Archivio del Tag ‘Oxfam’
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L’Oxfam: povera Europa, continua a suicidarvi con il rigore
Attraverso un briefing paper del settembre 2013, passato piuttosto in sordina ai globocrati di Bruxelles e ai neoliberisti impenitenti, l’Oxfam aveva lanciato lanciato un monito deciso e inequivocabile all’Europa, affinché abbandonasse le rovinose politiche economiche dell’austerità. Lo ricorda sul suo blog Ilaria Bifarini, “bocconiana redenta”, autrice di saggi sulla catastrofe del neoliberismo di cui in Europa l’Ue e la Bce sono i principali guardiani. Una politica – quella dell’austerity – che preoccupa seriamente l’Oxfam, una confederazione internazionale di organizzazioni no-profit che si dedicano alla riduzione della povertà globale, attraverso aiuti umanitari e progetti di sviluppo. «I programmi di austerità attuati in Europa hanno smantellato le misure di riduzione della disuguaglianza e di stimolo alla crescita equa», scrive l’Ofxam. «Con tassi di disuguaglianza e povertà in crescita, l’Europa sta vivendo un decennio perduto: se queste misure continueranno – scriveva l’associazione, nel suo rapporto di ormai cinque anni fa – altri 15-25 milioni di persone in Europa potrebbero diventare poveri entro il 2015».
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Ilaria Bifarini: di rigore si muore. Lo sanno, e così insistono
Pura idozia? No, peggio: è sadismo. Sanno benissimo che i tagli sono una catastrofe, ma insistono col rigore di bilancio: è il loro unico programma, il loro dogma. Lo ricorda la “bocconiana redenta” Ilaria Bifarini, autrice del saggio “Neoliberismo e manipolazione di massa”. «I danni dell’austerity sono noti allo stesso Fmi», scrive, su Twitter. «Il consolidamento del debito aumenta il livello di disoccupazione di lungo termine e il tasso di disuguaglianza. Eppure continuano a prescrivere la stessa letale ricetta». E’ come somministrare un farmaco letale a un paziente moribondo, dichiara l’economista, intervistata da “Lospeciale”. «Le stesse organizzazioni economiche internazionali fautrici della dottrina neoliberista hanno più volte ammesso la fallimentarietà delle loro teorie», premette. «Gli economisti del Fondo Monetario Internazionale ad esempio, con uno studio del 2016, hanno calcolato gli effetti deleteri delle politiche di austerity in termini di aumento della disoccupazione di lungo periodo e del tasso di disuguaglianza. Eppure, proprio oggi è stato diffuso un working paper dello stesso Fondo Monetario in cui vengono raccomandati ulteriori tagli alla spesa pubblica, in particolare nel settore sanitario, che in Italia ha subito tagli draconiani, raggiungendo livelli considerati allarmanti per la salute pubblica, e nel sistema previdenziale, nonostante la famigerata riforma Fornero».In pratica, si continua con la stessa ricetta – mortale – che ha ridotto il malato in fin di vita. Secondo uno studio della stessa Oxfam, aggiunge Bifarini, «se le misure di austerità continueranno, entro il 2025 l’Europa potrebbe avere da 15 a 25 milioni di poveri in più». Ma il mainstream politico e giornalistico «preferisce ignorare queste verità che trapelano ogni tanto dai documenti ufficiali delle organizzazioni internazionali e propagandare quelli conformi al pensiero unico economico». Nel silenzio generale dei media è uscita questa notizia: è ormai a rischio povertà anche chi lavora, quasi 1 su 8. «La colpa è proprio di questo sistema, che premia la disuguaglianza», spiega Bigarini. «Il futuro ci prospetta una società sempre più polarizzata, con una ristretta cerchia di privilegiati sempre più ricchi e il resto della popolazione, lavoratrice e non, che continuerà a impoverirsi». D’altronde, aggiunge, il fenomeno dei “working poors” è già diffuso in Germania, dove il problema della disoccupazione non è “mostruoso” come in Italia. Eppure, anche in Germania «la deflazione salariale è una colonna portante del modello neoliberista».Inversioni di rotta? Siamo alla vigilia di un cambiamento? Fa pensare, sostiene “Lospeciale”, che il Movimento 5 Stelle oggi parli di natalità e soldi alle coppie con figli: dirlo solo cinque anni fa avrebbe creato polemiche su un presunto “ritorno al fascismo”, in relazione al primitivo welfare nazionalista mussoliniano. «Sicuramente è iniziata una svolta nel sentimento della popolazione», sostiene Ilaria Bifarini, secondo cui il voto del 4 marzo «ha dimostrato la forte volontà e speranza di cambiamento da parte dei cittadini». Politicamente parlando, per l’economista «andrà avanti chi manterrà le promesse e non deluderà gli elettori». E questo, aggiunge, «perché c’è più consapevolezza, anche grazie all’informazione indipendente», che si è progressivamente sviluppata sul web. «Lavoro e famiglia sono senz’altro prioritari: il problema della denatalità non può essere risolto né aggirato con l’accoglienza indiscriminata, ma va affrontato seriamente». Proponendo reddito minimo e Flat Tax, Di Maio e Salvini dimostrano di sapere che occorre dare (o lasciare) più soldi a famiglie e aziende: il contrario dei tagli, che l’Ue – al servizio dei grandi oligopoli globalizzati – continua a raccomandare, fingendo di non conoscene le conseguenze.Pura idozia? No, peggio: è sadismo. Sanno benissimo che i tagli sono una catastrofe, ma insistono col rigore di bilancio: è il loro unico programma, il loro dogma. Lo ricorda la “bocconiana redenta” Ilaria Bifarini, autrice del saggio “Neoliberismo e manipolazione di massa”. «I danni dell’austerity sono noti allo stesso Fmi», scrive, su Twitter. «Il consolidamento del debito aumenta il livello di disoccupazione di lungo termine e il tasso di disuguaglianza. Eppure continuano a prescrivere la stessa letale ricetta». E’ come somministrare un farmaco letale a un paziente moribondo, dichiara l’economista, intervistata da “Lospeciale”. «Le stesse organizzazioni economiche internazionali fautrici della dottrina neoliberista hanno più volte ammesso la fallimentarietà delle loro teorie», premette. «Gli economisti del Fondo Monetario Internazionale ad esempio, con uno studio del 2016, hanno calcolato gli effetti deleteri delle politiche di austerity in termini di aumento della disoccupazione di lungo periodo e del tasso di disuguaglianza. Eppure, proprio oggi è stato diffuso un working paper dello stesso Fondo Monetario in cui vengono raccomandati ulteriori tagli alla spesa pubblica, in particolare nel settore sanitario, che in Italia ha subito tagli draconiani, raggiungendo livelli considerati allarmanti per la salute pubblica, e nel sistema previdenziale, nonostante la famigerata riforma Fornero».
