Archivio del Tag ‘mattarellum’
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La Lega non ha idee, chiede le elezioni ma spera resti Conte
Conte regnerà tranquillo e indisturbato, perché l’opposizione non c’è. Lega e Fratelli d’Italia? Sembrano scalpitare, ma sperano che non si voti: una volta al governo, non saprebbero cosa fare. Lo afferma Calogero Mannino, ex ministro Dc. La tesi: questo sperare nell’eterno rinnvio dimostra che non c’è un progetto politico per l’Italia. Da nessuna parte: né da Salvini, né dalla sedicente sinistra. «Lo spettro che si agita – avverte Mannino, intervistato da Federico Ferraù per il “Sussidiario” – non è quello della conquista dell’Italia da parte della Lega, quanto piuttosto da parte di questo rassemblement di sinistra che da Leu, passando per il Pd, arriverà ai 5 Stelle e alle Sardine». Attenti: sarà lo stesso schieramento che eleggerà il nuovo capo dello Stato, per di più con la benedizione di Trump, nuovo involontario garante dello status quo. Il Conte-bis nel frattempo non cade, sostiene Mannino, per via della crisi politica generale: in Parlamento «non c’è un’opposizione che metta la pseudo-maggioranza di governo di fronte alle proprie responsabilità». E la Lega, dunque? «Soffre della disabilitazione operata dal sistema mediatico e dalla convergenza para-politica “al lupo al lupo”. Ma è piuttosto una tigre di carta: ha timore di risultare eccessivamente aggressiva, e al tempo stesso ha una debolezza organica, un deficit di consistenza politica. Non è un partito, sta ancora sull’onda lunga della protesta leghista del ‘92».Se non è un partito, l’ex Carroccio che cos’è? «Uno spazio aperto – secondo Mannino – dove si è imposta la leadership di Salvini in ragione della sua esuberanza». Ma ecco il suo limite: «Salvini non ha né una strategia, né un progetto politico preciso». Quanto a Giorgia Meloni, la leader di Fratelli d’Italia – annota Ferraù – oggi viene accreditata di simpatie atlantiche, indispensabili per andare al governo. «La coerenza con la quale pratica il verbo sovran-nazionalista la rende gradita al giro di Trump», conferma Mannino. Il vero problema è questo: molti osservatori – scrive Ferraù – cominciano a supporre che Salvini e Meloni non facciano vera opposizione perché, se domani andassero al governo, non saprebbero cosa fare. L’ex ministro democristiano conferma: devono “minacciare” di voler andare al governo, ma si augurano che la scadenza elettorale sia la più lontana possibile. La verità è che «temono di vincere», e così «offrono a questa maggioranza l’alibi-pretesto per rimanere in sella, peraltro ben utilizzato dal trasformismo di Conte». L’unico serio problema per la tenuta della maggioranza sembra dunque venire dalla possibile dissoluzione dei 5 Stelle? «Sembra, ma è un’eventualità lontana dai fatti», dice Mannino: «Ogni giorno si accentua la polemica, ma al momento decisivo Di Maio si guarda bene dal rompere, perché non ha alternativa al restare al governo».Oggi, sempre secondo Mannino, nella sostanza i 5 Stelle seguono la linea Grillo-Fico. Obiettivo? Controllare i grillini, una volta che saranno diventati «una corrente nel Pd». Niente male, come orizzonte: «Lo spettro che si agita – aggiunge Mannino – non è quello della conquista dell’Italia da parte della Lega, quanto piuttosto da parte di questo rassemblement di sinistra che da Leu, passando per il Pd, arriverà ai 5 Stelle e alle Sardine. Un rassemblement radicale di massa, con dentro la componente chic». A legittimare questo scenario, secondo Mannino è il ruolo del Pd: «Ha rinunciato anch’esso a essere un partito politico di garanzia democratica per porsi sul terreno movimentistico della resistenza alla Lega». In questa veste, il partito di Zingaretti «ha aperto in tutte le direzioni», in questo non si è accorto di una costante fondamentale: inseguendo i movimenti, i partiti spariscono. «Ogni superamento della forma-partito postula una cangiante versione del populismo», sostiene Mannino: «Anche Berlusconi fu un movimento populista: così si oppose all’armata partitica di brancaleoniana memoria assoldata nel 1994 da Achille Occhetto». Ci risiamo? «Assistiamo a qualcosa di simile nei maggiori paesi», dice Mannino. «I partiti pretendono di intercettare i movimenti, ma in questa operazione diventano instabili, mobili qual piuma al vento. Vale per Trump, per Spd e Cdu in Germania, per il Ps francese messo in crisi da Macron».Domanda Ferraù: sarà dunque questa legislatura a votare nel 2022 il nuovo capo dello Stato? «Al momento attuale – risponde l’ex ministro – questa legislatura è intatta e intangibile, quindi pronta per quella scadenza». E cosa pensare dello strano intreccio tra nuova ipotesi di proporzionale, referendum Calderoli per il maggioritario e referendum contro il taglio dei parlamentari? «Alla fine – afferma Mannino – nessuno vuole il proporzionale, tranne i più piccoli. Ma questi vorrebbero anche essere garantiti, e non potendo esserlo con il proporzionale, un sistema in parte maggioritario e in parte proporzionale come l’attuale rende loro possibile un’alleanza (a sinistra con il Pd, e a destra con la Lega)». La Consulta dirà se il referendum Calderoli è ammissibile. Intanto, Salvini e Meloni hanno detto sì al Mattarellum. Perché? «Siamo alle mosse tattiche: o facciamo la legge nuova insieme o insieme lasciamo l’attuale». Secondo Mannino, questo «significa che la filosofia dominante, nell’attuale confusione temporale e spaziale, è “hic manebimus optime”. Tutti ragionano così: mi tengo quello che ho e sto bene dove sono».Mannino non crede che in Italia possa irrompere un fattore imprevisto che possa mettere in discussione questo status quo, che «dipende dal superamento della linea strategica rooseveltiana che l’America ha costruito dopo la Seconda Guerra Mondiale». E’ un fatto: «Oggi l’impero è in crisi e le province sono nel caos». Ovvero: «Gli Stati Uniti hanno organizzato l’impero per comparti. Uno è l’Europa: Italia, Francia e Germania facciano pure la Ceca, l’Euratom e tutto il resto, cioè l’Europa unita. Io – gli Usa – però ne dispongo, perché la Nato tiene l’Europa». Ed ecco l’effetto-Donald: «Il sovranismo confusionario