Archivio del Tag ‘plutonio’
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Skripal, tutto falso: Londra perde la faccia, Gentiloni pure
Non hanno solo accusato, isolato e punito Mosca, con sanzioni e rappresaglie diplomatiche, sulla base di menzogne. Per poterlo fare, qualcuno ha quasi ucciso l’ex spia Sergeij Skripal e sua figlia, due persone intossicate a tradimento con il gas nervino. Ora le loro condizioni stanno migliorando: i due non sono più in pericolo di vita. Ma la notizia è un’altra: l’accusa contro i servizi segreti di Putin sta crollando, rivelandosi una immane “fake news” di Stato, per coprire un auto-attentato “false flag” mal riuscito. Devastante l’ammissione del direttore di Porton Down, i laboratori militari britannici per le armi chimico-batteriologiche: non c’è prova che il Novichock usato (o che sarebbe stato usato) contro Skripal fosse di origine russa. Il punto è che il ministro degli esteri britannico Boris Johnson aveva assicurato, in un tweet del 22 marzo e subito diffuso nel mondo, che «analisi condotte al laboratorio di scienza e tecnologia bellica di Porton Down da esperti di livello mondiale hanno appurato che si tratta dell’agente nervino militare Novichok prodotto in Russia». Il governo, sottolinea Maurizio Blondet, aveva impegnato la parola dei suoi scienziati di fama mondiale senza averli interpellati, e prima ancora che conducessero le indagini. E non è tutto: lo stesso Johnson ha cercato di cancellare il tweet del 22 marzo, negando di aver sostenuto che il nervino fosse d’origine russa, benché sia ancora sul web una sua intervista a “Deutsche Welle” dove afferma «categoricamente» che Porton Down aveva riconosciuto il veleno come russo.Del resto, aggiunge Blondet sul suo blog, hanno ancora cancellato neppure la “dichiarazione di guerra” dell’ambasciatore britannico a Mosca, Laurie Bristow, che il 22 marzo aveva convocato la stampa estera per confermare l’accusa. «Boris Jonson ha molte domande a cui dovrà rispondere», dice ora detto Jeremy Corbyn, il leader dell’opposizione laburista, che da settimane era sotto un inverosimile uragano di attacchi e insulti da parte dei media britannici (da “traditore” ad “antisemita”) per essersi rifiutato di unirsi al coro di condanne senza prove. Adesso tutti vedono che Corbyn aveva ragione: il governo May cadrà? Ma intanto 28 Stati occidentali, fra cui 15 dell’Unione Europea, si sono uniti all’accusa del tutto infondata abbandonandosi ad espulsioni in massa di diplomatici russi. Per bocca di Donald Tusk e Federica Mogherini, l’Ue ha dichiarato il suo appoggio assoluto al Regno Unito nelle sue false accuse, e la stessa Nato ha espulso sette addetti russi e rifiutato l’accredito a nuovi membri dello staff. «In pratica – osserva Blondet – tutte le nazioni occidentali hanno trattato la Russia da Stato canaglia, Stato criminale, paria delle nazioni, da appestato; hanno comminato nuove e più gravi sanzioni. Senza mai dar credito, nemmeno per un attimo, alle proteste russe di estraneità».E’ andata in scena «una spaventosa prova di aggressività demente, di inciviltà nei rapporti internazionali, che non poteva che preludere a qualche gravissima azione o provocazione bellica, tanto era palesemente mal fondata fin dalle prime fasi». Tanto più spaventosa, aggiunge Blondet, «perché tutti i media mainstream si sono uniti alla canea di accuse, con la bava alla bocca». Uno spettacolo inquietante: «Abbiamo avuto qui una prova dal vivo della criminosa irresponsabilità e del delirio di cui sono capaci i poteri forti, della loro attitudine al pericoloso sragionare in coro dei nostri politici, come ad un segnale convenuto, obbedendo ad automatismi di cui non scorgiamo l’origine, e per questo fanno più paura». Scherza col fuoco, l’Occidente: il governo cinese ha esplicitamente giudicato con sdegno questo comportamento incivile, sul piano internazionale, da parte di europei e statunitensi. E che l’abbia giudicato allarmante lo conferma la visita a Mosca, il 3 aprile, di una delegazione cinese capeggiata dal ministro della difesa Wei Fenghe, il quale ha detto ad alta voce: «La parte cinese è venuta ad informare gli americani di