Archivio del Tag ‘pedopornografia’
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Sparisce un bimbo ogni 48 ore: 4 su 5 non vengon ritrovati
Ogni due giorni in Italia sparisce un bambino e, purtroppo, quattro su cinque non fanno più ritorno a casa dalle loro famiglie, facendo perdere le loro tracce per sempre. Secondo i dati pubblicati da “Sos Il Telefono Azzurro Onlus” in occasione della “Giornata internazionale per i bambini scomparsi”, su 177 casi gestiti nel 2017, soltanto il 16,9% si risolve in maniera positiva. Un dato che tradotto in parole povere ha un significato drammatico: circa 147 minori nell’ultimo anno sono morti o sono stati rapiti, per finire, spesso e volentieri, nei circuiti dello sfruttamento sessuale e del lavoro minorile. Un numero che potrebbe essere ancora più grande se si tiene conto dei casi che non vengono in alcun modo segnalati alle autorità. Sono 8 milioni i bambini che scompaiono ogni anno, vale a dire 22.000 bambini al giorno in tutto il mondo. Sono i dati diffusi da Telefono Azzurro in occasione della Giornata Internazionale dei bambini scomparsi, che dal 25 maggio 2009 gestisce in collaborazione con il ministero dell’interno e le forze dell’ordine il numero unico europeo 116.000, attivo 24 ore su 24. Attraverso il servizio 116.000, l’associazione si è occupata, nell’ultimo decennio, di 1.125 casi di bambini spariti perché fuggiti di casa o da un istituto, o perché rapiti o sottratti da un genitore.Il 2017 è stato uno degli anni più drammatici dall’attivazione del servizio, con 3,5 denunce a settimana. Il 64,5% delle segnalazioni riguardano la scomparsa di minori non accompagnati, giunti in Italia per sfuggire a povertà, guerra e situazioni d’emergenza. La fuga da casa, ovvero i casi di minori e adolescenti fuggiti da contesti familiari caratterizzati da abuso e violenza, ha un’incidenza del 12,4% e rappresenta la seconda causa di sparizione. A livello territoriale il Lazio è la Regione più problematica: da sola raggiunge quasi un quarto del totale dei casi (23,3%), seguita dalla Lombardia con il 22,7%. La situazione sembra essere più controllata al Sud e nelle isole, che registrano complessivamente solo il 24,4%. Il fenomeno è monitorato a livello europeo da Missing Children Europe, network che riunisce 31 organizzazioni non governative in 27 paesi europei. Dal 2011 sono state 1,2 milioni le chiamate ricevute per i bambini scomparsi in tutta Europa. La situazione peggiore si registra in Romania, da cui arriva 1 denuncia su 5 e, più in generale, nell’Europa dell’Est, che raccoglie quasi il 50% dei casi trattati.Delle 190 mila chiamate, i bambini o gli adolescenti fuggiti o allontanatisi da casa rappresentano la casistica più numerosa (57,2%), seguita dai minori rapiti da un genitore (23,2%). Circa 1 minore scomparso su 4 è stato coinvolto in situazioni di abuso, sfruttamento o abbandono. In base ai dati forniti da Europol, ogni anno almeno 10mila minori stranieri non accompagnati scompaiono in Europa a poche ore dal loro arrivo; di questi, pochissimi vengono ritrovati. Da maggio 2017 Missing Children Europe ha attivato il progetto triennale “Amina” per contrastare il fenomeno della scomparsa di minori migranti provenienti da paesi extraeuropei. “Amina” comprende la gestione di Miniila, un’app gestita in Italia da “Sos Il Telefono Azzurro Onlus”, che fornisce ai minori stranieri non residenti nel territorio europeo tutte le principali informazioni riguardanti i loro diritti, oltre ad un elenco puntuale e dettagliato dei servizi a loro disposizione attraverso strumenti anonimi di geolocalizzazione.(“In Italia scompare un bimbo ogni 48 ore: 4 su 5 non vengono ritrovati”, da “Today” del 25 maggio 2018).Ogni due giorni in Italia sparisce un bambino e, purtroppo, quattro su cinque non fanno più ritorno a casa dalle loro famiglie, facendo perdere le loro tracce per sempre. Secondo i dati pubblicati da “Sos Il Telefono Azzurro Onlus” in occasione della “Giornata internazionale per i bambini scomparsi”, su 177 casi gestiti nel 2017, soltanto il 16,9% si risolve in maniera positiva. Un dato che tradotto in parole povere ha un significato drammatico: circa 147 minori nell’ultimo anno sono morti o sono stati rapiti, per finire, spesso e volentieri, nei circuiti dello sfruttamento sessuale e del lavoro minorile. Un numero che potrebbe essere ancora più grande se si tiene conto dei casi che non vengono in alcun modo segnalati alle autorità. Sono 8 milioni i bambini che scompaiono ogni anno, vale a dire 22.000 bambini al giorno in tutto il mondo. Sono i dati diffusi da Telefono Azzurro in occasione della Giornata Internazionale dei bambini scomparsi, che dal 25 maggio 2009 gestisce in collaborazione con il ministero dell’interno e le forze dell’ordine il numero unico europeo 116.000, attivo 24 ore su 24. Attraverso il servizio 116.000, l’associazione si è occupata, nell’ultimo decennio, di 1.125 casi di bambini spariti perché fuggiti di casa o da un istituto, o perché rapiti o sottratti da un genitore.
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Orrore indicibile: la polizia ritrova 123 bambini scomparsi
Rapiti e poi “parcheggiati”, in attesa di essere massacrati. La polizia di Detroit li ha ritrovati tutti insieme: 123 bambini. Erano «in un grave stato di denutrizione e di sofferenza psicologica», scrive l’“Huffington Post”. Tuttavia, «dagli accertamenti svolti non sembrerebbe che siano stati vittime di violenze sessuali». Gli agenti hanno impiegato molte ore per rintracciare le loro famiglie e riconsegnare i piccoli, sequestrati nei giorni precedenti. Secondo il “New York Post”, gli inquitenti stavano indagando «su una rete di rapimenti di minori che poi venivano coinvolti in traffici sessuali». Quello che sorprende, di queste notizie – osserva Paolo Franceschetti – è che vengono date di sfuggita: «Poche righe, liquidate come se si trattasse di una notizia del tipo “Belen ha un nuovo fidanzato”. Il sindaco di Riace, reo di aver favorito (non si sa poi se vero o no) l’immigrazione clandestina, ce lo rifilano su tutti i giornali e in tutte le salse». E i bambini scomparsi, invece? E i nomi delle persone arrestate o coinvolte nella vicenda? In America, aggiunge Franceschetti, scompare un numero incredibile di minori. «Le pareti di autogrill e supermercati sono spesso tappezzate dalle foto e di persone scomparse nel nulla, da un momento all’altro, come se niente fosse».I piccoli appena ritrovati a Detroit? «Destinati ad essere impiegati nel mercato del sesso, ma anche degli organi e dei riti satanici». Se da noi scompaiono ogni anno senza essere ritrovati centinaia di minori, in altri paesi europei la situazione è ancora peggiore: solo in Francia, quest’anno, i bambini spariti sono 1.238. Che fine fanno? Sul blog “Petali di Loto”, Franceschetti – avvocato, indagatore dei misteri italiani come quello del Mostro di Firenze – punta il dito contro il satanismo e le potentissime organizzazioni pedofile: nel mondo di calcola che ogni anno scompaiano circa 100.000 bambini. Un caso particolarmente doloroso riguarda i bambini figli di extracomunitari non registrati ufficialmente, e quelli che vengono “comprati” già da prima della nascita: «Si paga una coppia in difficoltà affinché faccia nascere un bambino e lo consegni all’organizzazione che lo richiede; è il modo più sicuro; non lascia alcuna traccia del delitto commesso e il bimbo scompare nel nulla e mai comparirà neanche nelle statistiche». Il loro destino? «Molti finiscono nel traffico di organi». Alcuni vengono utilizzati per i “giochi di morte” filmati negli abominevoli “snuff movies”, altri ancora diventeranno super-soldati, psicologicamente “riprogrammati”.Ma il posto d’onore, nella strage silenziosa dei piccoli, è occupato proprio dalle reti pedofile: «Sono organizzate a livello internazionale e coperte da capi di Stato», sostiene Franceschetti: in alcuni casi, a tirare le fila di questa realtà sono proprio i soggetti istituzionali che dovrebbero invece tutelare la sicurezza dei bambini. Franceschetti allude a magistrati, autorità di polizia, funzionari dell’Onu. «Molte delle organizzazioni antipedofilia e dei centri che accolgono i bambini abbandonati, poi, non sono altro che trappole ben congegnate per accalappiare i malcapitati che cercano aiuto». Le prove? «Ce ne sono a bizzeffe, ma il quadro – sostiene Franceschetti – va ricostruito come un immenso puzzle». Fece epoca il caso del serial killer belga Marc Dutroux, ribattezzato “il mostro di Marcinelle”. Una storia dell’orrore, rievocata nel libro “Tutti manipolati”, pubblicato da “Stampa Alternativa” e scritto da un coraggioso gendarme belga, Marc Toussaint, che aveva partecipato alle indagini per poi esserne estromesso perché “troppo ligio al dovere”. Tentarono anche di farlo fuori, provocandogli un incidente in moto. Il libro, documentato e basato sugli atti dell’inchiesta, racconta di come nel caso Dutroux furono coinvolti cardinali, ministri, e addirittura il Re del Belgio, Alberto II.Nel 1996 scomparve una bambina belga, Laetitia. Le indagini individuarono il rapitore: Dutroux. Il pedofilo aveva ucciso almeno sei bambine, ma ci vollero otto anni prima di giungere al processo. Nel frattempo, due bambine erano state rinchiuse in casa Dutroux, «ma i depistaggi della gendarmeria e della magistratura fecero sì che le bambine non venissero trovate durante le perquisizioni». La scoperta avvenne fuori tempo massimo: le piccole erano già morte. L’inchiesta, ricorda Franceschetti, portò ad individuare come mandanti personaggi di altissimo livello, che arrivavano fino al coinvolgimento personale del sovrano belga. L’organizzazione era dedita