di Trump, inserito come elemento di contraddizione nell’attuale sgretolamento dell’assetto politico mondiale, ha un risultato sorprendente: non è avversario dello status quo, ne diviene causa e condizione». Allora sarà Washington, ancora una volta, a dirci chi eleggere al Quirinale? «Assisteremo a un aggiustamento all’interno della maggioranza Pd-M5S», scommette Mattino. Tradotto: Conte al Colle e Zingaretti al governo? «Non riesco a seguire questo giochino di figurine», chiosa Mannino. «Vince chi soffia più forte».Conte regnerà tranquillo e indisturbato, perché l’opposizione non c’è. Lega e Fratelli d’Italia? Sembrano scalpitare, ma sperano che non si voti: una volta al governo, non saprebbero cosa fare. Lo afferma Calogero Mannino, ex ministro Dc. La tesi: questo sperare nell’eterno rinnvio dimostra che non c’è un progetto politico per l’Italia. Da nessuna parte: né da Salvini, né dalla sedicente sinistra. «Lo spettro che si agita – avverte Mannino, intervistato da Federico Ferraù per il “Sussidiario” – non è quello della conquista dell’Italia da parte della Lega, quanto piuttosto da parte di questo rassemblement di sinistra che da Leu, passando per il Pd, arriverà ai 5 Stelle e alle Sardine». Attenti: sarà lo stesso schieramento che eleggerà il nuovo capo dello Stato, per di più con la benedizione di Trump, nuovo involontario garante dello status quo. Il Conte-bis nel frattempo non cade, sostiene Mannino, per via della crisi politica generale: in Parlamento «non c’è un’opposizione che metta la pseudo-maggioranza di governo di fronte alle proprie responsabilità». E la Lega, dunque? «Soffre della disabilitazione operata dal sistema mediatico e dalla convergenza para-politica “al lupo al lupo”. Ma è piuttosto una tigre di carta: ha timore di risultare eccessivamente aggressiva, e al tempo stesso ha una debolezza organica, un deficit di consistenza politica. Non è un partito, sta ancora sull’onda lunga della protesta leghista del ‘92».
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Cacciari e Farinetti: Salvini e 5 Stelle insieme, senza illusioni
Signori, abbiamo scherzato: «Le promesse, con questa legge elettorale, non valgono niente: sono solo promozionali. E quindi non vale niente la campagna elettorale: è tutta demagogia». Parola di Oscar Farinetti, “vedovo” di Renzi come Massimo Cacciari ma rinfrancato dalla conversione dei 5 Stelle verso il negoziato: «Mi auguro che, alla fine, venga fuori un governo con 5 Stelle e Salvini», dice il filosofo, ospite di Lilli Gruber insieme al patron di Eataly. «In questo caso si crea una discontinuità: finalmente comincia un’altra storia». Se i due estimatori del renzismo “brindano” al neo-moderato Di Maio, le giravolte post-elettorali dei grillini angustiano i tifosi della prima ora come Massimo Mazzucco, intervistato a “Border Nights”, trasmissione web-radio in cui Paolo Franceschetti (avvocato e saggista) infierisce: «I 5 Stelle stanno dimostrando di essere quello che erano fin dall’inizio, un abile artificio del potere per drenare il dissenso». Mazzucco, autore di documentari-verità (cancro, 11 Settembre, Uomo sulla Luna), non concorda: «I 5 Stelle mi hanno deluso evitando di contrastare la legge Lorenzin sui vaccini, ma non credo ci sia premeditazione: è l’avvicinamento al potere che, inevitabilmente, ti costringe a fare i conti con realtà che nemmeno conoscevi».In pratica, dice Mazzucco, è come se qualcuno ti battesse una mano sulla spalla dicendoti: stai ben attento a quel che fai, potresti pentirtene. Al che, c’è il bivio: o ci si piega, per quieto vivere, oppure si trova il coraggio di andare fino in fondo, restando fedeli alle proprie idee, peraltro appena “vendute” agli elettori. Di Maio? E’ diventato flessibile: morbidissimo con l’Unione Europea, con gli Usa e con la Nato, e meno “amico” della Russia. Cosa che a Cacciari va benissimo. E poi, dice, è sbagliato parlare di traformismo: «Quando mai un partito ha continuato a dire, sic e simpliciter, quello che diceva in campagna elettorale? E’ chiaro che la campagna ha necessariamente un aspetto demagogico, di promesse». Farinetti spera che Mattarella convinca i partiti a fare una nuova legge elettorale sul modello francese, col ballottaggio tra i primi due partiti. «Con una legge elettorale a doppio turno come quella per eleggere i sindaci – dice – i partiti sarebbero costretti a dire quello che vogliono davvero, quello che veramente sentono di poter fare». E il Di Maio europeista? Ottima notizia, per Cacciari: certifica «il pieno riconoscimento del nostro destino europeo: o la democrazia si ripensa su scala continentale, o cesserà di funzionare». E questo cambiamento, nei 5 Stelle, «segna un discrimine netto rispetto ai fondamenti culturali della Lega».Per il filosofo, grillini e leghisti dovrebbero raggiungere un accordo di governo, segnando almeno «una discontinuità generazionale», sapendo però di essere incompatibili: «E alla lunga, questa incompatibilità strategica – come base sociale, come idee – verrà fuori». L’incremento elettorale dei 5 Stelle, ricorda Cacciari, viene dal Pd. In più, il 50% degli elettori grillini si dichiara “di sinistra” (solo il 20% si considera “di destra”). «Sul piano culturale – aggiunge – l’incompatibilità tra Lega e 5 Stelle è evidentissima, ma bisogna che maturi e che si esprima. Certo la loro sarebbe un’alleanza a termine: non è la prospettiva su cui si risolveranno i problemi del paese, che richiedono scelte drastiche». E il Pd? Il rischio è che decida di suicidarsi: «Se fa un congresso vero, rapidamente (prima dell’estate) ed elegge un nuovo segretario, allora può esserci un nuovo inizio. Ma se aprono adesso – come hanno intenzione di fare – una campagna elettorale tra 15-20 persone per fare le primarie in autunno, muoiono: scompaiono. E allora l’unica forza di centrosinistra, in questo paese, diventeranno i 5 Stelle». Al posto di Renzi e colleghi, Cacciari avrebbe fatto il contrario dell’Aventino: «Io auspicavo che il Pd, riconoscendo la vittoria dei 5 Stelle e ribadendo la sua estraneità al centrodestra nel suo insieme, dicesse: sono disposto a far partire un governo monocolore 5 Stelle, verificando poi di volta