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Archivio del Tag ‘populismo’

  • Recovery, cioè super-rigore: d’ora in poi ci governa Berlino

    Scritto il 22/7/20 • nella Categoria: idee • (1)

    Come sarebbe andata a finire lo si poteva capire già nella notte di domenica, quando Giuseppe Conte, rivolgendosi all’olandese Mark Rutte, ha detto: «Il mio paese ha una sua dignità. C’è un limite che non va superato», aggiungendo il dubbio che «si voglia piegare il braccio a un paese perché non possa usare i fondi». In quel momento è stato inevitabile ripensare ad Alexis Tsipras, in un’altra notte di luglio, quella del 2015, che nella stessa sede (solo qualche faccia diversa) si era alzato togliendosi la giacca per porgerla alla Merkel sbottando: «A questo punto, prendetevi anche questa…». Poi, com’è noto, la Troika si precipitò rapace su Atene, assumendone il pieno controllo e dando il via al saccheggio di tutto quel che di pubblico poteva essere svenduto (porti, aeroporti, centrali, ecc), tagliato (salari, sanità e pensioni), impegnato. All’Italia di Conte è andata leggerissimamente meglio, in apparenza, visto il diverso peso economico in Europa – terza economia dell’Unione – che renderebbe il tracollo senza freni di questo Paese un detonatore devastante per tutti, più della pandemia. Ma per separare con chiarezza la realtà di quanto “concordato” dalla “narrazione” che ne viene fatta già a botta calda, sarà bene vedere i singoli punti del compromesso finale, firmato alle 5.32 del mattino, al quinto giorno di un vertice che doveva durarne due.
    Il “successo” della Ue sta solo nel fatto che ne sia stato firmato uno, cosa che ad un certo punto sembrava persino improbabile. Ma nessuno dei 27 leaderini spaventati e feroci poteva tornare a casa senza questo risultato. Avrebbe significato la fine di un sistema di trattati e istituzioni, sanzionato pesantemente dai “mercati” e quindi un moltiplicatore degli effetti negativi della pandemia che avrebbe alla fine travolto anche chi si sente meno esposto. Qui si consuma tutta la “vittoria” del povero Conte. Alla fine viene confermata la cifra di 750 miliardi complessivi, 390 dei quali in “trasferimenti” (dovevano essere 500, definiti impropriamente “a fondo perduto”) e 360 in normali prestiti (e relativo aumento del debito pubblico). Per l’Italia, viene detto con grande enfasi su tutti i canali, c’è addirittura una cifra superiore alle attese, almeno sul piano astratto: 209 miliardi, invece degli originari 170, anche se con una ripartizione parecchio diversa tra trasferimenti (grants, 81 miliardi) e prestiti (loans, 127). La differenza è quasi 38 miliardi, ossia quelli ottenibili con il famigerato Mes, ma con condizioni pressoché identiche, se non anche peggiori (lo sapremo da un esame più dettagliato).
    Da dove vengono fuori questi soldi, lo abbiamo spiegato molte volte e dunque non ci dilunghiamo nei dettagli. Vengono reperiti sui mercati tramite “titoli europei”, garantiti dai singoli Stati pro quota, in percentuale sul Pil. In questo senso, si tratta di una “condivisione del debito” una tantum, limitatamente a questo episodio che si vorrebbe irripetibile. Dunque neanche la parte “a fondo perduto” è fatta di “soldi regalati”. Anzi, si tratta di “soldi nostri” che possono essere spesi solo col permesso altrui e secondo “direttive” che, come quasi sempre, ci massacrano come popolazione. Ogni paese dovrà versare la sua parte – sotto forma di interessi sul debito comune, e il normale rimborso a scadenza dei titoli, quindi nel futuro più o meno lontano – e ricevere una percentuale leggermente diversa a seconda della gravità dei danni ricevuti dalla pandemia. Su questa parte, dicevamo altrove, va fatto il calcolo del dare e dell’avere, e vedere se c’è una differenza positiva oppure no. Non c’è, già secondo il meccanismo originariamente proposto da Merkel, Macron e von der Leyen. Vedremo il quanto non appena avremo fatto i calcoli con la versione appena firmata. Il vero cuore del lunghissimo conflitto è stato su questo punto, in tutta evidenza politico.
    Nessuno contestava la necessità di un “intervento straordinario”, visto che tutti i paesi sono stati duramente colpiti dalla crisi. Ma tutti capivano che questa era una straordinaria occasione per riscrivere le gerarchie dei poteri fra i 27 e dentro le istituzioni comunitarie, stabilendo con chiarezza definitiva chi comanda e chi si impoverisce. Che l’Unione Europea sia soltanto un ring dove partner teorici si scambiano calci sotto la sedia, sgambetti, agguati dietro ogni angolo, per guadagnarci a scapito degli altri (in una “economia chiusa”, almeno in parte, il gioco è sempre a somma zero), lo abbiamo spiegato spesso. Ma ora si è visto con chiarezza. Per quattro lunghi giorni che hanno messo “europeisti” media mainstream in fortissimo imbarazzo. Il nocciolo dello scontro, come riferito con disarmante sconforto da ogni inviato a Bruxelles, riguardava il “potere di veto” preteso dall’olandese Mark Rutte su ogni tranche di erogazione del fondo ad ogni singolo paese (ma in primo luogo all’Italia, eletta a “sorvegliato speciale”, e non da ora).
    Un meccanismo folle – uno qualsiasi dei 27 avrebbe potuto bloccare tutto in ogni momento, in un infermo di veti incrociati e prevedibili ritorsioni che avrebbe significato la paralisi del Recovery Fund e della stessa Ue – che metteva in discussione le stesse istituzioni comunitarie create per questo (Commissione Europea, Eurogruppo, Mes, ecc). Su questo, non a caso, c’è stata l’ultima sospensione del vertice – intorno alla mezzanotte – per cercare un “compromesso specifico” che accontentasse chi voleva poter tirare un “fremo d’emergenza” e chi, comprensibilmente, riteneva questo “un’offesa alla dignità” del proprio paese, oltre che una stronzata sul piano istituzionale. Alla fine la posizione contraria di Conte (condivisa da Spagna, Grecia, Portogallo) è stata schiacciata senza pietà. Segno certo che dietro il gruppetto dei sedicenti “frugali” c’è la ben più potente mano tedesca, che ha usato i “nanerottoli uniti” per imbavagliare un “paese grande” senza doversi esporre più di tanto (anzi, facendo la parte del “poliziotto buono”).
    Vediamo il meccanismo infine approvato: quando, in autunno, ogni governo proporrà il suo “Piano nazionale di riforme”, precondizione per accedere al Recovery Fund, la Commissione deciderà entro due mesi se promuoverlo in base a quanto rispetta le indicazioni comunitarie in materia di politiche verdi, digitali e, soprattutto, delle raccomandazioni Ue 2019-2020. Per l’Italia, in particolare, si tratterà di mettere in campo le riforme di pensioni, lavoro, giustizia, pubblica amministrazione, istruzione e sanità. A scanso di equivoci, visto che si tratta di ridurre sul lungo periodo un debito pubblico che in questo frangente necessariamente aumenta, si parla di tagli draconiani su tutti questi capitoli (che costituiscono del resto, come in ogni paese europeo, il grosso della spesa pubblica). Altro che “autunno caldo”, potremmo avere parecchi anni vulcanici, come temperatura sociale oggettiva…
    Fin qui, il giudizio sulla “ammissibilità” o meno dei singoli piani nazionali spettava alla Commissione Europea, insomma il “governo” comunitario guidato dalla von der Leyen. Ora, accettando di fatto la posizione olandese (e tedesca, altrimenti non sarebbe mai passata), il giudizio di Bruxelles sarà però votato anche dai ministri a maggioranza qualificata. In pratica basta un gruppo di paesi che rappresenta il 35% della popolazione dei 27 a bloccare ogni singola erogazione delle “rate” del Recovery. I “frugali” non dispongono di quelle dimensioni, perciò è chiarissimo che questo meccanismo prevede l’intervento di un “grande paese”, con capitale Berlino. A sua discrezione… Nei fatti, le singole decisioni sui pagamenti della Commissione dovranno essere confermate dagli sherpa dei ministeri delle finanze della zona euro (Efc) «per consenso»: non proprio un “diritto di veto”, ma qualcosa che ci somiglia molto. Non a caso, al momento dell’ennesima sospensione notturna, il testo dell’accordo recitava: «Se uno o più governi» dovessero vedere «serie deviazioni dai target», avrebbero potuto chiedere che la situazione di un singolo paese venga poi discussa al successivo Consiglio Europeo, mentre la Commissione avrebbe dovuto bloccare i pagamenti.
    Al di là dei giochini da azzeccagarbugli – classici, anche a questo livello, visto che la Ue è un sistema di “contratti”, più che di trattati – ne esce rafforzatissima la “sorveglianza” sui singoli paesi, a partire ovviamente da quelli mediterranei, che hanno gli scostamento più significativi rispetto ai parametri di Maastricht. Lo si vede anche dalla dimensione dei “rebates” (sconti sui contributi nazionali da versare nella “cassa comune europea”) di cui usufruiscono da anni molti “frugali” e che escono fortemente aumentati da questo “accordo”. Il tutto con una torsione dello stesso funzionamento istituzionale della Ue, perché il baricentro della governance viene spostato dalle strutture comunitarie a “gruppi di paesi” sufficientemente decisi a inchiodare un “partner” considerato un concorrente da disossare. Una furbata, in apparenza, ma che rischia di diventare ben presto una miscela esplosiva per tensioni interne che, si è visto, nessuno è in grado di governare davvero con soddisfazione di tutti gli interessi in campo. Naturalmente la narrazione subito messa in campo dice l’esatto opposto. “Vittoria”, “isolamento dei frugali” e sciocchezze varie inventate di sana pianta. Un cerotto su ferite sanguinose che si vedranno a breve termine, peraltro.
    Già alla fine dell’anno, infatti, ci potrebbe essere il primo stop sulla prima rata da riscuotere – ben che vada – a metà del prossimo anno, quando gli effetti della crisi sul sistema produttivo e la tenuta sociale di molti paesi, a partire dal nostro, saranno già esplosi. Che questa narrazione sia fasulla, lo si è visto proprio dagli schieramenti in campo a Bruxelles, dove “europeisti” e “populisti” si sono allegramente mescolati tra loro per affermare, semplicemente, il massimo dell’interesse puramente nazionale. E altrettanto avviene in Italia, con Berlusconi e Meloni “comprensivi” con il governo e il solo Salvini a fingere una bellicosità critica a fini puramente elettorali. I capitoli su cui ogni governo dovrà mettere le mani sono chiarissimi, scritti neri su bianco: pensioni (quelle in essere, visto che quelle future sono già quasi azzerate), istruzione, sanità, mercato del lavoro, amministrazione pubblica e “giustizia” da efficientare per garantire che le imprese non restino impigliate in processi civili dalla durata decennale. Le “misure impopolari” che anche il governo Conte aveva in preparazione (ma non annunciate, chissà perché…), e che anche Mark Rutte apprezzava, saranno la quotidianità per lungo tempo. La Grecia del 2015, del resto, è stata sacrificata proprio per costituire un precedente inequivocabile. Ora tocca a noi, e non solo a noi…
    (Dante Barontini, “Da oggi in poi ci governa Berlino”, analisi pubblicata da “Contropiano” e ripresa da “Come Don Chisciotte” il 21 luglio 2020).

    Come sarebbe andata a finire lo si poteva capire già nella notte di domenica, quando Giuseppe Conte, rivolgendosi all’olandese Mark Rutte, ha detto: «Il mio paese ha una sua dignità. C’è un limite che non va superato», aggiungendo il dubbio che «si voglia piegare il braccio a un paese perché non possa usare i fondi». In quel momento è stato inevitabile ripensare ad Alexis Tsipras, in un’altra notte di luglio, quella del 2015, che nella stessa sede (solo qualche faccia diversa) si era alzato togliendosi la giacca per porgerla alla Merkel sbottando: «A questo punto, prendetevi anche questa…». Poi, com’è noto, la Troika si precipitò rapace su Atene, assumendone il pieno controllo e dando il via al saccheggio di tutto quel che di pubblico poteva essere svenduto (porti, aeroporti, centrali, ecc), tagliato (salari, sanità e pensioni), impegnato. All’Italia di Conte è andata leggerissimamente meglio, in apparenza, visto il diverso peso economico in Europa – terza economia dell’Unione – che renderebbe il tracollo senza freni di questo Paese un detonatore devastante per tutti, più della pandemia. Ma per separare con chiarezza la realtà di quanto “concordato” dalla “narrazione” che ne viene fatta già a botta calda, sarà bene vedere i singoli punti del compromesso finale, firmato alle 5.32 del mattino, al quinto giorno di un vertice che doveva durarne due.

