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Streeck: sovranismo progressista, contro l’élite globalista
Secondo il sociologo tedesco Wolfgang Streeck, i paesi a economia matura hanno di fronte tre precise tendenze, a lungo termine: un declino persistente del tasso di crescita, un aumento costante del debito (pubblico, privato e totale) e un’esplosiva disuguaglianza nella distribuzione del reddito e della ricchezza. Queste tendenze sono tra loro legate, spiega Nicolò Bellanca su “Micromega”: la bassa crescita, intensificando il conflitto distributivo, accentua la disuguaglianza tra i gruppi, mentre a sua volta la disuguaglianza, abbassando la domanda effettiva, riduce la crescita. Di conseguenza il settore finanziario si espande ulteriormente per allargare il credito dei gruppi che più subiscono la disuguaglianza, ma – restringendo l’economia reale e le sue possibilità occupazionali – la stessa finanza approfondisce gli squilibri sociali. Allarme rosso: gli alti livelli di debito innalzano il rischio di crisi finanziarie, che a loro volta – moltiplicando le posizioni debitorie più vulnerabili – accentuano le disparità e rallentano la crescita, e così via. Storia: a circa 250 anni dalla rivoluzione industriale, osserva Bellanca, si sono estremamente affievolite le forze sociali e politiche di contrasto al capitalismo, tra le quali la religione, il socialismo, il nazionalismo e la democrazia. «Il punto è di cruciale importanza, poiché un capitalismo senza oppositori viene lasciato ai suoi meccanismi interni ed è incapace di autolimitarsi».Tutti ci accorgiamo, sottolinea Streeck, che oggi nessuna formula politico-economica, di destra o di sinistra, fornisce un coerente sistema di regolazione al capitalismo. Ma questo succede non tanto per l’assenza di idee progettuali o di leader carismatici, come spesso sentiamo lamentare, bensì «perché nessun intervento riformatore dell’economia può essere efficace se le istituzioni non-economiche sono quasi estinte: non si può curare una malattia in mancanza degli anticorpi». Per Streeck, il capitalismo è ormai ingovernabile per l’attenuarsi dei vincoli che furono in grado di contrastarlo e contenerlo. «Nei momenti cruciali della sua storia, sono state le forze di opposizione a stabilizzare il capitalismo in quanto società: movimenti di classe, etnici o di genere hanno animato i contropoteri della società; movimenti regionali, nazionali o religiosi hanno preservato la coesione sociale; gli Stati socialdemocratici del benessere e i sindacati di massa hanno assicurato una domanda sufficiente nella sfera economica, così come la legittimazione della riproduzione sociale. Il capitalismo vive finché non diventa “puro”, ossia finché non espelle dalla società le forze non-economiche in grado, trattenendone la spinta espansiva, di proteggerlo da sé stesso».Questa tesi non appartiene soltanto a Streeck, rileva Bellanca. In ambito marxista, Rosa Luxemburg sostiene che senza una ulteriore frontiera da valicare, l’accumulazione capitalista s’inceppa. Karl Polanyi aggiunge che nel capitalismo circolano delle “merci fittizie” – il tempo, la natura, il denaro e il lavoro umano – le quali vengono distrutte, o rese inutilizzabili, se affidate alle compravendite mercantili: poiché il capitalismo abbisogna di queste “merci”, deve accettare che siano regolate in maniera non-mercantile, e deve quindi ammettere un proprio limite. Secondo Streeck, la versione neoliberista del capitalismo ha avuto “troppo successo”, colonizzando l’intero mondo della vita e quasi azzerando le controspinte socio-politiche. Smentito il pregiudizio marxista, secondo cui il capitalismo si chiuderà soltanto quando sarà pronta una società migliore, promossa da un soggetto rivoluzionario. «Data la frammentazione dei movimenti antagonisti, manca un gruppo sociale che possa orientare progettualmente la società. Lo scenario futuro più probabile sarà quello in cui il collasso capitalista non sarà seguito dal socialismo, bensì da un periodo di entropia».Per Bellanca, la