quanto siano stretti i legami tra le forze armate russe e cinesi». Un linguaggio senza edulcorazioni, chiaro e netto: «Quello che Pechino giudica il solo adatto ai gangster occidentali», avverte Blondet.Il punto è che, adesso, nessuno in Europa si sta scusando con Putin per questa «delinquenziale falsità, di cui non sappiamo ancora lo scopo vero». Gentiloni e Alfano? Pur “uscenti”, si sono vilmente accodati: hanno espulso due diplomatici russi, in ossequio alle menzogne di Londra. «Mogherini e Donald Tusk, Macron e Stoltenberg, Merkel, sono in grado di ammettere pubblicamente il loro errore – peggio che errore, solidarietà in una menzogna e complicità in un “false flag”? Per aver inscenato tutti insieme, delinquenti, una provocazione gravissima che solo la fermezza e i nervi d’acciaio di Putin e Lavrov hanno evitato di far precipitare in un conflitto armato, come era probabilmente nei piani di lorsignori?». Blondet è pessimista: «Non credo sapremo mai a cosa mirassero questi delinquenti che ci governano, recitando questa scenata. Forse a preparare una rivincita in Siria? Forse ad allargare fino a rendere irreversibile la frattura fra Russia ed Europa, mira storica della “geopolitica” britannica da McKinder?». Purtroppo, aggiunge Blondet, ci sono dei precedenti «altrettanto inspiegati, risalenti al 1994.Su un aereo proveniente da Mosca, ricorda Blondet, il 10 agosto di quell’anno la polizia di Monaco di Baviera “trovò” 363 grammi di plutonio. «Ovviamente, si scatenò un attacco concertato, da parte dei politici e dei media, sul presunto “commercio del terrore” che veniva dai mal guardati reattori nucleari sovietici; da cui malviventi evidentemente trafugavano plutonio (plutonio!) da vendere sul mercato del terrore». Questo clamore, osserva il giornalista, contribuì a far vincere le elezioni ad Helmuth Kohl. Ci volle quasi un anno di tempo prima che lo “Spiegel” uscisse con la vera storia: sull’aereo russo, il carico di plutonio era stato “piazzato” dai servizi di spionaggio tedeschi (Bnd). A quale scopo? «Varie serie di “rivelazioni” e “gole profonde” non fecero altro che rendere più complesso, e infine indecifrabile, il movente: un classico metodo di insabbiamento a cui in Italia dovremmo essere abituati, da Ustica al caso Moro», scrive Blondet. «Ovviamente ed italicamente, fu messa insieme anche una commissione parlamentare d’inchiesta sul caso – dopotutto sarebbe bene sapere come mai 336 grammi di plutonio fossero nelle disponibilità del Bnd – e come potete già indovinare, finì nel nulla. Il capo del Bnd fu mandato in pensione anticipata, e fu tutto».Non hanno solo accusato, isolato e punito Mosca, con sanzioni e rappresaglie diplomatiche, sulla base di menzogne. Per poterlo fare, qualcuno ha quasi ucciso l’ex spia Sergeij Skripal e sua figlia, due persone intossicate a tradimento con il gas nervino. Ora le loro condizioni stanno migliorando: i due non sono più in pericolo di vita. Ma la notizia è un’altra: l’accusa contro i servizi segreti di Putin sta crollando, rivelandosi una immane “fake news” di Stato, per coprire un auto-attentato “false flag” mal riuscito. Devastante l’ammissione del direttore di Porton Down, i laboratori militari britannici per le armi chimico-batteriologiche: non c’è prova che il Novichock usato (o che sarebbe stato usato) contro Skripal fosse di origine russa. Il punto è che il ministro degli esteri britannico Boris Johnson aveva assicurato, in un tweet del 22 marzo e subito diffuso nel mondo, che «analisi condotte al laboratorio di scienza e tecnologia bellica di Porton Down da esperti di livello mondiale hanno appurato che si tratta dell’agente nervino militare Novichok prodotto in Russia». Il governo, sottolinea Maurizio Blondet, aveva impegnato la parola dei suoi scienziati di fama mondiale senza averli interpellati, e prima ancora che conducessero le indagini. E non è tutto: lo stesso Johnson ha cercato di cancellare il tweet del 22 marzo, negando di aver sostenuto che il nervino fosse d’origine russa, benché sia ancora sul web una sua intervista a “Deutsche Welle” dove afferma «categoricamente» che Porton Down aveva riconosciuto il veleno come russo.
