Archivio del Tag ‘Produzioni dal basso’
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Border Nights, dove sono di casa le domande più scomode
«Se non ci foste, bisognerebbe inventarvi». Che faccia farebbero, al Tg1, se ricevessero un messaggio simile? Qualcuno ha mai scritto, a Mentana, qualcosa come «grazie di esistere»? Quello, semmai, è il tenore delle comunicazioni rivolte, in modo sistematico, a “Border Nights”, trasmissione web-radio in live streaming su “Web Radio Network” ogni martedì sera da ormai otto anni. E’ seguita da migliaia di appassionati ascoltatori, fedelissimi di lunga data o fan più recenti, che poi scrivono: «M’è capitato una volta di sentirvi e, da allora, non mi perdo una puntata». Fabio Frabetti, il giovane conduttore – affiancato da Paolo Franceschetti per la consueta mezz’ora “a ruota libera”, spesso condita di autorionia esilarante – si avvale anche delle interviste di Stefania Nicoletti su temi di scottante attualità, mentre una vera signora della radiofonia, Barbara Marchand (Radio Montecarlo, RadioRai), ha licenza di curiosare tra libri e film, giganti del pensiero e follie contemporanee. Nell’assortimento della “notte ai confini” ci sono anche lo stile genuinamente complottistico del “Maestro di Dietrologia”, le divagazioni esoteriche di Federica Francesconi, i singolari profili astrologici con i quali Germana Accorsi tratteggia politici, star e protagonisti della cronaca. Cuore di ogni puntata: grandi ospiti, presenti in diretta, coi i quali gli ascoltatori possono interagire in tempo reale inviando messaggi, via email e in chat.Tra le ultime voci intervenute, quelle di Giovanni Fasanella (il caso Moro) e Gioele Magaldi (elezioni), lo scomodo reporter Gianni Lannes, il regista Massimo Mazzucco (“American Moon”, l’uomo sulla Luna secondo Washington), che si aggiungono a quelle dei vari Giulietto Chiesa, Marcello Foa, Claudio Messora di “ByoBlu”. Geopolitica e temi spinosi, spesso dribblati dal mainstream, che invece a “Border Nights” trovano piena cittadinanza: dalle strane morti per doping ai misteriosi delitti rituali, passando per le scie chimiche e i gialli irrisolti della storia italiana. Vicende come il delitto di Pasolini e la morte di Rino Gaetano ricostruita dall’avvocato Bruno Mautone, fenomeni come il satanismo e la saga horror del Mostro di Firenze (secondo Carmelo Carlizzi e il pm perugino Giuliano Mignini). “Verità cercasi”, fino alla recente sentenza che condanna il ministero della difesa per il silenzio sul sequestro di Davide Cervia, specialista elettronico della marina militare italiana rapito sulla porta di casa e sparito nel nulla 28 anni fa. Dalla tragedia di Ustica a quella della Costa Concordia, passando per gli attentati firmati Isis, si cerca sempre una lettura diversa – anche simbolica – sulle tracce di possibili indizi.“Border Nights” è anche una finestra sui “saperi altri”, come la spettacolare lettura simbologica offerta da Michele Proclamato, tra Cartesio e Arcimboldo, Vitruvio e i “cerchi nel grano”. E poi la lettura “spirituale” proposta da Fausto Carotenuto, la lezione di Steiner secondo Piero Cammerinesi, le vie “alternative” alla conoscenza (Ambra Guerrucci, Stefano Mayorca, Manuela Pompas) e la medicina reinterpretata da Gabriella Mereu (approccio psicologico) e Marcello Pamio (vaccini). C’è davvero di tutto, su “Border Nights”: la Bibbia riletta da Mauro Biglino, la scienza divenuta ultra-dogmatica per Enzo Pennetta, la “dittatura” tecnologica del mondo contemporaneo senza più diritti (Ugo Mattei). Una giovane ricercatrice come Enrica Perucchietti denuncia le menzogne orwelliane del mainstream, fra terrorismo “false flag” e psicosi “fake news”, mentre lo storico Enrico Montermini svela il rapporto tra Mussolini e i circoli massonici internazionali che favorirono l’avvento del fascismo. Lara Pavanetto illumina altre pagine inesplorate di storia, mentre Varo Venturi, Roberto Pinotti, Corrado Malanga e Massimo Barbetta si addentrano – in modi diversissimi – nel mondo dell’ufologia, cioè nell’universo “rivelato da Giordano Bruno”, come spiega l’astrofisica Giuliana Conforto.Sempre tra le stelle, il celebre astrologo Marco Pesatori si muove in modo del tutto inedito, quasi quanto il poetico Silvano Agosti nella vita quotidiana, sognando la sua “Kirghisia”, il mondo di armonia al quale abbiamo voltato le spalle. Last but not least, naturalmente, Gianfranco Carpeoro: avvocato e scrittore nonché colonna portante di “Border Nights”, il simbologo e gran maestro, cultore dei Rosacroce, offre spunti spiazzanti e memorabili la domenica mattina nella rubrica “Carpeoro Racconta”, in web-streaming su YouTube, appuntamento imperdibile per i fan della “notte ai confini”. «Viviamo, senza saperlo, immersi in un pensiero di tipo magico: tendiamo a chiederci