Archivio del Tag ‘preveggenza’
-
Morte e resurrezione: è tutto scritto nella Legge dell’Ottava
L’Ottava è la gestione, sapiente, di quello che noi definiamo intuito, e volendo anche preveggenza. Noi abbiamo sempre avuto dinamiche attraverso le quali ottenere l’intuito e amministrarlo, organizzandolo. Queste dinamiche esistono tuttora. Un modo con cui creare fenomeni di tipo intuitivo, nel mondo cattolico (che è uno dei più preparati, in questo senso, cioè a livello energetico), sono i Salmi, sono i canti gregoriani fatti in un certo modo. Quindi, la metodologia attraverso la quale porre certe domande e soprattutto ricevere certe risposte esiste da tempo: l’amministrazione di queste energie è chiarissima, da moltissimo tempo. C’è l’Ottava di Pasqua, c’è l’Ottava di Pentecoste. C’è l’Ottava nei Sigilli di Gioacchino da Fiore, che inserisce l’intera storia dell’umanità in un “salto d’ottava” finale che è pazzesco, e in quel modo crea – per l’umanità e per il mondo cristiano – l’ottimismo, che non esisteva. Non esisteva, l’ottimismo, come non esiste nelle nostre vite quando siamo cocciuti, quando siamo ignoranti. Questi signori lo creano, l’ottimismo, inteso come “cose che puoi fare, devi fare, riesci a fare”. Fermarsi a dire che quello è mito, è poca roba. Non è mito, ma non solo la Bibbia: tutti i testi sacri sono questa cosa qua.I nostri sono un’evoluzione dei testi sacri ebraici, che a loro volta sono un’evoluzione di quelli egizi e mesopotamici. Lo Spirito Santo, quando ce l’hanno gli ebrei si chiama Ruach, e per loro è femminile – e giustamente: chi ti informa, infatti, è la parte umana del divino. La Legge dell’Ottava è un sapere che è presente da millenni, sulla Terra, ma non ne conosciamo la paternità. Ed è un tipo di sapere che faccio fatica a non ricondurre a una civiltà che abbia vissuto perlomeno millenni. Dimostra una proporzione evolutiva che è ben al di là del nostro progresso scientifico. Tutto il mondo biblico, comunque lo si voglia interpretare, contiene l’Ottava. Ce l’ha dentro, proprio: a livello numerico, mitico, descrittivo. Non è altro che una modalità con cui parlare dell’Ottava, sempre. E dato che, se viene interpretato in un certo modo, ha la capacità di esprimersi attraverso fenomeni energetici – che possiamo chiamate Pentecoste, resurrezione, o come volete. In molti casi, l’utilizzo della Bibbia e dei Vangeli è potentissimo, sotto il profilo intuitivo. I 150 Salmi hanno uno stra-potere, se recitati in ebraico, perché sono di per sé l’essenza di questa legge: contengono le tre energie da cui questa legge deriva. Ci sono Horus, Iside e Osiride, o comunque vogliamo chiamarli.L’evocazione dei Salmi corriponde alla percezione – nostra – di una forma emozionale che potremmo definire “morte e resurrezione”, ma in vita: sono le cose che ci fanno cambiare per sempre. Attenzione a non buttare via quello che c’è nella Bibbia: se vengono usate come si deve, quelle pagine, le interpretazioni sono plurime, come profondità. E questo, nel mondo cattolico lo sanno da duemila anni. E allora si va tranquillamente oltre gli Elohim di Biglino, ve lo posso garantire. Ve lo dico, perché ho fatto questo percorso su di me. Non mi intendo di Vangeli, non mi intendo di Bibbia o di cristianità, però mi intendo di simboli. E vi posso garantire che quello che succede osservando certi loro simboli – come è stato per me il Rosone di Collemaggio, la basilica dell’Aquila – si scopre che non c’è altro che l’impatto con questo tipo di energie, che vengono descritte. Per me, osservare quel rosone ha significato morire e rinascere. Già, perché noi abbiamo idea che si muoia solo quando questo avviene a livello fisico. Invece, durante la vita, ripetiamo continuamente ciò che la natura compie a livello pluridimensionale. Quando noi cambiamo, sentiamo la necessità reale di cambiare; il cambiamento è morte, e subito dopo c’è una resurrezione. E i meccanismi della natura, che sono sempre dentro di noi – siccome non li contempliamo e non ci vengono spiegati – quando arrivano ci spaventano.Certo, stare attenti e uscire dal coro ha un costo: richiede tempo, impegno, studio, applicazione. E siccome il mondo è questa roba qua, quando facciamo i seminari siamo sempre e solo una decina di persone, al massimo una ventina. Se invece prometti di far parlare il pubblico con i defunti allora non c’è problema, arrivano a migliaia. Quando capiamo qualcosetta della natura, del divino, di queste leggi (che esistono, e che noi non vogliamo studiare), allora quel percorso comincia. Tutte le nostre domande vanno canalizzate in un percorso ben preciso, questo sì. Ce lo vendono benissimo i russi e gli americani, ma gli amministratori principali di questo sapere sono stati gli italiani, sempre. Noi viviamo in un mondo pratico, talmente pratico che si dimentica di Dio, e così poi siamo tutti seduti dallo psicologo. Abbiamo trascurato il mondo metafisico per un bel po’ di tempo, coinvolgendo anche la scienza, che un tempo partiva proprio dal mondo metafisico per arrivare a quello fisico. Noi invece siamo ripartiti dal mondo fisico, per poi arrivare a capire che gli elettroni si parlano tra di loro. Abbiamo avuto un momento di completa confusione, per poi tornare finalmente verso il mondo metafisico.Al di là di questo, l’applicazione della Legge dell’Ottava, e quindi il coltivare dei momenti emotivi di un certo tipo, nella nostra vita quotidiana a volte dà dei risultati. Quei meccanismi poi vanno a raffinarsi e diventano “fede, speranza e carità” (il tricolore italiano) e possono essere applicati nel quotidiano. Sono le frequenze che non tempriamo, perché non sappiamo più che c’è un meccanismo, una tabella attraverso la quale tutti i giorni fare esercizi per il cuore – perché poi, quella roba là, va tutta a finire nel cuore. La fortezza, la pietà: sono tutte cose che, nell’arco della giornata, interpretiamo, bene o male. Quando poi ci sediamo in banca e firmiamo un mutuo di trent’anni, credo sia un’operazione che va al di là della fede, della speranza e della carità. E ci vanno veramente fortezza, giustizia e timore di Dio – inteso come banca, in quel caso! Non è una cosa che si compra in farmacia. L’Ottava è un percorso. E va fatto, per forza, con grande fatica – per forza, perché “lei fa noi”, se non siamo noi a fare lei. Dietro c’è la conoscenza delle modalità con cui emozionare il tempo, la percezione degli altri luoghi (delle altre dimensioni); le modalità con cui inscrivere i nostri desideri in una cosa che si chiama “campo”, che è la coscienza.C’è tutta una serie di meccanismi. Ma l’utilizzo del simbolo, cioè il percorso del sapere che riguarda il simbolo, ha un’unica funzione. Non vi è nulla di materiale, nell’Ottava, e nello stesso tempo è tutto materiale. O meglio: nel momento in cui il percorso del simbolo sta solleticando delle sinapsi che non usiamo mai, che sono quelle dell’intuito e dell’immaginazione, noi facciamo questa operazione: pensiamo. Ma se pensate che lo facciamo, nell’arco della giornata, vi sbagliate di grosso. Noi ci facciamo pensare, da tutto quello che ci circonda. Nel momento in cui, invece, siamo noi a pensare – perché abbiamo una meta, una modalità pensante (un libro, un quadro, un simbolo) – allora in quel momento pensiamo veramente. E quando pensiamo, noi “siamo”. E questo non lo dico io, ma l’ha detto qualche secolo fa un signore che si chiamava Cartesio. Cogito, ergo sum: è il percorso del pensare, quello che porta all’essere. E il percorso dell’essere è quello che porta al fare.Gli shock addizionali? Sono un momento della Legge dell’Ottava. In ambito musicale, tra le note, ci sono momenti in cui le frequenze cambiano passo e si abbassano – tra il mi e il fa, e tra il si e il do. Sono due momenti in cui, realmente, le frequenze di abbassano, per