  • Per gli idioti, la pandemia colpisce solo gli scettici sovranisti

    Scritto il 20/7/20 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Hanno trasformato la pandemia in pantomima. Una tragedia mutata in pagliacciata globale. Dunque, lo schema della fiaba con intenti moralistici e punitivi è il seguente. La pandemia nata in Cina, cresciuta in Asia, infuria nel mondo ma ci sono tre nazioni carogne guidate da tre canaglie che sono paladini, impresari e veicoli della pandemia. I tre porcellini in questione si chiamano Donald Trump, Boris Johnson e Jair Bolsonaro, e guarda caso sono tutti “sovranisti”, conservatori o nazional-populisti. Una mezza scomunica arriva pure all’India dove c’è un mezzo nazionalista, Narendra Modi. E una velenosa maledizione scende sulla Russia del Maledetto Zarista-sovranista Vladmir Putin. Il Covid ha una sua morale progressista, secondo i media, punisce chi dubita della sua virulenza ed è sovranista. Fa eccezione la Svezia dove un governo socialdemocratico ha usato la linea aperta sul Covid ma per questi non vale la punizione divina né l’allarme sui dati. Sugli altri paesi si dice poco e niente, le stragi del Covid in Africa, in Asia o nei Caraibi vengono dimenticate, i contagi tra i migranti passano in sordina, e comunque mai col tono usato per i Tre Porcellini, che è riassunto nell’espressione “ben ti sta”, “te lo sei cercato”.
    Se Johnson o Bolsonaro risultano positivi al virus è un peana euforico degli umanitari, un inno progressista al Covid, un’ola di liberazione che fa il tifo per la Bestia, che in questo caso è il virus, anche se per loro la Vera bestia è la sua vittima sovranità. È inutile dire che la traduzione dei Tre Porcellini in Italia è Prosciutto & Meloni, ove per Prosciutto s’intende Salvini-Suini e per Meloni s’intende Giorgia regina de’ Coatti. Avvertenza d’obbligo, anche se più volte espressa: nessuna simpatia per Trump e Bolsonaro (un po’ per Johnson), antipatia per i loro nemici e competitori. Ogni giorno, a partire da quella cloaca grillo-contina che è il Tg1, lo schema è sempre lo stesso: i Buoni sono la Cina e la Contea d’Italia da cui arrivano notizie radiose e profilassi efficaci, mentre i cattivi sono gli Usa, il Brasile, la Russia, ecc., da cui arrivano sempre notizie sinistre condite da errori colossali dei leader. L’impressione che lasciano ai cittadini italiani è che quei paesi stiano toccando vertici pazzeschi di contagio e di vittime e siano esposti al male per una scelta ideologica folle prima che sanitaria: sono stati liberisti con il virus, hanno lasciato proseguire l’economia, hanno lasciato a piede libero le popolazioni, dunque vanno puniti e intubati.
    Allora vorrei fare una piccola riflessione che non è un pensiero profondo ma un calcolo elementare e banale di quelli che si fanno sui libri delle scuole elementari. Dunque, prendiamo la tabella delle vittime e paragoniamo. Il Brasile, che dai nostri media sembra il paese più devastato, ha attualmente 66mila morti. La popolazione brasiliana è composta di 209 milioni di persone, cioè tre volte e mezzo circa l’Italia. In Italia sono morte circa 36mila persone su 60 milioni: la percentuale di vittime da noi è decisamente più alta, almeno finora. Ma la nostra percentuale è più alta persino degli Stati Uniti, se si considera che gli Usa hanno una popolazione cinque volte superiore all’Italia e hanno 130mila morti. In percentuale, l’Italia ha lo 0,60, gli Usa lo 0,43, il Brasile lo 0,33 di deceduti rispetto alle popolazioni. Ancora: la malefica, devastata Russia ha “solo” 11mila morti su una popolazione di 150 milioni. Nell’India sotto Covid i morti sono 15mila, su un miliardo e quattrocento milioni d’abitanti…
    Facile e giusta l’obiezione: ci sono paesi in cui i morti non si contano, almeno non in relazione al Covid. Certo, vale per il Brasile come per la Russia e l’India, ma come per la Cina, che dichiara un numero di morti inattendibile rispetto alla realtà, e Cuba e tanti altri paesi del Terzo Mondo, per non dire dell’Africa. Dai dati ufficiali risulta che il nostro paese è stato tra i più colpiti al mondo, nonostante il lockdown e le vanterie governative. E ha, non mi stancherò di ripeterlo, una percentuale altissima di deceduti nel rapporto tra contagiati e morti. Nel mondo, tuttora, siamo con gli inglesi ai vertici della classifica. Dipenderà dai tamponi praticati, o come dicono alcuni ridicoli fintopatrioti, dipende dal fatto che noi abbiamo dichiarato i dati veri, perché noi siamo notoriamente onesti, universalmente noti come i più onesti al mondo, mentre tutti gli altri no… A parte che non è vero, anche da noi sia i contagiati che le vittime in Lombardia erano in realtà molte di più; non c’è dunque una spiegazione razionale, o almeno ragionevole, alla tesi che nelle classifiche mondiali di contagiati e deceduti noi soli avremmo dato i numeri veri e perciò risultiamo quelli dove ci sono più morti in relazione al numero dei contagiati.
    Tutto questo non ci porta a capovolgere la pantomima dei media ma a ripristinare perlomeno la verità: non possiamo reputarci meno colpiti dei brasiliani, degli statunitensi, dei russi, degli indiani e di chi volete voi. Siamo nelle stesse condizioni, anche se in tempi diversi e nonostante le profilassi diverse. Sul piano delle responsabilità bisogna certo rimarcare i ritardi, le sottovalutazioni, gli errori, e poi i falsi ottimisti, perniciosi quanto i catastrofisti e i terroristi sanitari. Ma evitiamo per favore di dare una lettura politica, ideologica o addirittura elettorale (vedi Trump) alla pandemia. Altrimenti stabiliamo pure un nesso tra il Covid è le repressioni cinesi a Hong Kong (su cui tacciono tutti in Italia, e il ministro degli esteri Di Maio evidentemente crede che la Cina stia combattendo eroicamente contro King Kong).
    Non dimentichiamo che i paesi in questione sono stati i destinatari incolpevoli del virus e il mittente colposo, almeno così possiamo chiamarlo, è la Repubblica Popolare Cinese; e se non vogliamo tirare ancora in ballo la questione dei laboratori e dei ritardi e omertà nel dare notizia del virus, dobbiamo almeno dire che le abitudini alimentari cinesi sono ancora pericolosamente incuranti dei rischi provenienti da alcune carni e alcuni animali. Perché se tutto si riduce alla fatua, manichea, puerile distinzione politica, allora dite pure che i sovranisti sono stati attaccati dal morbo, ma aggiungete che a veicolarlo nel mondo è stato la Cina comunista, che sta usando tutte le armi, dal virus al 5G, per conquistare l’egemonia planetaria. Agli idioti in malafede si parla nel loro lessico e si usano le loro stesse equazioni.
    (Marcello Veneziani, “La pandemia colpisce gli scettici e i sovranisti”, da “La Verità” del 10 luglio 2020).

    Hanno trasformato la pandemia in pantomima. Una tragedia mutata in pagliacciata globale. Dunque, lo schema della fiaba con intenti moralistici e punitivi è il seguente. La pandemia nata in Cina, cresciuta in Asia, infuria nel mondo ma ci sono tre nazioni carogne guidate da tre canaglie che sono paladini, impresari e veicoli della pandemia. I tre porcellini in questione si chiamano Donald Trump, Boris Johnson e Jair Bolsonaro, e guarda caso sono tutti “sovranisti”, conservatori o nazional-populisti. Una mezza scomunica arriva pure all’India dove c’è un mezzo nazionalista, Narendra Modi. E una velenosa maledizione scende sulla Russia del Maledetto Zarista-sovranista Vladmir Putin. Il Covid ha una sua morale progressista, secondo i media, punisce chi dubita della sua virulenza ed è sovranista. Fa eccezione la Svezia dove un governo socialdemocratico ha usato la linea aperta sul Covid ma per questi non vale la punizione divina né l’allarme sui dati. Sugli altri paesi si dice poco e niente, le stragi del Covid in Africa, in Asia o nei Caraibi vengono dimenticate, i contagi tra i migranti passano in sordina, e comunque mai col tono usato per i Tre Porcellini, che è riassunto nell’espressione “ben ti sta”, “te lo sei cercato”.

  • Dopo le Sardine, le Zucchine: se il potere si tinge di verde

    Scritto il 08/7/20 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Dopo le Sardine verranno le Zucchine. La sinistra cerca un nuovo travestimento per le competizioni elettorali e si converte alla Verdura perché tira, dopo il Covid, Greta e l’amazzonico Bergoglio. Vede che in molte parti d’Europa, dalla Spagna alla Francia, dalla Germania al Nord Europa, il consenso perduto nelle competizioni coi populisti può essere arginato fabbricandosi un populismo eco-compatibile, manipolabile, suggestivo. E così il verde diventa l’ausiliario per le battaglie politico-elettorali, il vaccino populista per battere i populismi sovranisti. Lo hanno capito perfino i due Bismarck dell’alleanza grillo-sinistra: l’esimio Fico dei 5 Stelle, che come dice il suo cognome è un frutto della natura e sta appeso all’albero di Montecitorio; e l’odontotecnico che guida il Pd, Nicola Zingaretti, che per darsi un ruolo oltre quello di filo interdentale della coalizione, si è accorto che per curare gli ascessi politici funzionano bene gli impacchi di verdura cotta sulle gengive arrossate. Entrambi hanno così, in una corrispondenza di amorosi sensi che però apre anche una concorrenza di spietati sensi, esortato all’unisono a buttarsi sul Verde. Tra poco vedrete che anche Conte, in uno dei suoi travestimenti, si trasformerà nel Conte Verde, scriverà nel suo curriculum di avere un passato di verdura, indirà gli Stati Vegetali e farà spuntare dal taschino una foglia di lattuga per dimostrare la sua conversione verde. Intorno voleranno finocchi e cetrioli.
    I Verdi furono negli anni Settanta la risposta alla crisi energetica, al modello di sviluppo industrialista e all’inquinamento. Ci furono esperienze importanti intorno ai Grünen, sorti dal ’68, superando le ideologie storiciste. Da noi un verde che merita di essere ricordato fu Alex Langer, morto prematuramente; interessanti furono i movimenti comunitari verdi, come quello toscano con Giannozzo Pucci. Nell’ambientalismo diventato giardino pubblico della sinistra radicale e nell’ecologismo che è invece la ruota di scorta e la copertura verde del capitalismo global-progressista (magari in funzione antiTrump), la parola Natura scompare: natura evoca madre natura, il diritto naturale, l’ordine naturale, la gravidanza, la vita secondo natura. Meglio usare un’espressione neutra, paradossalmente asettica, plastificata, come Ambiente, che può funzionare in tutti i campi e in tutti i sensi. Così l’ecologia diventa un ramo fiorito dell’ideologia e la parola ambiente indica tutto, persino l’ambiente di lavoro, le fabbriche e ambienti in cui di natura non c’è neanche l’ombra. La forza dei movimenti verdi è invece nella loro autonomia dalle categorie politiche del Novecento, dalla storia ideologica e dallo schema progressista.
    Curioso osservare che il fenomeno dei Verdi attecchisce in modo particolare in Germania, dove il primo ministro ecologista fu durante il nazismo, si chiamava Walter Darrè (Hitler era un ecologista rispetto a Lenin, Stalin e Roosevelt…). In realtà l’ecologia è nata conservatrice, patriottica e rurale, mentre le sinistre erano per definizione industrialiste, urbane, internazionaliste e operaiste. Solo con i figli dei fiori si aprì una breccia naturalistica che germogliò poi tra i contestatori innamorati di società preindustriali (la Cina, il Vietnam, il Terzo Mondo). I primi ecologisti della modernità furono i nazionalconservatori noti come Wandervogel, Uccelli migratori. E in Italia le prime leggi a tutela dell’ambiente le fece il fascismo con Giuseppe Bottai. Alla fine degli anni Settanta sorsero movimenti ecologisti anche a destra, soprattutto in ambiente rautiano. Alcune tematiche dell’ambiente degradato incontrano naturaliter la sensibilità di un conservatore, di un patriota, di un cattolico e di un tradizionalista: il rispetto per il creato e per la natura, l’evocazione del mondo incontaminato e genuino di una volta, l’amore per le cose sane e antiche, i borghi d’origine e le tracce del passato, la predilezione per l’agricoltura, per i prodotti chilometro zero e per le attività legate alla natura, il legame con la terra e con le radici, il senso del limite e il realismo. E in negativo la critica alle metropoli invivibili, al progresso senza freni; il rifiuto di cibi manipolati o geneticamente manipolati, il rifiuto dell’inquinamento acustico, l’aria inquinata, il mare sporco, la terra desertificata.
    Si sa poi che i cittadini a maggior contatto con la natura (dagli agricoltori agli allevatori e ai cacciatori) hanno tradizionalmente espresso preferenze politiche non certo progressiste. Perché regalare la sensibilità verde al grillo-sinistrismo che la usa come foglia di fico e tisana per far digerire bocconi inquinanti della società euro-global? In passato si sono già rubati le querce, gli ulivi, i cespugli e le margherite; perché regalare loro l’intera natura? In difesa della natura, del paesaggio e dell’ambiente hanno scritto diversi autori tra la nuova destra e il pensiero conservatore, da Alain de Benoist a Roger Scruton. Un giovane editore, Francesco Giubilei, ha pubblicato ora un libro, “Conservare la natura”, cercando di riscoprire il legame tra pensiero conservatore e difesa della natura. Trent’anni fa scrissi sui «verdi sentieri dell’ecologia» in “Processo all’Occidente” (1990), sostenendo la necessità di un’alleanza trasversale e comunitaria alternativa alla società global che si profilava. Insomma, il tema verde è molto più serio e profondo di un travestimento elettorale o di una battaglia anti-Trump; e non appartiene certo a una cultura progressista e mao-capitalista. Ma va praticato con realismo, con amore della natura e delle sue leggi, in armonia e non in conflitto con la civiltà e con l’umanesimo. E ricordate: l’amore per la natura è incompatibile con chi vuole modificare geneticamente la natura umana.
    (Marcello Veneziani, “Per non fermarsi col rosso passano col verde”, da “La Verità” del 1° luglio 2020).