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Dan Olmsted, una morte comoda per l’industria dei vaccini
Una morte “comoda” per l’industria dei vaccini? Dan Olmsted si è spento il 23 gennaio nella sua casa di Falls Church, in Virginia, il giorno prima di un incontro cruciale: il 24 gennaio, secondo alcune fonti, Kennedy Jr, fondatore del World Mercury Project, lo avrebbe presentato a Trump nell’ambito della Commissione per la sicurezza dei vaccini da lui presieduta. Olmsted, ricorda Emanuela Lorenzi, era un grande giornalista investigativo formatosi a Yale, «uno di quelli che ancora scavano dentro e dietro la notizia per ottenere la verità e lo fanno ponendo domande». Per la “United Press International” denunciò l’insabbiamento da parte dell’esercito americano degli effetti neurotossici provocati dal farmaco antimalarico Lariam. Ma è soprattutto noto come fondatore di “The Age of Autism” e vero e proprio “detective dell’autismo”, cui ha consacrato gli ultimi anni della sua vita. Le sue relazioni sono state citate dall’avvocato ambientalista Robert Kennedy Jr, dalla “Columbia Journalism Review” e da David Kirby in una edizione del suo libro “Evidence of harm”.Insieme a Mark Blaxill, padre di una bambina autistica, Dan Olmsted «ha investigato a lungo le cause dell’autismo, rintracciandone la storia ed il costante rapporto con l’esposizione al mercurio», scrive Lorenzi su “Come Don Chisciotte”. Il reporter ha indagato sulla recente epidemia «sovrapponibile all’intensificazione del calendario vaccinale», passando per l’anomalia degli Amish, che rifiutano i vaccini e sono immuni da “effetti collaterali”. Olmsted ha denunciato la “iatrogenicità” di alcuni vaccini, «opponendosi al dogma della teoria genetica e del fatalismo con cui si devono confrontare i genitori dei bambini che ricevono diagnosi di autismo». Per Emanuela Lorenzi, «il tabù dell’eziologia porta in sé l’altro tabù: la guarigione: non si può “guarire” dall’autismo, perché questo proverebbe che non si tratta di una malattia genetica bensì di una malattia causata dall’uomo». A partire dal 2005, Olmsted «aveva indagato attentamente il legame fra autismo e vaccinazioni», fondando “Age of Autism”.In pratica, Olmsted «affermava senza mezzi termini quello che la letteratura scientifica seria (e i pensatori critici i cui neuroni non sono stati ancora totalmente demielinizzati dai vapori di mercurio) sostiene da tempo». E cioè che «con l’intento (apparente) di spazzare via ogni possibile infezione dal pianeta, il paradigma vaccinale ha causato assalti immunitari da iperstimolazione», oltre che «da introduzione di tossine come il mercurio», ma anche «alluminio, arsenico, squalene, formaldeide, polisorbato 80, neomicina, proteine e virus eterologi», nonché «materiale genetico da tessuti di pollo, vacca, cane, scimmia, coniglio, cellule di feti abortiti e virus a Dna ricombinante, endotossine batteriche, glutammato, nanoparticelle». Tutti elementi «che hanno slatentizzato malattie croniche nei nostri bambini, fra le quali l’autismo è solo la più nota», perché poi bisogna considerare «asma, Add, Adhd, diabete giovanile, malattie autoimmuni e molte altre». Il mercurio, osserva Lorenzi, è la sostanza più tossica del pianeta, seconda solo al plutonio: «E mai come per questo veleno è inapplicabile il motto paracelsiano sulla dose: il mercurio (ancora presente nei vaccini in tracce benché non sia obbligatorio riportarlo nel bugiardino) è tossico in quantità sub-micro e nano-molecolari».La quantità di mercurio contenuta nei vaccini antinfluenzali, «incredibilmente raccomandata a neonati e donne in gravidanza (ed inoculata per via parenterale, mentre si sconsiglia agli stessi soggetti di consumare pesci di grossa taglia perché contenenti molto mercurio», bell’esempio di «schizofrenia istituzionale»), secondo Emanuela Lorenzi «è tale da causare danni