tornare poi nella loro normalità. Quelli sono i momenti in cui, nella nostra vita, avvengono dei fatti. Lo shock addizionale è qualcosa che noi dobbiamo aggiungere, ad un momento emozionale, perché venga superato. Sono i momenti in cui, nel mondo spirituale, si invoca l’aiuto dello Spirito Santo, pensando che esistano momenti ben precisi in cui invocare l’aiuto di una forma energetica – lo Spirito Santo, appunto – che dia la possibilità, a livello psichico, di dare uno shock addizionale alla sua Ottava (intesa come capacità di credere in Dio, nel caso specifico), affinché questa capacità non venga mai meno. Come avviene? Io chiedo di avere fede. La risposta quale può essere? Uno strumento? Un’immagine? Una parola? Un sogno? Noi, poi, queste cose le colleghiamo al caso, mentre c’è una forma energetica ben precisa – che non si chiama “caso” – che è evocativa e soprattutto evocabile, con una preparazione ben precisa. Nel caso nostro può essere lo studio di un certo tipo di percorso, che in qualche modo, man mano, ti svela, ti dice, ti fa fare progressi di un certo tipo. I perscorsi sono diversi, anche se poi portano tutti allo stesso posto.La precessione degli equinozi? L’evento precessionale contiene al suo interno i numeri dell’Ottava. Questo perché la legge è unica, è unico in modo in cui Dio crea: quei numeri si ritrovano anche nella fisica del movimento. Semplicemente, la precessione significa parlare dell’Ottava per X volte. Ma la precessione, così come la intendiamo noi, è una cosa molto limitante. Sarebbe utile interpellare un simbolo come lo Zodiaco di Dendera, che è egizio e appartiene da sempre, come altri, a questa strategia conoscitiva. Fa capire come la precessione sia un evento “sottile” che riguarda l’atto creante, e che soprattutto è ottemperato dalla nostra galassia, come da tutte le altre galassie. E’ sbagliato limitarsi al sistema solare, tantomeno alla Terra e al suo movimento. Se si parte da questo presupposto – e gli egizi lo sanno dire con molta precisione – allora, forse, anche la questione del misterioso pianeta Nibiru va affrontata in modo diverso (sul tema Nibiru, però, non ci sono risposte definitive).(Michele Proclamato, dichiarazioni rilasciate a Michele Stedile nella diretta in web-streaming su Skype “Domande e risposte” del 14 marzo 2018, pubblicata su YouTube).L’Ottava è la gestione, sapiente, di quello che noi definiamo intuito, e volendo anche preveggenza. Noi abbiamo sempre avuto dinamiche attraverso le quali ottenere l’intuito e amministrarlo, organizzandolo. Queste dinamiche esistono tuttora. Un modo con cui creare fenomeni di tipo intuitivo, nel mondo cattolico (che è uno dei più preparati, in questo senso, cioè a livello energetico), sono i Salmi, sono i canti gregoriani fatti in un certo modo. Quindi, la metodologia attraverso la quale porre certe domande e soprattutto ricevere certe risposte esiste da tempo: l’amministrazione di queste energie è chiarissima, da moltissimo tempo. C’è l’Ottava di Pasqua, c’è l’Ottava di Pentecoste. C’è l’Ottava nei Sigilli di Gioacchino da Fiore, che inserisce l’intera storia dell’umanità in un “salto d’ottava” finale che è pazzesco, e in quel modo crea – per l’umanità e per il mondo cristiano – l’ottimismo, che non esisteva. Non esisteva, l’ottimismo, come non esiste nelle nostre vite quando siamo cocciuti, quando siamo ignoranti. Questi signori lo creano, l’ottimismo, inteso come “cose che puoi fare, devi fare, riesci a fare”. Fermarsi a dire che quello è mito, è poca roba. Non è mito, ma non solo la Bibbia: tutti i testi sacri sono questa cosa qua.
-
D’Annunzio ‘antifascista’ precipitò dal balcone: coincidenze?
La sera del 13 agosto 1922 Gabriele D’Annunzio cadde dal balcone della stanza della musica del Vittoriale, e rimase fra la vita e la morte per molti giorni. Il fatto sembrò subito molto strano; la versione ufficiale comunicata alla stampa affermava che il poeta, mentre stava cercando un po’ di fresco nella serata afosa, era stato colto da un capogiro. Il 17 agosto seguente il giornale “Il Comunista” insinuò che la caduta fosse dovuta a un fatto doloso. Altri ventilarono l’ipotesi che il poeta avesse tentato il suicidio, e non mancò chi sostenne che la caduta non fosse mai avvenuta. Ad oggi la versione è che D’Annunzio cadde mentre ascoltava la musica suonata al pianoforte per lui da Luisa Baccara, appoggiato a una finestra, vicino alla sorella della pianista, la giovane Jolanda. La caduta sarebbe stata causata da una spinta datagli da Jolanda per opporsi a qualche avance focosa del poeta. Sembra che, in stato di semi-incoscienza, il 21 agosto, il poeta abbia mormorato una frase significativa appuntata dal medico curante: «E Joio? Jolanda, si sarà spaventata e sarà scappata a Venezia».Questo il bollettino dei medici Antonio Duse, Francesco d’Agostino, Davide Giordano, Mario Donati, Raffaele Bastianelli, Augusto Murri subito dopo il ricovero in ospedale: «Segni manifesti di frattura della base del cranio estesa all’orbita destra. Commozione cerebrale. Stato d’incoscienza. Segni di compressione cerebrale dubbi. Disturbi di motilità e di sensibilità non manifesti. Ferite lievi escoriate all’arto inferiore destro. Leggera contusione a destra del torace. Ambe le mani sono incolumi. Non v’è indicazione urgente di atto chirurgico. Polso regolare 67. Respiro regolare 25. Temperatura 37,8. Prognosi tuttavia riservata». Fu disposta un’inchiesta riservata affidata al commissario Giuseppe Dosi, lo stesso che poi indagherà sul caso del povero Gino Girolimoni che nel 1927, a Roma, sarà accusato ingiustamente dello stupro di sette bambine e dell’omicidio di cinque di loro; delitti avvenuti tra il 1924 e il 1927. Un caso davvero inquietante, nel quale entrò anche un prete (anglicano) inglese, Ralph Lyonel Brydges, probabilmente il vero assassino.Giuseppe Dosi si presentò in incognito al Vittoriale, facendosi passare per un ex ufficiale della Legione Cecoslovacca, addirittura parlando tedesco e italiano con accento straniero. Chiese di frequentare il Vittoriale per dipingere paesaggi, e ne approfittò per interrogare il personale e la gente dei dintorni. Conversò con lo stesso D’Annunzio, fino a quando il poeta capì di avere a che fare con uno sbirro e gli impose di andarsene. D’Annunzio all’epoca abitava al Vittoriale in una specie di Aventino, dedicandosi alla sua arte, avendo scelto di tenersi lontano dalla vita pubblica. Ex legionari legati ad Alceste De Ambris, che era stato capo di gabinetto di D’annunzio a Fiume, cercavano di richiamare il poeta all’impegno pubblico e di fargli assumere una posizione antifascista in un momento nel quale il fascismo, soprattutto in campo sindacale, stava mietendo successi. I fascisti guardavano al poeta come un rivoluzionario combattentista, pensando alla suggestione che la sua figura poteva esercitare sull’intero popolo italiano. Lo stesso Mussolini era consapevole che la figura di D’Annunzio era un polo d’attrazione per gli ambienti squadristi del suo movimento.Nell’aprile del 1921 vi era stato un incontro fra D’Annunzio e Mussolini. Il poeta aveva appoggiato la candidatura di De Ambris alle elezioni di quell’anno, e vi erano state alcune iniziative promosse dai sindacalisti dannunziani in chiave antifascista. Il 3 agosto 1922, a Milano, D’Annunzio fece un improvvisato discorso dal balcone di Palazzo Marino dopo il fallimento dello “sciopero legalitario” promosso dalla Alleanza del Lavoro contro la violenza fascista. In quello stesso periodo furono avviati abboccamenti tra D’Annunzio, Mussolini e Francesco Saverio Nitti, che avrebbero dovuto portare ad una riconciliazione pubblica fra i tre uomini destinati a portare, in prospettiva, a un governo di pacificazione nazionale. L’incontro avrebbe dovuto aver luogo il 15 agosto in una villa