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Accordi segreti: paghiamo tasse evase dalle multinazionali
Mille miliardi di euro, tra evasione fiscale ed elusione: le multinazionali pagano molto meno degli altri, e così agli Stati tocca tirare la cinghia e metter mano a dolorosi tagli. Secondo “Business Insider”, sono addirittura 2.053 gli accordi segreti tra governi Ue e multinazionali per non pagare le tasse: un giochetto che all’Italia costa 10 miliardi all’anno. «Alla fine del 2016, tra le note del Def – scrive il newsmagazine – il ministero dell’economia aveva calcolato che solo all’Italia mancano almeno 31 miliardi di base imponibile. Tradotto, con un tassazione media per le imprese del 30% mancano 10 miliardi di gettito fiscale: lo 0,6% del Pil. Una cifra sufficiente a finanziare buona parte del reddito di cittadinanza del Movimento 5 Stelle o a evitare l’aumento dell’Iva l’anno prossimo». Nel 2013, aggiunge “Business Insider”, l’economista britannico di “Tax Research”, Richard Murphy, aveva calcolato che l’evasione fiscale all’interno del vecchio continente ammonta a circa 850 miliardi, mentre l’elusione vale altri 150 miliardi di euro. E il trend è in ascesa: «Tre anni dopo lo scandalo LuxLeaks che mise a nudo i rapporti fiscali segreti tra governi e colossi industriali, il numero di accordi in essere continua ad aumentare: secondo l’ultimo rapporto della Commissione Europea sono cresciuti dai 1.252 del 2015 ai 2.053 del 2016».A nulla è servita la maxi-multa comminata all’Irlanda per aver favorito Apple. L’Unione Europea interviene solo a cose fatte, «quando le intese fiscali segrete si rivelano aiuti di Stato tali da condizionare la libera concorrenza». Contro gli abusi si agita il Parlamento Europeo, che però non ha potere. «Anche perché le grandi multinazionali hanno schierato l’artiglieria pesante: con il trucco degli accordi fiscali riescono a strappare condizioni da paradisi fiscali nel cuore del vecchio continente». Con i “tax ruling”, aggiunge “Business Insider”, le multinazionali possono concordare il trattamento fiscale che potrebbe essere loro riservato per un periodo di tempo predeterminato; ma in realtà il “tax ruling” è lo strumento che permette alle corporations di ridurre drasticamente il proprio carico fiscale globale. «Dal punto di vista formale, lo schema è sempre lo stesso: le grandi multinazionali promettono investimenti e occupazione in cambio di tassazioni agevolate, poi una volta stabilitesi spostano i profitti da una controllata all’altra per ridurre al minimo le imposte. Un meccanismo utilizzato già da Apple, Fiat, Amazon, Google, Starbucks e anche McDonald’s». In Italia gli accordi segreti sono 78, e l’“Espresso” ha rivelato che tre di questi riguardano Michelin, Microsoft e Philip Morris.Sono proprio questi accordi, spiega “Business Insider”, ad aver fatto del Lussemburgo lo snodo centrale della finanza europea: «Molte imprese versano al Granducato un’aliquota effettiva inferiore all’1% degli utili dichiarati». L’Ue è intervenuta in modo tardivo e sporadico. «I cittadini-contribuenti e altri attori economici, come le piccole e medie imprese, avrebbero tutto il diritto di conoscere e giudicare i trattamenti fiscali che le autorità nazionali riservano alle grandi corporation», sostiene Mikhail Maslennikov, “policy advisor” di Oxfam Italia per la giustizia fiscale. «Sempre più spesso – aggiunge – i “ruling” segreti dei paesi Ue si rivelano come un tassello fondamentale per la pianificazione fiscale aggressiva delle multinazionali, facilitandone il “profit-shifting” verso giurisdizioni dal fisco amico e garantendo un trattamento fiscale ad hoc ai grandi colossi, che vedono ridursi considerevolmente le proprie aliquote effettive». I “ruling” segreti pongono seri interrogativi sul fairplay fiscale anche per Tove Maria Ryding, coordinatore del team di giustizia fiscale del network europeo “Eurodad”: «Le decisioni confidenziali assunte da un paese hanno impatti sulla contribuzione fiscale in tanti altri paesi», dice Ryding. «E spesso si tratta dei paesi più poveri e dei contesti più vulnerabili al mondo». O magari paesi come l’Italia, stritolati da una tassazione record.Mille miliardi di euro, tra evasione fiscale ed elusione: le multinazionali pagano molto meno degli altri, e così agli Stati tocca tirare la cinghia e metter mano a dolorosi tagli. Secondo “Business Insider”, sono addirittura 2.053 gli accordi segreti tra governi Ue e multinazionali per non pagare le tasse: un giochetto che all’Italia costa 10 miliardi all’anno. «Alla fine del 2016, tra le note del Def – scrive il newsmagazine – il ministero dell’economia aveva calcolato che solo all’Italia mancano almeno 31 miliardi di base imponibile. Tradotto, con un tassazione media per le imprese del 30% mancano 10 miliardi di gettito fiscale: lo 0,6% del Pil. Una cifra sufficiente a finanziare buona parte del reddito di cittadinanza del Movimento 5 Stelle o a evitare l’aumento dell’Iva l’anno prossimo». Nel 2013, aggiunge “Business Insider”, l’economista britannico di “Tax Research”, Richard Murphy, aveva calcolato che l’evasione fiscale all’interno del vecchio continente ammonta a circa 850 miliardi, mentre l’elusione vale altri 150 miliardi di euro. E il trend è in ascesa: «Tre anni dopo lo scandalo LuxLeaks che mise a nudo i rapporti fiscali segreti tra governi e colossi industriali, il numero di accordi in essere continua ad aumentare: secondo l’ultimo rapporto della Commissione Europea sono cresciuti dai 1.252 del 2015 ai 2.053 del 2016».
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Sos, rischiamo un’estinzione di massa: la sesta, sulla Terra
Si avvicina il rischio di un’estinzione di massa, la sesta nella storia della Terra. Lo affermano Daniele Conversi e Luis Moreno, commentando una recentissima ricerca statunitense: secondo la prestigiosa Pnas, “Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America”, per la sesta volta, saremmo nell’imminenza di un evento chiamato “biological annihilation”, annientamento biologico. Miliardi di animali sono stati eliminati negli ultimi decenni, conseguenza diretta e indiretta dell’attività umana. Come se non bastassero gli allarmi che ci giungono da tutti i fronti, le ricerche confermano un’unica tendenza: l’impatto del consumo di massa promosso dal neoliberismo imperante sta alterando la superficie terrestre in maniera irreversibile, fino a cambiare lo stesso suolo su cui poggiamo i piedi. Nel corso dell’ultimo secolo, con l’uso generalizzato dell’automobile, ci si è adagiati sullo sfruttamento dei combustibili fossili attraverso un aumento massiccio dei consumi, promuovendo inoltre una divisione internazionale del lavoro tra regioni destinate all’estrazione e altre destinate all’industrializzazione. Tutto questo, dicono i ricercatori, sta semplicemente portando al collasso l’ecosistema terrestre.Resa popolare dal Nobel per la chimica Paul Crutzen per designare un nuovo periodo geologico separato dall’Olocene (l’ultimo periodo geologico dell’era Quaternaria), la nozione di Antropocene ci richiama all’impatto determinante, permanente e irreversibile del comportamento umano sulla superficie terrestre. Nel suo libro tradotto in italiano come “Benvenuti nell’Antropocene”, Crutzen argomenta che le prove per stabilire l’inizio del nuovo periodo sono già visibili sia nelle rocce (in forma di isotopi nucleari, sedimenti, scorie, particelle di alluminio, cemento, plastica e carbone), sia negli oceani e nelle zone costiere, con l’innalzamento del livello del mare conseguente allo scioglimento dei ghiacci. L’aumento rapido dei gas serra è probabilmente segna l’inizio della nuova era, che si può collocare all’incirca verso la metà del 20º secolo. Negli ultimi decenni, aggiungono Conversi e Moreno in un’analisi su “Micromega”, la crescita abnorme dei consumi di gran parte della popolazione terrestre ha prodotto gravi effetti sul nostro pianeta, con conseguenze potenzialmente catastrofiche per il futuro di tutte le specie viventi.Purtroppo però questa massa di studi fatica a trovare spazio sui grandi media, spesso «ostacolata e contraddetta dalla visibilità istrionica di pseudo-scienziati portavoce, riconosciuti o meno, delle lobbies petrolifere e dei combustibili fossili». Data l’assenza di vere informazioni, «non c’è da sorprendersi che il pubblico sia più orientato a crucciarsi per i prezzi di consumo dell’energia elettrica piuttosto che a chiedersi come ridurre le emissioni». Come ridurre il climate change? Nebbia fitta. «Raggiungendo livelli sempre più alti, l’aumento costante dei gas serra, accoppiato alla diffusione della fratturazione idraulica (fracking), è in grado di produrre un impatto incontrollabile, minacciando la continuità stessa della vita sulla