in volta i provvedimenti, da valutare singolarmente».Al reggente Maurizio Martina, Farinetti suggerisce di non sbattere la porta in faccia ai 5 Stelle, come invece fecero i grillini nel 2013 con Bersani: «Cercherei di capire se il loro reddito di cittadinanza è visto come misura strategica o solo d’emergenza, verso la creazione dell’unica prospettiva seria, cioè la creazione di posti di lavoro, specie al Sud, tenendo conto delle grandi vocazioni di questo paese». Utopia, riconoscono Farinetti e Cacciari: il Pd non sembra intenzionato ad aprire un vero dialogo, temendo di suicidarsi politicamente in caso di alleanza coi 5 Stelle. A loro volta, i grillini considerano un suicidio l’intesa con Berlusconi. E Salvini, infine, sa benissimo che rompere oggi col Cavaliere gli impedirebbe di continuare a dissaguare Forza Italia. Stallo assoluto? Non è detto. Il nodo è Berlusconi, dice Cacciari: basterebbe convincerlo che un governo Salvini-Di Maio sarebbe il male minore. Restando defilato per non imbarazzare i 5 Stelle, avrebbe ministri «tipo Cancellati» e garanzie precise sui suoi vastissimi interessi. L’alternativa? Non esiste: «In caso di elezioni anticipate, Berlusconi scompare. Gli conviene, un governo con Salvini e Di Maio». I grillini “annacquati”? Inevitabile, chiosa Farinetti: «Serve tempo, per vedere se c’è la possibilità di fare un meraviglioso compromesso. Non vedo l’ora – aggiunge – di vedere all’opera partiti che, giustamente, dall’opposizione portavano avanti teorie assolute: comprenderanno che l’unica cosa perfetta, in natura, è proprio il compromesso».Signori, abbiamo scherzato: «Le promesse, con questa legge elettorale, non valgono niente: sono solo promozionali. E quindi non vale niente la campagna elettorale: è tutta demagogia». Parola di Oscar Farinetti, “vedovo” di Renzi come Massimo Cacciari ma rinfrancato dalla conversione dei 5 Stelle verso il negoziato: «Mi auguro che, alla fine, venga fuori un governo con 5 Stelle e Salvini», dice il filosofo, ospite di Lilli Gruber insieme al patron di Eataly. «In questo caso si crea una discontinuità: finalmente comincia un’altra storia». Se i due estimatori del renzismo “brindano” al neo-moderato Di Maio, le giravolte post-elettorali dei grillini angustiano i tifosi della prima ora come Massimo Mazzucco, intervistato a “Border Nights”, trasmissione web-radio in cui Paolo Franceschetti (avvocato e saggista) infierisce: «I 5 Stelle stanno dimostrando di essere quello che erano fin dall’inizio, un abile artificio del potere per drenare il dissenso». Mazzucco, autore di documentari-verità (cancro, 11 Settembre, Uomo sulla Luna), non concorda: «I 5 Stelle mi hanno deluso evitando di contrastare la legge Lorenzin sui vaccini, ma non credo ci sia premeditazione: è l’avvicinamento al potere che, inevitabilmente, ti costringe a fare i conti con realtà che nemmeno conoscevi».
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Nuova Tangentopoli, ci risiamo? Ma stavolta senza Piano-B
Vincenzo De Luca indagato per voto di scambio, Beppe Sala per l’Expo, la romana Paola Muraro per reati ambientali, Raffaele Marra per corruzione, Luca Lotti per rivelazione di segreto d’ufficio. Sotto tiro un po’ tutti, da Renzi alla Raggi. «In meno di una settimana piovono avvisi di garanzia, arresti, interrogatori fiume: sembrano tornati i tempi di Mani Pulite», scrive Aldo Giannuli, che osserva: si tratta di casi non esattamente “freschi”, lasciati dormire per mesi e fatti esplodere solo dopo il referendum: «E’ come se il 4 dicembre sia scattato il via libera», così adesso «piovono sberle», con alcuni giornali che lasciano capire che «dopo Lotti seguirebbe il padre di Renzi, poi Renzi stesso». In attesa che emergano elementi certi, aggiunge Giannuli, «non possiamo non notare questa nuova somiglianza con il 1992-93: allora fu una ondata di inchieste giudiziarie che precedette un referendum chiave», quello sulla legge elettorale maggioritaria. «Ora sembra il contrario: un referendum che apre la strada ad una valanga giudiziaria». E se all’inizio degli anni ‘90 lo tsunami di Tangentopoli aiutò ad affermarsi «un nuovo ordine mondiale monopolare, in piena espansione finanziaria e con classi dirigenti che godevano di un sufficiente (se non ampio) consenso popolare», oggi è l’esatto contrario: «L’ordine mondiale monopolare è franato, ma non è stato sostituito da un diverso ordine mondiale multipolare».Gli Usa, scrive Giannuli sul suo blog, conservano ancora consistenti residui dell’ordine monopolare: il controllo della moneta di riferimento internazionale, una supremazia militare scossa dalle sconfitte mediorientali ma che ne fa ancora la maggiore potenza mondiale, militare e finanziaria, con peso preponderante negli organismi internazionali. Ma gli Stati Uniti «non hanno più la forza di imporre unilateralmente le decisioni della comunità internazionale, non riescono ad avere un colpo d’ala che li trascini fuori dalla crisi, e questo determina un malessere interno che si è espresso nell’elezione di Trump». D’altra parte, i Brics sono fortemente cresciuti: paesi emergenti come Messico, Indonesia e Corea si stanno affermando sul piano economico, India e Cina stanno diventando anche potenze militari, mentre la Russia lo sta ridiventando. Tuttavia «iniziano a risentire della crisi euro-americana», quindi «hanno perso lo slancio economico di otto anni fa», e ancora «non riescono a sovvertire la preponderanza americana». In altre parole, «gli Usa non hanno più la forza imperiale di vent’anni fa, ma hanno la forza per impedire che si affermi un equilibrio multipolare basato su grandi potenze regionali». A loro volta, «i Brics hanno la forza per impedire l’ordine monopolare, ma non quella per ricacciare gli Usa entro la rispettiva area regionale».Per di più, continua Giannuli, «c’è una profonda asimmetria fra i paesi occidentali, a regime liberaldemocratico e ad economia liberista, nei quali la finanza ha un forte potere condizionante, ed i paesi emergenti, in particolare Russia e Cina, dove il potere politico ha assai meno condizionamenti ed in cui sussistono molti elementi di capitalismo di Stato». E così «non abbiamo due ipotesi di ordine