irreparabili nel sistema immunitario di un feto». E il metilmercurio, forma organica derivata dalla “metilazione” del mercurio inorganico, è infinitamente più tossico. «Olmsted fa anche un cenno alla tossicità delle amalgame dentali che, pur avendo alla base mercurio inorganico, diventano molto pericolose emanando vapori di mercurio già a temperatura corporea», peggio ancora «se sottoposte al calore di una bevanda, allo spazzolamento, alla semplice masticazione, per non parlare del trapanamento del dentista». La morte di Olmsted, «le cui cause non sono state rese note ma il cui tempismo è davvero sospetto», suona come «un duro colpo alla ricerca della verità sull’“era dell’autismo”». Secondo la Lorenzi, «è singolare che si sia verificata proprio mentre “The Age of Autism” denunciava la censura del primo, innovativo e lungamente atteso studio sottoposto a “peer review” che confrontava la salute di vaccinati versus non vaccinati, ritirato a novembre proprio poco prima della pubblicazione».Fra gli scienziati indipendenti non coinvolti nello studio, la dottoressa Stephanie Seneff, ricercatrice “senior” del laboratorio di informatica e intelligenza artificiale del Mit, ha dichiarato: «I risultati sono allarmanti, e ci obbligano a mettere seriamente in dubbio che i benefici dei vaccini prevalgano sui rischi». Su “HealthCare”, il 22 febbraio, il giornalista James Grundvig scrive: perché i centri di controllo e prevenzione non hanno mai finanziato uno studio del genere? L’agenzia sanitaria ha evitato di farlo di proposito? «Sembra che sia così», conclude Grundvig, «poiché andava contro il messaggio dei Cdc (Centers for Disease Control and Prevention) che recita che “i vaccini sono tutti sicuri”». Alcune scoperte dello studio sono illuminanti, come l’incidenza sproporzionata di disturbi cronici nei bambini con differenziazioni etniche, di genere e classe sociale, in modi che né gli autori né i finanziatori dello studio immaginavano. «In sintesi: vaccinazione, razza nera e sesso maschile erano significativamente associati alle patologie del neurosviluppo (Ndd) dopo aver tenuto conto di altri fattori. La nascita pre-termine combinata con la vaccinazione costituiva un forte fattore per lo sviluppo di Ndd nel modello finale, con un aumento pari a più del doppio di probabilità di Ndd rispetto alla sola vaccinazione».Lo studio, in effetti, non è mai stato ritirato: è stato “non accettato”. «Cosa resta di uno studio dopo che è stato accettato, visionato dalla comunità scientifica 80.000 volte in meno di 100 ore? La censura», scrive Lorenzi, che aggiunge: «Forse non è il caso di tirare fuori la Cia. Forse anche Big Pharma piangerà questa morte». Attenzione: nella sua recente lettera a Trump del 7 febbraio, la American Academy of Pediatrics, «un’organizzazione sindacale che non è certo immune da conflitti di interesse», protestando contro la costituzione di una Commissione per la sicurezza vaccinale e adducendo una serie di studi che ne proverebbero l’inutilità, ha «dimenticato di annoverare una cinquantina di studi che gettano quantomeno un’ombra equivoca sull’ “inequivocabile sostegno” espresso nei confronti della sicurezza dei vaccini». Gli studi dell’associazione pediatrica «sono pieni di conflitti di interesse, inesattezze e persino scandali». Uno dei redattori «ha dichiarato di avere, con i colleghi, gettato via dei dati commettendo frode scientifica».Il dottor William Thompson se ne scusa: «Sono dispiaciuto che i miei colleghi ed io abbiamo omesso informazioni statisticamente rilevanti nel nostro articolo del 2004 pubblicato sulla rivista “Pediatrics”». I dati omessi, continua Thompson, «suggeriscono che i maschi afroamericani che hanno ricevuto il vaccino Mpr prima dei 36 mesi di età hanno riportato un aumentato rischio di autismo. Sono state prese decisioni in merito a quali scoperte riportare dopo la