toscana. L’improvvisa caduta di D’Annunzio, proprio alla vigilia dell’incontro, il 13 agosto, ne impedì la realizzazione. Nitti scrisse nelle sue memorie: «Se D’annunzio non fosse caduto dalla finestra e l’incontro con lui, Mussolini e me fosse avvenuto, forse la storia dell’Italia moderna avrebbe seguito un altro cammino».Certo è che, per la pena del contrappasso, chi sale troppo in alto poi cade. Dopo l’incidente, con la proclamazione del 4 novembre come festa nazionale, alcuni esponenti della vecchia classe politica liberale pensarono di sfruttare D’Annunzio in chiave antifascista, facendolo partecipare a una grande manifestazione patriottica che si sarebbe dovuta svolgere a Roma, all’Altare della Patria, nell’anniversario della vittoria. La marcia su Roma del 28 ottobre 1922 fece cadere il progetto. Dopo la marcia su Roma, D’Annunzio al Vittoriale sarà un osservato speciale, e forse prigioniero. Visse in una specie di esilio dorato, sorvegliato, spiato, seguito e trattato come un incapace. Gli affiancarono un’infermiera tedesca che non lo perdeva mai d’occhio. Il Vate morirà anni dopo, il 1° marzo 1938, a settantacinque anni, per un’emorragia celebrale. Curiosa coincidenza, in una lettera del 1935 a Mussolini, il poeta aveva scritto: «Il mio cranio di lucido cristallo può incrinarsi facilmente». E nel febbraio 1938 a Tom Antongini scrisse: «Credo che sono morto come il cavalier Baiardo all’assedio di Brescia… L’anniversario cadrà poco prima del mio marzo funebre».Il Vate morirà proprio nel marzo previsto nella sua ultima missiva, col capo chino sul suo scrittoio nella Zambracca, la stanza che usava al Vittoriale per comporre i suoi poemi, con il dito ad indicare la data esatta, cerchiata di rosso, del lunario Barbanera che vaticinava per quel giorno «la morte di un italiano illustre». Uno scena che molti lessero come un suicidio. La morte per emorragia cerebrale risulta dal certificato medico stilato dal dottor Alberto Cesari, primario dell’ospedale di Salò, e dal dottor Antonio Duse, medico curante del poeta. I funerali furono organizzati con estrema rapidità. D’Annunzio morì il martedì sera verso le 20 e Mussolini partì da Roma per Gardone Riviera la mattina dopo, il tempo strettamente necessario per disdire gli appuntamenti di Stato e organizzare il treno presidenziale che lo portò a Desenzano con i ministri Ciano, Starace, Alfieri, Benni e il segretario particolare Sebastiani. Le esequie furono celebrate la mattina di giovedì 3 marzo, attorno alle 8,30. Non fu eseguita alcuna autopsia o altri accertamenti che approfondissero le cause del decesso. La morte fu certificata come emorragia celebrale solo in base a reperti esterni, clinici, non supportati da esami autoptici. Forse certificò tutto l’infermiera tedesca che da anni lo “seguiva” da vicino. Il 12 marzo 1938 Hitler annette l’Austria alla Germania nazista. Iniziano i “preparativi” per la seconda tragica guerra mondiale.(Lara Pavanetto, “Quando il Vate volò dalla finestra e predisse la sua morte”, dal blog della Pavanetto del 13 settembre 2017”. Fonti: Raffaele K. Salinari, “Le tre morti di Gabriele D’Annunzio”, da “Il Manifesto” del 5 ottobre 2013; Ennio Di Francesco, “Il Vate e lo Sbirro”, Edizioni Solfanelli, 2017).La sera del 13 agosto 1922 Gabriele D’Annunzio cadde dal balcone della stanza della musica del Vittoriale, e rimase fra la vita e la morte per molti giorni. Il fatto sembrò subito molto strano; la versione ufficiale comunicata alla stampa affermava che il poeta, mentre stava cercando un po’ di fresco nella serata afosa, era stato colto da un capogiro. Il 17 agosto seguente il giornale “Il Comunista” insinuò che la caduta fosse dovuta a un fatto doloso. Altri ventilarono l’ipotesi che il poeta avesse tentato il suicidio, e non mancò chi sostenne che la caduta non fosse mai avvenuta. Ad oggi la versione è che D’Annunzio cadde mentre ascoltava la musica suonata al pianoforte per lui da Luisa Baccara, appoggiato a una finestra, vicino alla sorella della pianista, la giovane Jolanda. La caduta sarebbe stata causata da una spinta datagli da Jolanda per opporsi a qualche avance focosa del poeta. Sembra che, in stato di semi-incoscienza, il 21 agosto, il poeta abbia mormorato una frase significativa appuntata dal medico curante: «E Joio? Jolanda, si sarà spaventata e sarà scappata a Venezia».
-
Guerra, menzogna, false flag: siamo nell’incubo di Orwell
Alcuni critici sostenevano che dopo l’anno 1984 la rilevanza di George Orwell sarebbe andata diminuendo. Nel 1987 Harold Bloom scriveva che il più grande romanzo di Orwell sul totalitarismo, “1984”, rischiava di diventare un libro storico, un po’ come “La Capanna dello Zio Tom”. Anche il critico letterario Irving Howe, un grande sostenitore di Orwell, pensava che “1984” avrebbe presentato per le future generazioni «un interesse più che altro storico». Eppure, invece di affievolirsi, la popolarità di Orwell sta crescendo in tutto il mondo. Il fatto che il contesto storico di “1984” sia ormai trascorso sembra avere “liberato” il romanzo, rendendo chiaro che il suo messaggio si riferisce a un problema universale dell’umanità moderna. Negli anni recenti le sue parole hanno suscitato un notevole interesse presso la nuova generazione post-Guerra Fredda. «Sono sicuro che George Orwell non pensava: ‘Devo scrivere una storia istruttiva per un ragazzo iracheno’, mentre scriveva “1984”», ha sottolineato lo scrittore iracheno Hassan Abdulrazzak nel 2014. «Ma questo libro mi ha spiegato cosa fosse l’Iraq di Saddam meglio di chiunque altro, prima o dopo».L’anno successivo, “1984” entrava nella classifica dei 10 libri più venduti in Russia. Nel 2014, 1984 è diventato un simbolo delle proteste anti-governative in Thailandia, ad un punto tale che, secondo i resoconti, nei voli della Philippine Airlines i passeggeri venivano avvertiti che portare una copia del libro a bordo avrebbe potuto causare problemi con i funzionari di frontiera e le altre autorità. Dal 1984 sono state pubblicate almeno 13 traduzioni in cinese del romanzo. Sia “1984” che “La Fattoria degli Animali” sono stati tradotti anche in tibetano. Per spiegare la rilevanza di Orwell in Cina, uno dei suoi traduttori, Dong Leshan, ha scritto che «il ventesimo secolo finirà presto, ma il terrore politico vive ancora, e questo è il motivo per il quale “1984” rimane valido ancora oggi». Le prime meditazioni di Orwell sugli abusi del potere politico hanno trovato ascolto perfino nei contesti più inaspettati. Mentre era imprigionato in Egitto, il radicale islamico Maajid Nawaz si rese conto che “La Fattoria degli Animali” esprimeva i suoi stessi dubbi: «Ho iniziato a unire i puntini e ho pensato ‘Mio Dio, se questa gente con cui mi trovo adesso dovesse mai arrivare al potere, si tratterebbe dell’equivalente islamico della Fattoria degli Animali’».In Zimbabwe, un giornale di opposizione ha fatto circolare una versione a puntate della “Fattoria degli Animali” – dopo che la sede del giornale era stata distrutta da una mina anticarro – con delle illustrazioni del maiale Napoleon coi grandi occhiali tipici del “presidente a vita” dello Zimbabwe, Robert Mugabe. Un artista cubano nel 2014 è stato incarcerato senza processo per aver progettato di mettere in scena una versione della “Fattoria degli Animali”. Per essere proprio sicuro che le autorità avessero capito, aveva scritto i nomi “Fidel” e “Raul” sopra due maiali. Ma “1984” sta trovando nuova rilevanza soprattutto tra i lettori occidentali, per tre motivi interconnessi. Per gli americani di oggi, “1984”, con il suo stato di guerra permanente sullo sfondo, è un sinistro avvertimento. Nel libro, proprio come nella vita quotidiana degli Stati Uniti di oggi, il conflitto è fuori dalla scena, viene udito solo occasionalmente per l’esplosione di qualche