato opposto: diffonderlo ulteriormente, dalla Lombardia alle altre regioni».«Entro il 2020 diventerà di prassi indossare in pubblico mascherine chirurgiche e guanti di gomma, a causa di un’epidemia di grave malattia simile alla polmonite, che attaccherà sia i polmoni sia i canali bronchiali e che sarà refrattaria ad ogni tipo di cura». Lo scriveva nel 2004 Sylvia Browne nel libro “Profezie”, sottotitolo “Cosa ci riserva il futuro”, edito in Italia nel 2006 da Mondadori. «Tale patologia – vaticinava l’autrice, statunitense – sarà particolarmente sconcertante perché, dopo aver provocato un inverno di panico assoluto, sembrerà scomparire completamente per altri dieci anni, rendendo ancora più difficile scoprire la sua causa e la sua cura». Sembra proprio lui, il coronavirus, annunciato con 16 anni di anticipo. «Righe che inducono alla riflessione», ammette Gianfranco Carpeoro: «Mi piacerebbe leggere tutto il libro, vedrò di ordinarlo». La Browne, considerata una “sensitiva”, ha scritto decine di volumi sulle sue doti “medianiche” che si sarebbero palesate fin da quando era bambina. Morta nel 2013 in California, aveva partecipato come consulente per polizia e Fbi ad oltre 100 casi di sparizioni e omicidi. Un vero mistero, secondo Carpeoro, avvolge invece l’emergenza attuale: siamo sicuri di sapere cosa sta succedendo, davvero, in Italia e nel mondo?
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Giannini: il reddito di cittadinanza può far gola alla mafia
Premetto per motivi di opportunità che sono consapevole che questo pezzo andrà ad interessare la sensibilità di molte persone, tuttavia è compito di ogni serio articolista non avere timore di esporre le proprie perplessità sugli aspetti carenti di una proposta. Sarò al solito diretto come lo sono stato in passato con la retorica di FdI sui “Marò”, sulla posizione della Lega sulle “Quote Latte”, sulla “Buona Scuola” di Renzi, e sulla distruzione del Pil operata da Mario Monti. Spero per una volta che i grillini prendano esempio dagli elettori di queste forze politiche riguardo l’opportunità di non polemizzare in modo scomposto su un tema di questo tipo, evitando le solite strategie di aggressione personale (insulti, derisione, insinuazioni, ecc) per il mio passato da pentastellato. Se trattasi di passione politica non esiste accanimento, altrimenti è indice di impegno non disinteressato e bramosia di posto pubblico. Lo stesso Di Maio finirebbe per esser percepito come lo specchietto per le allodole che maschera una indole poco equilibrata di tutto un movimento. Nunzia Catalfo è senatrice del Movimento ed il Ddl del 2013 (cui contribuii) porta il suo nome: è siciliana ed è persona equilibrata ed onesta.Di Maio il candidato premier, Ruocco, Sibilia e Fico sono stati 4 dei 5 membri del vecchio direttorio e sono tutti campani. Mi chiedo come possa essere stato possibile che da questi rappresentanti non siano state previste delle “clausole di salvaguardia” per l’erogazione del RdC nelle aree del paese a forte infiltrazione mafiosa; mi domando se questa gravissima lacuna sia stata frutto di incompetenza o di distrazione (a causa della campagna elettorale). Non critico l’opportunità di un Reddito Minimo Garantito Workfare quale è il RdC (di cui sono promotore dal 2011) ma parte dei 29 miliardi del RdC non possono diventare un business per la criminalità organizzata. Potevano essere previsti diversi tipi di contrappeso: la possibilità per il prefetto di sospendere l’erogazione a tempo indeterminato nelle aree infiltrate; un tetto massimo di prelievo giornaliero e settimanale; l’utilizzo di una carta di credito apposita con cui si possano spendere i 780 euro ma non ritirare banconote. Comprendo che quando tocchiamo grossi interessi della malavita ci si espone a un pericolo ma ho nel cuore le parole della vedova Caponnetto: «Hai i 5 valori di mio marito, non ti far cambiare e mantieni il tuo coraggio»; non esiste una equazione Sud = malavita, ma in molti Comuni del meridione esiste una mentalità “anti Stato” in cui la malavita è vista come lo Stato (io ho vissuto alcuni periodi della mia vita in province campane pur essendo da sempre residente in Toscana).Lo “Stato Camorra” è percepito come la “comunità locale”, come colei che “provvede”, in antitesi ad uno Stato italiano “canaglia”, descritto come invasore, oppressore, responsabile della “depressione” delle aree del Sud. «E’ Stato la Mafia», direbbe Travaglio. Da questa forma di Stato-AntiStato parallelo vengono “forniti” lavori saltuari, a volte derrate alimentari sotto traccia, sostegno economico e “protezione”. Ad essere tagliaggiate sono le imprese; non dubito che sarà così anche per gli aventi diritto al reddito: saranno avvicinate persone che altrimenti sarebbero fuori dal raggio di azione concreto dei gangli mafiosi. La mafia esiste e, in quanto tale, impone ai cittadini la propria sopravvivenza, motivandola come la sopravvivenza di tutti: chiaramente è falso, chiaramente ancora oggi vive di rancori storici verso lo Stato unitario italiano. Esiste una zona grigia sociale da cui nessuno è immune: può accadere a chiunque, perfino durante un singolo pomeriggio, di essere malavitoso per un quarto d’ora per poi tornare a non esserlo: ad esempio fingendo di non sapere con chi si sta prendendo un caffè (obtorto collo) perché magari presente nel gruppo di un amico, ecc. Le persone in queste realtà si conoscono tutte, ed è certo come lo sono “il giorno e la notte” che in questi contesti la frase sarebbe del tipo: «Sei disoccupato? Quanto ti dà lo Stato? 