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Salvare il mondo: la Macchina di Majorana (vivo, nel 2006)
“Smontare” la materia e ricostruirla ovunque, azzerando lo spazio-tempo. Primo obiettivo: medicare l’atmosfera, per riparare il clima e salvare la Terra. E ancora: creare energia infinita a costo zero, senza più petrolio e carbone. «So come si fa», direbbe il protagonista del film. «E chi ti credi di essere, Dio?». Non proprio, ma quasi: «Io sono Ettore Majorana, lo scienziato ufficialmente scomparso nel 1938». Immaginatevi la faccia dell’ingegner Rolando Pelizza, industriale bresciano, il giorno che si sentì rispondere in quel modo, nel lontano 1959, da quell’uomo giovanile dall’età indefinibile. Majorana? Il baby-genio che sbalordiva i suoi maestri Fermi, Amaldi e Pontecorvo, scappati negli Usa e in Urss per sottrarre a Hitler la ricerca sull’atomica. Lui, Majorana: il giovanissimo fenomeno venuto dalla Sicilia a incantare i “ragazzi di via Panisperna”, cioè i migliori cervelli del mondo, all’epoca, nel campo della fisica. «Ho capito cos’è la materia e come funziona. E tu, Rolando, devi aiutarmi a costruire un dispositivo sperimentale». La Macchina: la scatola “magica” che fa sparire le cose, qualsiasi cosa, e ne cambia la natura fisica. Possibile? Eccome: Giulio Andreotti prese molto sul serio la faccenda, passando il dossier a Kissinger.Da allora, gli invadenti servizi segreti di mezzo mondo vegliarono sulla Macchina e sul suo costruttore, l’ingegner Pelizza, proteggendo il silenzio che avvolgeva il genio ispiratore. Ettore Majorana era ancora vivo nel 2006. Aveva cent’anni. E ancora aspettava di vedere la Macchina in azione, nella missione suprema per la quale era stata concepita: salvare il mondo. Bellissima fiaba, ricorda la storia del Graal. Peccato sia la pura verità. Con un finale rimasto in sospeso: la Macchina non risponde agli ordini della Cia. Ha bisogno di un codice segreto, matematico. In più serve un “pin” aggiuntivo, spirituale: un comando “mentale”. Lo custodice Rolando Pelizza, che oggi ha ottant’anni. Per decenni – prima che la notizia fosse passata ai servizi segreti – è stato l’unico a sapere, insieme ai monaci che lo ospitavano in Calabria, che non era un frate qualsiasi quel taciturno Ettore, rifugiatosi in convento nel 1938, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale. L’aveva indovinato Leonardo Sciascia, quando nel ‘75 scrisse “La scomparsa di Majorana”, varcando la porta dei cistercensi di Serra San Bruno. Ci mise vent’anni, lo Scomparso, a incontrare Pelizza. E attese altri dodici mesi prima di rivelargli la sua vera identità.Majorana, il genio. Lo scopritore di una nuova matematica, di nuova fisica in cui il tempo non esiste, dove la materia è “ricostruibile” liberamente. Come? Accedendo alla “matrice invisibile” di ogni cosa. Sembra il rebus dei Sigilli Ermetici di Giordano Bruno. Il Mondo delle Idee immaginato da Platone, tradotto in numeri dopo due millenni e mezzo. Pazzesco? Sì, ma vero. Parola di Rolando Pelizza, uomo pratico e imprenditore a sua volta geniale, capace di inventare una spugna speciale che assorbe il petrolio sversato in mare, neutralizzando i disastri ambientali causati dalle petroliere. Ne parlano a “Border Nights”, con commossa devozione, l’ingegner Francesco Alessandrini, docente dell’università di Udine, e la paleografa Roberta Rio, “visiting professor” negli atenei di mezza Europa. “La Macchina”, ovvero “il ponte tra la scienza e l’oltre”, è il libro in cui svelano la storia, segreta e meravigliosa, di quel singolare sodalizio. Ettore e Rolando, nomi suggestivi: l’eroe omerico, il paladino coraggioso. Francesco Alessandrini è un geotecnico, progetta grandi opere ma conosce anche le cosiddette “energie sottili”. Roberta Rio ha elaborato una teoria sulla “scienza storica del terzo millennio” e pubblicato saggi come “La Fisica del Terzo Millennio”, ovvero “scienza e spiritualità di nuovo unite”, edito da Bautz.Nella favolosa Macchina