sempre e solo “come” fare qualcosa, mai “perché”». La tesi di Carpeoro si traduce in una sorta di manifesto, che “Border Nights” fa proprio: offre spazi generosi a voci spesso isolate, autori poco noti, denunce inascoltate. Trasmissioni mai banali, sempre stimolanti – non è un caso, il “grazie di esistere” che la redazione si vede così spesso recapitare. E’ un nuovo modo di fare informazione: aperto e leale, rispettando e coinvolgendo il pubblico. Beninteso: la trasmissione si regge sul solo volontariato. Ai “follower” più affezionati, ora si propone una sorta di libera sottoscrizione, mediante crowdfunding, su “Produzioni dal basso”. «Ma in ogni caso – assicura Frabetti – noi continueremo come prima, offrendo il nostro lavoro settimanale gratuitamente, a tutti».«Se non ci foste, bisognerebbe inventarvi». Che faccia farebbero, al Tg1, se ricevessero un messaggio simile? Qualcuno ha mai scritto, a Mentana, qualcosa come «grazie di esistere»? Quello, semmai, è il tenore delle comunicazioni rivolte, in modo sistematico, a “Border Nights”, trasmissione web-radio in live streaming su “Web Radio Network” ogni martedì sera da ormai otto anni. E’ seguita da migliaia di appassionati ascoltatori, fedelissimi di lunga data o fan più recenti, che poi scrivono: «M’è capitato una volta di sentirvi e, da allora, non mi perdo una puntata». Fabio Frabetti, il giovane conduttore – affiancato da Paolo Franceschetti per la consueta mezz’ora “a ruota libera”, spesso condita di autorionia esilarante – si avvale anche delle interviste di Stefania Nicoletti su temi di scottante attualità, mentre una vera signora della radiofonia, Barbara Marchand (Radio Montecarlo, RadioRai), ha licenza di curiosare tra libri e film, giganti del pensiero e follie contemporanee. Nell’assortimento della “notte ai confini” ci sono anche lo stile genuinamente complottistico del “Maestro di Dietrologia”, le divagazioni esoteriche di Federica Francesconi, i singolari profili astrologici con i quali Germana Accorsi tratteggia politici, star e protagonisti della cronaca. Cuore di ogni puntata: grandi ospiti, presenti in diretta, coi i quali gli ascoltatori possono interagire in tempo reale inviando messaggi, via email e in chat.
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La sfida dell’eresia, dai Catari al mondo del pensiero unico
“Airesis”: scelta, contraria al dogma. A cosa servono, gli eretici? Spesso, a far fare passi da gigante, al mondo. La nonviolenza di Gandhi di fronte alla brutalità coloniale inglese. L’eroica tenacia di Nelson Mandela, ai lavori forzati per aver denunciato il delirio sociale di un paese africano per soli bianchi. Può vincere, l’eresia? Forse alla distanza, aprendo una crepa innanzitutto culturale, per poi scavare nella coscienza di ciascuno. Sul piano politico, invece, generalmente gli eretici vengono sconfitti, e il più delle volte ci rimettono la pelle. Martin Luther King sognava un’America fraterna, senza più discriminazioni razziali. Yitzhak Rabin osò immaginare un Medio Oriente libero dall’odio e dall’orrore. Sacco e Vanzetti? Fritti sulla sedia elettrica per aver lottato contro un sistema ingiusto. Thomas Sankara voleva un’Africa nuova, sollevata dal giogo finanziario del debito occidentale. Sono caduti tutti, ma oggi siedono in un pantheon intoccabile: in un certo senso, sono ancora qui. Non è possibile cancellare l’immagine del giovane Cassius Clay che getta nel fiume Hudson la medaglia olimpica conquistata a Roma, dopo esser stato respinto – perché “negro” – da un ristorante di New York. Il dissidente compie sempre qualche gesto simbolico, che costringe l’umanità a pensare. A ragione o a torto, l’eretico rischia in prima persona. Si ribella a un dogma imposto, cioè al non-pensiero di un mondo senza libertà.In questa Italia frastornata da una campagna elettorale stanca e mediocre, condizionata dal dogmatismo neoliberista del pensiero unico imposto da Bruxelles, serpeggia la tentazione di una sorta di diserzione di massa, mentre cresce – silenziosamente – una minoranza sempre meno sparuta di cittadini che si fanno domande, si documentano in proprio e si riuniscono, consultando esperti, nel fondato sospetto che qualsiasi versione ufficiale – dai vaccini alla geopolitica fino alla storiografia, passando per l’esegesi biblica dottrinaria – sia sempre inattendibile, incompleta, reticente. E’ un panorama, questo, nel quale fioriscono iniziative impensabili, fino a dieci anni fa: come la lusinghiera campagna di crowdfunding per finanziare, dal basso, il documentario “Bogre”, girato da Fredo Valla tra Bulgaria, Italia, Catalogna e soprattutto Occitania. Un viaggio affascinante, che ripercorre le remote geografie della più importante eresia del medioevo, cioè il Cristianesimo “dualistico” interpretato dai bogomili nei