Archivio del Tag ‘Nuovo Mondo’
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Nuovo Mondo, il talento dell’arcangelo: dare il meglio di sé
Il mio maestro, in India, mi diceva: «Non ti preoccupare, al massimo muori: mica succede niente di grave». Ma te lo diceva con un sorriso tale, per cui quella verità la sentivi, perché lui era già lì. Vi assicuro che è stata dura, tornare a lavorare come fotografo nelle serate di moda dopo aver imparato a fare pratica di meditazione, in India. Così, con lo sguardo al cielo, un giorno ho chiesto un lavoro che fosse sulle mie corde: e subito è apparsa la Sacra di San Michele, che mi ha commissionato un libro. Da lì mi si è aperto un mondo, e ogni volta che salivo alla Sacra – l’ho fatto per due anni, anche dormendovi – mi si accendeva dentro un piccolo fuoco, che mi faceva stare bene. Da allora sono rimasto connesso, con quel luogo speciale. E nei giorni del primo lockdown, in testa mi risuonava una frase: bisogna portare luce.D’un tratto mi chiama una persona che non conoscevo: il marketing manager della Spacecannon, l’azienda che ha creato l’installazione luminosa al posto delle Torri Gemelle, a Ground Zero. E scopro, con mia grande sorpresa, che questa persona – che aveva fatto quella cosa così importante, a New York – abita vicino a me, proprio sotto la Sacra. Pensavo mi proponesse qualche lavoro, invece ci limitavamo a prendere il caffè insieme; però c’era risonanza, restava la sensazione di dover fare qualcosa insieme. Al terzo caffè, guardando la Sacra, gli dico: e se creassimo un fascio di luce che rappresenta la Spada di Michele? Al che, sondo lo scrittore Michele Peyrani, autore di libri sull’arcangelo Michele. Giorni dopo, Peyrani mi risponde: sì, l’idea è voluta dall’alto; però dovete muovere più energie. Così, la mattina dopo, contattiamo amici giornalisti. E il pomeriggio stesso arriva inatteso il via libera della Sacra: ok, la cosa si fa.Da lì è esplosa questa avventura, la Spada dell’Arcangelo, accesa il 29 settembre 2021, giorno di San Michele. Poi, attraverso il web, mi hanno contattato moltissime persone: mi dicevano “grazie”, da tutto il mondo. Il fascio di luce saliva nel cielo per 15 chilometri; praticamente si vedeva anche da Torino, nelle serate terse. E in quel momento ho sentito questo: non l’ho fatta io, quella roba; se c’è, è perché “è arrivata” qui. Sì, ha attraversato me: ma semplicemente perché ero quello più vicino alla Sacra, tra quelli che potevano recepire il messaggio. Davvero, ho sentito una forza, in quella cosa: è vero, simboleggiava la Spada dell’Arcangelo, ma ha portato davvero luce in mezzo a tanto buio. Gli arcangeli? Credo siano energie, a disposizione di chi le chiama.Sincronicità: proprio mentre accendevamo il faro per la prima volta, sotto di noi – in valle di Susa – pare transitasse la Porta dell’Inferno, l’opera di Auguste Rodin diretta a Roma. In quei giorni erano migliaia, le persone che salivano alla Sacra a vedere la Spada da vicino, la strada che sale all’abbazia era letteralmente intasata di auto. Ora, al di là delle singole appartenenze religiose, io percepisco un’energia che riguarda proprio tutti, e che davvero ci può contattare. E tutto è nato da intuizioni istantanee, non da ragionamenti. E’ qualcosa che arriva, semplicemente, nel momento in cui “fai spazio” e ti metti a disposizione, anche in modo umile. Nessuno di noi ha intascato un euro, da questa operazione: credevamo che la cosa potesse portare luce, tutto qui. O forse, questa cosa ci ha essenzialmente attraversato: ed è stato davvero emozionante. Non avevo mai visto una folla simile, lassù. La sera che ci siamo radunati a recitare l’Om al Sepolcro dei Monaci, io piangevo.Col tempo, ho imparato a distinguere quando a parlare è la mia testa, o quando è un’intuizione che arriva da un’altra parte. Quando riconosci questa differenza, dentro di te senti affiorare un coraggio, nell’andare avanti. E penso che proprio nell’estrema durezza del momento storico che stiamo vivendo vi sia un’opportunità ancora maggiore di contattare l’Altrove, di seguire un percorso e di tirare fuori – ciascuno di noi – il proprio talento. Siamo piccole gocce: ma ognuno di noi è fondamentale, per dare vita a questo Nuovo Mondo che siamo chiamati a creare. Non credo ci si debba scontrare, col Vecchio Mondo. Il nostro compito è portare una nuova energia: creare qualcosa di nuovo. E anche incoraggiare gli altri. Pensiamoci: oggi, il Vecchio Mondo ha semplicemente paura. Chi ha fatto certe scelte lo ha fatto per paura, o perché obbligato. Fa parte del gioco. E quando capisci che è un gioco, mi dico: almeno, scegliamoci il personaggio che più ci si addice, in questo gioco.(Franco Borrelli, dichiarazioni rilasciate il 27 dicembre 2021 nella diretta “The World United Italia II”, sul canale YouTube di Luca Nali. Apprezzato fotografo torinese residente in valle di Susa, Borrelli ha ideato – con Riccardo Croce, della Spacecannon – l’installazione luminosa della Spada di Michele, lo scorso autunno, in collaborazione con i Padri Rosminiani che gestiscono la millenaria abbazia. Ammette: «Mi piacerebbe ripetere l’esperimento anche in altri santuari lungo la Linea di Michele, come Monte Sant’Angelo in Puglia e Mont-Saint-Michel in Normandia». Sul momento presente, Borrelli è esplicito: «Come fotografo perderò diversi lavori, avendo scelto di rinunciare al Green Pass: ma esperienze come quella della Spada di Michele non possono che incoraggiare me e tutti quelli come noi»).Il mio maestro, in India, mi diceva: «Non ti preoccupare, al massimo muori: mica succede niente di grave». Ma te lo diceva con un sorriso tale, per cui quella verità la sentivi, perché lui era già lì. Vi assicuro che è stata dura, tornare a lavorare come fotografo nelle serate di moda dopo aver imparato a fare pratica di meditazione, in India. Così, con lo sguardo al cielo, un giorno ho chiesto un lavoro che fosse sulle mie corde: e subito è apparsa la Sacra di San Michele, che mi ha commissionato un libro. Da lì mi si è aperto un mondo, e ogni volta che salivo alla Sacra – l’ho fatto per due anni, anche dormendovi – mi si accendeva dentro un piccolo fuoco, che mi faceva stare bene. Da allora sono rimasto connesso, con quel luogo speciale. E nei giorni del primo lockdown, in testa mi risuonava una frase: bisogna portare luce.