mondiale» ma, di fatto, «nessun ordine mondiale vigente», mentre i vari “attori” si sfidano indirettamente in tante crisi locali sempre più numerose: Ucraina, Siria, Iran, Oceano Pacifico, Oceano Indiano. Crisi che, «per ora, scaricano la tensione che si va accumulando», in una situazione di “stallo instabile”. A monte, s’è inceppato il motore dell’Occidente, «investito da una crisi finanziaria che è man mano divenuta economica, con i tassi occupazionali più bassi dell’ultimo trentennio, una massiccia erosione dei salari e una conseguente caduta dei consumi». Il suo eccezionale prolungamento – di fatto, questa è l’unica crisi paragonabile alla Grande Depressione del 1929 – sta ora ripercuotendosi sui paesi fornitori di materie prime (Brasile in primo luogo, ma anche Russia ) e sui paesi in cui era stata delocalizzata la manifattura (in particolare la Cina, che resiste in parte grazie alla tenuta del mercato interno).Di fronte a questo andamento economico-finanziario, continua il politologo dell’ateneo milanese, le banche centrali e quelle di investimento «non hanno trovato altro rimedio che continue ondate di liquidità che hanno avuto soprattutto l’effetto di ingigantire il debito grazie al meccanismo degli interessi». La sostanza è che «le classi dirigenti rifiutano di prendere atto dell’origine della crisi», cioè «la strutturazione iper-finanziaria dei mercati, che ha trovato sfogo prima nel crollo dei mutui sub-prime e dopo nello scoppio delle successive bolle delle materie prime e nel gonfiamento dei debiti pubblici». Dell’enorme massa di liquidità emessa, ben poco è andato all’economia reale (forse neppure il 10%) mentre il resto ha trovato re-impieghi finanziari: «Si è affermato un modello di “produzione di denaro a mezzo denaro” saltando il passaggio della merce che nessuno ha messo o mette in discussione». Allo stesso modo, nessuno ha contestato «l’assurdo ordinamento tributario punitivo nei confronti dei ceti medi e delle classi subalterne», che premia «le grandi centrali finanziarie».Globalizzazione finanziaria: «La mobilità incontrollata dei capitali ha di fatto concesso al grande capitale privato di scegliersi lo Stato cui pagare le tasse». L’inevitabile risultato «è stata una fortissima pressione fiscale dei paesi più indebitati (come Grecia, Portogallo e Italia) che sta soffocando ogni possibilità di ripresa di quei paesi». Non è strano che non ci siano stati ravvedimenti: «Rivedere le regole dell’ordinamento neoliberista implicherebbe una secca perdita di potere delle classi capitalistiche». D’altra parte, «la persistenza del sistema di potere neoliberista è anche prodotta dalla assenza di una opposizione interna al sistema politico: la completa omologazione delle socialdemocrazie al neoliberismo, di cui, ormai, sono solo una piccola variante, ha privato il sistema di ogni possibilità ai autocorrezione». E questo, conclude Giannuli, è il principale motivo dell’ondata neoliberista che si è scatenata tanto in Europa, quanto negli Usa. «La crisi continua a mordere, e non c’è una ipotesi riformista». Risultato: «L’elettorato vota partiti neo-populisti, prevalentemente di destra», protestando contro l’immigrazione di massa e contro un ordinamento che, «minando il principio di sovranità nazionale, svuota di significato il principio della sovranità popolare e, di conseguenza, la democrazia».Il fenomeno dell’immigrazione? «Un comodo nemico su cui scaricare la colpa di tutto, un po’ come con gli ebrei nella crisi degli anni Trenta», con l’aggravante che, oggi, «la coincidenza con il terrorismo jihadista fornisce alimento all’industria della paura». La sinistra non-liberista? Non pervenuta: sulla questione migranti, la sinistra europea – dalla Linke a “Podemos” – non va oltre «un genericissimo internazionalismo venato di buonismo», senza riuscire a prospettare «una concreta politica di accoglienza e integrazione». Silenzio anche su globalizzazione, Ue e euro: la sinistra «teme ogni presa di distanza», leggendola come «un ritorno al nazionalismo, di cui diffida». Il risultato è «una sostanziale paralisi, che rende irrilevante la sinistra che non vuole i tecnocrati di Bruxelles e le politiche di austerità, ma difende l’euro (come se le due cose fossero estranee l’una all’altra), e si accontenta di favoleggiare su “un nuovo euro” che nei fatti non può esistere». Così la piccola trincea della sinista diventa «irrilevante, nello scontro fra l’ondata populista e l’establishment». Per troppo tempo questa sinistra «ha smesso di studiare», di capire la crisi. E ora subisce anch’essa «una ondata di protesta che delegittima le classi dirigenti dall’interno», creando «una condizione favorevole al crollo del sistema politico italiano ancora più spiccata che nel 1992-93».Vincenzo De Luca indagato per voto di scambio, Beppe Sala per l’Expo, la romana Paola Muraro per reati ambientali, Raffaele Marra per corruzione, Luca Lotti per rivelazione di segreto d’ufficio. Sotto tiro un po’ tutti, da Renzi alla Raggi. «In meno di una settimana piovono avvisi di garanzia, arresti, interrogatori fiume: sembrano tornati i tempi di Mani Pulite», scrive Aldo Giannuli, che osserva: si tratta di casi non esattamente “freschi”, lasciati dormire per mesi e fatti esplodere solo dopo il referendum: «E’ come se il 4 dicembre sia scattato il via libera», così adesso «piovono sberle», con alcuni giornali che lasciano capire che «dopo Lotti seguirebbe il padre di Renzi, poi Renzi stesso». In attesa che emergano elementi certi, aggiunge Giannuli, «non possiamo non notare questa nuova somiglianza con il 1992-93: allora fu una ondata di inchieste giudiziarie che precedette un referendum chiave», quello sulla legge elettorale maggioritaria. «Ora sembra il contrario: un referendum che apre la strada ad una valanga giudiziaria». E se all’inizio degli anni ‘90 lo tsunami di Tangentopoli aiutò ad affermarsi «un nuovo ordine mondiale monopolare, in piena espansione finanziaria e con classi dirigenti che godevano di un sufficiente (se non ampio) consenso popolare», oggi è l’esatto contrario: «L’ordine mondiale monopolare è franato, ma non è stato sostituito da un diverso ordine mondiale multipolare».