Terra». L’attuale modello iper-consumistico «è stato responsabile non solo di un aumento senza precedenti delle emissioni di CO2, ma anche di un processo a senso unico di omogeneizzazione culturale, a seguito del quale mai prima d’ora così tante persone hanno assunto abitudini di consumo originariamente proprie delle vecchie élites occidentali». Processi che «hanno contribuito ad aumentare i livelli di povertà e di emarginazione sociale, sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo».Secondo un noto rapporto di Oxfam, la stragrande maggioranza delle vittime del cambiamento climatico sono proprio coloro che vivono in paesi che contribuiscono di meno al fenomeno. «E per di più, le regioni più vulnerabili ospitano circa la metà più povera della popolazione mondiale: un grafico assai rivelatore dell’ingiustizia climatica, che non lascia dubbi su come la metà più povera della popolazione mondiale produca solo il 10% delle emissioni globali di carbonio, mentre il 10% più ricco del pianeta contribuisce a oltre il 50% delle emissioni», aggiungono Conversi e Moreno. Inoltre, questo sembra dimostrare che, sebbene il problema demografico non debba essere sottovalutato, l’impatto più consistente non è prodotto dai numeri di bocche da sfamare, ma da modelli acquisiti di consumo, sperpero, abitudini e stili di vita insostenibili. Intanto, sempre secondo Oxfam, l’81% dei decessi causati dai disastri ambientali colpisce le aree a reddito basso e medio-basso. Secondo un altro studio, “Carbon and inequality from Kyoto to Paris”, diretto da Lucas Chancel e Thomas Piketty della Paris School of Economics, l’1% delle famiglie statunitensi, singaporesi o saudite a reddito più elevato sono annoverabili tra i maggiori responsabili di inquinamento, con più di 200 tonnellate annuali di emissione di CO2.Di conseguenza, continuano Conversi e Moreno, una visione semplicistica della frattura Est-Ovest o Nord-Sud, appare inadeguata: tra l’1% dei super-emettitori vanno anche incluse le élites dei super-ricchi di Cina, Russia, India e Brasile, per fare un esempio. E un terzo studio, pubblicato di recente (“The Carbon Majors Report” 2017) mostra che circa 100 aziende sono responsabili del 71% delle emissioni globali, cioè un numero significativamente infimo di grandi produttori legati ai combustibili fossili arreca un danno assolutamente sproporzionato rispetto ai guadagni astronomici di pochi. In America Latina, quasi tre quarti dei cittadini – una delle percentuali più alte al mondo – riconoscono fermamente la gravità e la serietà del cambiamento climatico: i paesi latinoamericani e caraibici sono molto vulnerabili al problema del riscaldamento globale. «Un aumento rilevante e sostenuto delle temperature porterebbe in un intervallo non molto lungo a una riduzione drastica dei terreni coltivabili, alla scomparsa di atolli, barriere coralline, isole basse e intere regioni costiere, così come ad una estrema variabilità del tempo».Per Conversi e Moreno, non sarebbe realistico ipotizzare una risposta unica ai difficili e complessi problemi legati al cambio climatico. I punti di vista normativi variano: dall’illusione di “miracoli tecnologici” all’espansione massiccia delle energie rinnovabili (dal 2019 la Volvo produrrà solo auto elettriche o ibride), dalla decrescita volontaria dei consumi alla rivalutazione delle conoscenze ecologiche tradizionali. Si pensa alla protezione delle economie pre-industriali residue, all’economia circolare, al riciclaggio, alla pratica della “sovranità alimentare” (km zero, filiere corte), fino all’opzione estrema della geo-ingegneria, «che implicherebbe la costruzione di dighe per proteggere città o paesi dall’innalzamento delle maree e altre soluzioni provvisorie per tamponare effetti localizzati di un fenomeno che non ha nulla di locale». In ogni caso, aggiungono Conversi e Moreno, sarà vitale «ambire alla massima eterogeneità e creatività in termini di soluzioni, adattamento, conoscenze o tecniche di sopravvivenza».Da parte sua, l’Ue si sta adoperando per trasformare i rifiuti in materiali rinnovabili in una nuova “economia circolare”. Secondo la Commissione Europea, l’Europa produce più di 2,5 milioni di tonnellate di rifiuti l’anno, oltre la metà dei quali (63%) è derivata dal settore minerario e delle costruzioni. Ma spesso l’accento è posto sul cittadino, nonostante solo l’8% dei rifiuti sia di origine domestica. «Così l’Europa perde ogni anno circa 600 milioni di tonnellate di materiali contenuti nei rifiuti che potrebbero essere riciclati o riutilizzati – mentre si ricicla solo il 40% dei rifiuti prodotti dalle famiglie». A livello planetario, i problemi restano di portata incalcolabile. «Questa nuova geografia del cambiamento climatico, accompagnata dall’aumento delle disuguaglianze di reddito e dell’emarginazione sociale, rende più che mai urgente un’azione concertata da parte di tutti i paesi». Unica possibilità di salvezza, trovare i mezzi per «controllare questa ristretta élite, detentrice di un potere economico e mediatico immenso». Ma le cose non stanno andando esattamente così: restano modesti gli obiettivi dei trattati internazionali finora firmati, da Rio (1992) all’accordo di Parigi del 2015, in vigore dal 2016 «in vista della sua piena applicabilità nel 2020», a seguito del Protocollo di Kyoto del 1997.Non mancano ulteriori complicazioni: «Donald Trump ha annunciato il ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi, in conformità alle promesse elargite durante la campagna elettorale in combutta con le élites dei combustibili fossili». In contrasto con l’allarme che si sta diffondendo in molti paesi, il nuovo protezionismo degli Stati Uniti, accompagnato dalle iperboli della negazione, «indica che ci stiamo avvicinando a passi da gigante verso il suicidio climatico, incoraggiato da un modello economico neoliberista inarrestabile», concludono Conversi e Moreno. «Di fronte al pressoché unanime consenso scientifico sulle origini antropogeniche di un riscaldamento globale indotto da modelli di consumo selvaggio, si erge un revisionismo corporativo militante impostato sulla manipolazione dei mezzi di comunicazione e ostile a ogni possibile mobilitazione sociale volta a salvare il pianeta». Ciò che si profila è un mondo nuovo, un “brave New World”, come annunciava Aldous Huxley, condannato a finire in tempi brevissimi. «Un mondo, insomma, in cui una percentuale irrisoria ma ultra-potente del genere umano sembra pronta a immolare i destini della Terra sull’altare dei propri guadagni mai soddisfatti».Conmversi e Moreno parlano di “classicidio”, vista l’enorme sproporzione numerica tra vittime e carnefici, ancora più accentuata tra i redditi delle vittime e quelli dei carnefici. «Ma nessuno potrà ritenersi al sicuro ed esente dal pericolo di estinzione: se il secolo 20º è stato spesso definito il “secolo del genocidio”, c’è da temere che il secolo 21º potrebbe essere identificato, da un punto di vista terminologico, come il “secolo dell’omnicidio”, dello sterminio potenziale della gran parte delle specie viventi, tra cui bisognerà annoverare gli esseri umani». Ma, onestamente, «piuttosto che di un epilogo casuale, è bene comprendere che si tratta una “cronaca” lungamente preannunciata». Bisognerà quindi «combattere il negazionismo, incarnato successivamente nell’anti-scienza, nella marginalizzazione degli esperti e nell’anarchia informativa della post-verità». Appello inevitabile: «Contro quest’Idra dalle multipli teste, siamo chiamati a mobilitarci. Meglio tardi che mai».Si avvicina il rischio di un’estinzione di massa, la sesta nella storia della Terra. Lo affermano Daniele Conversi e Luis Moreno, commentando una recentissima ricerca statunitense: secondo la prestigiosa Pnas, “Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America”, per la sesta volta, saremmo nell’imminenza di un evento chiamato “biological annihilation”, annientamento biologico. Miliardi di animali sono stati eliminati negli ultimi decenni, conseguenza diretta e indiretta dell’attività umana. Come se non bastassero gli allarmi che ci giungono da tutti i fronti, le ricerche confermano un’unica tendenza: l’impatto del consumo di massa promosso dal neoliberismo imperante sta alterando la superficie terrestre in maniera irreversibile, fino a cambiare lo stesso suolo su cui poggiamo i piedi. Nel corso dell’ultimo secolo, con l’uso generalizzato dell’automobile, ci si è adagiati sullo sfruttamento dei combustibili fossili attraverso un aumento massiccio dei consumi, promuovendo inoltre una divisione internazionale del lavoro tra regioni destinate all’estrazione e altre destinate all’industrializzazione. Tutto questo, dicono i ricercatori, sta semplicemente portando al collasso l’ecosistema terrestre.