Balcani e poi dai càtari, i “bulgari” travolti dalla Crociata Albigese nella contea di Tolosa, per poi essere annientati da settant’anni di spietate persecuzioni ad opera dell’Inquisizione. Una tragedia che causò la rovina socio-economica della terra dei Trovatori, che alla fine del 1100 era tra le regioni europee più prospere e avanzate, più libere e tolleranti.Fu un trauma, per lo sviluppo armonico dell’Europa: lo sostiene una scrittrice a sua volta “eretica” come Simone Weil, secondo cui proprio la brutale repressione dell’eresia càtara – gli assedi e le stragi, il terrore scatenato dagli inquisitori – alimentò nel continente la generale rassegnazione al culto della forza, alla guerra come esito inevitabile di qualsiasi conflitto, fino al supremo orrore dell’abominio nazista. Chi è l’eretico? E’ uno che si alza in piedi e dice, semplicemente: non sono d’accordo. E spiega il perché. Chi lo ascolta, sa che sta rischiando il carcere, magari la vita. Il coraggio dell’eretico ricorda a tutti, inevitabilmente, che le versioni dei fatti sono sempre almeno due, mai una sola. Se invece l’ideologia è unica, per di più non proposta pacificamente ma imposta in modo dogmatico (cioè con l’esplicito divieto di metterne in discussione i fondamenti) allora l’umanità è in pericolo, si disumanizza, si divide in buoni e cattivi. Sotto il governo di Raimondo VI, conte di Tolosa, sul finire del 1100 poteva capitare di assistere, nelle chiese, ad avvincenti dispute teologiche tra parroci cattolici e predicatori càtari, di fronte alla platea dei fedeli: oggi, nel 2018, è praticamente impossibile che alla televisione abbia accesso qualche vero “eretico”, radicalmente critico nei confronti del sistema socio-economico che ci viene presentato come l’unico possibile.Quella del Catarismo è una storia spesso denegata, che le burocrazie religiose tendono a sminuire, come fosse un fantasma scomodo. Lo è: ma per il potere in generale e non solo per la Roma di allora, se è vero che l’Inquisizione inaugurò la prima vera forma di terrorismo totalitario, ostacolato – per reazione – dalla rivolta armata dei cavalieri “Faidits”, i primi guerriglieri della storia europea. Uno schema che poi non ha fatto che ripetersi, in modo tragicamente sistematico. Vaticano medievale e càtari? Ruoli e maschere di quasi mille anni fa. Più che la casacca indossata, in fondo può contare un gesto destinato a rimanere vivo: come l’immensa pietà per gli sconfitti, che risuona tra i versi cavallereschi della Canzone della Crociata, scritti da cattolici. E l’ultimo “perfetto” càtaro d’Occitania, Guilhelm Belibàsta, a un passo dalla morte sul rogo arrivò a perdonare (e a tentare di convertire) l’uomo che l’aveva tradito, consegnandolo ai carnefici. E questa l’umanità che il film “Bogre” cercherà di riesumare, dopo otto secoli di oblio, tra le pieghe di vicende solo in apparenza lontane da noi. L’eresia è una domanda, che costringe a interrogarsi. E’ il contrario dell’odio, che teme le domande e ama le guerre, vietando ai soldati di pensare. Rileggere l’avventura dei càtari può servire a scoprire di cos’è stata capace, l’umanità, prima di arrendersi al comodo letargo delle verità imposte.(E’ possibile aderire alla campagna di crowdfunding del documentario “Bogre” attraverso la piattaforma “Produzioni dal basso”; in cambio, si potrà ricevere il film in anteprima).“Airesis”: scelta, contraria al dogma. A cosa servono, gli eretici? Spesso, a far fare passi da gigante, al mondo. La nonviolenza di Gandhi di fronte alla brutalità coloniale inglese. L’eroica tenacia di Nelson Mandela, ai lavori forzati per aver denunciato il delirio sociale di un paese africano per soli bianchi. Può vincere, l’eresia? Forse alla distanza, aprendo una crepa innanzitutto culturale, per poi scavare nella coscienza di ciascuno. Sul piano politico, invece, generalmente gli eretici vengono sconfitti, e il più delle volte ci rimettono la pelle. Martin Luther King sognava un’America fraterna, senza più discriminazioni razziali. Yitzhak Rabin osò immaginare un Medio Oriente libero dall’odio e dall’orrore. Sacco e Vanzetti? Fritti sulla sedia elettrica per aver lottato contro un sistema ingiusto. Thomas Sankara voleva un’Africa nuova, sollevata dal giogo finanziario del debito occidentale. Sono caduti tutti, ma oggi siedono in un pantheon intoccabile: in un certo senso, sono ancora qui. Non è possibile cancellare l’immagine del giovane Cassius Clay che getta nel fiume Hudson la medaglia olimpica conquistata a Roma, dopo esser stato respinto – perché “negro” – da un ristorante di New York. Il dissidente compie sempre qualche gesto simbolico, che costringe l’umanità a pensare. A ragione o a torto, l’eretico rischia in prima persona. Si ribella a un dogma imposto, cioè al non-pensiero di un mondo senza libertà.
