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Archivio del Tag ‘opportunismo’

  • La Cupola ha in mano il governo. Ma l’alternativa dov’è?

    Scritto il 23/1/20 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Ma davvero vi aspettavate che la Corte costituzionale desse il via libera al referendum promosso dalla Lega? Ma in che mondo vivete, conoscete le biografie dei giudici costituzionali, chi li ha voluti lì, e più in generale conoscete le leggi inesorabili del potere, il loro reciproco sostegno? E la stessa cosa vale per la decisione della Cassazione in merito alla questione Carola Rackete; pensavate davvero che accadesse il contrario? Per anni siamo stati abituati a considerare chi è al potere come la Casta. È tempo di fare un salto di qualità e considerare che il potere è oggi piuttosto la Cupola. La casta riguardava solo i privilegi, la Cupola è un assetto di potere interdipendente e non espugnabile in modo fortuito. La cupola è una struttura sovrastante che non accetta né immissioni di estranei, né circolazione delle classi dirigenti, né il minimo cedimento dei suoi assetti consolidati. I suoi metodi e i suoi scopi sono finalizzati alla pura conservazione del potere, allo scambio di favori tra poteri, all’associazione di scopo finalizzata al reciproco sostegno. Quello che il popolino al sud sintetizzava nella formula “mantienimi-che-ti-mantengo”, ossia uno regge l’altro ed ambedue impediscono l’accesso di estranei, outsider.

  • Cacciari, il sangue di Soleimani e l’osceno silenzio europeo

    Scritto il 08/1/20 • nella Categoria: idee • (1)

    Menzogne, sangue e colpevoli silenzi. E’ l’habitat nel quale prospera il verminaio terrorista alimentato sottobanco da un impero occidentale che non ha saputo svilupparsi, storicamente, se non spese di paesi terzi. E’ la tesi di giornalisti eretici come Paolo Barnard, corroborata da illustri colleghi come Seymour Hersh, Premio Pulitzer statunitense, spietato con i nostri media: se la stampa non avesse smesso di fare il proprio mestiere, sostiene, qualche politico – non codardo – avrebbe avuto modo di denunciare i crimini del potere mercuriale, costringendo l’establishment del terzo millennio a fare meno guerre e provocare meno massacri di vittime innocenti. Che poi la verità si annacqui negli opposti estremismi opportunistici e nel sostegno al terrorismo, fatale conseguenza di abusi criminali, non è che un aspetto della mattanza in corso, a rate, inaugurata dall’opaco maxi-attentato dell’11 Settembre a New York, di cui tuttora si tace la vera paternità presunta. Ma se si varca il Rubicone e si compie una violazione che non ha precdeenti nella storia, un attentato terroristico condotto con mezzi militari e apertamente rivendicato, allora si passa il segno.
    Fa impressione sentirlo dire in televisione dal filosofo Massimo Cacciari, solitamente prudente, ospite di Bianca Berlinguer il 7 gennaio 2020 insieme all’altrettanto compassato Paolo Mieli, parimenti preoccupato dall’inaudito omicidio del generale iraniano Qasem Soleimani, assassinato senza preavviso in un paese neutrale e teoricamente sovrano, l’Iraq devastato dalle guerre americane. A spaventare Cacciari è innanzitutto la morte clinica della politica: senza nemmeno citare l’increscioso Salvini che tifa per i missili omicidi, auto-espellendosi dal club delle personalità pubbliche abilitate a occuparsi di noi, ciò che sconcerta è il vuoto pneumatico, culturale prima ancora che politico, che contraddistingue le cancellerie europee di fronte al pericolosissimo valzer di sangue innescato dal proditorio assassinio di Soleimani, eroe nazionale dell’Iran, le cui esequie in mondovisione hanno esibito nelle piazze il dolore di milioni di persone. Si ha un bel dire che il regime di Teheran non è certo un esempio di libertà e democrazia: la discussione si potrebbe svolgere alla pari quando l’Iran bombardasse l’Europa o l’America, ammazzando leader occidentali.
    Certo, se il mondo sembra sull’orlo dell’abisso, non bisogna dimenticare che – dietro le quinte – agiscono potentissime consorterie riservate, spesso tacitamente in accordo tra loro, pronte anche a sacrificare innocenti pur di incolparsi a vicenda e rafforzare nel modo più sleale il ferreo dominio sui rispettivi popoli, drogati di propaganda. Di fronte al suo omicidio così infame, imposto al mondo in modo pericoloso e oscenamente sfrontato, i media occidentali ripetono che Soleimani era una specie di terrorista, evitando di ricordare che proprio il comandante dei Pasdaran era il nemico numero unico del terrorismo targato Isis, da lui personalmente sgominato prima in Iraq e poi in Siria. Dove pensa di andare, un Occidente che si priva della minima dose vitale di verità? In nome di quale presunta superiorità democratica ritiene di prevalere sulla brutale teocrazia degli ayatollah, sulla “democratura” russa e sull’oligarchia cinese?
    Si abbia almeno la decenza di riconoscere che il generale Soleimani era innanzitutto un uomo del suo popolo, protesta – sempre alla televisione italiana, ospite di Barbara Palombelli – un intellettuale come Pietrangelo Buttafuoco, il solo a rammentare al gentile pubblico che l’Isis, il mostro che Soleimani ha sconfitto in Iraq e in Siria, era armato e protetto proprio da noi, Occidente democratico. Per la precisione, ha ricordato il saggista Gianfranco Carpeoro, a mettere in piedi l’inferno chiamato Isis è stata una Ur-Lodge supermassonica, la “Hathor Pentalpha”, creata nel 1980 dal clan Bush, reclutando prima Osama Bin Laden e poi il “califfo” Abu Bakr Al-Baghadi. Proprio la recente uccisione del macellaio Al-Baghdadi, uomo-chiave del Deep State statunitense, secondo Carpeoro avrebbe indotto la “Hathor” a premere su Trump, ricattandolo: se uccidi Soleimani, la passerai liscia al Senato per l’impeachment e avrai dalla tua parte, nella corsa per le presidenziali di novembre, anche l’ala repubblicana più reazionaria e naturalmente il potentissimo network sionista che i complottisti chiamano impropriamente “lobby ebraica”.
    Analisi, suggestioni e indizi che non raggiungono neppure lo 0,1% del pubblico, a cui viene raccontato che il generale Soleimani era “un feroce assassino”, senza mai specificare come, quando e dove si sarebbe esercitato nella sua diabolica specialità, così riprovevole e lontana mille miglia dalla soave, squisita e leggendaria gentilezza dei democraticissimi generali statunitensi e israeliani. Era attivo in Libano, Soleimani? Certo, ma lo erano anche i colleghi israelo-occidentali, che notoriamente in Libano ci vanno abitualmente come turisti. Era stato impegnato in Iraq, il generale iraniano, ed è noto a tutti che l’Iraq è da sempre nei cuori delle umanitarie democrazie occidentali, madrine dei diritti umani. Il bieco Soleimani era di casa pure in Siria, altro paese amatissimo dai democratici di Washington, Ankara, Riad e Tel Aviv. Per inciso: Siria, Libano e Iraq erano i paesi da cui gli impresari occidentali dell’Isis contavano di esportare i tagliagole in Iran, per abbattere finalmente l’odiato regime (sovrano) degli ayatollah. Paolo Barnard ha titolato un suo bestseller con la più scomoda delle domande: perché ci odiano? Tra le sue fonti: il numero due di Al-Qaeda in Egitto.
    E’ decisivo scoprire che il cuore nero e inconfessabile del jihadismo è l’invenzione perversa di un’élite occidentale criminale. Ma restando sulla superficie, questo non cambia il quadro, il bilancio finale: le nostre forze armate, impegnate in paesi islamici, hanno provocato centinaia di migliaia di morti e milioni di esuli. Perché ci odiano, dunque? Supporre che al nostro posto chiunque altro – Russia, Cina – si sarebbe comportato nello stesso modo, non è di grande consolazione. Alcuni incrollabili atlantisti, che vedono comunque negli Stati Uniti l’unica possibile fonte di riscatto democratico per il pianeta, sperano che il lume della ragione prenda possesso del governo imperiale della superpotenza prima che sia troppo tardi. Si illudono? Sono domande senza risposta, su cui pesa il vistoso smarrimento di Cacciari di fronte al vergognoso silenzio dell’Europa: com’è possibile, accusa, non prendere le distanze da un atto di terrorismo di Stato come quello compiuto dagli Usa ai danni dell’Iran?
    Lo stesso Cacciari, sempre in televisione, non si nasconde le possibili conseguenze: se gli Usa dovessero reagire alle ovvie rappresaglie iraniane bombardando Teheran, la potenza nucleare russa sarebbe costretta a intervenire. La chiamano: Terza Guerra Mondiale. Nessuno la vorrebbe, ma sembra avvicinarsi in modo terrificante, con sviluppi imprevedibili. Simone Santini, su “Megachip”, accosta la morte di Soleimani a quella dell’afghano Massud. Stessa dinamica e stessi mandanti, identico obiettivo: assassinare un leader autorevole, per far esplodere il caos e indebolire il paese finito nel mirino della potenza imperiale. La pakistana Benazir Bhutto accusò Bush e la Cia dell’omicidio Massud, candidandosi a ripulire il Pakistan, per poi rimarginare anche le ferite dell’Afghanistan: fu assassinata a sua volta, alla vigilia delle elezioni. Un conto però sono le autobombe, dice oggi Massimo Cacciari, e un altro è l’omicidio manu militari commesso impunemente, alla luce del sole. Non era mai accaduto prima, nella storia. E nessuno ha avuto il coraggio di protestare. Se stiamo zitti di fronte a questo, aggiunge Cacciari, cosa potrà accaderci, domani? Com’è possibile non capire che il sangue versato da Qasem Soleimani interroga personalmente ognuno di noi, prima ancora che i nostri impresentabili politici?
    (Giorgio Cattaneo, 8 gennaio 2020).

    Menzogne, sangue e colpevoli silenzi. E’ l’habitat nel quale prospera il verminaio terrorista alimentato sottobanco da un impero occidentale che non ha saputo svilupparsi, storicamente, se non a spese di paesi terzi. E’ la tesi di giornalisti eretici come Paolo Barnard, corroborata da illustri colleghi come Seymour Hersh, Premio Pulitzer statunitense, spietato con i nostri media: se la stampa non avesse smesso di fare il proprio mestiere, sostiene, qualche politico – non codardo – avrebbe avuto modo di denunciare i crimini del potere mercuriale, costringendo l’establishment del terzo millennio a fare meno guerre e provocare meno massacri di vittime innocenti. Che poi la verità si annacqui negli opposti estremismi opportunistici e nel sostegno al terrorismo, fatale conseguenza di abusi criminali, non è che un aspetto della mattanza in corso, a rate, inaugurata dall’opaco maxi-attentato dell’11 Settembre a New York, di cui tuttora si tace la vera paternità presunta. Ma se si varca il Rubicone e si compie una violazione che non ha precedenti nella storia, un attentato terroristico condotto con mezzi militari e apertamente rivendicato, allora si passa il segno.