    Dopo le Sardine verranno le Zucchine. La sinistra cerca un nuovo travestimento per le competizioni elettorali e si converte alla Verdura perché tira, dopo il Covid, Greta e l’amazzonico Bergoglio. Vede che in molte parti d’Europa, dalla Spagna alla Francia, dalla Germania al Nord Europa, il consenso perduto nelle competizioni coi populisti può essere arginato fabbricandosi un populismo eco-compatibile, manipolabile, suggestivo. E così il verde diventa l’ausiliario per le battaglie politico-elettorali, il vaccino populista per battere i populismi sovranisti. Lo hanno capito perfino i due Bismarck dell’alleanza grillo-sinistra: l’esimio Fico dei 5 Stelle, che come dice il suo cognome è un frutto della natura e sta appeso all’albero di Montecitorio; e l’odontotecnico che guida il Pd, Nicola Zingaretti, che per darsi un ruolo oltre quello di filo interdentale della coalizione, si è accorto che per curare gli ascessi politici funzionano bene gli impacchi di verdura cotta sulle gengive arrossate. Entrambi hanno così, in una corrispondenza di amorosi sensi che però apre anche una concorrenza di spietati sensi, esortato all’unisono a buttarsi sul Verde. Tra poco vedrete che anche Conte, in uno dei suoi travestimenti, si trasformerà nel Conte Verde, scriverà nel suo curriculum di avere un passato di verdura, indirà gli Stati Vegetali e farà spuntare dal taschino una foglia di lattuga per dimostrare la sua conversione verde. Intorno voleranno finocchi e cetrioli.

  • Conte cade a luglio, governo-tampone e poi Draghi al Colle

    Scritto il 26/6/20 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    Conte avrà gioco facile nel dire che non ha abbassato l’Iva perché il Pd non ha voluto. Qualcosa si sta rompendo, perché in questa situazione, in cui si sa che il Pil andrà sotto del 10% e il rapporto debito-Pil arriverà al 160%, ormai i politici populisti vanno a briglie sciolte. Siamo al “tana libera tutti”. È come mettere un obeso in pasticceria. Nel disastro totale, che differenza fa spendere 10 miliardi in più o in meno? È per questo che il Pd sente tremare la terra sotto i piedi. Gualtieri deve stare attento, perché è lui quello che paga le pensioni e gli stipendi degli statali. Questo potrebbe indurre il Pd ad accelerare la resa dei conti, cioè a tentare la strada della crisi. Potrebbe: le certezze sono poche. L’unica cosa che si sa del Recovery Fund è che non arriverà prima del 2021. Il Mes provocherà una scissione nel M5S, ci saranno almeno 20-30 parlamentari grillini che voteranno contro. Finché possiamo emettere Btp a tassi bassi grazie all’aiuto della Bce, il gioco regge. Ma potrebbe anche scatenarsi la speculazione, e a quel punto cambierebbe tutto. Ci ritroveremmo nel 2011 con Monti o nel 1992 con Amato.
    Il Pd si è imbarcato in questa avventura di governo nella convinzione di condizionare Conte, ma non pare ci stia riuscendo. Sta accadendo l’opposto: la linea di Bettini e Zingaretti è fallita anche sul fronte 5 Stelle. Il Pd sperava di completare l’annientamento dei grillini realizzato a metà da Salvini, che li ha fatti scendere dal 32 al 17%. Invece il M5S si mantiene intorno al 15-16% nei sondaggi. C’è un precedente storico che dovrebbe preoccupare il Pd: esattamente cento anni fa, i liberali di Giolitti si illudevano di addomesticare i fascisti. Fecero il listone e Mussolini se li mangiò. Sarà Berlusconi a salvare Conte sul Mes e non solo, se dovessero esserci defezioni nei 5 Stelle? Sì. Forza Italia – e non solo la Carfagna, da sempre favorevole – è pronta a subentrare, e direi che non vede l’ora. Ovviamente non gratis. A quali condizioni? Via Conte da Palazzo Chigi, e Forza Italia puntella la maggioranza Pd-M5S in cambio di un nuovo premier. Noi vi appoggiamo, ma si apre una nuova fase politica, eccetera. Potrebbe essere prima di settembre? Difficile dirlo. La politica è imprevedibile. Anche la crisi economica.
    Se a Conte va male, va avanti fino a luglio, se gli va bene può durare fino a settembre. Anche le regionali, non solo la crisi economica, potrebbe scalzarlo da Palazzo Chigi. Il 20 settembre i grillini verranno ulteriormente massacrati, al Nord scenderanno sotto il 10%, quindi non si capirà perché debbano esprimere il premier. Chi accreditare come capo del governo? Guerini o Franceschini? Sono nomi possibili. Girano anche outsider tipo Cantone. Salvini ha lanciato un amo al M5S, auspicando l’elezione del prossimo presidente della Repubblica con il centrodestra, ma il M5S non vuole escludere il Pd. Salvini tecnicamente ha ragione: dopo la terza votazione non ci vogliono più i due terzi, basta la maggioranza assoluta. Quella di Pd e M5S sarebbe risicata. Potrebbero riuscire ad imporre il Capo dello Stato se anche Fi votasse con loro. Le danze sono già iniziate. Alcuni nomi? Prodi, Veltroni… Anche Mattarella ci crede? Non penso ci possa essere un bis del Napolitano-bis. Se a un anno e mezzo di distanza dovessi scommettere, direi Draghi. Avrebbe con sé la maggioranza assoluta degli italiani.
    Non è la prima volta che si parla di uno scenario in cui lo Stato non ha più soldi per pagare gli stipendi agli statali. Cosa succederebbe? La stessa cosa del novembre 2011, quando lo spread arrivò a 500 e cadde il governo Berlusconi. Come allora si arrivò subito a una unità nazionale con Monti, così adesso salterebbe il quadro politico e si farebbe un governo di emergenza. È il rischio cui andiamo incontro. Adesso i lavoratori privati sono protetti dal divieto di licenziamento, ma vietare i licenziamenti significa dover pagare miliardi di cassa integrazione. Quando cadrà il divieto, i disoccupati fioccheranno a decine di migliaia. Subentrerà il sussidio di disoccupazione, il Naspi, che però dura 6 mesi, e a scalare. Allora il M5S dovrà elargire ad altri il suo reddito di cittadinanza, ma non si sa con quali soldi.
    (Mauro Suttora, dichiarazioni rilasciate a Federico Ferraù per l’intervista “Conte sfiduciato a luglio e governo Fi-Pd-M5S”, pubblicata sul “Sussidiario” il 23 giugno 2020. Già redattore per “L’Europeo” e “Oggi”, Suttora ha lavorato come inviato e corrispondente per varie testate, italiane e americane).

    Conte avrà gioco facile nel dire che non ha abbassato l’Iva perché il Pd non ha voluto. Qualcosa si sta rompendo, perché in questa situazione, in cui si sa che il Pil andrà sotto del 10% e il rapporto debito-Pil arriverà al 160%, ormai i politici populisti vanno a briglie sciolte. Siamo al “tana libera tutti”. È come mettere un obeso in pasticceria. Nel disastro totale, che differenza fa spendere 10 miliardi in più o in meno? È per questo che il Pd sente tremare la terra sotto i piedi. Gualtieri deve stare attento, perché è lui quello che paga le pensioni e gli stipendi degli statali. Questo potrebbe indurre il Pd ad accelerare la resa dei conti, cioè a tentare la strada della crisi. Potrebbe: le certezze sono poche. L’unica cosa che si sa del Recovery Fund è che non arriverà prima del 2021. Il Mes provocherà una scissione nel M5S, ci saranno almeno 20-30 parlamentari grillini che voteranno contro. Finché possiamo emettere Btp a tassi bassi grazie all’aiuto della Bce, il gioco regge. Ma potrebbe anche scatenarsi la speculazione, e a quel punto cambierebbe tutto. Ci ritroveremmo nel 2011 con Monti o nel 1992 con Amato.

  • Magaldi: avviso a Conte, in autunno la Rivoluzione Italiana

    Scritto il 12/6/20 • nella Categoria: idee • (3)