a “snuff movies” e ad attività come «il gioco del gatto e del topo, che a quanto pare è una costante di queste organizzazioni». Ma giornalisti e inquirenti che seguivano il caso persero la vita: «Incidenti e suicidi, ovviamente». E così, «tutto venne messo a tacere dalla magistratura e dalla gendermeria».Dall’Europa agli Usa: un ex agente segreto ha salvato dagli abusi e dal controllo mentale una delle vittime di queste organizzazioni, Cathy O’Brien. Dopo essere sfuggiti più volte alla morte, lo 007 e la ragazza sono riusciti a scrivere due libri: “Accesso negato alla verità” (Macro edizioni) e “Trance-formation of America”. In quest’ultimo, spiega Franceschetti, si narra di come l’organizzazione che abusava la donna facesse capo addirittura al presidente degli Stati Uniti, George W. Bush. «Si narra dei legami di Bush e Clinton con i signori della droga, si narra dei legami con le organizzazioni pedofile e con quelle sataniche». In particolare si evidenziano i legami di Bush e Clinton con il “Tempio di Seth”, che è «la più potente organizzazione satanista ramificata a livello internazionale». La fondò Michael Aquino, un ex ufficiale dell’esercito statunitense molto amico di Bush. «Stupri, omicidi, pedofilia, droga, satanismo… tutto narrato nero su bianco, con nomi e cognomi».Stati Uniti, Europa e anche Africa: tempo fa, aggiunge Franceschetti, in Ciad vennero arrestate per pedofilia e commercio di esseri umani alcune persone – appartenenenti all’organizzazione “L’Arca di Zoe” – che stavano portando in Francia 103 bambini. «Che fine dovessero fare quei bambini non si sa», ma l’allora presidente Sarkozy andò personalmente a trattare la liberazione degli arrestati per riportarli in patria. Gli operatori fermati avevano dichiarato che i bambini erano orfani provenienti dal Darfur. «Poi si è scoperto che erano figli di famiglie del Ciad, e i genitori erano ancora viventi». Da notare che “L’Arca di Zoe” «era sotto inchiesta anche in Francia, sospettata di trafficare in bambini per scopi tutt’altro che leciti». Non che da noi non esistano, retroscena analoghi: anzi, «in Italia inchieste così eclatanti non sono neanche mai iniziate». O meglio: quelle avviate «non sono state divulgate», sostiene Franceschetti: «Nel 2006 venne arrestato un avvocato romano, Alberto Gallo, per pedofilia. I giornali riporteranno la notizia come se si trattasse di un pedofilo isolato, ma in realtà faceva parte di un’organizzazione internazionale». Lo stesso Dutroux, in Belgio, era solo una pedina di queste potenti reti senza frontiere.Nel suo romanzo “La Loggia degli Innocenti”, il commisario Michele Giuttari – fermato a un passo dall’aver risolto il giallo del Mostro di Firenze – descrive un’organizzazione pedofila che fa capo al procuratore fiorentino, a cui (nella fiction) dà un nome non casuale: Alberto Gallo. «In altre parole, Giuttari lega chiaramente l’ex procuratore di Firenze Piero Luigi Vigna alla rete pedofila che era sotto inchiesta in quel periodo». E il nome della “loggia” allude chiaramente all’Ospedale degli Innocenti, «storico palazzo fiorentino dove da secoli è ospitato un centro che tutela i minori abbandonati». Un puzzle infinito, che coinvolgerebbe capi di Stato e ministri, teste coronate, ma anche «militari, magistratura e forze dell’ordine», senza contare i cardinali che negli Usa sono oggi al centro di un clamoroso scandalo, con migliaia di minori abusati. Il guaio, dice Franceschetti, è che il fenomeno “pedofilia internazionale” (con la variante del satanismo) è costantemente negato da quelli che sono «i massimi garanti del sistema in cui viviamo», alcuni dei quali poi finiscono in televisione, consultati come “esperti”. Franceschetti ricorda le parole che gli rivolse il figlio di un boss della ’ndrangheta: «Da noi c’è più legalità e giustizia. In Calabria e in Sicilia i bambini non si toccano; da voi al Nord, invece sì».Quella che può sembrare una follia oggi può assumere un terribile significato. La gente comune, dice Franceschetti, non si stupisce più di tanto se scopre che i vertici della politica hanno contatti organici con la mafia, ma non potrebbe tollerare lo spettacolo dell’altro orrore – quello perpetrato ai danni dei minori scomparsi. «Siamo disposti ad accettare che si scatenino guerre da milioni di morti in Iraq, Afghanistan, in Africa. In fondo, quelli sono negri. Che ce ne importa? Basta che non ci tolgano la partita di calcio della domenica. Ma probabilmente – aggiunge Franceschetti – se si venisse a sapere la verità sui bambini scomparsi, nessuno potrebbe reggere ad un simile shock. E allora sì, forse qualcuno comincerebbe a capire che il mondo in cui viviamo non funziona esattamente come i giornali e i mass media in genere ce lo descrivono». Ecco perché, probabilmente, quella realtà resta avvolta in tanta, misteriosa segretezza. E se la polizia ritrova 123 bambini in un colpo solo, i media archiviano la notizia “en passant”, senza scavare per capire cosa si nasconde dietro quell’enormità.Rapiti e poi “parcheggiati”, in attesa di essere massacrati. La polizia di Detroit li ha ritrovati tutti insieme: 123 bambini. Erano «in un grave stato di denutrizione e di sofferenza psicologica», scrive l’“Huffington Post”. Tuttavia, «dagli accertamenti svolti non sembrerebbe che siano stati vittime di violenze sessuali». Gli agenti hanno impiegato molte ore per rintracciare le loro famiglie e riconsegnare i piccoli, sequestrati nei giorni precedenti. Secondo il “New York Post”, gli inquirenti stavano indagando «su una rete di rapimenti di minori che poi venivano coinvolti in traffici sessuali». Quello che sorprende, di queste notizie – osserva Paolo Franceschetti – è che vengono date di sfuggita: «Poche righe, liquidate come se si trattasse di una notizia del tipo “Belen ha un nuovo fidanzato”. Il sindaco di Riace, reo di aver favorito (non si sa poi se vero o no) l’immigrazione clandestina, ce lo rifilano su tutti i giornali e in tutte le salse». E i bambini scomparsi, invece? E i nomi delle persone arrestate o coinvolte nella vicenda? In America, aggiunge Franceschetti, scompare un numero incredibile di minori. «Le pareti di autogrill e supermercati sono spesso tappezzate dalle foto e di persone scomparse nel nulla, da un momento all’altro, come se niente fosse».
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Sdoganare la pedofilia: vogliono far cadere l’ultimo tabù
La pedofilia è l’ultimo grande tabù della civiltà occidentale: orientamento sessuale innato per alcuni, perversione immorale e criminale da punire duramente con il carcere per altri, o ancora una malattia mentale da curare. È necessario discutere oggi di pedofilia, perché il suo sdoganamento – con conseguente legalizzazione e decriminalizzazione sociale – con molta probabilità avverrà nel prossimo futuro; e non si tratta di complottismo spicciolo, ma di una presa di coscienza basata sulla lettura degli eventi attuali. Prima di parlare di cosa stia succedendo a livello propagandistico e pubblico in tema di pedofilia, occorre ripercorrere le origini di un movimento ben definito, organizzato e diffuso capillarmente in tutto l’Occidente, che ambisce a normalizzare le relazioni sessuali tra adulti e minori, nel nome della libertà di scelta e di un presunto diritto dei bambini ad amare. I movimenti per la legalizzazione della pedofilia sorgono nel contesto della rivoluzione controculturale sessantottina che dilagò nei paesi occidentali fra gli anni ’60 e ’70, simultaneamente e nell’alveo delle lotte di liberazione femministe e omosessuali.I più grandi ideologi e pensatori della rivoluzione sessuale scoppiata nell’epoca della grande contestazione sono stati anche degli strenui sostenitori della caduta degli ultimi tabù sessuali, come incesto e pedofilia, ritenuti dei lasciti dell’eteronormatività fallocentrica e patriarcale: Jacques Derrida, il coniatore del termine fallocentrismo, Michael Warner, colui che ha popolarizzato il concetto di eteronormatività, Jack Halberstam, autore prolifico sulle identità di genere e sulla mascolinità tossica, e in generale i maggiori esponenti del postmodernismo francese come Michel Foucault, Guy Hocquenghem, Jean Danet, Françoise Dolto, e la controversa coppia Simone de Beauvior-Jean Paul Sartre. Nel 1977 i capofila della critica esistenzialista e del postmodernismo francesi, tra i quali Foucault, Derrida, de Beauvior, Sartre, Gilles Deleuze e Louis Althusser, inviarono una petizione al Parlamento per chiedere l’abolizione dell’età del consenso e la depenalizzazione di ogni rapporto sessuale consenziente tra adulti e minori di 15 anni. Foucault, inoltre, infervorò il dibattito pubblico intervenendo insieme a Hocquenghem nel programma “Dialogue” dell’emittente radiofonica “France Culture”, spiegando le ragioni del suo sostegno alla causa pedofila.Contemporaneamente a Londra fu fondato il Paedophile Information Exchange da Michael Manson, un piccolo gruppo pro-pedofilia dipendente dall’Outright Scotland, una delle più grandi e longeve sigle presenti nella galassia lgbt britannica. Sebbene numericamente esiguo e ufficialmente isolato dalle maggiori organizzazioni omosessuali, il Pie riuscì a trasformare in un dibattito nazionale l’abolizione dell’età del consenso e curò la pubblicazione di un proprio periodico, “Understanding Paedophilia”, riuscendo ad ottenere finanziamenti pubblici per circa 70 mila sterline dall’Home Office (secondo una recente inchiesta del “Daily Mirror”) e ad ottenere l’affiliazione al National Council for Civil Liberties, oggi noto semplicemente come Liberty, una delle più importanti organizzazioni per i diritti civili e umani presenti in Inghilterra. Nello