raccolta dei dati, ed io credo che il protocollo finale dello studio non sia stato nemmeno seguito». Un altro redattore, Poul Thorsen, che Emanuela Lorenzi definisce «un criminale ricercato», è accusato di «aver sottratto fondi ai Cdc», i centri di prevenzione e cura. Questo studio, scrive la “Vaccines Safety Commission”, «mostra inequivocabilmente che alcuni vaccini causano vari tic, una condizione neurologica devastante». Informazione «ad ulteriore sostegno di una Commissione per la sicurezza vaccinale».Una morte “comoda” per l’industria dei vaccini? Dan Olmsted si è spento il 23 gennaio nella sua casa di Falls Church, in Virginia, il giorno prima di un incontro cruciale: il 24 gennaio, secondo alcune fonti, Kennedy Jr, fondatore del World Mercury Project, lo avrebbe presentato a Trump nell’ambito della Commissione per la sicurezza dei vaccini da lui presieduta. Olmsted, ricorda Emanuela Lorenzi, era un grande giornalista investigativo formatosi a Yale, «uno di quelli che ancora scavano dentro e dietro la notizia per ottenere la verità e lo fanno ponendo domande». Per la “United Press International” denunciò l’insabbiamento da parte dell’esercito americano degli effetti neurotossici provocati dal farmaco antimalarico Lariam. Ma è soprattutto noto come fondatore di “The Age of Autism” e vero e proprio “detective dell’autismo”, cui ha consacrato gli ultimi anni della sua vita. Le sue relazioni sono state citate dall’avvocato ambientalista Robert Kennedy Jr, dalla “Columbia Journalism Review” e da David Kirby in una edizione del suo libro “Evidence of harm”.
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Può scapparci una bomba (atomica) se giochi coi terroristi
L’America fa paura: è indebolita ma resta pericolosa, senza una vera leadership. Non sta cercando di inziare una Terza Guerra Mondiale contro la Russia, ma un “incidente” con armi nucleari non è da escludere, a forza di “giocare” coi terroristi, armati e arruolati per servire Washington sotto falsa bandiera. Lo afferma Dmitry Orlov, scrittore e ingegnere russo-americano. «I vertici militari e i politici possono anche essere deliranti, megalomani e potenzialmente suicidi, ma i personaggi di medio livello che sviluppano i piani di guerra hanno di rado tendenze suicide», premette Orlov. Inoltre, nel teatro che più di ogni altro potrebbe provocare l’irreparabile – la Siria – Mosca ha «accuratamente limitato le opzioni del Pentagono». Per abbattere il governo Assad servirebbe infatti l’imposizione di una “no-fly zone”, che però è impossibile: i russi hanno dotato i siriani del sistema missilistico S-300, «che può abbattere qualunque cosa voli sui cieli di quasi tutta la Siria e parte della Turchia». Il motivo principale per iniziare una guerra, oggi? «E’ il fatto che l’esercito siriano sta vincendo la battaglia di Aleppo». Una in fuga «gli jihadisti appoggiati dagli americani», la guerra civile siriana «sarà praticamente finita e inizierà la ricostruzione».Questo risultato appare sempre più inevitabile, scrive Orlov in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. E così, «il progetto americano di vedere una bandiera nera sventolare su Damasco è in frantumi». Ma, «siccome gli americani sono gente che non sa perdere», c’è il rischio che qualcuno possa «commettere azioni casuali e autodistruttive». Dietro alla cosiddetta “isteria anti-Putin”, comunque, Orlov vede soprattutto il riflesso della “isteria anti-Trump”: «La stampa corporativa è tutta a favore della Clinton». E la strategia della Clinton, «anche se patetica», consiste nell’affermare che Trump «è il fattorino di Putin», perciò «la strategia è demonizzare Putin e sperare che un po’ di questa demonizzazione ricada su Trump». Ma non funziona: «I recenti sondaggi di opinione negli Stati Uniti mostrano che Putin è più popolare sia della Clinton che di Trump». Eppure, «la