Archivio del Tag ‘multimediale’
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Di Maio: la vecchia Tv è finita, in Italia la prossima Netflix
Noi del Movimento è da anni che diciamo che con l’avvento della Rete sarebbe cambiato tutto e i media tradizionali ne avrebbero fatto le spese. Non era una profezia fine a sé stessa, ma un indicatore di dove investire per garantire un futuro al nostro paese. Venerdì Morgan Stanley ha pubblicato un report sul futuro della televisione con dati inequivocabili: in Italia al momento Netflix ha una penetrazione stimata attorno al 6%, ma cresce a un ritmo del 3% l’anno e quindi raggiungerà il 20% in 5 anni. Quello sarà il punto di non ritorno che in America ha coinciso con il declino del consumo della Tv tradizionale. Prevedono quindi che nei prossimi 5 anni gli operatori tradizionali italiani ed europei avranno un calo degli utili del 40%. Come conseguenza di questa analisi, Morgan Stanley ha declassato il suo giudizio su alcune aziende, come Mediaset che è passata da 3,8 a 2 con un tonfo in Borsa di quasi il 5% con un’azione che ora vale 2,7 euro. È andata ancora peggio ai tedeschi: ProsiebenSat perde il 7,53% e Rtl il 7,26%. Il motivo del ribasso è spiegato da altri dati presenti nel testo. Pensate che una volta che Netflix entra in una casa, il consumo di Tv tradizionale cade del 16-30%. Per di più è finita la crescita della pubblicità, che rappresenta tra il 50 e il 90% dei ricavi delle Tv tradizionali. Se proiettate questi dati nel tempo è chiaro cosa succederà.Davanti a questo scenario, come ministro dello sviluppo economico con delega alle telecomunicazioni, dico che è tempo che in Italia si inizi ad anticipare il futuro e a fare investimenti che vanno nell’ottica delle nuove tecnologie e non di quelle vecchie. È fondamentale il 5G ad esempio, la banda larga, ma è anche fondamentale incentivare la fornitura di quei servizi che possono essere di supporto alle piattaforme di oggi e nel medio e lungo periodo investire in nuovi modelli di business e nuove tecnologie per sviluppare a casa nostra le piattaforme del futuro. Se la prossima Netflix sarà italiana dipende dagli investimenti che facciamo oggi. Penso a dare un’opportunità alle giovani imprese che si occupano della creazione di nuovi format e di contenuti multimediali, a quelle che realizzano applicazioni in questo settore, a quelle che inventano da zero nuove tecnologie. In definitiva a stimolare creatività e competenze tecnologiche in questi ambiti. Un prodotto italiano di successo diffuso su Netflix o piattaforme simili, sarebbe un volano importante per far conoscere il nostro stile di vita e per far ripartire la nostra industria culturale.Se riusciremo anche a sviluppare delle piattaforme italiane che hanno successo mondiale sarà un ritorno incredibile su tantissimi fronti. Su questo devono interrogarsi anche le grandi aziende culturali del paese, in primis Rai e Mediaset. Per loro sarà fondamentale riuscire a rinnovarsi con nuove persone e nuove idee, pensando a nuovi prodotti e inserendosi in una logica completamente diversa da quella seguita fino ad oggi. In particolare in Rai deve iniziare a trionfare il merito e a entrare aria nuova. Il primo passo è la fine della lottizzazione da un lato e la pretesa di avere editori puri dall’altro. Una cosa è sicura: è un momento di grandi cambiamenti e quindi di enormi opportunità. Con investimenti oculati e un serio indirizzo politico le coglieremo e saremo protagonisti. Forse qualcuno dirà che sto sognando. Me lo dicevano anche nel 2009 e oggi siamo al governo del paese. Inseguiamo i nostri sogni e facciamoli diventare realtà.(Luigi Di Maio, “Le Tv tradizionali hanno i giorni contati, ma la prossima Netflix può essere italiana”, dal “Blog delle Stelle” del 2 luglio 2018).Noi del Movimento è da anni che diciamo che con l’avvento della Rete sarebbe cambiato tutto e i media tradizionali ne avrebbero fatto le spese. Non era una profezia fine a sé stessa, ma un indicatore di dove investire per garantire un futuro al nostro paese. Venerdì Morgan Stanley ha pubblicato un report sul futuro della televisione con dati inequivocabili: in Italia al momento Netflix ha una penetrazione stimata attorno al 6%, ma cresce a un ritmo del 3% l’anno e quindi raggiungerà il 20% in 5 anni. Quello sarà il punto di non ritorno che in America ha coinciso con il declino del consumo della Tv tradizionale. Prevedono quindi che nei prossimi 5 anni gli operatori tradizionali italiani ed europei avranno un calo degli utili del 40%. Come conseguenza di questa analisi, Morgan Stanley ha declassato il suo giudizio su alcune aziende, come Mediaset che è passata da 3,8 a 2 con un tonfo in Borsa di quasi il 5% con un’azione che ora vale 2,7 euro. È andata ancora peggio ai tedeschi: ProsiebenSat perde il 7,53% e Rtl il 7,26%. Il motivo del ribasso è spiegato da altri dati presenti nel testo. Pensate che una volta che Netflix entra in una casa, il consumo di Tv tradizionale cade del 16-30%. Per di più è finita la crescita della pubblicità, che rappresenta tra il 50 e il 90% dei ricavi delle Tv tradizionali. Se proiettate questi dati nel tempo è chiaro cosa succederà.