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La Cina è sovrana nella moneta: per questo vincerà sempre
Canton, Shanghai, guardatele, fanno sembrare Ny e Chicago robetta da Sant’Arcangelo di Romagna o Urbino. Si tratta di città che, si badi bene, solo pochi anni or sono erano accumuli di baracche e qualche palazzaccio di cemento. Poi tutti sapete che la Cina nel tempo in cui Usain Bolt corre i 100 metri è diventata la seconda economia del pianeta. Come ho detto e scritto fino ad annoiare me stesso, nulla, neppure un granello di libero mercato che gli idioti come Boldrin, Giannino e Padoan predicano ancora qui – tipo patetici manichini zombie dimenticati sul set di “Thriller” di Michael Jackson nel 1982 – nulla, dicevo, di libero mercato ha sostenuto un’esplosione, inimmaginabile nella storia dell’economia, come quella cinese. Dietro c’è, chiaro e semplice, uno Stato sovrano nella moneta che ha detto ai mercati: “Hey, siamo qui, abbiamo Renminbi con cui ripagarvi all’infinito, li stampiamo noi! Pagheremo poco i lavoratori ma fino a un certo punto, perché poi Pechino li proteggerà sempre (e poi hanno 3.000 miliardi di dollari in valuta estera, se proprio volete stare tranquilli, ma anche se no, non importerebbe)”.Tutto andava bene, per forza. Ma poi ci fu un crollo, in Cina. E indovinate, ma indovinate! quando il crollo è avvenuto? Quando il cosiddetto libero mercato ha infettato la Cina dalla porta di servizio. Ecco la storia. I soliti speculatori privati, cinesi e stranieri, attirati dal Tesoro di Atlantide cinese, si sono messi a prendere in prestito somme immense da finanziatori illegali chiamati “underground margin lenders” su cui Pechino non poteva avere controllo. Tutti ’sti soldi sporchi sono finiti a gonfiare le solite “bolle di Borsa o immobiliari” (stessa storia degli Usa 2000-2007, del Portogallo, dell’Irlanda, della Spagna, dell’Islanda…), e nel 2015 Pechino e tutto l’apparato comunista fino alla Banca Centrale della Cina (Boc) si ritrovano con uno tsunami che non avevano previsto. Crolla la Borsa, nel nord-est del paese sono comparse intere città grandi come Milano con milioni di palazzi costruiti dai privati speculatori e totalmente deserti, banche con insegne grandi come cartelloni di Bruce Springsteen ma dove mai si sedette un singolo impiegato, aeroporti con 14 piste di decollo e intere divisioni dei vigili del fuoco ma dove mai è decollato o decollerà un singolo aereo.Vi chiederete, ma se un governo centrale con moneta sovrana ha potere di fuoco infinito, allora perché Pechino non è intervenuto a finanziare questa Hiroshima creata da ’sti investitori illegali? E non li ha arrestati e ficcati nelle notoriamente non carine carceri cinesi? La risposta è che il governo cinese non è scemo, fa la Mmt. Lui, Pechino, non spreca valuta e tempo per rimediare alla disoccupazione causata dai ladroni del libero mercato. Ha preso la gran parte dei cittadini allora turlupinati dal libero mercato e li ha messi a lavorare nei lavori di Stato. Cioè immense imprese statali che producono e vendono, eccome se vendono. Naturalmente se andate a vedere cosa scrivevano “Bloomberg”, la “Bbc”, il “Wall Street Journal”, o “Reuters”, fra il 2015 e il 2016, ohhh!, ecco: “Il debito pubblico cinese che finanzia la disoccupazione è esploso e porterà Armageddon alla Cina!”. E’ successo per caso? No, no, no. Dai, non perdiamo tempo, la Mmt in questi dettagli non sbaglia mai, la Cina non sbaglia, non sono Giuliano Amato (conato). Non è successo un cazzo. La Cina è ancora lì e anzi…Pechino ha sniffato l’aria al volo, e nel giro di pochi mesi l’immenso apparato comunista ha saputo decidere ciò che per il pollitalici polli di Palazzo Chigi avrebbe richiesto forse un secolo? O due? Pechino in poche settimane ha di nuovo aperto le borse della Boc e ha rifinanziato, attenti, quello che è il più massiccio spostamento d’investimenti della storia umana, cioè dalla fabbrica o dal cantiere che furono la prima ondata di salvezza statale, li ha spostati nella high tech, nella Ai, nei semiconduttori, nei materiali come gli Oleds e i Cobots. E, indovinate? Gli stipendi reali in Cina nel 2106-2017 sono cresciuti del 7% e l’inflazione è allo 0,8%. In Italia sono cresciuti dello 0,3% e l’inflazione è all’1,40%, quasi il doppio della Cina. Certo, la Cina non è il paradiso del lavoro. Interi settori industriali cinesi hanno dovuto chiudere quando l’Europa è collassata sotto il peso dell’economicidio dell’euro, trascinandosi dietro tutto l’Est europeo, che anch’esso come la Ue comprava dalla Cina. Ma un interessante studio della “Bbc” ci dimostra che anche nei casi peggiori, dove i lavoratori cinesi furono costretti dalle crisi occidentali a tornare alle campagne perché licenziati, essi hanno avuto una sopravvivenza familiare degna, inimmaginabile in Italia o in Germania. E sapete perché? Di nuovo: le aziende cinesi arrivano anche nelle province più sperdute, e con prestiti garantiti dalla Boc statale, investono anche sui piccolissimi contadini.Ecco come. Essendo le province più arretrate della Cina, ehm, arretrate, i lavoratori che vi ritornano perché licenziati dalle mega-industrie delle mega-città, possono fiorire semplicemente portando il loro ‘know how’ fra le campagne e in villaggi di mondi sperduti. Creano mini-aziende, esportano mini-tecnologia in edilizia o manifatturiero, ma sono pagati con soldi stampati dalla Boc, mica da Fata Turchina (ditelo a un licenziato delle ceramiche di Faenza se questo gli è possibile, fare mattonelle a Conselice da solo). Ora vi dico una cosa, che non so quanti di voi possano capire, perché bisogna aver girato gli slums del Centro America, dell’Africa, della Siria, come feci io quando potevo, per capirlo. Uno dei fenomeni più abietti della povertà umana è proprio la migrazione dalle campagne alle città, sempre finita appunto in immensi slums di atroce degrado. In Cina il fenomeno è esattamente l’opposto. La migrazione campagnola cinese nelle città, dati della Fao e di Oxfam, ha prodotto in maggioranza (non tutta, ovvio) la più grande esplosione di ricchezza sia per le aziende che per i lavoratori mai vista al mondo. Invece i 130 milioni di pakistani, gli 80 milioni di etiopi, i 901 milioni di indiani ed eserciti di contadini siriani, hanno solo trovato miserie inimmaginabili nella loro città. Perché?La risposta: perché nessuno dei governi sopraccitati – Pakistan, Etiopia, India, Siria – ha mai capito la Mmt, e nessuno di loro ha mai, come la Cina, abbracciato il fantasma (sbraitato in Occidente) del deficit di bilancio per aiutare il loro poveri. La Cina, e la Boc, sì, invece lo hanno fatto. Poi, per carità, Pechino non è retta da Gesù Bambino, per nulla, ma almeno sull’economia sta manovrando da Dio in terra, poche balle, e ora ancora meglio… Siamo sempre con uno Stato a moneta sovrana, la Cina, ok? Può stamparla e investire dove gli pare. Questo Stato – ovvio, sempre la Cina – ha propri esportatori privati, e in genere questi hanno sempre bussato alle porte di Usa e Ue. L’Ue oggi è putrefatta, e gli Usa fanno la retorica Trump del “basta comprare cinese”. Xi-Jinping, leader supremo di Pechino, lo aveva capito da anni, e cosa ha fatto? Ecco: ha sborsato moneta di Stato sovrana e riserve in dollari per rendere sufficientemente ricche le nazioni attorno alla Cina – Laos, Thailandia, Cambogia, Birmania e Australia – affinché queste poi divenissero mercati che comprano cose cinesi. Semplice. Lo Stato usa la sua moneta, che