preoccupazione che la guerra con la Russia possa scoppiare per un incidente rimane», visto anche il “talento” dimostrato dagli Stati Uniti, in passato, nel creare disastri.Gli americani, ricorda Orlov, contrastarono con successo l’Unione Sovietica in Afghanistan armando e addestrando estremisti islamici (i Mujaheddin), e questo «è solo un esempio di dove il “terrorismo americano per interposta persona” ha avuto successo». Terrorismo «inventato per l’occasione da Zbigniew Brzezinski e Jimmy Carter», fu in sostanza «un piano per distruggere l’Afghanistan allo scopo di salvarlo e, in pratica, funzionò, ma solo per la parte che riguardava la distruzione dell’Afghanistan». Da allora in poi, il piano «è fallito tutte le volte, a tutti i livelli, ma questo non ha impedito agli americani di perseverare nei tentativi di utilizzarlo». Vero: «Ci hanno provato in Cecenia, finanziando e armando i separatisti ceceni, ma lì la Russia ha avuto il sopravvento e ora la Cecenia è una parte pacifica della Federazione Russa. E naturalmente ci hanno provato in Siria, nel corso degli ultimi cinque anni, con gli stessi, scarsi risultati». Se la Siria seguirà l’esempio ceceno, continua Orlov, nel prossimo decennio «sarà una repubblica riunificata, secolare, con elezioni libere e democratiche, ricostruita con l’assistenza russa e cinese e con i grattacieli di Aleppo che rivaleggeranno con quelli della ricostruita Grozny, in Cecenia».Nel frattempo, gli Usa continueranno con i tentativi di usare altrove il loro “terrorismo per interposta persona”? «Si potrebbe pensare che, dopo il loro fallimento nel sostenere i “combattenti per la libertà” in Cecenia, gli strateghi americani abbiano imparato la semplice lezione: il “terrorismo per interposta persona” non funziona. Ma non imparano quasi mai dai loro errori», preferendo «raddoppiare la posta in gioco di questa tattica fallimentare». Infatti, «mentre usavano i terroristi per contrastare i sovietici in Afghanistan, hanno accidentalmente creato i Talebani, poi hanno invaso l’Afghanistan e hanno combattuto i Talebani per tutti gli ultimi 15 anni, ogni volta sempre con meno successo». Quando poi il “terrorismo per interposta persona” contro i propri nemici è fallito, «gli americani hanno poi deciso di usarlo contro se stessi: un attacco terroristico, presumibilmente commesso l’11 Settembre dalle stesse persone che essi avevano addestrato ad equipaggiato in Afganistan, rinominate al-Qaeda, li spinse ad attaccare l’Iraq». All’epoca non c’erano terroristi in Iraq, ma gli americani “risolsero” subito il problema: smantellarono l’esercito di Saddam creando la nuova milizia che chiamarono Nic, cioè “New Iraqi Corps”, «beatamente ignoranti del fatto che “nic”, nell’idioma locale, vuol dire “fottere”».Intanto, agli ufficiali iracheni imprigionati veniva data ampia opportunità di esasperarsi, di creare una rete di collegamenti e di confrontarsi a vicenda; sicché, «dopo il loro rilascio fondarono l’Isis, che a sua volta si prese una bella fetta di Iraq, poi di Siria». Il problema degli Usa, oggi, è l’assenza di leadership: «Né Obama, né la Clinton, né Trump contano», sostiene Orlov. Così, senza un vero piano in ambito geopolitico, «vengono cautamente confinati e contrastati da altre nazioni, le quali hanno capito che, anche nella loro senescenza e decrepitezza, gli Stati Uniti rimangono (comunque) pericolosi». C’è da temere che continuino a ricorrere al “terrorismo per interposta persona”, «anche se periodicamente si faranno male da soli», ma a un certo punto qualche scheggia impazzita «potrebbe accidentalmente scappare di mano e scatenare un conflitto maggiore». I media accreditano la sensazione di una rottura definitiva tra Mosca e Washington, per esempio sulla Siria, dove invece Usa e Russia hanno solo sospeso i negoziati bilaterali – quelli multilaterali, invece, continuano. Ma attenzione: i russi non resteranno accomodanti all’infinito, avverte Orlov.Di recente, Mosca ha reagito a muso duro dopo l’“accidentale” bombardamento delle truppe siriane a Deir-ez-Zor, chiaramente coordinato con l’Isis, che immediatamente dopo l’attacco è passato all’offensiva. Una palese violazione del cessate il fuoco, che ha indotto i russi a definire gli statunitensi “incapaci di onorare un accordo”. Peggio ancora: «Alcuni osservatori hanno fatto notare che il fiasco di Deir-ez-Zor fa capire come l’amministrazione Obama non abbia più il controllo del Pentagono». Ipotesi rafforzata quando «gli americani, o i loro terroristi mercenari, hanno bombardato un convoglio umanitario e hanno tentato di scaricare la colpa sui russi». In più, i russi hanno appena cancellato un accordo sulla riduzione dell’eccesso di plutonio, «l’unico trattato sulla riduzione delle armi che Obama era riuscito a negoziare in tutti i suoi otto anni di incarico». Motivo del dietrofront russo: gli Usa «non sono riusciti a smaltire la loro quota di plutonio». La Casa Bianca ha subito la “punizione” senza neanche un minimo accenno sulla stampa nazionale, «che probabilmente era troppo impegnata a fare l’isterica».L’America fa paura: è indebolita ma resta pericolosa, senza una vera leadership. Non sta cercando di inziare una Terza Guerra Mondiale contro la Russia, ma un “incidente” con armi nucleari non è da escludere, a forza di “giocare” coi terroristi, armati e arruolati per servire Washington sotto falsa bandiera. Lo afferma Dmitry Orlov, scrittore e ingegnere russo-americano. «I vertici militari e i politici possono anche essere deliranti, megalomani e potenzialmente suicidi, ma i personaggi di medio livello che sviluppano i piani di guerra hanno di rado tendenze suicide», premette Orlov. Inoltre, nel teatro che più di ogni altro potrebbe provocare l’irreparabile – la Siria – Mosca ha «accuratamente limitato le opzioni del Pentagono». Per abbattere il governo Assad servirebbe infatti l’imposizione di una “no-fly zone”, che però è impossibile: i russi hanno dotato i siriani del sistema missilistico S-300, «che può abbattere qualunque cosa voli sui cieli di quasi tutta la Siria e parte della Turchia». Il motivo principale per iniziare una guerra, oggi? «E’ il fatto che l’esercito siriano sta vincendo la battaglia di Aleppo». Una volta in fuga «gli jihadisti appoggiati dagli americani», la guerra civile siriana «sarà praticamente finita e inizierà la ricostruzione».
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Il segreto di Mayak, peggio di Chernobyl e Fukushima
Chernobyl e Fukushima non sono state le uniche catastrofi nucleari planetarie. Dietro gli Urali, nella regione di Chelyabinsk, una delle più inquinate di tutta la Russia, si sono infatti verificati tre gravissimi incidenti. La centrale di Mayak (che in russo significa “faro”) nacque nel 1949 per produrre plutonio per armi nucleari, e dal 1949 al 1952 riversò circa 76 milioni di metri cubi di rifiuti liquidi altamente radioattivi – principalmente cesio e stronzio – nel Techa, fiume lungo il quale vivevano circa 124.000 persone, divise in villaggi dediti all’agricoltura e all’allevamento. Nel 1957, nell’impianto di Mayak esplose un serbatoio di rifiuti radioattivi e, oltre al cesio e allo stronzio, si aggiunse il ben più pericoloso plutonio; l’esplosione formò una nube radioattiva che coprì un’area di circa 23.000 chilometri quadrati, creando l’area della “East Ural Radioactive Trace” e sprigionando almeno il doppio dei radionuclidi dell’incidente di Chernobyl.Il terzo incidente ebbe luogo nel 1967, quando il Lago Karachay, usato per lo smaltimento dei rifiuti nucleari più pericolosi, si asciugò a causa di un’estate torrida, e i venti spazzarono le sue polveri radioattive per un’area di circa 2.000 chilometri quadrati. Questi incidenti, la cui gravità si evince anche