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Arrangiatevi: così la scuola neoliberista tradisce i ragazzi
Come trasformare un bambino in un “asset”: un individuo solo al mondo, in lotta contro tutti. E’ l’orrore del neoliberismo, sintetizzato da Margaret Thatcher nel 1980: «L’economia è il mezzo, l’obiettivo è quello di cambiare il cuore e l’anima». Si comincia presto, dai banchi di scuola: e il risultato è ormai sotto i nostri occhi, avverte Patrizia Scanu, dirigente del Movimento Roosevelt ed esperta del mondo scolastico. Nata in circoli accademici ristretti, «lautamente foraggiati per contrastare il mainstream economico keynesiano», la teoria economica neoliberista finisce con il diventare in pochi anni, fra gli anni ‘70 e ‘80, la visione dominante dell’economia, grazie agli economisti della Scuola di Chicago come Milton Friedman e Friederich von Heyek. Applicazioni immediate: il Cile di Augusto Pinochet, la Gran Bretagna della “Strega del Nord”, gli Usa di Reagan. Il neoliberismo? «Fondato su una visione assiomatica (ovvero indimostrabile) del mondo». Un mondo economico “ideale”, come «una realtà perfettamente ordinata e regolata da leggi “naturali”, al di fuori di ogni intervento regolatore dello Stato». Homo homini lupus: estremizzando la teoria della “mano invisibile” di Adam Smith, il neoliberismo «postula la spontanea diffusione della ricchezza e del benessere come conseguenza “naturale” dell’assenza di ogni vincolo economico, giuridico, ambientale, politico e sociale all’egoistico perseguimento del profitto».Si tratta di un dogma che non ammette smentite, scrive Patrizia Scanu sul blog del Movimento Roosevelt: l’idea della capacità dei mercati di autoregolarsi viene assunta come principale e indiscutibile legge dell’economia. Pura teologia: «Qualunque fatto che la contraddica – la disoccupazione, l’aumento dell’inflazione, l’arresto della crescita – viene attribuito esclusivamente all’insufficiente libertà del mercato». Per autoconvalida, quindi, «la ricetta è sempre “meno Stato, più mercato” (salvo quando, in modo contraddittorio, si chiede che lo Stato intervenga ad attuare politiche pro-cicliche di austerity o a proteggere il mercato interno dalla concorrenza estera, per esempio)». In questo senso, la teoria accademica – una volta nelle mani dei politici e dei potentati economici internazionali – diventa una ideologia totale, cioè «una produzione intellettuale sostanzialmente falsa e inautentica». Mira a dare ordine alla società e ad orientarne l’evoluzione storica, «che è incorreggibile e pretende di essere universale e globale». In altre parole, il neoliberismo vorrebbe «dire tutto l’essenziale sull’uomo, sotto qualunque cielo e in qualunque circostanza».In economia, continua Patrizia Scanu, le ricette neoliberiste sono principalmente tre: deregulation (ovvero assenza di regole che limitino l’acquisizione di profitti e la circolazione dei capitali), privatizzazioni (sulla base dell’assioma che il privato è più efficiente del pubblico) e riduzione della spesa sociale, per evitare “l’inquinamento” dello Stato nel mondo “perfetto” dei mercati. Una visione «discutibile e astratta dell’economia, strumentale allo spostamento di ricchezza dai poveri ai ricchi». Una concezione che è anche «responsabile dell’aggravarsi della diseguaglianza, della miseria e della disperazione, laddove essa è stata applicata in modo inflessibile (come spiega molto bene il premio Nobel Joseph Stiglitz nel saggio “La globalizzazione e i suoi oppositori”)». Nella realtà storica del processo di globalizzazione, a questa deformazione si accompagna anche e soprattutto «una visione distorta dell’uomo e della vita». Si tratta di «una vera e propria perversione antropologica, che si insinua nelle coscienze, nelle famiglie, nelle comunità e che distrugge in profondità la spontanea propensione umana alla cooperazione, all’altruismo e all’empatia». Infatti, «in questa visione esiste solo il singolo, che persegue avidamente e in modo aggressivo il suo utile egoistico; la vita è una lotta per la sopravvivenza nella quale emerge chi vince nell’incessante competizione per l’accaparramento di beni finiti».L’altro essere umano non è che «una minaccia costante al proprio benessere». Conseguenza: «Il valore di ogni relazione ed esperienza umana si misura con il denaro ed è quantificabile in termini economici». Peggio: «Non esistono limiti etici al diritto di trarre profitto dalle proprie attività, visto che per sgocciolamento (“trickle down”) la ricchezza accumulata dai vincenti porterà comunque benessere a tutti». Lo Stato che spende per i servizi sociali? «E’ vizioso, e il debito pubblico è una sorta di peccato originale che richiede un’espiazione collettiva». I mercati? «Sono l’unico Dio a cui essere sottomessi, senza remissione». Una degradazione infernale della dimensione umana: «La propria felicità si persegue a danno della felicità altrui: mors tua, vita mea, in un eterno gioco a somma zero, in cui la miseria e la sofferenza prodotte sono un male necessario per consentire la crescita indefinita, unico fine dell’attività economica». Una deriva ideologica, ben riassunta dalla famigerata Thatcher: «Non esiste una cosa chiamata società, ci sono solo individui e famiglie». Tradotto: le idee di vita associata, di solidarietà sociale e di beni comuni e inalienabili sono estranee a questa visione del mondo. «Tutto è quantificabile, alienabile e privatizzabile; tutto è subordinato al perseguimento dell’interesse privato e lo Stato non ha alcun ruolo nel mediare fra interessi contrapposti, anche quando i costi umani sono altissimi».Più che nella sommaria tecnicalità economistica, il neoliberismo si esprime – in termini di devastazione sociale – attraverso il modello umano che sottende, e che guida l’azione