stesso periodo, negli Stati Uniti, David Thorstad, ex troskista poi divenuto il più importante attivista pro-pedofilia della storia occidentale recente, fonda la North American Man/Boy Love Association (Nambla), il più grande ed influente gruppo di pressione attivo nell’abolizione dell’età del consenso e nella promozione delle relazioni sessuali tra adulti e minori.Le posizioni estremiste della Nambla hanno causato la sua scomunica dall’International Lesbian and Gay Association nel 1994, a seguito di una controversia giunta in sede di Nazioni Unite, e nonostante le numerose inchieste federali e gli scandali sessuali che hanno coinvolto diversi membri, non è mai stata sciolta dalla giustizia statunitense. La Nambla ha avuto il merito di realizzare contatti con le principali sigle della galassia pro-pedofilia, riuscendo nell’obiettivo di trasformare l’International Pedophile and Child Emancipation in una vera e propria internazionale della pedofilia, composta da più di 80 fra organizzazioni e partiti politici di Canada, Stati Uniti ed Europa occidentale. La situazione organizzativa e associativa dei movimenti pro-pedofilia in Europa occidentale è comparabile a quella statunitense, sebbene il dibattito sia meno acceso per via del minore spazio garantito dai grandi media a questa ala estrema della più vasta galassia Lgbt. La Germania è il paese europeo con più organizzazioni pro-pedofilia del Vecchio Continente, oltre 15, e ha ospitato fra gli anni ’70 e ’90 un dibattito politico molto serio inerente l’abolizione dell’età del consenso, la depenalizzazione dei rapporti tra adulti e minori e la decriminalizzazione sociale della pedofilia, che ha coinvolto anche attori politici di spessore come il partito dei Verdi, e vanta una triste, quanto sconosciuta, storia di esperimenti sociali miranti a capire gli effetti dei rapporti pedofili sulla psiche degli adolescenti.Negli anni ’70 il dipartimento di sociologia dell’università di Hannover guidò una serie di ricerche sotto l’egida del professore Helmut Kentler, luminare noto nell’ambiente accademico nazionale per le sue innovative idee di ingegneria sociale. Il programma di Kentler prevedeva l’affidamento di adolescenti senzatetto o senza famiglia con problemi comportamentali, di tossicodipendenza o di alcolismo, presso pedofili noti, ossia con precedenti penali per abusi su minori o segnalati alle autorità, con il duplice obiettivo di fornire alle cavie una figura genitoriale e ai pedofili una possibilità di trasformarsi in modelli comportamentali positivi. Il programma fu finanziato con fondi pubblici e fu scoperto soltanto alla morte di Kentler avvenuta nel 2008. La giustizia tedesca non è stata capace di appurare il numero di giovani tedeschi, soprattutto berlinesi, affidati a pedofili come parte del cosiddetto esperimento Kentler, sebbene le indagini abbiano concluso possano essere stati più di mille.I Paesi Bassi hanno ospitato le attività dell’organizzazione Vereniging Martijn e del partito politico Carità, Libertà e Diversità, impegnati nella revisione dell’età del consenso, nell’inserimento della pedofilia tra i temi affrontati dall’educazione sessuale nelle scuole, e nella depenalizzazione della pedopornografia. Sebbene questi due movimenti siano stati dissolti dalla giustizia olandese, anche per via dei crimini sessuali che hanno visti coinvolti i loro membri, il contesto intellettuale nel quale sono sorti, ossia la Società Olandese per la Riforma Sessuale, è ancora in fermento e continua a propagandare la normalizzazione di ogni perversione sessuale, dalla pedofilia alla zoofilia. Il dibattito pubblico e accademico sulla pedofilia nei Paesi Bassi inizia nell’immediato secondo dopoguerra con la fondazione dell’Enclave Kring, il primo movimento pro-pedofilia del mondo, da parte dell’eminente psicologo e attivista omosessuale Frits Bernard.Bernard sfruttò la sua notorietà per tentare di sdoganare questo tabù, portando la sua battaglia anche nel vicino mondo omosessuale, in quanto collaboratore del Coc, la più longeva organizzazione per i diritti omosessuali del mondo. Il movimento pro-pedofilia nazionale riuscì a riscuotere ulteriore visibilità tra gli anni ’50 e ’80 per via dell’intenso attivismo di Edward Brongersma, senatore appartenente al Partito del Lavoro poi convertitosi in un prolifico autore di opere sulla sessualità infantile e sui rapporti adulto-bambino. Brongersma lottò durante la sua intera carriera politica per revisionare l’età del consenso e sdoganare la pedofilia, dando vita ad una fondazione avente il suo nome con l’obiettivo di realizzare i suoi progetti politici in tema di sessualità. Coerentemente con il suo credo anticattolico e progressista, nel 1998 decise di porre fine alla sua esistenza tramite eutanasia volontaria.La pedofilia, intesa come rapporto sessuale consenziente tra adulti e bambini, gode quindi di un supporto ideologico e di una rete organizzativa molto più vaste di quanto si creda comunamente e la lotta per il suo sdoganamento sarà un importantissimo terreno di scontro della guerra culturale tra le forze tradizionaliste-conservatrici e progressiste-liberali d’Occidente. Attingendo dalle principali teorie sulla costruzione del consenso e sul condizionamento delle opinioni e del comportamento è facile capire in che modo i tabù vengono normalizzati e i loro detrattori accusati di oscurantismo e retrogradezza: il sociologo Joseph Overton, il teorico della Finestra di Overton, ha illustrato quanto sia semplice trasformare un’idea impensabile o radicale in una diffusa e legalizzata attraverso un processo di accettazione e razionalizzazione, la Scuola di Francoforte ha illustrato il potere persuasivo dei grandi media sugli spettatori attraverso le teorie della spirale del silenzio, dell’agenda setting o del falso consenso.I grandi media anglofoni, come il “The Telegraph”, il “The Independent”, la “Bbc”, la “Cnn” o il “New York Times”, producono periodicamente degli approfondimenti pro-pedofilia, da titoli accattivanti come “We Have Met the Pedophiles and They Are Us”, “Pedophilia: A Disorder, Not a Crime”, “Paedophilia is natural and normal”, “Paedophilia a sexual orientation – like being straight or gay”, dando voce ad accademici, politici, opinionisti ed intellettuali che attraverso discutibili presentazioni basate sul disconoscimento delle conseguenze, sul ridimensionamento, sul giustificazionismo morale, o sull’idea del progresso, tentano di aprire un dibattito pubblico su questo tabù. Negli ultimi anni Ted, l’internazionale delle conferenze sulle società del futuro, finanziata tra gli altri dalla famiglia Clinton, da Bill Gates, da Jimmy Wales e da Google, ha organizzato diversi eventi sul tema della pedofilia, della sessualità contemporanea e delle questioni di genere. Il 5 maggio 2018 nell’ambito di un convegno all’università di Würzburg, l’intervento di Mirjam Heine intitolato “Why our perception on pedophilia must change: pedophilia is a natural sexual orientation”, registrato e pubblicato su YouTube, ha avuto una eco mediatica globale e attirato forti critiche verso gli organizzatori.Negli Stati Uniti il dibattito sulla pedofilia è tornato in auge con l’affermazione della cosiddetta “alt-right”, alimentato da personaggi pubblici come Milo Yiannopoulos e Nathan Larson, mentre nel resto del mondo occidentale proliferano le partecipazioni delle sigle pro-pedofilia ai gay pride, dopo un ventennio di damnatio memoriae, assume sempre più importanza il 25 aprile, la data scelta annualmente per celebrare l’Alice Day, ossia la giornata dell’orgoglio pedofilo, e dei bambini come Desmond Napoles o Nemis Quinn, sono diventati dei giovanissimi drag queen ed icone culturali idolatrate dalla comunità gay occidentale, dai media e dall’establishment dello spettacolo. L’insieme di questi accadimenti lascia supporre che la guerra culturale per l’accettazione della pedofilia sia molto viva ed intensa e ben lontana dal finire. La costruzione dell’Occidente del futuro passerà anche da questo: dal rendere socialmente accettabile la perversa convinzione che anche i bambini abbiano il diritto a sperimentare la sessualità, meglio se con adulto, e che in un mondo ruotante attorno al sesso, alla concupiscenza edonistica e al soddisfacimento di ogni desiderio secondo una visione distopica huxleyana non ci sia nulla di sbagliato nell’educare i fanciulli alla normalità della pedofilia.(Emanuel Pietrobon, “Guerra all’ultimo tabù”, da “L’intellettuale dissidente” del 19 agosto 2018).La pedofilia è l’ultimo grande tabù della civiltà occidentale: orientamento sessuale innato per alcuni, perversione immorale e criminale da punire duramente con il carcere per altri, o ancora una malattia mentale da curare. È necessario discutere oggi di pedofilia, perché il suo sdoganamento – con conseguente legalizzazione e decriminalizzazione sociale – con molta probabilità avverrà nel prossimo futuro; e non si tratta di complottismo spicciolo, ma di una presa di coscienza basata sulla lettura degli eventi attuali. Prima di parlare di cosa stia succedendo a livello propagandistico e pubblico in tema di pedofilia, occorre ripercorrere le origini di un movimento ben definito, organizzato e diffuso capillarmente in tutto l’Occidente, che ambisce a normalizzare le relazioni sessuali tra adulti e minori, nel nome della libertà di scelta e di un presunto diritto dei bambini ad amare. I movimenti per la legalizzazione della pedofilia sorgono nel contesto della rivoluzione controculturale sessantottina che dilagò nei paesi occidentali fra gli anni ’60 e ’70, simultaneamente e nell’alveo delle lotte di liberazione femministe e omosessuali.