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Se Cardini deforma i Catari: quella strage fa ancora paura?
«I catari la crociata… se la sono cercata!». Queste esatte parole sono state pronunciate il 21 novembre, alla televisione, dall’illustre professor Franco Cardini. La cornice era quella della splendida trasmissione “Passato e presente” condotta da Paolo Mieli su Rai3. Il titolo di quella puntata era “L’Inquisizione e l’eresia dei Catari”. Si è parlato dell’Inquisizione, ma di quella spagnola che coi catari non c’entra, si è parlato poi dei Templari, che coi catari non c’entrano per niente. Per quanto riguarda i catari, si è parlato solo della crociata, ma non con le sublimi parole di Simone Weil, bensì per dire, appunto, che «se la sono cercata»… Certo, la ventennale crociata in terra occitana è un episodio di primaria importanza nella storia del catarismo, e proprio perché ha fallito è stata istituita l’Inquisizione. Mi spiego meglio: la crociata è riuscita a distruggere la fiorente economia delle contee del Sud, a spegnere la grandiosa poesia dei trovatori, a conquistare quelle terre che finirono per essere inglobate nel Regno di Francia, ma non è riuscita a debellare l’eresia catara, né a cancellare la lingua d’oc. Durante la trasmissione, a proposito della crociata non è stato nemmeno menzionato quel meraviglioso poema che è la Chanson de la croisade albigeoise, da Simone Weil paragonato nientemeno che all’Iliade.La crociata è stata invece pienamente giustificata, e alle perplessità espresse da Paolo Mieli sul fatto che si trattava di combattere contro dei cristiani, il professor Cardini ha risposto prontamente che i catari erano peggio degli infedeli, dato che – riporto le sue testuali parole: «con la loro azione impediscono ai cristiani di darsi alla guerra contro gli infedeli e quindi sono degli obiettivi alleati degli infedeli, però sono peggiori degli infedeli in quanto sono dei traditori della loro fede». Non si sa se ridere o piangere, tanta è l’insensatezza di quello che dice. L’odio di Cardini per i catari traspare da mille indizi, come quest’altra perla: «Vengono da Oriente, esattamente come la lebbra». Come non pensare qui a quelle splendide parole di Dante, che a proposito del luogo di nascita di San Francesco scrive:“Di questa costa, là dov’ella frange / più sua rattezza, nacque al mondo un sole, / come fa questo talvolta di Gange. / Però chi d’esso loco fa parole, / non dica Ascesi, ché direbbe corto, / ma Oriente, se proprio dir vuole” (Paradiso XI, 49-54). Da Oriente viene la luce, e da un punto di vista spirituale ha un significato simbolico altissimo, basti pensare che anticamente le chiese dovevano essere “orientate”, ovvero costruite in modo che il fedele fosse rivolto verso Oriente. Ma siccome da Oriente vengono i catari – Cardini dice infatti che venivano chiamati «bulgari», cosa che è vera – allora si è sentito in dovere di aggiungere: «come la lebbra».Cardini evidentemente crede alle calunnie che all’epoca venivano diffuse sui catari. Ma è possibile che uno storico non sappia che i vincitori hanno sempre demonizzato e criminalizzato i vinti? Possibile che non sappia che non si possono ritenere affidabili al cento per cento le fonti, quando queste sono solo trattati scritti dagli inquisitori e verbali delle dichiarazioni rilasciate – magari sotto tortura – nei processi? Possibile che non sappia che da vent’anni è in atto una riscrittura di quella storia, con toni molto più amichevoli nei confronti dei catari e del loro cristianesimo aperto al dialogo, libero e gioioso? Cardini tutto questo lo ignora, e giustifica la crociata e l’Inquisizione. Certamente la Chiesa ha il diritto di pretendere l’ortodossia da parte dei fedeli. Ma anche di torturare e uccidere chi la pensa diversamente??? E non è tutto: era una trasmissione sull’eresia dei catari, ma non è stata spesa una parola sul catarismo italiano, che, come riferiscono già le fonti dell’epoca, era assai più consistente che non quello occitano. E allora ci dobbiamo chiedere: lo sa il professor Cardini? Se lo sa, è grave