    E bravo “Giuseppi”: non lo sa che gli Stati Generali portano male a chi li convoca, specie se non è esattamente in buona fede? Nel 1789, in Francia, condussero velocemente alla Presa della Bastiglia: oggi il piccolo capo di questo Governo della Paura vuol proprio fare, il prossimo settembre, la stessa fine di Luigi XVI? «Anche noi lo aspetteremo al varco: ma anziché il 14 luglio, anniversario dell’inizio della Rivoluzione Francese, gli daremo tempo per meditare sull’ultimatum che riceverà entro una decina di giorni. Gliene chiederemo conto il 20 settembre, ricorrenza della Breccia di Porta Pia. E se non saremo stati ascoltati, scenderemo in piazza il 5 ottobre: data che ricorda la Marcia delle Donne, quando anche le cittadine francesi nel fatidico 1789 fecero rotta sulla reggia di Versailles per reclamare i loro diritti». Gioca con le date, Gioele Magaldi: ma il titolo del gioco è inequivocabile, si chiama rivoluzione. «Grandi cose accadranno, in questi mesi, dietro le quinte del potere: ci saranno botte da orbi, grazie alle manovre intraprese dalla massoneria progressista». Ma la notizia è un’altra: «Nessuna rivoluzione ha mai avuto successo, senza il determinante contributo del popolo».
    «E’ vero, le élite le progettano: ma poi le rivoluzioni le fa la gente, se capisce che deve scendere in strada al momento giusto. Che nel nostro caso si sta rapidamente avvicinando», assicura Magaldi. «Parlo di un riscatto nazionale, civile ed economico: in palio c’è l’Italia, esattamente come nel Risorgimento, di cui il 20 settembre 1870 rappresenta l’epilogo, con la conquista di Roma». Premessa: il presidente del Movimento Roosevelt, entità metapartitica nata nel 2015 per tentare di rimettere insieme i cocci della politica italiana, di massoneria se ne intende. «Il mondo in cui viviamo è stato interamente progettato da massoni: lo Stato diritto, le istituzioni laiche, il suffragio universale. La democrazia non ce l’ha portata la cicogna: è stata un’idea dei massoni che nel ‘700 rovesciarono l’Ancien Régime, in Francia e in America, dando inizio alla modernità politica». Queste cose, Magaldi le ha ricordate nel saggio “Massoni”, edito nel 2014 da Chiarelettere. Un bestseller italiano, trasformatosi in long-seller e – dice l’autore – costato il trono a Giorgio Napolitano, nientemeno, indicato come appartenente alla superloggia “Three Eyes”.
    Grande regista, Napolitano, dell’imbarazzante operazione (interamente massonica) che portò il “fratello” Mario Monti a Palazzo Chigi con l’incarico di inguaiare il paese, tagliando la spesa sociale e quindi determinando deliberatamente una crisi terribile, tale da far crollare il gettito fiscale fino a far esplodere il debito pubblico. Obiettivo: rendere l’Italia sempre più debole, facile preda dei suoi avidi “becchini”. Francia e Germania? «Non esattamente: si tratta di gruppi apolidi, supermassonici, che usano in modo cinico le istituzioni – Ue, singoli paesi – per i loro scopi inconfessabili, speculativi e privatistici. E’ un’élite sovranazionale, economicamente neoliberista e politicamente reazionaria, post-democratica». Di fronte a questo, avverte Magaldi, le antiche distinzioni ideali (destra-sinistra) non contano più niente, da quando – archiviate le ideologie – i politici della sinistra si sono rassegnati, proprio come quelli della destra, ad eseguire ordini impartiti dall’alto: dalla stessa élite senza patria che, dagli anni Settanta in poi, ha cominciato a “smontare” la democrazia sociale dei diritti in tutto l’Occidente, attraverso entità paramassoniche come la Trilaterale, fino ad arrivare, oggi, a guardare alla Cina come modello.
    Una società autoritaria, quella cinese, basata sulla sorveglianza orwelliana del cittadino-suddito. «Non a caso – fa osservare Magaldi – il disastro Covid è esploso a Wuhan all’indomani della cocente umiliazione inflitta a Xi Jinping dall’unico politico capace di opporsi al dilagare dell’egemonia di Pechino: Donald Trump, oggi infatti assediato dai manifestanti antirazzisti alla vigilia delle elezioni, e alle prese con la drammatica crisi economica indotta dal lockdown, che ha cancellato gli ottimi risultati ottenuti dalla Casa Bianca nel far volare l’economia americana». Beninteso: «Trump farebbe meglio ad ascoltare i manifestanti genuinamente indignati per lo scandalo del razzismo che serpeggia tra i poliziotti stratunitensi: una piaga rispetto alla quale, peraltro, lo stesso Barack Obama, primo presidente “nero”, in otto anni non ha fatto assolutamente niente». Ma attenzione: «I manifestanti violenti sono manipolati: imputano assurdamente a Trump l’omicidio di George Floyd».
    Ecco perché, aggiunge Magaldi, sarebbe da ciechi non scorgere i manovratori: a loro, del razzismo non importa nulla. «Vogliono solo impedire che Trump venga rieletto, perché ha osato sfidare la loro “creatura”, la Cina, e anche l’opaca Oms foraggiata da Pechino, braccio operativo del “terrorismo sanitario” che ha usato il Covid come un’arma», con obiettivi plurimi: mettere ko l’economia per indebolire i politici, e confiscare – in modo inaudito, in Occidente – le libertà democratiche nelle quali siamo cresciuti. E’ una specie di inferno, quello che si sta spalancando: qualcuno sta cercando di far apparire “normale” il coprifuoco, il distanziamento, la chiusura irreparabile di aziende e negozi. Scenario che in Italia si sta traducendo nella morte civile di interi settori strategici, come il turismo. «E se domani qualcuno si inventa un altro virus, fabbricandolo in laboratorio? Che facciamo: richiudiamo tutto?». Il primo a sentire puzza di bruciato è stato Bob Dylan: con la canzone “Murder Most Foul”, il grande cantautore (Premio Nobel per la Letteratura) a fine marzo ha messo in relazione la pandemia – e i “falsi profeti” del vaccino universale – con la cupola di potere che nel 1963 assassinò John Kennedy a Dallas. Addirittura?
    Ebbene sì. «Un’unica filiera – dice Magaldi – collega la fine dei Kennedy al manifesto “La crisi della democrazia”, promosso dalla Trilaterale di Kissinger: il primo a sdoganare il regime cinese con l’idea di farne un’alternativa, mostruosa, per un Occidente non più libero, e oggi infatti ricattato dalla paura grazie a un virus “cinese” che, in questo, è ancora più efficace del terrorismo “islamico”, anch’esso coltivato da menti massoniche». Magaldi sa di cosa parla: già “venerabile” della prestigiosa loggia romana Monte Sion del Grande Oriente d’Italia, oggi è il “gran maestro” del Grande Oriente Democratico, circuito massonico progressista collegato con le superlogge sovranazionali più avanzate, sul piano dell’impegno sociale democratico, come la “Thomas Paine”. Altra notizia: a quel circuito appartiene lo stresso Dylan, «massone ultra-progressista, oggi sceso in campo in prima persona perché il pericolo che stiamo correndo è veramente grande: il mondo rischia di non essere più lo stesso, se gli oligarchi avranno mano libera nel gestire l’emergenza Covid a modo loro».
    La sensazione è che l’attacco sferrato – l’imposizione del lockdown “cinese”, l’avvento della nuova polizia sanitaria – sia un riflesso di autodifesa, da parte di un’élite che teme di perdere il potere. Parlano da sole le clamorose diserzioni in atto, ai piani alti, tutte annunciate con largo anticipo proprio da Magaldi: Mario Draghi e Christine Lagarde hanno abbandonato il fronte reazionario (dominio finanziario, privatizzazioni) e oggi parlano un’altra lingua, insieme alla stessa dirigenza del Fmi, fino a ieri schierata dalla parte del rigore. «Fine dell’austerity», raccomandò Draghi, a marzo, sul “Financial Times”: se non si inonda l’economia di miliardi a costo zero, che non si trasformino in debito, il nostro sistema produttivo crollerà. «Oggi, gli unici soldi veri che l’Italia sta ricevendo sono quelli della Bce assicurati dalla “sorella” Lagarde», sfidando i falchi tedeschi. E’ così l’importante, l’Italia? Eccome: «Ci crediate o meno, è il luogo in cui si combattono e si combatteranno alcune battaglie decisive per la democrazia e la libertà, per il futuro della globalizzazione», assicura Magaldi.
    Spiegazione: fuggita la Gran Bretagna, in Ue – a parte il Belpaese – restano solo due grandi player, Germania e Francia: ma i rigidi assetti politici di Berlino e Parigi non consentono margini di manovra. Che l’Italia fosse l’unico laboratorio possibile, per riformare la governance continentale, lo si era già visto nel 2018, col Parlamento nel caos dopo il voto: il boom dell’incognita 5 Stelle, il Pd umiliato tra le macerie del renzismo (riformatore solo a chiacchiere) e l’impennata della Lega, ad archiviare l’obsoleto centrodestra. Come sarebbe andata a finire lo si capì da subito: «Saranno i mercati a insegnare agli italiani come votare», proclamò l’eurocommissario tedesco Günther Oettinger, «massone reazionario», mentre lo spread saliva prontamente. Poteri forti: «Fu Bankitalia – dice Magaldi – a convincere Mattarella a negare il ministero dell’econonia a Paolo Savona, che era lì apposta per provare a cambiare le regole che ci penalizzano da decenni». Il resto è cronaca: lo stesso Salvini la buttò in caciara enfatizzando il problema-migranti, per nascondere il fallimento gialloverde. «Lui e Di Maio dovettero ingoiare il rospo: a loro, Bruxelles non concesse neppure un irrisorio incremento del deficit».
    Unico accenno di riforma, l’alleggerimento fiscale vagheggiato dal leghista Armando Siri, messo però fuori gioco da un semplice avviso di garanzia. «Salvini si arrese, staccando la spina». Elezioni? Macché: i 5 Stelle – pur di non perdere la poltrona – si aggrapparono al «partito di Bibbiano», abbracciando uno Zingaretti che, fino a tre giorni prima, giurava: «Mai, con quei populisti». Cambiarono i suonatori, ma non lo spartito: ancora e sempre rigore, vigilato dall’emissario di turno dei soliti poteri (Roberto Gualteri, Pd, forgiato dall’eterna tecnocrazia di Bruxelles). Obiettivo: tirare a campare, in un’Italia sempre più precaria e impoverita, senza nessuna speranza nell’unica svolta politico-economica ormai drammaticamente indispensabile: la rottamazione della grande bugia neoliberista, del debito pubblico come colpa nazionale. «Il “fratello” Draghi si è ricordato delle sue origini, citando il New Deal di Roosevelt: senza un massiccio intervento statale, l’economia frana nella spirale della crisi». E’ la lezione di Keynes, oggi rispolverata dal fronte massonico progressista che si oppone alle restrizioni catastrofiche imposte con l’alibi del Covid, tra le mille opacità della gestione italiana della pandemia più strana e più sospetta della storia. Un disastro, per gli italiani. Ma per “Giuseppi”, una grande occasione.
    Il piccolo, oscuro “avvocato del popolo” – mai sentito nominare da nessuno, prima del 2018 – si è trasformato di colpo in mini-dittatore, miracolato dal coronavirus proprio quando il suo governicchio incolore stava per cadere. «Conte ha sbagliato tutto quello che poteva: ha agito in ritardo nel creare zone rosse e ha permesso la grande “fuga” dalla Lombardia contaminata, poi ha chiuso gli italiani in casa facendo crollare l’economia e in più li ha lasciati senza aiuti: c’è ancora chi aspetta la cassa integrazione». Su che pianeta vive, il Conte che l’11 giugno si è stupito di essere accolto in piazza al grido di “buffone”? Ci tiene proprio, a replicare le gesta delle varie Maria Antonietta della storia? Non si era accorto, che l’esaperazione popolare sta per esplodere? Cattive notizie, per “Giuseppi”: un sondaggio di inizio giugno svela che è Mario Draghi l’italiano che oggi riscuote più fiducia. «Credo che a volte la storia sia sarcastica, ironica, beffarda», commenta Magaldi. «Il Conte che convoca gli Stati Generali, richiamando la Francia del ‘700, non sa che quell’assemblea portò direttamente alla rivoluzione contro chi l’aveva convocata?».
    «La storia dell’appello agli Stati Generali non andrà a finire bene nemmeno stavolta», dice Magaldi in web-streaming su YouTube. Una pessima suggestione storica: «Chi li aveva convocati nel 1789 credeva di poter manipolare il popolo, fingendo di concedere una consultazione vasta per il bene collettivo: in realtà si volevano propinare le solite ricette, che non concedevano significative riforme – economiche, politiche e sociali». La storia si ripete? «A un sempre più stralunato Giuseppe Conte (e ai suoi consigliori ancor più stralunati, tanto per le questioni comunicative che per quelle economiche e legislative), quella storia avrebbe dovuto consigliare di scegliersi un altro titolo, per questa convocazione», aggiunge Magaldi. «Ma credo ci sia una sorta di “cupio dissolvi”: ognuno persegue il proprio destino – e questo vale anche per Giuseppe Conte e i suoi, che avranno un destino di disfatta. Dunque, se ci sono gli Stati Generali, andranno a finire come nel caso della Rivoluzione Francese. E’ davvero uno scivolone clamoroso: significa quasi attribuirsi in partenza un esito catastrofico, come quello degli Stati Generali parigini».
    Magaldi annuncia un ultimatim che il Movimento Roosevelt presenterà a Conte entro una decina di giorni: «Faremo una proposta precisa, facile da attuare in tempi brevissimi, per ognuno degli attuali ministeri: c’è bisogno di sostenere gli italiani, subito, con azioni chiare e immediate». Precisa Magaldi: «Noi siamo laici, non “tribali”: non ci interessa chi fa le cose che servono, l’importante è che le faccia». Conte? «Deve liberarsi – testualmente – di tutte le pervicaci e rapaci cazzate che vengono anche dal piano Colao». Privatizzare quel che ancora ci resta: «Tutte storie già viste, stroncate molto bene da Giulio Sapelli, ottimo economista italiano che tiene alta la fiaccola keynesiana: Sapelli ha ricordato che le proposte di Colao assomigliano alle cose che si insegnano nelle scuole per manager, mal digerite e certamente poco adatte alla realtà concreta». Se il governo si libererà «dalle elaborazioni irrisorie che verranno da questi Stati Generali», tanto meglio: «Non ci sarà bisogno, il 5 ottobre, di scendere in piazza». Il problema è anche come affrontarla, la piazza: Magaldi sta creando la Milizia Rooseveltiana, qualcosa che in Italia non sè ancora visto.
    «Sarà un teatro nonviolento ma fermo, scomodo e inflessibile nel denunciare quello che non va e nel proporre soluzioni ragionevoli». Milzia? Ovvio il riferimento, autoironico, al fascismo delle origini, specularmente capovolto a partire dallo slogan: “Dubitare, disobbedire, osare”, anziché “Credere, obbedire e combattere”. «Mobilitare il popolo è un’operazione complicata, difficile: la maggior parte dei manifestanti sono irrisori, nelle loro dimostrazioni di piazza». Magaldi pensa ai Gilet Arancioni di Pappalardo: «I media li sfottono, come se ormai fosse una follia il solo fatto di protestare civilmente. Ma gli obiettivi che indicano – riforme costituzionali, uscita dall’Ue e dalla Nato – richiedono decenni, a prescindere da come li si giudichi». Sul fronte opposto, c’è l’increscioso modello-Sardine: «Molto rumore per nulla: proposte irrisorie se non pericolose per la democrazia, come la pretesa della censura sui social per i ministri». Magaldi ha le idee chiare: «Non è più tempo di analisi, ma neppure di manifestazioni inutili: si sfila e si intonano cori, ma non si porta a casa niente. Vedrete: finiranno nel nulla anche le manifestazioni contro Trump».
    Da dove deriva, Magaldi, le sue sicurezze? Ovvio, dalle informazioni riservate di cui dispone: il back-office del grande potere, che oggi è spaccato in due. Da una parte il “partito del lockdown” e della polizia sanitaria, dall’altra i partigiani della democrazia. Gli uni hanno usato il sistema-Cina per forzare la mano e deformare l’Occidente, mentre i loro avversari hanno investito sul più impensabile degli alleati – l’orco Donald Trump – per sfrattare dai piani alti i supermassoni “golpisti”, travestiti da democratici. Esempi? I Clinton: Bill ha relagato i pieni poteri a Wall Street, stracciando il Glass-Steagall Act (voluto da Roosevelt mezzo secolo prima) che impediva alla finanza speculativa di mettere in pericolo in risparmio privato. Quanto a Hillary, ha orchestrato le bolle di sapone dei vari Russiagate, obbedendo al “partito della guerra”. Di mezzo c’è stata la strategia della tensione planetaria gestita, secondo Magaldi, dalla superloggia “Hathor Pentalpha” creata dai Bush: roba loro, l’11 Settembre. Bottino: il saccheggio del Medio Oriente, grazie all’alibi del terrosismo islamico.
    «Osama Bin Laden – ricorda Magaldi – fu reclutato da Zbigniew Brezisinski in funzione antisovietica ai tempi dell’invasione dell’Afghanistan. Quello che pochi sanno – aggiunge l’autore di “Massoni” – è che Bin Laden fu iniziato alla superloggia “Three Eyes”, la stessa di Brzesinki e Kissinger». Poi i Bush lo dirottarono nella “Hathor”, «che più tardi affiliò anche Abu-Bakr Al Baghdadi, a cui venne dato il compito di mettere in piedi l’Isis, le stragi in Iraq e in Siria, i sanguinosi attentati in Europa». Fu lì, dice sempre Magaldi, che la piramide del potere occulto iniziò a incrinarsi: allo stesso saggio “Massoni”, forte di 6.000 pagine di documenti riservatissimi, hanno contribuito “grandi pentiti” del fronte oligharchico. Massonicamente, Magaldi li comprende: «Se sei consapevole del fatto che è stata la tua organizzazione, a fondare la modernità a colpi di rivoluzioni, un bel giorno puoi anche pensare di farne quello che vuoi, del mondo che hai fabbricato». Grave errore: «Noi progressisti li chiamiamo contro-iniziati: hanno tradito l’impegno massonico, che è per il bene di tutti, non di pochi. La loro è una filosofia: si sentono appartenenti a una sorta di “aristocrazia dello spirito”, si credono gli unici autorizzati a decidere i destini dell’umanità».
    Per questo, Magaldi li definisce neoaristocratici: «Vorrebbero ereditare il potere assoluto dell’aristocrazia di un tempo, che proprio i massoni abbatterono – in Francia, peraltro, anche con il contributo di elementi della stessa aristocrazia, e persino del clero: le logge del ‘700 erano davvero interclassiste». Discorsi che potrebbero sembrare lunari, non avessimo di fronte un tizio come “Giuseppi”, che qualcuno continua a scambiare per un politico dotato di un qualche spessore, e che ora s’è messo in testa di convocare a settembre gli Stati Generali, come quelli che nel 1789 scavarono la fossa alla corte di Parigi. Magaldi è drasticamente esplicito: «C’è un lavoro possente, condotto ai piani alti: aspettatevi di tutto, nelle prossime settimane». Qualcosa, a dire il vero, s’è già visto: in tempo di pace, non sarebbero mai circolate intercettazioni come quelle che imbarazzano Renzi (i servizi italiani utilizzati per fabbricare prove false contro Trump per il Russiagate) e che travolgono il capo dell’Anm, Palamara, impegnato a trescare col Pd per tagliare le gambe a «quella merda di Salvini», in una palude maleodorante di favori. Ma il bello deve ancora arrivare, assicura Magaldi: crolleranno pezzi interi di establishment.
    La partita italiana ha rilievo mondiale, insiste Magaldi: solo da qui si può pensare di scardinare l’attuale euro-sistema, che lascia Conte in mutande e gli italiani in bolletta persino di fronte al Covid. «Il governo va incalzato con proposte che non potrà rifiutare: soluzioni ragionevoli, da attuare subito». Giorno per giorno, gli italiani vedono la reale dimensione del dramma: il Mes è un piccolo imbroglio, il Recovery Fund resta un miraggio. Serve qualcuno che, finalmente, prenda il toro per le corna e pretenda quello che ci spetta: miliardi, per uscire dal coma. E non solo: va sfidato, una volta per tutte, il regime bugiardo dell’austerity. Nessuna legge economica vita di metter mano a una super-spesa pubblica, in tempi di crisi. Occorre agire. Se non ora, quando? «Il 5 ottobre, se Conte non ci avrà ascoltato, scenderà in campo la Milizia Rooseveltiana», annuncia Magaldi. «Le nostre idee devono camminare sulle baionette (nonviolente) della nostra capacità rivoluzionaria, pacifica e gandhiana, che però si esercita in piazza».
    «Occorre mobilitare sempre più persone, in modo costante e veemente, che gridino il loro “basta”. Persone accigliate, severe. Persone che non hanno più voglia di ridere, perché c’è poco da ridere. Questo è un momento gravissimo, per le sorti dell’umanità e del popolo italiano». Non è più tempo di blog e video su YouTube, di manifestazioni innocue e velleitarie, di analisi acute e controcorrente. «Il punto vero è che poi, queste cose, devono diventano azione (nonviolenta), perché solo nell’azione ci si unisce, e si diventa popolo sovrano». L’azione vera – scandisce Magaldi – è quella di chi dice, «di fronte al potere, al popolo e a quei giornalisti che hanno ancora la schiena diritta», quali sono le cose che si potrebbero fare in uno, due o tre mesi. «La soluzione, oggi, non è nell’infinita analisi e nell’infinito racconto: arriva un momento, che è quello dell’azione». Per inciso: mezzo mondo sta osservando l’Italia, che finora a subito ogni imposizione ma sta cominciando ad agitarsi. Gli Stati Generali a settembre? Brutta storia: per Conte e Colao finirà malissimo, profetizza Magaldi. A una condizione: che a scendere in campo, finalmente, siano gli italiani. Non bastano, le élite democratiche: serve il popolo, per rivoluzionare la governance. Per chi non l’avesse ancora capito: la sgangherata Italia è l’epicentro di questo terremoto mondiale.

