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Archivio del Tag ‘Nord Italia’

  • Medico: Italia fragile ma sincera, a minacciarla è il panico

    Scritto il 27/2/20 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Se dal presidente della Repubblica al presidente del Consiglio al governatore di Lombardia, sino al sindaco di Trescore Cremasco e poi ancora sino a medici, funzionari di sanità e infermieri oltre che naturalmente a televisioni e giornali, tutti ci raccomandano di non preoccuparci, allora vuol dire che la situazione è veramente seria. La Lombardia e il Nord Italia, in particolare Milano, hanno preso misure drastiche che dai tempi bellici non si sentivano più nominare. Paesi blindati, chiusura di scuole, università, cinema e teatri, orari ridotti di pub, bar e ritrovi pubblici, perfino le messe per una settimana sono sospese. Misure di manzoniana memoria allora imposte dal tribunale di Sanità: «Si dispose a prescriver le bullette per chiudere fuori dalla città le persone provenienti da paesi dove il contagio si era manifestato, a bruciare robe, a mettere in sequestro case, a mandare famiglie al lazzaretto. I delegati presero in fretta e furia quelle misure che parvero loro le migliori e se ne tornarono, colla trista persuasione che non sarebbero bastate a rimediare e fermare un male già tanto avanzato e diffuso».
    Ma oggi siamo nel 2020 e l’Italia inspiegabilmente è divenuta l’untore d’Europa, i nostri vicini iniziano a guardarci con sospetto e nemmeno noi siamo proprio tranquilli. Certamente non siamo razionali, visto quello che è successo nei supermercati lombardi domenica 23 febbraio. Ci hanno tolto il calcio e abbiamo cercato la gara all’ultimo pacco di pasta. Perché? Nessuno delle migliaia di invasati del carrello saprebbe rispondere freddamente a questa domanda. Anche i cosiddetti esperti sono di opinioni differenti: sentiamo virologi che negano la pandemia e riducono la gravità del coronavirus a poco più di una influenza stagionale (che ha circa 200 morti annuali in Italia), mentre altri sottolineano che il 20% dei colpiti da corona necessitano di ricovero in rianimazione. Insomma, oscilliamo tutti, a diversi livelli, tra il convincerci che va tutto bene e il farci travolgere dal panico più o meno sociale. Ma cosa dovrebbe farci pendere verso uno o l’altro di questi due poli?
    Certo, tecnicamente è una malattia nuova, senza terapia specifica o preventiva, ci sono solo le misure di supporto generiche sino all’intubazione e al respiratore automatico; non è ancora chiaro il meccanismo o il comportamento, quando il pericolo di contagio è massimo. Il cosiddetto paziente zero è introvabile; sono al lavoro matematici e fisici alla ricerca dell’algoritmo perfetto che lo faccia rintracciare. Poi perché questa esplosione proprio in Italia, quando anche Germania e Francia hanno stretti rapporti commerciali e turistici con la Cina? Nascondono qualcosa che noi invece sbandieriamo in maniera del tutto trasparente? Un punto fermo c’è: coronavirus non è né Ebola né peste. Il tasso di letalità aggiornato in Cina è del 3,8 per cento, un po’ minore in Italia dove peraltro sono decedute solo persone anziane e defedate da altre malattie. Gli altri sinora sono guariti. Ma il mettere in fila tutti questi e altri elementi non ci porterà al risultato voluto. Non ci dirà se scegliere speranza o panico.
    Un uomo o una donna soli, isolati, senza un punto fermo, sono fragili e diventano preda di chi è più forte, dei condizionamenti che la nostra società esercita, delle paure e dei sentito dire. Ubbidirà all’ordine di correre al supermercato o di barricarsi in casa. Occorre una saldezza personale e di giudizio data dal rapporto e dal credito con i nostri cari, i nostri simili, cercando il significato del nostro vivere. Insomma tutta questa inaspettata situazione, certamente critica, non può non farci nascere domande sincere, umane (cosa è questa paura? Di che cosa ho paura? C’è speranza? Dove?) Non saranno i nostri scrupoli a cambiare la situazione. Oltre ad usare la ragione, e quindi ad ascoltare e seguire i consigli di chi sta gestendo con competenza la situazione, a continuare a costruire nelle nostre giornate (io non temo di continuare il mio lavoro di medico in corsia o Pronto Soccorso) occorre sperimentare una grande gratitudine per quello che la vita ci ha offerto e che abbiamo sempre dato per scontato, e che adesso paradossalmente ci manca. Coscienti della nostra fragilità ma anche della nostra dipendenza saremo certamente più profondi e più autentici. Affrontando il mare aperto del domani.
    (Patrick Reali, “Non le paure cambiano le cose ma continuare a costruire nelle nostre giornate”, dal “Sussidiario” del 25 febbraio 2020).

    Se dal presidente della Repubblica al presidente del Consiglio al governatore di Lombardia, sino al sindaco di Trescore Cremasco e poi ancora sino a medici, funzionari di sanità e infermieri oltre che naturalmente a televisioni e giornali, tutti ci raccomandano di non preoccuparci, allora vuol dire che la situazione è veramente seria. La Lombardia e il Nord Italia, in particolare Milano, hanno preso misure drastiche che dai tempi bellici non si sentivano più nominare. Paesi blindati, chiusura di scuole, università, cinema e teatri, orari ridotti di pub, bar e ritrovi pubblici, perfino le messe per una settimana sono sospese. Misure di manzoniana memoria allora imposte dal tribunale di Sanità: «Si dispose a prescriver le bullette per chiudere fuori dalla città le persone provenienti da paesi dove il contagio si era manifestato, a bruciare robe, a mettere in sequestro case, a mandare famiglie al lazzaretto. I delegati presero in fretta e furia quelle misure che parvero loro le migliori e se ne tornarono, colla trista persuasione che non sarebbero bastate a rimediare e fermare un male già tanto avanzato e diffuso».

  • Ultimo tango a Perugia: l’autopsia del Movimento 5 Stelle

    Scritto il 30/10/19 • nella Categoria: segnalazioni • (4)

    Il Movimento 5 Stelle potrebbe anche risorgere, se solo ricominciasse a essere se stesso, cioè a riesumare le ruggenti battaglie democratiche ora dimenticate. Tornare a impegnarsi dalla parte dei cittadini lasciando perdere i tatticismi istituzionali e l’abbraccio mortale col Pd? E’ la tesi che Gianluigi Paragone, scomodo giornalista televisivo e ora deputato “dissidente”, rilancia dopo la débacle grillina in Umbria. L’infelice minuetto con Zingaretti, patrocinato da Conte? “Ultimo tango a Perugia”, lo definisce – parafrasando Bertolucci – Francesco Maria Toscano, dirigente di Vox Italia e ora anche collaboratore di Claudio Messora. Tempestiva, la diretta web offerta da “ByoBlu” il 28 ottobre per commentare, a caldo, il “Vaffa Umbro” rimediato dai pentastellati, ridotti al 7,4% e letteralmente “asfaltati” da Salvini. «Ora tutti vorranno la testa di Luigi Di Maio», avverte Debora Billi, già comunicatrice ufficiale (con Messora) dei primi gruppi parlamentari 5 Stelle, nel 2013. «Ma il fatto è – aggiunge – che Di Maio è il meno colpevole di tutti: aveva tentato in ogni modo di evitare l’intesa col Pd, imposta da Grillo».
    Ancora più esplicito il professor Paolo Becchi, filosofo del diritto, un tempo vicino ai 5 Stelle: «Il Movimento è stato creato da Gianroberto Casaleggio e distrutto da Beppe Grillo, con la svolta pro-Pd a cui Di Maio aveva tentato in ogni modo di opporsi». Ma Grillo, a sua volta – rilancia Debora Billi – è stato forse “costretto” a convergere verso Zingaretti e Renzi? L’allusione riguarda probabilmente l’inchiesta in corso sul figlio di Grillo, indiziato di abusi sessuali durante l’estate più pazza della politica italiana. L’indagine è ancora aperta, e il giovane Grillo – per ora solo sospettato di ipotetici comportamenti scorretti nella villa del padre in Costa Smeralda – è già finito nel tritacarne della speculazione polemica: tanto è bastato a Vittorio Sgarbi per tentare di crocifiggere l’ex comico, ora formalmente “garante” (cioè padre-padrone) del Movimento 5 Stelle. Iinsinuazioni? La tesi corrente è di questo tenore: a prescindere dall’esito giudiziario, Grillo si sarebbe sentito potenzialmente ricattato dal clamore mediatico sul caso inerente il figlio. Al punto da ordinare a Di Maio – a malincuore – di mollare Salvini per Zingaretti?
    Paolo Becchi offre un ragionamento diverso, niditamente politico e senza “attenuanti” per Grillo: un minuto prima del “diktat” dell’ex comico, che ha dato vita all’imbarazzante Conte-bis – rivela Becchi nell’instant book “Ladri di democrazia” scritto con Giuseppe Palma – Di Maio aveva offerto a Salvini un robusto rimpasto dell’esecutivo gialloverde, che tenesse conto del vasto successo della Lega alle europee. Il piano del “capo politico” grillino prevedeva il “pensionamento” di Conte, sgradito al leader leghista: Salvini avrebbe ottenuto ministri all’altezza della situazione, e il premier sarebbe stato lo stesso Di Maio. L’accordo era praticamente chiuso, dice Becchi, quando è esplosa la bomba-Grillo, cioè l’ordine di “suicidare” il Movimento 5 Stelle tra le braccia di Matteo Renzi, lestissimo a cogliere al volo l’assist proveniente da Genova. Primo risultato matematico, persino scontato: la disfatta in Umbria alle regionali. Con l’aggravante che il mesto “ultimo tango a Perugia” segnerà il destino del Conte-bis, rischiando di decretare addirittura l’estinzione politica dei 5 Stelle, abbandonati in massa dall’elettorato dopo lo spettacolo offerto dai parlamentari aggrappati alle poltrone.
    Debora Billi evoca un Vietnam inimmaginabile contro Di Maio, a cui ora – in una sorta di guerra per bande – saranno imputati tutti gli errori della gestione politica del Movimento 5 Stelle, benché a tifare per il divorzio da Salvini sia stata l’ala “sinistra”, capeggiata da Roberto Fico. Sollevando lo sguardo verso l’orizzonte, lo stesso Becchi e il giornalista Maurizio Blondet (altro ospite della diretta web di “ByoBlu”) si fanno la seguente domanda: se Salvini eredita “giustamente” i voti ex-grillini sulla base di una speranza di cambiamento, quale sarebbe l’idea di paese offerta dalla Lega? Casaleggio aveva la sua, che poi Grillo ha cancellato. E Salvini? A vincere è la Lega pragmatica dei governatori del Nord Italia, come i prudenti Zaia e Fontana, o la Lega ultra-critica verso l’Ue incarnata da economisti come Borghi, Bagnai e Rinaldi? Va ricordato, comunque, che il governo gialloverde (leghisti inclusi) non aveva certo fatto faville. L’unica certezza – dice Blondet – consiste nel fatto che Salvini ha intercettato il malessere sociale delle periferie, esposte a una non facile convivenza con l’immigrazione, specie africana. Ma a parte il freno agli sbarchi, dove sarebbe il piano leghista per governare l’Italia?
    Nel salotto di Messora, il 28 ottobre, si lascia ascoltare anche il giovane Dario Corallo, candidato “anomalo” delle ultime primarie del Pd: imputa alla sinistra il cedimento storico alle istanze del potere finanziario, e condanna lo scellerato taglio dei parlamentari «che ridurrebbe in modo drastico la già scarsa rappresentanza, allontanando ulteriormente i territori dai centri decisionali». Corallo sogna una convergenza trasversale di forze realmente progressiste, per affrontare a muso duro il rigore Ue e smontare il sistema suicida dei vincoli finanziari che costringe lo Stato a scaricare i costi sociali sulle Regioni, in termini di tagli ai servizi e di maggiori imposte, coi risultati ora sotto gli occhi di tutti. Ma il “Vaffa Umbro” raccontato da “ByoBlu” mette in scena innanzitutto l’autopsia del Movimento 5 Stelle, che ha tradito tutte le promesse elettorali. Ilva, Tap, vaccini, Tav, armamenti, trivelle: capitolazione, su tutta la linea. Gli ex grillini invocano un cambio radicale nella dirigenza. Ma il M5S non ha mai celebrato un solo congresso interno. Democrazia, questa sconosciuta. E l’ultima parola, in ogni caso, spetta a un privato cittadino mai eletto da nessuno: il signor Giuseppe Piero Grillo, detto Beppe.