crea dal nulla, per favorire il suo settore privato, di cittadini e aziende (Barnard lo diceva a “La Gabbia”, sul sito, in conferenze, eccetera).Lo hanno per caso fatto quei nazi-tonti della Merkel con la Grecia, col Portogallo o con altri paesi? No, hanno fatto il contrario e ora l’economia tedesca si contrae così, leggete Eurostat: «Il rischio di finire in miseria è aumentato per i lavoratori in 7 Stati Ue su 10. Peggio dell’Italia fa solo la Germania. Tra i lavoratori tedeschi il medesimo rischio è aumentato di oltre 5 punti percentuali». Ma di più! Il Premio Nobel della Pace Aung San Suu Kyi, birmana dissidente e detenuta per decenni, oggi guida il suo paese come ministro nella transizione alla democrazia, e con chi colloquia? Con la moneta sovrana della Cina (be’, magari, Aung, un’occhiata ai diritti umani in Cina, una come te poteva darla…). Ma sapete, i diritti umani senza investimenti e salari sono aria fritta. Credo che Aung faccia bene. Poi la Cina di Mr. Xi “con lo Stato non si scherza un cazzo” Jinping, l’altro giorno ha beccato uno speculatore cinese, un Soros con occhi a mandorla, e ha visto che lucrava troppo. Si chiama Yao Zhenhua, era il padrone di un gigante assicurativo privato cinese chiamato Baoneng. Lo ha preso per il colletto e gli ha letteralmente detto: “Ciccio, tu lucri troppo sui nostri cittadini, ora per 10 anni tu non lavori più. Passi lunghi e ben distesi, ciccio”. E Yao, coda fra le gambe, è in ferie per 10 anni e sta muto. Fine. Ecco cosa può fare una moneta sovrana anche in una zona geoglobale che fino a ieri era letteralmente alla fame, a mangiare radici, ma oggi è la seconda economia del mondo. Domani sarà la prima, con moneta sovrana. Noi Ue? Dai… rileggete tutto.(Paolo Barnard, “La Cina, magari”, dal blog di Barnard del 9 aprile 2017).Canton, Shanghai, guardatele, fanno sembrare Ny e Chicago robetta da Sant’Arcangelo di Romagna o Urbino. Si tratta di città che, si badi bene, solo pochi anni or sono erano accumuli di baracche e qualche palazzaccio di cemento. Poi tutti sapete che la Cina nel tempo in cui Usain Bolt corre i 100 metri è diventata la seconda economia del pianeta. Come ho detto e scritto fino ad annoiare me stesso, nulla, neppure un granello di libero mercato che gli idioti come Boldrin, Giannino e Padoan predicano ancora qui – tipo patetici manichini zombie dimenticati sul set di “Thriller” di Michael Jackson nel 1982 – nulla, dicevo, di libero mercato ha sostenuto un’esplosione, inimmaginabile nella storia dell’economia, come quella cinese. Dietro c’è, chiaro e semplice, uno Stato sovrano nella moneta che ha detto ai mercati: “Hey, siamo qui, abbiamo Renminbi con cui ripagarvi all’infinito, li stampiamo noi! Pagheremo poco i lavoratori ma fino a un certo punto, perché poi Pechino li proteggerà sempre (e poi hanno 3.000 miliardi di dollari in valuta estera, se proprio volete stare tranquilli, ma anche se no, non importerebbe)”.
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Gli 8 super-miliardari? Dei poveretti, confronto ai Rothschild
Gli 8 super-ricchi della Terra? Poveracci, in confronto ai Rotschild. I media, è vero, hanno strombazzato la ricerca di Oxfam International, da cui risulta che la ricchezza degli 8 principali miliardari supera quella della metà povera della popolazione mondiale, 3,6 miliardi di individui. Al vertice dei “magnifici otto” c’è Bill Gates, il patron della Microsoft, con 75 miliardi di dollari. Poi lo spagnolo Amancio Ortega, della catena di abbigliamento Zara, con 67 miliardi. Quindi il finanziere Warren Buffett (60,8 miliardi) e il messicano Carlos Slim Helu, che ha messo insieme 50 miliardi con telefonia e finanza, tabacco e petrolio. Al quinto posto figura Jeff Bezos di Amazon (45,2 miliardi), seguito da Mark Zuckerberg, a cui Facebook ha fruttato 44,6 miliardi. Chiudono la lista un altro Re Mida del digitale come Larry Ellison di Oracle, con 43,6 miliardi, e un campione di Wall Street come Michael Bloomberg, coi suoi 40 miliardi. Sommate insieme, le loro ricchezze valgono 426,2 miliardi di dollari. Ma la vera notizia riguarda appunto i famosissimi, leggendari e vituperati Rotschild, da sempre in cima a tutte le classifiche della letteratura complottista. Loro sarebbero ben più ricchi: con un patrimonio cinque volte più grande di quelli dei “magnifici otto” messi assieme, cioè pari a 2 trilioni, duemila miliardi di dollari.Naturalmente, scrive Maurizio Blondet nel suo blog, è ovvio che nel novero dei primi otto non compaia il nome Rotschild. Per varie ragioni: «Qui non abbiamo a che fare con persone fisiche, ma con una dinastia, i cui membri presiedono a fiduciarie private a capitale fisso – niente società per azioni (scalabili), ma solo aziende familiari, accuratamente sottratte ai mercati finanziari “goyim”», cioè non-ebrei, «e partecipazioni incrociate». Insomma, quella dei Rotschild sarebbe ancora «la struttura instaurata dal capostipite del 18mo secolo, Mayer Amschel Rotschild». Basato in Germania, l’augusto antenato sparse i suoi cinque figli nelle diverse capitali europee, ciascuno munito di capitale e conoscenze per aprirvi una banca d’affari: Parigi e Francoforte, Londra, Vienna e Napoli (che allora era la capitale di uno degli Stati dalle finanze più prospere). «E’ stata dunque la prima multinazionale del credito, che profittò delle guerre europee scatenate dalla Rivoluzione giacobina e da Napoleone. Prestando agli Stati che la guerra indebitava (tipicamente, all’impero austro-ungarico e a quello britannico), da cui accettava titoli e buoni del Tesoro, e cogliendo tutte le buone occasioni per prendere il controllo finanziario delle più diverse industrie, a corto di liquidità».Il figlio che ebbe maggior successo, continua Blondet, fu quello che si stabilì a Londra, Nathan Meyer Rotschild: sposò Hanna Barent Cohen, da cui ebbe 7 figli e una cospicua dote finanziaria. «Nel 1811, durante le guerre napoleoniche, finanziò di fatto lo sforzo bellico britannico quasi da solo – senza trascurare di finanziare in segreto anche il Bonaparte». Il 18 luglio 1815, aggiunge Blondet, fu un corriere della Rothschild & Sons a informare il governo britannico che a Waterloo le cose si mettevano male per Napoleone: «Il governo non ci credette, e allora Nathan stette al gioco: si mise a svendere titoli del debito inglese, come se sapesse che presto sarebbero stati carta straccia. Gli altri ricchi inglesi, nel panico, lo imitarono, e la Borsa collassò». Mani anonime (agenti dei Rotschild) avevano già fatto incetta di titoli a prezzi da liquidazione: così, quando arrivò la notizia che a Waterloo Napoleone aveva davvero perso, «Nathan era il padrone della London Stock Exchange». La notizia pazzesca, dice sempre Blondet, è che, ancora nel 2015, il Regno Unito stava restituendo a rate i capitali ottenuti in prestito dai Rotschild nell’800.