    E bravo “Giuseppi”: non lo sa che gli Stati Generali portano male a chi li convoca, specie se non è esattamente in buona fede? Nel 1789, in Francia, condussero velocemente alla Presa della Bastiglia: oggi il piccolo capo di questo Governo della Paura vuol proprio fare, il prossimo settembre, la stessa fine di Luigi XVI? «Anche noi lo aspetteremo al varco: ma anziché il 14 luglio, anniversario dell’inizio della Rivoluzione Francese, gli daremo tempo per meditare sull’ultimatum che riceverà entro una decina di giorni. Gliene chiederemo conto il 20 settembre, ricorrenza della Breccia di Porta Pia. E se non saremo stati ascoltati, scenderemo in piazza il 5 ottobre: data che ricorda la Marcia delle Donne, quando anche le cittadine francesi nel fatidico 1789 fecero rotta sulla reggia di Versailles per reclamare i loro diritti». Gioca con le date, Gioele Magaldi: ma il titolo del gioco è inequivocabile, si chiama rivoluzione. «Grandi cose accadranno, in questi mesi, dietro le quinte del potere: ci saranno botte da orbi, grazie alle manovre intraprese dalla massoneria progressista». Ma la notizia è un’altra: «Nessuna rivoluzione ha mai avuto successo, senza il determinante contributo del popolo».

  • Soros e Bannon, nemici per finta: sono uniti contro la Cina

    Scritto il 12/6/20 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    La narrazione mediatica degli ultimi anni li ha individuati come ideologi e ispiratori di fronti contrapposti, sovranisti contro globalisti, qualificandoli come irriducibili nemici. Tuttavia, Steve Bannon e George Soros sono e restano connazionali, pensano e agiscono con categorie politiche e ideologiche di matrice statunitense e hanno oltre Atlantico il centro propulsore delle loro mosse. Non stupisce, dunque, vederli ora dichiararsi in maniera congiunta preoccupati dall’ascesa della Cina e intenti ad avvertire i paesi europei della minaccia di un forte legame commerciale e politico con Pechino. L’89enne finanziere di origini ungheresi e il 66enne ideologo sovranista hanno espresso con chiarezza le loro posizioni parlando con due quotidiani italiani. Soros, intervistato da “Repubblica”, ha attaccato la Cina di Xi Jinping unendo un’analisi tipica del suo sostegno all’ideologia dei diritti umani a una considerazione “geopolitica”: «Xi Jinping è un dittatore, che ha consolidato un regime basato su principi totalmente opposti a quelli dell’Unione Europea – dice – ma questo non è ancora ben chiaro ai paesi della Ue, né agli ambienti industriali, specialmente in Germania, che vedono la Cina come un partner economico, senza rendersi conto che fare dipendere le nostre infrastrutture dalla tecnologia cinese ci espone a ricatti e condizionamenti».
    Bannon, invece, ha parlato al “Corriere della Sera” che, contattandolo per parlare della riapertura della sua scuola politica alla Certosa di Trisulti, ha avuto modo di confrontarsi con lui sulla sua visione del contesto globale: Bannon definisce la sfida dell’Occidente “giudaico-cristiano” alla Cina la battaglia «la battaglia contro un partito radicale che non si fermerà davanti a nulla per il dominio del mondo». Si nota come in Bannon ritornino i toni apocalittici e millenaristi che lo avevano reso noto in passato nel corso della sua carriera come “stratega” delle forze populiste e sovraniste del Vecchio Continente. Bannon ne ha anche per quelli che sono da lui ritenuti i principali ostacoli alla sua strategia anti-cinese nella penisola italiana. Da un lato il Movimento Cinque Stelle, «che hanno ceduto al Partito comunista cinese, a una dittatura totalitaria», dall’altro il Vaticano, definito «pozzo nero di corruzione, incompetenza e dissolutezza». Pochi casi più della presente convergenza sulla Cina aiutano a capire quanto la presunta incompatibilità tra Soros e Bannon sia una narrazione strumentale: i due rappresentano le principali manifestazioni della proiezione oltre Atlantico degli interessi strategici Usa.
    Soros, da un lato, protagonista già a partire dagli anni Ottanta di assidue campagne di finanziamento volte a erodere il terreno ai regimi comunisti dell’Est Europa, è portavoce e capofila dell’ala liberal-progressista del mondo a stelle e strisce. Un’ala, con relativi apparati, gruppi d’influenza e cordate politiche, favorevole a difendere lo status quo e la narrazione della globalizzazione in quanto estremamente favorevole al mantenimento della supremazia e della centralità statunitense nel mondo. Capace di portare avanti un’agenda ideologica (in cui l’apertura delle frontiere al libero commercio e alla libera circolazione dei capitali sono molto spesso sottovalutate rispetto al più visibile sostegno alla libera circolazione degli uomini) che ha preso piede soprattutto nella sinistra europea in cerca di punti di riferimento dopo la caduta del Muro e l’avvio della globalizzazione. Bannon, invece, rilancia in tono “sovranista” la narrazione che aveva già animato l’azione degli Stati Uniti ai tempi dell’egemonia dei gruppi neoconservatori nell’epoca di George W. Bush.
    Dunque: occidentalismo spinto, esaltazione del legame con alleati come Israele contro un mondo, quello islamico, ritenuto compatto nella sua incompatibilità con l’Occidente; critica formale alla globalizzazione in nome del primato dell’interesse americano (il famoso “America First” di Trump) senza la sostanziale volontà di stravolgere la governance mondiale; rilancio delle culture wars contro la presunta egemonia dell’ideologia del “politicamente corretto”; sdoganamento dell’ideologia economica neoliberista. Un’ideologia che Pietrangelo Buttafuoco ha definito una «minestra revotata dei neo-con occidentalisti». Soros e Bannon rappresentano dunque due diverse anime degli apparati di potere americani, in certi momenti estremamente duri nel loro confronto e nella loro dialettica (la fase attuale non fa eccezione), ma concordi sul nocciolo duro dell’interesse nazionale statunitense, ovvero il mantenimento del controllo geopolitico sull’Europa e la lotta contro qualsiasi forma di potere esterno capace di sfidare l’egemonia americana nel mondo.
    La comune critica alla Cina segnala la salda convinzione dei decisori strategici di Washington che sia arrivato il tempo di iniziare a capire come regolare i conti con Pechino. E in questa campagna gli Usa hanno bisogno dell’Europa come alleato fedele, non tentato da cedimenti all’Impero di Mezzo. La critica alla Cina, in un certo senso, fa cadere il velo di ipocrisia su Soros e Bannon che i loro sostenitori e i loro critici hanno in larga misura volutamente ignorato: i “sovranisti” duri e puri denunciavano Soros come l’architetto di ogni complotto e il sostenitore di una presunta “invasione” di migranti, mentre la sinistra liberal ha sempre visto in Bannon una sorta di Nosferatu, di guru anti-europeista. In entrambi i casi, volutamente, manca l’affermazione più importante, e cioè la natura esterna dei centri propulsori dell’azione di Soros e Bannon. Parlando di Bannon, l’ex presidente del Parlamento Europeo e vicepresidente di Forza Italia Antonio Tajani ha dichiarato, commentando l’avvicinamento di Lega e Fratelli d’Italia a Bannon: «Come si fa ad essere sovranisti italiani se poi arriva un americano a dirci che dobbiamo essere sovranisti americani?». Una frase del genere potrebbe valere, a rovescio, anche per i sostenitori di Soros, sempre più simili all’idealtipo della New Left americana, incapace di una critica ai problemi economici e sociali del sistema perché di esso esponente organica.
    Soros e Bannon sono gli “zii d’America” che hanno offerto al mondo politico europeo fondi, propulsione ideologica e organizzazione per strutturare una nuova dialettica. Nel caso di Bannon il risultato è stato addirittura più radicato, in quanto l’ex consigliere di Donald Trump è riuscito a impiantare in Europa un’ideologia che ha, nelle sue priorità, diverse assonanze con l’interesse nazionale dell’amministrazione Usa: essa, infatti, dal sovranismo incassa la destabilizzazione dell’Unione Europea, nell’ottica del divide et impera, un avvicinamento all’asse costruito in Medio Oriente con Israele e Arabia Saudita e, ora, la dura e profonda critica alla Cina. Condivisa da Soros, che nell’evoluzione in senso gradito a Pechino della globalizzazione avrebbe da perdere in influenza assieme alla sua ala politica di oltre Atlantico. Il problema di fondo è la debolezza politica dell’Europa: continente incapace di produrre spinte ideologiche o politiche propulsive, sviluppi innovativi o idee da portare al grande dibattito mondiale, ma anche di esercitare la minima influenza sui decisori dell’ordine mondiale. Soros o Trump, Bannon o Xi che sia, l’Europa è sempre vista come oggetto, e non come soggetto, delle dinamiche internazionali. E questo certifica più di ogni altra considerazione il declino del Vecchio Continente.
    (Andrea Muratore, “Come mai Soros e Bannon la pensano uguale, sulla Cina?”, dall’inserto “InsideOver” de “Il Giornale” del 30 maggio 2020).

    La narrazione mediatica degli ultimi anni li ha individuati come ideologi e ispiratori di fronti contrapposti, sovranisti contro globalisti, qualificandoli come irriducibili nemici. Tuttavia, Steve Bannon e George Soros sono e restano connazionali, pensano e agiscono con categorie politiche e ideologiche di matrice statunitense e hanno oltre Atlantico il centro propulsore delle loro mosse. Non stupisce, dunque, vederli ora dichiararsi in maniera congiunta preoccupati dall’ascesa della Cina e intenti ad avvertire i paesi europei della minaccia di un forte legame commerciale e politico con Pechino. L’89enne finanziere di origini ungheresi e il 66enne ideologo sovranista hanno espresso con chiarezza le loro posizioni parlando con due quotidiani italiani. Soros, intervistato da “Repubblica”, ha attaccato la Cina di Xi Jinping unendo un’analisi tipica del suo sostegno all’ideologia dei diritti umani a una considerazione “geopolitica”: «Xi Jinping è un dittatore, che ha consolidato un regime basato su principi totalmente opposti a quelli dell’Unione Europea – dice – ma questo non è ancora ben chiaro ai paesi della Ue, né agli ambienti industriali, specialmente in Germania, che vedono la Cina come un partner economico, senza rendersi conto che fare dipendere le nostre infrastrutture dalla tecnologia cinese ci espone a ricatti e condizionamenti».