780 euro? Sai che noi siamo lo Stato. Noi dobbiamo proteggere tutti, proteggiamo anche te, tua moglie, ecc. Devi dare una mano anche tu alla Comunità perché noi siamo la tua famiglia, non lo Stato».Possiamo speculare, ipotizzare possano essere 100 euro, 50, 200 euro al mese, ma la mia sensazione è che ciò puntualmente accadrà. Chi si fa promotore della proposta del Reddito di Cittadinanza è il M5S, che nelle regioni del Sud non viene votato granché quando si tengono elezioni locali (dal comunale, al regionale fino al voto europeo) mentre in vista del Reddito di Cittadinanza alle elezioni nazionali (da quello che scrivono su Facebook e dai sondaggi) pare fare il pieno. Temo che solo in parte ciò sia dovuto all’elevato tasso di disoccupazione presente al Sud; credo che la mafia stia favorendo un consenso in questa direzione agendo nella società e che sempre la malavita stia pregustando l’erogazione del Reddito di Cittadinanza. Senza voler creare allarmismo potrebbe accadere, addirittura, che le Regioni che contribuiscono in modo massiccio alle entrate dello Stato, se emergessero i primi scandali, chiederanno a gran voce l’autonomia, mettendo in discussione l’integrità territoriale italiana prevista dalla Costituzione e lasciando il Sud in mano proprio alla peggior forma di Parastato, proprio ai carnefici di Falcone e Borsellino sulla cui fine ancora oggi dubito sia stata fatta pienamente luce.(Marco Giannini, riflessione su “Il potenziale legame tra Reddito di Cittadinanza e Mafie”, pubblicato sa “Libreidee” il 3 marzo 2018. Già attivista del Movimento 5 Stelle, Giannini è autore del saggio “Il neoliberismo che sterminò la mia generazione”, sottotitolo “Corso di sopravvivenza per chi non sa niente di economia”, edito da Andromeda nel 2015, presentato anche alla Camera. Nel gennaio 2017 Giannini si è distanziato dal movimento fondato da Grillo dopo la tentata adesione del M5S al gruppo ultra-europeista dell’Alde in seno al Parlamento Europeo).Premetto per motivi di opportunità che sono consapevole che questo pezzo andrà ad interessare la sensibilità di molte persone, tuttavia è compito di ogni serio articolista non avere timore di esporre le proprie perplessità sugli aspetti carenti di una proposta. Sarò al solito diretto come lo sono stato in passato con la retorica di FdI sui “Marò”, sulla posizione della Lega sulle “Quote Latte”, sulla “Buona Scuola” di Renzi, e sulla distruzione del Pil operata da Mario Monti. Spero per una volta che i grillini prendano esempio dagli elettori di queste forze politiche riguardo l’opportunità di non polemizzare in modo scomposto su un tema di questo tipo, evitando le solite strategie di aggressione personale (insulti, derisione, insinuazioni, ecc) per il mio passato da pentastellato. Se trattasi di passione politica non esiste accanimento, altrimenti è indice di impegno non disinteressato e bramosia di posto pubblico. Lo stesso Di Maio finirebbe per esser percepito come lo specchietto per le allodole che maschera una indole poco equilibrata di tutto un movimento. Nunzia Catalfo è senatrice del Movimento ed il Ddl del 2013 (cui contribuii) porta il suo nome: è siciliana ed è persona equilibrata ed onesta.
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Camon: marò, restano quei 2 morti. Pescatori, non pirati
Con la stima che tutti dobbiamo avere verso le nostre Forze Armate, con l’affetto che dobbiamo mostrare verso i nostri soldati in missione, con tutta la comprensione verso lo spinoso caso dell’incidente tra i nostri marò e i pescatori indiani uccisi al largo sulla loro barca, mi permetto di dire che è incauto che politici e autorità istituzionali tributino onori ai due fucilieri rientrati in patria. Ribadisco così una posizione che è sempre stata di questo giornale, sin dall’inizio del ‘caso marò’ e del contenzioso tra New Delhi e Roma. Noi gente comune, noi lettori di giornali, noi popolo, siamo stati a lungo sviati (non dico ingannati, ma tenuti all’oscuro) nella comprensione del punto centrale di questo intricato e doloroso incidente internazionale. Il punto centrale non è quale dei due Stati, India o Italia, abbia il diritto di celebrare il processo. Non è quale organismo super-nazionale possa stabilire dove debbano risiedere nel frattempo gli imputati. Il punto centrale è un altro: questi nostri soldati, in missione, lontano dalla patria, hanno ucciso? Era inevitabile? E perché?Loro dicono che hanno sparato in mare, sull’acqua, non ad altezza d’uomo, in direzione di una barca che gli veniva addosso con intenzioni ostili, con uomini a bordo che alzavano armi dalla canna lunga: hanno uno straccio di prova? Hanno scattato una foto di quella barca? Degli uomini armati? No? E perché no? Queste domande ce le poniamo perché le autorità indiane hanno eseguito perizie balistiche sulle mitragliette Minimi dei marò, e hanno stabilito che sono state proprio quelle a sparare i proiettili rimasti poi nel corpo delle vittime e nel legno della barca. La maggior parte di noi italiani non ha più la cultura per capire come ogni fucile “firma” i colpi che spara, in modo tale che poi, se recuperi un proiettile, puoi risalire alla singola arma che l’ha sparato. Le armi da guerra (a differenza delle armi da caccia) hanno la canna rigata all’interno. La rigatura serve a far ruotare il proiettile su se stesso. Solo così, ruotando, il proiettile perfora l’aria in linea retta. Come un trapano. Altrimenti subisce spostamenti, come una freccia o un sasso. E non va più sul bersaglio.Ogni singolo fucile ha un suo modo di rigare le pallottole che spara, diverso da tutti gli altri fucili, anche dello stesso lotto di fabbricazione. Una della perizie balistiche effettuate in India ha indicato che a sparare furono le mitragliette di due marò. Non quelle dei due arrestati, ma è possibile che nella concitazione della sparatoria chi va sulla rastrelliera ad afferrare le armi prenda le prime che trova. Particolare importantissimo: alla perizia erano presenti i tecnici dei nostri carabinieri. Non hanno pubblicato alcuna contestazione. I marò dicono di aver sparato in mare, in acqua, colpi di avvertimento. Ma i pescatori risultano colpiti al petto. Com’è possibile