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I Medici e l’Inca: l’America a Firenze prima di Colombo
Lorenzo il Magnifico discendeva direttamente dalla linea di sangue reale Inca. Era un meticcio: metà italiano (fiorentino) e metà andino. E la vera origine – occultata – del gran signore di Firenze, massimo promotore del Rinascimento italiano, dimostra una verità che ancora non si vuole ammettere, anche se sta ormai emergendo. Quale? Eccola: le maggiori signorie italiane rinascimentali (non solo Firenze, ma anche Milano e altre) erano in strettissimo contatto con le potenze d’oltreoceano. Legami pericolosi, per la Chiesa dell’epoca, perché rischiavano di demolire la teologia cristiana e il potere ecclesiastico, ripristinando l’antica conoscenza universale racchiusa nel culto solare, a cui sarebbe ispirata la stessa urbanistica rinascimentale, che nelle piazze italiane avrebbe riprodotto le piazze cerimoniali incaiche. E’ la tesi sostenuta da uno straordinario ricercatore come Riccardo Magnani, autore nel 2020 del saggio “Ceci n’est pas Leonardo” (ovvero, “Quello che non vi dicono su Leonardo da Vinci e il Rinascimento”).La stessa spedizione di Colombo del 1492, da cui si pretende inizi l’era moderna, secondo Magnani sarebbe un’invenzione storica: un escamotage del Vaticano per poi aprire la strada alla sanguinosa conquista cristiana delle Americhe, allo scopo di spezzare il legame con l’élite europea allora incarnata dalle signorie italiane come quella medicea. L’analisi di Magnani, tra le altre cose, ha il pregio di accendere i riflettori su dettagli che, in realtà, sono da sempre sotto gli occhi di tutti, benché sembra che si faccia finta di non vederli. Uno di questi è la presenza della “mascapaicha”, tradizionale copricapo Inca, nei dipinti della corte medicea (ben prima dell’ipotetica missione delle famose caravelle). «Fino ad oggi – scrive Magnani sul “Wall Street International Magazine” – nessuno ha posto l’accento sul fatto che, tra le innumerevoli evidenze contenute nell’arte rinascimentale, a rivelarci l’esistenza di numerosi viaggi in America (di gran lunga anteriori a quello presunto di Cristoforo Colombo) vi sia un antico simbolo regale e sacerdotale del popolo Inca, costituito da tre piume da portare in capo».Ufficialmente, scrive, le tre piume su mazzocchio vengono iscritte tra le imprese familiari del primo Rinascimento a partire da quella personale di Cosimo il Vecchio, che si vuole esser stata inserita per la prima volta nel tempietto del Santo Sepolcro: un edificio collocato nella cappella ancora oggi consacrata e annessa alla ex chiesa di San Pancrazio, accanto alla Basilica di Santa Maria Novella a Firenze. «Il tempietto, posizionato nel Sacello che si ispira al modello della Basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme, è costruito su progetto di Leon Battista Alberti e raccoglie le spoglie del suo committente, Giovanni di Paolo Rucellai, morto nel 1481». Le magnifiche tarsie che decorano le pareti esterne del sacello del Santo Sepolcro – continua Magnani – presentano le formelle istoriate che riportano gli stemmi araldici di Lorenzo il Magnifico, Cosimo il Vecchio e Piero il Gottoso. Lo stemma di Giovanni Rucellai, il committente, «rappresenta una vela spiegata al vento, con le sartie sciolte, forse proprio a intendere l’uso alla navigazione transoceanica».Iniziato nel 1457, il tempietto venne completato nel 1467. Non è neppure la prima volta che le tre piume vengono associate al “Pater Patriæ” fiorentino: esiste infatti un dipinto antecedente al tempietto – spiega lo studioso – in cui ritroviamo Cosimo il Vecchio associato a questo particolarissimo ornamento: siamo nella Cappella dei Magi del palazzo di famiglia, Palazzo Medici Riccardi in Via Larga a Firenze. «Qui, nel 1459 Benozzo Gozzoli dipinge il Corteo dei Magi, un affresco che tra le pieghe della sua rappresentazione risulta celebrativo proprio dei primi viaggi in America». L’opera celebra anche i personaggi che, a vario titolo, «si legarono alla famiglia de’ Medici in questa avventura, che condurrà in seguito Sisto IV e molti suoi alleati a ordire la Congiura dei Pazzi», delinando una palese ostilità tra la potenza romana e quella fiorentina. Il pretesto iconografico di questo decisivo ciclo di affreschi, ricorda Magnani, è quello dei festeggiamenti che la città di Firenze riservò a Mattia Corvino, eletto in quell’anno Re d’Ungheria, che proprio per questo guida il corteo a cavallo.Secondo Magnani, è palesemente errata l’interpretazione data finora dagli storici dell’arte, che lo identificano con un ritratto poco realistico di Lorenzo il Magnifico, forse in un tentativo di esaltarne la bellezza e la magnificenza. «Nonostante la presenza in questi affreschi dei molti bizantini che parteciparono al Concilio di Firenze – dice il ricercatore – è da ritenersi che i Magi a cui il corteo nominalmente si riferisce siano proprio i Magiari», cioè gli ungheresi, «guidati dal neoeletto Mattia Corvino», e quindi non i sacerdoti-astrologi dell’antica religione persiana di Zoroastro, il Mazdeismo, che secondo il Vangelo di Matteo giunsero a Beltemme, condotti dagli astri, per onorare la nascita di Gesù. Nel dipinto dei Medici, i Magi – secondo Magnani – sono idealmente rappresentati dal bizantino Giorgio Gemisto Pletone (riferimento culturale assoluto del primissimo Rinascimento), dal patriarca di Costantinopoli e da Giovanni VIII Paleologo, anch’esso di Bisanzio.