il fatto che non ne abbia parlato. Se non lo sa, è gravissimo.Quella del catarismo italiano è una storia affascinante, che si inserisce nelle lotte tra guelfi e ghibellini, dove nelle città rette dai ghibellini non erano ammessi i tribunali dell’Inquisizione. Contro gli inquisitori ci furono sommosse popolari in quasi tutte le città italiane, e qui l’Inquisizione operò per secoli, fino a tutto il Quattrocento. Poi ci sono gli aspetti macabri, come i processi postumi (famoso quello a Farinata degli Uberti), e le considerazioni sull’impoverimento che tutto ciò ha causato, impoverimento di cui soffriamo ancora oggi. Passato e presente è il nome della trasmissione, quasi a voler suggerire che il passato pesa sul presente. E questa pagina del passato, questa pagina grondante sangue, pesa ancora enormemente, nonostante gli sforzi della Chiesa e dei suoi lacchè per farla dimenticare. Ero talmente indignata e arrabbiata ad ascoltare simili parole in una trasmissione che trovo di alto livello e che seguo da tempo con interesse che ho deciso di scrivere a Paolo Mieli, il conduttore.Non mi aspettavo una risposta: avevo più che altro bisogno di sfogare la mia delusione. E invece ha risposto subito, con una mail molto gentile, scusandosi dei «giudizi sommari» e informandomi che cercheranno «di riparare anche tenendo conto dei suoi lavori e delle sue osservazioni». Vedremo. Sarebbe bello se la televisione pubblica, attraverso quello che è forse il suo programma più raffinato e serio di trasmissione della cultura, facesse luce su questa pagina tragica, dolorosa ma importantissima della nostra storia. E desse voce anche alle tante iniziative che dal Cuneese al Veneto, da Milano a Firenze stanno sorgendo, promosse non solo da professori, ma anche da cittadini che vogliono conoscere e far conoscere la storia del territorio in cui vivono e che, scoprendovi le tracce della presenza degli eretici catari sentono, come è già successo nella Francia del Sud, che non è una macchia da nascondere bensì una realtà di cui andar fieri.(Maria Soresina, “I catari la crociata… se la sono cercata!”, dalla pagina Facebook del progetto “Bogre”, documentario che Fredo Valla sta girando – fra Bulgaria, Italia e Francia – sull’eresia medievale cristiano-dualistica dei bogomili e dei catari, facendo appello anche al crowdfung attraverso il portale “Produzioni dal basso”. Storica milanese, Maria Soresina è consulente del progetto cinematografico; ha pubblicato importanti libri come “Le segrete cose. Dante tra induismo ed eresie medievali” e “Libertà va cercando. Il catarismo nella poesia di Dante”, pubblicati da Moretti & Vitali e favorevolmente recensiti dalla Rai e da giornali come il “Sole 24 Ore”, fino all’“Osservatore Romano”).«I catari la crociata… se la sono cercata!». Queste esatte parole sono state pronunciate il 21 novembre, alla televisione, dall’illustre professor Franco Cardini. La cornice era quella della splendida trasmissione “Passato e presente” condotta da Paolo Mieli su Rai3. Il titolo di quella puntata era “L’Inquisizione e l’eresia dei Catari”. Si è parlato dell’Inquisizione, ma di quella spagnola che coi catari non c’entra, si è parlato poi dei Templari, che coi catari non c’entrano per niente. Per quanto riguarda i catari, si è parlato solo della crociata, ma non con le sublimi parole di Simone Weil, bensì per dire, appunto, che «se la sono cercata»… Certo, la ventennale crociata in terra occitana è un episodio di primaria importanza nella storia del catarismo, e proprio perché ha fallito è stata istituita l’Inquisizione. Mi spiego meglio: la crociata è riuscita a distruggere la fiorente economia delle contee del Sud, a spegnere la grandiosa poesia dei trovatori, a conquistare quelle terre che finirono per essere inglobate nel Regno di Francia, ma non è riuscita a debellare l’eresia catara, né a cancellare la lingua d’oc. Durante la trasmissione, a proposito della crociata non è stato nemmeno menzionato quel meraviglioso poema che è la Chanson de la croisade albigeoise, da Simone Weil paragonato nientemeno che all’Iliade.