  • Distruggere l’Italia: i grillini eguagliano il “record” di Monti

    Scritto il 29/11/19 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Da quando governano l’Italia, i grillini hanno stabilito un record assoluto: il danno che hanno prodotto al paese in così breve arco di tempo non ha precedenti. Forse gli unici contendenti sono i tecnici montiani, che avvilirono e danneggiarono scientificamente l’Italia, con cognizione di causa, a differenza dei grillini che lo bombardano a capocchia con gaia incompetenza e una miscela letale di ignoranza e arroganza. No, la questione non è Di Maio, l’Emilia o la Calabria. È l’M5S in sé. Ogni capitolo fallimentare dei grillini ha la faccia di un testimonial. Si comincia con gli enti locali, col fulgido esempio di Virginia Raggi che è riuscita a far rimpiangere tutti i sindaci che l’hanno preceduta (e ce ne voleva) e a dare il colpo di grazia e disgrazia a una città già in ginocchio e autolesionista di suo. Si finisce col premier Contebis che rappresenta la più vistosa negazione del movimento 5stelle: è un maggiordomo di Palazzo, domestico dell’establishment mondiale, annunciatore di rimedi per un domani che si sposta ogni giorno; democristiano con attaccamento vinavil alla poltrona, paraculista e trasformista, ora filo-dem, borioso e fumoso, figurante istituzionale. Incarnazione perfetta e gaia del vuoto al governo e del nulla in politica.
    Nel mezzo scorrono le relative faccine che testimoniano i vari capitoli del fallimento grillino: la fatuità egizio-partenopea del tardoprogressista Roberto Fico, col suo gne-gne napoletano sinistrese, pessima imitazione della già pessima Boldrini che l’ha preceduto; le improvvisate sciampiste cinquestelle che occuparono i ministeri con risultati penosi; il proverbiale Danilo Tonninelli (una enne l’ha guadagnata sul campo), prototipo del grillino doc, simbolo ottuso di tutti i no grillini a ogni opera; la ministra dell’autoDifesa Elisabetta Trenta che si è moltiplicata per sei ed è passata da Trenta a Centottanta (metri quadri), con le forze armate che portavano a spasso il cane, e lei che riceve gli eserciti di tutto il mondo a casa, perciò ha bisogno di una casa grande; il ministro alla pubblica ricreazione Lorenzo Fioramonti, che ha ridotto la scuola a un osservatorio climatico e si occupa di plastica e merendine da un punto di vista eco-progressista; per non dire delle pulcinellate di Gigino Di Maio, i suoi voltafaccia e i suoi vistosi errori presentati in modo trionfale: povertà abolita, disoccupazione battuta, acciaieria risanata, Alitalia in via di decollo, manette annunciate ai grandi evasori e occhiolino strizzato ai molti evasori, l’infatuazione suicida filo-cinese e altre enormi cappellate. Oggi lui è diventato il capro espiatorio ma il difetto è nel manico e in tutti gli ombrelli della ditta.
    Il reddito di cittadinanza resta la porcata più vistosa dei grillini, dal punto di vista del danno erariale, del danno sociale, del danno morale. Si ha ogni giorno di più la certezza che non produrrà un solo posto di lavoro in più né un solo lavoro nero in meno. Non è un reddito d’inclusione o d’inserimento, è solo un gravoso costo, parassitario e diseducativo, che peggiora il tessuto sociale del paese e il bilancio dello Stato, santifica l’inerzia, la demeritocrazia e pure il malaffare. È la versione stracciona, plebea e lazzarona del comunismo. All’inizio si disse che era un’indennità-divano, i grillini reagivano indignati, ma quella previsione era già ottimistica: molti titolari del reddito non stanno nemmeno a casa loro ma continuano di soppiatto i loro lavori neri e qualcuno addirittura continua le attività criminose, come si è visto. C’è poi TeleCasalino, un tempo Tg1, un imbarazzante volantino grillino e contino. Per non dire degli altri, dal ministro della giustizia Alfonso Bonafede al ministro Vincenzo Spadafora e a tutta la gaia compagnia dei grillini. E per non risalire ai mandanti, Beppe Grillo e la Casaleggio & Associati, più qualche predicatore manettaro.
    Il fallimento dei grillini ha la faccia sconsolata dell’esule, il Comandante Ale Diba, al secolo Alessandro Di Battista, la cui eclissi dimostra la fine del fervore originario, quando i grillini erano ancora una minacciosa promessa in pubertà. Non si è mai visto un movimento perdere nel giro di pochi mesi di governo tante milionate di voti e sparire dai territori con una velocità impressionante. Hanno esaurito il credito, ormai. Resta il problema di trovare quale discarica possa contenere così tanti rifiuti ammassati in così poco tempo. La parabola dei grillini è un monito per gli elettori e i cittadini che votandoli s’illusero di punire tutti gli altri: i movimenti eruttati dal nulla, nati soltanto dal cabaret, dal vaffa e dal rifiuto di tutto, dove uno vale l’altro, dove i deputati sono burattini nelle mani della Piattaforma, dove la democrazia diretta è una caricatura che nasconde un’autocrazia eterodiretta da non-eletti, dove si può nominare a sorteggio e si può diventare ministri non sapendo nulla, non avendo mai fatto nulla nella vita, non avendo la più pallida idea, poi producono solo danni e nulla.
    Per arginare la deriva corrotta della politica, il malaffare, devi trovare gente motivata e seria, non pescata così, random, spesso nullafacente. Appena a uno di questi dai in mano un po’ di potere, diventa un arraffone e vuole sistemarsi per la vita. E quando gli ricapita? Infine i grillini hanno fatto saltare l’unica eredità buona della seconda repubblica, l’alternanza bipolare, reimmettendo al centro un partito bifronte. La sinistra merita giudizi negativi molto severi, sa essere più contro che con i cittadini, almeno quelli in regola. Ma è un avversario da sconfiggere sul terreno dei fatti, della politica e delle idee; invece i grillini sono una mucillagine urticante, una grottesca complicazione del quadro, e da alleati della sinistra al governo sono solo un’aggravante del malgoverno. Che tornino presto al Nulla da cui provengono. È l’augurio per un paese stremato, che ha già troppi guai per doversi caricare pure dei grillini.
    (Marcello Veneziani, “Il gaio fallimento dei grillini al governo”, da “La Verità” del 24 novembre 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).

    Da quando governano l’Italia, i grillini hanno stabilito un record assoluto: il danno che hanno prodotto al paese in così breve arco di tempo non ha precedenti. Forse gli unici contendenti sono i tecnici montiani, che avvilirono e danneggiarono scientificamente l’Italia, con cognizione di causa, a differenza dei grillini che lo bombardano a capocchia con gaia incompetenza e una miscela letale di ignoranza e arroganza. No, la questione non è Di Maio, l’Emilia o la Calabria. È l’M5S in sé. Ogni capitolo fallimentare dei grillini ha la faccia di un testimonial. Si comincia con gli enti locali, col fulgido esempio di Virginia Raggi che è riuscita a far rimpiangere tutti i sindaci che l’hanno preceduta (e ce ne voleva) e a dare il colpo di grazia e disgrazia a una città già in ginocchio e autolesionista di suo. Si finisce col premier Contebis che rappresenta la più vistosa negazione del movimento 5stelle: è un maggiordomo di Palazzo, domestico dell’establishment mondiale, annunciatore di rimedi per un domani che si sposta ogni giorno; democristiano con attaccamento vinavil alla poltrona, paraculista e trasformista, ora filo-dem, borioso e fumoso, figurante istituzionale. Incarnazione perfetta e gaia del vuoto al governo e del nulla in politica.

  • Vaccini, Luna, 11 Settembre: “Mentana, il problema sei tu”

    Scritto il 19/11/19 • nella Categoria: idee • (6)