una tale deviazione della traiettoria? Inoltre: la mastodontica petroliera su cui erano imbarcati i marò era molto più veloce del barchino indiano, poteva raggiungere i 20 nodi, mentre il barchino arrivava a 10 al massimo. Allora la grande nave non poteva allontanarsi e sparire senza far fuoco?Queste domande dovrebbero già avere avuto risposta, e l’avrebbero avuta, se da parte indiana ci fosse stata la cura che il caso merita e si fosse andati al processo. Il continuo rinvio, perfino dell’imputazione (che non è stata ancora formulata), è uno sfregio a tutte le vittime, che a questo punto sono sia i pescatori morti che i marò prigionieri. Perché se l’impostazione indiana reggesse, come l’abbiamo esposta, allora si dovrebbe appurare se il fuoco aperto dalla nave fosse un atto d’avvertimento che doveva finire in mare, e invece erroneamente e tragicamente è finito sulla barca. Questo è il punto. Da qui potrebbe venir fuori che i nostri marinai non volevano uccidere e non sono colpevoli. Ma questo non basta a farne degli eroi. E non cambia il destino dei pescatori indiani, che in definitiva sono morti perché erano poveri. Poveri pescatori, non pirati.(Ferdinando Camon, “Marò: non c’è alcun eroismo, ci sono due morti”, da “Avvenire” del 1° giugno 2016, ripreso da “Micromega”).Con la stima che tutti dobbiamo avere verso le nostre Forze Armate, con l’affetto che dobbiamo mostrare verso i nostri soldati in missione, con tutta la comprensione verso lo spinoso caso dell’incidente tra i nostri marò e i pescatori indiani uccisi al largo sulla loro barca, mi permetto di dire che è incauto che politici e autorità istituzionali tributino onori ai due fucilieri rientrati in patria. Ribadisco così una posizione che è sempre stata di questo giornale, sin dall’inizio del ‘caso marò’ e del contenzioso tra New Delhi e Roma. Noi gente comune, noi lettori di giornali, noi popolo, siamo stati a lungo sviati (non dico ingannati, ma tenuti all’oscuro) nella comprensione del punto centrale di questo intricato e doloroso incidente internazionale. Il punto centrale non è quale dei due Stati, India o Italia, abbia il diritto di celebrare il processo. Non è quale organismo super-nazionale possa stabilire dove debbano risiedere nel frattempo gli imputati. Il punto centrale è un altro: questi nostri soldati, in missione, lontano dalla patria, hanno ucciso? Era inevitabile? E perché?
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L’Italia che difende i marò non aprì bocca dopo il Cermis
Appena sette anni per omicidio, da scontare peraltro non in carcere, ma in ambasciata. Chi si indigna per la sorte dei due marò farebbe meglio a riesaminare i fatti: spararono in acque di pertinenza indiana, e senza che la loro nave fosse stata colpita. Soprattutto: mentre l’India s’è comportata da paese sovrano, facendo valere le sue leggi, come si comportò l’Italia quando, nel 1998, i piloti Usa tagliarono “per gioco” i cavi della funivia del Cermis, sulle Dolomiti, provocando la morte di 20 turisti? Nessuno mosse un dito, i piloti dei “Prowler” non fecero neppure un giorno di cella. E ora l’inesistente patriottismo italico riemerge per il caso di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due fucilieri lasciati soli a decidere il da farsi, in quei drammatici istanti? E’ quanto afferma Carlo Bertani nella sua lettera agli “amici di Casa Pound”, sulla speculazione in corso dopo l’incidente – speculazione politica di grana grossa, che non rispetta né l’India, né l’Italia, né le vittime, né i due militari coinvolti. «Credetemi – scrive Bertani – questa è solo una triste storia, la vicenda di uno sbaglio (o di troppo nervosismo, “grilletto facile”) che è costata la vita a due pescatori indiani».Basta osservare le foto del Saint Antony, il battello da pesca colpito dai fucilieri: «Accettereste un passaggio – anche gratis! – su una simile bagnarola?». Nei luoghi “classici” della pirateria, come lo Stretto di Malacca, le imbarcazioni usate dai pirati sono potenti e veloci, si dispongono in tandem a prua della preda, tendendo una cima fra le due imbarcazioni pirata: così è la prua stessa della vittima, incocciando nella cima, a tirarsele sottobordo. Non è il caso del Saint Antony, che nel frattempo è affondato («Non c’è da meravigliarsi!»). Il peschereccio, continua Bertani, poteva raggiungere al massimo gli 8-9 nodi, contro i 12 della Enrica Lexie. «Le due imbarcazioni procedevano quasi su rotta di collisione», prua contro prua. «Una delle vittime – il timoniere – fu trovato morto “appeso” al timone: s’ipotizzò addirittura che dormisse, all’atto dei luttuosi eventi». Domanda: perché il comandante del mercantile, Umberto Vitelli, se era in dubbio riguardo alle intenzioni del peschereccio, non ha fatto bloccare il timone e aumentare la velocità? E perché non ha richiamato il personale dalla plancia? E’ è tutta a vetri, e se si spara si può essere colpiti.«Qualora il peschereccio avesse messo il “turbo” (cosa risultata a posteriori impossibile, perché era solo una vecchia carretta da pesca), a quel punto si poteva prendere in esame la risposta armata», scrive Bertani. «Quando ho parlato di “grilletto facile” non ho blaterato a vanvera». I due morti sul Saint Antony furono colpiti da munizionamento Nato (presenti i carabinieri italiani all’autopsia). E la barca «era ridotta a un colabrodo, mentre nessun colpo aveva raggiunto la Enrica Lexie, anche perché gli indiani erano disarmati». Dove avvenne lo scontro? Secondo la perizia del “collegio capitani”, a circa 20,5 miglia nautiche dalla costa, all’esterno delle acque territoriali ma all’interno della “zona contigua”, che l’India ha ratificato con la convenzione di Montago Bay, che recita: «La zona contigua si estende dal mare territoriale non oltre le 24 miglia nautiche dalla linea di base. In quest’area lo Stato costiero può sia punire le violazioni commesse all’interno del proprio territorio o mare territoriale, sia prevenire le violazioni alle proprie leggi o regolamenti in materia doganale, fiscale, sanitaria e di immigrazione». L’India, conclude Bertani, aveva dunque pieno diritto di effettuare l’arresto.