Archivio del Tag ‘nuove tecnologie’
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Auto elettrica Eni-Enel, l’Italia potrebbe stupire il mondo
Ministro Di Maio, ma perché noi italiani non potremmo sorprendere tutti, per una volta? Disponiamo di due colossi, Eni ed Enel, in grado di trasformarsi in attori mondiali di primo piano nel nuovo business planetario dei veicoli elettrici. «Quello che sta accadendo è lo sbattere assieme di due industrie come non è mai accaduto prima nella storia», assicura Erik Fairbairn di Pod Point Ltd, l’azienda di punta inglese per le stazioni di ricarica degli “electric vehicles” (auto, scooter, camion, bus). Una frase lapidaria, sottolinea Paolo Barnard, che descrive «uno dei fenomeni più impensati ed eclatanti dell’economia globale», ovvero «la forzata fratellanza dei colossi del petrolio con quelli dell’elettricità a fronte della rivoluzione mondiale degli “Ev”, nella consapevolezza che il futuro del motore a combustione è segnato». Infatti, Big Oil e Big Utilities si sono lanciate insieme con acquisizioni miliardarie per non perdere una grossa fetta dell’industria dei trasporti di domani, che sarà sempre più a “carburante” elettrico: un affare globale da trilioni di dollari, euro, yuan e yen. La Royal Dutch Shell, aggiunge Barnard, ha calcolato ormai con certezza che il settore perderà oltre 10 milioni di barili di petrolio al giorno per il consumo nei trasporti entro il 2040, a favore dell’elettricità. Di più: la Cina ha stabilito per legge la più alta quota obbligatoria al mondo di “Ev” sul suo mercato, e nelle aziende, entro il 2030.Il governo del gigante asiatico ha stanziato 50 miliardi di dollari d’incentivi per gli “electric vehicles” per i prossimi due anni: Pechino sarà il maggior mercato di veicoli “Ev” del pianeta entro 12 anni, con una richiesta da far impallidire il resto del mondo. «La Volkswagen l’ha capito da un pezzo e ha sborsato subito un anticipo di 10 miliardi per arrivare per prima in Cina (poi la gente si chiede perché la Germania vince)». Per i prossimi sette anni, prosegue Barnard, aziende come Volkswagen, Bmw, Ford e Toyota hanno investito un totale di 165 miliardi di dollari nei veicoli elettrici, «non solo perché gli idrocarburi stanno distruggendo il clima e saranno man mano banditi, ma anche (più cinicamente) perché la tecnologia ha già oggi superato i due ostacoli maggiori allo sviluppo degli “Ev”, che erano l’autonomia (oggi siamo oltre i 500 km con una carica) e i tempi per le ricariche (le batterie Toshiba ricaricano un’auto in 6 minuti)». E poi, appunto, c’è l’immensa torta del mercato cinese. Per questo, oggi, le stime della maggiori “consultancies” internazionali danno il mercato globale degli “Ev” in crescita a ritmi pazzeschi: si parla dell’8.600% (ottomilaseicento per cento) nei prossimi 22 anni. E qui, scrive Barnard rivolgendosi a Di Maio, l’Italia potrebbe avere un’idea dirompente che la proietterebbe ai primi posti al mondo nella Disruption, la rivoluzione del lavoro indotta dalle nuove tecnologie, rilanciando economia e occupazione.Basterebbe che Eni ed Enel, cioè Big Oil e Big Utility in Italia, si lanciassero in una joint-venture «ben oltre il solito mercato delle stazioni di ricarica per “Ev”». Secondo Barnard potrebbero unire le loro imponenti forze (tecnologie avanzate, risorse e know-how) per sbarcare sul mercato dei produttori di veicoli elettrici, «in diretta competizione coi leader mondiali come Volkswagen, Bmw o Tesla, per anche superarli e divenire protagonisti di quello che è destinato a essere il più ricco mercato globale dei trasporti su terra». Ragiona Barnard: Eni ed Enel sono “sorelle”, insieme al ministero del Tesoro, e quindi – nel giro di neppure vent’anni – le ricadute sarebbero immense, per lo Stato e per l’economia, per il lavoro e per l’ambiente. «Un picco verso l’alto di Pil fra meno di vent’anni non è futurismo», assicura Barnard. Al contrario, sarebbe «l’occupazione e la società dei nostri figli alle elementari o alle medie adesso, ma anche di molti di noi, e con ricadute essenziali sui pensionati per ovvi motivi». Eni ed Enel potrebbero cioè attuare la Disruption del settore auto, senza più Sergio Marchionne e John Elkann. Basterebbe allineare l’Italia alle maggiori potenze economiche, dove i giganti petroliferi si stanno “gemellando” con i giganti delle utilities, mettendo in campo un’arma in più: la capacità competitiva del binomio Eni-Enel.Mentre il fenomeno si concentra sulla distribuzione del nuovo “carburante” elettrico, scrive Barnard, citando joint-ventures «tutte dedicate alle stazioni di ricarica degli “Ev”», non risulta che nessuno dei colossi mondiali abbia ancora pensato di «usare il proprio strapotere economico e