solo dai numeri, furono tenuti completamente segreti fino all’esplosione di Chernobyl. Dopo questo incidente, che più di quello di Three Mile Island (Usa) focalizzò l’attenzione dell’intero pianeta sulla pericolosità della produzione di energia da fonte nucleare, il governo sovietico non fu più in grado di nascondere i disastri precedenti. Oggi, a cercare di fare luce su queste remote stragi ambientali e sociali sono tre italiani: il documentarista Alessandro Tesei, già autore del pluripremiato film Fukushame, in cui si mostrano le falle del sistema giapponese nell’affrontare la strage di Fukushima, il fotoreporter Pierpaolo Mittica e il ricercatore e antropologo Michele Marcolin. Obiettivo dei tre? Raccontare in un documentario cosa è successo in quei luoghi dimenticati dalla storia.«La ricerca si è sviluppata tra visite nei luoghi contaminati e interviste a persone coinvolte all’epoca dai vari incidenti, per capire come hanno vissuto in quegli anni, e come ora affrontano l’aumento esponenziale di morti per tumore e di malformazioni e problemi mentali alla nascita», racconta Tesei: «Abbiamo trovato una grande confusione, e diversi modi di trattare sia il problema che le persone: alcune vivono ancora a ridosso del fiume Techa, e il governo russo gli concede una misera pensione di circa 6 euro al mese. Altre sono state evacuate in zone ugualmente contaminate. Altre ancora sono riuscite, dopo intense battaglie legali, a ottenere dei risarcimenti che gli hanno permesso di spostarsi in zone più salubri». Il farsi riconoscere lo status di vittima della contaminazione è però complesso, aggiunge il filmaker, «e ovviamente il governo russo, così come sta facendo a Fukushima quello giapponese, crea dei muri di burocrazia che confondono e spesso dissuadono le persone dal far valere i propri diritti».I documentaristi italiani sono stati guidati in questo viaggio da Nadezhda Kutepova, storica attivista e avvocatessa che aiuta le persone di quelle zone a farsi valere tramite azioni legali. «Grazie a lei abbiamo avuto addirittura la possibilità di assistere a un processo per il riconoscimento dello status di vittima delle radiazioni, che è stato vinto dalla sua assistita. Una spinta per tutti quelli che pensano di rinunciare in partenza, spaventati dalle prime difficoltà», rivela Tesei. «Molte altre cose ci sarebbero da aggiungere – conclude il regista marchigiano – ma ciò che davvero spaventa e lascia increduli è il fatto che ogni governo, sia esso russo, giapponese o italiano, nel corso del tempo e perfettamente consapevole delle conseguenze di scelte scellerate, continui imperterrito a comportarsi in maniera criminale ai danni della comunità». Da Kyshym a Fukushima sono passati 54 anni. Ma la storia, in effetti, sembra sempre la stessa.(Andrea Bertaglio, “Nel 1957 a Mayak la catastrofe nucleare più grave della storia”, da “La Stampa” del 2 agosto 2014).Chernobyl e Fukushima non sono state le uniche catastrofi nucleari planetarie. Dietro gli Urali, nella regione di Chelyabinsk, una delle più inquinate di tutta la Russia, si sono infatti verificati tre gravissimi incidenti. La centrale di Mayak (che in russo significa “faro”) nacque nel 1949 per produrre plutonio per armi nucleari, e dal 1949 al 1952 riversò circa 76 milioni di metri cubi di rifiuti liquidi altamente radioattivi – principalmente cesio e stronzio – nel Techa, fiume lungo il quale vivevano circa 124.000 persone, divise in villaggi dediti all’agricoltura e all’allevamento. Nel 1957, nell’impianto di Mayak esplose un serbatoio di rifiuti radioattivi e, oltre al cesio e allo stronzio, si aggiunse il ben più pericoloso plutonio; l’esplosione formò una nube radioattiva che coprì un’area di circa 23.000 chilometri quadrati, creando l’area della “East Ural Radioactive Trace” e sprigionando almeno il doppio dei radionuclidi dell’incidente di Chernobyl.