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No al potere: un film racconta la vera storia dei Catari
I fisici russi annunciano il primo esperimento di teletrasporto, per ora di elettroni, svelando l’illusiorietà della nostra percezione della materia? Quello che riusciamo a vedere non è che il 5% ci quanto ci circonda, confermano gli astrofisici. Il che collima perfettamente con l’opinione dei neurologi: riusciamo a utilizzare soltanto il 5% del cervello. Qualcosa ci sfugge? Eccome. Ormai lo ammette anche la scienza, dopo le profetiche anticipazioni di Einstein sull’inattendibilità dello spazio-tempo. Sono affermazioni attualissime, ma al tempo stesso anche antiche. Fanno pensare a qualcosa di remoto, rimosso e condannato all’oblio: l’eresia medievale dei càtari, la più temuta dal potere vaticano nei secoli immediatamente successivi all’anno Mille. Non fidatevi di quello che vedete, ripetevano: la dimensione materiale è solo apparenza. E’ un’illusione, suffragata dal potere che ci ripete che il mondo afferrabile dai cinque sensi è l’unico che esista. Poi venne il materialismo, su cui oggi è incardinato il sistema dei consumi: economia, finanza, guerre, multinazionali onnipotenti. E come sta andando, il nostro mondo? Comanda il denaro, e le grandi decisioni sono in mano a un pugno di famiglie: una ristretta élite possiede praticamente tutto. E’ il terzo millennio, ma sembra il medioevo. Per questo, oggi, rispolverare i càtari può risultare più che illuminante. Serve a chiarire meglio chi siamo, dove andiamo. Siamo sicuri di saperlo?Domande alle quali proverà a rispondere l’ultimo lavoro di Fredo Valla, sceneggiatore di film bellissimi come “Il vento fa il suo giro” e “Un giorno devi andare”, di Giorgio Diritti (il regista de “L’uomo che verrà”). Allievo di Ermanno Olmi, poi cresciuto alla scuola di François Fontan, il teorico dell’etnismo che guidò le valli cuneesi verso la riscoperta dell’identità occitanica, Fredo Valla ha inanellato studi, libri e documentari che svelano la radice medievale di una cultura che, tra il 1100 e il 1200, trasformò il sud-ovest dell’attuale Francia, economicamente prospero, in uno straordinario laboratorio sociale: grazie all’illuminata tolleranza dell’aristocrazia che governava la regione, nella terra dei Trovatori coesistevano musulmani ed ebrei, cattolici ed eretici càtari. Il documentario in preparazione – proprio sui càtari – rievoca un mondo per molti aspetti felice, aperto a sviluppi imprevedibili: secondo Simone Weil, in quella parte di Europa resuscitò lo spirito democratico dell’Atene di Pericle, basato sul culto della bellezza anziché su quello della forza. Bellezza e giustizia: il potere nobiliare era affiancato da quello, democratico, delle neonate autorità consolari cittadine. Un modello pericoloso, stroncato nel sangue con la Crociata Albigese.Data simbolo, sul piano militare: la battaglia di Muret che, nel 1213 alle porte di Tolosa, spezzò il sogno del nuovo ipotetico Stato, esteso dal Mediterraneo all’Atlantico, dalle Alpi ai Pirenei. Uno Stato mai nato, ucciso nella culla: avrebbe accorpato Linguadoca e Provenza, Catalogna e Aragona, rappresentando una sfida al potere di Roma e a quello del Sacro Romano Impero. Nucleo centrale della nuova entità: l’Occitania, vastissimo territorio linguistico incuso tra l’alta valle di Susa e la provincia basca francese di Bayonne, sull’oceano, passando per città come Nizza e Marsiglia, Narbonne, Tolosa e Bordeaux, fino alla “gemella” Barcellona. Alla base della disputa, una questione essenziale di sovranità: di fatto, attraverso la difesa della libertà di culto, il conte tolosano Raimondo VI scommise sull’indipendenza di una decisiva fetta d’Europa, oggetto di mire geopolitiche da parte di Roma e Parigi. Ma il cuore della rivolta, incarnata dal “Paratge” (il senso dell’onore della cavalleria occitanica) era proprio la tutela dell’eresia come diritto inalienabile, pura espressione della libertà di pensiero. Cosa diceva, il Catarismo? Era drastico, nella sua simbolizzazione teologica: questo non è il vero mondo.Di ascendenza zoroastriana, la fede càtara attribuisce la creazione al Dio Straniero, l’equivalente dell’Ahriman dei mazdei. Ma attenzione: la divinità è qui, in noi. Ognuno, pur in questo mondo di tenebra, ha in sé una scintilla d’immortalità. Per questo è fondamentale non dimenticarlo mai: è qualcosa che ricorda la “rammemorazione” dei Sufi, lontana mille miglia da qualsiasi degenerazione “magica” della religione. Il Cristo dei càtari? Venuto sulla Terra proprio per svelare, attraverso l’illusionismo dei cosiddetti miracoli, l’inattendibilità della materia. La salvezza? Altrettanto drastica: rinunciare al mondo, cioè al potere. Vietato giurare: e proprio sul giuramento si basavano le istituzioni del feudalesimo, che si pretendevano consacrate dall’alto. Se la materia è “demoniaca”, a maggior ragione gli eretici non potevano riconoscere l’autorità politica degli Stati e dei confini