«Si è fatto molto chiasso su questa vicenda, cercando d’aggrovigliare le miglia marine come fossero capelli – aggiunge Bertani – ma ci si dimentica che gli israeliani assalirono la Mavi Marmara (mercantile della Freedom Flotilla) a 40 miglia dalle loro coste, in piene acque internazionali, e nessuno mosse un baffo. Quello fu, a tutti gli effetti, un vero atto di pirateria». La vicenda dei marò è intricatissima, perché in India vige la pena di morte: più volte, però, magistrati e politici indiani hanno precisato che “per quel tipo di reato non è prevista la pena di morte”. Le autorità indiane, inoltre, hanno spiegato che ai militari italiani potranno infliggere ogni sentenza «eccetto la pena di morte, l’ergastolo e l’imprigionamento per un periodo eccedente 7 anni». Insomma, il massimo (per due omicidi, secondo gli indiani) sono 7 anni di reclusione: quasi come in Italia. «C’è da dire – continua Bertani – che la pazienza indiana è stata più volte messa a dura prova dalle intemperanze dell’allora presidente Napolitano – che ricevette i due marines come se fossero stati due eroi – e dalle “scommesse” dell’allora ministro degli esteri Terzi, il quale dichiarò che i due militari non sarebbero più tornati in India, dopo uno dei molti “permessi” che l’India concesse, senza esser tenuta a farlo».Tutt’altra storia quella del Cermis, la catastrofe innescata dai “Prowler” dei marines, impegnati in manovre spericolate per “passare sotto i cavi della funivia”. La faccenda fu spiegata con le confessioni dell’equipaggio e di altri membri dello staff americano e italiano: era stata una scommessa. L’aereo, già in fase di cabrata, “tagliò” la cima d’acciaio della funivia come la lama di un coltello. «Eppure, in quella vicenda, non ci fu un solo giorno di prigione per i militari americani, che si appellarono alla famosa convenzione che regola le missioni Usa all’estero: giudicati in patria, dove diedero loro un buffetto». Tutto il personale tornò a volare in breve tempo, appena le acque si furono chetate. «Chi chiede il giudizio in Italia per i due marò, dimentica un piccolo particolare: l’India non è un paese Nato! Quella sentenza, quel modo di trattare degli statunitensi, ci sta bene? Ne siamo soddisfatti?». A ben vedere, continua Bertani, «l’India non ha fatto altro che chiedere un’equanimità di giudizio (pur in presenza di sistemi giuridici diversi), comprendendo che fu un tragico incidente dovuto alla paura e alla carenza di comando e controllo del personale militare imbarcato: l’ufficiale più vicino alla Enrica Lexie era a Gibuti!».Piuttosto, insiste Bertani, «gli italiani dovrebbero indagare e punire chi lasciò soli nelle loro mortale decisione i due fucilieri: il sergente che comandava la squadra? Il comandante Vitelli? Un ufficiale distante tremila miglia marine?». Niente da dire: «Siamo dei veri specialisti nel creare procedure fumose, le quali finiscono per lasciare il cerino in mano all’ultima ruota del carro». E non si può pretendere che un simile pasticcio sia compreso e “perdonato” in India, «paese dal solido impianto giuridico, mutuato dal sistema britannico». In fondo, cos’ha fatto l’India? «Ha chiesto quello che dovevamo chiedere, noi italiani, all’indomani della tragedia del Cermis: si è comportata da paese sovrano. Siamo noi che ci comportiamo da paese subalterno agli Usa». Peraltro, resta completamente irrisolto il problema della pirateria, da quando i mercantili rifiutano di essere equipaggiati con armamento a disposizione del personale di bordo.Secondo Bertani, basterebbe dotare le navi di un cannoncino a tiro rapido, «che consentirebbe di avvertire il bersaglio con una raffica davanti alla prua, come si faceva un tempo». Armi precise, automatiche, facili da usare. Ma i marinai, i comandanti e gli armatori non ne vogliono sapere. Così, nei guai ci finiscono i marò, lasciati senza ordini e costretti a prendere decisioni, da soli, in pochi secondi. «L’unica cosa da non fare è trasformare un evento luttuoso, uno sbaglio, in una questione internazionale d’orgoglio patriottico, peraltro incomprensibile in simili frangenti», conclude Bertani. «Lasciamo che i due marò trascorrano la loro pena in ambasciata, in India (ciò che resterà da scontare dei 7 anni), e faremo una figura onorevole. Siamo ancora in tempo per rimediare, ricordando che l’India poteva comportarsi in ben altra maniera: altro che 7 anni!».Appena sette anni per omicidio, da scontare peraltro non in carcere, ma in ambasciata. Chi si indigna per la sorte dei due marò farebbe meglio a riesaminare i fatti: spararono in acque di pertinenza indiana, e senza che la loro nave fosse stata colpita. Soprattutto: mentre l’India s’è comportata da paese sovrano, facendo valere le sue leggi, come si comportò l’Italia quando, nel 1998, i piloti Usa tagliarono “per gioco” i cavi della funivia del Cermis, sulle Dolomiti, provocando la morte di 20 turisti? Nessuno mosse un dito, i piloti dei “Prowler” non fecero neppure un giorno di cella. E ora l’inesistente patriottismo italico riemerge per il caso di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due fucilieri lasciati soli a decidere il da farsi, in quei drammatici istanti? E’ quanto afferma Carlo Bertani nella sua lettera agli “amici di Casa Pound”, sulla speculazione in corso dopo l’incidente – speculazione politica di grana grossa, che non rispetta né l’India, né l’Italia, né le vittime, né i due militari coinvolti. «Credetemi – scrive Bertani – questa è solo una triste storia, la vicenda di uno sbaglio (o di troppo nervosismo, “grilletto facile”) che è costata la vita a due pescatori indiani».