    Il Movimento 5 Stelle potrebbe anche risorgere, se solo ricominciasse a essere se stesso, cioè a riesumare le ruggenti battaglie democratiche ora dimenticate. Tornare a impegnarsi dalla parte dei cittadini lasciando perdere i tatticismi istituzionali e l’abbraccio mortale col Pd? E’ la tesi che Gianluigi Paragone, scomodo giornalista televisivo e ora deputato “dissidente”, rilancia dopo la débacle grillina in Umbria. L’infelice minuetto con Zingaretti, patrocinato da Conte? “Ultimo tango a Perugia”, lo definisce – parafrasando Bertolucci – Francesco Maria Toscano, dirigente di Vox Italia e ora anche collaboratore di Claudio Messora. Tempestiva, la diretta web offerta da “ByoBlu” il 28 ottobre per commentare, a caldo, il “Vaffa Umbro” rimediato dai pentastellati, ridotti al 7,4% e letteralmente “asfaltati” da Salvini. «Ora tutti vorranno la testa di Luigi Di Maio», avverte Debora Billi, già comunicatrice ufficiale (con Messora) dei primi gruppi parlamentari 5 Stelle, nel 2013. «Ma il fatto è – aggiunge – che Di Maio è il meno colpevole di tutti: aveva tentato in ogni modo di evitare l’intesa col Pd, imposta da Grillo».

  • Sapelli: Macron vuole “mangiarsi” l’Italia, grazie a Renzi

    Scritto il 30/10/19 • nella Categoria: segnalazioni • (2)

    Sventato il “pericolo” gialloverde, ora il Conte-bis non serve più. E Macron potrebbe approfittarne per “prendersi l’Italia”, grazie all’amico Renzi, approfittando del caos politico nel quale versa l’Ue. Lo sostiene Giulio Sapelli, economista e storico, sondato da Marco Biscella per il “Sussidiario”. Tanto per cominciare, suona stonata la lettera della Commissione Europea che chiede chiarimenti al governo italiano sulla manovra 2020: fuoco amico contro un esecutivo allineato a Bruxelles? Il guaio, premette Sapelli, è che non si capisce più chi comandi, in questo momento, nell’Unione Europea: la Commissione von der Leyen è in stallo, al punto che «le trattative sulla Brexit le sta conducendo Juncker». Quanto ai francesi, «si sono messi contro tutti». Macron bloccato l’allargamento Ue a Macedonia e Albania. «C’è un’anarchia terribile», dice il professore, e quindi il Conte-bis è irrilevante. «Un tempo, uno sgarbo simile alla Germania, come quello fatto alla Commissione von der Leyen, non sarebbe mai stato possibile», precisa Sapelli. E la spaccatura a Bruxelles provoca «una caduta di credibilità enorme, di cui approfittebbero subito Cina e Stati Uniti».
    Secondo Sapelli, «i cinesi ci sguazzeranno, in questa carenza di potere». E così potranno perfezionare i loro rapporti con la Nuova Via della Seta, «su cui nessuno intende fare marcia indietro, a cominciare proprio dall’Italia». E Washington? «Gli Stati Uniti non esistono più: esistono due o tre Americhe, impegnate in una lotta spietata l’una contro le altre». Gli Usa, aggiunge il professore, non riescono più a esercitare la loro influenza stabilizzatrice. Gli Stati Uniti, dice, «sono grandi per potersi occupare del mondo, ma non grandi abbastanza per potersene occupare da soli». E quindi, «appena la potenza americana si è dimostrata non più grande come un tempo, si sono subito visti i riflessi sulle divisioni europee», che una volta «si risolvevano nell’ambasciata americana», e oggi non più. «Il problema dell’Europa non sono gli europei, ma gli Stati Uniti, che non riescono più a unire il gregge. Quindi, divisioni ed egoismi nazionali all’interno della Ue aumenteranno sempre di più». E oggi il problema numero uno, in Europa, si chiama Macron.
    Il presidente francese «è alle prese con grossi problemi interni», e ha davanti a sé «una campagna elettorale difficilissima con il suo pseudo-partito diviso, lacerato, a pezzi». Per Sapelli, il suo disegno troverà una via d’uscita gollista. Ovvero: «Fare il duro in Europa, non cooperare. E immaginiamoci un po’ cosa si appresta a fare la Francia in Italia». Allarme rosso: «Ora che sta per arrivare la stagione delle nomine ai vertici degli enti pubblici, la preoccupazione principale di Macron, muovendo quella macchina potente e perfetta che è la diplomazia francese, sarà di affermare la potenza della Francia nell’economia italiana». E non troverà ostacoli? «Renzi è sceso in campo per questo, per aiutare i francesi in questa posizione», sostiene Sapelli. «Situazioni che abbiamo già storicamente vissuto con il Risorgimento, con la Prima Guerra Mondiale: è una vecchia tiritera dei rapporti italo-francesi». Il professore allude anche al Trattato del Quirinale, impostato proprio sotto il governo Renzi: di quel trattato «non si sa nulla», e finora «è stato affidato a parti private: il Parlamento non ne ha mai avuto contezza».
    E dunque – domanda Biscella – che effetti avrà sulla politica italiana questa “comunione d’intenti” tra Macron e Renzi? «Macron si sente un re taumaturgo, invece Renzi è come un contadino che vuole farsi toccare dal re», risponde Sapelli. «Renzi è un elemento di disturbo che lavora per suoi fini, mira a disgregare i partiti. Che è la stessa operazione condotta da Macron per arrivare al potere: lui ha disgregato gollisti e socialisti, Renzi, se lo imita, vuole disgregare il Pd, e prima voleva rottamare tutti. Ma non essendo un re taumaturgo, ha poi dovuto fare un passo indietro». Secondo Sapelli, fino alla stagione delle nomine il governo non dovrà cadere. Poi, potrà succedere. Del resto, aggiunge, la creazione di “Italia Viva” è servita proprio a questo scopo. E il governo Conte-bis è a termine. «Renzi sa benissimo quanto è difficile che questo governo duri», sottolinea Sapelli.
    E la Germania? L’opposizione a 360° di Macron mette a rischio anche il Trattato di Aquisgrana firmato con la Merkel? «Assolutamente no», dice ancora Sapelli: «I legami fortissimi, culturali ed economici, tra Francia e Germania resistono. I due litigano continuamente, ma Berlino e Parigi sono una coppia, invece l’Italia non è fidanzata con nessuno. E’ una signora abbandonata a se stessa». Ma Conte non era il cocco dell’establishment euro-atlantico? «Parlare di un Conte accreditato presso l’establishment mondiale per aver partecipato a un G7 mi sembra un po’ esagerato», dice Sapelli, che non esclude una completa “riabilitazione” di Matteo Salvini. «Il destino di Salvini è nelle mani di Salvini, tutto dipende da cosa farà: se la Lega diventa quello che deve diventare, cioè una nuova Dc, una forza moderata, tutto potrebbe cambiare». Spiega Sapelli: «Le regioni più produttive dell’Italia, in larghissima parte rappresentate dalla Lega, hanno bisogno di un partito che sia ragionevole e riformista».

    Sventato il “pericolo” gialloverde, ora il Conte-bis non serve più. E Macron potrebbe approfittarne per “prendersi l’Italia”, grazie all’amico Renzi, approfittando del caos politico nel quale versa l’Ue. Lo sostiene Giulio Sapelli, economista e storico, sondato da Marco Biscella per il “Sussidiario”. Tanto per cominciare, suona stonata la lettera della Commissione Europea che chiede chiarimenti al governo italiano sulla manovra 2020: fuoco amico contro un esecutivo allineato a Bruxelles? Il guaio, premette Sapelli, è che non si capisce più chi comandi, in questo momento, nell’Unione Europea: la Commissione von der Leyen è in stallo, al punto che «le trattative sulla Brexit le sta conducendo Juncker». Quanto ai francesi, «si sono messi contro tutti». Macron bloccato l’allargamento Ue a Macedonia e Albania. «C’è un’anarchia terribile», dice il professore, e quindi il Conte-bis è irrilevante. «Un tempo, uno sgarbo simile alla Germania, come quello fatto alla Commissione von der Leyen, non sarebbe mai stato possibile», precisa Sapelli. E la spaccatura a Bruxelles provoca «una caduta di credibilità enorme, di cui approfitterebbero subito Cina e Stati Uniti».

  • Strage di poliziotti e carabinieri, 44 suicidi negli ultimi mesi

    Scritto il 02/10/19 • nella Categoria: segnalazioni • (2)

    Né mafia né criminalità comune. La prima causa di morte violenta tra le forze di polizia è il suicidio. Strisciante e imprevedibile, la belva dell’anima azzanna nel silenzio e non molla la presa. Dall’inizio dell’anno sono 44 gli appartenenti alle forze dell’ordine che si sono tolti la vita. Per lo più con l’arma di ordinanza. «Un morto a settimana. È un dato impressionate che dovrebbe indurre i vertici delle varie amministrazioni a riflettere. Non cerchiamo colpevoli, ma antidoti. Se non iniziamo a interrogarci sul fenomeno, rischiamo di piangere altri morti», dice Roberto Loiacono, della Funzione Pubblica della Cgil di Torino. Un dibattito organizzato presso la Camera del lavoro di Torino, rivolto agli operatori del settore, ha delineato un quadro inquietante. E sono soprattutto i dati raccolti a livello nazionale dall’associazione Cerchio Blu, che da anni si occupa di sostegno psicologico per le forze di polizia, a rappresentare la gravità del fenomeno. L’86% di chi si toglie la vita, tra carabinieri, polizia, finanza, penitenziaria e polizie locali, lo fa utilizzando la pistola d’ordinanza. La maggiore concentrazione di casi si registra nel Nord: 42% contro il 31,4% di eventi avvenuti nel Sud e nelle isole.
    La fascia di età “a rischio” va dai 45 e ai 64 anni, che racchiude il 58,13% di suicidi. Segue la fascia tra i 25 e i 44 anni, con il 34,48%. I picchi si sono registrati tra i 43 e 44 anni, e tra 52 e i 49 anni. Il 30,7 % lo ha fatto in un luogo privato, il 27,9% sul posto di posto di lavoro. Il 31% dei casi in estate, il 24% inverno. «Il problema va affrontato con estrema cautela perché i casi sono in aumento», spiega Graziano Lori, presidente dell’associazione Cerchio Blu: «Ci sono paesi, come la Francia, dove la situazione è addirittura più drammatica della nostra». Nel 2014 i suicidi erano stati 43; 34 nel 2015 e nel 2016; 28 nel 2017 e 29 nel 2018. Le polizie locali o municipali, ex vigili urbani, registrano il più alto tasso di suicidi femminili: il 52,6%. I corpi di polizia locale accolgono il 36% di donne in divisa, percentuale più alta rispetto alle altre forze dell’ ordine. A livello nazionale ci sono stati 5 episodi, di cui 2 in un arco temporale di 5 mesi nella sola provincia di Torino.
    «Spesso i comandanti o i funzionari apicali – spiega Emiliano Bezzon, comandante della polizia municipale di Torino – affrontano il problema da un punto di vista di puro rispetto delle norme per evitare ripercussioni sul piano della responsabilità. Non basta togliere l’arma d’ordinanza quando si manifesta un disagio. Io la vedo diversamente. Bisogna andare al di là della semplice gestione del personale. Bisogna prendersi cura delle persone, occuparsi delle criticità individuali». Quali sono i fattori che incidono di più? I contesti lavorativi o le dinamiche personali? Il fenomeno è seguito da un osservatorio nazionale ma i correttivi «andrebbero affrontati con maggior coraggio dalle amministrazioni centrali, che invece preferiscono nascondere il problema», dicono i sindacati. «Tra le valutazioni del rischio lavorativo non è compresa quella dello stress correlato», afferma Nicola Rossiello, segretario regionale del Silp Cgil della polizia e coordinatore nazionale sicurezza sul lavoro. «Dobbiamo obbligare le nostre amministrazioni a confrontarsi con la tragicità del fenomeno. A discutere apertamente dei rischi psicosociali che affliggono tutti gli operatori di polizia, qualunque sia la loro divisa».
    (Massimiliano Peggio, “Il suicidio è la prima causa di morte violenta tra le forze dell’ordine”, da “La Stampa” del 28 settembre 2019; articolo ripreso da “Dagospia”. Secondo l’avvocato Paolo Franceschetti, indagatore di molti misteri italiani, è sospetta l’altissima percentuale di suicidi tra le forze dell’ordine: i fatti di sangue spesso colpiscono agenti in buona salute psicofisica, senza la minima avvisaglia di depressione. Secondo Franceschetti, è possibile che in alcuni casi i “suicidi”, specie tra ispettori di polizia e sottufficiali dei carabinieri e della Guardia di Finanza, siano in realtà omicidi mascherati).