«Gli Ungheresi – scrive Magnani – ebbero un ruolo attivo nei primissimi viaggi oltre oceano», tanto da potersi imputare a loro persino la scelta del nome dato al Nuovo Mondo: «Il nome America, infatti, è derivato da Emmerich (Amerigo, in italiano), figlio di Stefano I, primo Re d’Ungheria e fondatore della Chiesa Ungherese». Per lo studioso non deve stupire, dunque, o ritenersi anacronistico, che all’interno dello sviluppo del Corteo che accompagna Mattia Corvino – tra animali, piante, scene di caccia e rappresentazioni geografiche del nuovo mondo – Cosimo il Vecchio venga ritratto da Benozzo Gozzoli nei panni di un imperatore Inca (nello specifico Pachacutéc, che proprio nel 1459 morirà), con la classica pettinatura dei nativi sudamericani, la tipica tunica bordata d’oro del sommo sacerdote Inca e le tre piume in testa. «Sarà proprio questo particolare ad aiutarci a fare maggior chiarezza sul significato intrinseco di queste tre piume, e del perché sono diventate un emblema associabile alle famiglie che per prime, con molti anni di anticipo, ebbero contatti amichevoli con i nativi del Sudamerica».Il copricapo indossato da Cosimo il Vecchio, infatti, è la “mascapaicha” (parola di derivazione quechua), considerata in patria un simbolo assoluto del potere imperiale incaico. La “mascapaicha”, infatti, «garantiva al Sapa Inca il titolo di Governatore di Cusco e, a partire proprio da Pachacutéc (la cui statua da pochi anni è eretta nella Plaza des Armas di Cusco), di tutto il Tahuantinsuyo, ovvero di tutto il Perù, il più grande Impero dell’America precolombiana». Il riferimento a questo oggetto ornamentale, usato per sottolineare uno status di ceto e ruolo nella gerarchia religiosa Inca – spiga Magnani – è importantissimo: non solo per le implicite deduzioni cronologiche che comporta, in ordine ai primi viaggi nelle Americhe (viste le datazioni di cui stiamo parlando), ma anche per la corretta interpretazione del ciclo pittorico di Benozzo Gozzoli all’interno di Palazzo Medici Riccardi a Firenze. «Solo il Sapa Inca, infatti, poteva portare la “mascapaicha” più importante, che veniva tramandata da un sacerdote all’altro soltanto in caso di morte del predecessore».Questo ornamento, ricorda Magnani, era costituito da un filo intrecciato dello spessore di un dito, che veniva poi avvolto quattro o cinque volte attorno alla testa. All’epoca ne esistevano di tre tipi: rosso e blu per gli Incas dominanti, nero per gli Incas inferiori o di poco titolo, e poi il Llautu, una nappa di colore rosso e giallo (come appunto quello indossato da Cosimo il Vecchio) per la famiglia reale. Erano le Acllas (dette anche Vergini del Sole, donne prescelte all’interno della comunità Inca) che tessevano il Llautu, chiamato anche Paicha, «termine che esprime la congiunzione di spazio e tempo, assimilabile come concetto al compendio tra energia maschile e femminile». Il Llautu era costituito da una sottile, lunga treccia di lana rossa intarsiata da fili d’oro, ed era di uso esclusivo della famiglia reale. A completamento dell’ornamento imperiale, tre piume di Corequenque (il caracara andino, un rapace del Sudamerica dal piumaggio nero e bianco) venivano infilate nel Llautu.«Alla luce di tutto ciò – ragiona Magnani – è chiaro quindi che l’impresa considerata appartenente a Cosimo de’ Medici, e inserita nel tempietto del Santo Sepolcro, derivi idealmente da ciò che egli indossa nel dipinto di Benozzo Gozzoli di qualche anno prima: un omaggio a Pachacutéc, il primo imperatore Inca, che evidentemente Cosimo il Vecchio conosceva, se non altro nominalmente». Nello stesso dipinto, a portare la “mascapaicha” sono anche le tre nipoti di Cosimo il Vecchio, ovvero le figlie di Piero il Gottoso, nonché sorelle di Lorenzo il Magnifico. «Quanto descritto finora ci dice essenzialmente due cose: l’origine di questa impresa, che è indiscutibilmente legata ai primi viaggi oltreoceano (ovviamente databili ben anteriormente al 1492), e il fatto che le tre piume non siano sostenute da un mazzocchio, bensì da una “mascapaicha” (anche se, sostanzialmente, il significato sotteso a entrambe è lo stesso: compenetrazione tra il mondo eterico e mondo materico)».Anche l’associazione che sottolinea Benozzo Gozzoli (che proprio sotto l’indio si auto-ritrae) tra Cosimo il Vecchio e Pachacutèc, idealizzata nel segno della “mascapaicha” con cui è raffigurato il potente “Pater Patriæ” fiorentino, per Magnani «è molto importante ai fini di una revisione storica, in quanto narra di un rapporto evidentemente gioviale e amichevole tra i due popoli». Un rapporto «ben diverso da quanto poi la storia ci consegnerà in un secondo tempo, relativamente al genocidio operato dal colonialismo spagnolo post-colombiano e al ruolo interpretato dai frati, domenicani prima e gesuiti poi». La percezione di un rapporto di profonda amicizia tra i due popoli – aggiunge Magnani – ci viene confermata da una ulteriore rappresentazione di questo ornamento regale, anteriore sia all’affresco di Benozzo Gozzoli (1459) e sia all’arma intarsiata nel tempietto del Santo Sepolcro di Firenze (1461-1467). «Sto parlando di un oggetto molto particolare, tipico dell’epoca, oggi conservato presso il Metropolitan Museum of Art di New York».Magnani allude a un “desco da parto”, cioè un tipico vassoio commemorativo (in oro e argento) con cui venivano celebrate le nascite più importanti, da parte delle ricche famiglie del Rinascimento. Un manufatto «evocativo dell’offerta di dolci che tradizionalmente veniva portata alla partoriente». Opera di Giovanni di Ser Giovanni Guidi (detto Scheggia), questo vassoio venne creato nel 1449 per celebrare la nascita di Lorenzo, figlio di Piero de’ Medici e Lucrezia Tornabuoni, nipote prediletto di Cosimo il Vecchio e futuro capo della signoria che diede lustro a Firenze, tanto da meritarsi il soprannome di Magnifico. «Dipinto dal fratello minore di Masaccio, il vassoio fu poi conservato proprio negli alloggi privati di