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La legge-truffa per rubare le elezioni e il sì di Mattarella
Una legge-truffa, costruita per restare al potere e continuare a rubare a mani basse. E’ la traduzione che Aldo Giannuli fornisce dell’iter sgangherato dell’Italicum voluto da Renzi per cancellare ogni residuo di democrazia rappresentativa con l’alibi (comodo) della governabilità. «L’Italicum è legge, ed è già iniziato il pressing per farlo digerire agli organi di controllo costituzionale: prima il presidente poi la Corte». Per il politologo dell’ateneo milanese, «è un pressing di rara disonestà, cui la stampa si sta generosamente prestando». La Corte Costituzionale aveva bocciato il Porcellum per due ragioni: l’assenza di una soglia minima per ottenere il premio di maggioranza e l’assenza del voto di preferenza. Sulla questione del voto di preferenza, per la verità, non era stata chiarissima e aveva concesso che le liste bloccate avrebbero potuto essere accettate se fossero state “corte”, in modo che l’elettore potesse sapere chi stava eleggendo. «Una posizione da contorsionista del diritto, perché il punto non è se l’elettore conosce o no tutti i candidati, ma l’elezione in ordine di presentazione, che limita di fatto la libertà di scelta dell’elettore e mette nelle mani della segreteria di partito la scelta dei parlamentari».Su questo punto «è stato facile, per il legislatore, aggirare la sentenza della Corte: collegi piccolissimi di sei o sette candidati, capilista bloccati e possibilità di esprimere preferenze per gli altri candidati. Una truffa, ma congegnata con l’apparenza del compromesso accettabile». Una truffa, insiste Giannuli, perché è evidente che, con quasi 100 collegi, solo il partito vincente, con i suoi 354 seggi, potrà esprimere altri deputati oltre i 100 capilista. Tutti gli altri partiti, che dovranno dividersi i restanti 276 seggi, eleggeranno solo i capilista: in pochissimi collegi scatterà un secondo eletto. Risultato: gli eletti con le preferenze non saranno più di 260-265 su 630. Truffa totale, poi, sulla questione della soglia per il premio di maggioranza, visto che «il senso della sentenza della Corte era quello di rispettare il principio di rappresentatività, impedendo che un partito possa avere un premio addirittura superiore alla sua consistenza, raddoppiando o anche più la sua rappresentanza». Qui la soglia è solo apparente, il 40% per ottenere il premio al primo turno: ma se non si ha quel 40%, si va al secondo turno fra i primi due partiti. «E qui, chiunque dei due abbia un voto più dell’altro, si aggiudica lo stesso il premio. Badate: non è neppure previsto un premio ridotto, ma esattamente lo stesso del primo turno».Questo rafforza l’obiezione della Corte Costituzionale che bocciò il Porcellum: in base all’Italicum, infatti, è possibilissimo che al ballottaggio vinca il secondo arrivato al primo turno, raccogliendo tutti gli scontenti: un partito forte di appena il 16% potrebbe diventare padrone del Parlamento, col 54% dei seggi. «Vi sembra che questo sia un sistema che rispetta le regole della rappresentatività?». Per Giannuli, questo è «il gioco delle tre carte di un ceto politico di disonesti peggiore di qualsiasi tangentista (peraltro, mi pare che le tangenti i signori del Pd non se le fanno neppure mancare). Diciamo le cose come stanno: questa è una legge fatta per essere sicuri di restare al potere e tornare a rubare». E Mattarella? Il presidente «avrebbe dovuto far notare che questa legge è “leggermente” incostituzionale», ma soprattutto «il suo dovere sarebbe stato quello di tutelare le minoranze opponendosi ad una legge non consensuale sulle regole del gioco». Invece «si è precipitato a firmare». Inutile stupirsi: probabilmente «fra le condizioni che Renzi avrà posto a Mattarella per candidarlo al Colle ci sarà stato anche il solenne giuramento di firmare senza storie il Mattarellum».Secondo Giannuli, l’unico presidente che avrebbe potuto rigettare la legge sarebbe stato un presidente eletto “contro” Renzi, non quello proposto da Renzi, ma questo sarebbe stato possibile solo eleggendo un candidato come Prodi, cosa che «la sinistra Pd non ha neppure provato a fare». A quel punto «era palese che il presidente sarebbe stato quello scelto da Renzi, con tutto quel che ne consegue». Il che però non impedisce ora alle opposizioni di richiamare il presidente ai suoi doveri istituzionali: «Anche quando si sa che il presidente lascerà fare, occorre metterlo davanti alle sue responsabilità». Ma attenzione, il nuovo inquilino del Quirinale non è agli ordini del premier: «Penso che Mattarella sia un congegno ad orologeria contro Renzi: lo pugnalerà appena dovesse iniziare una sua discesa». Restano due strade, la Corte Costizionale e il referendum. Entrambe in salita: la Consulta subirà pressioni indicibili («figuriamoci quali ricatti saranno fatti ai tre giudici che dovrebbero essere eletti nei prossimi mesi»), mentre il quesito referendario – per legge – va costruito prevedendo comunque che il paese non resti senza una legge elettorale praticabile. «Qualunque possa essere la piega che prenderanno le cose – conclude Giannuli – c’è una sola certezza: che il nemico da battere è il Pd».Una legge-truffa, costruita per restare al potere e continuare a rubare a mani basse. E’ la traduzione che Aldo Giannuli fornisce dell’iter sgangherato dell’Italicum voluto da Renzi per cancellare ogni residuo di democrazia rappresentativa con l’alibi (comodo) della governabilità. «L’Italicum è legge, ed è già iniziato il pressing per farlo digerire agli organi di controllo costituzionale: prima il presidente poi la Corte». Per il politologo dell’ateneo milanese, «è un pressing di rara disonestà, cui la stampa si sta generosamente prestando». La Corte Costituzionale aveva bocciato il Porcellum per due ragioni: l’assenza di una soglia minima per ottenere il premio di maggioranza e l’assenza del voto di preferenza. Sulla questione del voto di preferenza, per la verità, non era stata chiarissima e aveva concesso che le liste bloccate avrebbero potuto essere accettate se fossero state “corte”, in modo che l’elettore potesse sapere chi stava eleggendo. «Una posizione da contorsionista del diritto, perché il punto non è se l’elettore conosce o no tutti i candidati, ma l’elezione in ordine di presentazione, che limita di fatto la libertà di scelta dell’elettore e mette nelle mani della segreteria di partito la scelta dei parlamentari».