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Inferno negli Usa: migliaia di bambini abusati da 300 preti
C’è una notizia esplosiva che sta rimbalzando su tutti i media mondiali, ma che da noi rischia di essere messa in secondo piano dal giusto clamore del crollo del ponte di Genova: riguarda i ripetuti e sistematici casi di pedofilia nella Chiesa cattolica statunitense della Pennsylvania, a metà strada tra Washington e New York. Lo scorso 14 agosto, scrive Riccardo Pizziriani su “Luogo Comune”, la Corte Suprema della Pennsylvania ha pubblicato infatti un corposo report di 1.300 pagine che descrive in dettaglio gli abusi sessuali nel clero cattolico locale, accusando oltre 300 sacerdoti. Il gran giurì della Pennsylvania, riunitosi nel 2016, ha intervistato decine di testimoni e esaminato più di 500.000 pagine di documenti provenienti da ogni diocesi dello Stato eccetto Philadelphia e Altoona-Johnstown, già indagate in precedenza. Risultato: orrore, raccapriccio. Una smisurata quantità di abusi, violenze, vessazioni. Questa storica inchiesta, scrive Pizziriani, ha rilevato che più di 1.000 bambini sono stati abusati dai membri di sei diocesi, in Pennsylvania, negli ultimi 70 anni. Dopo 18 mesi di indagini, gli investigatori denunciano «sistematici occultamenti, da parte della Chiesa».«Oltre mille bambini erano vittime identificabili, dagli archivi della Chiesa», afferma il gran giurì nel suo esplosivo rapporto: «Crediamo che il numero reale di bambini i cui “record” sono stati persi o che avevano paura di farsi avanti sia nell’ordine delle migliaia». Il documento afferma che il clero ha abusato bambini, bambine e anche degli adolescenti. «Tutti questi casi – si legge nel rapporto – sono stati messi da parte dai leader della Chiesa, che hanno preferito proteggere soprattutto i colpevoli e la loro istituzione». A causa dei presunti tentativi di copertura da parte degli alti funzionari ecclesiastici, aggiunge Pizziriani, la maggior parte dei casi sono troppo vecchi per essere portati a processo. Nonostante ciò, gli investigatori avvertono: potrebbero esserci ulteriori incriminazioni, mentre l’inchiesta continua. Il report parla di centinaia di preti: alcuni nomi rimangono oscurati, nel timore che la loro identificazione pubblica possa violare i loro diritti costituzionali. Ma il procuratore generale Josh Shapiro ha dichiarato che il suo ufficio sta lavorando per rimuovere questa autocensura che, di fatto, protegge gli autori dei reati.«I funzionari della Chiesa descrivevano abitualmente e deliberatamente questi abusi come “giocare a cavalluccio”, “fare wrestling”, o come “condotta inappropriata”. Non erano affatto quelle cose: erano abusi sessuali su minori, compreso lo stupro», sottolinea Shapiro. Molte vittime hanno affermato di esser state drogate o comunque manipolate. Alcuni hanno ricordato di essere stati picchiati da membri della famiglia che non credevano alle loro storie. Shapiro afferma infatti che «in Pennsylvania la fede è stata trasformata in arma per tenere le vittime in silenzio». Racconta la rete “Abc News”: «Ai bambini è stato insegnato che questo abuso non era solo normale, ma anche era sacro». Stiamo parlando di bambini violentati da sacerdoti, per decenni: gli abusi «vanno dalla masturbazione allo stupro anale, orale e vaginale». Un ragazzo fu persino costretto a farsi confessare allo stesso prete che lo abusava sessualmente. Un altro sacerdote «ha molestato cinque sorelle per un periodo superiore a 10 anni e, in un accordo con la loro famiglia, la diocesi ha richiesto un accordo di riservatezza». Ancora: un gruppo di preti di Pittsburgh, scrive sempre Pizziriani citando il “Telegraph”, è accusato di aver ordinato a un chierichetto di spogliarsi nudo e di posare crocifisso come Gesù sulla croce, mentre gli facevano foto. Gli scatti «sono poi circolati negli ambienti della Chiesa, dove la pornografia infantile veniva condivisa».Sempre nel report si legge che un prete «ha stuprato una bambina di sette anni, mentre la piccola era in ospedale per farsi rimuovere le tonsille». Un altro bambino è stato drogato con sostenze presenti in un succo d’arancia, prima di essere violentato. Un altro, di appena nove anni, «è stato costretto a praticare sesso orale, e poi il prete ha usato l’acqua santa per “purificare” la sua bocca». E’ praticamente infinita, la galleria degli orrori che emerge dall’indagine condotta in Pennsylvania: «Un gruppo di pedofili ha frustato i ragazzini, permettendo ad altri uomini di violentarli a pagamento. Un altro prete, che cercava di convicere gli studenti delle scuole medie a praticargli del sesso orale, insegnava loro di come Maria doveva leccare Gesù per pulirlo dopo che era nato». Poi ci sono o sacerdoti che hanno avuto figli: «Usavano croci d’oro per marcare chi di loro era stato maltrattato». Una ragazza «è stata violentata da un certo numero di sacerdoti, che in seguito le hanno detto che questo era il modo in cui Dio mostrava l’amore». Racconta il “Daily Mail” che un prete di Scranton «ha aggredito sessualmente una ragazza minorenne, l’ha messa incinta e poi le ha organizzato l’aborto».Diverse presunte vittime sono state attirate con alcol o pornografia, aggiunge Pizziriani: in seguito si sono rifugiate nell’abuso di sostanze. Qualcuno è crollato, preferendo suicidarsi. «Una di queste vittime include Joey, un bambino di 7 anni che è stato più volte violentato da padre Edward Graff ad Allentown». Graff, un uomo fisicamente imponente, «ha usato tanta forza per sottomettere il ragazzo che ha danneggiato gravemente la spina dorsale della vittima», secondo il procuratore Shapiro. «I medici hanno dovuto somministrargli pesanti antidolorifici, ma il ragazzo ne è divenato dipendente e alla fine è morto di overdose». Prima di soccombere, la vittima ha scritto alla diocesi di Allentown dicendo che Graff l’aveva più che violentato: «Ha ucciso il mio potenziale e, così facendo, ha ucciso l’uomo che avrei dovuto diventare», ha ammesso il giovane, secondo quanto riportato da “Nbc Philadelphia”. La permanenza di Graff alla diocesi di Allentown è durata 35 anni. E ora, conferma il “Daily Mail”, quel sacerdote è accusato di aver violentato decine di ragazzi.«Sorprendentemente, la leadership della Chiesa ha tenuto traccia degli abusi e della copertura: questi documenti, dagli “archivi segreti” propri delle diocesi, hanno costituito la spina dorsale di questa indagine», afferma Shapiro. Pagine che affondano in storie di abominio, come quella del reverendo David A. Soderlund, accusato di avere avuto rapporti sessuali con almeno tre giovani ragazzi all’inizio degli anni ‘80. «La diocesi di Allentown, di cui era sacerdote, conosceva le accuse, ma non le riferì alle autorità», scrive Pizziriani: il piccolo era un chierichetto di 7° grado (aveva 12 anni), e padre Soderlund aveva un caravan negli Appalachi Trail Sites, a Shartlesville. «Ce l’ha portato lì quasi ogni settimana, per un periodo di circa 5 anni, a fare sesso», ha riferito alle autorità ecclesiastiche nel 1997 una delle presunte vittime di Soderlund: «Ha detto che non partecipava di sua scelta, ma padre David aveva minacciato di ferirlo o ucciderlo. Ha anche scattato delle foto alla vittima impegnata in atti sessuali e ha minacciato di usarle per metterla in imbarazzo», si legge sempre sul “Daily Mail”.Il rapporto d’indagine critica apertamente anche l’arcivescovo di Washington Dc, cardinale Donald Wuerl, già a capo della diocesi di Pittsburgh, per il suo ruolo nel nascondere gli abusi. Prima della pubblicazione del rapporto, l’alto prelato si era difeso giurando di aver «agito con diligenza, con preoccupazione per i sopravvissuti e per prevenire futuri atti di abuso». La “Bbc” rivela che, il mese scorso, il cardinale Theodore McCarrick, ex arcivescovo di Washington e leader cattolico di alto profilo, si è dimesso tra le accuse di aver abusato sessualmente di bambini e adulti per decenni. Secondo Shapiro, l’inchiesta ha confermato «un sistematico insabbiamento, da parte di alti funzionari ecclesiastici in Pennsylvania e in Vaticano». Il “New York Post” scrive che, secondo Shapiro, lo schema era «abuso, negazione e insabbiamento». Conferma l’agenzia “Ansa”, citando sempre Shapiro: «I preti hanno violentato ragazzini e ragazzine. E i loro superiori non solo non fecero niente, ma hanno nascosto tutto».I sacerdoti che avevano molestato i bambini? «Venivano abitualmente trasferiti di parrocchia in parrocchia» e rimanevano tranquillamente attivi per 40 anni. «Il gruppo di investigatori – aggiunge Pizziriani – ha concluso che una successione di vescovi cattolici e altri dirigenti diocesani ha cercato di proteggere la Chiesa da cattiva pubblicità e responsabilità finanziaria. Non hanno denunciato il clero accusato alla polizia, hanno usato accordi di riservatezza per mettere a tacere le vittime e inviato i sacerdoti colpevoli di abusi alle cosiddette “strutture di trattamento”, che “riciclavano” i preti». Così, conferma il “New York Times”, «hanno permesso a centinaia di molestatori riconosciuti di tornare ad operare liberamente». Un parroco è addirittura andato a lavorare a DisneyWorld «utilizzando una accorata lettera di raccomandazione da parte della Chiesa, dopo che costui era stato costretto a lasciare la tonaca dietro le accuse di aver abusato di bambini». Congiura del silenzio, anche oltre la Chiesa: polizia e pubblici ministeri – accusa il “New York Times” – a volte non indagavano sulle accuse, per deferenza verso i religiosi. Oppure ignoravano le denunce, considerandole di competenza di altri uffici. E la strage degli innocenti, nel frattempo, proseguiva.C’è una notizia esplosiva che sta rimbalzando su tutti i media mondiali, ma che da noi rischia di essere messa in secondo piano dal giusto clamore del crollo del ponte di Genova: riguarda i ripetuti e sistematici casi di pedofilia nella Chiesa cattolica statunitense della Pennsylvania, a metà strada tra Washington e New York. Lo scorso 14 agosto, scrive Riccardo Pizziriani su “Luogo Comune”, la Corte Suprema della Pennsylvania ha pubblicato infatti un corposo report di 1.300 pagine che descrive in dettaglio gli abusi sessuali nel clero cattolico locale, accusando oltre 300 sacerdoti. Il gran giurì della Pennsylvania, riunitosi nel 2016, ha intervistato decine di testimoni e esaminato più di 500.000 pagine di documenti provenienti da ogni diocesi dello Stato eccetto Philadelphia e Altoona-Johnstown, già indagate in precedenza. Risultato: orrore, raccapriccio. Una smisurata quantità di abusi, violenze, vessazioni. Questa storica inchiesta, scrive Pizziriani, ha rilevato che più di 1.000 bambini sono stati abusati dai membri di sei diocesi, in Pennsylvania, negli ultimi 70 anni. Dopo 18 mesi di indagini, gli investigatori denunciano «sistematici occultamenti, da parte della Chiesa».