Lorenzo, nel Palazzo Medici Riccardi di Firenze». Attenzione: «L’intreccio ideale tra il popolo Inca e la famiglia de’ Medici qui è rafforzato dal fatto che le tre piume sono associate all’anello mediceo, che si sostituisce al mazzocchio e al Llautu, rafforzato dal motto familiare “semper” (per sempre), mentre gli stemmi delle due famiglie riconducibili ai genitori del nascituro, Medici e Tornabuoni, sono nella parte alta del vassoio stesso».Per Magnani, dunque, emerge sempre più chiaramente come la prima apparizione dell’arma di Cosimo de’ Medici non possa essere considerata quella sul tempietto di Giovanni Rucellai (il cui figlio, Bernardo, sposerà una nipote di Cosimo, Lucrezia, detta Nannina, che insieme alle sorelle Bianca e Maria nel dipinto del Gozzoli porta le tre piume della “mascapaicha”). Anzi, l’esistenza di questo vassoio «metterebbe in dubbio anche il fatto che le tre piume rappresentassero l’arma di Cosimo, lasciando intendere come il vero titolare dell’impresa, mutuata da Pachacutéc, fosse invece proprio Lorenzo, oggetto del “desco da parto” in visione». Oltretutto, il ritrovare le tre piume sia sul capo di Cosimo, nell’evidente atto di richiamare Pachacutéc e la “mascapaicha”, sia sul vassoio commemorativo della nascita di Lorenzo, «forse legittima un dubbio che confermerebbe una volta di più il carattere amichevole sottostante alle relazioni tra alcune famiglie dello schieramento politico ghibellino italiano e le più alte gerarchie dei popoli nativi del Sudamerica».Ragiona Magnani: «Sia Lorenzo de’ Medici, detto il Magnifico, sia Ludovico Sforza, non a caso detto il Moro, erano di sangue misto, meticcio, come peraltro confermerebbero le stesse caratteristiche della fisionomia di questi due celebri personaggi». Lo studioso ricorda che il termine “meticcio” deriva proprio dallo spagnolo “mestizo” e dal portoghese “mestiço”. Non a caso: con questo vocabolo «si definivano in origine proprio gli individui che nascevano dall’incrocio fra i coloni europei (perlopiù spagnoli e portoghesi) e le popolazioni amerindie indigene precolombiane». Qualche anno dopo, aggiunge Magnani, a legare ulteriormente l’impresa con le tre piume a Lorenzo il Magnifico è Giorgio Vasari, pittore e biografo di tutti i più grandi pittori, architetti e scultori del Rinascimento, nel celebre dipinto – conservato a Palazzo Vecchio – che ritrae, tra gli altri animali esotici, anche la giraffa di Lorenzo. In un angolo, il quadro «ripropone proprio le tre piume del Magnifico, inserite in un anello gemmato, la stessa impresa raffigurata sul “desco da parto” di Giovanni di Ser Giovanni Guidi».Dagli elementi menzionati, e in particolar modo dalla rappresentazione che fa Benozzo Gozzoli di Cosimo il Vecchio a Palazzo Medici Riccardi, Magnani ricava una certezza: «E’ indubbio il fatto che l’assunzione delle tre piume, da parte degli esponenti della famiglia de’ Medici, sia da porre in strettissima relazione a una frequentazione delle Americhe, anteriore al 1492, ricollegandosi all’uso che di questo ornamento facevano gli esponenti dell’impero Inca». Lo stesso imperatore Pachacutéc era ancora in carica, racconta Magnani, all’epoca in cui le tre piume e la “mascapaicha” fecero la loro prima apparizione nei dipinti, nelle imprese e nelle monete di una delle più importanti famiglie del Rinascimento, attorno alla prima metà del XV secolo. «Questo ornamento, oltretutto, ci testimonia del profondo legame esistente tra la famiglia de’ Medici, la famiglia Sforza e il territorio lariano, che ospiterà a più riprese il giovanissimo Leonardo a metà del XV secolo».In due chiese dell’alto Lario, infatti, nel comune di Gravedona – chiosa Magnani – sono riprese scene riconducibili all’affresco di Benozzo Gozzoli. «In una di queste, in particolar modo, un giovane (con tutta probabilità Galeazzo Sforza, figlio di Francesco) ha il capo cinto dalla “mascapaicha”, mentre con la mano regge dei funghi allucinogeni». Il ricercatore italiano non ha dubbi, sull’operazione di occultamento e depistaggio che avrebbe condotto a non riconoscere quel clamoroso legame (precolombiano) tra Firenze e i signori del Perù. «Il corso della storia, nel lungo cammino che ha portato alla nascita del movimento rinascimentale – afferma Magnani – è stato dirottato a beneficio della Santa Sede e dei suoi alleati, mentre le evidenze di quello che fu sono state abilmente cancellate». Ma attenzione: non tutte le prove sono state distrutte, «e quel che rimane è più che sufficiente per ricostruire il reale corso delle cose». La verità sull’America restituita da un copricapo regale: la “mascapaicha”, che da mezzo millennio – a Firenze – suggerisce la sua verità.Lorenzo il Magnifico discendeva direttamente dalla linea di sangue reale Inca. Era un meticcio: metà italiano (fiorentino) e metà andino. E la vera origine – occultata – del gran signore di Firenze, massimo promotore del Rinascimento italiano, dimostra una verità che ancora non si vuole ammettere, anche se sta ormai emergendo. Quale? Eccola: le maggiori signorie italiane rinascimentali (non solo Firenze, ma anche Milano e altre) erano in strettissimo contatto con le potenze d’oltreoceano. Legami pericolosi, per la Chiesa dell’epoca, perché rischiavano di demolire la teologia cristiana e il potere ecclesiastico, ripristinando l’antica conoscenza universale racchiusa nel culto solare, a cui sarebbe ispirata la stessa urbanistica rinascimentale, che nelle piazze italiane avrebbe riprodotto le piazze cerimoniali incaiche. E’ la tesi sostenuta da uno straordinario ricercatore come Riccardo Magnani, autore nel 2020 del saggio “Ceci n’est pas Leonardo” (ovvero, “Quello che non vi dicono su Leonardo da Vinci e il Rinascimento”).