di Pelizza ispirata da Majorana, Francesco e Roberta sono “inciampati” leggendo i libri di Alfredo Ravelli (“Il dito di Dio”, “Il segreto di Majorana” e “2006: Majorana era vivo!”). Si sono entusiasmati: hanno intuito che “l’impossibile” era a portata di mano. Così hanno contatto Rolando, il paladino, e ne hanno conquistato la fiducia. «Non sappiamo nemmeno se Majorana sia ancora vivo o, nel caso, quando sia morto: su questo punto – dicono – Rolando glissa sempre». Le ultime tracce del genio siciliano sono due: la famosa lettera del 2006 e una foto scattata il 5 agosto 1996: Majorana è ritratto con Pelizza nel giorno del novantesimo compleanno di Ettore, nato a Catania nel 1906. L’immagine è stata periziata dall’ingegner Giovanni Vitiello. «La perizia antropometrica dimostra che si tratta proprio di Majorana», racconta Roberta Rio. «I parametri corrispondono con le foto di Ettore prima della scomparsa – zigomi, impronta del padiglione auricolare, altri dettagli. Ettore e Rolando sono accanto, ma Ettore sembra più giovane di Rolando (che adesso ha 80 anni)». Eppure è lui, conferma il geriatra Claudio Castoldi: uno splendido novantenne in ottima salute, nonostante i capelli bianchi e qualche ruga.Il loro fatale incontro avviene il 1° maggio del 1958, nella Certosa di Serra San Bruno, sulle alture di Vibo Valentia. Rolando Pelizza – uomo pio, dedito a opere caritative – ha raggiunto il convento per consegnare scarpe ai monaci. Finisce, subito, nel mirino di Majorana. Quello strano frate gli passa un foglietto, un problema con dei numeri: «Risolvi questa cosa, non far passare troppo tempo e fammi avere la soluzione». Così, racconta Roberta, Pelizza capisce che quello è l’uomo che stava cercando. Ettore gli propone un apprendistato: gli avrebbe insegnato i principi di una nuova fisica e di una nuova matematica. Un anno dopo, nel ‘59, gli rivela finalmente la sua identità. Majorana è un fisico teorico, sul piano pratico ha bisogno di Pelizza. L’apprendistato dura 6 anni, fino al ‘64. In una lettera, poi, Majorana si congratula con Rolando. E gli propone una nuova fase: costruire la Macchina. Con un’unica raccomandazione: fare presto, perché la Terra potrebbe autodistruggersi. Il cambiamento climatico non è uno scherzo: una minaccia esiziale, che Majorana considera imminente già negli anni ‘70. Era infatti il 1976, rivela Roberta Rio, quando il grande fisico indicò date precise: il 2022, al massimo il 2024. Letteralmente: «Sarà a rischio la sopravvivenza della specie umana sulla Terra, scossa da sconvolgimenti sempre più visibili. Un cambiamento in atto dal 2000 e percepibile a partire dal 2010. In arrivo eventi così sconvolgenti da costituire un punto di non ritorno per il nostro clima».Il primo esemplare funzionante della Macchina, racconta Francesco Alessandrini, vede la luce nel 1963: «Produceva una “annichilazione controllata” della materia». Ovvero: «Si può far sparire qualcosa, in modo controllato. Posso scegliere io cosa distruggere, in modo selettivo: un razzo, ad esempio. O le parti murarie di una casa, ma non le parti in legno». Miglioramenti progressivi, verso la seconda fase: riscaldamento della materia. «Con un raggio posso portare qualsiasi cosa a fusione, anche facendo sì che l’oggetto ceda temperatura all’esterno. Vuol dire: s’è trovato il modo di produrre energia in modo non inquinante, a costo irrisorio. Energia infinita, pressoché gratuita». Addio petrolio e carbone, ma anche solare, eolico, idroelettrico. Terza fase, decisamente alchemica: «Trasmutazione della materia, pur mantenendo forma e posizione». Esistono svariati video che comprovano il successo degli esperimenti: «Un oggetto di gomma o di plastica viene trasferito in un oggetto metallico, mantenendo quasi perfettamente la forma iniziale».Sembra fantascienza, ma è tutto documentato. E’ talmente vero, che il problema principale – per l’intelligence di mezzo mondo – diventa l’impiego della Macchina, della cui potenza i suoi creatori