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Foa: bavaglio web, la Fake Democracy che stanno creando
«Non è un caso, è un metodo. Con un pretesto, le “fake news”, e uno scopo finale: mettere a tacere le voci davvero libere». Marcello Foa avverte: stanno ingabbiando la libertà sul web. Negli Usa, dopo la vittoria di Trump, è partita una massiccia campagna «ispirata dagli ambienti legati al partito democratico con l’entusiastico consenso di quello repubblicano», consapevoli che la prima, grande e inaspettata sconfitta dell’establishment «non sarebbe avvenuta senza la spinta decisiva dell’informazione non mainstream». A seguire, un coro: la Germania in primis, ma anche la Gran Bretagna del post-Brexit e, ovviamente, l’Italia del post-referendum. «Sia chiaro: il problema delle “fake news” esiste, soprattutto quando a diffonderle sono società o singoli a fini di lucro», o quando le false notizie vengono usate dagli “haters”, gli odiatori, «ovviamente senza mai esporsi in prima persona». E’ un fatto: «Bisogna avere il coraggio di mettere la faccia», l’anonimato non è democrazia. Ma le proposte finora avanzate, tutte su iniziativa del Pd, tendono invece a delegare il giudizio a organismi extragiudiziali, talvolta anche extraterritoriali, con «l’intenzione di colpire arbitrariamente le parole e dunque, facilmente, anche le idee».Ricordate il decreto Gentiloni sulla schedatura di massa degli utenti web e telefonici e la misura che autorizzava una censura di fatto? «La prima misura è da regime autoritario, senza precedenti in democrazia», mentre la seconda «delega all’Agcom la facoltà di valutare se un sito viola il diritto di autore e, un caso affermativo, di oscurarlo». In questo modo, scrive Foa sul “Giornale”, ci si appropria di funzioni che spettano normalmente alla magistratura. La proposta di legge contro le “fake news” annunciata da Renzi? Una fonte insospettabile, “Repubblica”, la teme: «Nel ddl elaborato dai senatori Zanda e Filippin – scrive Andrea Iannuzzi – si impone ai social network con oltre un milione di utenti la rimozione di contenuti che configurano reati che vanno dalla diffamazione alla pedopornografia, dallo stalking al terrorismo. La valutazione dei reati viene demandata ai gestori delle piattaforme, che di fatto sostituiscono il giudice: la libertà di espressione potrebbe essere a rischio. Previste sanzioni pesanti per chi non rispetta una serie di adempimenti burocratici».Persino la “Repubblica”, cioè il giornale che ha amplificato le denunce di Renzi contro le “fake news”, non ha potuto esimersi dall’ammettere che così i giudici non servirebbero più, violando uno dei principi fondanti della nostra civiltà. Ammissione esplicita: la libertà di opinione è in pericolo. E non finisce qui. Marco Carrai, amico e consigliere di Renzi, in un’intervista al “Corriere della Sera” rivela: «Stiamo lavorando con uno scienziato di fama internazionale alla creazione di un “algoritmo verità”, che tramite “artificial intelligence” riesca a capire se una notizia è falsa». L’altra idea, spiega Carrai, è quella di «creare una piattaforma di “natural language processing” che analizzi le fonti giornalistiche e gli articoli correlandoli e, attraverso un grafico, segnali le anomalie». Traduzione: «Significa che un algoritmo e meccanismi di analisi semantica stabiliranno se un singolo articolo è vero o è una “fake news”. Scusate, ma io rabbrividisco», scrive Foa: «Queste sono tecniche da Grande Fratello, e non solo perché i criteri rimarranno inevitabilmente segreti (per impedire che vengano aggirati), ma soprattutto perché così si potranno discriminare le idee, i concetti, bannando quelli che un’autorità esterna (il gestore dei social!) riterrà inappropriati».D’altronde, continua Foa, sta già avvenendo su Facebook e su Twitter, dove opinionisti anche conosciuti si sono visti cancellare gli account da un amministratore che, nel migliore dei casi, si presenta con un nome di battesimo (Marco, Jeff o Bill) e che decide che si sono “violate le regole della comunità”. «Oggi sono ancora incidenti episodici, ma domani – sotto la minaccia di sanzioni milionarie già ventilate da Renzi – i gestori sboscheranno con l’accetta. E basterà un’“esuberanza semantica”, ad esempio scrivere zingari anziché rom, o accusare un’istituzione di diffondere dati falsi o incompleti per sparire dalla faccia del web». Perché per gente come Renzi, Carrai e Gentiloni, «tutti veri splendidi progressisti», evidentemente «non può che esistere una sola Verità, quella Ufficiale, quella certificata da loro e difesa dagli implacabili gestori dei social media, novelli guardiani dell’ordine costituito». Sono cose, conclude Foa, «che possono esistere solo in una “Fake Democracy”. Quella a cui ci vogliono portare».«Non è un caso, è un metodo. Con un pretesto, le “fake news”, e uno scopo finale: mettere a tacere le voci davvero libere». Marcello Foa avverte: stanno ingabbiando la libertà sul web. Negli Usa, dopo la vittoria di Trump, è partita una massiccia campagna «ispirata dagli ambienti legati al partito democratico con l’entusiastico consenso di quello repubblicano», consapevoli che la prima, grande e inaspettata sconfitta dell’establishment «non sarebbe avvenuta senza la spinta decisiva dell’informazione non mainstream». A seguire, un coro: la Germania in primis, ma anche la Gran Bretagna del post-Brexit e, ovviamente, l’Italia del post-referendum. «Sia chiaro: il problema delle “fake news” esiste, soprattutto quando a diffonderle sono società o singoli a fini di lucro», o quando le false notizie vengono usate dagli “haters”, gli odiatori, «ovviamente senza mai esporsi in prima persona». E’ un fatto: «Bisogna avere il coraggio di mettere la faccia», l’anonimato non è democrazia. Ma le proposte finora avanzate, tutte su iniziativa del Pd, tendono invece a delegare il giudizio a organismi extragiudiziali, talvolta anche extraterritoriali, con «l’intenzione di colpire arbitrariamente le parole e dunque, facilmente, anche le idee».
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Onida e Scorza: Ddl Gambaro, il bavaglio al web è illegale
Lotta alle fake news, o meglio alla libertà d’opinione: il decreto legge firmato da Adele Gambaro arriva in Senato (commissioni giustizia e affari costituzionali) e riapre la polemica sulla legge-bavaglio, tra profili di incostituzionalità, correttivi legislativi parziali e grossolani, pericoli per la libertà di pensiero. Costituzionalisti, giornalisti e attivisti, scrive “Terra Nuova”, sono in rivolta contro il Ddl, che vorrebbe regolamentare la circolazione delle informazioni “non veritiere” online. «Proposito teoricamente nobile, ma occorre definire molto bene i confini per non sconfinare nella censura travestita». A proporre una interessante analisi del testo di legge è Valerio Onida, ex giudice della Corte Costituzionale e già presidente della stessa corte, nonché docente universitario, ex presidente della Scuola superiore della magistratura nonché membro del team di “saggi” reclutato da Napolitano per ridisegnare l’assetto costituzionale. «Si tratta di un testo superficiale e non idoneo a normare ciò su cui si propone di intervenire, cioè la “rete”, perché va addirittura a modificare i criteri di punibilità dei reati solo perché il mezzo usato è differente», spiega Onida.«L’articolo 21 della Costituzione è chiaro, parla di mezzi di diffusione del pensiero, quindi la rete, come la carta stampata, la televisione o la radio, deve avere gli stessi limiti e le stesse garanzie. Peraltro – ricorda Onida – le norme esistono già, si tratta solo di individuare tecnicamente le modalità più idonee di applicazione». L’articolo 1 del Ddl Gambaro crea un nuovo tipo di reato, quello riconducibile alla circolazione di informazioni attraverso piattaforme informatiche o mezzi telematici, che viene differenziato nel trattamento rispetto all’analogo reato dell’articolo 656 del codice penale che colpisce “chiunque pubblica o diffonde notizie false, esagerate o tendenziose, per le quali possa essere turbato l’ordine pubblico”. Poi nel testo si introduce la novità della pena anche per informazioni che riguardino dati o fatti manifestamente infondati o falsi. «Ma chi verifica?», si domanda Onida. «Qui si introduce il “controllo pubblico” sulla verità o falsità dei dati ed è inaccettabile. Sulla base di quali criteri assoluti mai si potrà effettuare la verifica? Peraltro, sempre l’articolo 1 introduce una disciplina speciale per la diffamazione, che però è già normata da codici e leggi. Anche qui ci si chiede il perché».L’articolo 2, poi, per Onida «introduce aspetti pericolosi di controllo pubblico sulle opinioni e sulle idee. Si legge infatti che la pena (reclusione non inferiore a 12 mesi e ammenda fino a 5.000 euro) è prevista anche per chi “svolge comunque un’attività tale da recare nocumento agli interessi pubblici o da fuorviare settori dell’opinione pubblica, anche attraverso campagne con l’utilizzo di piattaforme informatiche destinate alla diffusione online”. Di qui la preoccupazione di numerosi attivisti, associazioni e movimenti nazionali, aggiunge “Terra Nuova”. «Temo che ci sia il tentativo da parte di un soggetto istituito di silenziare la società civile e le sue iniziative di controinformazione», dice Monica Di Sisto, vicepresidente dell’osservatorio sul commercio e il clima Fairwatch, che sta guidando la campagna StopTtip in Italia. «Per punire il procurato allarme o per combattere le notizie false le leggi esistono già». Attenzione: i trattati-capestro come il Ttip, o il suo clone euro-canadese Ceta appena ratificato, hanno testi inaccessibili, riservati, nonostante i trattati coinvolgano pesantemente la vita di titti, stravolgendo le regole su alimentazione, salute, sicurezza, ecologia.«Nemmeno i Parlamenti e i governi degli Stati membri sono obbligatoriamente coinvolti nell’andamento delle trattative», aggiunge Di Sisto. «Anche la senatrice Gambaro, per il suo ruolo istituzionale, è chiamata a garantire i diritti costituzionali nella sua forma più ampia e piena». Ritornando al disegno di legge, il professor Onida si sofferma anche sull’articolo 6, che fa riferimento al potenziamento della formazione professionale per i giornalisti per “prevenire il rischio di distorsione delle informazioni o di manipolazione dell’opinione pubblica”. «Anche in questo caso si rischia di definire informazione solo ciò che sta bene al potere pubblico, che decide pure come presentarla», aggiunge Onida. E pure l’articolo 7 «ripropone un inaccettabile controllo dall’alto di verità», visto che «si mette in carico ai gestori delle piattaforme informatiche l’obbligo di verificare l’attendibilità e la veridicità dei contenuti diffusi: ma com’è pensabile?». Per il costituzionalista, «è uno strumento di controllo autoritario e illegittimo». Idem l’articolo 8, l’ultimo, che prevede che la commissione parlamentare per la vigilanza sui servizi radiotelevisivi monitori “gli standard editoriali delle piattaforme informatiche destinate alla pubblicazione e diffusione di informazione con mezzi telematici delle emittenti radiotelevisive pubbliche”.«Le ricette proposte dai firmatari del disegno di legge sono anacronistiche, inattuabili, inefficaci e soprattutto ad alto rischio di deriva liberticida», ha scritto dal suo blog sul “Fatto quotidiano” Guido Scorza, docente di diritto delle nuove tecnologie. «Difficile astenersi dal ricordare ai firmatari del disegno di legge – aggiunge Scorza – che era il 2000 quando l’Unione Europea stabilì un principio che è caposaldo di civiltà, libertà e democrazia online diametralmente opposto a quello che loro vorrebbero veder introdotto nel nostro ordinamento: il divieto, per tutti i paesi membri dell’Unione Europea di imporre ai cosiddetti “intermediari della comunicazione” qualsivoglia obbligo generale di sorveglianza sui contenuti pubblicati dai propri utenti». Un divieto, scrive Scorza, che ha una spiegazione semplice e di straordinaria importanza: «Se lo Stato chiede a un soggetto privato di verificare ciò che i propri utenti pubblicano attraverso i propri servizi, questo soggetto, a tutela del proprio portafoglio, inizierà a limitare e restringere la libertà dei propri utenti di dire ciò che pensano online, sacrificando così l’idea che Internet possa rappresentare quella grande agorà democratica – che non significa né Far West, né zona franca senza regole – della quale tutti avvertiamo un gran bisogno».Giovanni Ziccardi, docente di informatica giuridica all’università di Milano, ritiene il disegno di legge «inopportuno, pericoloso e censorio» perché «nasconde le sue reali intenzioni di controllo del dissenso». Ziccardi lo trova soprattutto impreciso, sia dal punto di vista tecnico che giuridico: «Punta a soffocare il dibattito in rete caricando di responsabilità, burocrazia e sanzioni utenti e provider. Dall’altra parte “salva”, per molti versi, i due principali vettori di odio, notizie false e disinformazione di oggi, cioè molti grandi media e politici. Ed equipara fenomeni eterogenei tra loro che richiedono, invece, regolamentazioni specifiche. Infatti nella relazione introduttiva si fa riferimento a “fake news”, a espressioni che istigano all’odio e alla pedopornografia. Tre universi molto diversi tra loro». Vede una «chiara deriva autoritaria» anche Federico Pistono, informatico con master alla Nasa, scrittore e co-fondatore di “Axelera”, che si occupa di divulgazione nell’ambito delle nuove tecnologie. Dice: «O sanno come funziona Internet e vogliono censurarlo o non sanno come funziona e sono incompetenti; in entrambi i casi non va bene: di fatto, si prevedono pene per chi esercita il senso critico». Per esempio, «chi mette un dato vero e una propria opinione che magari molti altri condividono ma che non è mainstream, può venire processato e condannato per quello. Tutto ciò non ha nulla a che fare con l’educazione e la sensibilizzazione della popolazione a verificare le fonti di ciò che legge e a pensare con la propria testa».Lotta alle fake news, o meglio alla libertà d’opinione: il decreto legge firmato da Adele Gambaro arriva in Senato (commissioni giustizia e affari costituzionali) e riapre la polemica sulla legge-bavaglio, tra profili di incostituzionalità, correttivi legislativi parziali e grossolani, pericoli per la libertà di pensiero. Costituzionalisti, giornalisti e attivisti, scrive “Terra Nuova”, sono in rivolta contro il Ddl, che vorrebbe regolamentare la circolazione delle informazioni “non veritiere” online. «Proposito teoricamente nobile, ma occorre definire molto bene i confini per non sconfinare nella censura travestita». A proporre una interessante analisi del testo di legge è Valerio Onida, ex giudice della Corte Costituzionale e già presidente della stessa corte, nonché docente universitario, ex presidente della Scuola superiore della magistratura nonché membro del team di “saggi” reclutato da Napolitano per ridisegnare l’assetto costituzionale. «Si tratta di un testo superficiale e non idoneo a normare ciò su cui si propone di intervenire, cioè la “rete”, perché va addirittura a modificare i criteri di punibilità dei reati solo perché il mezzo usato è differente», spiega Onida.