«Oggi, le ricchezze della dinastia restano inimmaginabili», sostiene Blondet. «Riesce in gran parte a dissimularle con il metodo delle ditte non quotate, dove non si pubblicano bilanci, dove lavorano e sono impiegati direttamente i membri della famiglia», con «matrimoni fra consanguinei ed eredi che continuano a collaborare strettamente». Va da sé che, «da due secoli, non è mai apparso alla luce un litigio fra i parenti, che abbia prodotto un frazionamento di ricchezze, capitali e imprese: non a caso il motto della famiglia, sotto lo scudo rosso, è (in latino) “Concordia, Integritas, Industria”». Oltre alla finanziaria N.M. Rotschild & Son di Londra e all’Edmond de Rotschild Group in Svizzera, la dinastia «ha incalcolabili partecipazioni in istituti di credito, nel settore immobiliare, minerario ed energetico». Quanto ai vigneti che l’uno o l’altro membro della famiglia ha in Francia, in Sudafrica, in California e in Australia, be’, «sono attività da tempo libero».Parlare dei Rotschild, però, non è mai semplice. Le loro partecipazioni che contano, in termini di investimenti globali, non sono affatto visibili. «Non è chiaro se i Rotschild siano oggi quello che fu la ditta di Nathan, che divenne praticamente il banchiere centrale d’Europa, coprendo debiti pubblici e salvando banche nazionali, ma anche finanziando infrastrutture pubbliche durante la rivoluzione industriale». Sicché, ammette Blondet, non si può valutare se dice il vero il sito “Investopedia”, che ha provato a fare una valutazione approssimativa, decretando (senza specificare i cespiti e le attività) che la ricchezza controllata dalla dinastia ammonterebbe a 2 trilioni di dollari. Una fortuna immensa, maturata però attraverso secoli, benché connessa alla famigerata creazione bancaria di denaro e debito. Quello dei baby-miliardari di oggi, in fondo, è un boom assai più strabiliante: Facebook è nato solo nel 2004.Gli 8 super-ricchi della Terra? Poveracci, in confronto ai Rothschild. I media, è vero, hanno strombazzato la ricerca di Oxfam International, da cui risulta che la ricchezza degli 8 principali miliardari supera quella della metà povera della popolazione mondiale, 3,6 miliardi di individui. Al vertice dei “magnifici otto” c’è Bill Gates, il patron della Microsoft, con 75 miliardi di dollari. Poi lo spagnolo Amancio Ortega, della catena di abbigliamento Zara, con 67 miliardi. Quindi il finanziere Warren Buffett (60,8 miliardi) e il messicano Carlos Slim Helu, che ha messo insieme 50 miliardi con telefonia e finanza, tabacco e petrolio. Al quinto posto figura Jeff Bezos di Amazon (45,2 miliardi), seguito da Mark Zuckerberg, a cui Facebook ha fruttato 44,6 miliardi. Chiudono la lista un altro Re Mida del digitale come Larry Ellison di Oracle, con 43,6 miliardi, e un campione di Wall Street come Michael Bloomberg, coi suoi 40 miliardi. Sommate insieme, le loro ricchezze valgono 426,2 miliardi di dollari. Ma la vera notizia riguarda appunto i famosissimi, leggendari e vituperati Rothschild, da sempre in cima a tutte le classifiche della letteratura complottista. Loro sarebbero ben più ricchi: con un patrimonio cinque volte più grande di quelli dei “magnifici otto” messi assieme, cioè pari a 2 trilioni, duemila miliardi di dollari.
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Mitterrand: basta deficit, troppi soldi (e potere) ai cittadini
Perché ancora oggi ci sono persone senza cibo o acqua mentre altre vivono nell’abbondanza? Perché ancora oggi ci sono persone senza un lavoro e altre che ne hanno svariati? Perché ancora oggi ci sono persone senza casa e altre che ne hanno svariate? Perché ancora oggi ci sono persone senza soldi e altre con tanti soldi? Se davvero esiste una soluzione ai problemi della gente, perché nessuno la metta in pratica? Perché tutti si occupano sempre degli effetti dei problemi, trascurando le cause? Perché nessuno ci spiega qual è la causa? Perché se qualcuno conosce la causa, nessuno mette in campo la soluzione? Qual è la soluzione? Quotidianamente guardiamo, ascoltiamo e leggiamo del problema dei soldi che non ci sono, della disoccupazione che aumenta, dell’economia che non va bene perché i soldi non ci sono, degli imprenditori e dello Stato che non possono assumere perché non ci sono i soldi; del fatto che il debito pubblico aumenta perché l’economia non va bene perché mancano i soldi e quindi bisogna tagliare le spese ed aumentare le tasse in modo da abbassare i decifit annuali e il debito pubblico.Spesso addirittura ci dicono che dobbiamo fare il surplus di bilancio: che in sostanza significa che lo Stato incassa più di quando spende, perché se abbassiamo il debito i “mercati” (che semplicemente sono dei privati da alcuni anni abilitati a prestarci i soldi – incredibile, ma vero…) ci guarderanno con occhio differente e le agenzie di rating americane che controllano la vita dei singoli Stati in giro per il mondo (la vita di tutti noi), saranno più felici e non ci declasseranno. Ma chi sono i proprietari di questi maledetti soldi? Ci sono persone che essendo promotrici di queste “politiche criminali” finalizzate all’arricchimento dei singoli a discapito di tutti gli altri, conoscono ovviamente anche la risoluzione dei nostri problemi: risoluzione/soluzione che potrebbe essere applicata nel giro di pochi mesi e servirebbe a mettere al sicuro miliardi di vite attualmente letteralmente abbandonate a se stesse o in estremo pericolo).Oggi gli Stati si dividono in due categorie: quelli che possiedono una moneta sovrana e quelli che non hanno moneta sovrana. Le monete sovrane, per essere considerate veramente tali, devono seguire tre criteri fondamentali: devono essere di proprietà dello Stato che le emette, non devono essere convertibili in nessun materiale concreto tipo oro o argento e devono essere fluttuanti, il che significa che non possono essere cambiate a un tasso fisso con altre monete, quindi vengono lasciate fluttuare sui mercati, che decidono di volta in volta i tassi di cambio. Il dollaro, la sterlina e lo yen, ad esempio, sono monete sovrane perché rispettano questi tre criteri. Le monete non sovrane, invece, sono monete che non hanno nessuna proprietà. Gli Stati a moneta sovrana spendono inventando la moneta e accreditano i conti correnti di coloro che vendono loro beni o servizi. Gli Stati a moneta sovrana, quindi, creano ricchezza quando spendono e tolgono ricchezza ai cittadini quando tassano. Da ciò si deduce che, se tutti gli Stati a moneta sovrana spendono più di quanto tassano, questo arricchisce la società.Negli Stati a moneta sovrana il debito pubblico non è il debito dei cittadini ma la loro ricchezza. Quindi, se uno Stato a moneta sovrana decide di eliminare o pareggiare il debito, esso cesserà l’arricchimento dei cittadini. Immaginiamo che oggi nasce lo Stato X, che abbiamo un debito zero e che il Governo appena eletto dal popolo il primo anno decide di costruire 10 caserme, 100 scuole, 1000 ospedali, 10.000 Università, 100.000 strade eccetera… quindi, cosa fa il governo? Semplicemente inventa la moneta, accredita i conti corrente delle persone che lavorano per la costruzione di queste opere, quindi spende e distribuisce ricchezza. Immaginiamo che il primo anno il governo spende 100 monete per costruire questi beni e tassa il popolo per 70 monete, quindi chiude il bilancio annuale con un debito di 30 monete. Cosa succede a fine anno? Semplicemente il governo ha arricchito il popolo di 30 monete perché ha creato un debito di 30 monete. Quindi: se il governo che possiede moneta sovrana crea debito, genera ricchezza e fa sì che le persone possano avere monete per fare la spesa, comprare casa, fare un viaggio, acquistare una macchina, eccetera.Immaginiamo invece la situazione opposta. Il governo decide di costruire altri beni, quindi paga le aziende private che gli forniscono questi beni e, naturalmente, assume ancora altro personale. Questa volta, però, il governo inventa e spende ancora 100 monete per pagare gli stipendi di coloro che gli forniscono questi beni e servizi ma tassa il popolo per 160 monete, quindi chiude