sono perfettamente consapevoli: «Si possono “annichilire” carri armati e missili, o invece si può cancellare una montagna di immondizia inquinante», dice Francesco. «Dipende da chi possiede la Macchina, dall’uso che intende farne». C’è un patto di ferro, tra Majorana e Pelizza: mai utilizzare quella macchina contro il bene dell’umanità. «Quando a Rolando è stato chiesto di usarla per distruggere carri armati o satelliti, si è rifiutato», racconta sempre Francesco Alessandrini. «E, con un trucchetto che aveva predisposto nel dispositivo, faceva sì che la Macchina non funzionasse – sparisse, si distruggesse». Proprio per questo, Pelizza «ha eseguito molti esperimenti, ma senza mai un contenuto distruttivo o bellico, come quelli richiesti dai padroni della Terra». Vere e proprie complicazioni: un’attrezzatura come quelle darebbe un vantaggio esponenziale alla potenza militare che la possedesse.Per questo, spiegano Roberta e Francesco, non si è ancora riusciti a presentare ufficialmente la macchina, per metterla a disposizione dell’umanità. Impiego immediato: produrre energia “pulita” a costo zero. Enorme interesse, da parte di diplomazie e governi. L’implicazione più straordinaria? La capacità di risolvere, in un colpo solo, il problema climatico. Come? Intervenendo direttamente nell’atmosfera. Sembra un sogno. Ma non lo è, dice Francesco: «C’è un gruppo, su questa Terra, che ormai ha un po’ tutte le conoscenze che servono, per costruire la Macchina. E sa anche come risolvere il problema climatico. Il problema nasce dal fatto che questo gruppo non ha finora messo a disposizione di Rolando le macchine che ha, per farle funzionare da Rolando». Pelizza è ancora l’unico (per fortuna) a conoscere «un trucchetto particolare, in grado di far funzionare la Macchina nel modo corretto». Aggiunge l’ingegner Alessandrini: «Finché questo gruppo non lascerà Rolando libero di agire come crede, di fatto non si farà nulla. Se invece questo gruppo decide di coinvolgere Rolando nell’esecuzione di qualche esperimento, e nel trattamento che immaginiamo debba venir eseguito sull’atmosfera, allora le cose potrebbero radicalmente cambiare».Stiamo parlando di qualcosa di rivoluzionario, inimmaginabile: agire sull’invisibile, per condizionare la realtà visibile. «La Macchina dimostra che la scienza, così come si è sviluppata fino ad oggi, è sulla strada sbagliata», conferma Roberta Rio. «Soprattutto, la scienza non ha compreso la natura. E questo è l’approccio meraviglioso che ci propone Majorana, assieme a Rolando: una fisica, una matematica che lavorino in armonia con la natura, avendone compreso le leggi. Quindi non c’è bisogno di manipolare la natura, o addirittura di farle violenza; basta saper interagire con essa. Ma serve un approccio scientifico radicalmente nuovo». E’ il grande insegnamento di questa storia, che per Roberta Rio e Francesco Alessandrini ha aperto sviluppi prima impensabili, come «il ruolo del pensiero nei processi di creazione, che ci portano a una comprensione diversa del ruolo dell’uomo nell’ambito dell’evoluzione e della creazione stessa». Decisamente sconvolgente: «Non siamo più vittime o semplicemente passivi, ma siamo co-creatori, siamo responsabilizzati: la realtà discende proprio dai nostri pensieri e da come ci poniamo nei confronti delle cose», aggiunge Roberta.Ed è proprio un pensiero, infatti, a bloccare misteriosamente la Macchina quando non è nelle mani giuste. A proposito, come è fatta? «E’ un semplice cubo, ultimamente in alluminio, che nella sua versione più piccola ha una cinquantina di centimetri di lato. All’interno – spiega Francesco – ci sono altre “scatole”, via via più interne, che creano un ambiente isolato rispetto all’esteno, per arrivare poi alla parte centrale dove ci sono una serie di motorini e dispositivi in grado di creare, contemporaneamente, per lo meno due campi elettrici, due campi magnetici e un campo anti-gravitazionale, che riescono tutti insieme a lavorare per produrre