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Saba Sardi: Gesù Cristo inventato da chi ci volle sottomessi
Autore di un libro “blasfemo”, considerato scomodo da alcuni e geniale da altri, ha raccontato le origini del concetto di divinità e la sua evoluzione dalle prime manifestazioni preistoriche fino alle attuali concezioni. Chi è, e come nasce dunque un dio? Perché la Chiesa nega la sessualità del messia? E se il potere mistico fosse stato gestito dalla donna? Francesco Saba Sardi spiega la sua visione della religione intesa solo come sistema di potere sui popoli. Spregiatore di dogmi, assertore della libera fecondità della parola, Saba Sardi nasce a Trieste, vive e lavora a Milano. La sua è una vita spesa nelle terre di tutto il mondo nella conoscenza di etnie cosiddette primitive o nuove e misconosciute. Traduce in sei lingue e pubblica oltre 40 libri affrontando temi che spaziano dalla narrativa alla saggistica, dalla poesia ai viaggi. E’ considerato una delle menti più prestigiose del XX secolo. “Il natale ha 5000 anni” è una delle sue opere più note. Il libro racconta la vicenda della nascita e della diffusione del Natale cristiano e illumina sulle radici della religiosità in un momento storico di cristallizzazione e integralismo.“Il natale ha 5000 anni” è popolato di vicende e personaggi che prendendoci per mano ci fanno percorrere il cammino dell’uomo: dodicimila anni fa l’umanità dell’Eurasia ha inventato le divinità, ma è nella crisi generale di 5000 anni fa, nell’età neolitica, che Francesco Saba Sardi individua il sorgere della necessità di speranza che porta l’uomo a desiderare la comparsa del Salvatore, del redentore capace di ricondurci alla fratellanza dei primordi. La speranza nei Figli del Cielo apparsi in maniera straordinaria, uscendo da grotte, rocce o nascendo da madri vergini, si diffonde per millenni lungo tutti i territori eurasiatici. Il Cristianesimo è solo uno dei Natali dei Figli del Cielo, ma chi è questa volta il Figlio del Cielo? Sempre lo stesso di 5000 anni fa? E cosa rappresenta per noi oggi la religione, la fede, la credenza in entità sovrumane? Abbiamo incontrato l’autore di questo complesso studio per cercare nuove risposte e maggiore chiarezza su un tema dagli echi ancestrali.Il Natale ha 5000 anni viene pubblicato per la prima volta nel 1958 per essere poi ritirato dalle librerie. La pubblicazione del 2007 dell’editore Bevivino è in realtà la seconda edizione. Cosa accadde nel 1958?Nel ’58 il mio libro fu accolto molto bene dal pubblico e molto male dalla “Civiltà Cattolica”, che dedicò un intero numero, ben 25 pagine, alla confutazione della tesi esposta nel mio libro, confutazione a cura di Padre Rosa.Che cosa ha fatto e cosa può fare paura del suo libro?Varie cose. Ad esempio, ha fatto paura il fatto che io affermassi che il Cristianesimo è un mitema, ma il mito non è bugia. Il mito è un’affermazione che sorge spontaneamente. Il Natale è un mito che sorge nell’impero eurasiatico quando nell’età neolitica l’umanità passa dal nomadismo alla stanzialità. La società stanziale inventò l’agricoltura, l’allevamento di bestiame, il maschilismo e il potere. La necessità di una società organizzata richiese l’istituzione di una gerarchia che veniva ordinata soprattutto dal cielo con l’idea della divinità.Su quali elementi basò la sua confutazione Padre Rosa?La mia tesi è inconfutabile. Padre Rosa basò la sua confutazione sul fatto che Gesù è una realtà storica e non una figura mitica. Ma anche se Gesù fosse una realtà storica questo non avrebbe nessuna importanza perché fu Paolo di Tarso il fondatore del Cristianesimo e non Cristo.Il Cristianesimo nasce e si diffonde seguendo vari rami, varie tesi come, ad esempio, la gnostica, per poi arrivare alle edizioni Paoline, e gli scritti di Paolo di Tarso diventano la base su cui si fonda il cattolicesimo per come noi oggi lo conosciamo. Come interpreta questo percorso?E’ chiaro che quando è giunto il momento di scegliere tra i vari rami del Cristianesimo si è pensato di scegliere il Dio monoteista che più conveniva a chi in quel momento gestiva il potere, in questo caso l’imperatore Costantino. Insomma, Paolo di Tarso è stato un autore che ha trovato nell’imperatore Costantino un formidabile editore.Quindi l’imperatore Costantino potendo scegliere tra diversi autori decide di editare Paolo di Tarso?Sì, e da quel momento il Cristianesimo sostituisce la Trinità Capitolina formata da Giove, Marte ed Ercole. Bisogna sottolineare il fatto che le figure e le qualità degli Dei Capitolini non soddisfacevano più gli intellettuali romani dell’epoca. Costantino unificò l’Impero donando al popolo romano un Figlio del Cielo, monoteista e nato da un Dio sensibile e più raffinato degli Dei a cui i romani erano abituati fino ad allora.Qual è secondo Lei la grande forza del Cristo?La grande forza del Cristo, così come per tutti gli Apparsi, per tutti i Figli del Cielo, consiste soprattutto nell’essere maschio. La gerarchia è maschile. Il potere maschile, il Tyrannos (in lingua turca e in latino: il pene duro), il Tiranno. Nessun potere può affermarsi se non è incarnato, così il potere si materializza in una parte del corpo e, sesso e potere diventano tutt’uno. Non c’è mai stata un’Apparsa. Mai una donna venuta a rivelare il Nuovo Mondo a promettere l’Età dell’Oro. Da quando sono stati inventati gli Dei, le Dee, le Ninfe, le Valchirie sono