missile lontano. «Winston non riusciva a ricordare precisamente un momento nel quale il paese non fosse stato in guerra», scriveva Orwell in “1984” (lo stesso si può dire di tutti gli adolescenti americani di oggi).In un’epoca nella quale le guerre americane sono combattute con missili di precisione lanciati dai droni, nelle quali sono coinvolte solo poche unità speciali in operazioni di terra, in luoghi remoti del Medio Oriente, con qualche sporadico attacco in città come Londra, Parigi, Madrid e New York, questi passaggi del romanzo suonano di una preveggenza inquietante: «È uno stato di guerra dagli obiettivi limitati, tra combattenti che non sono in grado di distruggersi a vicenda, e non hanno cause materiali per le quali combattere… Coinvolge un piccolo numero di persone, per lo più specialisti altamente addestrati, e causa relativamente pochi morti. I combattimenti, quando hanno luogo, avvengono in remoti luoghi di frontiera la cui ubicazione è pressoché ignota all’uomo comune… Nei centri abitati la guerra non significa altro che… la caduta occasionale di un razzo che causa qualche decina di vittime».La seconda ragione che spiega la rinnovata attualità di Orwell è la crescita dell’intelligence dopo l’11 Settembre. Viviamo con uno Stato intrusivo, invadente, sia in Occidente che in Oriente. All’inizio degli anni 2000 il governo americano uccideva regolarmente persone in paesi con i quali non era ufficialmente in guerra usando mezzi aerei controllati da remoto. Questa tattica è conosciuta come “attacco all’impronta” [signature strike], e colpisce uomini in età da servizio militare che mostrano comportamenti minacciosi che possono essere associati al terrorismo, come ad esempio parlare al telefono con terroristi noti o partecipare con loro a una riunione. Molte centinaia di queste uccisioni hanno avuto luogo in Pakistan, Yemen e Somalia. Una raccolta di metadati, che mettono insieme migliaia di miliardi di bit di informazioni esaminati dall’intelligence, permette ai governi di elaborare silenziosamente dei dossier sul comportamento di milioni di individui. Certo, il governo americano ha agito in questo modo letale e intrusivo dopo gli attacchi dell’11 Settembre. Orwell avrebbe probabilmente denunciato senza mezzi termini sia quegli attacchi che la reazione di panico del governo Usa. La luce che lo guidava era la libertà di coscienza, libertà sia dal controllo del governo che dagli estremismi, fossero essi religiosi o ideologici.Come egli stesso ha detto: «Se la libertà significa qualcosa, è il diritto di dire alle persone ciò che esse non vogliono ascoltare». Da questo punto di vista è significativo che la più grande minaccia alla libertà percepita da Winston, il protagonista di “1984”, non provenisse da altri paesi, ma dal suo stesso governo. Il terzo e forse più scioccante motivo è che l’uso della tortura descritto in “1984” prefigura i modi in cui essa viene utilizzata dagli stati di oggi nella loro interminabile “guerra al terrore”. Dopo l’11 Settembre e per la prima volta nella storia americana la tortura è diventata una politica ufficiale (prima di allora veniva usata occasionalmente, ma sempre contro la legge, e talvolta come tale veniva punita). Per capire meglio l’anno 2017 tornate ai tre più celebri libri di Orwell. Il primo è Omaggio alla Catalogna, nel quale mostra come la sinistra possa mentire esattamente come fa la destra, e diventa scettico verso qualsiasi esercizio del potere. Secondo, “La Fattoria degli Animali”, che lui definisce una favola, una versione per adulti di una storia di disincanto. E infine “1984”, nel quale Orwell aggiorna il racconto dell’orrore. Il suo mostro non è Frankestein, ma lo Stato moderno.(Thomas E. Ricks, “Stiamo (ancora) vivendo in un mondo orwelliano”, estratto dell’ultimo libro di Ricks pubblicato da “Foreign Policy il 24 luglio 2017, tradotto e ripreso da Henry Tougha per “Voci dall’Estero”).Alcuni critici sostenevano che dopo l’anno 1984 la rilevanza di George Orwell sarebbe andata diminuendo. Nel 1987 Harold Bloom scriveva che il più grande romanzo di Orwell sul totalitarismo, “1984”, rischiava di diventare un libro storico, un po’ come “La Capanna dello Zio Tom”. Anche il critico letterario Irving Howe, un grande sostenitore di Orwell, pensava che “1984” avrebbe presentato per le future generazioni «un interesse più che altro storico». Eppure, invece di affievolirsi, la popolarità di Orwell sta crescendo in tutto il mondo. Il fatto che il contesto storico di “1984” sia ormai trascorso sembra avere “liberato” il romanzo, rendendo chiaro che il suo messaggio si riferisce a un problema universale dell’umanità moderna. Negli anni recenti le sue parole hanno suscitato un notevole interesse presso la nuova generazione post-Guerra Fredda. «Sono sicuro che George Orwell non pensava: ‘Devo scrivere una storia istruttiva per un ragazzo iracheno’, mentre scriveva “1984”», ha sottolineato lo scrittore iracheno Hassan Abdulrazzak nel 2014. «Ma questo libro mi ha spiegato cosa fosse l’Iraq di Saddam meglio di chiunque altro, prima o dopo».
-
Crisi senza fine? La previde vent’anni fa il “profeta” Craxi
Col suo libro esplosivo sulle 36 super-logge segrete del massimo potere mondiale (“Massoni, società a responsabilità illimitata”, edito da Chiarelettere), il massone Gioele Magaldi, fondatore del Grande Oriente Democratico in aperta polemica con la massoneria ufficiale italiana, «ha completamente riscritto la storia degli ultimi non so quanti anni», scrive Vincenzo Bellisario sul sito del “Movimento Roosevelt”, nato su impulso dello stesso Magaldi per squarciare il velo sulla politica italiana dominata dall’élite internazionale e contribuire a democratizzare il sistema, in un percorso di ripristino della perduta sovranità. Ma a fare un’anologa denuncia, ricorda Bellisario, fu il vituperato Bettino Craxi, dal suo esilio di Hammamet, nella seconda metà degli anni ‘90. Memoriale uscito nel 2014, col titolo “Io parlo, e continuerò a parlare” (Mondadori). Altro libro utilissimo, dice Bellisario, «per comprendere in “altri termini” cos’è accaduto e accade in Italia, in Europa e nel mondo», ovvero: nomi e cognomi di chi ci ha inguaiato davvero, precipitandoci in questa crisi infinita.Rivelazioni che «spiegano con parole mirate e incisive i fatti degli ultimi anni ed odierni, ancora oggi tristemente e quotidianamente sotto gli occhi del tutto ignari della quasi totalità» del pubblico, che magari vota Renzi e ha di Craxi un pessimo ricordo. Un libro, quello dell’ex leader del Psi, definito (oggi) da diversi giornalisti “profetico”, “sorprendente”, “agghiacciante”, “al limite della preveggenza”. Lo Stato è a pezzi, così come l’idea di nazione? «La pace si organizza con la cooperazione, la collaborazione, il negoziato, e non con la spericolata globalizzazione forzata», scrive Craxi. «Ogni nazione ha una sua identità, una sua storia, un ruolo geopolitico cui non può rinunciare. Più nazioni possono associarsi, mediante trattati per perseguire fini comuni, economici, sociali, culturali, politici, ambientali». Al contrario, «cancellare il ruolo delle nazioni significa offendere un diritto dei popoli e creare le basi per lo svuotamento, la disintegrazione, secondo processi imprevedibili, delle più ampie unità che si vogliono costruire». E attenti: «Dietro la longa manus della cosiddetta globalizzazione si avverte il respiro di nuovi imperialismi, sofisticati e violenti, di natura essenzialmente finanziaria e militare».Da Mani Pulite, Craxi fu liquidato come “capo di una banda di ladri” per via del finanziamento illecito ai partiti, compreso il suo? «I partiti dipinti come congreghe parassitarie divoratrici del danaro pubblico – scrive l’ex leader socialista – sono una caricatura falsa e spregevole di chi ha della democrazia