prognosi di Streeck non è sempre persuasiva, dato che «discute il futuro del capitalismo senza alcun riferimento al luogo in cui il futuro del capitalismo sarà sicuramente deciso: l’Asia». Se non altro, «il suo atteggiamento non scivola nel fatalismo e nell’impotenza politica». Piuttosto, lo studioso tedesco puntualizza: non tutte le maniere con cui attraversare il prossimo “interregno” saranno equivalenti. A suo parere, almeno uno dei fattori non-capitalisti potrà ancora costituire un valido baluardo di resistenza, per i lavoratori e per i cittadini: lo Stato-nazione. «Nel mondo reale, non c’è democrazia al di sopra dello Stato-nazione, ma solo grande tecnocrazia, grandi capitali e grande violenza. I regimi politici capaci di rappresentare gli interessi delle classi subalterne, dei gruppi discriminati e delle popolazioni locali nel mondo si sono formati – quando ciò è avvenuto – soltanto all’interno del perimetro della sovranità statuale». Pertanto, aggiunge Streeck, il rilancio dello Stato politico come Stato sociale democratico potrà costituire uno strumento per temperare e, in parte, regolare la furia del capitale. E mentre il sovranismo di destra si scaglia contro i migranti in nome dell’etnia e rivendica la chiusura delle frontiere, Streeck indica alla sinistra un percorso strategico nel quale la leva del sovranismo progressista contrasti la tirannia “illuminata” di Bruxelles e affronti il tema di come uscire dal totalitarismo globalista.«I neoliberisti – scrive – hanno convinto tanti a sinistra che oggi il solidarismo internazionalista comporta che i lavoratori dei vecchi paesi industrializzati lascino competere sui loro posti i lavoratori delle aree più povere del pianeta. Invece il solidarismo ha significato e significa che i lavoratori si organizzano assieme per impedire al capitale di contrapporre gli uni agli altri in mercati “liberi”, ossia non regolamentati». Su questo terreno, che Bellanca definisce «del sovranismo democratico-costituzionale», la previsione di Streeck s’incontra con quella dell’economista di origine serba Branko Milanovic, secondo cui «i conflitti tra le classi all’interno dei paesi accresceranno, in termini relativi, la loro importanza nel prossimo futuro». Lo stesso Streeck aggiunge che le battaglie dentro e mediante gli Stati-nazione saranno, nel tempo che ci aspetta, l’orizzonte politico meno inefficace e più vicino ai bisogni dei lavoratori e dei cittadini. «Questa coppia di previsioni – conclude Bellanca – presenta implicazioni politiche molto precise per la sinistra da ricostruire».Secondo il sociologo tedesco Wolfgang Streeck, i paesi a economia matura hanno di fronte tre precise tendenze, a lungo termine: un declino persistente del tasso di crescita, un aumento costante del debito (pubblico, privato e totale) e un’esplosiva disuguaglianza nella distribuzione del reddito e della ricchezza. Queste tendenze sono tra loro legate, spiega Nicolò Bellanca su “Micromega”: la bassa crescita, intensificando il conflitto distributivo, accentua la disuguaglianza tra i gruppi, mentre a sua volta la disuguaglianza, abbassando la domanda effettiva, riduce la crescita. Di conseguenza il settore finanziario si espande ulteriormente per allargare il credito dei gruppi che più subiscono la disuguaglianza, ma – restringendo l’economia reale e le sue possibilità occupazionali – la stessa finanza approfondisce gli squilibri sociali. Allarme rosso: gli alti livelli di debito innalzano il rischio di crisi finanziarie, che a loro volta – moltiplicando le posizioni debitorie più vulnerabili – accentuano le disparità e rallentano la crescita, e così via. Storia: a circa 250 anni dalla rivoluzione industriale, osserva Bellanca, si sono estremamente affievolite le forze sociali e politiche di contrasto al capitalismo, tra le quali la religione, il socialismo, il nazionalismo e la democrazia. «Il punto è di cruciale importanza, poiché un capitalismo senza oppositori viene lasciato ai suoi meccanismi interni ed è incapace di autolimitarsi».