  • Il patriottismo dei mascalzoni sorregge il regime di Conte

    Scritto il 07/6/20 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Su, finitela con questa mascherata. Da quando, il 1° giugno, Sergio Mattarella ha invocato l’unità del paese allo scopo di delegittimare la manifestazione dell’opposizione del giorno dopo, la Cupola italiana – quell’intreccio di poteri che occupa istituzioni, governo, scena politica, media di Stato e giornaloni, poteri giudiziari e sanitari – ripete ogni giorno il mantra di restare uniti contro il virus, la destra e la piazza, che poi ai loro occhi coincidono. La chiamano unità ma intendono uniformità. La chiamano comunità ma intendono conformità. Ho speso una vita a difendere l’unità d’Italia e a cercare, al di là delle ragioni di parte, quell’essenza nazionale e comunitaria che ci porta, bene o male, a sentirci uniti in uno stesso destino di popolo. Erano idee forti, fino a qualche tempo fa, la comunità come destino, l’unità del popolo; e chi le usava – come me – veniva guardato con sospetto di fascioreazionario e nazionalpopulista: oggi vengono usate, anzi sbandierate, per salvare il governo Conte, il regime sanitario in vigore e gli assetti di potere vigenti. Quelle parole del gergo identitario le usa perfino il presidente Mattarella e i suoi organi di stampa e di riproduzione (della sua voce) le ripetono a pappagallo.

  • Magaldi: addosso a Pappalardo, per salvare l’imbelle Conte

    Scritto il 02/6/20 • nella Categoria: idee • (1)

    Non sparate sul generale Antonio Pappalardo: troppo facile, dipingerlo come un populista da operetta dopo aver alimentato il terrorismo psicologico sul Covid, per poi reggere la coda al disastroso governo Conte che ha messo in ginocchio il paese imponendo il peggior lockdown che si sia visto in Europa. «E’ sleale, la stampa che si avventa su Pappalardo: il suo “teatro”, utile per scuotere l’opinione pubblica, non è diverso da quello di chi recita da sempre la parte, altrettanto teatrale, del politico paludato». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, difende il leader dei Gilet Arancioni, in piazza lo scorso weekend a Milano: «Pappalardo, che innanzitutto è un uomo simpatico e spiritoso, merita un plauso almeno per la passione con cui esprime la sua insofferenza verso questo governo incapace e catastrofico». Su molti punti, peraltro, Magaldi non concorda con l’ex ufficiale dei carabinieri, già parlamentare nella Prima Repubblica e poi sottosegretario con Ciampi. «Il suo è un programma di riforme profonde, anche costituzionali, che richiederebbero anni per essere attuate, e non certo con il solo consenso delle piazze», precisa Magaldi. «Oggi invece si tratta di incalzare Conte con proposte immediatamente praticabili e comprensibili a tutti: sperando che il governo le adotti, sia pure in ritardo».

  • Magaldi: Draghi dopo Conte, per salvare l’Italia dalla paura

    Scritto il 19/5/20 • nella Categoria: segnalazioni • (1)

    Conto alla rovescia, per sfrattare Giuseppe Conte a furor di popolo. Lo annuncia Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, che preme per un governo di salvezza nazionale presieduto da Mario Draghi, con un unico obiettivo: mettere l’economia italiana in terapia intensiva, prima che sia troppo tardi. «I negozi erano vuoti già prima dell’emergenza: figurarsi adesso, che devono restare vuoti per legge. Le attività economiche salteranno: non se ne rende conto, questo governo?». A ricordarglielo provvedono iniziative “rooseveltiane” come il servizio di Sostegno Legale: avvocati gratis per i cittadini che si ritengono vittime di ingiuste sanzioni, subite durante il lockdown. Non solo: Magaldi non esclude azioni legali per chiedere risarcimenti: «Non si possono chiudere le attività economiche, lasciando i lavoratori senza veri aiuti finanziari: quelli di Conte, finora solo promessi, sono una miseria. Spiccioli fuori tempo massimo e soprattutto aria fritta, aiuti immaginari: credito oneroso, che le banche neppure concedono». A mettere sotto pressione la politica sarà anche la Milizia Rooseveltiana, formazione prossima al debutto, nelle piazze: «Sarà un “teatro” nonviolento ma determinato, per rispondere all’ignobile “teatro” che Conte ha imposto agli italiani, con misure restrittive che hanno devastato l’economia senza incidere sul contenimento del coronavirus».
    Lo confermerebbero i dati: secondo Magaldi, «la situazione italiana è paragonabile a quella di paesi come Svezia, Belgio e Svizzera, che si sono ben guardati dall’imporre un lockdown all’italiana». Per il presidente del Movimento Roosevelt, «è venuto il momento di pretendere che lo Stato di diritto funzioni, con le buone o con le cattive: e per “cattive” intendo una mobilitazione costante e nonviolenta di cittadini organizzati e disciplinati, che sanno quello che vogliono e che inizieranno a lanciare un ultimatum al governo Conte, perché cominciano ad averne abbastanza». Quella che Magaldi annuncia è una “lunga marcia”, a oltranza: «Ci attende una rivoluzione, è venuto il momento di agire: vogliamo presentare le nostre richieste al governo e lottare fino alla fine, fino all’ottenimento dei risultati necessari a cambiare le cose con lungimiranza». Come? Nel modo che Draghi ha spiegato a marzo, nella sua lettera al “Financial Times”: ingenti aiuti di Stato, a fondo perduto. Obiettivo: azzerare il paradigma dell’austerity finanziaria neoliberista. Per avere quei soldi serve un cambio di sistema, e Conte non ne è all’altezza. «L’alternativa, del resto, non esiste: continuare con l’attuale rigore vorrebbe dire condannare l’Italia all’agonia economica o cedere al sistema-Cina, da cui in questo frangente abbiamo pericolosamente mutuato l’autoritarismo assoluto».
    Attenzione: «Come previsto, la Cina è l’unica potenza a uscire indenne dalla tragedia Covid, “provvidenziale” per resuscitare la sua immagine dopo l’umiliazione inflittale da Trump per mettere un argine alla sua subdola espansione: la Belt and Road Initiative spesso diventa uno strangolamento debitorio, per i paesi coinvolti». Tutto questo, secondo Magaldi, «ci deve far riflettere sulla matrice, sui mandanti della vicenda: è stata dolosa? E in quali momenti? Certamente c’è qualcuno che ci ha guadagnato molto, e questo qualcuno è il sistema cinese, a cui è stato permesso di entrare nel grande gioco della globalizzazione ma senza democratizzarsi». E oggi, aggiunge Magaldi, in Cina la libertà è concessa “a punteggio”, in base al comportamento filogovernativo dei cittadini, strettamente monitorati: «Uno stile a cui tendono ad avvicinarsi le misure adottate in Italia». Democrazia azzerata, economia a pezzi: un disastro epocale. «Nel frattempo, le scimmiette al governo si azzuffano tra loro, non portano soluzioni, deludono le aspettative dei cittadini? Molto bene: aspettiamo che la delusione arrivi al giusto punto di cottura, e poi ci libereremo a calci nel culo di questi signori», avverte Magaldi, sicuro del fatto che a essere chiamato a Palazzo Chigi sarà proprio Draghi, «quando finalmente si capirà che a gestire una situazione come questa non possono essere i Conte, gli Speranza e i Di Maio, tutti figuranti mediocri e inetti».
    Il presidente del Movimento Roosevelt scommette su «un governissimo a tempo limitato, con alcune cose da fare». Dopodiché, «se Draghi avrà saputo dare concretezza alle cose che ha detto», lo stesso ex numero uno della Bce potrebbe diventare presidente della Repubblica, carica da cui «continuare un’opera di trasformazione radicale del paradigma economico vigente in Italia e in Europa». Secondo Magaldi, Draghi sarà richiamato in servizio «quando i governanti e i partiti avranno il coraggio di ammettere che sono incapaci di trovare un degno rappresentante anche nei consessi internazionali». Nel frattempo, «forse, il popolo italiano (anche radunato nella Milizia Rooseveltiana) potrebbe fare pressione, perché gli attuali governanti se ne vadano». Magaldi li definisce «mascalzoni o piacioni inconcludenti, o addirittura semi-delinquenti: perché poi diventa delinquenza, quella di chi sequestra un paese, senza avere titolo né capacità di governare». Avverte il presidente “rooseveltiano”: «Se poi non se ne vogliono andare, dobbiamo cacciarli a calci in culo, con democratiche manifestazioni di piazza, pacifiche e nonviolente».

    Conto alla rovescia, per sfrattare “Giuseppi” a furor di popolo: è lo stesso premier a mettersi nei guai, giorno per giorno, rivelando l’inconsistenza assoluta di un governo incapace di sostenere l’economia italiana, dopo averla paralizzata col pretesto del Covid. A grandi passi, di disastro in disastro, sembrano maturare le condizioni per l’avvento di Mario Draghi, ieri grande stratega dell’ordoliberismo eurocratico, ma ora riconvertitosi – clamorosamente – alla filosofia keynesiana. Obiettivo: mettere l’economia italiana in terapia intensiva, prima che sia troppo tardi, con robustissimi aiuti statali a fondo perduto. Servono tanti soldi, centinaia di miliardi: e non è certo il povero Conte a poterli trovare. Occorre qualcosa di rivoluzionario: una svolta che sbaracchi l’attuale sistema Ue, capace solo di produrre crisi. Lo si vede benissimo, oggi più che mai: nessun aiuto all’Italia, a parte il quantative easing della Bce, neppure di fronte alla pandemia. L’unica minestra dell’euro-menù sarebbe il cappio del Mes? Se poi ci si mette anche il Conte-bis, la catastrofe è dietro l’angolo: «I negozi erano vuoti già prima dell’emergenza: figurarsi adesso, che devono restare vuoti per legge. Moltissime attività economiche salteranno: se non se ne rende conto, questo governo, a ricordarglielo saranno gli italiani». E’ così, infatti, che Conte e colleghi si stanno scavando la fossa.

  • Urgono uomini seri, siamo sull’orlo di una guerra civile

    Scritto il 17/5/20 • nella Categoria: idee • (1)

    C’è aria di guerra civile in Italia. Una brutta aria di odio e d’insofferenza. Si sta scavando un fossato incolmabile tra italiani. Riassumo gli ingredienti o le stazioni che portano all’odio radicale. In primis le restrizioni e i divieti anche assurdi hanno lasciato un segno e una scia sul corpo e la mente degli italiani; poi le carenze sanitarie più elementari unite alle clamorose cialtronerie di commissari, ministri e task force; aggiungi la mancanza assoluta di strategia, prevenzione e test per governare il futuro, ma tutto è affidato ai cittadini e alle loro limitazioni. Poi la drammatica situazione economica e sociale per famiglie e imprese, le tante aziende che non apriranno, i tanti che non riavranno il lavoro, l’impossibilità di far rinascere esercizi con quelle restrizioni, quei costi e quelle cadute. Intanto una legge libera fior di delinquenti dalle carceri e persino criminali in cella d’isolamento, che non erano a rischio di contagio; proprio mentre venivano inseguiti sulle spiagge come criminali innocui bagnanti, sporadici avventori o isolati corridori. Unisci questo quadro alla vanesia, fanfarona, irritante esibizione del governo, gli show inconcludenti su aiuti che non arrivano mai.
    Se a tutto questo unisci vicende dell’assurdo come la liberazione di Silvia Romano, con pagamento ai terroristi per finanziare le loro imprese e le loro armi, il ritorno dell’ostaggio da moglie di uno di loro e credente nella religione dei suoi stessi carcerieri nella versione più feroce e antioccidentale, insieme all’autoincensarsi del governo che sfrutta l’occasione per farsi uno spot e una passerella, col premier e il ministro degli esteri che sgomitano per prendersi la vetrina, il codazzo di media allineati e vescovi inclusi, ti accorgi che la polveriera sta per esplodere. Non c’è più dissenso ma disprezzo, livore. Su quest’ultimo caso ho letto giudizi sprezzanti che trasudano odio tra due Italie che non si parlano più ma si sputano, si schifano, si disprezzano. Agli uni pare civile, umano e misericordioso gioire per il ritorno a quelle condizioni dell’ostaggio e pare invece bestiale, infame e incivile chi ne mostra il conto, il rischio, la beffa. Agli altri, e ci sono anch’io tra questi, magari con toni e argomenti un po’ diversi, pare assurdo che una prigioniera torni con la divisa dei suoi carcerieri, che vanti il trattamento ricevuto, che ostenti anche nelle vesti il disprezzo per il mondo in cui è tornata e che ha pagato il riscatto e rischiato vite umane per riportarla a casa.
    Ma poi leggi i commenti dell’altro versante, anche di persone fino a ieri abbastanza equilibrate che provano schifo per chi fa queste elementari considerazioni, per chi ricorda le vittime del terrorismo e le volte che non abbiamo voluto pagare riscatti per non cedere ai terroristi, lasciando morire anche leader nazionali. A vergognarsi, per costoro, dovrebbe essere chi lo denuncia… Allora ti accorgi che qualcosa si è rotto, il malessere sta facendo saltare i nervi a tutti e ci sono due vulcani pronti a eruttare, l’un contro l’altro armati. C’è un’aria terribile. Lo vedo anche nel mio caso personale, lo riconosco: non riesco più neanche ad ascoltare programmi come quello della “vipera tirolese” o simili, a vedere i Tg filogovernativi o ad ascoltare, solo ad ascoltare, la voce del gagà di governo, di gigino, di fofò, della sinistreria assortita. Sono stato spesso all’opposizione, in aperto dissenso, non mi sono mai risparmiato nelle polemiche. Ma non mi era mai capitato di scendere a questi livelli d’insofferenza radicale e vedo che sta capitando anche dall’altro versante. Ed entrambi riteniamo di avere piena ragione.
    Ma che ci sta succedendo? Dove ci porterà questo clima se si aggraveranno, come temono in tanti, le condizioni sociali ed economiche del paese e la depressione diffusa muterà in rabbia? Il dissenso verso questo governo ormai va ben oltre la critica e la richiesta di farlo cadere. La gente vorrebbe vederli sparire, mandarli a casa a calci nel sedere, se non in galera, perlomeno nello stesso carcere in cui è stato confinato il popolo italiano oltremisura. Penso alla sventura di un paese che sta attraversando il peggior momento della sua storia repubblicana col peggior governo che potesse capitare. Con più incapaci, cialtroni, quaquaraquà, ignoranti e presuntuosi mai avuti nella sua pur assortita storia. Come pensate che si possa ricucire questo paese e riportare nella normale vita di una democrazia i dissensi e le divergenze?
    So che molti di voi sognano una svolta radicale, una sterzata elettorale, un’inversione di marcia. Lo capisco, d’istinto lo dico anch’io. Ma lasciate che vi dica una cosa: siamo arrivati a un punto che non si tratta più di destra e sinistra, di sovranisti e globalisti, di populisti e no. Urge affidare il paese nelle mani di persone serie. Abbiamo un elementare assoluto bisogno di gente seria. Seria, non dico altro. Una parola semplice e complicata. Serietà. Persone consapevoli della loro responsabilità, che non vendono fumo, che spengono gli odii, che mantengono gli impegni assunti, non vogliono raggirare nessuno. Voi direte sì, ma devono essere capaci, competenti, adeguati. Basta che siano seri. Perché una persona seria se capisce di non essere all’altezza non si assume il compito di guidare un paese, e in questo momento poi; e una persona seria nei campi in cui non ha competenza, si affida a persone serie, li investe di serie responsabilità. I buffoni, i mestatori e i dilettanti al potere sono gente priva di serietà. Noi abbiamo bisogno di gente seria, il coraggio della serietà. Altrimenti quelli “seri” arriveranno da fuori. Poi ragioniamo sul resto, ma è necessario che al più presto si concordi un cambio di guardia per un governo autorevole composto da gente seria. Perché la situazione, come si usa dire, è grave ma non è seria.
    (Marcello Veneziani, “Urgono uomini seri”, da “La Verità” del 13 maggio 2020; articolo ripreso dal blog di Veneziani).