sempre al servizio del Signore degli Dei, il Grande Maschio.Il potere è maschio in una civiltà dominata dai maschi, ma se l’Umanità avesse camminato sulla scia dell’energia femminile, questo avrebbe fatto differenza nella nostra evoluzione?Moltissima differenza. Il potere non è donna. La donna è madre. Nella nebulosità dei nostri ricordi ancestrali si è persa l’idea delle Dee che si auto-generavano senza il ricorso dell’inseminazione maschile come la Madre Terra, metafora del suolo che risorge continuamente da se stesso. Nell’età neolitica la donna venne “domesticata”, ridotta alla condizione di inferiorità e sudditanza. Il Neolitico è stata una tragedia per l’umanità; l’invenzione della stanzialità, nel tempo ha cambiato tutto: il modo di mangiare, la concezione dello spazio. Abbiamo cessato di divertirci. Andare a caccia è divertente, il selvaggio si diverte. Zappare non è divertente, come non è divertente fare l’impiegato. Abbiamo cessato di divertirci e abbiamo inventato la guerra. La parola ha cessato di essere spontanea, non è la parola che inventa il mondo ma sono gli oggetti che iniziano ad imporre le parole.Il suo libro percorre la storia dei Figli del Cielo, dei Mitema. Quali elementi uniscono queste figure al Cristo?Come abbiamo già detto, la maschilità. Il fatto che devono affrontare dei pericoli, ad esempio, il Dio egizio Amon Ra – il Sole – deve affrontare il pericolo della notte, come il Cristo deve affrontare il buio, il Diavolo. Il fatto che sono Apparsi, il Natale è Apparso. Non è sempre necessaria una madre vergine, ma una nascita straordinaria: Mitra nasce da una roccia. Poi, l’Apparso trionfa nell’aldiquà o nell’aldilà; quello che conta è il trionfo attuale o futuro, dopo aver “rinominato” il mondo non più con la parola spontanea, ma come conseguenza dell’essersi impadronito del mondo.Quindi questi Dei nel momento in cui privano della parola spontanea diventano dei tiranni ed esercitano il loro potere dandoci le parole per comprendere il mondo?Il potere consiste nel darci il pensiero, che è parola.Tutti i profeti raccontano del ritorno dell’Età dell’Oro, anche se ognuno chiama con le proprie parole questo tempo che ci attende. Secondo Lei cosa rappresenta questa visione?Nostalgia e speranza. Speranza che ritorni il tempo felice. Il tempo in cui non si consumava la propria vita lavorando, perché cacciare o raccogliere delle radici nei boschi non è un lavoro. La civiltà per come l’abbiamo costruita ora è un disastro. Abbiamo distrutto la natura, abbiamo ucciso noi stessi. Lei crede che si possa tornare indietro? E come? Tornando alla caccia?Perché lei non crede che l’uomo possa avere tale nostalgia dei tempi felici da arrivare a distruggere quello che ha costruito fino ad ora per tornare indietro?Sì, è possibile: ma come? E’ più probabile che ci penserà la Terra stessa a ripulire l’uomo. L’Apocalisse è la fine del mondo per ricominciare. L’Età dell’Oro è apocalittica. Ci sarà un’epoca di felicità futura perché la nostalgia e la speranza sono tutt’uno. Tutti gli Apparsi, tutti i Figli del Cielo parlano di questo momento, tutti.Quindi, figure simili a Cristo esistono almeno da 5000 anni. Presumo che lei si sia documentato utilizzando testi e informazioni disponibili a chiunque…Il fatto è che abbiamo troppa informazione, e avere troppa informazione non serve a nulla. Nel Neolitico avviene la rivoluzione razionale, la ratio; il cognito prende il posto del mitema e sostituisce la poesis, l’invenzione, la poesia – che è immediatezza e spontaneità: è ciò che sopravvive ancora nei bambini.Quindi le informazioni le abbiamo, ma a causa della nostra razionalità non riusciamo ad utilizzarle?No, non riusciamo. Tutte le informazioni da cui siamo invasi nella nostra società sono composte da due parti: la prima è costituita da dogmi. Dogma è la fede e l’affermazione fideistica non ha nulla a che fare con la razionalità. La seconda parte dell’informazione è composta dalla giustificazione, la riprova. Il Vaticano, ad esempio, informa utilizzando la razionalità dell’informazione religiosa. Ratzinger non dice di continuo che il Cristianesimo è razionale? I preti non fanno altro che dare dimostrazione di Dio e delle sue manifestazioni hanno bisogno della riprova. Stiamo attraversando il grande capitolo storico della riprova, ma c’è una differenza tra religione e scienza: la scienza parte da ipotesi che debbono essere provate; la stessa cosa fa la religione, ma al posto delle ipotesi la religione mette delle certezze aprioristiche. Infatti, mentre la ricerca scientifica tenta di comprovare o smentire le ipotesi, nella religione ci sono certezze, dei dogmi che non possono essere smentiti perché smentire i dogmi significa essere degli eretici.La storia dell’Uomo è comunque piena di eretici, di uomini che hanno tentato con tutte le loro forze di smentire questi dogmi. Molti di loro, come Giordano Bruno, ad esempio, sono stati disposti a pagare con la vita. Secondo Lei, in questo momento un Giordano Bruno che tipo di opposizione incontrerebbe?Incontrerebbe un Padre Rosa che gli darebbe pubblicamente del bugiardo. Ma la chiesa è in contraddizione con se stessa: ad esempio, dichiara Cristo una realtà storica, quindi non nega l’incarnazione, ma dell’incarnazione nega la sessualità.Infatti, il suo libro mostra le immagini di antichi dipinti in cui la sessualità di Cristo non veniva negata, ma mostrata.I dipinti di cui parla