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Mattarella al Quirinale, Renzi accolto nel Tempio di Draghi
«Un Presidente sopra le parti e mai sopra le righe: così l’ha definito Mario Monti e così sarà». Parola di Eugenio Scalfari, l’uomo delle cenette riservate con Mario Draghi, Giorgio Napolitano e l’allora premier Enrico Letta, incaricato di spremere gli italiani con “l’inevitabile” tortura del rigore Ue. Scalfari addirittura considera Sergio Mattarella «un Capo dello Stato che proseguirà al vertice delle istituzioni l’esempio dato da Einaudi, Pertini, Scalfaro, Ciampi, Napolitano». Perché accostare Einaudi e Pertini a Ciampi e Napolitano? L’eurocrate Ciampi “staccò” Bankitalia dal Tesoro, mettendo il paese nelle mani della finanza speculativa e facendo esplodere un debito pubblico non più controllabile, mentre Napolitano – com’è ormai chiaro a chiunque, persino all’ex ministro di Obama, Tim Geithner – è stato il massimo garante dei poteri forti internazionali, interessati a depredare il paese imponendo “commissari” come Monti e Letta, fino all’ambiguo outsider Renzi, che oggi viene celebrato come il king-maker di Mattarella. Errore, avverte Francesco Maria Toscano: l’accordo sul Quirinale non è nato a Palazzo Chigi, ma nella ristrettissima cerchia delle super-lobby di Mario Draghi e Christine Lagarde, la signora del Fmi.«Mario Draghi ha aperto le porte del tempio all’aspirante massone Matteo Renzi», scrive Toscano nel blog “Il Moralista”. Toscano è uno stretto collaboratore di Gioele Magaldi, gran maestro del “Grande Oriente Democratico” e autore di “Massoni” (Chiarelettere), inedita rilettura del ‘900 partendo dal ruolo decisivo delle Ur-Lodges, le superlogge internazionali al crocevia del massimo potere mondiale. «Dopo il lungo e nefasto regno di Napolitano – scriveva Toscano alla vigilia del voto per il Quirinale – si intravede all’orizzonte la possibilità che al Colle ci finisca ora un personaggio grigio e oscuro come Sergio Mattarella». Fra tutti i nomi circolati sui quotidiani, «quello di Mattarella è certamente il più modesto e dimesso; così dimesso da far tornare alla mente quella famosa massima democristiana che spiegava come “alcune nomine servano in realtà a rendere strutturalmente vacante la posizione occupata”». Toscano parla di «un mosaico solo in parte visibile». Domanda: chi comanda davvero in Italia? Quali uomini decidono davvero le linee di indirizzo politico «poi pedissequamente recepite da partiti eterodiretti dall’esterno?».Fino a ieri il gioco era abbastanza scoperto, continua Toscano: «Giorgio Napolitano, iniziato presso la Ur-Lodge “Three Eyes” al pari di Mario Draghi, supervisionava il progressivo svuotamento del benessere e della democrazia italiana per assecondare le bramosie speculative del mercato finanziario privato». Esaurito il mandato di Napolitano, «il sistema è costretto a ridisegnare un equilibrio di potere che finga di cambiare tutto per non cambiare nulla». Secondo Toscano, «l’occulto padrone e regista della vita politica italiana è il “venerabilissimo maestro” Mario Draghi, padre dell’austerità in Europa, che tratta l’Italia quasi fosse una sua dependance personale». Il presidente della Bce «esercita il suo potere riservatamente e con discrezione, lasciando che la pubblica opinione si distragga osservando le gesta di tanti figuranti che popolano il Parlamento con lo specifico compito di fare ammuina». Ma, «come ogni Sultano che si rispetti», anche Draghi «ha bisogno di nominare un Gran Visir al quale affidare il disbrigo degli affari correnti». E dunque chi, dopo Napolitano, «interpreterà ora il ruolo di cinghia di trasmissione dei voleri delle potentissime Ur-Lodges frequentate con costrutto dal capo della Bce? Mattarella? Niente affatto».Per Toscano, «il nuovo portavoce e plenipotenziario della massoneria reazionaria in Italia è Matteo Renzi, pronto per essere iniziato presso una delle Ur-Lodge più potenti e perverse del pianeta». Finito il periodo di “tegolatura”, cioè di attesa, l’ex sindaco fiorentino sarebbe oramai «sulla soglia del Tempio». Una volta «divenuto organico alle superlogge», il nuovo Renzi «potrà quindi finalmente rapportarsi direttamente con i “padroni”». Ma attenzione: «Per calarsi compiutamente nei panni di longa manus della massoneria oligarchica, Renzi ha però bisogno che sul Colle venga eletto un uomo incapace di fargli ombra. Un uomo cioè che si limiti a interpretare il ruolo in maniera neutra e notarile, lasciando cioè mano libera ad un premier oramai pienamente riconosciuto e legittimato dai vertici delle istituzioni latomistiche mondiali». Questo schema soddisfa tutti tranne Berlusconi: «Il vecchio re di Arcore è stato bastonato di nuovo da quegli stessi poteri che nel novembre del 2011 lo cacciarono senza complimenti e a calci in culo per fare spazio a Mario Monti con la scusa dello spread». Come aveva più volte preannunciato lo stesso Gioele Magaldi, il Patto del Nazareno «altro non era se non un patto “fra straccioni”, già pubblicamente sconfessato dalla massoneria che conta, per tramite di un articolo vergato tempo fa sul “Corriere della Sera” dal fedele scrivano Ferruccio De Bortoli».