tra le nazioni. Erano nullatenenti, come Francesco d’Assisi avevano dato ai poveri i loro averi, e seguivano una dieta rigorosamente vegetariana. Peggio ancora – come già il clero di Zoroastro – avevano aperto il sacerdozio alle donne, perfettamente equiparate ai religiosi maschi. Il loro motto: non siamo del mondo, e il mondo non è nostro. Potevano passarla liscia, nell’Europa del Papa-Re?Il documentario che Fredo Valla ha cominciato a girare, partendo dall’Est balcanico, ripercorre la straordinaria vicenda trans-europea dei “bourgres” (o “bogres”, in occitano), cioè gli eretici dualistici – due divinità opposte, bene e male – che prima ancora dell’anno Mille varcarono il Bosforo, lasciandosi alle spalle la religione zorostriana per coniare un sincretismo gnostico, presentato come “Cristianesimo delle origini” alternativo al cattolicesimo, dando vita alle prime comunità di bogomili nella penisola balcanica. Quei “bulgari”, poi, attraverso la Lombardia si spinsero fin nel nord nell’Europa per poi insediarsi stabilmente in Occitania, acclamati dal popolo scandalizzato dal lusso e dalla corruzione del clero cattolico. Ma non si tratta soltanto di far luce sulla storica rimozione dell’eresia dualista, sbaragliata dalla Crociata e poi letteralmente incenerita, per 70 anni, dai roghi dell’Inquisizione. Quel genocidio vergognoso, coperto per secoli dalla “damnatio memoriae”, rende ancora più viva l’attesa per il film di Valla, che si rivolge al pubblico – già in fase di produzione, mediante crowdfunding – per condividere fin dall’inizio lo spirito di un’operazione a basso costo, ma ad alta intensità culturale: nel dubbio, fondato, che il potere che allora sterminò i càtari sia lo stesso che oggi opprime miliardi di individui, a cui racconta che quella che percepiscono è l’unica realtà possibile, l’unico modo di stare al mondo: guerra e sopraffazione, la legge del più forte.(Sul sito “Produzioni dal basso” è possibile concorrere alla realizzazione del documentario “Bogre”, il viaggio condotto da Fredo Valla sulle tracce di Catari e Bogomili, tra Bulgaria e Francia sud-occidentale).I fisici russi annunciano il primo esperimento di teletrasporto, per ora di elettroni, svelando l’illusiorietà della nostra percezione della materia? Quello che riusciamo a vedere non è che il 5% ci quanto ci circonda, confermano gli astrofisici. Il che collima perfettamente con l’opinione dei neurologi: riusciamo a utilizzare soltanto il 5% del cervello. Qualcosa ci sfugge? Ormai lo ammette anche la scienza, dopo le profetiche anticipazioni di Einstein sull’inattendibilità dello spazio-tempo. Sono affermazioni attualissime, ma al tempo stesso anche antiche. Fanno pensare a qualcosa di remoto, rimosso e condannato all’oblio: l’eresia medievale dei càtari, la più temuta dal potere vaticano nei secoli immediatamente successivi all’anno Mille. Non fidatevi di quello che vedete, ripetevano: la dimensione materiale è solo apparenza. E’ un’illusione, suffragata dal potere che ci ripete che il mondo afferrabile dai cinque sensi è l’unico che esista. Poi venne il materialismo, su cui oggi è incardinato il sistema dei consumi: economia, finanza, guerre, multinazionali onnipotenti. E come sta andando, il nostro mondo? Comanda il denaro, e le grandi decisioni sono in mano a un pugno di famiglie: una ristretta élite possiede praticamente tutto. E’ il terzo millennio, ma sembra il medioevo. Per questo, oggi, rispolverare i càtari può risultare più che illuminante. Serve a chiarire meglio chi siamo, dove andiamo. Siamo sicuri di saperlo?
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Io sto col Valsusa Filmfest, 10 euro per sorridere al futuro
“Unkatahe”. Non è solo il nome impronunciabile di una creatura zoomorfa che ricorda un bisonte americano. E’ anche una divinità degli indiani del Nord America, che “protegge dagli spiriti del male”. In valle di Susa, la metamorfosi di “Unkatahe” è cinematografica: il corpo, tra le corna e la coda, si trasforma in un frammento di pellicola per dare vita al logotipo del Valsusa Filmfest, piccola tribù di anime resistenti affacciate da quasi vent’anni alla finestra che hanno spalancato sul mondo. Braccia e sorrisi che hanno accolto monumenti del cinema italiano, da Citto Maselli a Giuliano Montaldo, insieme a registi più giovani, come Guido Chiesa, Renzo Martinelli, Davide Ferrario, Daniele Vicari. Nell’album di famiglia anche Gabriele Salvatores e il valsusino Marco Ponti, originario di Avigliana, nonché Gianluca Tavarelli (“Qui non è il paradiso”, noir basato su una pagina di cronaca locale) e Daniele Gaglianone, autore del documentario “Qui”, che propone ritratti di valsusini NoTav. Esplicito, in pieno clima natalizio, l’appello votivo per intercessione del sommo “Unkatahe”: regalateci 10 euro, per aiutarci a sostenere il festival.Tempi duri anche per le casse del Valsusa Filmfest? Niente paura: sul portale “Produzioni dal basso” è stata predisposta una pagina speciale per