tecnologico per entrare nel mercato dei veicoli, non solo rifornirli». E c’è un buon motivo, spiega Barnard: nella quasi totalità dei casi studiati – Usa e Gran Bretagna, Svezia, Giappone, Germania, Francia, Cina – i giganti esteri di petrolio e utilities risiedono in paesi con industrie automobilistiche già in prima linea negli “Ev”. Non l’Italia, però: «La sparpagliata anglo-olandese-italiana Fiat Chrysler Automobiles ha annunciato, con l’evidente riluttanza di Marchionne ben espressa alla “Reuters” nel gennaio 2018, un misero investimento di 9 miliardi di dollari negli “Ev”, che è quasi un decimo di quello della Volkswagen». Ecco il perché della proposta per l’Italia avanzata da Barnard: un marchio automobilistico Eni+Enel+Ev (col Tesoro).«Si tratta di saper vedere avanti, cioè di avere la cosiddetta “vision”», sottolinea il giornalista: «Sono certo che almeno all’Eni esiste una conoscenza approfondita dei mercati cosiddetti South Asia, China and Southeast Asia, e dell’esplosivo potenziale d’acquisto che stanno sviluppando, tale da umiliare tutto l’Occidente fra una manciata d’anni». Quindi, un’impresa come quella delineata non nascerebbe certo senza un mercato, anzi: e domani, quando «le vendite internazionali di “Ev” saranno a 9 zeri e straripanti», è facile prevedere quale indotto di lavoro l’industria automobilistica Eni+Enel+Ev creerebbe in un paese come l’Italia, che – ricorda Barnard – è ancora la prima nazione al mondo «per densità di piccole medie imprese». Praterie sconfinate di occupazione: dall’impiego negli stabilimenti alla costruzione delle infrastrutture sul territorio per le colonne di ricarica. Barnard insiste sul potenziale rivoluzionario della Disruption in atto: Artificial Intelligence e Machine Learning stanno cambiando volto al lavoro sul pianeta, facendo sparire mestieri e creandone di nuovi. Una delle applicazioni più studiate, e su cui sono stati investiti enormi capitali, sono le auto “driverless”: «E’ solo una questione di quando arriveranno, non “se”».E quindi, insiste Barnard, «un’Italia con due colossi tecnologici nazionali, Eni+Enel, già lanciati nel settore automobilistico e dei trasporti con gli “Ev”, diverrebbe anche leader delle “driverless”, con gli sbocchi economici e d’occupazione che si possono immaginare». Cosa stiamo aspettando, se è vero che – per la prima volta nella storia – i giganti del petrolio e quelli delle utilities marciano insieme, mentre l’industria dell’auto sta investendo centinaia di miliardi nei veicoli elettrici? «Non vedo perché il nostro gigante del petrolio, Eni, e il nostro gigante utility, Enel, non possano unire le loro grandi tecnologie per non solo competere nel settore rifornimenti, ma proprio per ridare all’Italia un marchio dell’auto del futuro, per la felicità del Tesoro a Roma, del Pil e dell’occupazione». Scrive Barnard, rivolto a Di Maio: «Ministro, il lavoro per gli italiani non si crea con decreti a mo’ di cerotti occupazionali appiccicati di qua e di là in quello che è un bagno di sangue di disoccupazione a due cifre. Il vero lavoro duraturo, a vita e remunerato bene – aggiunge Barnard – si crea solo con una “vision” di grande respiro». Per una volta, conclude il giornalista, l’Italia potrebbe tornare a stupire tutti, se solo lo volesse.Ministro Di Maio, ma perché noi italiani non potremmo sorprendere tutti, per una volta? Disponiamo di due colossi, Eni ed Enel, in grado di trasformarsi in attori mondiali di primo piano nel nuovo business planetario dei veicoli elettrici. «Quello che sta accadendo è lo sbattere assieme di due industrie come non è mai accaduto prima nella storia», assicura Erik Fairbairn di Pod Point Ltd, l’azienda di punta inglese per le stazioni di ricarica degli “electric vehicles” (auto, scooter, camion, bus). Una frase lapidaria, sottolinea Paolo Barnard, che descrive «uno dei fenomeni più impensati ed eclatanti dell’economia globale», ovvero «la forzata fratellanza dei colossi del petrolio con quelli dell’elettricità a fronte della rivoluzione mondiale degli “Ev”, nella consapevolezza che il futuro del motore a combustione è segnato». Infatti, Big Oil e Big Utilities si sono lanciate insieme con acquisizioni miliardarie per non perdere una grossa fetta dell’industria dei trasporti di domani, che sarà sempre più a “carburante” elettrico: un affare globale da trilioni di dollari, euro, yuan e yen. La Royal Dutch Shell, aggiunge Barnard, ha calcolato ormai con certezza che il settore perderà oltre 10 milioni di barili di petrolio al giorno per il consumo nei trasporti entro il 2040, a favore dell’elettricità. Di più: la Cina ha stabilito per legge la più alta quota obbligatoria al mondo di “Ev” sul suo mercato, e nelle aziende, entro il 2030.
