Archivio del Tag ‘Nazionalisti’
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Finti sovranisti, innocui: il banco vince sempre, anche in Ue
Il risultato delle elezioni europee ‘migliora’ il quadro politico sia nazionale che continentale, ma solo marginalmente, perché come sempre ha vinto il Banco, cioè la Banca, essendo il gioco truccato. Cattolici, liberali, socialisti, nazionalisti e “sovranisti” si sono tenuti tutti all’interno del perimetro del modello, delle regole e dei meccanismi del capitalismo finanziario mondialista e della sua gerarchia di scopi e poteri, senza metterli in discussione, sebbene sappiano benissimo che sono essi il fomite dei mali sociali, economici ed ecologici che hanno promesso di risolvere – mali che hanno prudentemente imputato ad altre cause. Nessuno di essi è antisistema. Hanno recitato entro il teatrino delle divergenze predisposto per loro, entro il range di posizioni (fintamente) critiche autorizzato dal potere reale. Dietro la facciata di apparente alternatività tra le forze politiche in lizza elettorale, questo dato di fondo le accomuna tutte: tutte hanno cooperato nello spiegare al popolo bue i problemi che lo affliggono, dall’economia all’immigrazione, in termini irrealistici, semplicistici, emotivi – termini fuorvianti, quindi innocui per gli interessi forti. La politica, infatti, è l’arte del possibile, del pragmatismo, che, per raccogliere voti, si fa credere altro.I problemi economici (recessione, disoccupazione, indebitamento) sono stati presentati alla base come frutto di un’errata o avara posizione della cricca eurocratica, e come se si trattasse di conquistare il diritto a fare più deficit, e senza prospettare un piano B per il caso che le cose non cambieranno. Non è stata denunciata la monopolizzazione privatistica del potere monetario e finanziario nelle mani di un cartello sovranazionale, il quale ha da decenni deciso una politica globale di restrizione dello sviluppo reale, di finanziarizzazione della società e della politica, di centralizzazione del potere delle proprie mani, di sottomissione delle istituzioni, dei governi, dei parlamenti, attraverso il loro indebitamento programmato e a strozzo che li rende ricattabili e burattinabili, con enormi incrementi nella diseguaglianza, che hanno portato una minuscola élite al controllo della maggioranza del reddito e della ricchezza, e massacrato i diritti dei lavoratori. E poi li chiamano “populisti”.Neppure si è messo in discussione, prospettando un piano B per il caso di rifiuto dei dovuti correttivi, lo statuto e la gestione delle Bce, né la politica bancaria-monetaria europea che assegna all’Italia metà della liquidità pro capite che dà alla Francia e alla Germania, né il sistematicamente mancato rispetto tedesco dei limiti di surplus commerciale. Il problema dell’immigrazione è stato presentato e travisato in termini di mercanti di esseri umani, di affarismo dell’accoglienza e di abuso da parte degli stessi migranti. Non hanno spiegato, perché non si potevano mettere in urto con Cina, Francia, Belgio e altri paesi, che l’immigrazione sostitutiva di massa, o invasione, è spinta dal fatto che la Cina si sta accaparrandosi le terre africane, e gli occidentali le materie prime; e tutto questo produce le ondate di migranti economici e conflitti che degenerano in croniche guerre e guerriglie locali.Questi due problemi fondamentali, quello economico e quello migratorio, hanno cause e interessi retrostanti così potenti che non si possono nominare al grande pubblico, né li si può additare come avversari da combattere, ma si additano cause e colpevoli abbordabili. I partiti politici “sovranisti” e “populisti” italiani non hanno nemmeno messo in discussione l’impostazione di fondo dell’Unione Europea che, sin dalla sua progettazione, che, sotto la pelle d’agnello di Ventotene, pianifica e sta attuando la concentrazione del potere e delle risorse del continente nelle sue aree più efficienti, ossia in Germania e parte della