politica. «Stiamo parlando cioè di un fenomeno di egemonia culturale, nel senso descritto da Antonio Gramsci, ovvero di un pensiero che diventa dominante in un momento storico e consente ai gruppi al potere di esercitare una forma di controllo sulle persone, grazie al fatto che esso viene assunto nelle pratiche sociali, diffuso costantemente e interiorizzato». Questo pensiero egemonico, aggiunge Patrizia Scanu, di fatto «sostituisce una visione del mondo ad un’altra e colonizza le menti, rendendo difficile uscire dal “frame”, dallo schema interpretativo imposto». Per averne un saggio, basti leggere una riflessione di Gary Becker, l’allievo di Friedman che coniò l’espressione “capitale umano”. Testualmente: «Per la maggior parte dei genitori, i figli sono una fonte di reddito psicologico, o di soddisfazione. Pertanto, nella terminologia economica, essi si possono considerare un bene di consumo», scrive Becker. «I figli possono anche fornire reddito, ed in qualche caso sono anche un bene produttivo». Ancora: «Questa caratteristica fa dei figli un bene durevole, sia produttivo che di consumo».«Può sembrare eccessivo, artificiale, forse anche immorale classificare i figli alla stregua di automobili, case o macchinari», ammette Becker, ma aggiunge: le soddisfazioni garantite dai figli sono paragonabili a quelle di altri “beni durevoli”. I figli visti come beni di consumo o, peggio ancora, come bene produttivo? «Rappresentano adeguatamente il livello di stravolgimento assiologico di questo discorso», sottolinea Patrizia Scanu: «Invece di essere funzionale alla vita, l’economia la fagocita e ne inscatola con cinica indifferenza l’infinita ricchezza in una serie di anonimi contenitori tutti uguali e misurabili, che si chiamano “beni di consumo” o “beni produttivi”». Attenzione: «In questo delirio di onnipotenza, i legami familiari, i sentimenti, le aspirazioni, i destini di individui e popoli diventano la variabile dipendente delle leggi “naturali” del mercato, concepite come fisse e immodificabili, come un Fato di fronte al quale si può solo chinare la testa, con pia rassegnazione». E il guaio è che «non ci rendiamo sempre conto di quanto abbiamo finito per considerare normale questa maligna distorsione della realtà “sub specie oeconomica”, che rende pensabile l’impensabile, attraverso l’apparente neutralità del linguaggio scientifico».E’ vero: «Finiamo con l’abituarci al fatto che in molte aree del mondo esistano bambini-schiavi, bambini-soldato, bambini-oggetto sessuale (che sono senz’altro “beni produttivi”) o al fatto che le famiglie possano essere disgregate senza riserve, perché prima vengono le esigenze produttive, quando i genitori devono accettare un posto di lavoro sempre più precario in luoghi diversi e lontani fra loro, quando devono lavorare oltre l’orario per non perdere il posto, quando l’azienda delocalizza l’attività». Oppure, ci diventa familiare «il fatto che i bambini, sempre più soli, vengano tenuti buoni lasciandoli incollati molte ore al giorno ai loro costosi schermi digitali, che li rendono dipendenti e rubano loro esperienze ben più vitali». O ancora, «riusciamo a trovare accettabili le ricette neoliberiste per la scuola, espresse in una “neolingua” economica dalla quale vengono espulsi la vita, la bellezza, la conoscenza, la relazione profonda e la crescita umana». E’ diventato tragicamente normale parlare di “dirigenti” scolastici (come in azienda) anziché di presidi, di “debiti e crediti” formativi, di “offerta” formativa, di “successo” formativo, di “piani e pianificazione”, di “innovazione e imprenditorialità”, di “competenze” intese non nel senso etimologico di un sapere a cui si aspira condividendo esperienza, ma come strumenti per competere alla pari sul mercato, da “certificare” (altra parola della “neolingua”) e da misurare con “test” oggettivi e standardizzati.Patrizia Scanu ricorda il “Portfolio delle competenze” della ministra Moratti, «fulgido esempio di lessico aziendalista». La Buona Scuola di Renzi? «E’ un concentrato di ideologia neoliberista, in cui tutto è finalizzato a trasformare la scuola in un’azienda, i docenti in passivi impiegati privi di autonomia professionale e costantemente sotto ricatto economico e psicologico, gli studenti in docili schiavi da addestrare per le esigenze del mondo del lavoro, ma privi di creatività e di senso critico». E’ una dimensione in cui il tempo-scuola – sempre più ridotto dal 2008 in poi, fino alla trovata dei licei quadriennali – è un tempo «infarcito di attività accattivanti, ma prive di sostanza culturale, come il Clil (ovvero l’insegnamento di una materia in lingua straniera con didattica smart) o la didattica multimediale». Ormai il mondo del lavoro «entra di prepotenza nella didattica, diventandone lo scopo». E arriva, con il nuovo esame di Stato, «a valutare l’alunno, al posto del docente, per una parte cospicua del voto finale». E gli enti certificatori esterni, come l’Invalsi (che entrerà anch’esso nella valutazione finale dello studente) sottraggono una bella fetta di autonomia didattica al docente, «costringendolo all’aberrazione del “teaching to test”, cioè a sacrificare ulteriormente la filosofia, la matematica, la storia o la letteratura alla preparazione al test standardizzato».La verità, sintetizza Patrizia Scanu, è che «nell’orizzonte ideologico neoliberista non esistono né l’uomo né il cittadino, ma solo il lavoratore e il consumatore». E la standardizzazione «livella ogni differenza di personalità e di profili attitudinali individuali». Da quest’anno, poi, nella valutazione finale in uscita dalla scuola primaria (a 10 anni!) entra una qualità comportamentale che si chiama “Spirito di iniziativa ed imprenditorialità”, «tanto per chiarire subito qual è il fine». Obiettivamente, un bambino che cresce “intossicato” da questa visione del mondo «è pronto ad accettare qualunque lesione ai propri diritti, a considerare normale l’egoismo e naturale competere con gli altri, a dare per scontata la “durezza del vivere” che è il prezzo della crescita». Ed è pronto a considerare il lavoro una specie di condanna, «anziché la propria emancipazione personale e civile come scopo dello studio». Il bambino si abitua a non fare mai domande, «poiché tutto è già pianificato, predisposto e certificato: ogni conoscenza è misurabile e quantificabile, e ciò che esula dalla misura standardizzata (il pensiero critico, il gusto estetico, la creatività) non ha più posto nella sua formazione e nel suo portfolio delle competenze».In questo modello di scuola, aggiunge Patrizia Scanu, scompare anche l’autonomia didattica del docente, «compressa dalla pressione ministeriale a conformarsi ai metodi via via imposti dall’alto come innovativi», fino all’alternanza scuola-lavoro (che sottrae tempo alla didattica) e all’influenza dei datori di lavoro che valutano gli studenti. Ci sono i vincoli dell’Invalsi, la valutazione meritocratica (economicistica), i risultati quantificabili con il “successo formativo” degli allievi. E ancora: l’ingerenza dei privati nel finanziamento e nella gestione degli istituti. Secondo il piano renziano, «le risorse pubbliche non saranno mai sufficienti a colmare le esigenze di investimenti nella nostra scuola». Per questo intervengono le risorse private, che «possono contribuire a trasformare la scuola in un vero investimento collettivo». La scuola è una frontiera mobile, si legge nel documento: «Se pensiamo alle sfide della competizione globale, al dinamismo di una società sempre più multiculturale, alla rapidità del cambiamento tecnologico, capiamo subito le esigenze di una continua sperimentazione educativa. Vale per la scuola quanto è ormai ovvio per moltissimi altri ambiti, a partire dalla ricerca: sommare risorse pubbliche a interventi dei privati è l’unico modo per tornare a competere».Via libera ai fondi privati, visto che lo Stato chiude i rubinetti: ben vengano fondazioni e altri enti per la gestione di risorse provenienti dall’esterno, privi di “appesantimenti burocratici”. Tanto per essere chiari, osserva Patrizia Scanu: la scuola deve attrezzarsi alla competizione globale «data come indiscutibile», dev’essere in continua sperimentazione «come se fosse sempre in funzione di esigenze esterne a sé e priva di riferimenti culturali», deve accogliere senza controllo finanziamenti privati «con le relative pressioni esterne», e deve diventare “un investimento collettivo”, trasformandosi in una fondazione. «Ma i soggetti di questo “noi” non sono precisati e sono facilmente individuabili nei capitali privati. Eccolo lì, il punto-chiave, quello su cui pochissimo si è detto ai cittadini: la scuola-fondazione non è la scuola pubblica della Costituzione: non forma uomini e cittadini, ma lavoratori già pronti a entrare velocemente e senza diritti nel mondo del lavoro». Quella scuola, scrive Patrizia Scanu, «non colma le disuguaglianze sociali, ma le accentua, rendendole territoriali». Peggio: «Non rilascia titoli con valore legale, ma certificazioni di competenze, abbandonando i singoli alla leggi spietate del mercato. E non educa, ma si limita ad istruire secondo la volontà di chi la finanzia».Siamo all’applicazione scolastica dell’ingegneria sociale promossa dagli “stregoni” della Scuola di Chicago: «Ritroviamo qui per intero il Verbo neoliberista: deregolamentare, privatizzare e tagliare servizi pubblici con la scusa del debito pubblico e della carenza di fondi, unica realtà immodificabile». La stessa autonomia scolastica, nata per superare il centralismo burocratico della scuola statale, attraverso questa pericolosa “mutazione genetica” diventa «la solitudine darwiniana della scuola, che deve mantenersi a galla nella lotta per la sopravvivenza escogitando sempre nuovi modi per attrarre finanziamenti, perdendo ogni reale autonomia e diventando, nella sostanza, privata». Questo, conclude Patrizia Scanu, è un crimine politico: «E’ un tradimento del compito educativo della scuola ed è un violento assalto ai valori sui quali si fonda la scuola della Costituzione». Una deriva in apparenza inarrestabile, alla quale – oggi più che mai – è necessario opporre contromisure strategiche.Come trasformare un bambino in un “asset”: un individuo solo al mondo, in lotta contro tutti. E’ l’orrore del neoliberismo, sintetizzato da Margaret Thatcher nel 1980: «L’economia è il mezzo, l’obiettivo è quello di cambiare il cuore e l’anima». Si comincia presto, dai banchi di scuola: e il risultato è ormai sotto i nostri occhi, avverte Patrizia Scanu, dirigente del Movimento Roosevelt ed esperta del mondo scolastico. Nata in circoli accademici ristretti, «lautamente foraggiati per contrastare il mainstream economico keynesiano», la teoria economica neoliberista finisce con il diventare in pochi anni, fra gli anni ‘70 e ‘80, la visione dominante dell’economia, grazie agli economisti della Scuola di Chicago come Milton Friedman e Friederich von Heyek. Applicazioni immediate: il Cile di Augusto Pinochet, la Gran Bretagna della “Strega del Nord”, gli Usa di Reagan. Il neoliberismo? «Fondato su una visione assiomatica (ovvero indimostrabile) del mondo». Un mondo economico “ideale”, come «una realtà perfettamente ordinata e regolata da leggi “naturali”, al di fuori di ogni intervento regolatore dello Stato». Homo homini lupus: estremizzando la teoria della “mano invisibile” di Adam Smith, il neoliberismo «postula la spontanea diffusione della ricchezza e del benessere come conseguenza “naturale” dell’assenza di ogni vincolo economico, giuridico, ambientale, politico e sociale all’egoistico perseguimento del profitto».