    Di recente, Enrico Mentana ha sbroccato: non ce la fa più. Aveva aperto la sua pagina Facebook dicendo: qui la battaglia delle informazioni si sposta in Rete, quindi bisogna scendere in Rete e sporcarsi le mani. E adesso che su Facebook viene attaccato da tutte le parti, ha dato di matto. Guardate che cosa ha scritto nei giorni scorsi: «Chiedo per coerenza a tutti quelli che dicono, scrivono o pensano “nessuna compassione per Venezia” di abbandonare questa pagina. Non voglio avere nulla a che fare con chi si è fatto contagiare da questo clima di odio, rancore e disprezzo. Passo il tempo a bannare e a invitare ad andarsene chi offende gli avversari o gli appartenenti a etnie diverse, chi infierisce sui poveracci che cercano di raggiungere il nostro continente per una speranza di vita più degna, chi ci intossica il web con la cattiveria chi non crede allo sbarco sulla Luna o l’attacco dell’11 Settembre, chi lotta contro i vaccini e la scienza. Allo stesso titolo chiedo agli odiatori territoriali di levarsi di mezzo e al più presto». Ma scusa, caro Mentana: a questo punto non fai prima a levarti di mezzo tu? Perché, a giudicare da quello che scrivi, tu vorresti un mondo popolato solo da gente che la pensa esattamente come te. Tutti gli altri dovrebbero sparire di colpo.
    Ma non è questa la Rete in cui eri sceso sporcarti le mani? La Rete è confronto continuo, quotidiano, duro, spesso anche scorretto. Se tu vuoi stare tranquillo, continua a fare il tuo telegiornale, protetto dal tuo editore, e lì nessuno verrà a disturbarti. Ora, io non sono né un “odiatore” della Rete, né uno che insulta le etnie diverse, come dici tu. Ma visto che sei stato così furbino da infilarci dentro anche quelli del 11 Settembre, della Luna e dei vaccini, ti rispondo su quello. Curiosa, fra l’altro, questa tecnica di assimilare gli scettici dell’11 Settembre agli odiatori della Rete, della speranza di contaminare i primi con il giusto sdegno che si meritano i secondi. Alle tue bassezze ormai ci siamo abituati, Mentana. E comunque ti rispondo nel merito sull’11 Settembre. Ti dico una cosa molto semplice: se tu sei così poco intelligente da non capire che un edificio non può crollare in caduta libera senza la demolizione controllata, il problema non siamo noi, Mentana: il problema ce l’hai tu, nel tuo cervello. Come funziona la legge di conservazione dell’energia te lo può spiegare un qualunque studente liceale di 16 anni. E te lo hanno anche spiegato chiaramente gli oltre 3.000 membri dell’associazione architetti e ingegneri per la verità sull’11 Settembre.
    Quindi sei tu, che fai finta di non sentire. Il problema non siamo noi, che sosteniamo la demolizione controllata del World Trade Center. Sei tu, che sei affetto da una curiosa sordità selettiva su certi argomenti. Stessa cosa per la Luna: se tu vuoi continuare a credere che siamo stati sulla Luna 50 anni fa, quando oggi gli stessi astronauti ammettono che non siamo nemmeno in grado di andare oltre l’orbita bassa, il problema ce l’hai tu, Mentana, non ce l’abbiamo noi. Non ti sei mai chiesto perché 50 anni fa siamo andati sulla Luna partendo da zero, in soli otto anni, con delle tecnologie giurassiche, mentre oggi (con tutte le tecnologie più avanzate che abbiamo) il famoso ritorno sulla Luna continuano a rimandarlo all’infinito? Prima dovevamo andarci nel 2002 sotto Bush, poi l’hanno spostato nel 2008 sotto Obama, poi dovevamo andarci nel 2012 sempre sotto Obama, poi l’hanno spostato al 2018 sotto Trump. Adesso che 2018 è passato si parla addirittura già del 2024. E a te, Mentana, tutto questo sembra normale? Ti sembra normale che 50 anni fa, partendo da zero, ci siamo andati in 8 anni per 6 volte, addirittura, e oggi si continua a rimandare all’infinito questo benedetto ritorno? Bisogna essere ciechi per non vedere questa contraddizione. Ma tu evidentemente preferisci credere alle favole
    Sui vaccini, idem. Se tu vuoi continuare a credere alle storielle rassicuranti di Burioni, quando la stessa Corte Suprema americana ha dichiarato in una sentenza che i vaccini sono «inevitabilmente insicuri», e quando il Fondo di Compensazione ha già pagato oltre 4 miliardi di dollari ai danneggiati da vaccino (4 miliardi, non 4 milioni) il problema ce l’hai tu, non ce l’abbiamo noi: sei tu che scegli di ignorare certe informazioni. Noi ragioniamo semplicemente con il nostro cervello, e traiamo le conclusioni logiche a cui ci portano le informazioni disponibili. Tu invece vivi nel tuo mondo dorato (dorato e ben pagato, naturalmente), dove “gli americani non si farebbero mai da soli una cosa del genere”, dove si può andare e venire tranquillamente dalla Luna seduti dentro la lattina di CocaCola, praticamente, e dove i vaccini sono buoni e sani, e le centinaia di migliaia di bambini danneggiati da vaccino semplicemente non esistono. Sei tu che vivi nel mondo delle fate, Mentana.
    Oppure, l’alternativa è che tu non sia affatto così ingenuo è distratto come fingi di essere, su certi argomenti, ma che tu abbia fatto una scelta di campo ben precisa. E cioè che tu, a un certo punto, abbia smesso di fare il giornalista e, per comodità di vivere, ti sia schierato platealmente dalla parte del potere, chiudendo gli occhi su tutti questi argomenti delicati. D’altronde, come diceva Upton Sinclair, «è molto difficile far capire certe cose a una persona, quando il suo stipendio dipende dal non capirle». Quindi vedi tu, Mentana, se la tua sia soltanto l’ingenuità di un bamboccio innamorato delle favole, oppure se tu sia un cinico calcolatore che ha tradito la sua professione pur di restare tranquillo al suo posto. Ma in ciascuno di due casi, il problema sei tu, non siamo noi. Quindi, se c’è qualcuno che deve togliersi di mezzo, caro Mentana, sei tu. Non siamo certo noi.
    (Massimo Mazzucco, “Mentana il problema sei tu, non siamo noi”, video-messaggio rivolto a Enrico Mentana il 19 novembre 2019, ripreso sul blog “Luogo Comune”. Insieme a Giulietto Chiesa, Mentana conduce ogni sera alle 21 le trasmissioni di “Contro Tv”, in live streaming).

    Di recente, Enrico Mentana ha sbroccato: non ce la fa più. Aveva aperto la sua pagina Facebook dicendo: qui la battaglia delle informazioni si sposta in Rete, quindi bisogna scendere in Rete e sporcarsi le mani. E adesso che su Facebook viene attaccato da tutte le parti, ha dato di matto. Guardate che cosa ha scritto nei giorni scorsi: «Chiedo per coerenza a tutti quelli che dicono, scrivono o pensano “nessuna compassione per Venezia” di abbandonare questa pagina. Non voglio avere nulla a che fare con chi si è fatto contagiare da questo clima di odio, rancore e disprezzo. Passo il tempo a bannare e a invitare ad andarsene chi offende gli avversari o gli appartenenti a etnie diverse, chi infierisce sui poveracci che cercano di raggiungere il nostro continente per una speranza di vita più degna, chi ci intossica il web con la cattiveria chi non crede allo sbarco sulla Luna o l’attacco dell’11 Settembre, chi lotta contro i vaccini e la scienza. Allo stesso titolo chiedo agli odiatori territoriali di levarsi di mezzo e al più presto». Ma scusa, caro Mentana: a questo punto non fai prima a levarti di mezzo tu? Perché, a giudicare da quello che scrivi, tu vorresti un mondo popolato solo da gente che la pensa esattamente come te. Tutti gli altri dovrebbero sparire di colpo.

  • La scuola media “inutile parcheggio”: Salvini compiace l’Ue

    Scritto il 19/11/19 • nella Categoria: idee • (10)

    Matteo Salvini superata la fase del “governo del cambiamento”, nel tentativo di “arricchirsi” di contenuti mediatici ed in pieno rigurgito berlusconiano, ci ha comunicato che il problema del paese sono le…  scuole medie! Avete capito bene: qualora il Matteo nazionale diventasse premier abolirebbe quello che per lui è un “inutile parcheggio”. Prosit! No, non mi riferisco al Papetee come fanno tanti cretini, quanto piuttosto alla finezza del ragionamento. Per Salvini inoltre gli insegnanti lavorano poco perché hanno diritto a ferie estive di due mesi e quindi, tradotto, guadagnano troppo come salario orario. Follia. Mi ero reso conto ai tempi del primo governo Conte (tentato spezzatino della scuola italiana da parte dei leghisti) che di istruzione il leader verde ne sapesse quanto l’asinello del presepe, ma adesso a sconvolgere è la motivazione che egli porta a sostegno delle sue tesi: l’Europa! L’uomo avente nel passato le felpe “No Euro” finirà (vedrete) per regalarci Mario Draghi al Quirinale, ma ciò che ancor più indigna è che quando gli fa comodo la Ue diventa addirittura un esempio da seguire ed inseguire, e sempre in senso peggiorativo.
    Matteo ha prima parlato a sinistra e alla protesta, ma adesso che i sondaggi lo danno altissimo guarda caso getta la maschera e si trasforma in ciò che non ha mai smentito di essere: come un Movimento 5 Stelle qualsiasi (ma alla rovescia) canalizza l’elettorato fluido su quelle posizioni che sono tipiche di figure “di spicco” quali la Gelmini, Gasparri e magari anche Brunetta. Caro Matteo, anziché corteggiare gli orfani di Berlusconi, regalarci codeste perle e fomentare le solite divisioni tra dipendenti pubblici, Pmi e dipendenti privati, perché non ti applichi un pochino di più? Le scuole secondarie di primo grado non sono da abbattere con la ruspa ma anzi, se riformate, possono diventare un volano per la nostra nazione rispetto ai competitors oltre confine. Nei decenni sono state inopportunamente incrementate le ore di italiano, e il risultato è stato una minore padronanza della materia (e della nostra grammatica). La parola specializzazione (come quella “tradizione”) è diventata una bestemmia a scuola perché la trasmissione dei saperi è stata umiliata in favore di una fantomatica “crescita umana” definita a sproposito “apprendimento”.
    Ci lamentiamo per una certa arretratezza nell’innovazione, ma anziché ridimensionare le ore di italiano e potenziare le ore di scienze e tecnologia (magari inserendo anche come nuova materia la macroeconomia di base), abbiamo riempito le scuole di insegnanti laureati in chiacchiere, espertissimi nelle dinamiche di gruppo (Frattocchie style) spacciate per “identità sociale” e scaltrissimi nel procurarsi potere. Gli scienziati, forti di una identità individuale piuttosto marcata e difficilmente prostituibile, pensano al sodo, un modus operandi ben rappresentato dal rigoroso “metodo sperimentale” figlio di Galileo, ma in questo modo risultano depotenziati. Integriamo quanto prima le scuole medie di contenuti, formiamo giovani preparati alimentandone le menti e facciamola finita con l’unico vizio peggiore del pressapochismo salviniano: la scuola del politically correct e del fallimento dei saperi, la scuola del sistema e della svalutazione dei cervelli, quella dell’ideologia dell’appiattimento progressista, quindi globalista, quindi schiavista.
    (Marco Giannini, “Se salvini considera le scuole medie un inutile parcheggio”, Libreidee, 19 novembre 2019).

    Matteo Salvini superata la fase del “governo del cambiamento”, nel tentativo di “arricchirsi” di contenuti mediatici ed in pieno rigurgito berlusconiano, ci ha comunicato che il problema del paese sono le…  scuole medie! Avete capito bene: qualora il Matteo nazionale diventasse premier abolirebbe quello che per lui è un “inutile parcheggio”. Prosit! No, non mi riferisco al Papetee come fanno tanti cretini, quanto piuttosto alla finezza del ragionamento. Per Salvini inoltre gli insegnanti lavorano poco perché hanno diritto a ferie estive di due mesi e quindi, tradotto, guadagnano troppo come salario orario. Follia. Mi ero reso conto ai tempi del primo governo Conte (tentato spezzatino della scuola italiana da parte dei leghisti) che di istruzione il leader verde ne sapesse quanto l’asinello del presepe, ma adesso a sconvolgere è la motivazione che egli porta a sostegno delle sue tesi: l’Europa! L’uomo avente nel passato le felpe “No Euro” finirà (vedrete) per regalarci Mario Draghi al Quirinale, ma ciò che ancor più indigna è che quando gli fa comodo la Ue diventa addirittura un esempio da seguire ed inseguire, e sempre in senso peggiorativo.