Francia e dell’Olanda, a spese degli altri paesi. Nessuno ha descritto gli effetti e la funzione dell’Euro a questo disegno strategico, intenzionale. Nessuno ha promesso che porterà l’Italia fuori dall’euro, se l’euro non verrà riformato in modo tale che non abbia più quell’effetto. Nessuno ha fatto un conto oggettivo dei danni e benefici dell’Ue (politica agricola, politica fiscale, politica monetaria): sarebbe stato troppo rivelatore! Dove sono allora il sovranismo e il populismo, all’atto pratico?I partiti creduti sovranisti non sono realmente sovranisti anche perché non hanno messo in luce il problema della posizione appunto subalterna dell’Italia rispetto agli interessi di altri paesi dell’Ue, non hanno proposto una soluzione realistica a questa condizione che ci condanna alla sistematica e progressiva spoliazione e deindustrializzazione e africanizzazione. Si sono limitati a dire che avranno più forza nel Parlamento Europeo, mentre in ogni caso i vari partiti “sovranisti” europei sono e rimangono una minoranza in quel Parlamento, e sono divisi tra loro perché portatori di interessi nazionali in buona parte contrapposti. Non è che Lega e 5 Stelle stiano sprecando le opportunità per mettere in luce e in discussione un sistema di potere contrario agli interessi nazionali: stanno semplicemente evitando di scontrarsi con esso per non essere licenziate. Almeno fino ad oggi.(Marco Della Luna, “Il Banco vince sempre”, dal blog di Della Luna del 27 maggio 2019).Il risultato delle elezioni europee ‘migliora’ il quadro politico sia nazionale che continentale, ma solo marginalmente, perché come sempre ha vinto il Banco, cioè la Banca, essendo il gioco truccato. Cattolici, liberali, socialisti, nazionalisti e “sovranisti” si sono tenuti tutti all’interno del perimetro del modello, delle regole e dei meccanismi del capitalismo finanziario mondialista e della sua gerarchia di scopi e poteri, senza metterli in discussione, sebbene sappiano benissimo che sono essi il fomite dei mali sociali, economici ed ecologici che hanno promesso di risolvere – mali che hanno prudentemente imputato ad altre cause. Nessuno di essi è antisistema. Hanno recitato entro il teatrino delle divergenze predisposto per loro, entro il range di posizioni (fintamente) critiche autorizzato dal potere reale. Dietro la facciata di apparente alternatività tra le forze politiche in lizza elettorale, questo dato di fondo le accomuna tutte: tutte hanno cooperato nello spiegare al popolo bue i problemi che lo affliggono, dall’economia all’immigrazione, in termini irrealistici, semplicistici, emotivi – termini fuorvianti, quindi innocui per gli interessi forti. La politica, infatti, è l’arte del possibile, del pragmatismo, che, per raccogliere voti, si fa credere altro.
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Annullare la Brexit? Ora il divorzio mette in croce Corbyn
Un sondaggio riservato, commissionato dalla campagna pro-Ue “Best for Britain” (che vede tra i suoi finanziatori principali lo speculatore George Soros) suggerisce che gli elettori britannici sarebbero meno propensi a sostenere il Labour qualora il partito dovesse impegnarsi in maniera decisa a fermare la Brexit. Lo rivela il “Guardian”: quasi un terzo degli intervistati avrebbe dichiarato che, in questa circostanza, voterebbe con meno probabilità i laburisti. Un numero simile di cittadini ha affermato che la posizione sul tema non muterebbe l’atteggiamento verso la formazione guidata da Corbyn. Solo il 25% del campione, scrive Andrea Genovese su “Contropiano”, ha dichiarato che un impegno “europeista” del Labour costituirebbe una maggior motivazione per sostenere la compagine. “Best for Britain”, che sta spingendo per un secondo referendum Ue, ha commissionato il sondaggio prima che i parlamentari votassero sull’accordo negoziato da Theresa May con l’Ue (poi clamorosamente respinto dalla Camera dei Comuni). Quanto ai flussi elettorali, il sondaggio afferma che una svolta in favore del