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Kultura italiana in Italia, benvenuti nel chiasso del nulla
Kultura italiana in Italia = ultimo modello di smartphpone; ultimo modello di tablet; ultimo modello di app; ultimo modello di televisore; ultimo modello di auto; lavare l’auto col detersivo nel cortile di casa; squadra di calcio, comprensiva di allenatore, presidente e bilancio; Tg1; Tg5; la cronaca nera; Renzusconi; il Bunga Bunga; l’evasione fiscale; le escort; le veline; la moglie trofeo; la fidanzata trofeo; l’accompagnatrice trofeo; la segretaria trofeo; la presentatrice trofeo; le ministre trofeo; Maria De Filippi; Antonella Clerici; Carlo Conti; il film di Natale; il Papa santo; il presidente della Repubblica santo; tutti i santi metropolitani e regionali; la messa della domenica mattina; le bestemmie; il presidente del Consiglio cantastorie; Matteo Salvini; le brave persone che seguono Matteo Salvini; il famoso presentatore televisivo scrittore; il famoso politico scrittore; il famoso attore scrittore; il famoso calciatore scrittore; il famoso cuoco scrittore; il famoso giornalista scrittore; il famoso scrittore scrittore;Dolce & Gabbana; la parrucchiera; l’estetista; fare footing parlando al alta voce; i Tq; il festival di Sanremo; Sky; i giochi on-line; i telequiz; Luciano Ligabue; Laura Pausini; Andrea Bocelli; Giovanni Allevi; Fabio Volo; Il Volo; l’aperitivo; tutto ciò che è mangereccio, preferibilmente a base di salumi, vino bianco e fritti; Carlo Cracco; il nouveau ragu à l’italienne: col cioccolato, il cotechino fritto nell’Amaretto di Saronno, la marmellata fritta nello strutto, la salsiccia fritta nel miele, l’aglio fritto nel patchouli; la Confindustria; la Confcommercio; la Confagricoltura; l’Asppi; l’Uppi; l’Abi; la Confapi; gli affitti in nero; il lavoro nero; il commercio in nero; la Mafia; i tatuaggi; i telefilm americani; i film americani; gli attori americani; i cantanti americani; gli atleti americani; i poliziotti americani; i soldati americani; i serial killer americani; gli adolescenti americani; i wasp americani; i negri americani;i bambini canterini in televisione; i bambini in pubblicità; i bambini nei telefilm; i bambini nella fame nel mondo; i pianti in televisione; gli abbandoni in televisione; le confessioni in televisione; gli amori in televisione; i giuramenti in televisione; i contratti in televisione; gli insulti in televisione; gli insulti alle donne; gli insulti; i gesti osceni mentre si guida l’auto; la polizia; i carabinieri; i due marò; parcheggiare sulle strisce pedonali; parcheggiare sul marciapiede; parcheggiare sulla pista ciclabile; andare con la moto sulla pista ciclabile; andare con la moto nel parco pubblico; gli abusi edilizi; gli abusi finanziari; le discariche abusive di rifiuti; i condoni; le deroghe; l’emergenza; la crisi; la crescita; che cazzo menefregaammé; la Spending Review.Kultura italiana in Italia 2 = gli annunci patacca. E’ costume consolidato da parte dei centri di potere lanciare annunci forti, spettacolari, e reiterarli per un tempo sufficiente a farli entrare a forza nell’Archetipo dell’inconscio collettivo. In questo, il “Presidente del Consiglio” attuale è un maestro assoluto, e ha fatto scuola. Gli annunci vanno ripetuti, con scansioni variabili a seconda delle dinamiche (variabili) a cui si riferiscono. Se sono diretti, cioè recitati dal “ministro” di turno, o addirittura dal “Presidente del Consiglio” in persona, vanno accompagnati da una mimica al contempo rassicurante e autorevole, di chi non è sfiorato dal dubbio, e deve sottendere un agire positivo, “giovane”, energico, e soprattutto liberista, che è una delle grandi passioni della kultura italiana in Italia.Uno degli ultimi, e uno dei più patacca di tutti i pataccari, è stato quello secondo il quale le variazioni catastali conseguenti a interventi edilizi di unità immobiliari siano “tempestivamente inoltrate” direttamente dai comuni all’Agenzia del Territorio (cioè il Catasto), con la fine lavori della pratica edilizia. E’ uno degli articoli del cosiddetto Decreto Sblocca Italia (133/2014), sul quale il “governo” ha puntato molte carte mediatiche: “semplificazione”, lotta alla burocrazia, il fare, il non pagare ecc. Così, i Comuni sono stati inondati da tecnici e da cittadini che chiedevano l’applicazione di questa norma. L’avevano sentito e visto in Tv e in radio, santo cielo! Non si paga, ed è tutto più semplice! “Ci pensa il Comune”. E’ stata una bufala, una norma inapplicabile e inapplicata. A parte problemi molto seri di personale, che i Comuni scontano in seguito ai tagli delle risorse, tra i due enti non esiste un linguaggio informatico condivisibile: l’Agenzia del Territorio usa una piattaforma e una banca dati indisponibili ai comuni. E’ un linguaggio che va costruito, con un grande investimento di tempo e di denaro. Ma cosa interessa ai professionisti degli annunci?Nulla! L’importante è sostituire la realtà con l’annuncio, nutrire certi rancori della popolazione, reiterarlo fino a che è possibile, poi abbandonarlo e sostituirlo con un altro, altrettanto “forte”, enfatico, “giovane” e positivo. Funziona. Il cittadino si accorge che quello precedente si è rivelato una patacca, ma c’è già quello nuovo a riempire gli spazi, a stimolare aspettative. Così lo dimentica presto, mentre resta quel brivido liberista, come traccia, come “segno mondano”, come l’avrebbe definito Deleuze, il segno del vuoto, del nulla, dell’ingannevole, dell’effimero, il segno che passa e va, mentre quello nuovo si fa strada e genera altro vuoto, altri inganni. Così si tira avanti con questa straordinaria complicità tra ingannatori e ingannati, che si basa sul complesso e al tempo stesso primordiale sistema dei segni mondani, il codice non tanto segreto che costituisce il vero, solido e palpitante organo vitale della kultura italiana in Italia.