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“Élite satanista, mi han coinvolto nel ’sacrificio’ di bambini”
Sacrifici umani – vittime, i bambini – per poi ricattare a vita i partecipanti, membri della super-élite finanziaria internazionale. E’ il contenuto della scioccante video-intervista realizzata dalla giornalista olandese Irma Schiffers per il network indipendente “De Vrije Media Tv”. Nel filmato, pubblicato su YouTube, a vuotare il sacco è un uomo dall’aspetto giovanile, il connazionale Ronald Bernard, esperto in “psicologia della finanza”, settore che si occupa della “persuasione del cliente”. Decisamente scosso, Bernard, quando rievoca l’esperienza che sostiene di aver vissuto: si sarebbe rifiutato, all’ultimo istante, di abusare di minori, durante riti “satanici” organizzati da esponenti, insospettabili, del massimo potere. Gli occhi gli si riempiono di lacrime. «Bambini…», dice, a mezza voce. Sembra sconvolto, al ricordo. «Ti è stato chiesto di farlo?», gli domanda l’intervistatrice. «Sì, ma io non ho potuto». S’interrompe, non riesce quasi più a parlare. Poi si riprende: la sua coscienza, dice, si è come «scongelata», e allora ha detto di no. «Quando si entra così profondamente in queste cerchie – racconta – ti fanno firmare un contratto a vita: non devi divulgare i nomi delle imprese, delle organizzazioni o delle persone. Penso sia per questo che sono ancora in vita», sostiene Bernard, che infatti si guarda bene dal fare nomi.La sua lunghissima intervista, sottotitolata in francese e tradotta in italiano sul blog di Maurizo Blondet, illumina retroscena allucinanti come quelli esplorati dal romanzo “Nel nome di Ishmael”, per il quale l’autore – Giuseppe Genna – ricevette complimenti da Francesco Cossiga, che al telefono gli disse: «Bravo, Genna. Vedo che ha capito come funziona, quel sistema». La trama del romanzo “svela” un’organizzazione segreta, Ishmael, dietro cui si celano i vertici del potere planetario: economia, finanza, politica, militari, servizi segreti. Il loro “metodo”? Assassinare leader scomodi, facendo precedere l’attentato dal sistematico ritrovamento del cadavere di un bambino, a volte anche neonato, orribilmente abusato e “sacrificato”. «La maggior parte di quelle persone – dice oggi l’olandese Bernard – aderisce a una religione speciale», che lui chiama “luciferina”. Nel 2016, fece scalpore – in Svizzera – la sconcertante performance “artistica”, musicale e multimediale, messa in scena per l’inaugurazione del traforo ferroviario del Gottardo: una coreografia spettacolare, con decine di figuranti dall’aspetto sub-umano, ridotti a schiavi, in adorazione di un dio-caprone. Il tutto, sotto lo sguardo impassibile delle massime autorità europee.«Io ero in contatto con questi circoli, queste reti», racconta Bernard alla Schiffers. «Per me non erano che clienti», spiega. «Quindi ho frequentato dei posti chiamati “Chiesa di Satana”», ma solo «come visitatore: un invitato, lasciato in disparte». E quelli? «Facevano le loro “sante messe” con donne nude e alcolici». All’epoca, continua l’olandese, «tutto questo semplicemente mi ha divertito». Niente di serio, insomma. Ma poi, un giorno, Bernard racconta di esser stato «invitato, all’estero, a partecipare a dei sacrifici». E qui l’uomo comincia a crollare: parla di bambini, dichiara di esserne rimasto sconvolto. Fra interruzioni, imbarazzi e commozione, lascia capire di essersi rifiutato di partecipare a qualcosa di abominevole. «Dopo questo, ho cominciato lentamente a crollare». Eppure, dice, quello era il mondo nel quale si era trovato: «Così ho iniziato a rifiutare incarichi professionali: non potevo più eseguirli». Il suo rifiuto, dice, l’ha messo in pericolo: «Questo ha fatto di me una minaccia – per loro, ovviamente. Non riuscivo più a funzionare in modo ottimale, vacillavo, rifiutavo alcuni compiti. Non avevo partecipato…».Lo scopo di quei riti tenebrosi? «E’ di tenere tutti in pugno, col ricatto. Devi poter essere soggetto al ricatto. E lo fanno attraverso i bambini. Questo mi ha sconvolto», scandisce Ronald Bernard, tra le lacrime. «Purtroppo – aggiunge – la verità è che ciò avviene nel mondo intero, e da migliaia di anni». Il finanziere olandese cita la Bibbia e parla di Satana, aggiungendo di aver studiato teologia «per dare un senso a tutto questo», dopo esser stato un “numero uno” in tutt’altro campo, quello della “psicologia delle masse” applicata al business: «Ero capace di manipolare le situazioni a mio vantaggio». L’intervistatrice evoca il Tavistock Institute, il controllo mentale, progetti Cia come l’Mk-Ultra. Bernard annuisce: «Sì, esattamente, ma questo fa parte del mio