  • Salvini a Palazzo Chigi, prenotando il Quirinale per Draghi

    Scritto il 11/11/19 • nella Categoria: segnalazioni • (18)

    Possibile intesa tra Salvini e Draghi: il leghista a Palazzo Chigi e l’ex capo della Bce al Quirinale dopo Mattarella. Se invece l’ipotesi salta, potrebbe tornare in corsa addirittura Prodi: gli stessi 5 Stelle, alla scadenza del mandato di Napolitano, lo avrebbero votato volentieri. Lo ricorda il saggista Gianfranco Carpeoro, nel monitorare la crisi del Conte-bis: come ampiamente previsto dallo stesso Carpeoro già a inizio settembre, l’esecutivo giallorosso sembra avere le ore contate, grazie anche al disastro dell’Ilva. «Servirebbero miliardi per rimediare innanzitutto al problema ambientale di Taranto, ma quei soldi non li abbiamo: sarebbe urgente ripristinare l’Iri e riprenderci le partecipazioni statali, il patrimonio nazionale che le multinazionali ci hanno portato via grazie a uomini come Prodi, che poi – dopo aver eseguito gli ordini – è stato infatti premiato, finendo a Palazzo Chigi». Il guaio? Come paese, l’Italia non esiste quasi più: «Negli anni Ottanta eravamo la quarta forza del mondo, oggi ci facciamo dettare la linea dal giustizialista Marco Travaglio». Del resto, al governo siedono «ectoplasmi» come Di Maio e Zingaretti. Così Salvini ha gioco facile, e già si scalda in panchina: vorrebbe le elezioni anticipate in primavera per diventare primo ministro. E per farlo si copre le spalle, “candidando” Draghi al Quirinale.
    L’ipotetico connubio Salvini-Draghi, dice Carpeoro in video-chat su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, è il frutto di una raffinata operazione condotta dal leghista Giancarlo Giorgetti, da sempre in buoni rapporti con il super-banchiere. In cambio dell’appoggio della Lega verso il Colle, Draghi potrebbe indurre il grande potere a cessare le ostilità nei confronti di Salvini? A condizione, probabilmente, che lo stesso leader leghista scenda a più miti consigli: come al solito, sostiene Carpeoro, il potere non fa altro che provare a “disinnescare” politici teoricamente antagonisti, “normalizzandoli” e portandoli dalla sua parte. Finirebbe così anche Salvini, nel caso si realizzasse il disegno di Giorgetti? Peraltro sono in pochi a credere al “pentimento” dell’ultraliberista Draghi, massone reazionario, gran signore dell’austerity europea. Un uomo pragmatico: ha fatto ricorso al quantitative easing quando ha capito che gli conveniva. «Non c’è niente di più duttile del potere, nel cambiare rapidamente posizione a seconda delle circostanze». Che Draghi ambisca a diventare presidente della Repubblica, poi, non è un mistero. Né si vede come il Pd o Renzi potrebbero votargli contro.
    «In ogni caso, sembra che per l’Italia la situazione sarebbe a saldo zero», sintetizza Frabetti, sia che nasca il tandem Salvini-Draghi, sia che rispunti Romano Prodi. Elezioni anticipate o meno, non si vedono le premesse per nessuna vera svolta politica: nessun partito italiano (nemmeno la Lega) sembra attrezzato per un cambio di passo. «E così – dice Carpeoro – agli italiani non resta che tentare di galleggiare, come accade da decenni», mentre il paese viene spolpato. All’annosa crisi dell’Ilva si aggiunge, tanto per gradire, la perdita definitiva della Fiat: gli Elkann cedono sostanzialmente il timone ai francesi del gruppo Psa. Dalla politica italiana, silenzio di tomba. Dettagli incresciosi: il partito più rappresentato in Parlamento, il Movimento 5 Stelle, è sulla via dell’estinzione. Ha già perso metà dei voti, e potrebbe perdere anche l’altra metà: alle regionali umbre, si è fermato appena sopra il 7%. Con questo tipo di consenso, è impossibile scommettere sul futuro del Conte-bis. Salvini e Draghi, dunque? «Intanto, Draghi ha fatto sapere di aver apprezzato la proposta», dice Carpeoro. E a gennaio incombono le regionali in Emilia: salvo miracoli, è difficile che Di Maio e Zingaretti possano sopravvivere a un’eventuale sconfitta.

    Possibile intesa tra Salvini e Draghi: il leghista a Palazzo Chigi e l’ex capo della Bce al Quirinale dopo Mattarella. Se invece l’ipotesi salta, potrebbe tornare in corsa addirittura Prodi: gli stessi 5 Stelle, alla scadenza del mandato di Napolitano, lo avrebbero votato volentieri. Lo ricorda il saggista Gianfranco Carpeoro, nel monitorare la crisi del Conte-bis: come ampiamente previsto dallo stesso Carpeoro già a inizio settembre, l’esecutivo giallorosso sembra avere le ore contate, grazie anche al disastro dell’Ilva. «Servirebbero miliardi per rimediare innanzitutto al problema ambientale di Taranto, ma quei soldi non li abbiamo: sarebbe urgente ripristinare l’Iri e riprenderci le partecipazioni statali, il patrimonio nazionale che le multinazionali ci hanno portato via grazie a uomini come Prodi, che poi – dopo aver eseguito gli ordini – è stato infatti premiato, finendo a Palazzo Chigi». Il guaio? Come paese, l’Italia non esiste quasi più: «Negli anni Ottanta eravamo la quarta forza del mondo, oggi ci facciamo dettare la linea dal giustizialista Marco Travaglio». Del resto, al governo siedono «ectoplasmi» come Di Maio e Zingaretti. Così Salvini ha gioco facile, e già si scalda in panchina: vorrebbe le elezioni anticipate in primavera per diventare primo ministro. E per farlo si copre le spalle, “candidando” Draghi al Quirinale.

  • Moncalvo: perché Salvini continua a tacere su Moscopoli?

    Scritto il 02/11/19 • nella Categoria: idee • (2)

    «Male non fare, paura non avere. Ma soprattutto: non tacere». Gigi Moncalvo, giornalista di razza, attacca frontalmente Matteo Salvini, sottolineando l’evidente imbarazzo del leader leghista di fronte al caso “Moscopoli”. Sul tappeto, l’ipotetico affare petrolifero di cui il suo emissario a Mosca, Gianluca Savini, avrebbe parlato un anno fa all’Hotel Metropol con alcuni esponenti del potere politico-economico russo. «Fino a quando Salvini (vigliaccamente, senza coraggio) continuerà a tacere?», si domanda Moncalvo, nella rubrica “Silenzio stampa” della trasmissione web-radio “Forme d’Onda”, condotta da Stefania Nicoletti e Rudy Seery. Il capo della Lega, ricorda Moncalvo, si avvale tuttora dell’immunità parlamentare che lo protegge, virtualmente, dall’indagine aperta dalla Procura di Milano: nel caso i magistrati ravvisassero effettive irregolarità, dovrebbero chiedere al Parlamento il permesso di procedere contro di lui. Un Parlamento, peraltro – come ricordato polemicamente da Vittorio Sgarbi – dove lo stesso premier Conte (ascoltato dal Copasir per il caso Russiagate) e i leader dei maggiori partiti (le indagini sul figlio di Grillo, le sentenze sui genitori di Renzi) si sono dovuti occupare di questioni giudiziarie gravide di scomodi riflessi mediatici.
    Secondo Moncalvo, Salvini – con le vele gonfiate dai sondaggi e ora anche dall’esito delle regionali in Umbria – potrebbe sempre dichiararsi vittima di un’ingiusta persecuzione, da parte delle toghe, nel caso in cui “Moscopoli” dovesse esplodere, carte giudiziarie alla mano, alla vigilia delle prossime elezioni politiche. Pietra dello scandalo, a livello televisivo, il servizio realizzato da Giorgio Mottola per “Report”, in cui – fra l’altro – si evidenzia il legame tra Salvini e l’oligarca russo Konstantin Valeryevič Malofeev, ultra-tradizionalista, a capo di un vero e proprio impero editoriale. Malofeev è impegnato in una crociata contro i gay, definiti «sodomiti, pederasti», letteralmente. «La paura sbianca il volto di Salvini quando, a Pontida, Mottola gli domanda se conosce Malofeev». Risultato: scena muta. «Ma Salvini – prosegue Moncalvo – si è rifiutato di parlare con “Report” anche in seguito: Mottola infatti aveva chiesto per ben tre volte, alla sua segreteria, di organizzare un incontro per consentire al leader della Lega di replicare, dandogli l’opportunità di offrire la sua versione su ogni aspetto del servizio televisivo trasmesso da RaiTre il 21 ottobre».
    Le polemiche della Lega indurranno “Report” a trasmettere altro materiale sul tema, aggiunge Moncalvo, che rivela che il servizio fu realizzato già a luglio, quando Salvini era ancora ministro dell’interno e vicepremier. Moncalvo mette in relazione “Moscopoli” con la repentina scelta di Salvini di staccare la spina al governo gialloverde, sorprendendo lo stesso Giancarlo Giorgetti. «Salvini ha deciso tutto da solo, e neppure Giorgetti conosceva il motivo di quella decisione», dice Moncalvo, che nel servizio di “Report” svolge un ruolo di primo piano: ricorda di quand’era direttore de “La Padania” e tentò inutilmente di allontanare Salvini. «Pur essendo giornalista – afferma Moncalvo – Salvini non ha mai scritto un articolo in vita sua». Lo tratteggia come un opportunista sfrontato e ambizioso. All’epoca – ha raccontato lo stesso Moncalvo di fronte alle telecamere di “Report” – ebbe ripetuti scontri con Salvini, definito assenteista e pronto a che a gonfiare la sua nota spese. Un giorno, l’allora leader dei giovani leghisti affrontò il direttore della “Padania” con queste parole: «Tu passi, io resto. E diventerò molto più potente».
    Che ci siano vecchie ruggini, tra Moncalvo e Salvini, appare evidente. Altrettanto palese, per contro – come sottolinea il giornalista – è l’impenetrabile silenzio del leader leghista su “Moscopoli”. Reticenza? «Alle domande – insiste Moncalvo – Salvini non ha mai voluto rispondere, in nessuna sede». Spesso, Salvini è ricorso all’umorismo, o se l’è cavata con la formula: «Se ne sta occupando la magistratura». Giornalisti e avversari insistono: che ci faceva, Savoini, a Mosca? A che titolo avrebbe trattato una sorta di maxi-tangente su una fornitura di idrocarburi? A monte, è nota la difficoltosa situazione finanziaria della Lega, costretta – dalla magistratura genovese – a consegnare allo Stato 49 milioni di euro, a causa di vecchie irregolarità imputate alla gestione Bossi. Attenzione, avverte Luca Telese: non si tratta di soldi “rubati” dalla Lega. Di fronte all’originario ammanco accertato (un paio di milioni, forse meno), il partito è stato dichiarato – a posteriori – non idoneo a percepire finanziamenti. Diversi giuristi hanno trovato insolita la condanna: per colpa del mini-buco della Lega Nord di Bossi, alla nuova Lega di Salvini si è chiesto di “restituire” altri soldi, quelli ricevuti successivamente (e regolarmente spesi per l’ordinaria gestione politica, gli stipendi dei funzionari e le spese elettorali). Questo – si domanda qualcuno – potrebbe aver spinto Salvini a spedire Savoini a Mosca in cerca di finanziamenti russi in vista delle europee?
    Quello su cui invece “Report” evita accuratamente di indagare è la fonte del presunto scandalo: quale servizio segreto avrebbe intercettato Savoini, per poi far pervenire gli audio del Metropol alla magistratura milanese? Servizi russi? Americani? Italiani, addirittura, su ordine di Conte? La domanda è di importanza capitale, perché permette di mettere a fuoco la regia di quella che appare come una classsica “imboscata”, dunque il movente politico e i relativi mandanti. In attesa che la questione si chiarisca, Moncalvo ribadisce: il silenzio di Salvini è imbarazzante e inaccettabile, qualunque cosa sia avvenuta a Mosca. Sempre Moncalvo, nel servizio di “Report”, traccia un profilo non entusiasiamente del rapporto tra Salvini e il fido Savoini, descritto come animato da simpatie per l’iconografia nazista e a lungo frequentatore dell’estremista di destra Maurizio Murelli. Per Moncalvo, addirittura, fu proprio Savoini a “plasmare”, letteralmente, il giovane Salvini, dando una sorta di formazione politico-culturale a quello che allora era poco più che un semplice militante, con scarsa dimestichezza con i libri. In ogni caso, sostiene Moncalvo, Salvini farebbe meglio a parlare, fornendo finalmente agli italiani la sua versione sulla storia del Metropol.
    (Gigi Moncalvo è un giornalista di lungo corso: ha lavorato al “Corriere della Sera”, a “L’Occhio” e al “Giorno”, collaborando con Piero Ottone, Maurizio Costanzo e Guglielmo Zucconi (la sua direzione della “Padania” è relativa al periodo 2002-2004). A lungo impegnato nelle reti berlusconiane, è poi approdato in Rai (fino al 2008 è stato dirigente, capostruttura dell’informazione di RaiDue). Letteralmente esplosivi i saggi pubblicati a partire dal 2009 da Vallecchi: “I lupi e gli Agnelli: ombre e misteri della famiglia più potente d’Italia, “Agnelli segreti” e “I Caracciolo: storie, misteri e figli segreti di una grande dinastia italiana”. Libri stranamente scomparsi dalle librerie poco dopo l’uscita, specie quelli sulla “real casa” torinese: pagine in cui Moncalvo racconta come John Elkann sia stato aiutato ad acquisire l’eredità di Gianni Agnelli, in una Fiat sostanzialmente in mano alla finanza Usa, dal primissimo dopoguerra all’imposizione di Marchionne. Nel mirino di Moncalvo, ora, è finito Salvini).