    Né mafia né criminalità comune. La prima causa di morte violenta tra le forze di polizia è il suicidio. Strisciante e imprevedibile, la belva dell’anima azzanna nel silenzio e non molla la presa. Dall’inizio dell’anno sono 44 gli appartenenti alle forze dell’ordine che si sono tolti la vita. Per lo più con l’arma di ordinanza. «Un morto a settimana. È un dato impressionate che dovrebbe indurre i vertici delle varie amministrazioni a riflettere. Non cerchiamo colpevoli, ma antidoti. Se non iniziamo a interrogarci sul fenomeno, rischiamo di piangere altri morti», dice Roberto Loiacono, della Funzione Pubblica della Cgil di Torino. Un dibattito organizzato presso la Camera del lavoro di Torino, rivolto agli operatori del settore, ha delineato un quadro inquietante. E sono soprattutto i dati raccolti a livello nazionale dall’associazione Cerchio Blu, che da anni si occupa di sostegno psicologico per le forze di polizia, a rappresentare la gravità del fenomeno. L’86% di chi si toglie la vita, tra carabinieri, polizia, finanza, penitenziaria e polizie locali, lo fa utilizzando la pistola d’ordinanza. La maggiore concentrazione di casi si registra nel Nord: 42% contro il 31,4% di eventi avvenuti nel Sud e nelle isole.

  • Greta recita: sta minacciando personalmente ognuno di noi

    Scritto il 28/9/19 • nella Categoria: idee • (5)

    Dovete consumare di meno (voialtri, non loro lassù). E dunque: rassegnatevi alla precarietà, all’esclusione sociale. E sentitevi in colpa, se avete appena cambiato il frigo e osato concedervi una vacanza. Dovete smettere, punto e basta. A chi parla, Greta Thunberg? A noi, le vittime dei suoi burattinai. Fino a ieri, la giovanissima attrice svedese si limitava a mormorare, dispensando saggezza dall’alto dei suoi 16 anni. Oggi ha cambiato passo: intima, minaccia, insolentisce. Le hanno messo a disposizione addirittura la platea della Nazioni Unite, per esibirsi nel suo nuovo spettacolo. Una viperetta tracotante, livida: ne saranno felcissimi, gli azionisti del suo business. In primis, a brindare è la filiera industriale delle energie rinnovabili, con la potente macchina di propaganda ben oliata dall’oligarca Al Gore, ex vice di Clinton, l’uomo che ha scatenato la finanza-canaglia globalizzata. Ma in generale, nel mirino della piccola fiammiferaia svedese (ovvero, dei suoi sceneggiatori) c’è suprattutto il famoso 99% dell’umanità, o meglio ancora dell’Occidente, il “primo mondo” che era benestante e che si è improvvisamente impoverito proprio mentre l’economia mondializzata ha moltiplicato in modo esponenziale il Pil finanziario dei decenni precedenti la caduta del Muro di Berlino.
    Il grande artefice del disgelo, Mikhail Gorbaciov, sognava un mondo senza più guerre. Sfrattato dal Cremlino, ha visto l’Urss smembrata e la Russia brutalmente privatizzata e saccheggiata. Ma il colpo da maestro degli strateghi del globalismo a mano armata è stato permettere alla Cina di entrare nel gioco planetario con merci prodotte sottocosto, grazie anche a condizioni schiavistiche di lavoro, senza le tutele sindacali di Europa e Usa. In pochi anni il mondo è esploso, insieme al suo fatturato, in una sorta di festa truccata: l’europeo e l’americano medio hanno perso terreno, hanno smesso di crescere in termini di benessere, hanno cominciato a intaccare i risparmi familiari e a dover mantenere i figli senza lavoro, costretti a non sposarsi o a emigrare all’estero. Devastante il fenomeno delle delocalizzazioni, la fuga delle industrie nei paesi asiatici dove l’operaio costava un dollaro al giorno. In Europa – vero laboratorio mondiale del suicidio tecnocratico della democrazia – la truffa neoliberale ha indossato la maschera austera e perbenista dell’ordoliberismo autoritario, l’ipocrita moralismo del guru austriaco Friedrich von Hayek: l’illuminato economista concepiva il welfare (ridotto a poche briciole, s’intende) solo come misura estrema e preventiva per cautelarsi dalla rivolta delle masse impoverite.
    Agli italiani, personaggi come Ciampi e Prodi avevano presentato l’Ue e l’Eurozona come il paradiso, il regno dell’età dell’oro. Dopo meno di vent’anni non restano che macerie, nazioni che si guardano in cagnesco e che si fanno le scarpe appena possono, mentre il Belpaese (depredato, secondo i piani) ha perso il 25% del suo potenziale industriale. L’Europa intera ha assistito senza muovere un dito alla macellazione senza anestesia del popolo greco: cos’avrebbe da dire, Greta Thunberg, ai sopravvissuti della Grecia che si sono visti scippare il Pireo e gli aeroporti, chiudere i bancomat, tagliare i salari, ridurre le pensioni fino alla soglia della fame? Cicale irresponsabili, quelle che hanno assistito alla morte dei neonati, nei loro ospedali, per mancanza di medicine? Spendaccioni scellerati, i greci, che oggi devono vedersela con piaghe che si credevano sepolte dalla storia, come la malnutrizione infantile? E’ sconcertante la consonanza fra le parole di Greta e quelle degli oligarchi europei che hanno messo la Grecia in ginocchio, accusandola di aver abusato del debito pubblico. La canzone – vagamente nazista – è sempre la stessa: la colpa è vostra, peggio per voi.
    La Thunberg, si sa, è una pedina importantissima della grande manipolazione mediatica sul “climate change”, ovvero la teoria – non suffragata scientificamente – secondo cui il surriscaldamento globale (peraltro appena contestato all’Onu da 500 scienziati) sarebbe di origine antropica. Sommessamente, qualche anno fa, il fisico Carlo Rubbia, Premio Nobel, ricordava che, ai tempi dell’Impero Romano, le temperature medie erano superiori a quelle di oggi. Nel solo medioevo, come gli storici sanno, si è passati dalla mini-glaciazione (che d’inverno congelava il Tamigi e la Senna, attraversabili camminando) al grande caldo del periodo basso-medievale, con colture mediterranee come l’ulivo diffuse ovunque nel Nord Italia. Ancora nom c’era neppure la macchina a vapore, figurarsi le emissioni velenose delle odierne megalopoli. L’inquinamento è tangibile e pericoloso, quello sì: negli oceani galleggiano isole di plastica vaste quanto continenti. Come è possibile che non si impieghi la tecnologia necessaria a bonificare la Terra e riconvertire ecologicamente l’industria? E soprattutto: perché – in primis – i padroni dell’universo che muovono i fili della marionetta Greta vogliono, a tutti i costi, colpevolizzare noi per quanto sta accadendo, raccontandoci addirittura che il degrado della biosfera altera il clima del pianeta?
    E’ tutto talmente surreale da sembrare comico, se non fosse per il caos sanguinoso che sfiora o assedia miliardi di esseri umani. Il cielo è vistosamente coperto dalle emissioni aeree della geoingegneria (guai a chiamarle scie chimiche), mentre l’aviazione Usa ammette, di colpo, che i piloti dei jet sono frastornati dai continui avvistamenti di Ufo. Il Medio Oriente non fa più notizia, eppure dovrebbe: non si è ancora spenta l’eco del terrore scatenato dal sedicente Stato Islamico, protetto e armatissimo da precisi settori dell’intelligence atlantica prima dell’elezione di Trump alla Casa Bianca. Gli stregoni della finanza oggi hanno paura: temono un crollo catastrofico dell’economia fittizia gonfiata dalla speculazione. Mario Draghi smentisce integralmente la sua vicenda professionale e arriva a evocare addirittura la Modern Money Theory, cioè la restituzione della sovranità monetaria agli Stati, mentre Christine Lagarde, in uscita dal Fmi e diretta alla Bce, parla apertamente degli eurobond che metterebbero fine all’incubo dello spread, consentendo all’economia europea di tornare a investire e produrre lavoro. Sono voci frammentarie di élite potentissime che oggi appaiono divise e lacerate da faglie profonde, come quella che oppone il governo Usa al cartello Rothschild, ora schierato con Silicon Valley e con la Cina, pronto a sostituire il dollaro con un’altra possibile valuta internazionale, come propone la Bank of England.
    I segnali non sono rassicuranti, c’è chi teme un collasso che potrebbe spalancare scenari di guerra. Nell’Italia che assiste alla strage indiscriminata di alberi d’alto fusto, tagliati per fare spazio al misterioso 5G (vera incognita, per la salute), i genitori si rassegnano a sottoporre i bambini a vaccinazioni improvvisamente obbligatorie, somministrate in batteria – oggi ai neonati e forse domani anche agli adulti, pena la pedita del passaporto e della patente di guida come in Argentina? Ma non importa, evidentemente, se in tanti battono le mani alla piccola strega Greta Thunberg, che recita a soggetto davanti alle Nazioni Unite puntando il dito contro tutti noi. Un’intimidazione ad personam, minacciosa e sinistra: guai a voi, branco di incoscienti. Come osate continuare a sperare di migliorare la vostra vita? Musica, per le orecchie dei tagliatori di bilanci. Nulla che possa impensierire le major, gli oligarchi, le multinazionali. Greta ce l’ha con noi, con ognuno di noi: punta a far crescere il nostro senso di colpa, quello del giovane che sogna l’auto nuova, del pensionato che fatica ad arrivare alla fine del mese. Grazie a Greta, i cialtroni dell’austerity – da Palazzo Chigi alla Commissione Ue – potranno accanirsi sul popolo bue con meno scrupoli, specie se l’economia mondiale volgerà al peggio. Nuovi sacrifici in vista? Niente paura, in soccorso ai lestofanti arriva la lezione della piccola attrice svedese: soffrire è giusto, ce lo meritiamo.

    Dovete consumare di meno (voialtri, non loro lassù). E dunque: rassegnatevi alla precarietà, all’esclusione sociale. E sentitevi in colpa, se avete appena comprato lo smartphone ultimo modello e avete osato concedervi una bella vacanza. Dovete smettere, punto e basta. A chi parla, Greta Thunberg? A noi, le vittime dei suoi burattinai. Fino a ieri, la giovanissima attrice svedese si limitava a mormorare, dispensando saggezza dall’alto dei suoi 16 anni. Oggi ha cambiato passo: intima, minaccia, insolentisce. Le hanno messo a disposizione addirittura la platea della Nazioni Unite, per esibirsi nel suo nuovo spettacolo. Sembra una viperetta tracotante, livida: ne saranno felicissimi, gli azionisti del suo business. In primis, a brindare è la filiera industriale delle energie rinnovabili, con la potente macchina di propaganda ben oliata dall’oligarca Al Gore, ex vice di Clinton, l’uomo che ha scatenato la finanza-canaglia globalizzata. Ma in generale, nel mirino della piccola fiammiferaia svedese (ovvero, dei suoi sceneggiatori) c’è soprattutto il famoso 99% dell’umanità, o meglio ancora dell’Occidente, il “primo mondo” che era benestante e che si è improvvisamente impoverito proprio mentre l’economia mondializzata ha moltiplicato in modo esponenziale il Pil finanziario dei decenni precedenti la caduta del Muro di Berlino.