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Vendola: economia verde, non crescita ad ogni costo
Crescita? Non ad ogni costo. Dipende da quale settore sviluppare. Uno su tutti, la cosiddetta green economy: non per forza soltanto l’industria “verde”, ma anche l’autoproduzione diffusa, di agricoltura biologica e di micro-generazione energetica. Dalle “masserie didattiche” ai pannelli solari «su ogni tetto, su ogni balcone»: è il passaggio chiave con cui Nichi Vendola, dal palco di piazza Navona allestito il 1° ottobre per aprire la sua personale campagna elettorale – obiettivo dichiarato: le primarie del centrosinistra – spalanca più di uno spiraglio nei confronti degli “eretici” della crisi, quelli che – da Grillo ai teorici della Decrescita, da Maurizio Pallante a Giulietto Chiesa fino ai No-Tav della valle di Susa, apertamente evocati – mettono sotto accusa, oltre alla casta di potere, anche e soprattutto il modello di sviluppo che ha generato il disastro nel quale l’Italia si dibatte.Se Vendola dedica la sua appassionata orazione al centrosinistra e incalza Bersani sul terreno delle scelte strategiche, disegnando una sorta di nuovo umanesimo solidale dal quale respingere l’attacco storico che, attraverso la finanza e “l’Europa delle banche” l’alleanza fra capitalismo e speculazione sta sferrando contro il corpo sociale ridotto alla precarizzazione e impoverito dall’erosione del welfare, oltre al profilo chiaramente elettorale – raccogliere consensi trasversali per rilanciare la sfida soprattutto al Pd, spronandolo all’azione – da Vendola sono arrivate parole decisamente inconsuete per un leader politico nazionale: il fondatore di “Sinistra, ecologia e libertà” ha messo in discussione il dogma della crescita, che va condizionata, a monte, da una scelta selettiva: più che una crescita generica del Pil, invariabilmente invocata da politici, economisti e Confindustria, sarà bene scegliere: meglio lo sviluppo di produzioni davvero utili e davvero sostenibili.Con uno sguardo sociologico alla Penisola, Vendola denuncia l’abbandono progressivo delle aree rurali: negli ultimi decenni, insediamenti e attività hanno letteralmente intasato le areee metropolitane e le fasce costiere, archiviando frettolosamente l’enorme giacimento – ambientale, agricolo, paesistico e turistico – dell’entroterra, le zone collinari e montane: se l’economia del capitalismo finanziario sta letteralmente collassando, sarà meglio prendere in considerazione l’opportunità di una sorta di contro-esodo, guidato dalle nuove opportunità fornite dall’alleanza fra agricoltura biologica e nuove tecnologie energetiche. Una visione del mondo che prefigura un futuro di risorse rinnovabili, tutto da inventare e da costruire, purché a misura d’uomo. Se oggi non è possibile misurare il peso di questa rivoluzione possibile, neppure nelle intenzioni di un leader come Vendola – impegnato a condividere i contenuti della sua green economy con le nomenklature del centrosinistra – l’orazione di piazza Navona rappresenta un avvertimento, ispirato da una parola d’ordine «dal profumo antico: conversione».Crescita? Non ad ogni costo. Dipende da quale settore sviluppare. Uno su tutti, la cosiddetta green economy: non per forza soltanto l’industria “verde”, ma anche l’autoproduzione diffusa, di agricoltura biologica e di micro-generazione energetica. Dalle “masserie didattiche” ai pannelli solari «su ogni tetto, su ogni balcone»: è il passaggio chiave con cui Nichi Vendola, dal palco di piazza Navona allestito il 1° ottobre per aprire la sua personale campagna elettorale – obiettivo dichiarato: le primarie del centrosinistra – spalanca più di uno spiraglio nei confronti degli “eretici” della crisi, quelli che – da Grillo ai teorici della Decrescita, da Maurizio Pallante a Giulietto Chiesa fino ai No-Tav della valle di Susa, apertamente evocati – mettono sotto accusa, oltre alla casta di potere, anche e soprattutto il modello di sviluppo che ha generato il disastro nel quale l’Italia si dibatte.