lavoro». E spiega: «Quando fate transazioni, dovete anche manipolare i media; dovete manipolare molte cose, perché niente può essere lasciato al caso. Tutto è falsato. Ci si abitua a vedere la gente come un gregge di pecore. Usate qualche cane da pastore per mandarle dove volete voi. E francamente, vedo che questo continua dappertutto. La gente non capisce di essere manipolata, è completamente assorbita in un meccanismo di sopravvivenza – e questo è programmato. E scoprite com’è facile, manipolare le masse in una direzione, quando a tirare i fili siete voi».Puro cinismo, nel super-vertice evocato dal “pentito” Bernard: in quei circoli esclusivi, dice, «noi le persone le mastichiamo: sono solo un prodotto, spazzatura». E così tutto il resto: «La natura, il pianeta, tutto può bruciare, tutto per noi può essere distrutto: sono solo parassiti inutili. Servono solo a farci crescere, a farci raggiungere i nostri obiettivi». I super-malvagi, secondo Bernard, agiscono per odio puro, in purezza ascetica e fanatica: odio per il genere umano, la natura, la “creazione”. Devastazioni orrende, a ogni livello – dal “sacrificio” di minori a quello, economico, di interi popoli – compiute come fossero “offerte votive” per la contro-divinità a cui questa oligarchia sarebbe devota. «Sono pochi quelli che non sottovalutano la gravità di tutto questo», insiste Bernard. «Perché questa è una forza annientatrice, che odia l’umanità. Odia la creazione, odia la vita. E farà di tutto per distruggerci completamente. E il loro modo per farlo è dividere l’umanità: “divide et impera” è la loro verità». Bernard denuncia il largo impiego dei servizi segreti, per produrre terrorismo e guerre allo scopo di «creare una quantità di sofferenza e miseria in questo mondo».Traffico di droga, di armi e anche di esseri umani: sono metodi, dice ancora Bernard, attraverso i quali si implementano i fondi neri delle strutture di intelligence incaricate di organizzare “l’inferno in Terra”. Dice: «L’intero mondo che crediamo di conoscere è una illusione». Quello che «ci vien fatto credere», aggiunge, è integralmente falso. Lui sostiene di averlo scoperto grazie al tiopo di lavoro che ha svolto. «Tutto è finanziato», insiste, alludendo per esempio all’Isis. «C’è tutto un mondo invisibile», dice Bernard, che ammette di aver da poco “scoperto” i Protocolli dei Savi di Sion, storico falso documentale, fabbricato per alimentare l’antisemitismo. Un capolavoro di manipolazione, fabbricato in Russia dall’Okhrana, la polizia segreta zarista, e pubblicato nel 1903. Dopo oltre un secolo, Ronald Bernard lo trova interessante: «Se lo studi e lo capisci, è come leggere il giornale della vita quotidiana». Ma, a parte le anticaglie del razzismo europeo pre-hitleriano, il finanziere olandese che denuncia i “riti satanici” dell’élite, col “sacrificio dei bambini”, appare sinceramente scosso e allarmato: «La gente non si difende, non si oppone. Non capisce cos’è davvero la realtà». Ancora, cita il Satana della Bibbia, ormai demistificato dall’esegesi: nell’Antico Testamento, il “satàn” era un ruolo sociale, quello dell’oppositore giudiziale, nel caso di controversie. Questo però non toglie che, ai piani alti del potere, si possa credere che esista davvero, il “principe del male”: cui magari “sacrificare” innocenti?Sacrifici umani – vittime, i bambini – per poi ricattare a vita i partecipanti, membri della super-élite finanziaria internazionale. E’ il contenuto della scioccante video-intervista realizzata dalla giornalista olandese Irma Schiffers per il network indipendente “De Vrije Media Tv”. Nel filmato, pubblicato su YouTube, a vuotare il sacco è un uomo dall’aspetto giovanile, il connazionale Ronald Bernard, esperto in “psicologia della finanza”, settore che si occupa della “persuasione del cliente”. Decisamente scosso, Bernard, quando rievoca l’esperienza che sostiene di aver vissuto: si sarebbe rifiutato, all’ultimo istante, di abusare di minori, durante riti “satanici” organizzati da esponenti, insospettabili, del massimo potere. Gli occhi gli si riempiono di lacrime. «Bambini…», dice, a mezza voce. Sembra sconvolto, al ricordo. «Ti è stato chiesto di farlo?», gli domanda l’intervistatrice. «Sì, ma io non ho potuto». S’interrompe, non riesce quasi più a parlare. Poi si riprende: la sua coscienza, dice, si è come «scongelata», e allora ha detto di no. «Quando si entra così profondamente in queste cerchie – racconta – ti fanno firmare un contratto a vita: non devi divulgare i nomi delle imprese, delle organizzazioni o delle persone. Penso sia per questo che sono ancora in vita», sostiene Bernard, che infatti si guarda bene dal fare nomi.