(Mauro Baldrati, “Kultura italian in Italia”, da “Carmilla online” del 21 maggio 2015).Kultura italiana in Italia = ultimo modello di smartphpone; ultimo modello di tablet; ultimo modello di app; ultimo modello di televisore; ultimo modello di auto; lavare l’auto col detersivo nel cortile di casa; squadra di calcio, comprensiva di allenatore, presidente e bilancio; Tg1; Tg5; la cronaca nera; Renzusconi; il Bunga Bunga; l’evasione fiscale; le escort; le veline; la moglie trofeo; la fidanzata trofeo; l’accompagnatrice trofeo; la segretaria trofeo; la presentatrice trofeo; le ministre trofeo; Maria De Filippi; Antonella Clerici; Carlo Conti; il film di Natale; il Papa santo; il presidente della Repubblica santo; tutti i santi metropolitani e regionali; la messa della domenica mattina; le bestemmie; il presidente del Consiglio cantastorie; Matteo Salvini; le brave persone che seguono Matteo Salvini; il famoso presentatore televisivo scrittore; il famoso politico scrittore; il famoso attore scrittore; il famoso calciatore scrittore; il famoso cuoco scrittore; il famoso giornalista scrittore; il famoso scrittore scrittore;
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Giannuli: il mondo non tollera più i diktat dell’Occidente
La globalizzazione neoliberista ha spiccato il volo nei primi anni Novanta fra gioiosi inni alle sue sorti magnifiche e progressive, come attestavano i non dimenticati libri di Francis Fukuyama sulla fine della storia e di Toni Negri sull’Impero. Si prometteva la fine della nazioni e dello Stato-nazione, rottame del passato, di conseguenza dell’ordine westfalico sostituito da una governance mondiale fortemente integrata che avrebbe abolito il “fuori” e trasformato ogni crisi locale in un caso di “insorgenza” da curare con “interventi di polizia internazionale”. Si prometteva uno sviluppo mondiale, che avrebbe riscattato i paesi arretrati, ed il benessere generalizzato attraverso la “democratizzazione della finanza” assistita da nuovi strumenti matematici che avrebbero posto fine alle grandi crisi. Sarebbe sorto un mondo “piatto” e simmetrico.Ogni promessa colpiva un suo particolare target: il benessere generalizzato e lo sviluppo attraeva i paesi arretrati, la “democratizzazione della finanza” i precari delle società metropolitane, la promessa di una governance mondiale in grado di mediare i conflitti seduceva i fautori dell’internazionalismo. Poi le cose sono andate molto diversamente: la governance mondiale si è ridotta ad un concerto molto instabile fra vecchi imperi e potenze emergenti, i conflitti non sono affatto diminuiti e le operazioni di polizia internazionale non hanno dato i risultati voluti, vecchie asimmetrie si sono attenuate o scomparse, ma solo per essere sostituite da nuove. Soprattutto, il sogni di una finanza sempre espansiva e al sicuro da grandi crisi è stato impietosamente spazzato via da una crisi che è già la peggiore dopo quella del 1929 e non accenna a passare.Quello attuale è un mondo segnato da asimmetrie diverse e più aspre di quelle passate, con ragioni di conflitto più insidiose, profondamente instabile, nel quale si avverte chiaramente il rischio di uno sbocco caotico e ingovernabile. E ora siamo ad una crisi di rigetto della globalizzazione che ha assunto forme assai diverse e per questo non viene riconosciuta (o lo è molto a fatica) come fenomeno unitario. La sensazione è quella di un “nuovo disordine mondiale” che assomma fenomeni assai diversi fra loro: rivolte urbane e guerriglie rurali, crisi finanziarie e crisi dell’economia reale, instabilità politica e reazioni culturali. E proprio sulle reazioni culturali vorremmo soffermarci.Con grande sicumera, l’Occidente ha intrapreso la via della globalizzazione come processo di assimilazione a sé del resto del mondo. La “grande Europa” (quella che, oltre che all’Europa propriamente detta, comprende anche le Americhe e l’Oceania, continenti cristiani e dove si parlano lingue europee) ha pensato di poter parlare al mondo senza ascoltare, di poter insegnare la via della modernità e del progresso e che gli altri dovessero limitarsi a copiare il perfetto modello della “Grande Europa”. Ci sono stati due grandi monumenti intellettuali a questa insipienza eurocentrica: “La fine della storia e l’ultimo uomo” di Francis Fukuyama e “L’Impero” di Toni Negri. Già Samuel Huntington fu più accorto e comprese subito che, per gli altri, “modernizzazione” non faceva rima con “occidentalizzazione” e abbozzò una strategia che, pur sempre funzionale al dominio americano, aveva però il pregio di un maggiore realismo.Oggi siamo di fronte a una rivolta contro la globalizzazione neoliberista che assume forme diversissime fra loro ma che, alla base, esprime lo stesso rigetto nei confronti di questo progetto di appiattimento universale: le proteste nelle metropoli capitalistiche, o nelle loro immediate periferie, (da Ows ad Atene, dagli Indignados alla rivolta elettorale “populista” che si avvicina, dal malessere dei ceti medi alle rivolte degli immigrati) contestano l’ipercapitalismo finanziario che è il motore di questo progetto. Le rivolte arabe e il parallelo fenomeno fondamentalista descrivono una dialettica diversa ma comunque di resistenza all’invasività del