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Troppi testimoni uccisi, non chiamatelo Mostro di Firenze
Ho deciso di scrivere questo articolo dopo la vicenda del perito nella vicenda Moby Prince, sfuggito per miracolo alla morte; qualche giorno fa l’uomo, dopo essere stato narcotizzato da 4 persone incappucciate è stato poi messo in un’auto a cui hanno dato fuoco. Si è salvato per un pelo, essendosi risvegliato in tempo dal narcotico. L’incidente è identico a molti altri capitati a testimoni di processi importanti della storia d’Italia. Non tutti però sanno che gli stessi identici incidenti sono capitati a molti dei testimoni nella vicenda del Mostro di Firenze. Se n’è scritto tanto, e i dubbi sono tanti. Pacciani era davvero colpevole? C’erano veramente dei mandanti che commissionavano gli omicidi? Pochi si sono occupati invece di un aspetto particolare di questa vicenda: i depistaggi, le coperture eccellenti, le morti sospette. La vicenda del mostro, in effetti, per anni è stata considerata come un giallo in cui occorreva trovare il serial killer. In realtà la vicenda può essere guardata da una prospettiva assolutamente diversa, cioè quella tipica di tutte le stragi di Stato italiane.L’ostinato occultamento delle prove affinché non si giunga alla verità, grazie al coinvolgimento della massoneria e dei servizi segreti; l’inefficienza degli apparati statali nel reprimere queste situazioni; l’impreparazione culturale quando si tratta di affrontare questioni che esulano da un nomale omicidio o rapina in banca e si toccano temi esoterici. Dal 1968 al 1985 vengono uccise otto coppie di giovani nelle campagne di Firenze. In 4 di questi duplici omicidi vengono prelevate delle parti di cadavere, seni e pube in particolare. La vera e propria caccia al Mostro comincia dopo il terzo omicidio, quando si capisce che dietro ad essi c’è la stessa mano. Dopo errori giudiziari, e vicende varie, si arriva all’incriminazione di Pietro Pacciani nel 1994. Appare chiaro che Pacciani è colpevole, o perlomeno che è gravemente coinvolto in questi omicidi. Gli indizi infatti sono gravi, precisi e concordanti: in particolare lo inchiodano il ritrovamento di un bossolo di pistola nel suo giardino, inequivocabilmente proveniente dalla pistola del Mostro (una beretta calibro 22); l’asta guidamolla della pistola del Mostro, inviata agli investigatori avvolta in un pezzo di panno identico a quello poi trovato in casa Pacciani; e soprattutto un portasapone e un blocco da disegno, di marca tedesca, che verrà riconosciuto come appartenente alla coppia tedesca uccisa dal Mostro.C’era poi un biglietto trovato in casa sua, con scritto “coppia” e un numero di targa corrispondente a quello di una coppia uccisa. Le intercettazioni telefoniche ed ambientali poi fecero il resto, mostrando che Pacciani mentiva, celando agli investigatori diverse cose importanti. Eppure il processo fa acqua da tutte le parti. Tante cose, troppe, non quadrano in quel processo. Non quadra il movente, perché Pacciani – benché violento e benché in passato avesse già ucciso, per giunta con modalità che a tratti ricordano quelle di alcuni delitti – non sembra il ritratto del serial killer. Non quadrano alcuni particolari (ad esempio le perizie stabiliranno che l’uomo che ha sparato doveva essere alto almeno un metro e ottanta, mentre Pacciani è alto molto meno). Inoltre durante il processo alcuni dei suoi amici mentono palesemente per coprirlo, sembrando quasi colludere con lui. Perché mentono? In primo grado Pacciani verrà condannato. In secondo grado verrà assolto. L’impianto accusatorio, in effetti, era abbastanza fragile. Però proprio il giorno prima della sentenza di secondo grado, la Procura di Firenze riesce a trovare nuovi testimoni (quattro) che inchiodano Pacciani e soprattutto riescono a spiegare il motivo di alcune incongruenze. Due di questi testimoni sono infatti complici di Pacciani e, autoaccusandosi, svelano che in realtà quei delitti erano commessi in gruppo.Ma la Corte di appello di Firenze decide di non sentire questi testimoni, e assolve Pacciani. La sentenza verrà annullata dalla Cassazione, ma nel frattempo Pacciani muore in circostanze poco chiare. Apparentemente muore di infarto, ma Giuttari, il commissario che segue le indagini per la Procura di Firenze, sospetta un omicidio. Nel 2002 l’indagine sul Mostro si riapre, ma a Perugia. Per capire come e perché si riapre però dobbiamo fare un passo indietro. Il 13 ottobre del 1985 viene trovato nel Lago Trasimeno il corpo di un giovane medico perugino, Francesco Narducci. Il caso viene archiviato come un suicidio, anche se la moglie non crede a questa versione dei fatti. E sono in molti a non crederlo. Anzi, da subito alcuni giornali ipotizzano un coinvolgimento del Narducci nei fatti di Firenze. Nel 2002 la procura di Perugia, intercettando per caso alcune telefonate, sospetta che il medico perugino sia stato assassinato e fa riesumare il cadavere. Il cadavere riesumato ha abiti diversi rispetto a quelli indossati dal cadavere nel 1985.Altri, numerosi e gravi indizi, nonché le testimonianze della gente che quel giorno era presente al ritrovamento, portano a ritenere che il cadavere ripescato allora non fosse quello di Narducci, e che solo in un secondo tempo sia stata riposta la salma del vero Narducci al posto giusto. Indagando sul caso, il Pm di Perugia, Mignini, scopre che il giorno del ritrovamento le procedure per la tumulazione furono irregolari; che quel giorno sul molo convogliarono diverse autorità, tutte iscritte alla massoneria, come del resto era iscritto alla massoneria il padre del medico morto e il medico stesso. E si scopre che il Narducci era probabilmente coinvolto negli omicidi del Mostro di Firenze. Anzi, forse era proprio lui che, in alcune occasioni, asportò le parti di cadavere. Le indagini portano ad ipotizzare una pluralità di mandanti coinvolti negli omicidi del mostro, che commissionavano questi omicidi per poi utilizzare le parti di cadavere per alcuni riti satanici. In particolare, il Lotti confessa che questi omicidi venivano pagati da un medico. E con un accertamento sulle finanza di Pacciani verranno trovati capitali per centinaia di milioni, di provenienza assolutamente inspiegabile.Vengono mandati 4 avvisi di garanzia a 4 persone, tra cui il farmacista di San Casciano Calamandrei, un medico e un avvocato, che sarebbero i mandanti dei delitti del Mostro di Firenze. Mentre per occultamento di cadavere, sviamento di indagini e altri reati minori (che inevitabilmente andranno in prescrizione) vengono rinviate a giudizio il padre di Ugo Narducci e i fratelli di Francesco; il questore di Perugia Francesco Trio, il colonnello dei carabinieri Di Carlo, l’ispettore Napoleoni, l’avvocato Fabio Dean e molti altri, quasi tutti iscritti alla stessa loggia massonica, la Bellucci di Perugia, e alcuni di essi, compreso il padre di Narducci, collegati addirittura alla P2. Appartengono alla P2 Narducci e il questore Trio, mentre l’avvocato Fabio Dean è il figlio dell’avvocato Dean, uno dei legali di Gelli. In questa vicenda sono presenti ancora una volta i servizi segreti e i loro depistaggi, nonché tutte le mosse tipiche che vengono attuate quando occorre depistare.In pratica l’indagine conosce una prima fase, che arriva fino al processo di appello di Pacciani, in cui essa scorre senza problematiche particolari, tranne ovviamente quella tipica di ogni indagine, e cioè l’individuazione dei colpevoli. Ma appena si apre la pista dei mandanti si scatena un vero inferno. Anzitutto lo screditamento degli inquirenti, che vengono derisi, sminuiti; vengono continuamente sottolineati gli errori fatti da costoro (come se fosse semplice condurre un’indagine del genere senza commetterne); la Procura fiorentina viene spesso presentata dai giornali come una Procura che vuole a tutti i costi incastrare degli innocenti; Giuttari viene presentato come uno che vuole farsi pubblicità; un pazzo che crede alla folle pista satanista; quando il commissario è vicino alla verità lo si isola, oppure si cerca di trasferirlo con una meritata promozione (che però metterebbe in crisi tutta l’inchiesta). Più volte giornali e televisioni annunceranno scoop fantastici tesi a demolire il lavoro di anni della Procura di Firenze, e di Perugia. Alcuni giornalisti che ipotizzano il collegamento tra massoneria, delitti del Mostro e sette sataniche vengono querelati, anche se le querele verranno poi ritirate.Vengono fatte indagini parallele e non ufficiali, di cui non vengono informati gli inquirenti. Il Pm Mignini scopre che dopo l’ultimo delitto del Mostro la polizia di Perugia aveva indagato su Narducci e sul Mostro, e ciò risulta dai prospetti di lavoro, datati 10 settembre 1985. Ma di queste indagini non viene avvisata la Procura di Firenze. Ma in compenso anche i carabinieri, per non essere da meno, fanno le loro indagini parallele di cui non informano gli inquirenti. Alcuni carabinieri confidano che anni prima avevano fatto un’irruzione nell’appartamento fiorentino del Narducci per trovare le parti di cadavere che il Narducci teneva nell’appartamento, ma che erano stati “preceduti”. Anche di questi fatti la Procura di Firenze non viene informata. Queste indagini parallele erano coordinate a Perugia dall’ispettore Napoleoni, che pare agisse addirittura all’insaputa del suo diretto superiore, Speroni (così scrive Licciardi nel suo libro). Su Narducci c’era un fascicolo da tempo, ma il fascicolo venne smarrito, e ritrovato dopo anni privo di varie parti. Così come scomparvero misteriosamente molti reperti che erano stato acquisiti durante le indagini, come la famosa pietra a forma di piramide trovata sulla scena di uno dei delitti.Non manca poi – stando alla ricostruzione di Giuttari nel suo libro – anche il procuratore capo di Firenze, Nannucci (che è sempre stato contrario all’indagine sui mandanti) che avvisa un indagato, il giornalista Mario