sono esistiti fino al Concilio di Trento. Il Concilio di Trento è da considerarsi l’antirinascimento. La copertina del libro, ad esempio, mostra la Sacra Famiglia di Hans Baldung Grien, datata 1511. L’immagine che ha suscitato, a più riprese, scandalo mostra il Bambino Gesù sottoposto a manipolazioni genitali. A toccarlo è la nonna, Sant’Anna, mentre il bambino tende una mano al mento della madre, Maria, e l’altra scopre l’orecchio dal quale è entrato il Verbo. Da cattolici e protestanti si è cercato in vari modi di spiegare, o meglio esorcizzare, l’atto erroneamente considerato un gesto di libertà senza precedenti nell’arte cristiana, ma le erezioni di Gesù sono illustrate da una folla di dipinti rinascimentali, in più di un dipinto l’erezione è talmente palese da aver indotto più volte i censori a mascherarla con pennellate o drappeggi, quando non si è arrivati a distruggere i dipinti “incriminati”. La virilità di Gesù è una componente fondamentalissima nella concezione cristiana. Negare questa evidenza, negare la sessualità del Cristo, equivale a negare l’Ensarcosi, l’incarnazione del Figlio del Cielo, e dunque a negare il dogma stesso del Dio-uomo, questo equivale dunque a pronunciare una bestemmia.Visto che l’esistenza stessa di questi dipinti testimonia il fatto che la Chiesa non ha da sempre negato la sessualità di Cristo, come siamo arrivati alla negazione?Nel Cristianesimo possiamo distinguere tre fasi: nella prima fase, la fase Agostiniana, Dio è Padre, severo e unilaterale. Dio concede la grazia ai suoi figli ma chi non è nelle sue grazie va all’inferno. La seconda è la fase del Rinascimento: in questa fase Dio Padre viene sostituito dal figlio che ha ha doti di spontaneità e umanità, ed è davvero di carne e sangue. Il Concilio di Trento apre la terza fase del Cristianesimo, fase in cui si torna alla figura del Padre severo e indiscutibile. Naturalmente un residuo del Dio che si incarna nel Figlio, della fase rinascimentale, ha continuato a sopravvivere resistendo fino a Giovanni XXIII, ma adesso si sta tornando a Pio IX, al Sillabo. Perché la concezione dell’uomo che può e deve scegliere è impossibile da conciliare per la Chiesa, quindi si torna al Sillabo: così si pensa, così si parla, così si scrive.Come viene giustificato questo ritorno al passato della chiesa cattolica?C’è una grande giustificazione a cui partecipano anche tutti i partiti politici: “In nome della democrazia io devo scegliere per tutti”. La poesis è pericolosa. Il poeta è pericoloso perché non rispetta i dettami del potere; quindi, tutti devono essere ridotti al comune denominatore: il Sillabo e i suoi derivati. I giornali sono il Sillabo, la produttività è il Sillabo. Il poeta è la negazione del Sillabo.Lei non crede che chiunque legga ad esempio la sua intervista possa essere improvvisamente colto da una scintilla che lo renda poeta?Spero-Dispero.(Sonia Fossi, “Francesco Saba Sardi, il poeta della non-fede”, intervista pubblicata fa “Hera Magazine” e ripresa sul blog di Gianfranco Carpeoro il 27 luglio 2016. Scomparso nel 2012 ormai novantenne, Saba Sardi era stato scomunicato per “Il natale ha 5000 anni”. E’ l’autore del principale volume italiano sulla storia delle religioni, pubblicato da Mondadori. Filologo e antropologo, ha firmato opere di narrativa e saggistica, libri d’arte e diari di viaggio, mettendo insieme 50 titoli. Sterminata la schiera dei volumi da lui curati, tradotti e commentati – oltre 600 – tra i cui autori si possono citare Herman Melville, Thomas Mann, Miguel de Cervantes, Calderón de la Barca, Luis de Góngora, Victor Hugo, Hermann Hesse, Tolkien e Goethe, George Bernard Shaw, Doris Lessing, Erich Fromm. Ha tradotto dal tedesco, dal francese, dall’inglese, dal danese, dallo spagnolo e dal portoghese, dal serbocroato. Era stato scelto personalmente, come traduttore, da Georges Simenon, Gabriel Garcia Marques e Fernando Pessoa. Di Pablo Picasso scrisse l’unica biografia autorizzata dall’artista. La sua ultima opera, il saggio “Dominio”, mette a fuoco la genesi della religione, che nasce insieme alla guerra e all’improvvisa necessità di possedere territori, con la scoperta dell’agricoltura: un nuovo potere, sconosciuto ai primitivi nomadi, configurato sotto forma di dominio).Autore di un libro “blasfemo”, considerato scomodo da alcuni e geniale da altri, ha raccontato le origini del concetto di divinità e la sua evoluzione dalle prime manifestazioni preistoriche fino alle attuali concezioni. Chi è, e come nasce dunque un dio? Perché la Chiesa nega la sessualità del messia? E se il potere mistico fosse stato gestito dalla donna? Francesco Saba Sardi spiega la sua visione della religione intesa solo come sistema di potere sui popoli. Spregiatore di dogmi, assertore della libera fecondità della parola, Saba Sardi nasce a Trieste, vive e lavora a Milano. La sua è una vita spesa nelle terre di tutto il mondo nella conoscenza di etnie cosiddette primitive o nuove e misconosciute. Traduce in sei lingue e pubblica oltre 40 libri affrontando temi che spaziano dalla narrativa alla saggistica, dalla poesia ai viaggi. E’ considerato una delle menti più prestigiose del XX secolo. “Il natale ha 5000 anni” è una delle sue opere più note. Il libro racconta la vicenda della nascita e della diffusione del Natale cristiano e illumina sulle radici della religiosità in un momento storico di cristallizzazione e integralismo.