un’idea tutta sua, fatta di sé, del suo clan, dei suoi interessi e della sua ideologia illiberale. Fa meraviglia, invece, come negli anni più recenti ci siano state grandi ruberie sulle quali nessuno ha indagato. Basti pensare che solo in occasione di una svalutazione della lira, dopo una dissennata difesa del livello di cambio compiuta con uno sperpero di risorse enorme ed assurdo dalle autorità competenti, gruppi finanziari collegati alla finanza internazionale, diversi gruppi, speculando sulla lira, evidentemente sulla base di informazioni certe, che un’indagine tempestiva e penetrante avrebbe potuto facilmente individuare, hanno guadagnato in pochi giorni un numero di miliardi pari alle entrate straordinarie della politica di alcuni anni. Per non dire di tante inchieste finite letteralmente nel nulla».Possibile che sul finanziamento illecito non avesse niente da dichiarare il Pci? «D’Alema ha detto che con la caduta del Muro di Berlino si aprirono le porte ad un nuovo sistema politico», scriveva Craxi. «Noi non abbiamo la memoria corta. Nell’anno della caduta del Muro, nel 1989, venne varata dal Parlamento italiano una amnistia con la quale si cancellavano i reati di finanziamento illegale commessi sino ad allora. La legge venne approvata in tutta fretta e alla chetichella. Non fu neppure richiesta la discussione in aula. Le commissioni, in sede legislativa, evidentemente senza opposizioni o comunque senza opposizioni rumorose, diedero vita, maggioranza e comunisti d’amore e d’accordo, a un vero e proprio colpo di spugna. La caduta del Muro di Berlino aveva posto l’esigenza di un urgente “colpo di spugna”». E’ storia, ormai: «Sul sistema di finanziamento illegale dei partiti e delle attività politiche, in funzione dal dopoguerra e adottato da tutti, anche in violazione della legge sul finanziamento dei partiti entrata in vigore nel 1974, veniva posto un coperchio».“Serviva”, quel coperchio, per legittimare una “nuova” classe dirigente europeista, usa obbedir tacendo. «Il regime avanza inesorabilmente: lo fa passo dopo passo, facendosi precedere dalle spedizioni militari del braccio armato», scriveva Craxi quasi vent’anni or sono. «La giustizia politica è sopra ogni altra l’arma preferita. Il resto è affidato all’informazione, in gran parte controllata e condizionata, alla tattica ed alla conquista di aree di influenza». Il regime, continua Craxi, «avanza con la conquista sistematica di cariche, sottocariche, minicariche, e con una invasione nel mondo della informazione, dello spettacolo, della cultura e della sottocultura che è ormai straripante». A proposito di “sottocultura”, Bellisario ricorda il recentissimo attacco «violento, squallido e di bassissimo profilo» sferrato da Luciana Littizzetto contro il Movimento 5 Stelle nientemeno che dalla tribuna televisiva di Fabio Fazio, sulla Rai (in compenso, all’epoca, dalla televisione di Stato fu cacciato Beppe Grillo, colpevole di mettere alla berlina di socialisti “ladri”: anche di quello si occupava, Craxi, anziché esternare sui pericoli della globalizzazione privatizzatrice in arrivo).«Sono oggi evidentissime le influenze determinanti di alcune lobbies economiche e finanziarie e di gruppi di potere oligarchici», scrisse più tardi, da Hammamet, il segretario del Psi. «A ciò si aggiunga la presenza sempre più pressante della finanza internazionale, il pericolo della svendita del patrimonio pubblico, mentre peraltro continua la quotidiana, demagogica esaltazione della privatizzazione», che è sempre «presentata come una sorta di liberazione dal male, come un passaggio da una sfera infernale ad una sfera paradisiaca: una falsità che i fatti si sono già incaricati di illustrare, mettendo in luce il contrasto che talvolta si apre non solo con gli interessi del mondo del lavoro ma anche con i più generali interessi della collettività nazionale». Parole sante, col senno del poi? Non si direbbe: la Grande Privatizzazione continua anche ora e più che mai, con Renzi, che mette all’asta persino un modello di impresa pubblica in super-attivo, Poste Italiane.Facile dire che vedeva lungo, Craxi: «La “globalizzazione” non viene affrontata dall’Italia con la forza, la consapevolezza, l’autorità di una vera e grande nazione, ma piuttosto viene subìta in forma subalterna in un contesto di cui è sempre più difficile intravedere un avvenire, che non sia quello di un degrado continuo, di un impoverimento della società, di una sostanziale perdita di indipendenza». Chissà cos’avrebbe detto, oggi, di fronte agli ultimi orrori, a comiciare dal Ttip, il Trattato Transatlantico Usa-Ue che rade al suolo ogni residua sovranità economica. Per non parlare del Fiscal Compact e del pareggio di bilancio inserito addirittura in Costituzione, a certificare la morte clinica dello Stato come garante della comunità nazionale. Ai tempi, quando i Prodi e i Ciampi magnificavano il dorato avvenire promesso da Bruxelles, Craxi scriveva: «I parametri di Maastricht non si compongono di regole divine. Non stanno scritti nella Bibbia. Non sono un’appendice ai dieci comandamenti». E l’andamento di questi anni «non ha corrisposto alle previsioni dei sottoscrittori: la situazione odierna è diversa da quella sperata».Ogni trattato, aggiungeva Craxi, può e deve essere rinegoziato, aggiornato, adattato alle condizioni reali e alle nuove esigenze: «Questa è la regola del buon senso, dell’equilibrio politico, della gestione concreta e pratica della realtà», lontano cioè dall’autismo dogmatico dei tecnocrati e dei loro cantori più o meno prezzolati, distribuiti in ogni paese. «Su di un altro piano stanno i declamatori retorici dell’Europa, il delirio europeistico che non tiene contro della realtà, la scelta della crisi, della stagnazione e della conseguente disoccupazione». La “scelta della crisi”, dunque, da cui la “conseguente disoccupazione”. L’euro? No, grazie: «Affidare effetti taumaturgici e miracolose resurrezioni alla moneta unica europea, dopo aver provveduto a isterilire, rinunciare, accrescere i conflitti sociali, è una fantastica illusione che i fatti e le realtà economiche e finanziarie del mondo non tarderanno a mettere in chiaro». Ed era solo la fine degli anni ‘90. L’Italia non era ancora finita nel girone infernale della Bce: recessione e crollo del Pil, super-tassazione, licenziamenti e fallimenti, erosione dei risparmi, disperazione sociale, rassegnazione al declassamento dell’Italia Così parlava il “profeta” Craxi. Rileggerlo oggi? Scomodo, per troppi personaggi in pista già allora. Uomini che però, anziché ad Hammamet, sono fini alla Bce, al Fondo Monetario e all’Ocse, a Bankitalia, alla Goldman Sachs. E naturalmente a Palazzo Chigi, e al Quirinale.Col suo libro esplosivo sulle 36 super-logge segrete del massimo potere mondiale (“Massoni, società a responsabilità illimitata”, edito da Chiarelettere), il massone Gioele Magaldi, fondatore del Grande Oriente Democratico in aperta polemica con la massoneria ufficiale italiana, «ha completamente riscritto la storia degli ultimi non so quanti anni», scrive Vincenzo Bellisario sul sito del “Movimento Roosevelt”, nato su impulso dello stesso Magaldi per squarciare il velo sulla politica italiana dominata dall’élite internazionale e contribuire a democratizzare il sistema, in un percorso di ripristino della perduta sovranità. Ma a fare un’anologa denuncia, ricorda Bellisario, fu il vituperato Bettino Craxi, dal suo esilio di Hammamet, nella seconda metà degli anni ‘90. Memoriale uscito nel 2014, col titolo “Io parlo, e continuerò a parlare” (Mondadori). Altro libro utilissimo, dice Bellisario, «per comprendere in “altri termini” cos’è accaduto e accade in Italia, in Europa e nel mondo», ovvero: nomi e cognomi di chi ci ha inguaiato davvero, precipitandoci in questa crisi infinita.