Spezi, dell’imminente indagine; questo fatto verrà segnalato alla Procura di Genova, che però archivierà la posizione del procuratore. Infine, ci sono gli immancabili depistaggi dei servizi segreti deviati. Il Sisde aveva già dai tempi del terzo delitto preparato un dossier che ipotizzava che non fosse coinvolto un solo serial killer, ma i componenti di una setta satanica che agivano in gruppo, e ciò appariva evidente da alcuni particolari della scena del delitto. Ma questo dossier – che porta la data del 1980 – non viene mai consegnato agli inquirenti di Firenze. Il dossier era firmato da Francesco Bruno, consulente del Sisde. In totale, sono tre gli studi commissionati dal Sisde che si persero misteriosamente per strada e non arrivarono mai sulle scrivanie degli inquirenti fiorentini. Guarda caso, proprio quei dossier che ricostruivano la pista dei mandanti plurimi e delle messe nere. Ma qualche anno dopo Francesco Bruno, intervistato, sosterrà che a suo parere il serial killer è un mostro isolato, ancora in libertà.Ci sono poi le solite morti sospette tipiche di tutte le grosse vicende giudiziarie italiane. Una vera strage, in realtà. O meglio, una strage nella strage. La prima morte sospetta è quella del medico perugino trovato morto nel Lago Trasimeno. Poi la morte di Pacciani, per la quale la Procura di Firenze apre un fascicolo per omicidio. E poi la solita mattanza di testimoni. Elisabetta Ciabiani, una ragazza di venti anni che aveva lavorato nell’albergo dove Narducci e la sua loggia massonica si riunivano e che aveva rivelato al suo psicologo, Maurizio Antonello (fondatore dell’Associazione per la ricerca e l’informazione delle sette) il nome di alcuni mandanti del Mostro e aveva rivelato il coinvolgimento della Rosa Rossa nei delitti: Elisabetta verrà trovata uccisa a colpi di coltello, compresa una coltellata al pube, ma il caso venne archiviato come suicidio. Mentre lo psicologo Maurizio Antonello verrà trovato “suicidato”, impiccato al parapetto della sua casa di campagna.Renato Malatesta, marito di Antonietta Sperduto, l’amante di Pacciani, che viene trovato impiccato, ma con i piedi che toccano per terra; uno degli innumerevoli casi di suicidi in ginocchio, che non fanno certo l’onore delle nostre forze di polizia subito pronte ad archiviare il caso come suicidio nonostante l’evidenza dei fatti. Francesco Vinci e Angelo Vargiu, sospettati di essere tra i compagni di merende di Pacciani (il primo è anche amante di Milva Malatesta) trovati morti carbonizzati nell’auto. Anna Milva Mattei, anche lei bruciata in auto. Claudio Pitocchi, morto per un incidente di moto, che sbanda ed esce di strada all’improvviso, senza cause apparenti. Anche questa è una modalità che troviamo in tutte le vicende italiane in cui sono coinvolti servizi segreti e massoneria: Ustica, soprattutto, e poi nel caso Clementina Forleo. Milva Malatesta e il suo figlio Mirko, anche loro trovati carbonizzati nell’auto; una fine curiosamente simile a quella che volevano far fare al perito del Moby Prince poche settimane fa. La stessa tecnica. Così come la tecnica dei suicidi in ginocchio è identica a quella dei morti di Ustica e di tutte le altre stragi che hanno insanguinato l’Italia. Tecniche identiche, che fanno ipotizzare una firma unica: quella dei servizi segreti deviati.Rolf Reineke, che aveva visto una delle coppiette uccise poche ore prima della loro morte, che muore di infarto nel 1983. Domenico, un fruttivendolo di Prato che scompare nel nulla nell’agosto del 1994 e venne considerato un caso di lupara bianca. E poi ce ne sono tanti altri. C’è il caso di tre prostitute, una suicidatasi e due accoltellate, che avevano avuto rapporti a vario titolo con i “compagni di merende”, e chissà quanti alltri di cui si non si saprà mai nulla. Un discorso a parte va fatto per Luciano Petrini. Consulente informatico, nel 1996 avvicinò una persona (anche lei testimone al processo), Gabriella Pasquali Carlizzi, dandole alcune informazioni sul Mostro e mostrando di sapere molto su questa vicenda; ma il 9 maggio fu ucciso nel suo bagno, colpito ripetutamente con un portasciugamani a cui tolsero la guarnizione per renderlo più tagliente. Nella casa non compaiono segni di scasso o effrazione. Conclusioni: omicidio gay. Nessuno prende in considerazione altre piste. Nessuno prende in considerazione – soprattutto – l’ipotesi più evidente: Petrini aveva svolto consulenza nel caso Ustica, sul suicidio del colonnello dell’aereonautica Mario Ferraro, quel Mario Ferraro che venne trovato impiccato al portasciugamani del bagno. Ma il fatto che sia stato ucciso – guarda caso – proprio con un portasciugamani, non induce a sospettare di nulla. Omicidio gay!?!?La verità sul mostro di Firenze non si saprà mai. Non si sapranno mai i nomi dei mandanti, perlomeno non di tutti. Non mi interessa poi così tanto capire se Pacciani era il vero Mostro o fu solo incastrato. Se Narducci era il Mostro, o se erano altri. Se Pietro Toni, il procuratore che chiese l’assoluzione di Pacciani e definì «aria fritta» l’ipotesi dei mandanti sia in mala fede oppure se gli sia sfuggito un “leggerissimo” particolare: che una simile mattanza di testimoni e di occultamenti presuppone un’organizzazione dietro tutto questo. E che a fronte dei depistaggi, delle sparizioni di fascicoli, dei tentativi di insabbiamento, l’ipotesi del mandante isolato diventa fantascientifica, perché in tal caso si impone di presupporre che tutti gli investigatori che si sono occupati delle vicende del mostro siano impazziti o si siano messi d’accordo per fregare Pacciani e gli altri, e che tutti i testimoni siano morti per delle coincidenze. Atteniamoci quindi ad un dato di fatto. Quando in un’indagine importante compare il binomio massoneria-servizi segreti, questo binomio indica che sono coinvolti dei mandanti eccellenti, al di là di ogni immaginazione.Finisco questo articolo riportando le parole di un mio amico di infanzia, ufficiale dei carabinieri di un paese della Toscana. Mi ha detto: «Certo, Paolo, che dietro ai delitti del Mostro di Firenze ci sono alcune sette sataniche legate a logge deviate della massoneria. I fatti di Perugia parlano chiaro. Noi spesso sappiamo chi sono e cosa fanno certi personaggi. Ma abbiamo l’ordine di non indagare. Vedi, un tempo, se toccavi il tasto mafia-politica e indagavi su questo filone, o scrivevi un pezzo di giornale, morivi. Oggi la politica ha capito che è inutile uccidere per questo, perché i magistrati si possono trasferire, i reati vanno in prescrizione. Insomma, ci sono altri mezzi per insabbiare un’inchiesta. Ma il tasto delle sette sataniche, e dei coinvolgimenti eccellenti in queste sette, non si può toccare, altrimenti si muore. Pensa che ogni anno, in Italia, spariscono migliaia di bambini. Oltre ai dati ufficiali della polizia di Stato, ce ne sono molti altri – Rom, immigrati clandestini – che non compaiono nelle statistiche. E questi bambini finiscono nel circuito delle sette sataniche, che sono collegate spesso al circuito dei sadici e pedofili, che pagano cifre astronomiche per video ove i bambini muoiono veramente».Questo mio amico non sapeva, all’epoca, che ero coinvolto anch’io in vicende che riguardavano la massoneria deviata e raccontò queste cose con tranquillità, davanti alla mia fidanzata dell’epoca, mentre eravamo seduti in un bar. Tempo dopo, quando lo venne a sapere e gli feci delle domande, negò di avermi mai dato quelle informazioni. Ma, lo ripeto, quello che importa non sono i nomi. Non è se Tizio o Caio sia coinvolto, e in che cosa sia coinvolto. Anche perché il singolo nome talvolta può essere il frutto di un errore, di un tentativo di screditare qualcuno. E francamente a me non è questo che fa paura. Ciò che fa paura è la vastità delle connivenze; il fatto che per delitti di questa gravità ed efferatezza ci possano essere coperture eccellenti e che la macchina della giustizia sia paralizzata. Il fatto che gli organi investigativi siano impreparati quando si affrontano vicende che sfiorano l’esoterismo e i servizi segreti deviati. Eppure la vicenda del Mostro di Firenze dovrebbe interessare tutti, non solo gli amanti dei gialli, dell’horror e dell’esoterismo. Il vero mostro, in questa vicenda, non è solo chi ha ucciso, ma anche tutte le persone che hanno coperto la verità, che in virtù dei loro legami con la massoneria deviata o con pezzi deviati dello Stato hanno coperto, colluso, e taciuto. Il vero mostro è la massoneria deviata, che come una piovra si è insinuata in tutti i punti vitali dello Stato. Il Mostro di Firenze è solo uno dei suoi tentacoli.(Paolo Franceschetti, estratti da “Il Mostro di Firenze: quella piovra che si insinua nello Stato”, dal blog di Franceschetti del 16 dicembre 2007).http://paolofranceschetti.blogspot.it/2007/12/il-mostro-di-firenze-quella-piovra-che.htmlHo deciso di scrivere questo articolo dopo la vicenda del perito nella vicenda Moby Prince, sfuggito per miracolo alla morte; qualche giorno fa l’uomo, dopo essere stato narcotizzato da 4 persone incappucciate è stato poi messo in un’auto a cui hanno dato fuoco. Si è salvato per un pelo, essendosi risvegliato in tempo dal narcotico. L’incidente è identico a molti altri capitati a testimoni di processi importanti della storia d’Italia. Non tutti però sanno che gli stessi identici incidenti sono capitati a molti dei testimoni nella vicenda del Mostro di Firenze. Se n’è scritto tanto, e i dubbi sono tanti. Pacciani era davvero colpevole? C’erano veramente dei mandanti che commissionavano gli omicidi? Pochi si sono occupati invece di un aspetto particolare di questa vicenda: i depistaggi, le coperture eccellenti, le morti sospette. La vicenda del mostro, in effetti, per anni è stata considerata come un giallo in cui occorreva trovare il serial killer. In realtà la vicenda può essere guardata da una prospettiva assolutamente diversa, cioè quella tipica di tutte le stragi di Stato italiane.