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L’élite a caccia di sangue giovane, pare ritardi la vecchiaia
Sangue umano? Buono, ottimo. Specie se giovane. «Quella che una volta era solo una delle fantasie dei teorici della cospirazione – i ricchi ingerivano il sangue dei giovani per favorire la longevità – è ormai una realtà e un vero e proprio business negli Stati Uniti», scrive il blog “La Crepa nel Muro”, rivelando che diversi miliardari oggi ammettono di essere interessati ad esso. «Hanno scoperto che il sangue di topi giovani, iniettato in topi anziani, ha un enorme effetto ringiovanente», ha detto Peter Thiel, co-fondatore di PayPal, alla rivista “Inc Magazine”: «Penso che ci siano un sacco di queste cose, che sono state stranamente sottovalutate». Ma non è più un esperimento che riguardi solo i topi: la società startup di Jesse Karmazin, Ambrosia, sta facendo la stessa cosa con gli esseri umani. E molti “paperoni” sono in coda per ricevere il sangue dei giovani. Come riporta “Vanity Fair”, Ambrosia acquista liquido biologico dalle banche del sangue e ha già circa 100 clienti paganti: alcuni sono tecnologi della Silicon Valley, come Thiel. Ma i compratori non si servono solo da Ambrosia. E comunque, chi ha più di 35 anni ha diritto alle trasfusioni.Un recente studio pubblicato su “Science” e “Nature Medicine” ha rivelato che trasfondere il sangue di un giovane topo in esemplari più anziani può limitare l’apparire dei sintomi dell’invecchiamento. Questa scoperta rivoluzionaria potrebbe portare a progressi medici e allo sviluppo di nuovi farmaci, aggiunge “La Crepa nel Muro”. Tuttavia, la rivista medica “Vice Tonic” suggerisce l’esistenza di applicazioni molto più sinistre: scrive che «le élites che invecchiano usano il sangue dei giovani come una sorta di siero di giovinezza». Una richiesta simile è stata fatta dal giornalista Jeff Bercovici l’anno scorso, dopo aver condotto diverse interviste con gli aristocratici della Silicon Valley, tra cui Peter Thiel, e aver imparato a conoscere questa procedura trasfusionale, chiamata “parabiosis”, in cui viene utilizzato il sangue dei giovani per prevenire l’invecchiamento. «Ci sono voci diffuse nella Silicon Valley, dove la scienza per l’estensione della vita è un’ossessione popolare». Si racconta che vari boss dell’hi-tech abbiano già cominciato a praticare la “parabiosis”, spendendo decine di migliaia di dollari per ottenere il sangue, anche perché ripetono la pratica varie volte l’anno.Nel suo articolo, Bercovici esprime preoccupazione per lo sviluppo di un mercato nero per il sangue dei giovani. «Mentre non v’è nulla di sbagliato se giovani maggiorenni consenzienti vendono del sangue all’élite, il tema di fondo di questa pratica ha forti radici nell’occulto», avverte “La Crepa nel Muro”. «Nella maggior parte delle culture moderne, omicidi di massa e sacrifici umani si verificano ancora a cielo aperto sotto la copertura della guerra, e il cannibalismo è un’altra pratica diffusa». Addirittura: «E’ solo nelle ultime centinaia di anni che le pratiche di cannibalismo non ricevono più pubblicità. In Europa, intorno al periodo della Rivoluzione Americana, la “medicina dei cadaveri” era molto popolare tra la classe dirigente, Charles II anche ne ha usufruito». Il dottor Richard Sugg, della Durham University, ha condotto approfondite ricerche nella pratica della “medicina cadavere” tra i reali. «Il corpo umano è stato ampiamente usato come agente terapeutico con i trattamenti più popolari con carne, ossa e sangue», afferma il medico. «Il cannibalismo è stato trovato non solo nel Nuovo Mondo, come si credeva, ma anche in Europa», aggiunge Sugg.Una cosa che ci viene raramente insegnata a scuola, ma che è presente in testi letterari e storici del tempo, è questa: Giacomo I rifiutò la “medicina cadavere”, mentre Carlo II ne fece largo uso. E anche Carlo I ha fatto ricorso alla “medicina cadavere”. «Insieme a Carlo II, vi sono eminenti pazienti che hanno usufruito di tale tipo di medicina, tra cui Francesco I, il chirurgo di Elisabetta I John Banister, Elizabeth Gray, contessa di Kent, Robert Boyle, Thomas Willis, Guglielmo III e la Regina Maria», sostiene il dottor Sugg. Se questo non fosse abbastanza strano, aggiunge “La Crepa nel Muro”, l’attuale famiglia reale d’Inghilterra sostiene di essere discendente diretta del principe Vlad III Dracula di Valacchia (moderna Romania): «Il folle e depravato Vlad l’Impalatore, che era conosciuto come un macellaio e che alla fine divenne l’ispirazione per la più famosa storia di vampiri». A parte il contesto storico e occulto raccapricciante di tali pratiche, continua il blog, v’è una mancanza di dati che suggerisce che il procedimento possa funzionare: nonostante le dichiarazioni di Karmazin, il fondatore di Ambrosia, secondo cui «il sangue giovane sembra invertire il processo di invecchiamento», gli scienziati devono ancora trovare il legame tra una trasfusione di sangue giovane ed eventuali, tangibili benefici per la salute.Non c’è ancora nessun evidenza clinica che il trattamento sia benefico, sostiene un neuroscienziato come Tony Wyss-Coray della Stanford University, che ha condotto uno studio nel 2014 sul giovane plasma sanguigno nei topi, presentato sulla rivista “Science. Secondo Wyss-Coray, si sta sostanzialmente abusando della fiducia dei “pazienti”. Anche secondo un altro scienziato, Bradley Wise, è ancora troppo presto per raccomandare trasfusioni di sangue da persone giovani a persone anziane, raccontando loro che potrebbero “disinfiammare” il sistema circolatorio intervenendo in modo positivo nel prevenire gravi patologie come Alzheimer, malattie cardiache, diabete, ictus e cancro. Ma non tutti la pensano così. Tra i possibilisti figura Rudolph Tanzi, professore di neurologia a Harvard e direttore dell’Unità di ricerca sulla genetica e l’invecchiamento del Massachusetts General Hospital. «Sono rimasto davvero a bocca aperta leggendo questi risultati», dichiara a “National Geographic”. Secondo Tanzi, gli studi sul sangue dei topi potrebbero segnare una svolta nella medicina: «In qualche modo il sangue giovane ferma l’infiammazione nel corpo e nel cervello, che è uno dei problemi principali che conducono al deterioramento prodotto dalla vecchiaia». Vuoi vedere che certe élite lo “sapevano” da sempre? E che il romanzo di Bram Stoker sul tenebroso succhia-sangue dei Carpazi alludeva a qualcosa di più sinistramente vicino a noi?Sangue umano? Buono, ottimo. Specie se giovane. «Quella che una volta era solo una delle fantasie dei teorici della cospirazione – i ricchi ingerivano il sangue dei giovani per favorire la longevità – è ormai una realtà e un vero e proprio business negli Stati Uniti», scrive il blog “La Crepa nel Muro”, rivelando che diversi miliardari oggi ammettono di essere interessati ad esso. «Hanno scoperto che il sangue di topi giovani, iniettato in topi anziani, ha un enorme effetto ringiovanente», ha detto Peter Thiel, co-fondatore di PayPal, alla rivista “Inc Magazine”: «Penso che ci siano un sacco di queste cose, che sono state stranamente sottovalutate». Ma non è più un esperimento che riguardi solo i topi: la società startup di Jesse Karmazin, Ambrosia, sta facendo la stessa cosa con gli esseri umani. E molti “paperoni” sono in coda per ricevere il sangue dei giovani. Come riporta “Vanity Fair”, Ambrosia acquista liquido biologico dalle banche del sangue e ha già circa 100 clienti paganti: alcuni sono tecnologi della Silicon Valley, come Thiel. Ma i compratori non si servono solo da Ambrosia. E comunque, chi ha più di 35 anni ha diritto alle trasfusioni.