    «Male non fare, paura non avere. Ma soprattutto: non tacere». Gigi Moncalvo, giornalista di razza, attacca frontalmente Matteo Salvini, sottolineando l’evidente imbarazzo del leader leghista di fronte al caso “Moscopoli”. Sul tappeto, l’ipotetico affare petrolifero di cui il suo emissario a Mosca, Gianluca Savini, avrebbe parlato un anno fa all’Hotel Metropol con alcuni esponenti del potere politico-economico russo. «Fino a quando Salvini (vigliaccamente, senza coraggio) continuerà a tacere?», si domanda Moncalvo, nella rubrica “Silenzio stampa” della trasmissione web-radio “Forme d’Onda”, condotta da Stefania Nicoletti e Rudy Seery. Il capo della Lega, ricorda Moncalvo, si avvale tuttora dell’immunità parlamentare che lo protegge, virtualmente, dall’indagine aperta dalla Procura di Milano: nel caso i magistrati ravvisassero effettive irregolarità, dovrebbero chiedere al Parlamento il permesso di procedere contro di lui. Un Parlamento, peraltro – come ricordato polemicamente da Vittorio Sgarbi – dove lo stesso premier Conte (ascoltato dal Copasir per il caso Russiagate) e i leader dei maggiori partiti (le indagini sul figlio di Grillo, le sentenze sui genitori di Renzi) si sono dovuti occupare di questioni giudiziarie gravide di scomodi riflessi mediatici.

  • Erdogan spietato con i curdi. Invece gli altri sono meglio?

    Scritto il 12/10/19 • nella Categoria: idee • (1)

    Ci sono approfondimenti talmente contrari al comune sentire che scontentano tutti: destra, sinistra, moderati, massimalisti, patrioti, nazionalisti, sovranisti ed iperliberisti. Ebbene, l’approfondimento che segue appartiene proprio alla categoria degli “inaccettabili”. Tuttavia, come diceva Franz Kafka, bisogna anche sforzarsi di leggere testi che sono un pugno nello stomaco. Se vi siete abituati a leggere solo le informazioni che vengono dai media tradizionali, sconsiglio dunque la lettura di quel che segue. Da appassionato di storia, ho sempre nutrito una certa simpatia per le cause separatiste. Che si tratti della causa basca o catalana in Spagna, di quella irlandese nel Nord dell’isola o di quella del Donbass in Ucraina, a mio modo di vedere le comunità hanno il diritto di autodeterminarsi. Ci sono molte importanti eccezioni, però, perchè in alcuni casi il separatismo è solo anticamera di guerre civili, e quelle che a prima vista possono sembrare cause separatiste, nascondono lotte di potere interne alle comunità, oppure torbide relazioni con paesi del tutto estranei. Il caso della Cecenia è in tal senso illuminante: non si trattò affatto di guerre per l’autodetermianzione del popolo ceceno, ma di una guerra civile sponsorizzzata.
    Dunque, i distinguo servono eccome, altrimenti si rischia di non capirci nulla e di fare, come si suol dire, di tutta l’erba un fascio. In queste ore il presidente turco Erdogan ha ordinato un’operazione militare nel nord della Siria al fine di annullare l’operatività dei militanti curdi. Erdogan maschera questo intervento con la solita manfrina della lotta al terrorismo. Questo tema (il terrorismo), viene usato da tutti, senza eccezioni, per reprimere gli oppositori internazionali. I Bush contro Iraq e Afghanistan, Sarkozy contro la Libia, Umberto I e Bava Beccaris contro i manifestanti a Milano, l’austriaco Cecco Beppe contro i serbi e giù giù fino a Metternich contro Mazzini. Dunque, l’argomentazione di Erdogan non regge così come non reggevano quelle di Obama, di Clinton e financo di James Brooke contro Sandokan. C’è però almeno un aspetto per il quale faccio seriamente fatica a criticare l’intervento di Erdogan. Ed è la consapevolezza che il Medioriente è la polveriera del mondo. I turchi hanno dominato, amministrato e costruito infrastrutture in Medioriente per più di 500 anni di storia moderna. Le aree confinanti con l’attuale Turchia erano dentro la Turchia stessa (alias Impero Ottomano) fino al 1922 e lo erano per l’appunto, da oltre mezzo millennio. Gli stati mediorientali attuali: Siria, Libano, Israele, Giordania, Arabia Saudita sono un’invenzione geometrica anglofrancese, realizzata a tavolino dopo la Prima Guerra Mondiale attraverso il trattato Sykes-Picot.
    Quel trattato ha conferito potere alla tribù più retriva dell’area, i wahabiti (oggi “sauditi”) ed è una divisione innaturale, che non tiene conto delle culture delle varie altre tribù. Detto diversamente, il caos che regna in Medioriente da quasi un secolo a questa parte è interamente imputabile alle proiezioni coloniali anglofrancesi, non ai turchi che furono storicamente più tolleranti in quelle aree di quanto non lo sono oggi le tribù autoctone eterodirette (e lo ripeto: eterodirette prima da francesi e inglesi; poi da americani ed israeliani). Com’è logico che sia, dal 1922 – anno della dissoluzione dell’Impero Ottomano – ad oggi, di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia, e non è posssibile far finta di nulla. I turchi si sono macchiati di crimini orrendi, in primis il genocidio degli armeni durante la Prima Guerra Mondiale, avvenuto per opera di un gruppo di fanatici ottomani ai danni delle popolazioni storicamente più vicine ai russi in quel periodo: gli armeni, appunto.
    Non si trattò affatto però, come Hollywood vorrebbe far credere, della natura malvagia dei turchi: poco prima i coloni inglesi avevano perseguitato e sterminato fino all’estinzione la stragrande maggioranza delle tribù pellerossa in Nord America e costretto i neri africani a fare da schiavi. I belgi avevano pochi anni prima massacrato milioni di congolesi ed i tedeschi di lì a poco si sarebbero interessati agli ebrei in un modo a dir poco maniacale e demoniaco. Sì, insomma, se i turchi sono cattivi, trovatemi quelli buoni, che io ancora non ne ho conosciuti. Venendo in modo più stringente alla questione curda, al separatismo della regione del Kurdistan, ecc, la vicenda è solo apparentemente complessa. Quand’è che – storicamente – una regione separatista realizza il suo progetto e diventa uno Stato nazionale? La risposta è duplice: da un lato, ciò avviene quando quella regione riesce a farsi riconoscere come Stato dalla stragrande maggioranza degli altri paesi. In subordine, ma neanche tanto, quando un’altra nazione la aiuta in questo tortuoso e rischioso percorso. In Iraq, in Siria ed in Turchia – cioè nei paesi ove alla faccia del trattato Sykes-Picot vivono i curdi – la comunità ha fatto una scelta precisa e inequivocabile dicendo che “ad aiutarci in questa impresa saranno gli Stati Uniti d’America! Non importa se siamo comunisti, non importa se siamo antimperialisti! Sarà l’America a liberarci dai turchi e da Assad”.
    Al netto di tale ingenuità (fidarsi degli americani in geopolitica è come fidarsi di un promotore finanziario in banca), i siriani lealisti hanno teso una mano ai curdi in diverse occasioni. Com’è noto, date le vicende in Siria e la chiamata del leader Assad dei russi in suo soccorso, cercare una collaborazione con Assad per i curdi avrebbe significato anche cercare una collaborazione con Putin. I curdi hanno declinato gentilmente l’invito preferendo gli americani e, ora, tutti ad allargarsi la bocca e stracciarsi le vesti perchè gli americani li hanno mollati. Ma dire che i curdi hanno avuto sfortuna puntando sul cavallo sbagliato non basta. C’è dell’altro. Anche se gli americani tramite milizie ribelli l’avessero spuntata contro i siriani lealisti, che ne sarebbe stato del Kurdistan? L’ipotesi più probabile è che avrebbero realizzato una microscopica autonomia in perenne contrasto con la Turchia. Io non trascurerei tanto facilmente il fatto che Erdogan, appena tre anni or sono, ha represso un colpo di Stato militare contro di lui. Non se ne parla più, ma che gli americani non sapessero nulla di quel colpo di stato, per cortesia, lo andate a raccontare ai vostri bambini, la sera, prima di addormentarsi e dopo avergli letto quella di Biancaneve.
    Ora, immaginatevi questo scenario: una Turchia sempre più vassalla dell’America dopo la fine di Erdogan. Una Siria inesistente ed in mano all’Isis. Che ne sarebbe stato del laico e comunista Kurdistan? Non sarebbe forse diventato un Israele dei poveri, ulteriore elemento di destabilizzazione e di attentati? Gli islamisti vittoriosi non se lo sarebbero pappato in un attimo? Conclusione: i curdi sono stati pagati per anni dagli americani per destabilizzare l’area nella speranza che i vari gruppi di ribelli rovesciassero la Siria con la guerriglia e la Turchia con il colpo di stato. Le cose non sono andate così ed ora Erdogan fa quello che tutti farebbero: riportare la stabilità con le cattive col tacito consenso di Putin, Assad e Trump. In cambio, Erdogan acquista armi dai russi, non metterà in discussione il ruolo di Assad a Damasco e custodirà gli jihadisti catturati dagli americani per fare un piacere anche a Trump, che ha dato il via libera. E’ sempre difficile giustificare umanamente un intervento militare. Ma a comprendere Erdogan non ci vuole niente.
    (Massimo Bordin, “La versione di Erdogan”, dal blog “Micidial” del 10 ottobre 2019).