una campagna di crowdfunding. «Bastano davvero anche solo 10 euro per darci una mano», sostengono i promotori, tutti volontari. «Se saremo in tanti, potremo assicurare il futuro della nostra rassegna». In valle di Susa, il volontariato è da record: non solo per via delle tante associazioni alleate nella promozione culturale. Accanto al vasto network sociale del movimento NoTav, la rassegna “Il Grande Cortile” attira ogni anno personalità di primissimo piano, che da ogni parte d’Italia salgono in valle di Susa per discutere i maggiori temi di attualità. Fondamentale l’elaborazione culturale del festival cinematografico, che in quasi due decenni ha prodotto straordinari incontri ravvicinati: con artisti come Felice Anderasi, Paolo Pietrangeli, Daniele Segre, Florestano Vancini. E poi Enzo Iachetti, Enrico Lo Verso, il compianto Alberto Signetto, lo sceneggiatore occitano Fredo Valla, autore de “Il vento fa il suo giro”, e il regista del film, Giorgio Diritti.«Facciamo parte di una schiera infinita di piccoli festival disseminati lungo la penisola, realtà che mantengono viva la cultura diffusa, elemento caratteristico dell’Italia», spiegano i cinefili valsusini. «Quelli come i nostri chiamano festival ma sono lontani anni luce dai tappeti rossi e dagli sfarzi del cinema, sono indipendenti e danno spazio e voce a documentaristi, produzioni e registi attenti al territorio». Festival, per inciso, «abituati a organizzare le famose nozze coi fichi secchi e, più di recente, capaci di realizzare veri miracoli». Ne sa qualcosa il pubblico, che grazie al festival valsusino, nato nel cuore delle Alpi per riflettere sull’identità europea della montagna, grande frontiera di pace e di scambi tra popoli e culture, ha potuto incontrare voci preziosissime per decifrare i nostri anni. Da Marco Revelli a Bruno Gambarotta, dal pionere himalayano Walter Bonatti al climatologo Luca Mercalli. Il festival ha accolto una paladina dei diritti civili come Bianca Guidetti Serra, insieme ad altri campioni democratici, da don Andrea Gallo ad Alex Zanotelli. E poi musicisti del calibro di Gianni Basso e Fulvio Albano, Gian Maria Testa, Simone Cristicchi. Tra gli scrittori, Erri De Luca è ormai valsusino d’adozione. Ed è in ottima compagnia: ha incrociato le sue parole con quelle di Massimo Carlotto, Mauro Corona e tanti altri, compresa Nicoletta Bocca, che oggi produce dolcetto a Dogliani ma è legata quanto suo padre, il grande Giorgio Bocca, al singolare destino della valle di Susa.«Il progetto del Valsusa Filmfest – sintetizzano gli organizzatori – nasce dalla consapevolezza di vivere in un territorio molto vivace, sia culturalmente che politicamente». In questi anni, il festival si è impegnato a fondo per diffondere la cultura della comunità e del confronto, «in una valle alpina che ha saputo da sempre accogliere altre culture, come testimoniato dal patrimonio artistico presente sul territorio, acquisendo la capacità elaborare le modificazioni che via via nel tempo si sono rese necessarie». Le Alpi non più viste come barriera, ma come cerniera. «Una montagna in movimento, viva, fuori da ogni retorica. La montagna come memoria e come innovazione, come radici e come futuro, ricerca e palestra di vita. La montagna come leggerezza, divertimento, solitudine. Come silenzio». Il Valsusa Filmfest parla la stessa lingua di “Unkatahe”, il dio-bisonte: venite in pace, qui non ci sono nemici. Siamo parte del mondo, anche noi. E vorremmo continuare a incontrarlo, il mondo. Non è difficile, basta non spegnere la luce. Lo conferma Tommaso Cerasuolo, cantante dei “Perturbazione”, che il 16 gennaio regaleranno al pubblico l’ennesimo evento. Aiutateci a sopravvivere, dicono i valsusini, già proiettati verso la prossima edizione del festival (per gli amici, si sa, l’Hotel Valsusa non chiude mai).“Unkatahe”. Non è solo il nome impronunciabile di una creatura zoomorfa che ricorda un bisonte americano. E’ anche una divinità degli indiani del Nord America, che “protegge dagli spiriti del male”. In valle di Susa, la metamorfosi di “Unkatahe” è cinematografica: il corpo, tra le corna e la coda, si trasforma in un frammento di pellicola per dare vita al logotipo del Valsusa Filmfest, piccola tribù di anime resistenti affacciate da quasi vent’anni alla finestra che hanno spalancato sul mondo. Braccia e sorrisi che hanno accolto monumenti del cinema italiano, da Citto Maselli a Giuliano Montaldo, insieme a registi più giovani, come Guido Chiesa, Renzo Martinelli, Davide Ferrario, Daniele Vicari. Nell’album di famiglia anche Gabriele Salvatores e il valsusino Marco Ponti, originario di Avigliana, nonché Gianluca Tavarelli (“Qui non è il paradiso”, noir basato su una pagina di cronaca locale) e Daniele Gaglianone, autore del documentario “Qui”, che propone ritratti di valsusini NoTav. Esplicito, in pieno clima natalizio, l’appello votivo per intercessione del sommo “Unkatahe”: regalateci 10 euro, per aiutarci a sostenere il festival.