    C’è aria di guerra civile in Italia. Una brutta aria di odio e d’insofferenza. Si sta scavando un fossato incolmabile tra italiani. Riassumo gli ingredienti o le stazioni che portano all’odio radicale. In primis le restrizioni e i divieti anche assurdi hanno lasciato un segno e una scia sul corpo e la mente degli italiani; poi le carenze sanitarie più elementari unite alle clamorose cialtronerie di commissari, ministri e task force; aggiungi la mancanza assoluta di strategia, prevenzione e test per governare il futuro, ma tutto è affidato ai cittadini e alle loro limitazioni. Poi la drammatica situazione economica e sociale per famiglie e imprese, le tante aziende che non apriranno, i tanti che non riavranno il lavoro, l’impossibilità di far rinascere esercizi con quelle restrizioni, quei costi e quelle cadute. Intanto una legge libera fior di delinquenti dalle carceri e persino criminali in cella d’isolamento, che non erano a rischio di contagio; proprio mentre venivano inseguiti sulle spiagge come criminali innocui bagnanti, sporadici avventori o isolati corridori. Unisci questo quadro alla vanesia, fanfarona, irritante esibizione del governo, gli show inconcludenti su aiuti che non arrivano mai.

  • Magaldi: sarà il popolo a fermare i golpisti del coronavirus

    Scritto il 15/5/20 • nella Categoria: idee • (1)

    Siete pronti? Prima ancora della terrificante Seconda Ondata del SarsCov2, potrebbe essere in arrivo l’epatite E, in regalo – tramite zoonosi – direttamente dai topastri cinesi di Hong Kong. Un mondo distopico, d’ora in poi completamente in mano ai gestori tecno-politici e mediatici della paura, sotto forma di batteri, virus e diavolerie pestilenziali? Sarebbe il paradiso dei farabutti, e in parte lo è già. Questo, secondo Gioele Magaldi, è il vero pericolo che abbiamo di fronte: un’epidemia all’anno, quanto basta per spaventare e chiudere in casa miliardi di persone, consentendo ai nuovi golpisti bianchi di fare quello che vogliono, di noi, fino a calpestare la libertà di tutti (e nel caso dell’Italia, affondando l’economia in modo catastrofico). Vietato illudersi: «Nessuno si lasci incantare dalle indecorose pagliacciate di Conte, replicate anche con l’ultimo, strombazzatissimo decreto privo di investimenti e di visione: non risolverà nessuno dei drammatici problemi economici che stanno trasformando l’Italia in un cimitero economico». E la buona notizia, se così si può dire? Sarebbe questa: l’attacco mondiale partito da Wuhan non è l’inizio della fine, per il mondo libero. Al contrario: è l’ultima mossa, disperata, di un potere oscuro che ormai sente di avere le ore contate, anche se ci farà penare ancora, e non poco.
    «In fondo, un virus è perfetto, per i nemici del popolo: funziona ancora meglio del terrorismo e del rigore finanziario». Autore del bestseller “Massoni” uscito per Chiarelettere a fine 2014 con la mappa esclusiva delle superlogge del potere mondiale, Magaldi ha in cantiere il “sequel” del primo saggio, atteso per novembre e aggiornato tenendo conto dello tsunami-coronavirus. «Stanno emergendo circostanze esplosive», annuncia, in web-streaming su YouTube nella trasmissione “Massoneria On Air”, condotta da Fabio Frabetti di “Border Nights”, con la partecipazione di osservatori speciali come Gianfranco Carpeoro e Paolo Franceschetti, Marco Moiso, Roberto Hechich. In sostanza, secondo Magaldi – massone progressista, facente parte lui stesso del mondo delle superlogge – sono fonti ancora riservate, d’intelligence, a confermare i peggiori sospetti: il disastro che ci è rovinato addosso, paralizzando mezzo pianeta, è stato concepito dagli eredi dalle stesse “menti raffinatissime” che idearono il golpe in Cile nel 1973, per imporre il neoliberismo a mano armata. Meno diritti, per salvare l’economia? Era la super-bufala del manifesto “La crisi della democrazia”, in Italia propalato con la prefazione di sua maestà Gianni Agnelli. La tesi: troppa democrazia fa male. Poi vennero il boom neoliberista, l’11 Settembre e infine la crisi dei subprime, il collasso degli spread europei, il Rigor Montis. Ora siamo al rigore terminale, quello del virus.
    Perfetta, la pandemia, per indurre i cittadini a rassegnarsi al peggio. Turismo in coma, negozi sprangati, economia a rotoli. Bar e ristoranti che non riapriranno, cassa integrazione che ancora non si vede, e il “popolo delle partita Iva” che attende tuttora i mitici 600 euro dell’Inps. E il prode Conte? Su Facebook gira un’amara barzelletta: «Arriverà a giugno il decreto di maggio scritto in aprile ma pensato a marzo, per una crisi iniziata a febbraio e conosciuta da gennaio per un virus conosciuto già da dicembre». Un analista autorevole come Marcello Veneziani è spaventato: non s’era mai visto tanto odio, dice su “La Verità”, in un’Italia spaccata in due, divisa tra i supporter di Conte (sempre meno numerosi) e la maggioranza non più silenziosa, che il professor-avvocato venuto dal nulla lo vedrebbe bene addirittura in galera. «La situazione è seria», ammette Magaldi: «Si stanno intensificando i flash-mob improvvisati da cittadini sempre più esasperati». Quelli sanzionati ingiustamente durante il lockdown possono contare sul Sostegno Legale, servizio gratuito offerto dal Movimento Roosevelt, che mette a disposizione avvocati (volontari) per contestare le multe. Altra iniziativa, la Milizia Rooseveltiana: «Una formazione che scenderà presto in campo, anche per disciplinare le proteste e impedire infiltrazioni violente».
    La rabbia monta, e acceca il raziocinio: c’è persino chi plaude al grottesco paternalismo di Conte, che trova eroicamente il tempo di ascoltare il sindaco novarese giunto a Roma in bicicletta per rinfacciare al premier «la miseria» dei famosi 600 euro. Come un caudillo sudamericano del secolo scorso, Conte interrompe una riunione, dà udienza al primo cittadino ribelle, scomoda telefonicamente il presidente dell’Inps e infine concede pure un’elargizione di tasca sua al ciclista padano, a quel punto conquistato (almeno, a beneficio dei fotografi) dal gran cuore del primo ministro. Che smacco, commenta qualcuno sui social: che lezione, da quel gran signore che sta a Palazzo Chigi. I fan di Conte amano questo imbarazzante, incolore neo-democristiano di ascendenza grillina per il solo fatto di aver rotto con Salvini, fino a ieri dipinto come il demoniaco nemico pubblico dell’italianità “de sinistra”, quella che vent’anni fa avrebbe sbranato vivo Berlusconi se si fosse permesso di infliggere la metà della metà delle punizioni bibliche che “l’avvocato del popolo” ha rifilato agli italiani in soli tre mesi. Potenza del coronavirus: impaurendolo a dovere, puoi calpestare il cittadino riducendolo a suddito, facendogli dimenticare la nozione stessa di libertà.
    Nel festival dei nuovi mostri furoreggiano i grandi media, complici dei nuovi censori di regime: il padreterno televisivo Burioni chiede di spegnere “ByoBlu”, cioè il video-blog più seguito dagli italiani? Prontamente, YouTube cancella 4 video recentissimi prodotti dal team di Messora. Da Palazzo Chigi – nel silenzio tombale e orwelliano dell’Ordine dei Giornalisti – sulle notizie vigila il Ministero della Verità messo in piedi dal sottosegretario piddino Andrea Martella, con l’aiuto di giornalisti come Riccardo Luna (”Repubblica”) e “debunker” del calibro di David Puente, pupillo di Mentana e colonna portante del newsmagazine “Open”. Farebbe ridere, se non fosse una tragedia: la libertà di stampa fatta a pezzi, rottamata come rifiuto organico di tempi felici e ormai remotissimi. L’odio serpeggia pericolosamente in ogni rivolo: sulla pagina Twitter del Cicap, l’ambiguo comitato fondato da Piero Angela per promuovere le verità ufficiali (a scapito di tutte le altre), c’è persino chi brinda alla morte di Giulietto Chiesa, augurandosi pure quella di Massimo Mazzucco. Si vaneggia: dai derby sconfortanti di ieri (Capitana contro Capitano, Sardine contro Salvini) si è passati all’insulto feroce, e addirittura all’evocare lo scannamento del presunto avversario, senza che il nuovo culto di Giuseppe Conte lasci spazio al dubbio: non è che siamo tutti sulla stessa barca, che oltretutto sta per affondare?
    «Sarà un autentico disastro, epocale – dice Gianfranco Carpeoro – se i cittadini non apriranno gli occhi e non comprenderanno di poter contare su un’unica risorsa: se stessi». Aprire gli occhi? Tradotto: constatare che il penoso, modestissimo Conte non ha ancora fatto assolutamente niente per evitare il collasso economico del popolo che ha rinchiuso in casa. «Misure tragicomiche come quelle previste per la riapertura di spiagge e ristoranti – sostiene Paolo Franceschetti – lasciano supporre che non ci sia nessuna volontà di aiutare il paese: semmai l’intento sembra quello opposto, di affossarlo di proposito». Marco Moiso, vicepresidente del Movimento Roosevelt, residente a Londra, allarga l’orizzonte: «In Gran Bretagna, dove peraltro il lockdown non è stato così rigido come in Italia, la cassa integrazione è arrivata subito, e ora è stata prorogata fino a ottobre: nessuno sarà licenziato, e i lavoratori hanno ricevuto immediatamente l’80% dello stipendio, grazie al governo Johnson». Per capire il senso di quel che avviene sotto casa, aggiunge Moiso, conviene guardare più lontano: «Sappiamo che il dramma è partito da Wuhan, ma sbaglieremmo se puntassimo il dito solo contro la Cina, che certo ha sicuramente ritardato l’allarme iniziale».
    C’è molto altro, nelle retrovie di questa losca vicenda: lo fa capire Trump, che minaccia di trascinare i cinesi in tribunale anche per stanare i non-cinesi in cima a tutti i sospetti, dal dottor Anthony Fauci al suo amicone Bill Gates, il “filantropo” iper-vaccinista che controlla l’Oms, l’organizzazione che a Wuhan “se c’era, dormiva”, attorno a quel laboratorio finanziato anche attraverso Fauci, e con il contributo dei francesi. Dalla sua solitudine d’avorio, si fa vivo persino Bob Dylan (Premio Nobel 2016 per la Letteratura) nell’alludere alla peggiore delle ipotesi: una sinistra connessione tra i “signori del Covid” e gli assassini del Deep State che macellarono John Kennedy a Dallas. Sempre in casa Kennedy, è l’avvocato Robert Junior (figlio di Bob) a sparare sul patron della Microsoft: puzza d’imbroglio, la sua fretta di inondarci di vaccini obbligatori. E se le divinità mondiali tracciano ipotesi precise (e allucinanti) sul nostro futuro prossimo, non tarda a farsi sentire il coretto dei nani nazionali, made in Italy, pronto a ripetere che sì, probabilmente l’eventuale vaccinazione sarà obbligatoria, o comunque vincolante: off limits i luoghi pubblici, per chi oserà sottrarsi alla siringa. E tutto questo, senza uno straccio di dibattito parlamentare. Normale? Di questo passo, sì. Ma non succederà.
    Ne è convinto Magaldi, che ha fiducia nella riconquista della democrazia, oggi sospesa. «Ma occorre agire e mettere da parte la paura, volutamente alimentata dal governo, così come la sua “sorella” naturale, la speranza, che conia slogan come l’idiota “andrà tutto bene” da recitare affacciandosi al balcone». Sta andando tutto male, anzi malissimo. «E infatti l’Italia sta per esplodere. Ma la stessa società civile, anche attraverso autorevoli giuristi, non ha mancato di farsi sentire», dice il presidente del Movimento Roosevelt. «Quello che abbiamo di fronte è un modello distopico, che qualcuno vorrebbe trasformare nel nostro futuro: sta a noi respingerlo». Gli esempi non mancano: «Si guardi la Svezia: anziché chiudere il Parlamento e trattare i cittadini come bambini, ha rivolto loro raccomandazioni adulte e senza sprangare il paese, con ottimi risultati». Sintetizzando: «Se non vogliamo finire in un Occidente senza più libertà, trasformato in succursale cinese, dovremo stabilire che i diritti costituzionali non possono essere sospesi, mai, neppure di fronte a un’emergenza sanitaria. Troppo facile, altrimenti, imprigionare il mondo: basta mettere in circolazione un virus all’anno, terrorizzare la popolazione, e il gioco è fatto. Attenti: è esattamente il piano dei “gestori” del coronavirus».
    Chi sono? «Circuiti apolidi e supermassonici, sovranazionali e reazionari, che hanno puntato sulla Cina come modello autoritario per il futuro dell’Occidente». Il virus come arma? «Certo, ma si tratta di una mossa dettata dalla disperazione – aggiunge Magaldi – visto l’esito delle iniziative precedenti: volevano impadronirsi del mondo con l’austerity neoliberista e con il terrorismo “islamico”, ma non ci sono riusciti». La grande corsa della Cina, poi, è stata fermata dal campione “populista” Donald Trump: un altolà di portata storica, a cui si è risposto con l’infernale Covid. La “soluzione finale”, in un mondo che sta vedendo crollare i presupposti della globalizzazione neoliberale, e dove la stessa Unione Europea (capolavoro di post-democrazia ordoliberista) sembra sul punto di andare in pezzi. Magaldi riconduce la questione nei termini più semplici: «Vorrebbero che diventasse normale lo spettacolo dei cittadini che piegano la testa, in silenzio, vedendosi confiscare la libertà e assistendo impotenti alla distruzione della loro economia. Ma non accadrà: sarà proprio la durezza della crisi nella quale stiamo precipitando ad aprire finalmente gli occhi ai dormienti, spingendoli a combattere per riconquistare la democrazia perduta e il diritto a una vita dignitosa, non più vessata dalla barbarie artificiosa dell’austerity».