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Armi, droga, porno: Deep Web, non aprite quella porta
Pagine dinamiche ad accesso riservato, mail e home banking, e siti dedicati al commercio di armi, droga ed esseri umani. Database di studi scientifici, accademici e documenti governativi. E poi forum pedopornografici o siti per commissionare omicidi. E’ un oceano sommerso, si chiama Deep Web. «La moneta corrente, là sotto, è il bitcoin», valuta virtuale e molto fluttuante «con cui si può comprare qualsiasi cosa», spiega Andrea Coccia. «Lo scarto tra l’utilità e la legalità di una parte e la pericolosità e l’illegalità dell’altra è talmente immenso da rendere inutile qualsiasi tentativo di definizione in bianco e nero: il Deep Web, come il mondo, non è né buono né cattivo, è semplicemente immenso e in gran parte sconosciuto». Là sotto ci si può trovare di tutto, «il più depravato degli psicopatici e il più geniale degli scienziati». Le regole? Non esistono. «Immergersi in questo universo, la cui grandezza stimata è circa 500 volte il Web visibile e in cui i motori di ricerca non servono (quasi) a nulla, comporta il passaggio di una porta oltre la quale il confine della legalità è molto labile e i pericoli sono sul serio a portata di click».Cos’è il Deep Web? Il modo migliore per capirlo, scrive Coccia su “Linkiesta”, è immaginarsi un iceberg, di cui possiamo scorgere solo la vetta: tutto il resto, quello che c’è sotto, possiamo solo immaginarlo. Ciò che si vede in superficie, il Web visibile, è quello che i motori di ricerca tradizionali, come Google, sono in grado di indicizzare. «Intendiamoci, si tratta di una mole impressionante di pagine – tra i 60 e i 120 miliardi secondo alcune stime». Ma quel che sta sotto, come per gli iceberg, lo è ancor di più: «Se stabilire la dimensione esatta del Web visibile è un’impresa quasi impossibile, stimare quella del Web invisibile, o Deep Web, è un’operazione quasi folle». Uno specialista come Anand Rajaraman, intervistato dal “Guardian”, rivela che «nessuno può fare una stima credibile di quanto sia grande», il Deep Web. «L’unica stima che conosco dice che potrebbe essere 500 volte più grande». In questo oceano, avverte Coccia, non si può accedere né ci si può muovere usando i comuni strumenti di navigazione, come Google. Peggio ancora Facebook: nel Deep Web è pericoloso «usare i propri dati sensibili, mettendo a repentaglio il proprio anonimato e anche la propria sicurezza personale».Per accedere alla rete, spiega “Linkiesta”, è necessario installare e configurare un programma in grado di rendere la navigazione anonima e sicura: uno strumento come “Tor”, per esempio, capace di accedere a pagine con un dominio “strano”, come “.onion”. «Vista l’inefficacia quasi totale dei motori di ricerca che pur esistono a quelle profondità», per muoversi «si deve fare affidamento a delle liste compilate di link come la “Hidden Wiki”, o ai forum di utenti». Ma neanche così la navigazione è immediata, visto che, «proprio per garantire la sicurezza e l’anonimato, le pagine cambiano molto spesso indirizzo, a volte vengono chiuse dai proprietari, dalle cyberpolizie di mezzo mondo o vengono abbattute da gruppi di hacker à la Anonymous». Un parziale elenco «non potrebbe fare a meno di citare hacker russi, dissidenti cinesi, ribelli siriani, militari statunitensi, polizie postali europee, giornalisti indipendenti, anarchici svedesi, complottisti zeitgeistiani, pedofili, assassini, mercanti d’armi e di droga, mafiosi, jihadisti, ma anche moltissimi curiosi».Coccia rivela «10 cose notevoli» che ha trovato nel Deep Web. Citazione dantesca: “Per me si va nella città dolente”. Partenza: «Dopo aver installato e avviato “Tor”, dopo aver controllato che l’Ip fosse effettivamente stato mascherato, la prima mossa dell’improvvido navigatore anonimo è cercare una porta di accesso a questo universo pazzesco», dovendo fare a meno dei motori di ricerca. Un’epigrafe avverte: ti serve la “hidden wiki”, cioè “the door of the deep web”. «Be careful», dice la scritta: potreste essere spiati, hackerati, traumatizzati da contenuti «che non immaginavate potessero esistere». Per Coccia, «è la porta che sceglie, non l’uomo», come scrive Jorge Luis Borges nell’“Elogio dell’ombra”. Senza Google, «ci si deve affidare a liste, documenti, pagine wiki come Hidden Wiki, ad esempio, compilate da utenti – chiaramente anonimi – che offrono una serie di link ordinati in categorie da copiare e incollare sul browser di “Tor” per trovare il cammino. E per quanto di link ce ne siano a decine, tra quelli che non funzionano e quelli che è decisamente saggio evitare di cliccare – segnati come truffe o addirittura non più attivi – la strada, o almeno l’inizio, pare quasi segnata».Già dai primi passi, domina «la sensazione della fuffa», come quella di chi promette una cittadinanza Usa al prezzo di 10.000 dollari. Fuffa, o trappola per “gonzonauti”: «Non definirei in altri modi qualcuno disposto a pagare a un venditore anonimo e completamente sconosciuto diecimila dollari per incrociare le dita e aspettare che un postino gli recapiti la sua carta verde, l’assistenza sanitaria, la patente, il certificato di nascita e tutto il cucuzzaro per diventare a un cittadino americano». Se invece vi piace di più l’accento british, agiunge Coccia, c’è anche la possibilità di trovare passaporti britannici, naturalmente personalizzati. E poi: armi, sigarette, partite di calcio truccate. «Decine di altri siti propongono merce di ogni tipo, ma l’aspetto e la facilità di accesso fanno pensare che anche questi siano solo trappole per improvvidi visitatori curiosi». Ma, con qualche passaggio in più, si inizia a vedere qualcosa di più serio, come il “gran bazar delle droghe”. «Una volta c’era il celebre Silk Road, mitico sito di e-commerce sulle cui pagine si poteva comprare veramente di tutto. Ora che Silk Road è stato chiuso, i suoi figliastri sembrano aver proliferato. Dall’aspetto, ma soprattutto dalla presenza di protocolli di verifica dei venditori, questi siti sembrano più “affidabili”. I prodotti che vendono, invece, restano completamente illegali».Forse proprio perché accessibili senza eccesivi sforzi o conoscenze informatiche particolari, scrive Coccia, quasi tutti questi “negozi” applicano una bizzarra strategia per convincere i compratori a fidarsi: chiedono ai propri clienti «una di quelle cose che si sentono soltanto nei film americani di gangster». Ovvero: «Al momento dell’acquisto si paga la metà, l’altra metà la si salda al momento dell’arrivo della merce». Non mancano vecchie conoscenze, come “Gli Illuminati” (since 1776). «Sì, c’è anche il sito di quei simpaticoni degli Illuminati, per entrare però bisogna registrarsi. Io – ammette Coccia – ho vinto la curiosità e non l’ho fatto, ma nel caso dovrebbe bastare inventarsi un nome utente e una password. Una precauzione: non usate le vostre password normali e preferite codici alfanumerici, non si sa mai». Ma nel regno dei banditi c’è annche il “New Yorker”: non tutto è perduto? «Tra i mercanti d’armi e quelli di droga, tra potenziali pagine di pazzi scriteriati, di illuminati o di complottisti professionali c’è anche un approdo amico: si chiama “strongbox” ed è l’antenna che la redazione del “New Yorker” ha piazzato qua sotto per intercettare segnalazioni anonime, documenti scottanti, leaks o semplicemente racconti di gente troppo timida per mettere una firma ai propri lavori».Altro topos ricorrente: la scritta “Questo messaggio si autodistruggerà in 5, 4, 3…”. «Un’altra di quelle cose che si vedono solo nei film, ma questa volta di quelli con James Bond: i messaggi che si autodistruggono». Il sistema è semplice: «Una volta scritto il messaggio lo si mette su una pagina che viene creata apposta e il cui link è accessibile ua volta sola. Poi sparisce, e il gioco è fatto». La prova che smentisce chi descrive le profondità della rete come un luogo frequentato soltanto da pedofili, hacker e terroristi, aggiunge Coccia, è la presenza di infiniti depositi di ebook, di testi html, txt, doc e pdf di ogni tipo. «Io, per esempio, sono capitato sui vincitori dei Premi Pulitzer, ma sono sicuro che si può fare di meglio». Per concludere, «l’impressione che si ha navigando, ingenuamente e a casaccio, in quel che chiamano Deep Web è un po’ quella che si potrebbe provare giocando con una demo limitatissima di un gioco pazzesco», scrive Coccia. «È chiaro che lì sotto c’è un sacco di roba e un sacco di persone dal molto pericoloso al molto interessante». Il problema è che questa esplorazione «richiede tempo, applicazione, conoscenze e, soprattutto, un obiettivo preciso verso cui puntare». Viceversa, può capitare di sentirsi presi in giro, «come se quelle pagine fossero state messe lì apposta da chi quella rete la usa abitualmente, giusto per divertirsi con i turisti del Deep Web, per guardarli mentre si muovono a casaccio e farsi delle gran risate. E chissà, magari è veramente così».Pagine dinamiche ad accesso riservato, mail e home banking, e siti dedicati al commercio di armi, droga ed esseri umani. Database di studi scientifici, accademici e documenti governativi. E poi forum pedopornografici o siti per commissionare omicidi. E’ un oceano sommerso, si chiama Deep Web. «La moneta corrente, là sotto, è il bitcoin», valuta virtuale e molto fluttuante «con cui si può comprare qualsiasi cosa», spiega Andrea Coccia. «Lo scarto tra l’utilità e la legalità di una parte e la pericolosità e l’illegalità dell’altra è talmente immenso da rendere inutile qualsiasi tentativo di definizione in bianco e nero: il Deep Web, come il mondo, non è né buono né cattivo, è semplicemente immenso e in gran parte sconosciuto». Là sotto ci si può trovare di tutto, «il più depravato degli psicopatici e il più geniale degli scienziati». Le regole? Non esistono. «Immergersi in questo universo, la cui grandezza stimata è circa 500 volte il Web visibile e in cui i motori di ricerca non servono (quasi) a nulla, comporta il passaggio di una porta oltre la quale il confine della legalità è molto labile e i pericoli sono sul serio a portata di click».