    Ci sono approfondimenti talmente contrari al comune sentire che scontentano tutti: destra, sinistra, moderati, massimalisti, patrioti, nazionalisti, sovranisti ed iperliberisti. Ebbene, l’approfondimento che segue appartiene proprio alla categoria degli “inaccettabili”. Tuttavia, come diceva Franz Kafka, bisogna anche sforzarsi di leggere testi che sono un pugno nello stomaco. Se vi siete abituati a leggere solo le informazioni che vengono dai media tradizionali, sconsiglio dunque la lettura di quel che segue. Da appassionato di storia, ho sempre nutrito una certa simpatia per le cause separatiste. Che si tratti della causa basca o catalana in Spagna, di quella irlandese nel Nord dell’isola o di quella del Donbass in Ucraina, a mio modo di vedere le comunità hanno il diritto di autodeterminarsi. Ci sono molte importanti eccezioni, però, perchè in alcuni casi il separatismo è solo anticamera di guerre civili, e quelle che a prima vista possono sembrare cause separatiste, nascondono lotte di potere interne alle comunità, oppure torbide relazioni con paesi del tutto estranei. Il caso della Cecenia è in tal senso illuminante: non si trattò affatto di guerre per l’autodetermianzione del popolo ceceno, ma di una guerra civile sponsorizzzata.

  • Magaldi: i supermassoni Draghi e Lagarde pentiti del rigore?

    Scritto il 27/9/19 • nella Categoria: idee • (15)

    Suona paradossale che il governatore della Bce parli della Modern Money Theory nel momento in cui sta uscendo del suo incarico. Se l’avesse fatto uno o due anni fa, nella sua veste autorevolissima, avrebbe potuto trarne debite conseguenze. Credo che occorra rimanere cauti. A meno che non si finga di credere che avere italiani in certe istituzioni sia un aiuto per il paese. Spesso si pensa infatti che Draghi abbia aiutato l’Italia, o che avere un commissario italiano all’economia possa esserci utile. Non è così. Se sei un credente di una religione economica di un certo tipo (perché di questo si tratta, di religiosità economica), difficilmente smentirai quella fede in favore del tuo popolo. Oltretutto, parliamo di persone educate a ragionare in termini sovranazionali. Peraltro, anche in un modo diverso e migliore, perché un italiano all’Ue dovrebbe aiutare l’Italia e non anche gli altri paesi? Se si è rappresentanti dell’Europa ci si prende cura di tutti i popoli europei. Quindi, se si fanno politche diverse dalle attuali, le si fa non solo a favore dell’Italia, ma anche della Grecia, della Spagna, della Germania, della Francia. Detto questo, Draghi se ne esce con questa valutazione possibilista sulla Mmt a fine mandato, mentre Christine Lagarde non solo fa un’affermazione clamorosa, dicendo che la moneta “appartiene al popolo e al suo interesse”, ma parla addirittura della necessità di emettere gli eurobond.
    Sappiamo che adottare gli eurobond (titoli di Stato europei, unificati) significherebbe la fine dello spauracchio dello spread: dunque gli eurobond sarebbero un servizio efficacissimo al servizio dei popoli europei e dello sviluppo dell’economia reale. Però ricordo lo stesso Juncker, che – in vista del suo insediamento alla Commissione Europea – disse di capire il disagio socio-economico in Europa, tanto da ritenere che avessero fondamento persino alcune tesi di Marx. Affermazioni ancora più impegnative, quindi, per un neoliberista puro come Juncker. Ma cosa ne è seguito? Nulla. Anzi: insieme agli altri, Juncker è stato uno dei cani da guardia dell’austerità europea, che tuttora perdura. Ora, trattandosi di massoni di altissimo rango (ma di segno neoaristocratico, reazionario, post-democratico e neoliberista), molto difficilmente queste affermazioni del “fratello” Mario Draghi e della “sorella” Christine Lagarde significano che ci sarà un cambio di passo. Sono specchietti per le allodole: è questa la valutazione più razionale che è possibile fare oggi. Per contro, è successo tante volte che qualche pezzo grosso di una fazione lanciasse messaggi all’altra fazione, perché magari intendeva fare un cambio di casacca.
    Anche in questo caso, quindi, non escludo a priori che Draghi e la Lagarde stiano lanciando messaggi in questo senso, visto che il potere neoaristocratico sta perdendo la sua presa sull’Europa. La sua presa scricchiola, così come scricchiola il governo Conte-bis: era partito con grandi aspirazioni socialdemocratiche di rigenerazione del tessuto sociale ed economico italiano, e adesso sta pensando di tassare le merendine per avere quattro baiocchi in più per finanziare la scuola, che invece avrebbe bisogno di ben altro: edifici che non crollino e insegnanti pagati dignitosamente. L’insegnamento e l’educazione civica, ricordiamolo, sono tratti qualificanti di una nazione, di una collettività. Tornando a Draghi e Lagarde: vediamo cosa succederà. Certo, bisogna che alle parole seguano i fatti. Ma poi: chiediamoci come l’informazione ha gestito le notizie riguardanti le esternazioni dei due tecnocrati. Se ci si limita a registrare le loro battute, senza poi inviare giornalisti a chieder conto di quelle affermazioni, incalzando Draghi e Lagarde per sapere come contano di agire concretamente, dall’indomani, è chiaro che non succede niente.
    Anzi, mi immagino la Lagarde, intenta a ridacchiare coi suoi collaboratori: ecco, ho detto la mia bella cosa e i media l’hanno messa in risalto, ma nel frattempo in Europa tutto continua come prima. E tuttavia insisto: aspettiamo e vediamo. D’accordo, queste non sono posizioni concretizzabili immediatamente. Ma potrebbe anche darsi (e lo verificheremo, in sede massonica) che questo sia un segnale, verso noi progressisti, per dirci: guardate che il governo Conte scricchiola, il governo dell’Europa scricchiola, le aspettative dei popoli sono sempre più urgenti, e forse – in quest’ultima fase della nostra vita, politica e massonica – noi siamo pronti a fare il salto della quaglia. In una guerra come quella che si combatte a livello globale, direi che la miglior vittoria si verifica quando i nemici passano dalla tua parte. E’ un po’ come il pentitismo: grazie ai pentiti si sono sconfitte e ridimensionate alcune organizzazioni mafiose. Io quindi non direi di no ad un eventuale, sincero passaggio di casacca: bisogna però vedere se questo è reale.
    Fino ad oggi, Draghi e la Lagarde, la Merkel, Juncker e tutti i personaggi di questo circo di pseudo-governanti delle tecnocrazie e delle istituzioni pseudo-europee, hanno scientemente fatto questo gioco illusionistico: la Bce tiene bassissimi i tassi del costo del denaro e immette quantità importanti di liquidità, ma questa emissione non si vuole che arrivi direttamente alle politiche governative. Si è consentito a banche e ad entità finanziarie di ricevere denaro a bassissimo costo e di usarne una parte per l’acquisto di titoli di Stato, così da abbassare lo spread. Ma, in questa filiera, il denaro che è arrivato all’economia reale è scarsissimo. Questo però non è stato fatto per incapacità: non è che adesso si rendano conto che il sistema non funzionava. No, tutto questo è stato fatto in modo consapevole, pervicace e anche subdolo. Se poi – nella coscienza individuale di Mario Draghi e di Christine Lagarde – c’è un ripensamento sulla loro posizione nello scacchiere di potere, e quindi stando lanciando un messaggio alle reti della massoneria progressista che attende il loro crollo (perché il crollo ci sarà, dal momento che certe menzogne non tengono più), ebbene, questo lo scopriremo solo vivendo.
    (Gioele Magaldi, dichiarazioni rilasciate a Marco Moiso nel colloquio in diretta web-streaming su YouTube del 24 settembre 2019).

    Suona paradossale che il governatore della Bce parli della Modern Money Theory nel momento in cui sta uscendo dal suo incarico. Se l’avesse fatto uno o due anni fa, nella sua veste autorevolissima, avrebbe potuto trarne debite conseguenze. Credo che occorra rimanere cauti. A meno che non si finga di credere che avere italiani in certe istituzioni sia un aiuto per il paese. Spesso si pensa infatti che Draghi abbia aiutato l’Italia, o che avere un commissario italiano all’economia possa esserci utile. Non è così. Se sei un credente di una religione economica di un certo tipo (perché di questo si tratta, di religiosità economica), difficilmente smentirai quella fede in favore del tuo popolo. Oltretutto, parliamo di persone educate a ragionare in termini sovranazionali. Peraltro, anche in un modo diverso e migliore, perché un italiano all’Ue dovrebbe aiutare l’Italia e non anche gli altri paesi? Se si è rappresentanti dell’Europa ci si prende cura di tutti i popoli europei. Quindi, se si fanno politiche diverse dalle attuali, le si fa non solo a favore dell’Italia, ma anche della Grecia, della Spagna, della Germania, della Francia. Detto questo, Draghi se ne esce con questa valutazione possibilista sulla Mmt a fine mandato, mentre Christine Lagarde non solo fa un’affermazione clamorosa, dicendo che la moneta “appartiene al popolo e al suo interesse”, ma parla addirittura della necessità di emettere gli eurobond.

  • Carotenuto: ho paura, chi pilota il Conte-2 è capace di tutto

    Scritto il 23/9/19 • nella Categoria: idee • (5)

    «Spero sinceramente che duri poco, perché di questo governo c’è da aver paura: il Conte-bis è un esecutivo pericolosissimo». Lo afferma Fausto Carotenuto, già analista strategico dei servizi segreti, autore di una singolare ritratto di Giuseppe Conte: «E’ sorretto dallo stesso potentissimo network vaticano che gestiva lo strapotere di Andreotti, a cominciare dal cardinale Achille Silvestrini». Ora siamo nei guai, dice Carotenuto in un video su YouTube, perché a Conte si aggiungono personaggi temibili come l’euro-tecnocrate Roberto Gualtieri, che Bruxelles ha fatto sistemare direttamente al ministero dell’economia. Senza contare Paolo Gentiloni, come Conte in strettissimi rapporti col Vaticano, ora promosso alla Commissione Ue, e lo stesso David Sassoli, eletto presidente del Parlamento Europeo. Gentiloni e Sassoli, ovvero: il Pd, i grandi media, il Vaticano e l’europeismo oligarchico. Questo significa che l’Italia, dopo l’effimera sbornia gialloverde, è oggi una cinghia di trasmissione perfetta per il super-potere europeo: «Aspettiamoci di tutto», dice Carotenuto, perché i signori dell’eurocrazia, magari in cambio di qualche piccola concessione sul bilancio, «potranno prendere decisioni inimmaginabili e terribili, per tutti noi».