secondo referendum ad opera del Labour potrebbe far guadagnare al partito il 9% degli elettori conservatori, ma causerebbe la perdita dell’11% degli attuali sostenitori laburisti.Per la formazion di Corbyn sarebbe una perdita solo parzialmente compensata dal maggiore interesse con il quale guarderebbero al Labour i simpatizzanti dei piccoli partiti pro-Ue, cioè Verdi e Liberaldemocratici. Il leader Jeremy Corbyn, osserva Genovese, si trova in una situazione delicatissima, «stretto tra le smanie europeiste dei settori centristi del suo partito» (71 parlamentari del Labour sostengono apertamente la campagna per un secondo referendum) e la necessità di «rassicurare l’elettorato tradizionale laburista che, soprattutto nel Nord dell’Inghilterra, ha votato in maniera consistente per la Brexit». Fallita la mozione di sfiducia al governo May (che è rimasto in piedi) e incassata l’indisponibilità dei Liberal-Democratici a sostenere simili tentativi in futuro, l’obiettivo di portare il paese a elezioni anticipate appare lontano. La sua strategia, ricorda Genovese, Jeremy Corbyn l’aveva messa a punto lo scorso settembre a Liverpool: «Superare in avanti le divisioni causate dalla Brexit (da assumere come dato acquisito pur preservando l’accesso all’Unione Doganale), tramite un programma socialmente avanzato col quale parlare alla maggioranza della popolazione, provando a mettere in crisi, nel gioco parlamentare, Theresa May, e a guadagnare le urne anticipate».La strada di Corbyn si fa stretta, secondo “Contropiano”: l’inizio dei colloqui parlamentari ha anche segnalato l’avvio di grandi manovre per riunire Conservatori, Nazionalisti, Centristi e la destra interna laburista intorno ad un nuovo accordo sulla Brexit. Un accordo che, per gli oppositori interni del segretario del Labour, «potrebbe anche avere l’utilità di azzoppare un leader sgradito e del tutto eccentrico rispetto alla recente tradizione del partito, completamente genuflessa ai diktat neoliberisti». A Corbyn guarda anche il variegato panorama – piuttosto disperso – dei progressisti europei che avevano tifato per il “Remain”, nella speranza che proprio il partito laburista (radicalmente rinnovato da Corbyn in senso socialista) potesse fare da contrappeso, nell’ambito dell’Unione Europea, allo strapotere del patto mercantilista franco-tedesco, al quale si sono incresciosamente allineati sia i socialisti francesi che l’Spd tedesca e il Pd italiano. Con la Brexit, i progressisti europei hanno perso – in Corbyn – un alleato potenzialmente strategico. Che ora, come scrive il “Guardian”, dovrà provare a sopravvivere, politicamente, tra le mille insidie (anche interne) innescate dal tormentato divorzio da Bruxelles.Un sondaggio riservato, commissionato dalla campagna pro-Ue “Best for Britain” (che vede tra i suoi finanziatori principali lo speculatore George Soros) suggerisce che gli elettori britannici sarebbero meno propensi a sostenere il Labour qualora il partito dovesse impegnarsi in maniera decisa a fermare la Brexit. Lo rivela il “Guardian”: quasi un terzo degli intervistati avrebbe dichiarato che, in questa circostanza, voterebbe con meno probabilità i laburisti. Un numero simile di cittadini ha affermato che la posizione sul tema non muterebbe l’atteggiamento verso la formazione guidata da Corbyn. Solo il 25% del campione, scrive Andrea Genovese su “Contropiano”, ha dichiarato che un impegno “europeista” del Labour costituirebbe una maggior motivazione per sostenere la compagine. “Best for Britain”, che sta spingendo per un secondo referendum Ue, ha commissionato il sondaggio prima che i parlamentari votassero sull’accordo negoziato da Theresa May con l’Ue (poi clamorosamente respinto dalla Camera dei Comuni). Quanto ai flussi elettorali, il sondaggio afferma che una svolta in favore del secondo referendum ad opera del Labour potrebbe far guadagnare al partito il 9% degli elettori conservatori, ma causerebbe la perdita dell’11% degli attuali sostenitori laburisti.