modello occidentale. I massacri di cristiani segnalano l’odio verso quella religione, che è vista come propria dell’Occidente e della sua volontà di annientare le altre culture. La violenta campagna anti-gay in Russia, in Africa in alcuni paesi asiatici, proprio nel momento in cui in Occidente si parla di matrimoni gay, sembra una aperta rivolta contro un modello culturale che va molto al di là della specifica questione gay. L’evoluzione aggressiva della politica estera cinese manifesta una crescente insofferenza verso il predominio occidentale negli organismi internazionali. Persino nella singola vicenda dei marò italiani in India è difficile non scorgere un certo livore antieuropeo. La “grande Europa” (o meglio, l’asse euro-americano) non è più in grado di dettare legge al mondo, ma non lo ha ancora capito. Intanto monta una rivolta dai mille volti che presto potrebbe diventare una tempesta senza precedenti.(Aldo Giannuli, “Reazioni alla globalizzazione”, dal blog di Giannuli dell’8 maggio 2014).La globalizzazione neoliberista ha spiccato il volo nei primi anni Novanta fra gioiosi inni alle sue sorti magnifiche e progressive, come attestavano i non dimenticati libri di Francis Fukuyama sulla fine della storia e di Toni Negri sull’Impero. Si prometteva la fine della nazioni e dello Stato-nazione, rottame del passato, di conseguenza dell’ordine westfalico sostituito da una governance mondiale fortemente integrata che avrebbe abolito il “fuori” e trasformato ogni crisi locale in un caso di “insorgenza” da curare con “interventi di polizia internazionale”. Si prometteva uno sviluppo mondiale, che avrebbe riscattato i paesi arretrati, ed il benessere generalizzato attraverso la “democratizzazione della finanza” assistita da nuovi strumenti matematici che avrebbero posto fine alle grandi crisi. Sarebbe sorto un mondo “piatto” e simmetrico.
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Caro Michele Serra, non sono i No-Tav i ladri del 25 Aprile
Eternamente sdraiato sulla sua amaca, Micheleserra dedica (anche) al movimento No Tav un passo della sua personale invettiva contro la consueta celebrazione “partigiana” (di parte) della festa della Liberazione. Sul giornale di famiglia (Debenedetti) di oggi 26 aprile – sabato italiano – cita con fastidio «i vivaci movimenti che valutano di essere “i veri partigiani”, a volte rubando la scena ai reduci sempre più vecchi, sempre più fragili e sempre meno numerosi di quella guerra giusta e vittoriosa». La sua prosa prosegue con la più evergreen delle citazioni giornalistiche: la collocazione “in cortile” di tutti i temi “estranei” che sono stati portati nelle manifestazioni di Torino (No Tav), Palermo (No Muos) e Milano (No Canal). Un evidente, implicito indulgere nella celebrazione retorica cara al suo partito di riferimento, che cambia continuamente nome ma conserva pervicacemente il vizio di ritenersi unico autentico depositario della Verità su Democrazia, Costituzione e Resistenza.Una verità consolidata quanto comoda, secondo cui l’ultima fu una unificante e corale lotta di un intero popolo contro un manipolo di feroci ma minoritari fascisti rimasti fedeli agli “invasori” nazisti, quindi in quanto tali alieni… Serra non è notoriamente un frequentatore del nostro “cortile”. Se lo invitassimo ad una delle nostre serate non verrebbe di sicuro, per timore di restar contagiato dal virus incurabile che ha aggredito Erri De Luca. Ma è un peccato (per lui, s’intende): intanto perché, restando appollaiato nella sua Milanodabere (& prossimamente da mangiare, grazie all’Expo) non può ritenersi al riparo dalla propagazione di una epidemia che ha dimostrato di poter colpire a distanza come è successo – ad esempio – al suo “ex collega” Stefano Benni. Ma soprattutto perché, se avesse frequentato anche solo i “nostri” tre giorni a cavallo del sessantanovesimo anniversario della Liberazione, avrebbe faticato a trovare un rassicurante confine all’invasività (benefica) del nostro cortile: cimentarsi in un elenco è quanto di più temerario perché si rischia di riempire pagine senza garantirsi di non incorrere in gravi dimenticanze.Provo allora con alcuni esempi di iniziative particolarmente significative, anche per il forte valore simbolico che hanno avuto, suggerendo al famoso corsivista erede di Fortebraccio alcuni spunti che avrebbe potuto trarne, perché la sua vena non abbia prima o poi ad esaurirsi (con irreparibili conseguenze, visto l’impegnativo modo che ha scelto per guadagnarsi il pane): fosse stato a Bussoleno – alla Libreria del Sole – il pomeriggio del 24 avrebbe potuto ascoltare una antagonista NoTav come Ermelinda Varrese leggere alcune pagine del diario partigiano di Ada Gobetti.Una lettura attenta e sensibile nel sottolinearne l’umanità e la tolleranza che fecero di lei (che fu forse l’unica o una delle poche donne congedata con il grado di maggiore dell’esercito) un raro esempio di chi ha praticato come metodo la disponibilità a capire le ragioni degli altri, anche nei terribili frangenti di una guerra civile! E Gigi Richetto spiegare la contraddizione solo apparente della ostinazione del marito – Piero Gobetti – nel collocare nella rivoluzione liberale di Benedetto Croce e Luigi Einaudi il ruolo della classe operaia di Antonio Gramsci! E il racconto lucido, “didattico” di Ugo Berga, classe 1922, partigiano combattente e commissario politico della 106^ Brigata Garibaldi, che – senza ombra di retorica, né di “appartenenza” – ha spiegato il percorso coerente che portò Ada ad aderire alle formazioni di “Giustizia e