  • Grillo decisivo: dalla “rivoluzione” alla palude giallorossa

    Scritto il 11/9/19 • nella Categoria: idee • (4)

    Vuoi vedere che c’è un nesso tra il voltafaccia di Grillo, improvvisamente innamoratosi del “partito di Bibbiano e della Boschi”, e le indagini su suo figlio Ciro, indiziato per stupro, emerse solo dopo l’accordo per il Conte-bis anche se i fatti risalirebbero a luglio? L’ipotesi è maliziosamente ventilata su “Micidial” da Massimo Bordin, vicino all’elettorato dei 5 Stelle: chi votò Di Maio nel 2018 lo fece «perché contrario alla politica del governo precedente, guidato da un partito – il Pd – a torto o a ragione considerato la quintessenza del “sistema”». Come accettare che ora il M5S vada a braccetto con Renzi? Voltagabbana, d’accordo: ma non è che li hanno minacciati? Suona perlomeno sospetto, sostiene Bordin, il perfetto sicronismo tra le rotture simmetriche di Salvini e Grillo per staccare la spina al governo gialloverde. Alla richiesta di Salvini (elezioni anticipate), Grillo ha risposto a stretto giro di posta, sdoganando improvvisamente il Pd. Ma a parte le dietrologie di Bordin, dichiaratamente sopra le righe («questo pezzo è ironico e vietato ai cretini: dunque non leggetelo, se non avete senso dell’umorismo») c’è chi pensa che il M5S non sia mai stato altro, fin dall’inizio, che un semplice contenitore di dissenso, per dirottare la rabbia popolare verso esiti innocui. Solo gatekeeping per elettori ingenui? Non la pensa così Gioele Magaldi: senza i 5 Stelle, dice, la politica italiana sarebbe ancora congelata nel vecchio freezer.
    Eminente dietrologo, autore del saggio “Massoni” in cui smaschera i maggiori protagonisti della politica italiana rivelandone l’identità supermassonica (l’affiliazione alle superlogge internazionali), Magaldi inforca gli occhiali della politologia per rivendicare giustizia per i 5 Stelle: solo la “discesa in campo” di Grillo – sostiene, in video-chat su YouTube – ha reso fluido il panorama politico italiano, prima ingessato nel finto scontro tra centrodestra e centrosinistra. Due forze che hanno paralizzato per decenni qualsiasi riforma progressista, sottoponendo entrambe il paese alla ricetta imposta dal neoliberismo imperante, somministrato agli europei (sotto forma di austerity) attraverso la tecnocrazia di Bruxelles. Taglio dei deficit, aumento delle tasse, privatizzazioni e precarizzazione del lavoro. Vero obiettivo, fissato dall’élite neo-oligarchica della massoneria reazionaria: impedire allo Stato di continuare a produrre benessere diffuso. Il sociologo Luciano Gallino la chiamò “lotta di classe alla rovescia”, sintetizzando: è stata un’operazione storica, che ha drenato risorse dal basso verso l’alto, grazie alla finanziarizzazione globalizzata dell’economia che ha impoverito la classe media, erodendo i risparmi e costringendo i giovani alla disoccupazione o alla precarietà di lavoretti iper-flessibili e sottopagati. Risultato automatico: il boom dei grillini e ora della Lega.
    E’ stato proprio Grillo, ricorda Magaldi, a terremotare la palude italiana: senza di lui, staremmo ancora a parlare (in modo sempre più surreale) di destra e sinistra. Terminologie sepolte dalla storia e dall’attualità, oggi tornate in voga in modo abusivo: il nuovo ministro dell’economia Roberto Gualtieri, in quota alla componente teoricamente “di sinistra” del governo “giallorosso”, in realtà «viene dai bassi ranghi della cucina neoliberista e neoaristocratica europea», vale a dire «la destra economica più reazionaria». Non a caso, Gualtieri fu addirittura «applaudito da Christine Lagarde», la lady di ferro del Fmi che mise in ginocchio il popolo greco, costringenolo alla fame. Per contro, tra le fila della Lega spiccano gli unici economisti virtualmente “di sinistra” sulla scena politica, come i keynesiani Alberto Bagnai (Senato) e Antonio Maria Rinaldi (Parlamento Europeo). Meglio rottamarla, la dicotomia destra-sinistra, se serve solo a imbrogliare le carte. E il primo a farlo – ricorda sempre Magaldi – fu proprio Beppe Grillo, dieci anni fa, con il movimento creato insieme a Gianroberto Casaleggio. Lo stesso Magaldi, peraltro, non ha mai fatto sconti ai grillini, colpevoli di troppe confusionarie incongruenze e qualche imperdonabile ipocrisia. Per esempio, quella sulla massoneria: demonizzata in pubblico ma frequentata sottobanco.
    «Era massone, Gianroberto Casaleggio», dice Magaldi: «E fu lui stesso a dirmi che non intendeva rivelarlo». Il figlio, Davide, lo ha smentito a mezzo stampa: «Mio padre non è mai stato massone». Casaleggio junior, però, si è sottratto all’invito di Magaldi: «Partecipi con me a un incontro pubblico: gli spiegherò quando e come suo padre fu iniziato massone, e perché non voleva che si sapesse». Da Casaleggio a Di Maio, il passo è breve: «In modo ipocrita e anche incostituzionale, i 5 Stelle hanno vietato ufficialmente ai massoni l’accesso al Movimento e all’area gialloverde, pur sapendo che il primo governo Conte era imbottito di massoni, da Tria a Moavero, per non parlare dei sottosegretari». Primo: discriminare qualcuno per la sua appartenenza è contrario alla Costituzione. Secondo: era massone Meuccio Ruini, coordinatore della Costituente. «Niente di strano: se l’Italia fosse meno ipocrita, ammetterebbe che la stessa democrazia – libertà, diritti, suffragio universale – è una conquista storica della massoneria». Ma a parte i grembiulini, a sconcertare è stato il vuoto politico dei 5 Stelle. Ai tanti proclami non è mai seguito quasi nulla. In un solo anno, i grillini al governo hanno disatteso tutte le loro promesse: elettori traditi sull’obbligo vaccinale, sul Muos e gli F-35, sulle trivelle in Adriatico, sull’Ilva di Taranto, sul gasdotto Tap, e infine anche sul Tav Torino-Lione. Politica alternativa? Non pervenuta. Mai una parola chiara sul paradigma economico da adottare. Un caso?
    A proposito di gatekeeping: già nel 2016, Grillo tentò in modo tragicomico di traslocare il gruppo europarlamentare, lasciando l’Ukip populista di Farage per gli ultra-euristi dell’Alde. E questo, dopo aver agitato lo spettro di un referendum sull’euro. Almeno a parole, la Lega lo ha affrontato davvero, il problema-Bruxelles (i grillini, mai). Era stato Salvini, infatti, a candidare all’economia Paolo Savona: già ministro con Ciampi – e non a caso temuto da Draghi e Juncker – Savona avrebbe avuto l’autorevolezza necessaria a rinegoziare condizioni favorevoli all’Italia. Azzoppato sul nascere, il governo gialloverde si è ridotto alla misera elemosina del “reddito di cittadinanza” trasformato in un’amara beffa, mentre solo la Lega (con le pensioni facilitate da Quota 100) ha messo mano, davvero, all’economia delle famiglie. La Flat Tax? Sabotata con le dimissioni forzate del suo ideatore, Armando Siri, e poi insabbiata da Tria e da Conte insieme all’altro escamotage leghista per aggirare l’euro-rigore, cioè l’introduzione di moneta parallela (“minibiot”, crediti fiscali scambiabili). Dai grillini, nessuna vera battaglia. Ma peggio: i 5 Stelle hanno gatto harariki facendo eleggere la tedesca Ursula von der Leyen, candidata della Merkel, alla Commissione Europea: un ceffone plateale, rifilato a Salvini (e agli italiani).
    Checché ne pensi Bordin, che evoca il possibile giallo politico sul figlio di Grillo, non stupisce più di tanto il voltafaccia del Beppe nazionale, che ora ha costretto Di Maio a ingoiare Renzi e accettare Conte come nuovo “leader di fatto”, perfetto supplente per la smarrita scolaresca grillina, terrorizzata all’idea di perdere la poltrona in caso di elezioni anticipate. Nemmeno Salvini, peraltro, sarebbe sufficiente a cambiare le regole del gioco. A differenza della maggioranza degli osservatori, Magaldi sostiene comunque che il leader della Lega abbia scelto accuratamente di rompere, consapevole del fatto che, viceversa, sarebbe finito in trappola: la nuova finanziaria lo avrebbe costretto a deludere gli elettori, grazie all’azione frenante esercitata da Conte su ordine dei poteri eurocratici anche attraverso i consueti terminali italiani, dal Quirinale a Bankitalia. Ci si sono messi anche i giornali, che hanno gonfiato la barzelletta del Russiagate, polpetta avvelenata cucinata da servizi segreti (di quelli italiani la delega è rimasta a Conte, non al ministro dell’interno). Ma neppure i magistrati hanno scherzato: quelli siciliani hanno accusato Salvini di “sequestro di persona” per aver impedito lo sbarco di migranti (che in realtà erano liberi di andarsene altrove). E quelli di Genova hanno condannato la Lega a versare 49 milioni di euro allo Stato: il conto esorbitante di un ammanco presunto, solo teorico, calcolato in base ai rimborsi elettorali pluriennali, e non legato alla cifra contestata a Bossi (inferiore al milione di euro) quando Salvini era solo consigliere comunale a Milano. Messaggio chiarissimo: tagliare i fondi a un partito, impedendogli materialmente di fare politica, significa privare gli elettori di precisi diritti democratici. Evidente il fine: sbarazzarsi di Salvini, con ogni mezzo. Magari il più classico: la congiura di palazzo all’italiana, attingendo all’endemico trasformismo parlamentare, alla faccia degli elettori.
    Attenzione: Salvini non ha subito gli eventi. Secondo Magaldi, al contario, li ha calcolati con precisione e tempismo. Se ha tardato tanto a staccare la spina (Giorgetti premeva per la rottura già alle europee) è stato per lasciare pochissimo tempo all’inciucio, di fronte allo spettro dell’aumento dell’Iva nel caso saltasse la finanziaria: se avessero voluto davvero evitare le elezioni, o almeno un super-rimpasto (cacciando Conte e Tria) i “traditori” avrebbero dovuto ribaltare la loro posizione dalla sera alla mattina, di fronte agli italiani – come infatti è avvenuto. Risultato: lo sconcio è visibile dalla Luna. E questo pone Salvini (non vittima, ma regista dell’operazione) in una posizione privilegiata: potrà demolire ogni giorno gli eroi del Conte-bis, preparandosi all’incasso. Non senza prima “aver studiato”, aggiunge Magaldi: Salvini sa benissimo che la sua Lega – già profondamente migliorata, rispetto al Carroccio nordista di Bossi – non è ancora adeguata alla guida del paese. Per molti aspetti è assai meglio della concorrenza, ma non basta: occorre crescere ancora in senso keynesiano, per sfidare la Disunione Europea – non con l’arma spuntata del sovranismo, opportunistico e miope, ma chiedendo a Bruxelles una Costituzione democratica capace di restituire vera sovranità ai cittadini europei.
    Senza riscrivere i trattati non si va da nessuna parte: il Conte di turno non potrà che replicare gli inchini di Letta, Renzi e Gentiloni, sperando solo nelle briciole (come quelle che ora probabilmente saranno elargite, assolutamente insufficienti a rilanciare l’economia italiana). Primo passo: chiedere di stralciare dal bilancio le misure salva-Italia. E cioè: taglio del cuneo fiscale per le aziende, abbattimento delle tasse per tutti, investimenti produttivi e rigenerazione delle infrastrutture strategiche. Temi su cui insiste il Movimento Roosevelt presieduto da Magaldi, tra i padri del cantiere politico del “Partito che serve all’Italia”. Obiettivo: rianimare la prospettiva progressista, resuscitando la democrazia sostanziale. «Non serve creare l’ennesimo partitino autoreferenziale», chiarisce Magaldi: occorre un partito di massa, capace di cavalcare «le praterie che si sono aperte». Alle europee un elettore su tre ha votato Lega, ma quasi metà degli aventi diritto ha disertato le urne: italiani nauseati dal Pd, delusi dai 5 Stelle, non convinti da Salvini. Magaldi appare fiducioso: presto o tardi, sembra dire, la verità risulterà evidente anche ai più sprovveduti. E chi ancora dorme sarà svegliato dalle “meraviglie” del Conte-bis, condannato in partenza a obbedire ai diktat di chi ha messo l’Italia nei guai. Con buona pace dei grillini, che hanno sconcertato il loro elettorato. Oggi risalirebbero nei sondaggi manistream? Strano: alle ultime regionali sono letteralmente scomparsi. E ora il voto in Umbria e in Emilia dirà cosa resta, davvero, del grande bluff pentastellato.08:37 11/09/2019