  • “Inaugurata” la Torino-Lione, che continua a non esistere

    Scritto il 25/9/19 • nella Categoria: segnalazioni • (3)

    Con l’ipocrisia che lo caratterizza, il Conte-bis riesce a barare persino sul Tav Torino-Lione, evitando di presentarsi in Francia dove è stata completata l’ultima galleria geognostica in cantiere, quella di Saint-Martin-La-Porte, a oltre venti chilometri di distanza dalla frontiera stradale italiana. Cerimonia in pompa magna, con tanto di bandiere. Assente la banda-Conte, per evitare di riacutizzare la sofferenza dei 5 Stelle, che della battaglia NoTav avevano fatto una questione di vita o di morte. Il colmo è che i media – per il quali il mini-cantiere esplorativo di Chiomonte (perpendicolare al tracciato) era «l’anticamera del traforo, ormai in dirittura d’arrivo», ora accusano gli oppositori: ma non avevate raccontato che della Torino-Lione non era stato scavato neppure un metro? Infatti, così è: solo che i 9 chilometri della piccola galleria francese vengono ora contrabbandati per “il primo tronco” della connessione con l’Italia, essendo in asse con l’ipotetica, futura ferrovia. Nulla di strano, in realtà: fedele agli impegni presi nei decenni passati, la Francia ha sempre appoggiato il progetto del traforo, largamente finanziato dall’Italia, senza però varare la connessione ferroviaria tra la frontiera e Lione: Parigi ha infatti stabilito che ne valuterà l’opportunità solo nel 2038, sempre che i dati (oggi contrari all’opera) ne dimostrino l’utilità.

  • Decrescita senza giustizia e ’sviluppo’ mortale per la Terra

    Scritto il 31/8/19 • nella Categoria: idee • (7)

    Il male è in noi, si potrebbe pensare, nel momento in cui accettiamo come un fenomeno fisiologico il fatto che i giovani africani scappino dall’Africa, anziché restare nella loro terra ricchissima e vergognosamente saccheggiata. Accoglierli o respingerli, poi, è decisivo solo per l’umanità migrante, per i singoli, ma non cambia di una virgola il problema (ne cambia solo le conseguenze a casa nostra, non le cause a casa loro, dove di questo passo le cose andranno di male in peggio). C’è un oceano in movimento – domani saranno mezzo miliardo di persone ad abbandonare l’emisfero Sud, secondo l’Onu – ma l’Italia, avamposto mediterraneo dell’Europa, si lascia incantare dalle baruffe tra le cosiddette Ong e un ministro dell’interno. Il Sud del mondo starebbe scappando dall’emergenza planetaria del cambiamento climatico, e l’Occidente dà credito a una ragazzina svedese che racconta che l’impazzimento del clima sarebbe endogeno: come se non sapesse che ai tempi dell’Impero Romano la temperatura media era più alta, e che nel medioevo – dopo la mini-glaciazione che fece gelare la Senna e il Tamigi – si coltivava l’ulivo in tutto il Nord Italia, data la straordinaria mitezza delle temperature in un mondo ancora senza industria, in cui non esistevano neppure i treni a vapore.
    L’emergenza climatica è una catastrofe, ma perché ostinarsi a ripetere che sarebbe indotta dall’umanità? Greta e soci, in fondo, distraggono il pubblico dall’altra calamità – quella sì, interamente terrestre: la devastazione dell’ecosistema, sfruttato in modo pericoloso e inquinato a morte dal modello economico della crescita cieca, della quantità-spazzatura misurata dal Pil. Nulla di tutto ciò rientra, neppure per sbaglio, nell’ordinaria narrazione di un travaglio politico-parlamentare come quello italiano, dove uno solo degli attori in campo, Matteo Salvini, osa ribellarsi all’ingiustizia distributiva adottata – per decreto feudale – dalla sedicente Unione Europea, apparato burocratico di tipo carolingio, più rigido e stolido dei marmorei ministeri sovietici del tempo che fu. Lo stesso Salvini, tuttavia, maneggia soltanto vocaboli logori come “sviluppo”, che suonavano intelligenti ai tempi di Enrico Mattei, scomparso nel 1962. Ha buon gioco, Salvini, nel citare in modo irridente la “decrescita felice” teorizzata da Maurizio Pallante, un tempo ospite degli show di Beppe Grillo quando l’ex comico batteva le piazze italiane per costruire, all’insaputa del pubblico, la base di consenso del futuro Movimento 5 Stelle. Nella teoria della decrescita, la catastrofe non ha padri: tutti colpevoli, quindi nessuno.
    La ricetta: decrescere, con tagli orizzontali, per ridurre i consumi e quindi l’inqinamento. Se questo comporta spaventose diseguaglianze tra ricchi e poveri, che diverrebbero gli uni un po’ meno ricchi e gli altri miserabili, pazienza. Se poi l’unica decrescita tuttora praticata è imposta dal regime Ue calpestando qualsiasi dinamica democratica, ai teorici decrescisti pare non interessi: la giustizia sociale non sembra rientrare fra le preoccupazioni degli ideologi della decrescita, così come lo spaventoso problema dell’impatto ambientale non figura nell’agenda dei pochissimi politici che, come Salvini, cercano giustamente di risollevare l’economia nazionale. Lo stesso Pallante, per contro, pur indicando la crescita del Pil come il nostro maggiore nemico, confida in una possibile soluzione tecnologica, convinto che l’ingegno umano, come già in passato, possa produrre tecnologie a impatto zero. Nulla, comunque, che compaia nell’agenda politica dei partiti italiani. Sfilano piccoli politici, palesemente schiacciati da poteri molto più forti: poteri economici, che non risponderanno mai dei danni che dovessero provocare le loro attività. Morta la politica, restano Greta e le Ong. L’Africa può attendere, insieme alla rigenerazione dell’ecosistema terrestre. Nel frattempo si corre a tutto gas abbattendo la foresta amazzonica e conquistando le rotte artiche della Groenlandia. Destra e sinistra schiamazzano, là in basso, mentre il nostro aereo continua a volare senza pilota.

    Il male è in noi, si potrebbe pensare, nel momento in cui accettiamo come un fenomeno fisiologico il fatto che i giovani africani scappino dall’Africa, anziché restare nella loro terra ricchissima e vergognosamente saccheggiata. Accoglierli o respingerli, poi, è decisivo solo per l’umanità migrante, per i singoli, ma non cambia di una virgola il problema (ne cambia solo le conseguenze a casa nostra, non le cause a casa loro, dove di questo passo le cose andranno di male in peggio). C’è un oceano in movimento – domani saranno mezzo miliardo di persone ad abbandonare l’emisfero Sud, secondo l’Onu – ma l’Italia, avamposto mediterraneo dell’Europa, si lascia incantare dalle baruffe tra le cosiddette Ong e un ministro dell’interno. Il Sud del mondo starebbe scappando dall’emergenza planetaria del cambiamento climatico, e l’Occidente dà credito a una ragazzina svedese che racconta che l’impazzimento del clima sarebbe endogeno: come se non sapesse che ai tempi dell’Impero Romano la temperatura media era più alta, e che nel medioevo – dopo la mini-glaciazione che fece gelare la Senna e il Tamigi – si coltivava l’ulivo in tutto il Nord Italia, data la straordinaria mitezza delle temperature in un mondo ancora senza industria, in cui non esistevano neppure i treni a vapore.

  • Sapelli: siamo spacciati, a Roma nasce il governo Macron

    Scritto il 30/8/19 • nella Categoria: segnalazioni • (19)

    Un governo fragile destinato a durare 6 mesi? Macché. Il Conte-bis durerà fino all’elezione del prossimo presidente della Repubblica. «E Mattarella potrebbe fare il bis», dice il professor Giulio Sapelli, storico dell’economia, intervistato da Federico Ferraù per il “Sussidiario”. Occorre andare in Africa per capire l’orrendo inciucio tra 5 Stelle e Pd, che in realtà è un governo Macron, sostiene Sapelli: nel continente nero la Francia vuole “prendersi tutto” e può contare sull’aiuto (retribuito) delle nostre “compagnie di ventura”, che stavolta permetteranno a Parigi di “finire il lavoro”. «Di fatto, comincia – anzi, riprende – la svendita dell’Italia al capitalismo franco-tedesco», proprio alla vigilia del rinnovo dei vertici delle partecipate italiane, dall’Inps all’Enel, da Leonardo all’Eni. «Il nuovo governo si va formando a tempo di record proprio per questo» afferma Sapelli, che racconta: «Pochi giorni fa ho avuto occasione di vedere il Pireo. È pieno di cinesi coperti d’oro. I greci fanno ormai solo i camerieri, gli autisti e i suonatori. Huawei è dappertutto». Il nostro destino è questo? «Sì, il nostro destino è quello che Einaudi aveva indicato all’inizio del 900: la divisione ricardiana del lavoro affida all’Italia l’agricoltura e il turismo. Oggi ci resterà solo quest’ultimo».
    L’accenno al “ricardismo” richiama “l’economia del granturco” teorizzata dall’inglese David Ricardo e ripresa oggi – in modo paradossale – dall’economia “neoclassica” che ci domina, attraverso l’oligarchia Ue. Tesi: per poter investire, devi prima risparmiare. Era vero nell’800, oggi fa ridere (da quando c’è la moneta “fiat”, illimitata e a costo zero). Ma è il punto cardinale dell’austerity artificiale imposta da Bruxelles, cui ora l’Italia “giallorossa” sembra pronta a piegarsi in modo sconcertante. Dal canto suo, Sapelli è esplicito: «In Italia si insedia il governo Macron. Del resto lo ha annunciato trionfalmente “Repubblica” nel bel mezzo della crisi di governo, il 21 agosto, con una prima pagina memorabile perché scandalosa: “Con l’estrema destra non funziona mai”. Chiediamoci se una cosa del genere può succedere su “Le Monde”». E che dire del tweet di Trump che benedice Conte? «Qualcuno gli ha chiesto di farlo», risponde Sapelli, che precisa: «Intendo: lo ha chiesto al Dipartimento di Stato. Alcuni amici mi hanno detto che la diplomazia americana non ne sapeva nulla». Sarebbe gravissimo, osserva Ferraù. «Non è da meno il G7 di Biarritz», rincara la dose Sapelli. «Si è mai visto un ministro iraniano (Mohammad Javad Zarif) che arriva di soppiatto? La Francia è sempre stata una potenza di mediazione. Certo sono cambiate le modalità».
    Nel XVIII secolo, riassume il professor Sapelli, la Francia se n’è andata dall’America del Nord perché non ha potuto frenare gli inglesi, limitandosi ad appoggiare gli insorti. Da allora, dice, si è ritirata in Africa. «Ed è all’Africa che bisogna guardare per capire cosa sta succedendo in Europa». Il 7 luglio a Niamey, in Niger, è stato firmato l’accordo di libero scambio (Afcta) tra gli Stati africani. Che cosa comporta? «È la creazione di un mercato comune africano, e l’unica potenza europea egemone in grado di approfittarne è la Francia». Parigi, spiega Sapelli, «intende dominare il Mediterraneo». Concretamente, «vuol dire impossessarsi delle rotte energetiche e di quelle logistiche». Attenzione: è un controllo «che la Francia dividerà con la Cina». Secondo Sapelli, a essersi realizzato è il vecchio disegno del nazionalista Sun Yat-sen, fondatore del Kuomintang, pre-maoista. «Sun Yat-sen era affiliato alla massoneria francese. Sognava una vocazione occidentale della Cina: un disegno che Mao ha soltanto interrotto». E il Conte-bis? «Il nuovo governo Conte, a benedizione francese, si spiega con il fatto che Parigi deve assolutamente governare l’Italia se vuole realizzare il suo progetto espansionistico. Si tratta di un governo a vocazione geopolitica eterodiretta da parte francese».
    A questo proposito, Ferraù fa giustamente notare il ruolo di Sandro Gozi: alla vigilia della crisi di governo, l’esponente renziano del Pd è diventato consulente di Macron per gli affari europei. «Un arruolamento volontario, che risponde evidentemente a questo compito». E cioè: tradire l’Italia, a favore della Francia. Quindi chi comanda, adesso, a Roma? «Le nuove compagnie di ventura, i parenti odierni degli Sforza, che si vendevano a tutti». Il Movimento 5 Stelle? «E’ la compagnia di ventura più organica, più malleabile e per questo più funzionale agli obiettivi altrui». Quanto durerà, il Governo del Tradimento? «Sono due gli obiettivi che determineranno la sua durata», risponde Sapelli. «Il primo è l’elezione del prossimo presidente della Repubblica. Perché non un Mattarella-bis? L’altro obiettivo è la trasformazione dell’Italia in una piattaforma logistica per l’entrata della Francia in Africa e la svendita di ciò che resta del nostro apparato industriale a Francia, Germania e Cina». E gli Stati Uniti acconsentono? «Gli americani un po’ non capiscono, un po’ sono divisi», sostiene Sapelli. «Trump è sotto scacco per lo stesso motivo di Salvini, per avere aperto alla Russia. In più sono divisi tra la componente Bush-clintoniana, ispirata dal globalismo finanziario esasperato, e quella del gruppo che sostiene Trump».
    L’Italia ha chiuso, quindi? Siamo finiti, come paese? «L’unica speranza sono le piccole e medie imprese, però devono capire quello che sta accadendo», dice Sapelli. «Soprattutto devono capire che non possono esistere da sole, anche se da sole hanno fatto miracoli». Bisogna che le piccole imprese italiane «si impegnino per salvare un segmento delle grandi imprese e per cambiare la politica economica europea». Una rappresentanza politica ce l’hanno già: è la Lega. «Non hanno ancora afferrato, però, che in questa guerra non si fanno prigionieri». Il Nord, cioè il bacino elettorale di Salvini, produce l’80% del nostro Pil. Impossibile sperare in una proiezione nazionale? «L’Italia avrebbe dovuto fare come Polonia, Bulgaria, Ungheria», dice ancora Sapelli: «Ognuno di questi paesi ha superato le divisioni politiche interne e ha trattato con l’Europa da paese unito. Noi invece abbiamo mancato tutti gli appuntamenti che potevano aiutarci in questa direzione, dal contrasto al terrorismo alla stagflazione. E abbiamo fallito perché l’Italia continua ad essere un paese di compagnie di ventura».
    Se i 5 Stelle suscitano raccapriccio per il loro scandaloso voltafaccia, come definire il Pd? «Un insieme di cacicchi l’un contro l’altro armati, con una compagnia di ventura egemone, quella di Renzi». Altri pericoli in vista: «M5S e Pd vanno assimilandosi, perché anche nel Pd la base sociale e quella territoriale si vanno estinguendo», ragiona Sapelli. «Zingaretti, invece di sostenere il nuovo governo, avrebbe potuto dedicarsi a una rifondazione territoriale. Non lo farà: e questo sarà la fine, del Pd e sua». Resta solo la Lega, a quanto pare, a tifare Italia. «L’unica speranza è che oltre alle piccole medie imprese intercetti e rappresenti la borghesia nazionale. Il problema della Lega – aggiunge Sapelli – è che non ha un pensiero politico», almeno per ora. Ma la lettura dello scempio in corso resta incompleta, se non si considera l’azione del Papa: «Il Vaticano ha svolto un ruolo fondamentale, che andrà approfondito», precisa Sapelli. «Abbiamo assistito a un ritorno della religione in politica, dissimulato da preoccupazioni sociali e teologiche. Il mio caro vecchio Péguy si rivolta nella tomba», aggiunge il professore, riferendosi allo scrittore francese Charles Péguy, cattolico ma inviso all’alto clero per la sua opposizione all’ingerenza ecclesiastica nell’attività politica. Per Sapelli, nel concorrere alla caduta di Salvini, Bergoglio ha commesso un azzardo: «La Chiesa deve stare attenta – chiosa il professore – perché l’adesione alla società dei diritti potrebbe esserle fatale».