il bilancio annuale in attivo, non fa alcun debito ed anzi: pareggia il debito che aveva accumulato nei primi due anni (il governo, in sostanza, in 3 anni di lavoro ha speso 300 monete ed ha incassato 300 monete). Cosa succede? Semplice: succede che i cittadini dello Stato X non avranno in tasca più nessuna moneta, quindi nessuno potrà più spendere finché il governo non deciderà di fare debito chiudendo il bilancio in passivo generando ricchezza. Il debito è la nostra ricchezza, e se i governi che possiedono moneta sovrana decidono di abbassare il debito anche di un solo punto, questo sottrae ricchezza ai popoli: azzerarlo, come sicuramente avrete compreso, è impossibile.Questo ragionamento, naturalmente, vale solo per gli Stati che possiedono la cosiddetta moneta sovrana: cioè tutti gli Stati proprietari della propria moneta (proprio come lo era l’Italia qualche anno fa: adesso, grazie all’euro, abbiamo perso la nostra sovranità e non possiamo più stampare, non possiamo più creare moneta, non possiamo più avere una vera politica, non possiamo più fare scelte autonome. Dice Paul Krugman, Premio Nobel per l’Economia: «Adottando l’euro, l’Italia si è ridotta allo stato di una nazione del Terzo Mondo che deve prendere in prestito una moneta straniera, con tutti i danni che ciò implica». L’unica alternativa che oggi tutti i paesi che non possiedono una moneta sovrana hanno a disposizione per cercare di sopravvivere è quella di chiedere la moneta ai mercati dei capitali privati che successivamente strangolano e distruggono questi paesi con gli interessi.L’altra possibilità che questi paesi hanno per sopravvivere, naturalmente, è quella di licenziare, non assumere, assumere attraverso contratti precari che costano poco, chiedere la moneta al popolo attraverso le tasse che aumentano quotidianamente, privatizzare, liberalizzare, svendere, innalzare l’età pensionabile, tagliare gli stipendi, tagliare le pensioni, tagliare i fondi alla cultura, alla ricerca, alla scuola, alle università, alla sanità, ai servizi sociali e locali e chi più ne ha più ne metta: ecco spiegata la quotidianità di tantissimi paesi ed il meccanismo all’interno della quale attualmente si trova anche il nostro paese. La moneta in generale, comunque, non è mai di proprietà dei cittadini privati o delle banche: essi possono solo usarla, prendendola in prestito dalle banche o guadagnandola attraverso il lavoro. I soldi sono un mezzo che lo Stato spende per primo e solo successivamente tutti i cittadini ne usufruiscono, spendendoli a loro volta.Hanno tolto ad alcuni Stati la possibilità di stampare moneta e hanno fatto credere ad altri che possono ancora stampare, che il debito sovrano di un paese è un vero debito per il preciso fine descritto in maniera impeccabile dall’economista Joseph Halevi: «Quello che è in gioco è la totale privatizzazione della finanza pubblica e dunque la distruzione degli Stati». Come ci spiega il “Rapporto Grandi Disuguaglianze Crescono” di Oxfam, presentato nel gennaio 2015: «La ricchezza detenuta da meno dell’1% della popolazione mondiale supererà nel 2016 quella del restante 99%.» François Mitterand, parlando con Halevi a proposito del tema inflazione, deflazione, disoccupazione, precarietà e naturalmente del tema della piena occupazione, affermava: «La gente deve togliersi di mezzo. La piena occupazione darebbe troppo potere al popolo. La deflazione, la disoccupazione e i lavori precari, invece, glielo sottraggono».Ok, ma quanto e fino a quando può spendere uno Stato? Randall Wray, tra i più importanti e accreditati economisti e monetaristi del mondo: «Se capiamo come funzionano i sistemi monetari, se comprendiamo che il denaro è solo impulsi elettronici o carta straccia inventata dal Tesoro e dalla Bc, allora possiamo dire che il governo a moneta sovrana può inventarsi tutti gli impulsi elettronici che vuole, con essi può pagare tutti gli stipendi che vuole, comprare tutto ciò che vuole. Possiamo avere la piena occupazione, il business può vendergli tutto ciò che deve vendere se il governo vuole comprarglielo. Può il governo permettersi queste spese? Certo, perché il governo non esaurirà mai gli impulsi elettronici, dunque non farà mai bancarotta; preme un bottone e gli stipendi appaiono sui computer delle banche. L’unico limite è l’inflazione, ma se il governo spende per aumentare la produttività nel settore privato, allora l’inflazione non è più un problema».Per quale motivo, se è così semplice raggiungere l’obiettivo della piena occupazione, esso non sia mai stato perseguito? Ancora Wray: «Non è successo perché innanzi tutto ci sono un sacco di politici ed economisti che non capiscono nulla dei sistemi monetari, cioè non sanno capire che il denaro è solo impulsi elettronici e carta straccia. Poi ci sono molti individui nelle posizioni chiave del potere che sono opposti ideologicamente a questa idea, cioè vogliono la disoccupazione, gli piace, gli dà schiere di lavoratori a stipendi sempre più ridotti e possono competere sui mercati esteri sempre meglio. Ma soprattutto questo, si faccia attenzione: se i cittadini, che formano gli Stati ed eleggono i governi, si rendessero conto che i governi possono spendere quanto vogliono senza limiti di debito, allora il settore pubblico acquisirebbe una percentuale della ricchezza nazionale troppo grossa».Eccesso di inflazione? Lo Stato introduce una tassa temporanea, in modo da togliere di mezzo gli eventuali soldi in eccesso e la situazione è risolta. In conclusione: se il settore pubblico acquisisse una percentuale della ricchezza troppo grossa, i privati non avrebbero più ragione d’esistere, avrebbero un ruolo troppo marginale, un ruolo di scarsa importanza, pochi soldi, troppo poco potere, sarebbero dei normali lavoratori: non sarebbero più intoccabili e onnipotenti come lo sono diventati oggi. Questo è il motivo per cui ci lasciano vivere nell’attuale mondo che funziona al contrario e con la quotidiana paura del debito e dell’inflazione che ci viene quotidianamente “imposta” da tutti i loro amici inseriti nell’informazione ufficiale.(Vincenzo Bellisario, estratti da “Riepilogo generale finalizzato alla comprensione dei meccanismi monetari ed economici in favore della piena occupazione applicabili in Italia e nel mondo”, intervento pubblicato sul sito del Movimento Roosevelt il 18 ottobre 2015).Perché ancora oggi ci sono persone senza cibo o acqua mentre altre vivono nell’abbondanza? Perché ancora oggi ci sono persone senza un lavoro e altre che ne hanno svariati? Perché ancora oggi ci sono persone senza casa e altre che ne hanno svariate? Perché ancora oggi ci sono persone senza soldi e altre con tanti soldi? Se davvero esiste una soluzione ai problemi della gente, perché nessuno la metta in pratica? Perché tutti si occupano sempre degli effetti dei problemi, trascurando le cause? Perché nessuno ci spiega qual è la causa? Perché se qualcuno conosce la causa, nessuno mette in campo la soluzione? Qual è la soluzione? Quotidianamente guardiamo, ascoltiamo e leggiamo del problema dei soldi che non ci sono, della disoccupazione che aumenta, dell’economia che non va bene perché i soldi non ci sono, degli imprenditori e dello Stato che non possono assumere perché non ci sono i soldi; del fatto che il debito pubblico aumenta perché l’economia non va bene perché mancano i soldi e quindi bisogna tagliare le spese ed aumentare le tasse in modo da abbassare i decifit annuali e il debito pubblico.