-
L’orgia cannibale è realtà, Pasolini non doveva svelarla
Tu chiamalo, se vuoi, movente esoterico. Nasce dalla chiave di lettura “simbolica” dell’evento, quella che fa caso a dettagli in apparenza insignificanti, senza valore per la verità giudiziaria. In base a questa analisi, Pasolini sarebbe stato assassinato con le modalità del sacrificio rituale, in base alla “pena del contrappasso” enunciata da Dante Alighieri, per due ragioni sostanziali. La prima: aveva denunciato la subdola ferocia del potere mettendo alla berlina col romanzo “Petrolio” i mandanti dell’omicidio Mattei. E soprattutto, attraverso le atroci sequenze del suo ultimo film, “Salò”, ispirato al romanzo del marchese De Sade “Le 120 giornate di Sodoma”, aveva osato mettere in scena l’abominio di perversioni sessuali violente, fino alla morte delle giovani vittime, perpetrato da una super-casta annidata tra i massimi vertici. Non un incubo o una fantasia terribile, ma l’agghiacciante rappresentazione di una realtà indicibile, sostiene Stefania Nicoletti. Per questo Pasolini è stato ucciso, e in quel modo: con “Salò”, film strettamente collegato all’omicidio (le pellicole rubate), aveva denunciato una pratica selvaggia, di spaventosa brutalità, tragicamente ordinaria in alcuni ambienti insospettabili.Stefania Nicoletti collabora da anni con l’avvocato Paolo Franceschetti, già legale delle “Bestie di Satana” e indagatore dei più controversi casi di cronaca, da Cogne al Mostro di Firenze. La tesi è suffragata da osservazioni inconsuete: molti delitti di cui parlano i media sono fatti di sangue solo in apparenza inspiegabili; in realtà si tratta di veri e propri “sacrifici umani”, compiuti da esoteristi che agiscono al riparo di potentissime protezioni, anche istituzionali. Quello che viene esibito – le indagini inconcludenti, il capro espiatorio socialmente fragile – non è che un copione per depistare l’opinione pubblica. La verità, ripete Franceschetti, è che ogni anno, in Italia, spariscono centinaia di minori. «Dove finiscono? Molti loro nel gorgo del traffico di organi, e altrettanti – appunto – nella potentissima rete dei pedofili: gente che arriva a pagare cifre folli per gli “snuff movie”, i film dove la giovane vittima viene violentata e seviziata fino alla sua morte», come appunto nel film di Pasolini. Ed ecco allora l’altro movente, quello occulto, che si salda con la volontà di eliminare e “punire” una voce troppo coraggiosa, lo scrittore che in “Petrolio” (uscito postumo) accusò Eugenio Cefis per la morte di Mattei, il “padre” dell’Eni temutissimo alle Sette Sorelle in quanto filo-arabo.«Spesso il movente del delitto di un personaggio scomodo non è uno solo, ma sono più moventi insieme, che non si escludono a vicenda ma anzi sono complementari, come sono complementari gli interessi e le entità che vogliono la morte di un determinato personaggio inviso al sistema», scrive Stefania Nicoletti sul blog di Franceschetti. E’ il caso, appunto, di Pasolini, sul quale si è scritto di tutto, anche di recente. Nel 2009, ad esempio, è uscito per “Chiarelettere” il libro “Profondo nero” di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, che porta avanti la tesi Eni-Cefis-Mattei e che contiene anche un’intervista a Pino Pelosi, il “ragazzo di vita” che era con Pasolini quella tragica sera, il 2 novembre 1975, all’Idroscalo di Ostia (alla pista-Eni ha dato risalto, tra gli altri, anche il blog di Beppe Grillo). Nell’agosto 2012, continua la Nicoletti, è arrivata la sentenza della Corte d’assise di Palermo sulla scomparsa del giornalista Mauro De Mauro, ucciso nel 1970 perché stava indagando sulla morte di Mattei. Una sentenza, dunque, dopo 40 anni. De Mauro? Ucciso per paura che rivelasse i mandanti del sabotaggio dell’aereo di Mattei, precipitato a Bascapè sulle colline dell’Oltrepo Pavese.«La causa scatenante della decisione di procedere senza indugio al sequestro e all’uccisione di Mauro De Mauro – scrivono i giudici – fu costituita dal pericolo incombente che egli stesse per divulgare quanto aveva scoperto sulla natura dolosa delle cause dell’incidente aereo di Bascapè, violando un segreto fino ad allora rimasto impenetrabile e così mettendo a repentaglio l’impunità degli influenti personaggi che avevano ordito il complotto ai danni di Enrico Mattei, oltre a innescare una serie di effetti a catena di devastante impatto sugli equilibri politici e sull’immagine stessa delle istituzioni». Mauro De Mauro, aggiunge la Nicoletti, stava collaborando con il regista Francesco Rosi per il film “Il caso Mattei” e scomparve nel nulla poco prima dell’incontro previsto con Rosi. Cinque anni più tardi, Pier Paolo Pasolini stava indagando sulla stessa pista e aveva scoperto le stesse cose, venendo in possesso di documenti riservati su Eugenio Cefis. E fece la stessa fine di De Mauro.Nel dicembre 2013, poi, escono articoli di giornale che parlano di “svolta” nell’inchiesta per il delitto Pasolini. Dopo 38 anni, scrive Nicoletti, gli inquirenti si accorgono che forse c’è qualcosa che non va nella versione ufficiale e riaprono le indagini. La notizia è che ci sono dei sospetti sui complici di Pino Pelosi: nuovi elementi confermerebbero che a partecipare all’omicidio sarebbero state più persone. «Sono stati ascoltati 120 testimoni, di cui molti non erano mai stati sentiti in precedenza». In articoli come quelli pubblicati dal quotidiano “Il Tempo”, sottolinea la Nicoletti, viene rimarcato più volte che i testimoni sono proprio 120: numero ripetuto per ben tre volte nelle prime righe. «Quando lessi l’articolo, questo particolare mi suonò strano, perché avrebbero anche potuto scrivere “un centinaio” oppure “oltre cento testimoni”. Quel 120 così preciso – scrive la Nicoletti – mi ha ricordato il titolo “Salò o le 120 giornate di Sodoma”», il film “maledetto” che Pasolini aveva ultimato pochi giorni prima di essere ucciso. «È probabile che in questo articolo e nell’intera operazione sia celato qualche messaggio, dato che è proprio nel film in questione che si può trovare uno dei moventi dell’omicidio». In “Salò”, aggiunge Nicoletti, «Pasolini aveva raccontato ciò che accade all’interno delle organizzazioni che detengono il potere».Nello stesso articolo del “Tempo” si parla di «reperti esaminati in passato e ora recuperati dagli investigatori, per avviare nuove analisi utilizzando tecniche scientifiche che precedentemente non esistevano». Di quali reperti si tratta? «Risulta che all’epoca dei fatti venne cancellato o manomesso tutto ciò che poteva essere utile alle indagini: non venne recintato il luogo del delitto, le prove e le tracce vennero cancellate, l’auto di Pasolini venne lasciata incustodita, in modo che chiunque avrebbero potuto mettere o togliere indizi». Dunque, conclude l’analista, «non si capisce quali “reperti” siano ancora validi e possano essere analizzati scientificamente». Un anno dopo, nel dicembre 2014, si parla ancora di “svolta” nelle indagini: le analisi del Dna sugli abiti di Pasolini rilevano tracce di altre 5 persone. Dalle macchie di sangue è stato estratto il codice genetico di altri possibili sospettati, complici quindi di Pelosi. Ma due mesi dopo, nel febbraio 2015, arriva subito un’altra notizia: il test del Dna non risolve il caso, perché il materiale biologico “non è attribuibile”, né collocabile temporalmente.