    Un governo fragile destinato a durare 6 mesi? Macché. Il Conte-bis durerà fino all’elezione del prossimo presidente della Repubblica. «E Mattarella potrebbe fare il bis», dice il professor Giulio Sapelli, storico dell’economia, intervistato da Federico Ferraù per il “Sussidiario”. Occorre andare in Africa per capire l’orrendo inciucio tra 5 Stelle e Pd, che in realtà è un governo Macron, sostiene Sapelli: nel continente nero la Francia vuole “prendersi tutto” e può contare sull’aiuto (retribuito) delle nostre “compagnie di ventura”, che stavolta permetteranno a Parigi di “finire il lavoro”. «Di fatto, comincia – anzi, riprende – la svendita dell’Italia al capitalismo franco-tedesco», proprio alla vigilia del rinnovo dei vertici delle partecipate italiane, dall’Inps all’Enel, da Leonardo all’Eni. «Il nuovo governo si va formando a tempo di record proprio per questo» afferma Sapelli, che racconta: «Pochi giorni fa ho avuto occasione di vedere il Pireo. È pieno di cinesi coperti d’oro. I greci fanno ormai solo i camerieri, gli autisti e i suonatori. Huawei è dappertutto». Il nostro destino è questo? «Sì, il nostro destino è quello che Einaudi aveva indicato all’inizio del 900: la divisione ricardiana del lavoro affida all’Italia l’agricoltura e il turismo. Oggi ci resterà solo quest’ultimo».

  • Salvini ringrazia il suo maggiore alleato involontario: Renzi

    Scritto il 22/8/19 • nella Categoria: idee • (3)

    Un governicchio solo in chiave anti-Lega? Così i renziani aiutano il ritorno di Salvini al governo, sostiene Giuseppe Pennisi in un’analisi sul “Sussidiario”. Corsi e ricorsi storici: nel 1996 venne formato L’Ulivo e nel 2006 l’Unione, sempre contro il percepito pericolo che la coalizione di centrodestra guidata da Berlusconi preludesse a una “svolta autoritaria”. Nel giro di cinque anni, ricorda Pennisi, l’Ulivo dovette formare ben quattro differenti governi a causa delle litigiosità interne, e l’Unione si liquefece appena due anni dopo essersi insediata a Palazzo Chigi. E oggi? Il Pd «è un coacervo di partiti con differenti visioni del mondo», Liberi e Uguali e Sinistra e Libertà «sono coesi ma piccoli». In più, il tentativo di ricostruire un assetto politico bipolare, con un centrosinistra più e meno unito, «mal si concilia con +Europa, per anni di casa nel centrodestra, e soprattutto con il Movimento 5 Stelle, che specificatamente si considera, a ragione, come espressione di una politica in cui il bipolarismo è finito e i temi sono differenti da quelli del passato». In questo quadro «è azzardato pensare a una coalizione di lunga durata, anche se il potere è un collante tale che il M5S sta rinunciando a uno dei cardini del suo Statuto (il limite di due mandati per le cariche elettive)».
    E qui entra in ballo, prepotentemente, l’economia: si sta avvicinando una recessione e frena anche la Germania, essenziale per l’export del “made in Italy”. Il 15 agosto è stato diramato un rapporto allarmante del Wto: «I nuvoloni sono tanti che il temporale è vicino», scrive Pennisi. E in questa situazione, «i volenterosi collaboratori» di Matteo Renzi stanno facendo sì che «l’edizione rinnovata (e ristretta) dell’Ulivo e dell’Unione si trovino, con i parlamentari M5S che paiono temere le elezioni come la peste bubbonica, a gestire la legge di bilancio per l’anno prossimo». Per quanto possano essere “simpatici” ad alcuni alti dirigenti della Commissione Europea, «dovranno trovare l’equilibrio tra stabilizzazione di finanza pubblica e risposta alla recessione». Operazione possibile solo dolorosamente, cioè «con una profonda ristrutturazione della spesa», il cui disegno però «non è ancora iniziato». Se l’operazione-tagli scattasse, «toccherebbe mostri sacri e clientes tanto del nuovo Ulivo/Unione, quanto del M5S», fino a «causare profonde fratture». Secondo Pennisi, è verosimile che, per evitare di essere commissariato dalla Bce, dal Fmi e dalla Commissione Ue, l’eventuale governo sponsorizzato da Renzi «sia costretto ad aumenti delle imposte indirette (Iva) e dal posporre investimenti».
    Di fatto non si combatterebbe la recessione, ma si intonerebbe un coretto sul tema “siamo arrivati troppo tardi”: «Proprio ciò che gli italiani non amano ascoltare». Si aggraverebbero le ineguaglianze. Da Bankitalia, Emanuele Ciani e Roberto Torrini confermano: si stanno acuendo le diseguaglianze «all’interno di aree, e non tra aree», e a livello nazionale «il differenziale si ridurrebbe del 15% se la distribuzione delle ore di lavoro per famiglia nel Sud fosse simile a quella del Centro-Nord». Quindi, osserva Pennisi, «misure come il reddito di cittadinanza, tanto care al M5S ma poco apprezzate dal Pd, se non valutate e ritarate potrebbero, nel contesto di una recessione, aggravare la diseguaglianze». La pressione anche europea è tale, comunque, che il “governo Renzi” «riuscirebbe a togliere alcune castagne dal fuoco al futuro governo di Matteo Salvini», che verrebbe «aiutato anche da una linea maggiormente “buonista” nei confronti dei migranti che sono (a torto o ragione) anatema per il suo elettorato». Quindi, conclude Pennisi, «chi crede di lavorare per un Matteo, lavora sostanzialmente per l’altro. O fa il doppio gioco».

    Un governicchio solo in chiave anti-Lega? Così i renziani aiutano il ritorno di Salvini al governo, sostiene Giuseppe Pennisi in un’analisi sul “Sussidiario”. Corsi e ricorsi storici: nel 1996 venne formato L’Ulivo e nel 2006 l’Unione, sempre contro il percepito pericolo che la coalizione di centrodestra guidata da Berlusconi preludesse a una “svolta autoritaria”. Nel giro di cinque anni, ricorda Pennisi, l’Ulivo dovette formare ben quattro differenti governi a causa delle litigiosità interne, e l’Unione si liquefece appena due anni dopo essersi insediata a Palazzo Chigi. E oggi? Il Pd «è un coacervo di partiti con differenti visioni del mondo», Liberi e Uguali e Sinistra e Libertà «sono coesi ma piccoli». In più, il tentativo di ricostruire un assetto politico bipolare, con un centrosinistra più e meno unito, «mal si concilia con +Europa, per anni di casa nel centrodestra, e soprattutto con il Movimento 5 Stelle, che specificatamente si considera, a ragione, come espressione di una politica in cui il bipolarismo è finito e i temi sono differenti da quelli del passato». In questo quadro «è azzardato pensare a una coalizione di lunga durata, anche se il potere è un collante tale che il M5S sta rinunciando a uno dei cardini del suo Statuto (il limite di due mandati per le cariche elettive)».

  • L’Italia ha già perso, se ricomincia lo stesso vecchio film

    Scritto il 18/8/19 • nella Categoria: idee • (7)