    Vuoi vedere che c’è un nesso tra il voltafaccia di Grillo, improvvisamente innamoratosi del “partito di Bibbiano e della Boschi”, e le indagini su suo figlio Ciro, indiziato per stupro, emerse solo dopo l’accordo per il Conte-bis anche se i fatti risalirebbero a luglio? L’ipotesi è maliziosamente ventilata su “Micidial” da Massimo Bordin, vicino all’elettorato dei 5 Stelle: chi votò Di Maio nel 2018 lo fece «perché contrario alla politica del governo precedente, guidato da un partito – il Pd – a torto o a ragione considerato la quintessenza del “sistema”». Come accettare che ora il M5S vada a braccetto con Renzi? Voltagabbana, d’accordo: ma non è che li hanno minacciati? Suona perlomeno sospetto, sostiene Bordin, il perfetto sicronismo tra le rotture simmetriche di Salvini e Grillo per staccare la spina al governo gialloverde. Alla richiesta di Salvini (elezioni anticipate), Grillo ha risposto a stretto giro di posta, sdoganando improvvisamente il Pd. Ma a parte le dietrologie di Bordin, dichiaratamente sopra le righe («questo pezzo è ironico e vietato ai cretini: dunque non leggetelo, se non avete senso dell’umorismo») c’è chi pensa che il M5S non sia mai stato altro, fin dall’inizio, che un semplice contenitore di dissenso, per dirottare la rabbia popolare verso esiti innocui. Solo gatekeeping per elettori ingenui? Non la pensa così Gioele Magaldi: senza i 5 Stelle, dice, la politica italiana sarebbe ancora congelata nel vecchio freezer.

  • Pagliacciocrazia: la miseria morale di chi tradisce il popolo

    Scritto il 04/9/19 • nella Categoria: idee • (14)

    Provate a togliere il sonoro alla crisi e a guardare con distacco a quel che sta succedendo: due partiti che fino a ieri si disprezzavano pubblicamente si incontrano sul nulla, cioè sull’avvocato Giuseppe Conte, e danno luogo a un rovesciamento totale di alleanze e di indirizzi. Lasciamo da parte i giudizi soliti che si sentono in questi giorni e arriviamo perfino ad accogliere due obiezioni: 1) Anche l’alleanza tra grillini e leghisti non scaturì dalle urne e la loro alleanza non fu prima presentata al giudizio degli elettori; 2) Siamo in una democrazia parlamentare e finché sussistono i numeri in Parlamento per esprimere un’altra maggioranza, non possono essere i sondaggi o altre votazioni, come quella europea, a decretare l’obbligatorietà di tornare alle urne. Diciamo che dovrebbe essere una scelta di buon senso e di rispetto della sovranità popolare, ma formalmente non c’è alcun obbligo a farci votare. E allora cosa suscita disgusto? Due cose, anzi tre. Innanzitutto, è la quarta volta che la sinistra si accinge ad andare al governo, senza peraltro aver mai lasciato il potere, e ad arrivarci senza passare dal voto, con un’indicazione popolare. La quarta volta dopo Letta, Renzi e Gentiloni.
    Una volta può accadere, due magari con qualche forzatura si può capire, ma se accade sistematicamente vuol dire che la sinistra in Italia è una cupola che non può essere rimossa dal potere e chiunque cerchi di farlo è per definizione un delinquente, sottoposto a processo mediatico-giudiziario e additato al pubblico disprezzo. La seconda cosa è che non c’è nessun perno programmatico che unisca le due forze in via di allearsi, ma solo la comune preoccupazione di non andare al voto e di mettere fuori gioco il leader fino a oggi acclamato a furor di popolo. Non c’è un orizzonte di programma comune, non c’è un punto essenziale. L’alleanza Lega-grillini era anch’essa tra due soggetti molto diversi ma una linea in comune ce l’avevano: erano definiti entrambi populisti, erano contro l’establishment e critici ambedue verso i diktat europei. Era già qualcosa; poi differivano, e tanto, le visioni del mondo (o del web, per i grillini). Adesso è ridicolo pensare che il Pd diventi populista e anti-establishment, ed è raccapricciante vedere che il partito più antisistema abbia scelto un democristiano duttile, multitasking e paraculista come Conte a farsi rappresentare e ad allearsi col partito-sistema, il partito-apparato, previo bacio della pantofola all’Unione Europea col voto a Ursula.
    Penosa l’assenza di contenuti e la fame assoluta di contenitori. Ma superate queste due riserve contingenti, c’è uno spettacolo di fondo che avvilisce e indigna al tempo stesso. È la riedizione, a un gradino ancora più basso, della storica miseria delle classi di potere in Italia. Non sono classi dirigenti, e non sono neanche classi dominanti come le fustigava Antonio Gramsci: perché i dominatori almeno hanno qualche vaga responsabilità di comando rispetto al popolo. No, queste sono classi sovrastanti, che cioè stanno sopra la gente e non vogliono scendere al piano terra, prescindono dal popolo; e anche quando l’ultimo masaniello arriva, sbucato dal nulla (espressione che oltre Conte evoca Fico, Di Maio, a’ Raggi e compagnia cantante), sono pronti a ogni compromesso pur di restare aggrappati a quel piano. La sinistra è per sua essenza ormai da anni quella delle terrazze e dei piani alti, è al potere, e appena qualcuno vuole aprire la porta per farli scendere, si barricano e gridano al nazista di turno, al delinquente in arrivo e al razzismo montante. Ma lo spettacolo è antico e ciclico. E mostra la vigliaccheria, l’egoismo furbetto, la misera morale e intellettuale del ceto sovrastante.
    Avevo rispetto per la vecchia sinistra comunista, avevo rispetto per chi nutriva ideali e passioni di giustizia sociale, rappresentava la classe operaia e il proletariato. Ma che considerazione si può avere di questa roba qui, dei loro moventi, delle loro scelte, dei loro anatemi e dei loro compromessi? L’unico ideale che riescono a esprimere è in negativo, antinazionale, antifamigliare, antitradizionale. Sono solo un fenomeno dissolutivo, sono il partito del suicidio d’Italia, dell’eutanasia di civiltà cristiana e di chi da fuori e da dentro ne mira la coesione, l’identità, il senso comunitario. L’unico punto in comune che unisce i promessi sposi, ma che non è estraneo nemmeno alla Lega e al centro-destra, è la demeritocrazia trionfante: ovvero gli ultimi saranno i primi, ma in un senso non propriamente evangelico. L’ultimo arrivato fa il premier, gli ultimi scappati di casa, senz’arte né parte, diventano ministri, le scadenti retrovie di quel che era la sinistra diventano i leader e ministri.
    È questo l’eterno tradimento delle classi di potere in Italia, che spiega i ritardi secolari della nostra unificazione, il servilismo come stile e come sottomissione allo straniero di turno, al potente in alto e al migrante in basso; la massima goldoniana che se la casa brucia non spengo l’incendio ma voglio scaldarmi un po’ anch’io (cioè trarre profitto dallo sfascio); e poi l’antico, pezzente trasformismo per restare a galla, l’astuzia di servire due padroni per barcamenarsi e tirare sul prezzo, la perdita di ogni residua dignità. Questa è la miseria degli ultimi giorni. Non credo affatto che il nostro popolo sia meglio dei potenti, ma penso che i potenti riescano a essere peggio del loro popolo e a costituire un esempio, un modello di riferimento per la gente a seguire standard morali e civili ancora più scadenti di quelli già in uso. Eccola, l’alleanza dei Quaquaraquà. Coi gialloverdi era al penultimo stadio, ora siamo allo stadio finale: è la pagliacciocrazia.
    (Marcello Veneziani, “Pagliacciocrazia”, da “La Verità” del 29 agosto 2019: articolo ripreso dal blog di Veneziani).

    Provate a togliere il sonoro alla crisi e a guardare con distacco a quel che sta succedendo: due partiti che fino a ieri si disprezzavano pubblicamente si incontrano sul nulla, cioè sull’avvocato Giuseppe Conte, e danno luogo a un rovesciamento totale di alleanze e di indirizzi. Lasciamo da parte i giudizi soliti che si sentono in questi giorni e arriviamo perfino ad accogliere due obiezioni: 1) Anche l’alleanza tra grillini e leghisti non scaturì dalle urne e la loro alleanza non fu prima presentata al giudizio degli elettori; 2) Siamo in una democrazia parlamentare e finché sussistono i numeri in Parlamento per esprimere un’altra maggioranza, non possono essere i sondaggi o altre votazioni, come quella europea, a decretare l’obbligatorietà di tornare alle urne. Diciamo che dovrebbe essere una scelta di buon senso e di rispetto della sovranità popolare, ma formalmente non c’è alcun obbligo a farci votare. E allora cosa suscita disgusto? Due cose, anzi tre. Innanzitutto, è la quarta volta che la sinistra si accinge ad andare al governo, senza peraltro aver mai lasciato il potere, e ad arrivarci senza passare dal voto, con un’indicazione popolare. La quarta volta dopo Letta, Renzi e Gentiloni.

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