«Mattarella è stato indicato da Draghi», scrive Toscano, spiegando che «l’operazione portata a termine con astuzia dal capo della Bce è chiarissima». Il defunto Patto del Nazareno, amplificato ad arte dalla stampa, «univa in realtà due debolezze». Ovvero: «Due parvenu, Renzi e Berlusconi, estranei ai circoli massonici più elitari ed esclusivi, avevano deciso di stipulare un patto potenzialmente in grado di affrancarli in parte dal controllo delle Ur-Lodges più importanti. Tale accordo, che esprimeva come garante un massone casereccio e di basso livello come Denis Verdini, non poteva reggere di fronte all’offensiva di un peso massimo del livello del “venerabile” Draghi. E infatti non ha retto». A Renzi, continua Toscano, del “Nazareno” non è mai importato nulla: «Il nostro spregiudicato Rottamatore ha semplicemente usato il decadente Berlusconi per aumentare il suo potere contrattuale nei confronti dell’aristocrazia massonica sovranazionale. “O fate entrare in Loggia anche me”, questo lo spirito con il quale Renzi ha vissuto lo strumentale abbraccio con il Biscione, “oppure io riabilito il puzzone e comincio a menare fendenti contro l’Europa dei burocrati”». Alla fine, conclude Toscano, Renzi «ha ottenuto con il ricatto quello che voleva: a breve infatti il pinocchietto fiorentino verrà ritualmente iniziato presso una delle Ur-Lodge più influenti del globo terracqueo».Secondo indiscrezioni circolate nell’ambiente massonico, aggiunge ancora Toscano, Renzi potrebbe essere affiliato a breve alla superloggia di destra “Compass-Star Rose” o alla gemella “Pan-Europa”, entrambe caratterizzate dalla presenza di Christine Lagarde, esponente dell’oligarchia neo-aristocratica europea, secondo cui gli Stati dovrebbero prepararsi a tagliare drasticamente le pensioni a causa dell’innalzamento dell’aspettativa di vita degli anziani in Europa. Secondo le esplosive rivelazioni fornite da Magaldi, le superlogge come la “Three Eyes”, la “Pan-Europa” e la “Compass-Star Rose” costituirebbero la “cupola di potere” protagonista della sconfitta storica della sinistra sociale in tutto l’Occidente: dal declino insanguinato dei Kennedy alla fine del glorioso welfare europero, seppellito dal neoliberismo selvaggio e globalizzatore imposto attraverso l’influenza di istituzioni “paramassoniche” come la Commissione Trilaterale fondata da David Rockefeller. Di qui l’assetto oligarchico dell’Unione Europea e l’imposizione delle “riforme strutturali”, brandite infatti anche da Renzi, con le quali colpire il mondo del lavoro e svuotare lo Stato, a beneficio delle grandi lobby economico-finanziarie.Sergio Mattarella è accolto al Quirinale tra cori di rispettoso consenso: il mainstream gli riconosce estrema sobrietà personale e rigorosa lealtà verso la Costituzione. Riuscirà a opporsi al disegno oligarchico euro-diretto contro l’Italia, nonostante sia stato candidato proprio dagli esecutori nazionali del sabotaggio dell’economia italiana? Il blog “Senza Soste” è pessimista, e parla dell’Italia come di «un paese che si spegne nel silenzio». La carriera di Mattarella si sarebbe sviluppata in modo “coestensivo” rispetto al declino italiano: «Se c’è un nucleo di scelte, tra gli anni ’80 e ’90, che hanno portato questo paese al disastro, Sergio Mattarella, da democristiano e da ministro della Repubblica, le ha condivise tutte». Tra le maggiori ombre, la legge che inaugurò il sistema elettorale maggioritario e la fedeltà atlantica dimostrata nella Guerra del Kosovo, coi bombardamenti sulla Serbia costati tremila vittime inermi. «Nella vicinissima Libia – continua “Senza Soste” – è in corso una guerra civile senza quartiere con una delle fazioni in campo direttamente affiliata all’Isis: in caso di necessità, il decisionismo militare di Mattarella sarebbe già stato testato per lo sforzo bellico». Stessa situazione «a quattro guanciali» per Bce, Ue e Fmi: «Non sarà certo Mattarella a mettere in discussione l’assetto continentale».A pochi giorni dal voto greco, aggiunge “Senza Soste”, «in risposta a quanto avvenuto ad Atene, l’Italia renziana e liberista ha dato quindi la sua risposta alla delegittimazione ellenica della Troika eleggendo un presidente di provata compatibilità con un ordoliberismo sottile quanto feroce». Mentre il paese affonda, «il settennato di Sergio Mattarella si avvia in democristiano torpore», anche grazie a una nomenklatura che riesce sempre a proteggere se stessa dal disastro nel quale sprofonda la nazione. Altrettanto diffidente, sul nuovo capo dello Stato, il blog “Sollevazione”: «C’è chi dice che non sarà solo un passacarte, che Mattarella si farà valere, che farà rispettare la Costituzione. Noi non ci crediamo. Renzi prima di renderlo papabile avrà ottenuto dal Nostro le sue garanzie. Mattarella non solo è stato un uomo chiave democristiano della “Seconda Repubblica”, ne è stato anzi uno degli architetti – la infame legge elettorale che nel decisivo 1993 scardinò il principio proporzionale non a caso porta il suo nome». La sinistra Pd e Sel lo hanno votato sperando che freni l’azione di Renzi? Si illudono: «Nelle prossime settimane si vota sulle “riforme” (leggi scasso) della Costituzione e sulla legge elettorale Italicum. Noi scommettiamo che Mattarella seguirà, pur con un più basso profilo proprio per non fare ombra a Renzi, le orme di chi l’ha preceduto e che non a caso è stato il suo principale sponsor». Perlomeno, il suo sponsor italiano. Se è vero – come scrive Toscano – che il vero sponsor risiede lontano dall’Italia, ben al di sopra del Parlamento di Roma.«Un Presidente sopra le parti e mai sopra le righe: così l’ha definito Mario Monti e così sarà». Parola di Eugenio Scalfari, l’uomo delle cenette riservate con Mario Draghi, Giorgio Napolitano e l’allora premier Enrico Letta, incaricato di spremere gli italiani con “l’inevitabile” tortura del rigore Ue. Scalfari addirittura considera Sergio Mattarella «un Capo dello Stato che proseguirà al vertice delle istituzioni l’esempio dato da Einaudi, Pertini, Scalfaro, Ciampi, Napolitano». Perché accostare Einaudi e Pertini a Ciampi e Napolitano? L’eurocrate Ciampi “staccò” Bankitalia dal Tesoro, mettendo il paese nelle mani della finanza speculativa e facendo esplodere un debito pubblico non più controllabile, mentre Napolitano – com’è ormai chiaro a chiunque, persino all’ex ministro di Obama, Tim Geithner – è stato il massimo garante dei poteri forti internazionali, interessati a depredare il paese imponendo “commissari” come Monti e Letta, fino all’ambiguo outsider Renzi, che oggi viene celebrato come il king-maker di Mattarella. Errore, avverte Francesco Maria Toscano: l’accordo sul Quirinale non è nato a Palazzo Chigi, ma nella ristrettissima cerchia delle super-lobby di Mario Draghi e Christine Lagarde, la signora del Fmi.