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Bavaglio al web, anche 6 anni di carcere per i blog scomodi
Sei anni di carcere per i cittadini, i blogger e le testate che pubblichino anche una sola informazione in grado di violare i dati personali o di ledere l’onore e la reputazione di qualsiasi soggetto, con confisca del telefono, del computer e rimozione del contenuto obbligatoria. È questa la novità di agosto (in realtà del 27 luglio) della proposta di legge C 3139 (prima firmataria la senatrice Dem Elena Ferrara) che, con l’accordo di tutte le forze politiche, eccetto alcuni parlamentari di opposizione che ne hanno contestato l’applicazione, verrà votato dalla Camera a partire dal 12 settembre prossimo. La norma che dovrebbe occuparsi di cyberbullismo, quindi teoricamente di tutela del minore, transitando alla Camera, con i relatori Dem Micaela Campana e Paolo Beni è divenuta, con i profondi ritocchi dei relatori e della Commissione riunite Giustizia e Affari sociali, una vera e propria norma ammazza-web, che riguarda anche e soprattutto ogni maggiorenne che si affaccia alla rete Internet.E sì, perché diversamente dalla disposizione originaria approvata anche dal Senato, che era incentrata principalmente sulla tutela del minore, il testo uscito il 27 luglio, è stato completamente stravolto, divenendo una norma repressiva sul web a tutti gli effetti. Le Commissioni hanno approvato diversi emendamenti tra i quali questo testo: “2-bis. Ai fini della presente legge, con il termine ‘cyberbullismo’ si intende qualunque comportamento o atto, anche non reiterato, rientrante fra quelli indicati al comma 2 e perpetrato attraverso l’utilizzo della rete telefonica, della rete internet, della messaggistica istantanea, di social network o altre piattaforme telematiche. Per cyberbullismo si intendono, inoltre, la realizzazione, la pubblicazione e la diffusione on line attraverso la rete internet, chat-room, blog o forum, di immagini, registrazioni audio o video o altri contenuti multimediali effettuate allo scopo di offendere l’onore, il decoro e la reputazione di una o più vittime, nonché il furto di identità e la sostituzione di persona operate mediante mezzi informatici e rete telematica al fine di acquisire e manipolare dati personali, nonché pubblicare informazioni lesive dell’onore, del decoro e della reputazione della vittima”.Nel testo e nelle altre disposizioni scompaiono i riferimenti ai minori al fine di delimitare l’ambito di applicazione della norma. In base a questa questa, qualsiasi attività, anche isolata (e quindi effettuata anche una sola volta), compiuta dai cittadini anche maggiorenni sul web conferisce la possibilità a chiunque (altra innovazione portata dalla Camera) di ordinare la cancellazione di contenuti, salva la possibilità che questa attività venga ordinata dal garante privacy. E chi non si adegua? Rimozione e oscuramento dei contenuti e sanzione sino a 6 anni di carcere. In pratica le attività di critica sui social network, attraverso blog o testate telematiche, farà scattare la possibilità di richiedere la rimozione del contenuto, dell’articolo, del messaggio, di qualsiasi cosa insomma sia presente sul web, con la possibilità di far bloccare il contenuto anche rivolgendosi al garante privacy.Un blog scomodo, una commento troppo colorito sul forum, una conversazione un po’ ardita tra maggiorenni su Whatsapp, qualsiasi pubblicazione di dati a opera di maggiorenni, qualsiasi notizia data su un blog o su una testata, e che riguardano maggiorenni, ricadranno in quella definizione e saranno oggetto di possibile rimozione. Da Facebook a Whatsapp ai blog tutto viene inserito nella furia iconoclasta del legislatore pronto a punire le attività peccaminose dei maggiorenni sul web. Con buona pace del cyberbullismo sui minori che è divenuto un elemento del tutto residuale della norma. Un bavaglio in piena regola. Per essere sicuri che chiunque potesse essere assoggettato a sanzione i relatori personalmente hanno pensato bene di far approvare una nuova norma (l’articolo 6 bis della proposta) che prevede per tutti i cittadini la possibilità di essere sanzionati con un reato che prevede il carcere fino a 6 anni, e – si badi bene – la confisca di tutto quanto sarebbe servito per commettere il reato.A opporsi a questa deriva sono stati solo un drappello di parlamentari del Movimento 5 Stelle, Baroni, Lorefice e Agostinelli, che si sono battuti duramente per il ritorno allo spirito originario della norma, ovvero alla tutela attraverso azioni di sostegno e di reazione rapida a beneficio dei minori. Senza però ottenere risultati a quanto pare, dal momento che a partire dal 12 settembre la Camera potrebbe varare definitivamente il testo uscito dalle Commissioni. C’è tempo fino all’8 settembre per emendamenti. Con la speranza che settembre non porti con sé, insieme al fresco, anche la prima norma liberticida per il web del 2016.Sei anni di carcere per i cittadini, i blogger e le testate che pubblichino anche una sola informazione in grado di violare i dati personali o di ledere l’onore e la reputazione di qualsiasi soggetto, con confisca del telefono, del computer e rimozione del contenuto obbligatoria. È questa la novità di agosto (in realtà del 27 luglio) della proposta di legge C 3139 (prima firmataria la senatrice Dem Elena Ferrara) che, con l’accordo di tutte le forze politiche, eccetto alcuni parlamentari di opposizione che ne hanno contestato l’applicazione, verrà votato dalla Camera a partire dal 12 settembre prossimo. La norma che dovrebbe occuparsi di cyberbullismo, quindi teoricamente di tutela del minore, transitando alla Camera, con i relatori Dem Micaela Campana e Paolo Beni è divenuta, con i profondi ritocchi dei relatori e della Commissione riunite Giustizia e Affari sociali, una vera e propria norma ammazza-web, che riguarda anche e soprattutto ogni maggiorenne che si affaccia alla rete Internet.
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Cari grillini, che c’entra Renzi con la Grande Guerra?