    Prima era tutta colpa della Dc di Andreotti o, a scelta, dei “comunisti”. Poi di Craxi, e quindi di Berlusconi, oppure di Prodi e D’Alema, infine di Renzi. Per Di Maio, a “distruggere il paese” era stato il Pd, nato però soltanto nel 2007. Ora la colpa è tutta di Salvini, per il quale invece sono stati i 5 Stelle a far deragliare il governo delle meraviglie. Gli italiani applaudono o fischiano, ma più spesso – attoniti – restano a casa (o in spiaggia, dato il periodo). Si domandano cosa stia succedendo. Tutto e niente, si rispondono. Come nel resto del mondo, peraltro, dove gli Stati continuano ad armarsi e a guardarsi in cagnesco, mentre i “mercati” fanno politica al posto dei partiti, meri club di esecutori di piccolo calibro. I politici? Mediocri mestieranti, arruolati da questa o quella consorteria internazionale, secondo uno schema fluido a geometria variabile che corrisponde squisitamente al caos. Persino i loro padroni, le divinità auree, vivono alla giornata: le alleanze non reggono, le promesse sono parole al vento. Castelli di sabbia che il mare provvede a cancellare, onda su onda, senza che nessuno abbia il tempo di metabolizzare veri progetti. L’unico in campo – fare soldi, grazie al monopolio privato del denaro – ha il potere di piegare qualsiasi istanza alternativa. Non esiste altro cielo che quello mercantile. Destra e sinistra sono modi di dire, vezzi linguistici buoni solo a tenere in piedi rottami di clero politicante, in servizio elettorale permanente, verso consultazioni democratiche regolarmente inutili.
    La rottamazione del governo Conte è cominciata prima ancora che si aprisse lo spoglio delle fatali schede delle europee: a votare era andato soltanto un italiano su due. Già allora gli elettori si erano pronunciati a larghissima maggioranza, scendendo in sciopero e bocciando, di fatto, il miles gloriosus padano e il suo omologo partenopeo. Bei tomi: si erano permessi di illudere la cittadinanza, maneggiando una mitologia dal sapore escatologico. La fine dei tempi, l’inizio di una nuova era di giustizia. Orizzonti stellari, mirabolanti: la sfida alla tirannide euro-burocratica, l’esorcismo contro la paura del declino e della povertà celebrato evocando il crollo delle tasse e la cornucopia della mancia di Stato, già brillantemente inaugurata dal proto-populista fiorentino, altro campione di chiacchiere. “Sì, ma noi siamo diversi”, avevano giurato i valorosi paladini, gli alieni della Terza Repubblica fondata sulla palingenesi del potere in chiave messianica: da un lato il rozzo giustiziere nordico della razza bianca, dall’altro la gracidante scolaresca reclutata via web dal partito-azienda di proprietà di un ex comico, salito a bordo del Britannia tra i massimi oligarchi. A disegnargli la rotta, anni dopo, fu un informatico schivo e visionario. Un uomo misterioso e reticente, pieno di segreti, membro di un’élite intenzionata a fare esperimenti (anche politici, elettorali) per testare la risposta della mandria umana.
    Solo l’abissale disgusto per i predecessori, gli sciagurati ultimi reggenti della macelleria-Italia (Monti e Letta, Renzi e Gentiloni) aveva spinto gli elettori a votare, per disperazione, gli sfrontati cavalieri dell’impossibile, i fantapolitici delle promesse universali. Speravano, gli italiani, che fosse vero almeno il 10% di quanto garantivano, leghisti e grillini. Ma al primo urto col potere vero, quello euro-finanziario, l’Italietta gialloverde è saltata per aria. Se fossero stati sinceri, Di Maio e Salvini, si sarebbero dimessi allora, di fronte ai ceffoni rimediati a Bruxelles, all’umiliazione subita nel vedersi negare il diritto di risollevare l’economia attraverso il deficit. Sono rimasti entrambi al loro posto, invece, pensando solo al modo di salvare la pelle, l’uno a spese dell’altro, tra agguati e abiure, tradimento dopo tradimento. Oggi si dibattono in una vasca di fango, menando fendenti, per la gioia dei boia dell’Italia, cioè le spietate nomenklature franco-tedesche. Il leghista tenta la fuga in solitaria, slealmente, mentre il grillino – scornato, e altrettanto sleale – prova a imbrigliarlo, ricorrendo ai peggiori trucchi, grazie all’abbraccio mortale del vecchio potere, che non aspettava altro che veder distrutta la teorica anomalia italiana creatasi avventurosamente nel 2018. Poteva essere una falla nell’euro-sistema? Non certo con quei due tizi al timone.
    Comunque vada, sarà un insuccesso (facile profezia). Ancora una volta, gli elettori non hanno strumenti all’altezza: solo cavalli azzoppati, vecchi brocchi, giovani avventati. Malgrado loro, comunque, i gialloverdi hanno resuscitato una specie di memoria nazionale, l’ombra di qualcosa che in altri tempi di sarebbe chiamato orgoglio, spirito identitario, diversità italiana. Ora stanno cercando di distruggerlo, questo fantasma, perché è troppo ingombrante per la loro statura. Il pubblico può ammirare lo spettacolo, dalla crepa che si è aperta nel muro: vede benissimo, oggi, che nessuno degli attori in campo ha la minima chance per costruire qualcosa di solido, credibile, adatto a tutti. Servirebbero statisti, cioè politici capaci di pensieri lunghi, oltre l’orticello. Non se ne vede l’ombra, anche perché la maggioranza continuna a restare a casa: non partecipa, non rischia, non si impegna. Una buona metà degli elettori non va oltre il tifo, la comodissima caccia all’uomo nero. L’altra metà non riesce più ad avvicinarsi alle urne, ma non fa nulla per darsi una speranza, una prospettiva. Prevale lo sconforto, insieme alla nausea. Ci si domanda se tutto questo ha un senso, e se ce lo meritiamo. La risposta è implicita: alzi la mano chi può dire di aver mosso un dito per evitare di rivedere all’infinito lo stesso film.

    Prima era tutta colpa della Dc di Andreotti o, a scelta, dei “comunisti”. Poi di Craxi, e quindi di Berlusconi, oppure di Prodi e D’Alema, infine di Renzi. Per Di Maio, a “distruggere il paese” era stato il Pd, nato però soltanto nel 2007. Ora la colpa è tutta di Salvini, per il quale invece sono stati i 5 Stelle a far deragliare il governo delle meraviglie. Gli italiani applaudono o fischiano, ma più spesso – attoniti – restano a casa (o in spiaggia, dato il periodo). Si domandano cosa stia succedendo. Tutto e niente, si rispondono. Come nel resto del mondo, peraltro, dove gli Stati continuano ad armarsi e a guardarsi in cagnesco, mentre i “mercati” fanno politica al posto dei partiti, meri club di esecutori di piccolo calibro. I politici? Mediocri mestieranti, arruolati da questa o quella consorteria internazionale, secondo uno schema fluido a geometria variabile che corrisponde squisitamente al caos. Persino i loro padroni, le divinità auree, vivono alla giornata: le alleanze non reggono, le promesse sono parole al vento. Castelli di sabbia che il mare provvede a cancellare, onda su onda, senza che nessuno abbia il tempo di metabolizzare veri progetti. L’unico in campo – fare soldi, grazie al monopolio privato del denaro – ha il potere di piegare qualsiasi istanza alternativa. Non esiste altro cielo che quello mercantile. Destra e sinistra sono modi di dire, vezzi linguistici buoni solo a tenere in piedi rottami di clero politicante, in servizio elettorale permanente, verso consultazioni democratiche regolarmente inutili.

  • Grandi manovre, ma piccoli partiti. E tanti saluti agli italiani

    Scritto il 16/8/19 • nella Categoria: idee • (4)

    Vestali della comunicazione, opposizioni parlamentari ed élite che dalla scorsa estate non hanno fatto altro che evocare crisi di governo e nuove elezioni, ora che Salvini si è chiamato fuori, le elezioni non le vogliono più. Con qualche eccezione motivata, per esempio il Pd di Zingaretti, ma non il Pd di Renzi che controlla la maggior parte dei senatori e dei deputati del partito. Quanto a Forza Italia, che in Senato conta più rappresentanti della Lega, sono in corso trattative con Salvini: se il leader della Lega sarà disponibile per ricostituire il centrodestra classico, bene, altrimenti Berlusconi si orienterà per appoggiare il cosiddetto “governo di scopo”, affidato ad un tecnico con il compito di scongiurare l’esercizio provvisorio di bilancio, evitare l’aumento dell’Iva in cambio di altri sacrifici, e magari approvare la riduzione dei parlamentari con l’intento di evitare le elezioni almeno per i prossimi sei mesi, giustificando con ciò anche l’eventuale approvazione di una nuova legge elettorale.
    Quanto alla Meloni di Fratelli d’Italia, la sua consueta rigidità non le consente di vedere che l’alleanza elettorale con Salvini, senza neppure la mediazione del Cavaliere, porterebbe ad uno scontro nel paese dove nulla sarebbe scontato: l’estrema destra contro tutti gli altri difficilmente vince in Occidente, tanto più in un paese come l’Italia che conserva ancora freschi ricordi del proprio drammatico passato. Ciò premesso, è interessante osservare come ciascuna fazione del panorama politico italiano lavori unicamente in vista del proprio tornaconto, infischiandosene dei cittadini e degli interessi reali dell’Italia. Tutti, senza eccezione alcuna. A cominciare dalla Lega, che avrà pure le sue buone ragioni nel denunciare i ripetuti “no” dei Cinquestelle al programma di governo, ma che sceglie il momento peggiore per staccare la spina e non lo fa certo sull’onda di un’emozione ma sulla base di calcoli ben precisi che riguardano il proprio assetto interno (la mancata approvazione della legge sulle autonomie, cara alle regioni del nord) e la contemporanea impossibilità di mantenere le tante promesse all’esterno (investimenti produttivi, sterilizzazione dell’Iva e contemporanea approvazione della Flat Tax), per la manifesta contrarietà di quanti, nel governo e fuori, si sono impegnati a “non strappare” con l’Europa.
    Salvini aveva la possibilità di portare in Parlamento l’approvazione della Flat Tax e degli investimenti produttivi, lasciando ai Cinquestelle la responsabilità di bocciarli; preferisce invece assumere in proprio la responsabilità della crisi col pretesto della Tav, esponendosi a tutti i contraccolpi del sistema: un atto coraggioso o ingenuo o soltanto imposto dal vecchio nucleo della Lega Nord? Per continuare con Zingaretti che vuole andare alle elezioni subito per lucrare sulla perdita di consensi dei Cinquestelle, ridimensionare definitivamente Renzi, togliendogli il monopolio dei gruppi parlamentari, e riattivare il bipolarismo centrosinistra- centrodestra. Con Renzi che per mantenere il suddetto monopolio è disposto persino ad allearsi con i Cinquestelle per un governo di scopo e/o di garanzia elettorale. Con Grillo e Di Maio che faranno di tutto pur di non vedere dimezzata la propria rappresentanza parlamentare. Con Meloni e Berlusconi di cui si è già detto.
    (Sergio Magaldi, “Grandi manovre e piccoli partiti”, da “Lo Zibaldone di Sergio Magaldi” del 10 agosto 2019).

    Vestali della comunicazione, opposizioni parlamentari ed élite che dalla scorsa estate non hanno fatto altro che evocare crisi di governo e nuove elezioni, ora che Salvini si è chiamato fuori, le elezioni non le vogliono più. Con qualche eccezione motivata, per esempio il Pd di Zingaretti, ma non il Pd di Renzi che controlla la maggior parte dei senatori e dei deputati del partito. Quanto a Forza Italia, che in Senato conta più rappresentanti della Lega, sono in corso trattative con Salvini: se il leader della Lega sarà disponibile per ricostituire il centrodestra classico, bene, altrimenti Berlusconi si orienterà per appoggiare il cosiddetto “governo di scopo”, affidato ad un tecnico con il compito di scongiurare l’esercizio provvisorio di bilancio, evitare l’aumento dell’Iva in cambio di altri sacrifici, e magari approvare la riduzione dei parlamentari con l’intento di evitare le elezioni almeno per i prossimi sei mesi, giustificando con ciò anche l’eventuale approvazione di una nuova legge elettorale.

  • Magaldi: Salvini non è solo, stana i rivali-zombie e vincerà

    Scritto il 14/8/19 • nella Categoria: idee • (32)