    Siete pronti? Prima ancora della terrificante Seconda Ondata del SarsCov2, potrebbe essere in arrivo l’epatite E, in regalo – tramite zoonosi – direttamente dai topastri cinesi di Hong Kong. Un mondo distopico, d’ora in poi completamente in mano ai gestori tecno-politici e mediatici della paura, sotto forma di batteri, virus e diavolerie pestilenziali? Sarebbe il paradiso dei farabutti, e in parte lo è già. Questo, secondo Gioele Magaldi, è il vero pericolo che abbiamo di fronte: un’epidemia all’anno, quanto basta per spaventare e chiudere in casa miliardi di persone, consentendo ai nuovi golpisti bianchi di fare quello che vogliono, di noi, fino a calpestare la libertà di tutti (e nel caso dell’Italia, affondando l’economia in modo catastrofico). Vietato illudersi: «Nessuno si lasci incantare dalle indecorose pagliacciate di Conte, replicate anche con l’ultimo, strombazzatissimo decreto privo di investimenti e di visione: non risolverà nessuno dei drammatici problemi economici che stanno trasformando l’Italia in un cimitero economico». E la buona notizia, se così si può dire? Sarebbe questa: l’attacco mondiale partito da Wuhan non è l’inizio della fine, per il mondo libero. Al contrario: è l’ultima mossa, disperata, di un potere oscuro che ormai sente di avere le ore contate, anche se ci farà penare ancora, e non poco.

  • Carpeoro: il guaio non è Bill Gates, ma il consenso a Conte

    Scritto il 04/5/20 • nella Categoria: idee • (1)

    Bill Gates è peggio dei Rothschild, che almeno non fanno beneficenza coi soldi degli altri. Ho l’impressione che Bill Gates voglia diventare presidente degli Stati Uniti, prima o poi. E comunque, il solo fatto di aspettarsi che sia lui a trovare il vaccino contro il Covid è una cosa che, di per sé, mostra l’attuale livello dell’opinione pubblica. Il vero problema non sono neppure i governanti, ma chi li vota, eleggendo sempre gli stessi. Contineremo a leggere di tutto, se le persone non capiscono che devono parlarsi e mettersi d’accordo per cambiare completamente la grammatica. A essere scarsa è la preoccupazione delle persone rispetto a quello che hanno fatto finora – o meglio, quello che finora non hanno fatto (che nessuno di noi ha fatto). Se la gente è indifesa, deve prendere coscienza del fatto che si deve difendere da sola. E questo salto, la gente non lo sta facendo. Il protagonismo di Bill Gates è solo una conseguenza di questa nostra passività: lui o un altro, sarebbe la stessa cosa. Chiunque oggi sia protagonista, è protagonista di un’opinione pubblica malata e mediocre. E quindi non può che essere un personaggio come quello.
    Beninteso: io non do tutte le colpe al popolo. Dico che il popolo ha la possibilità di cambiare le cose, e non lo fa. Ma non attribuisco al popolo la colpa delle porcherie che fanno i politici. Il popolo, semmai, ha la colpa di non fare nulla per cambiare le cose. Certo, ci sono leggi elettorali fatte apposta per poi dare vita ai governi Monti, ai governi Conte. Abbiamo allegramente fatto morire tutta una serie di possibilità e di partiti. Per esempio il Partito Radicale (com’era all’epoca, non quello che vorrebbe la Bonino). Quanto alle entità socialiste, prima abbiamo permesso che le pigliassero a monetine, e poi che sparissero e fossero consegnate ai mediocri. Abbiamo consentito che nella sinistra (intesa come Pd) emergesse una specie di conformismo democristiano, che l’ha uccisa. Abbiamo permesso e continuato a votare tutto questo. Il popolo ha anche la possilità di crearle, le alternative: perché la gente non si deve assumere le sue responsabilità? Invece andiamo appresso alle Sardine, ai girotondi. Andiamo appresso anche a una destra che non è una vera destra, che ha vene di superficialità che si esprimono in quel suo sovranismo becero. Perché c’è anche un sovranismo nobile; il sovranismo becero, invece, si allea con l’Ungheria.
    Si sta profilando un governissimo, forse presieduto da Draghi? In questo momento, il fatto che cada il governo è meno all’ordine del giorno. Se cade, quella non sarà la soluzione – a meno che i numeri del contagio non aumentino a tal punto da avere per forza una soluzione d’emergenza. Renzi ha attaccato Conte? Sì, ma poi è tornato subito nel branco, come sempre. Queste sue sparate, evidentemente, le fa pensando solo ai sondaggi. Il problema del governo è che ha bisogno di nascondere la vera emergenza, che è quella economica, causata dal governo stesso. E il governo Conte la sta nascondendo con delle prese per il culo straordinarie. Devo dire che Conte ha mostrato veramente di essere un personaggio di una meschinità eccezionale. Una specie di prestigiatore da piazza, di quelli che fanno trucchi che tutti capiscono. Questa è la situazione: prese per il culo, abusi e incostituzionalità, mettendo in ginocchio l’unica categoria – piccoli imprenditori, partite Iva, lavoratori autonomi – che in Italia è ritenuta pericolosa, per il “verbo unico”.
    Gustavo Zagrebelsky ha difeso i decreti di Conte, sostenendo che non violano la Costituzione? Non me ne stupisco: Zagrebelsky è, storicamente, un lacchè di un certo sistema di potere cattocomunista (Prodi, lo stesso Bersani), cioè di una certa sinistra. E’ una star delle Sardine invecchiate. E quindi ha fatto quello che mi aspettavo, da lui. Non ha mai assunto una posizione (politica, ma anche tecnico-giurisdizionale) contro le posizioni ufficiali di questo blocco di potere. Si dice che i casi di Covid stiano crollando? Io posso solo dire che, fin dall’inizio, le misure di restrizione erano assolutamente ingiustificate. Si sono inserite altre motivazioni, in questa conduzione? Non ne ho idea, ma so che il problema di questi politici è la loro incapacità. C’è la tentazione di imporre vaccinazioni di massa, a tutti? Le vaccinazioni sono un business, ormai. Sicuramente, quindi, le motivazioni di business sono alla base di alcune motivazioni inerenti le politiche sanitarie. Ma non sono l’unico problema.
    Io trovo che ci sia un problema generale, di esercizio del potere, che in Italia fa paura. Non essendoci mai una strategia di governo, la gestione del potere è talmente casuale, a macchia di leopardo, a volte guidata dal business e a volte dall’ambizione individuale e dalla voglia di mettersi in mostra, che il paese sta andando a rotoli. Quello dell’opinione pubblica che non sui sveglia è un problema culturale, di pigrizia, di ignavia e di totale asservimento alla narrazione televisiva. Oggi, Conte ha il consenso del 63% degli italiani. Direte: i sondaggi sono falsi. Non lo so, io ho l’impressione che siano veri. In Italia, l’opposizione non esiste: i personaggi all’opposizione hanno la stessa magagna, nel sistema e nel metodo, che hanno le forze al governo. E oggi, con questa opinione pubblica, non c’è spazio per forze nuove. E’ per questo che, prima, deve cambiare l’opinione pubblica. Se la gente la aiutasse, una forza nuova, in questo momento non sarebbe possibile fermarla.
    Denunciare Conte in tribunale, come qualcuno propone? Conte ha il 60% del consenso, nel paese: più di quanto abbia mai avuto Craxi, in vita sua. E ho detto tutto. Perché la gente si lascia convincere così facilmente? «O tempora, o mores», diceva Cicerone. Questo è il livello morale, politico e civile delle persone. E a questo ci dobbiamo rassegnare, per ora (cercando di cambiarlo). In Italia succederanno delle cose solo quando esploderà il problema economico. Non sono in grado di dire quando esploderà, perché finché ci sarà una gestione emergenziale potrebbe non esplodere. Ma, quando esploderà, saranno problemi seri. Questo momento potrebbe anche essere vicino: dipende da una serie di fattori. Draghi? Potrebbe farsi dare più soldi dall’Europa, e non è che la cosa mi faccia schifo. E avrebbe tutto l’interesse, a farlo, anche per via delle sue attuali ambizioni. Draghi, quei soldi, saprebbe anche farceli spendere in modo adeguato. Poi a lui piace, passare per salvatore di qualcosa. Comunque, i soldi li farebbe arrivare nel modo giusto, a fondo perduto. Quand’era alla Bce ha mostrato di saperli far arrivare, i soldi, quando vuole.
    Da dove è uscito, invece, Conte? Dalla baronia universitaria, che è quanto di peggio esista, in questo paese: è la categoria più nepotista. Concorsi vinti per raccomandazione: la baronia universitaria è il peggio del paese. Le entrature di Conte in Vaticano? Be’, le baronie universitarie ce le hanno eccome, le entrature in Vaticano. E oggi il Vaticano conta, come tutto ciò che ha una diffusione capillare sul territorio. Mai come in questo momento, l’Italia dovrebbe alzare la voce, in Europa, e far capire a tutti che i cimiteri sono pieni, di persone indispensabili, e i cimiteri della civiltà sono pieni di enti ritenuti indispensabili. L’Europa è indispensabile se è un’Europa vera; se è un’Europa così, non è indispensabile. Non si vede chi potrebbe alzarla, la voce? E’ quello, il problema. Anche perché la maggioranza dell’opinione pubblica non sosterrebbe chi alzasse la voce, visto che sostiene Conte. La piccola impresa italiana, la più colpita dalle misure del governo, è anche quella che potrebbe essere protagonista del grande cambiamento. Se iniziasse a ragionare correttamente, la piccola impresa farebbe paura. Sciopero fiscale? Certo, non pagare le tasse sarebbe una forma di protesta sicuramente efficace. Ma dovrebbe essere praticata da tutti. E di quel 60% che appoggia Conte, non so quanti lo farebbero.
    (Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming “Carpeoro Racconta”, su YouTube il 3 maggio 2020).

    Bill Gates è peggio dei Rothschild, che almeno non fanno beneficenza coi soldi degli altri. Ho l’impressione che Bill Gates voglia diventare presidente degli Stati Uniti, prima o poi. E comunque, il solo fatto di aspettarsi che sia lui a trovare il vaccino contro il Covid è una cosa che, di per sé, mostra l’attuale livello dell’opinione pubblica. Il vero problema non sono neppure i governanti, ma chi li vota, eleggendo sempre gli stessi. Contineremo a leggere di tutto, se le persone non capiscono che devono parlarsi e mettersi d’accordo per cambiare completamente la grammatica. A essere scarsa è la preoccupazione delle persone rispetto a quello che hanno fatto finora – o meglio, quello che finora non hanno fatto (che nessuno di noi ha fatto). Se la gente è indifesa, deve prendere coscienza del fatto che si deve difendere da sola. E questo salto, la gente non lo sta facendo. Il protagonismo di Bill Gates è solo una conseguenza di questa nostra passività: lui o un altro, sarebbe la stessa cosa. Chiunque oggi sia protagonista, è protagonista di un’opinione pubblica malata e mediocre. E quindi non può che essere un personaggio come quello.

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