Lo storico Aldo Giannuli, amico di vecchia data di “Radio Popolare”, ha pubblicato in questi giorni due interessanti articoli dedicati alla “storia per anniversari” in cui pone dei problemi e articola delle riflessioni stimolanti e che ci hanno “tirato in causa”, facendoci riflettere sul nostro lavoro di queste settimane. Storia per anniversari? Parliamone. Come si fa a non essere d’accordo con il professor Giannuli: l’anniversarismo è la malattia infantile (o senile?) della storiografia. Una prova viene dall’attuale dibattito parlamentare. Il vicecapogruppo del “Movimento 5 Stelle”, Andrea Cecconi, ha twittato questo messaggio: “A 100 anni dalla Grande Guerra, la trincea è divenuta ideologica”. In un solo tweet, l’esponente del “Movimento 5 Stelle” fa un parallelismo tra le trincee militari e quelle dell’opposizione e cita uno dei padri della Costituzione, Pietro Calamandrei.Con tutta la comprensione per la posizione del gruppo grillino contro la riforma istituzionale proposta da Renzi è davvero un’iperbole insopportabile quella di paragonarsi a un alpino sull’Ortigara o a un fante sulla Marna. Perché a Palazzo Madama non si rischia di morire; perché i soldati italiani cent’anni fa non stavano difendendo la democrazia contro la dittatura; perché molti di quei militari neanche sapevano perché stavano combattendo in quelle spaventose condizioni. Quello di Andrea Cecconi è lo stesso salto mortale doppio carpiato che fanno i giornalisti quando urlano “strage” per un incidente stradale o “emergenza meteo” quando nevica fuori stagione. Decontestualizzano, ingigantiscono (o minimizzano), falsificano. Perché possono farlo senza “pagare pegno”? Perché nessuno insegna più la storia come si dovrebbe.La citazione di Calamandrei è pertinente: il giurista e politico parlava proprio di quella Costituzione che il vicecapogruppo del “Movimento 5 Stelle” rivendica di difendere con la sua azione parlamentare. Ma suggerisce l’idea che trincee e Costituzione facciano parte di un unico pacchetto. Il che – oggettivamente – è un po’ difficile da sostenere. Spezzo però una lancia a favore dell’anniversarismo, denunciato da Aldo Giannuli come principale colpevole di «una percezione “a chiazze” del sapere storico [...] che spesso è peggio della totale ignoranza della storia, perché ha effetti “falsificanti” anche maggiori». Sarà banale, ma dipende da come si usano gli anniversari: in altre parole dipende dal dosaggio di capacità divulgativa, precisione nelle fonti e contestualizzazione. Ci sono medium che sono capaci di farlo e altri no. Non dico che con il progetto multimediale “Autista moravo” abbiamo dimostrato di saperlo fare, ma posso assicurare che molti ascoltatori ci hanno comunicato la gratificazione per aver capito meccanismi della storia recente e dell’attualità che prima ignoravano.Meno banale è l’aspetto delle fonti. Mano a mano che entriamo negli anniversari più “vicini”, maggiore è la possibilità di utilizzare fonti audio e video, che rendono più vivace la narrazione. Non è semplice usarle correttamente, ma indubbiamente è più facile mostrare i filmati su come si muoveva la cavalleria, vedere le foto della battaglia, ascoltare il racconto dei sopravvissuti, confrontare i quotidiani. E quindi anche interrogarsi sulla propaganda usata come arma (consigliabile, da questo punto di vista la mostra “La Grande Guerra su grande schermo” aperta da poco al Museo Storico di Trento), sulla manipolazione dell’opinione pubblica, sulle deformazione a posteriori degli avvenimenti. Insomma: non dobbiamo abbandonare l’anniversarismo, ma abbiamo bisogno di storici competenti e di mass media che sappiano usarlo con intelligenza.(Danilo De Biasio, “Storia per anniversari? Parliamone”, dal sito di “Radio Popolare” del 31 luglio 2014).…..storia, Aldo Giannuli, Radio Popolare, anniversari, malattia, infanzia, senilità, storiografia, prove, Parlamento, M5S, Beppe Grillo, Movimento 5 Stelle, Andrea Cecconi, Twitter, social network, Grande Guerra, Prima Guerra Mondiale, ideologia, militari, opposizione, Costituzione, Pietro Calamandrei, riforme, Matteo Renzi, iperbole, alpini, trincee, Ortigara, fanteria, Marna, Palazzo Madama, rischio, morte, soldati, democrazia, dittatura, giornalisti, media, disinformazione, strage, incidenti, emergenza, meteo, menzogne, falsificazioni, scuola, studio, diritto, politica, colpa, cultura, conoscenza, ignoranza, fonti, multimediale, radio, attualità, audio, video, testimonianze, narrazione, cavalleria, sopravvissuti, giornali, propaganda, armi, musei, Trento, manipolazione, opinione pubblica, competenza, intelligenza, Danilo De Biasio,Lo storico Aldo Giannuli, amico di vecchia data di “Radio Popolare”, ha pubblicato in questi giorni due interessanti articoli dedicati alla “storia per anniversari” in cui pone dei problemi e articola delle riflessioni stimolanti e che ci hanno “tirato in causa”, facendoci riflettere sul nostro lavoro di queste settimane. Storia per anniversari? Parliamone. Come si fa a non essere d’accordo con il professor Giannuli: l’anniversarismo è la malattia infantile (o senile?) della storiografia. Una prova viene dall’attuale dibattito parlamentare. Il vicecapogruppo del “Movimento 5 Stelle”, Andrea Cecconi, ha twittato questo messaggio: “A 100 anni dalla Grande Guerra, la trincea è divenuta ideologica”. In un solo tweet, l’esponente del “Movimento 5 Stelle” fa un parallelismo tra le trincee militari e quelle dell’opposizione e cita uno dei padri della Costituzione, Pietro Calamandrei.