    Comunque vada, Salvini ha già vinto: sono dalla sua parte tutti gli scenari. Elezioni anticipate? Trionferebbe. Governo Conte-bis? Farebbe la parte del leone, ridimensionando i grillini in caduta libera. Governissimo Renzi-Grillo? Meglio ancora: dall’opposizione, il leader della Lega preparerebbe un plebiscito nel giro di un anno, con gli italiani costretti a subire la maxi-stangata imposta da Bruxelles e somministrata da Renzi e Di Maio, magari col Monti di turno. La notizia però è un’altra: «Di improvvisato non c’è nulla, nelle mosse di Salvini». E il capo della Lega non è affatto solo, ma è anzi «sapientemente consigliato». Lo svela Gioele Magaldi, massone progressista, già inziato alla superloggia internazionale “Thomas Paine”, storica culla del pensiero politico-economico keynesiano. Il presidente del Movimento Roosevelt, autore del bestseller “Massoni” che inquadra il ruolo delle Ur-Lodges nel retrobottega del potere mondiale, oggi scommette su Matteo Salvini: «Sta studiando, e potrebbe persino diventare uno statista. E’ l’unico leader politico oggi capace di intercettare le speranze degli italiani. Deve ancora farne, di strada, ma intanto ha spiazzato tutti, costringendo i concorrenti a svelarsi e a contraddirsi». Per Magaldi «è in una situazione win-win: ha vinto e vincerà anche domani, in qualsiasi modo evolva questa crisi, che è stata lungamente progettata, da Salvini e da chi lo ha consigliato con sapienza».
    Allusione esplicita: «Le superlogge internazionali sono assolutamente in campo e stanno giocando una partita molto raffinata», dichiara Magaldi il 14 agosto nella diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Premessa: «L’Italia resta un campo di battaglia strategico, il luogo decisivo per le sorti della democrazia in Europa e per la stessa globalizzazione». E’ vero, la geopolitica appare dominata da colossi come gli Usa, la Cina e la Russia. Eppure, sottolinea Magaldi, «è in Europa che si è sperimentata dagli anni ‘90 una certa governance sovranazionale post-democratica, politico-economica, ed è qui in Italia che il corso delle cose può essere invertito: altrove non ci sono possibilità così magmatiche e feconde, in Francia e in Germania il sistema politico è bloccato». Sempre con Frabetti, Gianfranco Carpeoro – altro dirigente del Movimento Roosevelt – nei giorni scorsi ha svelato le mosse della supermassoneria reazionaria: obiettivo, imbrigliare Salvini e disarcionarlo con ogni mezzo. Di qui la strana disponibilità di Grillo ad abbracciare l’ex nemico Renzi, a cui sarebbe stato promesso finalmente l’accesso al mondo esclusivo dei massimi salotti massonici, nel caso riuscisse a sventare la minaccia delle elezioni anticipate richieste da Salvini.
    «Le reti delle Ur-Lodges oligarchiche sono ancora egemoni», conferma Magaldi, che però aggiunge: «Le superlogge progressiste hanno messo a segno colpi interessanti». Tra questi, ad esempio, il sostegno sotterraneo ai Gilet Gialli in Francia per mettere in croce Macron proprio mentre l’Eliseo premeva su Bruxelles per aggravare l’austerity italiana, bocciando il governo gialloverde e la sua iniziale richiesta di espansione del deficit. «La partita è vivace, anche se difficile da interpretare», dice Magaldi, lasciando capire che niente è come sembra. Il network massonico progressista internazionale starebbe sostanzialmente supportando Salvini nel suo tentativo di lasciare in mutande gli zombie della politica italiana, ancora e sempre proni ai diktat di Bruxelles. «Con le sue mosse, Salvini ha messo in moto un circo con bestie strane, e scomodarle proprio a ferragosto è stato ancora più divertente: cosa che a Salvini ha permesso di dire che non si vede perché ad agosto non possano lavorare anche i parlamentari, come moltissimi altri italiani già fanno». Bestie strane? «Alcune sembravano sotto spirito, imbalsamate, e sono state riesumate per l’occasione: hanno tutte paura e sperano di non scomparire per sempre». Salvini domatore? Ebbene sì: «Sembra condurre il gioco, e addirittura oggi torna a parlare persino di una possibilità di un rilancio gialloverde, un governo Conte-2 con adeguato rimpasto».
    A Genova, il capo della Lega ha accennato tranquillamente alla manovra, citando 2,4 miliardi per mettere in sicurezza ponti e infrastrutture: «Sembra parlare da azionista di un governo che potrebbe tornare in auge». Intendiamoci, avverte Magaldi: «Occorre decodificare il tiro di dadi inaugurato da Salvini, la cui tempistica ha spiazzato anche i leghisti», molti dei quali per nulla entusiasti all’idea di tornare alla corte di Arcore. Non è affatto impazzito, Salvini: ha solo beffato i suoi avversari, fingendo di divertirsi in modo spensierato sulla spiaggia del Papeete. Nessuno si aspettava che affondasse il colpo, annunciando la sfiducia a Conte: «E la sua mossa originaria, prima ancora della “mossa del cavallo” sul taglio dei parlamentari da votare con 5 Stelle e Pd) ha snidato personaggi e ipotesi che se ne stavano acquattate nell’ombra». Il risulato è fecondo, secondo Magaldi: dopo che Salvini ha pronunciato quel fatidico “io non ci sto più”, «abbiamo scoperto che Renzi stava preparando un nuovo partitino del 2-3%». Poi l’ex “rottamatore” «ha compiuto una torsione a 180 gradi rispetto a inizio legislatura, quando consegnò i 5 Stelle all’allenza con la Lega. Oggi sente vicina la sua fine politica, ma non ha capito che gioco sta facendo Salvini, consigliato da chi e perché». Già, appunto: non sperava di entrare nel grande gioco, Renzi, bussando alla superloggia Maat (quella di Obama) dopo la passerella al Bilderberg?
    Fa un po’ il misterioso, Magaldi, lasciando intendere di non poter dire più di tanto, per ora. Si limita a dichiarare che quello che sta davvero succedendo «non l’ha capito nemmeno Berlusconi, che prima si ringalluzzisce come possibile ago della bilancia, grazie a cui si può decidere se si va o no alle elezioni, quindi fa bastonare Salvini da Sallusti sulle Tv mainstream ma su Rete4 manda servizi contro Di Maio». Al che, si apprende che Salvini sarebbe disponibile a una trattativa con Forza Italia e Fratelli d’Italia. Poi però il capo della Lega «offre a Berlusconi una lista unica, quindi una proposta di assorbimento di Forza Italia, che naturalente Berlusconi rifiuta». Falsa pista, quindi: dopo aver stanato il Cavaliere, spingendolo a esporsi, il 13 agosto Salvini risultava indisponibile a incontrarlo, per imprecisati “impegni al Viminale”. «Intanto Berlusconi è stato snidato: sperava in un accordo elettorale soddisfacente, con Salvini, nonostante sia stato per mesi in combutta con il Pd e con tutto il circo mediatico mainstream contro il governo gialloverde, e quindi anche contro la Lega». Doppio avvitamento, con figuraccia. «Sono stati snidati Renzi e Berlusconi, e il gioco non finisce qui» aggiunge Magaldi. «Anche l’inciucio Pd-M5S è stato portato fino all’estremo, fin quasi a concludersi: già hanno votato insieme per la calendarizzazione della sfiducia a Conte, ma Delrio (cerniera a metà strada tra Renzi e Zingaretti) dice che l’accordo si può fare solo se di largo respiro, e lo stesso Zingaretti sta diventando possibilista».
    Insomma: sono tutti agitati, ma il pallino rimane nelle mani di Salvini. «Sembra un domatore che fa esbire tante bestiole davanti alla platea degli italiani». E questo, sottolinea Magaldi, è solo l’aspetto “essoterico”, alla luce del sole. Per capire il senso di quello che sta avvenendo «occore rovesciare le cose facili, banali, scontate e fuorvianti che si sono dette in questi giorni». La lettura che propone il presidente del Movimento Roosevelt è la seguente: a un certo punto, “ispirato” da qualche insospettabile consigliere strategico, Salvini – pressato dalla magistratura e dal Russiagate, braccato dai media pro-Ong – ha di fatto «cominciato a mostrare tutte le ipocrisie e tutti i nervi scoperti degli altri attori politici». Il gioco è rischioso, ma per ora vincente. «In queste ore si potrà discutere persino di un rilancio del governo Conte, con un rimpasto significativo e una strutturazione del programma che veda i 5 Stelle molto più disciplinati, perché uno dei problemi degli ultimi mesi era che i 5 Stelle attaccavano Salvini anziché l’opposizione». Naturalmente, un nuovo patto presupporrebbe un cambio di passo su molti temi: «Sarebbe una vittoria di Salvini, anche rispetto a quei leghisti che al Nord restano inclini a un’alleanza con Berlusconi».
    In sostanza, osserva Magaldi, Salvini ha giocato d’anticipo su tutti. E ora ha compiuto la mossa del cavallo: ok, ha detto, votiamo il taglio dei parlamentari e poi andiamo subito a votare. «Quella di elezioni immediate è un’ipotesi costituzionalmente impraticabile, e del resto prima si vota la fiducia o sfiducia a Conte (che è dirimente, prima ancora della questione del taglio dei parlamentari)». Se invece la rottura si consuma, «la grande ammucchiata (Pd, 5 Stelle, Leu e frattaglie varie), al di là di dare un illusorio momento di respiro a Renzi e ai renziani che hanno la poltrona traballante, è una eccellente occasione per ridefinire il prossimo appuntamento elettorale, lasciando a quell’Armata Brancaleone l’onere di proseguire sulla linea del rigore». Una non-strategia, che aggraverebbe solo la situazione italiana. «Qui servirebbe un braccio di ferro fortissimo con la cosiddetta Europa e con i suoi avamposti italici – dice Magaldi – per definire una nuova traiettoria politico-economica fondata su investimenti importanti e un robusto taglio delle tasse, cioè una manovra che incontrebbere un’opposizione formidabile da parte dei gestori dell’austerity».
    Nell’ipotesi del “governo di salvezza nazionale”, Salvini lascerebbe a Renzi e anche ai grillini il “privilegio” di essere «definitivamente percepiti come i difensori dello status quo». Quindi il governo anti-Salvini sarebbe «un’occasione ghiottissima, una situazione da cui la Lega non potrà che uscire bene». Ma è un bene, per l’Italia, che Salvini abbia innescato questo balletto circense, rivelatore delle altrui pulsioni? Per Magaldi, la risposta è sì. Ed è utile, aggiunge, che da questa vicenda «escano con le ossa rotte i 5 Stelle», almeno fino a quando si fanno rappresentare da Luigi Di Maio: «Ha proprio la vista corta: gongolava, dicendo che Salvini ha dovuto cedere sul taglio dei parlamentari», non capendo che il leghista lo ha sostanzialmente “disarmato”. I 5 Stelle, peraltro, «uscirebbero distrutti dall’abbraccio col Pd: una parte del loro elettorato andrebbe verso la Lega e un’altra parte verso i Dem». A sua volta, il Pd ha problemi interni ancora più gravi: «E’ un soggetto politico afasico, privo di una narrativa convincente». E la prova del nove, ancora una volta, è proprio il capo della Lega: «Salvini cresce nei consensi perché esibisce una narrativa chiara, che parla anche di importanti investimenti e di un nuovo paradigma politico-economico, grazie ai suoi economisti post-keynesiani. E parla pure di taglio delle tasse, Salvini. Rispetto a questo, cos’hanno da dire Pd e 5 Stelle? Il piglio del leader ce l’ha lui, non certo il grottesco Renzi, imbolsito anche nei toni, che a un anno di distanza deve ammettere di aver sbagliato tutto rifiutando l’alleanza coi 5 Stelle».
    Nel frattempo, il Pd non ha mai fatto autocritica. «Non lo fa neppure oggi, né con Renzi né con Zingaretti, nemmeno rispetto alle cattive riforme costituzionali di Renzi, che non ha capito niente ed è ancora convinto che il Jobs Act fosse la migliore delle carte da giocare per rilanciare occupazione e crescita economica – siamo a questo livello». Si domanda Magaldi: «In cosa si identifica, per Renzi, il bene della nazione? Non lo sappiamo, ed è per questo che Renzi è franato, nella percezione degli italiani. E cosa ha da dirci Zingaretti?». Idem. Ma vale anche per Berlusconi, «anche lui agonizzante come Renzi e in cerca di una scialuppa di salvataggio». Morti che camminano. Salvini, invece, riesce anche a giocare col taglio dei parlamentari: «Ha presentato la cosa strumentalmente, come una decisione importante da condividere con “l’amico” Di Maio», che c’è cascato. Attenzione: «Come panacea dei mali italiani i 5 Stelle dunque propongono il taglio dei parlamentari e magari anche il dimezzamento dei loro stipendi?». Il Parlamento come covo di mascalzoni, affaristi e rubagalline? Pura demagogia grillina, altamente controproducente:  «Con stipendi più bassi, i parlamentari saranno più esposti a tentativi di corruzione. E in Parlamento andranno solo le persone molto ricche, che possono permettersi di rinunciare alla loro carriera», obietta Magaldi.
    «Ai tempi della democrazia di Pericle, nell’Atene del V secolo avanti Cristo – ricorda Magaldi – furono inventate le “misthòtes”, le indennità, proprio per consentire anche ai poveri di occuparsi della cosa pubblica, viceversa prerogativa solo dei ricchi aristocratici». Oggi viviamo in un’Italia in piena stagnazione e con un governo che non ha certo “abolito la povertà”. «E dopo il fallimento clamoroso del reddito di cittadinanza, Di Maio ci viene a spiegare che la soluzione di tutto, la grande scelta epocale, sarebbe la diminuzione dei rappresentanti del popolo sovrano, facendo così diminuire anche il livello di democrazia rappresentativa?». Avverte Magaldi: «Stia attento, Di Maio, anche a quello che fanno i pentastellati nelle amministrazioni locali, perché gira voce che, paradossalmente, siano i più affamati di affari, affarucci e denari». Neoliberismo sospetto, in salsa populista: «C’è questo strano connubio: da un lato ciò che è pubblico (comprese le indennità) viene demonizzato, per offrirlo in pasto a un risentimento popolare del tutto presunto (la gente non ha più la sveglia al collo, vede bene che questi sono pretesti), e dall’altro il taglio delle indennità produce fatalmente più corruzione».
    Insomma, per Magaldi il “circo” stimolato da Salvini «ci mostra degli animali politici davvero bizzarri», nessuno all’altezza della crisi nazionale. «Questa rappresentazione richiede quindi un cambio di passo drastico: la classe politica italiana è scesa davvero al punto più basso, per merito delle abili mosse di Salvini». Ispirato da chi? Incalzato dalla domanda, nella diretta web-streaming su YouTube, Magaldi rifiuta di essere esplicito: «Diciamo che Salvini sta studiando». Per Carpeoro, non ha ancora trovato il suo “burattinaio”, cioè «uno di quei “venerabilissimi maestri” dei contesti massonici neoaristocratici che amano ridurre i politici a propri burattini». Secondo Magaldi, invece, c’è un’altra possibilità: «E cioè che personaggi come Salvini, che non hanno alle spalle burattinai e che magari non vogliono averne, possano invece cercare suggestioni e ispirazioni, mettendosi a studiare per poter interpretare in modo più adeguato al servizio della collettività». Comunque, aggiunge Magaldi, possiamo stare certi che il leader della Lega non ha tentato uno strappo in modo avventato, non è rimasto isolato e non sta assolutamente cercando di salvarsi in corner. Al contrario: è proprio lui a condurre le danze. In altre parole: “C’è del metodo, in questa follia”, come avrebbe detto Shakespeare.
    «C’è del metodo, e il primo risultato è quello di aver messo a nudo tutte le ipocrisie degli altri attori politici e la loro disponibilità a rimangiarsi il giorno dopo quello che avevano detto il giorno prima». Quindi, ribadisce Magaldi, c’è un’ispirazione precisa. E c’è anche «un personaggio che ha ancora molto da emendare, da imparare e da perfezionare». Tuttavia Salvini «è l’unico che ha i tratti e le caratteristiche per poter essere percepito come un pericolo, da parte di chi vorrebbe proseguire in modo imperterrito sulla strada di questi anni», cioè il suicidio programmato dell’economuia italiana da parte delle lobby che dominano l’Ue. Diciamola tutta, ammette Magaldi: «Salvini ha anche bisogno anche di smarcarsi da quella ghettizzazione, sempre possibile, che lo presenta come neofascista o fiancheggiatore dei neofascisti». Ne è consapevole: «Lo si è già visto nella sua prudenza rispetto a Fratelli d’Italia e poi anche rispetto a Forza Italia: un’alleanza così, anche se vincente, a livello internazionale sarebbe facile da ghettizzare come l’arrivo di una pericolosa destra». E poi Salvini «ha bisogno di alleanze e di riferimenti politici, ideologici e programmatici che semmai ne sdoganino il lato progressista». Quello che di certo non gli serve è «un abbraccio con Berlusconi e la Meloni in stile nuovo centrodestra, un copione già visto e già bocciato dagli italiani».
    Quello che sta facendo il capo della Lega, capace di scuotere la politica del Belpaese, non è comunque sufficiente: Salvini è ancora troppo condizionato dalla preoccupazione del consenso. «Il problema vero è che Salvini, e chiunque altro – da destra, da sinistra, dal centro – volesse partecipare di una nuova stagione politica (dove anche la Lega mutasse pelle e diventasse qualcos’altro, magari anche di più progressista), dovrebbe anche saper mordere, oltre che abbaiare e affabulare». Anche perché «non sarà un momento tenero, quello in cui si dovrà fare un braccio di ferro adeguato con i gestori dell’austerity». La verità, sottolinea Magaldi, è che se oggi il sedicente “governo del cambiamento” è comunque costretto a subire tutte queste rappresentazioni teatrali, è perché questo governo non ha cambiato alcunché: «Finora è stato il governo del falso cambiamento. E Salvini se n’è accorto, a differenza del narcisista e miope Di Maio». Caporetto 5 Stelle: «Non c’è discussione interna, Di Maio andrebbe valutato come inadeguato. Dovrebbe quindi esserci un ricambio di classe dirigente: solo a quel punto, prima di scomparire, il Movimento 5 Stelle potrebbe ancora avere un ruolo nel futuro dell’Italia». Se gli elettori ti investono di tante speranze, non puoi fingere: devi lottare, «fino a strappare – per l’Italia e per l’Europa – una prospettiva più democratica e anche più prospera».
    Il problema vero dice ancora Magaldi, non sta in come si risolve questa grande rappresentazione teatrale, o meglio circense, ma sta nel fatto che – alla fine dei giochi – qualcuno si assuma la responsabilità di fare quello che va fatto. «E quello che va fatto è chiaro: un piano di 50 anni di investimenti pubblici importanti, che diano fiato all’economia privata, iniziando un braccio di ferro con l’Europa in modo soft, cioè chiedendo di stralciare questi investimenti dai parametri del deficit. Poi serve l’apertura in Europa di un tavolo per la redazione di una Costituzione politica di natura radicalmente democratica». Per Magaldi «sono queste le cose importanti da fare, insieme all’abbassamento drastico delle aliquote fiscali». Cose semplici, come l’introduzione di una moneta parallela: «Misura che serve a difendersi dalle norme stringenti di oggi. Ma se l’Italia negoziasse lo stralcio degli investimenti necessari rispetto al computo del deficit, non ci sarebbe nemmeno più bisogno di moneta parallela». In altre parole, «le cose sono davvero più semplici di quello che sembrano, se davvero ci fosse la volontà politica di farle». Per questo servono politici capaci di fare un salto di qualità. Salvini, appunto? «Io credo che oggi stia studiando l’ipotesi di diventare davvero uno statista. Poi sta a lui riuscirci (e studiare bene) oppure no».
    Naturalmente, la crisi fa esplodere dietrologie multiple. Per esempio c’è il possibile ruolo del supermassone reazionario Michael Ledeen, in Italia da luglio, indicato da Carpeoro come fattore rilevante per disarcionare Salvini. Per Magaldi, invece, «quello di Ledeen è un ruolo forse sopravvalutato, come quello di Renzi: anche se dovesse entrare nel nuovo ipotetico governo e dovesse ridicolizzare Zingaretti, costringendolo a subire il peso della maggioranza dei parlamentari Pd (che oggi è di rito renziano), Renzi dovrebbe comunque accontentarsi di una breve stagione». Ledeen e gli altri “avvoltoi” oligarchici come il francese Attali, mentore di Macron? «Tutte vere le osservazioni di Carpeoro, ma guarderei in modo diverso la prospettiva di fondo», spiega Magaldi. «In realtà, i gruppi reazionari neoaristocratici sono in un momento di grande difficoltà, perché anche tutti gli sforzi fatti per non andare a votare, tenendo in sella certi personaggi, in un modo o nell’altro sono destinati a fallire». E questo, scandisce Magaldi, è davvero un fatto nuovo: «C’è una coscienza popolare che sta comunque crescendo, intorno ad aspettative che oggi vengono proiettate su Salvini». Ma se il leader leghista dovesse fallire o deludere, domani queste speranze «sarebbero comunque proiettate su qualcun altro, perché esprimono un’esigenza reale», che né Renzi né Di Maio (e tantomeno Berlusconi) hanno dimostrato di saper cogliere e interpretare.
    Magaldi punta alla sostanza, allo sfondo: «Non darei quindi grande peso al ruolo di vecchi arnesi come il “fratello” Ledeen: un anziano signore, memore di antichi giochi spregiudicati fatti anche destando irritazione persino tra le forze dell’ordine e l’intelligence italiana. Quei giochi sono ormai finiti», sostiene il presidente del Movimento Roosevelt. «Credo che questi personaggi non siano più nemmeno i veri burattinai che cercano di frenare questo nuovi scenario che si prepara». Bisogna saper leggere tra le righe: «La battaglia oggi non è nel tentare di frenare quello che il popolo italiano proietta su personaggi come Salvini. Per questo esprimo una sorta di compassione anche per tutti quelli che si agitano, cercando di combattere in termini sbagliati». E attenzione: «Non può essere efficace utilizzare ancora a lungo il Movimento 5 Stelle come un elemento che rafforzi il sistema. Ha avuto consensi perché era visto come un mezzo per realizzare alcune speranze, per quanto confuse. Se però il M5S fa un abbraccio mortale con il Pd e con altri, contro le speranze proiettate su Salvini, compie un grande suicidio collettivo». “Ciaone”, caro Di Maio. «Tanti auguri, a questo governo che dovesse nascere: sarebbe un regalo, per noi progressisti, un po’ come l’ipotesi di Mario Draghi a Palazzo Chigi». Tutti si accorgerebbero che il Re è nudo: «Che regalo, vedere finalmente Draghi tutti i giorni in televisione a difendere le sue scelte di austerity – non più remoto, ieratico e autorevole dalla poltrona della Bce, ma costretto a rispondere con la sua faccia, non più in modo sfingeo, dovendo spiegare agli italiani (come già Monti) che l’austerità è bella».
    Secondo Magaldi, un anno di governo con Pd, 5 Stelle e Leu all’insegna del “teniamo i conti in ordine” sarebbe la miglior cosa da auspicare, per i progressisti: «Sarebbe la distruzione definitiva della credibilità di tutti coloro che dovessero animare quel governo». Se ce la faranno, a metterlo in piedi, si voteranno al suicidio. Aiutati dai “venerabili” burattinai della supermassoneria reazionaria? Magaldi è scettico: «Sono al tramolto molti vecchi tromboni alla Ledeen, gente che appartiene a un altro mondo, personaggi che stanno anche invecchiando e morendo. Il fronte massonico delle Ur-Lodges neoaristocratiche oggi è molto meno forte di quanto non si creda». Certo, le strutture nel frattempo create fanno sì che il percorso tracciato resti in piedi, per forza d’inerzia. «E’ la legge di Saturno, per dirla in termini astrologici: la conservazione della struttura esistente. Però la legge di Saturno comporta anche l’invecchiamento e la sclerotizzazione». Di fatto, il caso-Salvini dimostra che si stanno aprendo delle crepe, «nei cascami di questo sistema di governance che riguarda l’Italia». La nuova frontiera? «Sta nell’essere molto dinamici: il nuovo orizzonte credo sia quello di chi è capace di scendere in piazza per fare delle veloci operazioni di flash-mob a favore di telecamera, con le bandiere issate, andando nei luoghi dove si radunano i rappresentanti (magari marci) del potere attuale». E questo «sia nel caso in cui tutto il quadro frani, sia che Salvini invece emerga come qualcuno che finalmente ha iniziato a collocarsi dalla parte giusta, e con la giusta ispirazione ideologica». L’importante, chiosa Magaldi, è che gli italiani non restino a guardare anche stavolta.