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Grazie alla crisi, l’1% sta per superare in ricchezza il 99%
La ricchezza oggi è insaziabile. Premia sempre di più coloro che hanno già tutto, e toglie ancora di più a coloro che non hanno quasi niente. Alla vigilia del World Economic Forum di Davos, la Ong Oxfam ha pubblicato il rapporto annuale “Grandi disuguaglianze crescono”, che aggrava lo scenario tracciato solo un anno fa. All’inizio del 2014 Oxfam aveva calcolato che 85 persone possedevano la ricchezza della metà più povera della popolazione mondiale, un dato choc che è stato ultra-citato in questi mesi a controprova del livello di estrema diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza e che oggi la lotta di classe esiste, e l’hanno vinta i ricchi. Le nuove stime, effettuate sui dati del Credit Suisse, ricalcolano il numero dei miliardari che nel 2013 possedevano la stessa ricchezza del 50% più povero, e attesta che oggi il loro numero esatto è 92 e non più 85. Oxfam fa una previsione: nel 2016 la ricchezza dell’1% della popolazione mondiale supererà quella del 99%, rendendo obsoleto persino lo slogan del movimento di Occupy Wall Street.L’1% dei super-ricchi possiede oggi il 48% della ricchezza globale e lascia al restante 99% il 52% delle risorse. Questo 52% è, a sua volta, posseduto da 20% di “ricchi”. Il restante 80% si deve arrangiare con il 5,5% delle risorse. Dal 2010, spiega il rapporto, gli 80 ultra-miliardari della lista stilata da “Forbes” (primo Bill Gates, secondo Warren Buffett, terzo Carlos Slim, quindicesimo Mark Zuckerberg; primo tra gli italiani Michele Ferrero e famiglia) hanno visto le loro ricchezze moltiplicarsi con l’esplosione della crisi globale. Cinque anni fa detenevano una ricchezza netta pari a 1.300 miliardi di dollari. Oggi contano su 1.900 miliardi di dollari. Un aumento di 600 miliardi di dollari, il 50% in termini nominali. Oxfam segnala inoltre una lotta tra i ricchi, visto che il loro numero è diminuito dai 388 del 2010 agli attuali 92 che detengono il volume equivalente alla ricchezza della metà più povera della popolazione mondiale. Tre miliardi e mezzo di persone si dividono dunque il totale della ricchezza posseduta da queste persone.Nell’élite elencata da “Forbes” c’erano 1645 miliardari nel 2014. Il 30% (492 persone) sono cittadini statunitensi, oligarchi russi, nuovi ricchi cinesi, finanzieri come George Soros e i principi sauditi. Più di un terzo di queste persone ha ereditato, e non prodotto, la ricchezza che detiene, segno che il capitale di produce verso l’alto e non allarga la base della piramide. Il 20% di questi ricchi ha interessi nei settori finanziario o assicurativo dove la ricchezza è aumentata da 1.010 miliardi di dollari a 1.160 miliardi in un solo anno. Nel frattempo sono cresciuti i miliardari che operano nel settore farmaceutico e sanitario. Nel club sono entrati in 29 con un aumento del 47% della ricchezza collettiva, passata da 170 miliardi a 250 miliardi di dollari. I campi biopolitici della cura o della prevenzione delle malattia, così come quello dell’assicurazione contro i rischi, costituiscono uno dei principali fattori dell’accumulazione.Lo strumento principale per ottenere tale risultato è il lobbismo, una modalità alla quale la finanza e le imprese ricorrono per ottenere benefici dalla politica e dagli Stati. Nel 2013, solo negli Usa, il settore finanziario ha speso oltre 400 milioni di dollari per fare lobby. Nell’Unione Europea la stima è di 150 milioni di dollari. Nel vecchio continente, tra il 2013 e il 2014, i super-ricchi sono aumentati da 31 a 39 con una ricchezza pari a 128 miliardi. Un’élite di oligarchi globali contro un mondo di working poors e poverissimi. Sono dati che smentiscono, una volta in più, la pseudo-teoria neoliberista del “trickle-down” (lo “sgocciolamento”). La ricchezza di pochi non traina lo sviluppo capitalistico né la redistribuzione delle ricchezze. Anzi, aumenta le diseguaglianze. Sono sette le proposte di Oxfam per invertire questa tendenza: contrasto all’elusione fiscale, investimenti in salute e istruzione pubblica e gratuita; redistribuzione equa del peso fiscale; introduzione del salario minimo e di salari dignitosi per tutti; parità di retribuzione, reti di protezione sociale per i poveri, lotta globale contro la diseguaglianza. Un’agenda in fondo minimalista per provare a rovesciare la direzione della lotta di classe dal basso verso l’alto.(Roberto Ciccarelli, “La lotta di classe dell’1% ha vinto, ed è insaziabile”, dal “Manifesto” del 20 gennaio 2015, articolo ripreso da “Come Don Chisciotte”).La ricchezza oggi è insaziabile. Premia sempre di più coloro che hanno già tutto, e toglie ancora di più a coloro che non hanno quasi niente. Alla vigilia del World Economic Forum di Davos, la Ong Oxfam ha pubblicato il rapporto annuale “Grandi disuguaglianze crescono”, che aggrava lo scenario tracciato solo un anno fa. All’inizio del 2014 Oxfam aveva calcolato che 85 persone possedevano la ricchezza della metà più povera della popolazione mondiale, un dato choc che è stato ultra-citato in questi mesi a controprova del livello di estrema diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza e che oggi la lotta di classe esiste, e l’hanno vinta i ricchi. Le nuove stime, effettuate sui dati del Credit Suisse, ricalcolano il numero dei miliardari che nel 2013 possedevano la stessa ricchezza del 50% più povero, e attesta che oggi il loro numero esatto è 92 e non più 85. Oxfam fa una previsione: nel 2016 la ricchezza dell’1% della popolazione mondiale supererà quella del 99%, rendendo obsoleto persino lo slogan del movimento di Occupy Wall Street.