Libertà” e la sua capacità di fare causa comune coi “comunisti” sulle nostre montagne.Le nostre montagne luogo di confine come le acque che circondano Lampedusa cantate da Giacomo Sferlazzo a Venaus in una continuità ideale con la “filiazione” sul tema migranti che il Valsusa Film Fest – alla sua diciottesima edizione – ha voluto con l’isola più distante dal nostro profondo nordovest, promuovendovi qualche anno fa una rassegna che ormai cammina sulle sue gambe. Un “favore” che i lampedusani hanno voluto quest’anno “restituire” offrendoci il loro apprezzato concerto; e non in una serata qualsiasi, ma al termine della ormai tradizionale fiaccolata in memoria della Resistenza dei sindaci e dei cittadini di valle che Piera Favro, sindaco di Mompantero, Nilo Durbiano, primo cittadino di Venaus e Sandro Plano, presidente di una Comunità Montana sciolta dall’uomo dalle mutande verdi, ma più unita che mai, hanno chiuso con un saluto a quattro ragazzi che – in attesa che le gravissime accuse a loro carico vengano provate – stanno scontando mesi di carcere duro e preventivo.Le nostre montagne avvolte da nuvole cariche di pioggia anche nel pomeriggio della ricorrenza, quando le mura che delimitano il cortile in cui Serra ci vorrebbe reclusi sono del tutto svanite per accogliere due alberelli spediti sin qui – il primo a Susa e il secondo a Venaus – rispettivamente da Hiroshima e Nagasaki. Due “esseri viventi” sopravvissuti all’olocausto nucleare “alleato” che Elso, uno dei partigiani che il brillante editorialista (del giornale fondato dell’ex guf Scalfari) descrive – forse perché non li frequenta – come sempre più vecchi, sempre più fragili e sempre meno numerosi, ricorda non essere ancora stato “giustificato” neppure su un piano strettamente militare. E lo fa di fronte agli scolari di Venaus che si sono fatti carico di accudire la pianticella di kaki: il “dono”, come spiega con etimologia virtuosa il loro maestro Paolo Bertini, venuto da tanto lontano e non solo per regalarci i suoi frutti dorati – quando sarà divenuto un albero robusto a dispetto della morte totale da cui fu circondato il suo “progenitore”.Un albero che Tiziana Volta, pacifista bresciana, ha ormai diffuso in tanti luoghi-simbolo del nostro paese e il cui percorso verso la Valle di Susa, come ha ricordato, è iniziato timidamente e in punta di piedi oltre due anni fa. Una pianta cui farà compagnia una scultura di Daniela Baldo. Un “fiore dell’acqua” realizzato non per caso in legno – un antico trave proveniente dal tetto di una vecchia casa – che è stato scolpito e decorato con la collaborazione degli stessi scolari. Un venticinque aprile che si è chiuso idealmente il giorno dopo a Villar Focchiardo con la consegna, alle madri-coraggio della Terra dei Fuochi, del premio intitolato al partigiano Bruno Carli, primo orgoglioso presidente del Valsusa Film Fest, voluto proprio per collegare memoria storica e difesa della terra. Con buona pace del Serra “distante” che – dolcemente cullato dal dondolio della sua amaca – pare non essersi accorto di chi della Resistenza ha fatto e fa continuamente un uso ben più spregiudicato di quello che lui addebita ai “movimenti: quello di chi, per esempio, dopo averci costruito una carriera politica “ricca” e longeva è arrivato, quest’anno, quasi a paragonarne gli eroi rimasti uccisi e a cui dobbiamo la libertà, a due uccisori che – arruolati in difesa di una nave mercantile – hanno scambiato pescatori per pirati al largo delle coste di un oceano ben lontano dal “mare nostrum”.Forse per collocarsi nel solco inaugurato da un suo – sin qui – mancato delfino (il più fedele dei suoi “saggi”) che fu capace di inventarsi, disinteressatamente in pieno ventennio berlusconiano, una pari dignità tra i morti partigiani e quelli repubblichini. Né pare essersi indignato, il graffiante opinionista, per “l’uscita” del prefetto di Pordenone che ha ritenuto, prima di una retromarcia quasi più indecorosa del suo stesso editto, cagionevole per l’ordine pubblico e la sicurezza che si intonasse “Bella ciao” durante la manifestazione in ricordo della Resistenza! Perché la resistenza, caro Serra, è stata e resta sanamente divisiva. L’unità è una necessità, ma non è detto che sia una virtù. Perlomeno fin tanto che chi stette dalla parte sbagliata non ha l’onestà e la dignità di ammetterlo. Ma forse i grandi giornali non sono il luogo migliore per farsene una ragione. Perché sono luoghi molto più angusti del più piccolo dei cortili.(Claudio Giorno, “(25) aprile, dolce dormire”, dal blog di Giorno del 26 aprile 2014).Eternamente sdraiato sulla sua amaca, Micheleserra dedica (anche) al movimento No Tav un passo della sua personale invettiva contro la consueta celebrazione “partigiana” (di parte) della festa della Liberazione. Sul giornale di famiglia (Debenedetti) di oggi 26 aprile – sabato italiano – cita con fastidio «i vivaci movimenti che valutano di essere “i veri partigiani”, a volte rubando la scena ai reduci sempre più vecchi, sempre più fragili e sempre meno numerosi di quella guerra giusta e vittoriosa». La sua prosa prosegue con la più evergreen delle citazioni giornalistiche: la collocazione “in cortile” di tutti i temi “estranei” che sono stati portati nelle manifestazioni di Torino (No Tav), Palermo (No Muos) e Milano (No Canal). Un evidente, implicito indulgere nella celebrazione retorica cara al suo partito di riferimento, che cambia continuamente nome ma conserva pervicacemente il vizio di ritenersi unico autentico depositario della Verità su Democrazia, Costituzione e Resistenza.