    Comunque vada, Salvini ha già vinto: sono a suo favore tutti gli scenari. Elezioni anticipate? Trionferebbe. Governo Conte-bis? Farebbe la parte del leone, ridimensionando i grillini in caduta libera. Governissimo Renzi-Grillo? Meglio ancora: dall’opposizione, il leader della Lega preparerebbe un plebiscito nel giro di un anno, con gli italiani costretti a subire la maxi-stangata imposta da Bruxelles e somministrata da Renzi e Di Maio, magari col Monti di turno. La notizia però è un’altra: «Di improvvisato non c’è nulla, nelle mosse di Salvini». E il capo della Lega non è affatto solo, ma è anzi «sapientemente consigliato». Lo svela Gioele Magaldi, massone progressista, già inziato alla superloggia internazionale “Thomas Paine”, storica culla del pensiero politico-economico keynesiano. Il presidente del Movimento Roosevelt, autore del bestseller “Massoni” che inquadra il ruolo delle Ur-Lodges nel retrobottega del potere mondiale, oggi scommette su Matteo Salvini: «Sta studiando, e potrebbe persino diventare uno statista. E’ l’unico leader politico oggi capace di intercettare le speranze degli italiani. Deve ancora farne, di strada, ma intanto ha spiazzato tutti, costringendo i concorrenti a svelarsi e a contraddirsi». Per Magaldi «è in una situazione win-win: ha vinto e vincerà anche domani, in qualsiasi modo evolva questa crisi, che è stata lungamente progettata, da Salvini e da chi lo ha consigliato con sapienza».

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