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Eco-furbi: rottamare l’auto inquina, più che cambiarla
Ogni tanto leggo qualche proposta ambientalista che mi lascia di stucco. Come l’ultima ideona sul bollo auto: far pagare di più, in base alle emissioni di CO2. Stabilire il pagamento di una tassa in base alle emissioni, si traduce in “Devi comprarti la macchina nuova altrimenti cacci il grano”, ovvero è una tassa su chi non cambia l’auto ogni tre anni. Molto ambientalista. Considero le emissioni importanti, ossia il problema #318 sulla lista delle questioni ambientali. Una specie di specchietto per le allodole riservato a bambini ed ignoranti, e vòlto ad ignorare i veri problemi ambientali che sono il massiccio inquinamento del territorio, il consumo delle risorse e il problema energetico.
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Le Nazioni Unite: stop alla crescita, non è più sostenibile
Boom demografico e crescita esplosiva dei consumi nei paesi di nuova industrializzazione: le risorse del pianeta si stanno esaurendo rapidamente. La media annuale è oggi di 10 tonnellate pro capite, il doppio delle risorse consumate nel ‘900. Avanti di questo passo, avverte l’Onu, nel 2050 l’umanità si troverà ad utilizzare annualmente 140 miliardi di tonnellate di minerali, combustibili fossili e biomasse: il triplo della quantità consumata attualmente. Da qui l’importanza del “fare di più con meno”, ottimizzando la “resa” delle risorse grazie al “decoupling”, disaccoppiando cioè l’intensità di energia e materie prime per unità di Pil e riducendo così l’input di materie prime ed energia per produrre beni e servizi. Una cosa è certa: l’attuale crescita non è più sostenibile, bisogna tornare almeno ai livelli del 2000.
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Pallante: cambiamo politica, riprendiamoci il futuro
La Decrescita (del Pil) non è il problema, ma la soluzione, perché il Pil è gonfiato da sprechi e veleni: è il certificato di bancarotta di un’economia obsoleta, fallimentare e insostenibile, denunciata da una crisi ormai planetaria, sociale e ambientale, provocata dall’ideologia miope della crescita, sulla quale la politica si è appiattita. «Destra e sinistra sono solo due varianti: si dividono su come distribuire il reddito, ma non su come produrlo, mentre il mondo sta collassando proprio per eccesso di produzione, per crescita cieca». Maurizio Pallante, fondatore del Movimento per la Decrescita Felice, lancia una proposta decisiva: scendere in campo direttamente, per costringere la politica a cambiare rotta.
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Raccontare il teatro in tv, aspettando Prix Italia
L’evoluzione dei mezzi di comunicazione che, anche grazie all’introduzione di tecnologie innovative e avanzate, favoriscono la crescente domanda di nuove modalità per la fruizione di contenuti.Tre incontri di introduzione e avvicinamento alla tv, alla radio e al web sono in programma nel laboratorio multimediale “Guido Quazza” dell’Università di Torino a Palazzo Nuovo: «Tre appassionanti appuntamenti – spiegano i promotori - con punti di vista, di ascolto e di navigazione attorno alle modalità di produzione, programmazione e fruizione dei tre settori cardine del Prix Italia, il più antico e prestigioso concorso internazionale per programmi di qualità radio, tv e web».
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Torino Titanic, viaggio tra i fantasmi post-olimpici
Un fiume di denaro pubblico, grandi affari (privati) e la desolazione di quello che resta, appena tre anni dopo, di alcune delle architetture olimpiche di Torino 2006. E’ il tema dell’impietoso filmato realizzato da Daniele De Luca per il convegno “Gran Torino” promosso il 16 maggio dal Movimento per la Decrescita Felice, con economisti e scienziati, per far luce sulle crepe della “Torino da bere” che, dopo il fasti dei Giochi invernali, ha lasciato un’eredità di delusione, cemento e debiti da capogiro.
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La Fabbrica dei Suoni
E’ in piena attività, con la riapertura dell’anno scolastico, la Fabbrica dei Suoni di Venasca (Cuneo), primo parco tematico italiano interamente dedicato alla musica
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3hd, visita virtuale al Museo dell’artiglieria
Per il Museo storico nazionale dell’Artiglieria di Torino, Libre ha realizzato una demo di “3hd”, nuova applicazione informatica che consente di effettuare anche da casa, sul web, una visita virtuale al museo