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La grande paura: se vince Grillo, nuove elezioni a ottobre
C’è chi la chiama la “rivoluzione d’ottobre”: elezioni anticipate, nel caso Grillo alle europee bruciasse Renzi e Berlusconi restasse molto indietro. Ormai sono in tanti a parlarne, persino “Repubblica”: nuove elezioni a ottobre, «se tutto dovesse andare per il verso sbagliato», per il Pd e per Forza Italia. Se ne parla «nel centrosinistra e nel centrodestra, nel governo e nel partito democratico. Certo quel “se” è ancora molto grande. Eppure per molti, nel corso di questa campagna elettorale, sta diventando via via sempre più piccolo». Dopo l’inchiesta Expo, l’arresto di Scajola e il voto su Genovese, anche a Palazzo Chigi «i calcoli sono diventati sempre più serrati». Un boom dei grillini riuscirebbe a rompere l’attuale equilibrio? Dipende dai numeri dell’eventuale exploit dei 5 Stelle e dal loro distacco rispetto a Pd e Fi. «Tra i democratici e forzisti sta avanzando una sorta di “demone”, una paura per certi aspetti incontrollata che i pentastellati si avvicinino a insidiare la soglia di successo del Pd e che il distacco da Berlusconi riduca Forza Italia definitivamente al ruolo di terzo partito».Grillo, che ostenta sicurezza, annuncia che in caso di vittoria chiederebbe subito le dimissioni di Napolitano e nuove elezioni. A sua volta, intervistato da Lucia Annunziata, Caseleggio spiega che – per la prima volta – i 5 Stelle si presenterebbero alle eventuali elezioni anticipate con una squadra di super-specialisti, personaggi di primo piano selezionati dai 130.000 iscritti in base a competenze riconosciute. L’altro giorno, scrive Claudio Tito in un servizio su “Repubblica” ripreso da “Dagospia”, nel Transatlantico di Montecitorio è scattato l’allarme tra deputati di prima nomina e veterani: «Un turbinio di bigliettini passava di mano in mano con i dati degli ultimi sondaggi. E ogni volta tutti sgranavano gli occhi. Scuotevano la testa e se ne andavano. Se quei numeri venissero confermati – è il ragionamento che molti fanno nel governo e nelle istituzioni – il primo effetto sarebbe il disconoscimento da parte del Cavaliere del cosiddetto “patto del Nazareno”», in base al quale Renzi si è accordato con Berlusconi per abolire il Senato e peggiorare ulteriormente il “Porcellum” con una legge elettorale ancora più antidemocratica, l’Italicum, che abbassa la quota per ottenere il maxi-premio di maggioranza e innalza muraglie per sbarrare il passo ai partiti minori.«L’ex premier – scrive Tito – non potrebbe più accettare una legge elettorale che prevede il ballottaggio tra i primi due partiti e quindi la sua ininfluenza. La riforma costituzionale – l’abolizione del Senato – salterebbe un minuto dopo. Senza contare che diventerebbe più complicato cambiare il sistema di voto e il quadro istituzionale senza o addirittura contro il M5S eventualmente irrobustito dalle urne europee». Far saltare le riforme – sia pure le pessime riforme di Renzi – significherebbe «far precipitare il governo nella “palude”: una delle “ragioni sociali” di questo esecutivo verrebbe di fatto meno». Anche secondo l’“Economist”, che segnala la carica del fronte euroscettico e no-euro, «la disillusione degli elettori può provocare una nuova crisi». E in autunno, aggiunge Tito, quando entrerà in gioco la “legge di stabilità”, in base ai programmi «il governo dovrà procedere con un’altra gigantesca opera di “spending review”, circa 19 miliardi». In tanti si domandano: possibile tagliare in modo così pesante la spesa pubblica «senza un mandato elettorale e con le urla dell’opposizione ingigantite dal megafono elettorale del 25 maggio?».Il percorso si prospetta costellato di enormi incognite. La prima riguarda proprio la legge elettorale: «Il rischio del voto a ottobre sarebbe quello di presentarsi agli italiani con il cosiddetto “Consultellum”, un sistema completamente proporzionale corretto solo dalle soglie di sbarramento», cioè il sistema che la Corte Costituzionale – in mancanza di una nuova legge elettorale – dispone di utilizzare, dopo aver bocciato come incostituzionale il “Porcellum”, col quale è stato eletto l’attuale Parlamento. «La possibilità che si riprecipiti nell’ingovernabilità sarebbe assai consistente», scrive “Repubblica”. «Non a caso sia nel Pd, sia in Forza Italia sta rispuntando l’idea di una sorta di “riforma transitoria”: il ritorno al “Mattarellum”», ovvero il sistema maggioritario uninominale varato col referendum Segni negli anni ‘90. La seconda incognita, infine, è quella del Quirinale. «Napolitano ha più volte fatto sapere che non intende sciogliere le Camere senza una nuova legge elettorale. Piuttosto sarebbe pronto a dimettersi». Ma se tutto dovesse precipitare, aggiunge Tito, le sue dimissioni risponderebbero anche ad un’altra esigenza: quella di far eleggere dall’attuale Parlamento il nuovo capo dello Stato. Ipotesi alla quale i grillini ovviamente si opporrebbero strenuamente. Anche per questo sarà determinante il risultato delle urne.C’è chi la chiama la “rivoluzione d’ottobre”: elezioni anticipate, nel caso Grillo alle europee bruciasse Renzi e Berlusconi restasse molto indietro. Ormai sono in tanti a parlarne, persino “Repubblica”: nuove elezioni a ottobre, «se tutto dovesse andare per il verso sbagliato», per il Pd e per Forza Italia. Se ne parla «nel centrosinistra e nel centrodestra, nel governo e nel partito democratico. Certo quel “se” è ancora molto grande. Eppure per molti, nel corso di questa campagna elettorale, sta diventando via via sempre più piccolo». Dopo l’inchiesta Expo, l’arresto di Scajola e il voto su Genovese, anche a Palazzo Chigi «i calcoli sono diventati sempre più serrati». Un boom dei grillini riuscirebbe a rompere l’attuale equilibrio? Dipende dai numeri dell’eventuale exploit dei 5 Stelle e dal loro distacco rispetto a Pd e Fi. «Tra i democratici e forzisti sta avanzando una sorta di “demone”, una paura per certi aspetti incontrollata che i pentastellati si avvicinino a insidiare la soglia di successo del Pd e che il distacco da Berlusconi riduca Forza Italia definitivamente al ruolo di terzo partito».