«I magistrati hanno consegnato al gip la richiesta di archiviazione. E dunque l’inchiesta sul delitto Pasolini, riaperta nel 2010, dopo tutti questi annunci di presunte “svolte”, viene di nuovo archiviata». Ma nel 2014, quando l’inchiesta è ancora aperta, Pino Pelosi continua a fare dichiarazioni e viene convocato dalla Procura di Roma per essere interrogato di nuovo. Queste sono alcune delle sue affermazioni: «Quella notte all’Idroscalo c’erano tre automobili, una motocicletta e almeno sei persone, ma non sono in grado di dire chi fossero. Oltre all’Alfa Gt di Pasolini, c’era una Fiat 1300 e un’altra Alfa identica a quella di Pier Paolo. Era buio pesto e ho visto arrivare sul posto due automobili e una motocicletta. C’erano almeno sei persone, e due individui hanno trascinato Pier Paolo fuori dall’abitacolo. In un primo momento sono riuscito ad allontanarmi, fuggendo. Da dove mi trovavo sentivo Pier Paolo gridare e chiedere aiuto, ma nulla di più. Sotto al tappetino dell’automobile di Pier Paolo, c’erano 3 o 4 milioni di lire. Denaro che non venne ritrovato insieme alla vettura». In più, «l’esame del radiale dell’Alfa di Pasolini, che avrebbe dovuto investirlo e schiacciarlo quando era già a terra, uccidendolo, non è stato mai effettuato».Il pm Francesco Minisci gli domanda di chiarire alcuni aspetti relativi al possesso – all’epoca dei fatti – di una Fiat 850 Coupé. Automobile che, a detta di un testimone, sarebbe stata rubata e poi fatta circolare con targhe “buone”. E Pelosi risponde: «Dovrebbero andare a bussare alla porta della cugina di Pasolini, Graziella Chiarcossi, che denunciò il furto della macchina del regista, poi ritrovata a Fiumicino, e a quella di Ninetto Davoli che, a distanza di anni dai tragici eventi, fece distruggere l’Alfa Gt del regista». In effetti l’auto di Pasolini è stata demolita da Davoli nel 1987, come risulta anche alla motorizzazione di Roma. «Queste di Pelosi sono dichiarazioni importanti, che andrebbero quantomeno approfondite», annota Nicoletti. «Ma l’inchiesta, come abbiamo già visto, è stata archiviata». Intanto, nel settembre 2014, esce il tanto atteso film “Pasolini” di Abel Ferrara, pubblicizzato come “film verità” sull’ultimo giorno di vita e sull’omicidio, con promesse di rivelazioni clamorose. Il regista americano dichiara alla stampa di conoscere la verità sul delitto Pasolini e di rivelare il vero autore dell’omicidio, con tanto di nome e cognome. «Promesse assolutamente disattese: infatti nel film non solo non viene fatto il nome del vero assassino, ma viene messa in atto una vera e propria azione di depistaggio».Nelle scene finali viene ricostruita la notte dell’omicidio, continua Nicoletti: «Secondo Abel Ferrara, a uccidere Pasolini non è stato Pelosi – e fin qui va bene – ma un gruppo di sbandati che lo ammazzano perché è ricco e vogliono derubarlo, e perché è omosessuale. Per tutta la sua durata, il film fa credere di voler dare un’ipotesi alternativa sulla dinamica dell’omicidio e sugli esecutori, citando anche brani del romanzo “Petrolio”. Si arriva alla fine del film con tante attese e speranze… E in effetti l’ipotesi alternativa viene data, ma essa è ancora più depistante di quella ufficiale». Esiste invece un altro film, pronto già nel 2012 ma che non è mai riuscito a trovare una distribuzione. Si intitola “Pasolini, la verità nascosta” e il regista è Federico Bruno, che ha ricostruito l’ultimo anno di vita di Pasolini: la stesura del libro “Petrolio” e i capitoli mancanti sull’Eni e sul delitto Mattei, la preparazione del film “Salò” e il furto delle bobine (i negativi), le ultime interviste alla tv francese e a Furio Colombo. «Il film smentisce la tesi ufficiale, portando nuove inedite informazioni. E lo fa davvero, non come quello di Ferrara. Per questo motivo, il film di Federico Bruno è stato boicottato e non distribuito in Italia, rifiutato da tutti, anche dai parenti di Pasolini; mentre invece il film depistante di Abel Ferrara è stato finanziato dallo Stato, appoggiato dagli eredi di Pasolini, e persino presentato in concorso al 71° Festival del Cinema di Venezia».Negli ultimi mesi, continua Stefania Nicoletti, è stato annunciato un altro film, che uscirà a febbraio 2016: “La macchinazione” di David Grieco, amico e collaboratore di Pasolini, e anche autore della memoria civile al processo Pelosi. Il film racconterà gli ultimi tre mesi di vita di Pasolini. «In alcune interviste, Grieco afferma che Pasolini è stato ucciso dall’organizzazione che ha compiuto tutte le stragi italiane (che lo stesso Pasolini aveva denunciato nel suo celebre “Io so” e in altri articoli) e messo in atto la strategia della tensione, servendosi di uomini dei servizi segreti e di Gladio». Lo dichiara apertamente, Grieco, intervistato dal “Piccolo” di Trieste: «Pasolini è stato ammazzato da quelli che hanno fatto tutto quello che è stato fatto dal ’69 in poi in questo paese: le stragi, la strategia della tensione, gli omicidi politici, le bombe sui treni, la stazione di Bologna, piazza della Loggia, eccetera. L’organizzazione era molto vasta e quindi non parlo materialmente delle stesse persone. È un’organizzazione che nasce all’alba della Liberazione, quando gli americani arrivano in Italia, l’esercito tedesco è in rotta e loro già stanno pensando a come fronteggiare il nemico sovietico».«Si crea uno Stay Behind che in Italia si chiama Gladio, organizzazione clandestina ma fino a un certo punto perchè in America è pienamente nota ed è presente in tutti i rapporti della Cia al congresso americano», continua Grieco, che spiega che Gladio «serve a fare qualsiasi cosa purché il comunismo non si espanda e non prenda piede nella parte occidentale o meridionale d’Europa. Qualunque mezzo è lecito». Leggendo queste dichiarazioni, Stefania Nicoletti si domanda: «Come mai David Grieco, amico storico di Pasolini, parla pubblicamente solo adesso? Come mai non l’ha detto prima, anziché aspettare 40 anni? Forse è il segno che “qualcuno” ha deciso che certe verità devono emergere in questo momento storico». Oltre al film che sta realizzando, Grieco ha pubblicato anche un libro: “La macchinazione. Pasolini, la verità sulla morte”, uscito da poche settimane, edito da Rizzoli. Grieco fu tra i primi a raggiungere il luogo in cui fu trovato il corpo senza vita di Pasolini, insieme al medico legale Faustino Durante, anche se «risultava che sul luogo del delitto non fosse mai stato convocato un medico legale». Inoltre, Grieco è stato il compagno di Bruna Durante, figlia del medico legale.Se l’infinita odissea processuale – proprio come quelle delle stragi e dei casi di cronaca “irrisolti” – naufraga in un mare di ombre, sospetti, menzogne e depistaggi, Stefania Nicoletti si concentra sul profilo “simbolico” della vicenda, sempre trascurato. «A mio parere – scrive – nella scelta del luogo e nella modalità dell’omicidio, è stata applicata più volte la legge del contrappasso». L’Idroscalo è un aeroporto (per gli idrovolanti), e Pasolini «aveva scoperto la verità sull’omicidio di Enrico Mattei, morto in un incidente aereo». Un “contrappasso per analogia”? «Anche nella messa in scena del movente sessuale possiamo trovare un contrappasso: l’hanno ammazzato nei luoghi degradati e negli ambienti violenti che aveva sempre descritto nelle sue opere. Le borgate, i ragazzi di vita, l’omosessualità. Da un lato era un ottimo modo per avere una rapida risoluzione del caso e per poi continuare ad infangarne la memoria, dall’altro fu un omicidio per analogia: ti facciamo morire come uno dei tuoi personaggi. Stessi luoghi, stesse persone, stesse modalità».Ancora cinema: alla fine del 2013 è stata annunciata la pubblicazione di una sceneggiatura risalente al 1959 e rimasta finora inedita, “La Nebbiosa”, in cui Pasolini aveva descritto un omicidio uguale al suo. La trama: un gruppo di teppisti sequestra un omosessuale, lo conduce in uno spiazzo deserto e lo picchia a sangue fino alla morte. I giornali parlano di “visione profetica”, scrivendo che Pasolini “sapeva come sarebbe morto” e che “ha anticipato lo scenario” del suo omicidio. «In realtà, non è che sapeva come sarebbe morto, e nemmeno ha anticipato o profetizzato la sua morte», puntualizza Stefania Nicoletti. «Invece è il contrario: l’hanno ucciso come il personaggio di questa sua opera inedita ora pubblicata. E anche qui possiamo quindi trovare la legge del contrappasso». Secondo la Nicoletti, «è la stessa operazione che fecero con Rino Gaetano e la sua canzone “La ballata di Renzo”», in cui il cantante descrisse la morte di un giovane rifiutato da più ospedali e morto dissanguato nella notte, come in effetti poi accadde all’autore di “Nun te reggae più”. «Anche nel caso di Rino Gaetano si disse che aveva profetizzato la sua morte molti anni prima, quando invece fu il contrario: lo uccisero come in quella sua canzone».Sulla storia descritta ne “La Nebbiosa”, il quotidiano “Libero” scrive: «L’alba è vicina e i ragazzi caricano in macchina un omosessuale, lo portano in uno spiazzo isolato, lo spogliano e lo massacrano a sangue. Una scena che sconvolge perché ricorda molto da vicino proprio le modalità con cui Pasolini verrà ucciso nel 1975 al Lido di Ostia. Talmente da vicino che, se stessimo scrivendo un giallo e non un articolo, potremmo ipotizzare che chi ha ucciso Pasolini avesse letto il copione e avesse tutto l’interesse a farlo scomparire. Quasi che “La Nebbiosa” potesse contenere quei segreti sulla morte dello scrittore che nemmeno la magistratura è mai riuscita del tutto a chiarire». Preveggenza, appunto, o piuttosto esecuzione progettata sulla base del copione narrato dalla stessa vittima? Per questo Stefania Nicoletti si concentra su “Salò o le 120 giornate di Sodoma”, l’ultimo film di Pasolini, uscito postumo due mesi dopo la sua morte. Il regista terminò il montaggio proprio il giorno prima di essere ucciso. Film legato a doppio filo all’omicidio: non solo perché si conclude con una strage, ma perché finì direttamente nelle indagini a causa di materiale cinematografico rubato e poi utilizzato per condizionare il regista, forse addirittura per tendergli l’agguato mortale.E’ noto infatti l’episodio delle bobine di “Salò” rubate alla Technicolor: unico caso nella storia del cinema di furto di “pizze” con richiesta di riscatto (due miliardi di lire). Pasolini si rifiutò di pagare: disse al produttore che avrebbe ricavato un negativo da un positivo e che avrebbe fatto a meno degli originali. Poco dopo, continua Stefania Nicoletti, un personaggio oscuro della malavita romana – si dice che fosse un esponente della Banda della Magliana – andò dal regista Sergio Citti e gli disse di essere in possesso delle pellicole e di poterle restituire anche gratis se avesse organizzato un incontro con Pasolini. Fu lo stesso Citti, amico e collaboratore del regista, a raccontare l’episodio nel 2005, dichiarando anche di non essere mai stato chiamato a testimoniare (secondo il regista Federico Bruno, invece, Citti sarebbe stato ascoltato dagli inquirenti). Pasolini dapprima rifiutò l’incontro per la restituzione delle “pizze”, non fidandosi dell’ambiente da cui proveniva la proposta. Ma in un secondo momento accettò, convinto da Pino Pelosi, che conosceva da qualche mese. «Pelosi fece quindi da esca – consapevole o meno – alla trappola tesa per portare Pasolini a Ostia e ucciderlo».Il film “Salò” è ispirato al romanzo del marchese De Sade “Le 120 giornate di Sodoma”, ma Pasolini ne colloca l’ambientazione tra il 1944 e il 1945, nel Nord Italia occupato dai nazifascisti durante la Repubblica Sociale Italiana (da cui il titolo “Salò”). In una villa isolata, si riuniscono quattro rappresentanti del potere: il Duca, il Monsignore, l’Eccellenza (Giudice di Corte d’assise), e il Presidente (di una banca). I quattro Signori fanno rapire decine di ragazzi e ragazze, e nella villa infliggono loro ogni tipo di violenza e tortura psicologica, fisica e sessuale. Con il passare del tempo, i giovani perdono la dignità umana e si abbandonano al loro destino, consegnano il proprio corpo e la propria anima ai Signori. Giunti quasi al termine delle 120 giornate, in cerca di una violenza sempre più intensa, i Signori decidono di passare alla forma più estrema di “piacere”: quello assassino, uccidendo la maggior parte dei ragazzi. «È un film scioccante, crudele, terribile. Ma è più di un film… racconta la realtà. Una realtà che non si riferiva solo al periodo in cui è ambientato – afferma Stefania Nicoletti – ma che esisteva anche negli anni ’70 quando Pasolini ha scritto e girato il film, e che continua ad esistere anche oggi».Una realtà «fatta di abusi atroci, di torture sessuali, di delitti rituali commessi da coloro che detengono il potere, i cosiddetti “insospettabili”, professionisti e persone rispettabili, i vertici del Sistema». Ne parlò anche il blog di Franceschetti nel 2011, riportando «testimonianze di sopravvissuti a un sistema di abusi simili a quelli descritti da Pasolini». Nel film “Salò”, i quattro Signori «rappresentano i rami del potere: nobiliare, ecclesiastico, giudiziario, economico-bancario». Il vero potere. «Nel film i quattro potenti assoldano dei giovani repubblichini di leva e delle SS, e li incaricano di rapire i ragazzi e portarli alla villa. Le milizie nazifasciste rappresentano sia il potere militare (ma a livelli bassi: non sono generali o comunque ufficiali) sia quello politico, che è subordinato agli altri poteri: i quattro Signori si servono dei repubblichini per raggiungere i loro scopi». Il film è suddiviso in quattro parti, che richiamano nel titolo la geografia dantesca dell’Inferno: Antinferno, Girone delle Manie, Girone della Merda e Girone del Sangue. Chi conosce il blog di Franceschetti sa quanto siano importanti Dante e la Divina Commedia per le società segrete, sia quelle originarie (iniziatico-libertarie) che quelle più recenti e deviate: «Pasolini, che conosceva bene il sistema in cui viviamo, in questo film ha descritto proprio le organizzazioni massoniche ed esoteriche “nere” che compiono abusi e delitti rituali; e forse, con il richiamo all’Inferno, ha voluto darci un’ulteriore indicazione sulla natura di ciò che ha raccontato».Un altro particolare che Pasolini ha preso dalla realtà, continua Stefania Nicoletti, è la modalità del rapimento: «I giovani vengono scelti in base a determinate caratteristiche, e vengono strappati dalle proprie famiglie; ma talvolta sono invece i loro stessi familiari che li vendono». Inoltre prendono parte alle sevizie anche le figlie dei quattro super-potenti, trattate come schiave. Significativo anche il fatto che, secondo il regolamento della villa, “i più piccoli atti religiosi, da parte di qualunque soggetto, verranno puniti con la morte”. Nel film come nella realtà, infatti, «all’interno di queste organizzazioni occulte viene osteggiato qualunque tipo di religiosità o di spiritualità autentica, per lasciare spazio invece a quella deviata», scrive la Nicoletti. «Chi “tradisce” il regolamento viene ucciso, come la ragazza a cui nel film viene tagliata la gola davanti a un altare religioso, e il corpo viene mostrato a tutto il gruppo come monito». Molto eloquente il discorso che il Duca pronuncia quando “accoglie” le giovani vittime nella sua villa: «Deboli creature incatenate, destinate al nostro piacere, spero non vi siate illuse di trovare qui la ridicola libertà concessa dal mondo esterno. Siete fuori dai confini di ogni legalità. Nessuno sulla terra sa che voi siete qui. Per tutto quanto riguarda il mondo, voi siete già morti».Una logica che «esprime perfettamente quello che succede davvero all’interno delle organizzazioni di potenti che commettono abusi e delitti come quelli narrati». Nella sua ultima intervista televisiva, concessa a una tv francese il 31 ottobre 1975 (due giorni prima della morte), in occasione dell’uscita del film, Pasolini affermò: «Il cannibalismo? In certi ambienti è un fatto politico reale, in certi ambienti è un fatto politico metaforico». Insomma, a una lettura attenta e profonda, secondo Stefania Nicoletti «si può capire come Pasolini abbia usato l’espediente dell’ambientazione durante l’occupazione nazifascista per raccontare una realtà molto più grande e attuale». “Salò” illuminerebbe un vero e proprio inferno, retroterra di troppe sparizioni “inspiegabili”, delitti eccellenti, fatti di sangue che restano senza colpevoli. E sparizioni di centinaia di minori, in Italia e nel mondo, ogni anno. «Una realtà fatta di violenze e di abusi rituali, di delitti e di sacrifici umani. Una realtà che coinvolge i vertici del potere, ma che viene sistematicamente occultata. Qualcosa di molto pericoloso, che Pasolini non avrebbe dovuto raccontare e che ha pagato con la vita».Tu chiamalo, se vuoi, movente esoterico. Nasce dalla chiave di lettura “simbolica” dell’evento, quella che fa caso a dettagli in apparenza insignificanti, senza valore per la verità giudiziaria. In base a questa analisi, Pasolini sarebbe stato assassinato con le modalità del sacrificio rituale, in base alla “pena del contrappasso” enunciata da Dante Alighieri, per due ragioni sostanziali. La prima: aveva denunciato la subdola ferocia del potere mettendo alla berlina, col romanzo “Petrolio”, i mandanti dell’omicidio Mattei. E soprattutto, attraverso le atroci sequenze del suo ultimo film, “Salò”, ispirato al romanzo del marchese De Sade “Le 120 giornate di Sodoma”, aveva osato mettere in scena l’abominio di perversioni sessuali violente, fino alla morte delle giovani vittime, perpetrato da una super-casta annidata tra i massimi vertici. Non un incubo o una fantasia terribile, ma l’agghiacciante rappresentazione di una realtà indicibile, sostiene Stefania Nicoletti. Per questo Pasolini è stato ucciso, e in quel modo: con “Salò”, film strettamente collegato all’omicidio (le pellicole rubate), aveva denunciato una pratica selvaggia, di spaventosa brutalità, tragicamente ordinaria in alcuni ambienti insospettabili.