uno stato, nel centro della macchina, in cui ci si connette con quello che io chiamo “l’oltremateria”, cioè uno stato del nostro universo in cui c’è qualcosa, ma non è più qualcosa di materiale». Secondo l’ingegner Alessandrini «ci si connette, sostanzialmente, agli schemi della materia che stanno dietro alla materia». E attenzione: «Quando si riesce a raggiungere quello stato lì, si può andare a cambiare qualche informazione nello schema; dopo, come conseguenza, questo cambiamento viene riportato nella materia, nel mondo fisico che noi conosciamo così bene».Tutto questo, grazie a Majorana. «Ettore era considerato un genio silenzioso, aveva scritto pochissimo», ricorda Roberta Rio. «Iniziò a insegnare all’università per un periodo brevissimo, il 13 gennaio dello stesso anno in cui scomparve. Era una persona molto schiva, gli interessava andare al sodo e scoprire l’essenza delle cose». I suoi scritti? «Cominciano solo ora a essere compresi». Con basi matematiche diverse, «Majorana è riuscito a calcolare quella che sarebbe stata la direzione evolutiva dell’essere umano». Scomparve per non partecipare alla realizzazione della bomba atomica? «C’era molto di più, in gioco: mettere a disposizione dell’umanità una macchina in grado di produrre energia a costo zero, risolvendo il problema economico delle risorse e il problema sociale delle guerre per il petrolio o per l’acqua». Dedizione infinita alla causa: «Lungimiranza, saggezza e umiltà l’hanno portato a dedicare l’intera vita alla possibilità odierna di risolvere il problema climatico, che all’epoca della sua scomparsa non era ancora così evidente. Se l’uomo avesse preso la strada della “free energy”, aggiunge Francesco, questi ulteriori sviluppi della Macchina non sarebbero stati necessari». Sono stati comunque raggiunti, grazie a Pelizza e al genio siciliano, capace di lavorare in incognito per decenni.Quanti sapevano dove fosse, Majorana? Tante persone: quelle che contano. «C’è una storia ufficiale – quella della scomparsa – e una storia più ampia, non ufficiale, dove avvengono i fatti veri e propri. Poi – dice Francesco – si racconta una storia che viene condivisa e che passa sui manuali di storia». Ma se Majorana ha lasciato credere di essere sparito per sempre, diventando l’Uomo Invisibile, anche per Pelizza non è stato facile lavorare alla causa: «Rolando stesso ha vissuto una vita terribile, i servizi segreti gli hanno reso la vita molto difficile». Pelizza è stato in contatto coi governanti italiani fin dalla prima presentazione pubblica della sua macchina. «Governanti molto interessati, all’inizio – famosi politici, che hanno avuto a che fare con lui: Andreotti diede mandato a un professore, allora a capo dell’energia nucleare italiana, di studiare la Macchina di Rolando. Indagini, esperimenti, quindi una relazione: disse che ciò che faceva la Macchina era frutto di una tecnologia assolutamente al di fuori di tutte quelle allora conosciute».«Da quel momento, non si sa perché, gli italiani hanno ceduto la cosa ad altri governi, soprattutto Belgio e Usa, che hanno preso in mano la situazione», continua Francesco. «Abbiamo dei cablo di Wikileaks con la chiara testimonianza di documenti segreti che evidenziano come Kissinger, allora segretario di Stato del governo Ford, diede l’ok per seguire da vicino la vicenda di Rolando, ritenuta di estremo interesse per il governo americano». Per un po’ l’hanno lasciato fare, aggiunge Alessandrini, «ma ogni volta che Rolando si costruiva una macchina in grado di fare quegli esperimenti, gli veniva confiscata – e lui doveva ricominciare da zero a costruirla». Ne avrà fabbricate 300, in questi anni – tutte regolarmente portate via non appena messe in funzione. «Gli impedivano di fare quello che lui voleva veramente fare». E cioè: preservare l’umanità dall’autodistruzione. Le varie vicissitudini di Rolando, dice Roberta Rio, sono state raccolte (con documenti periziati e catalogati) da Alfredo Ravelli, cugino di Rolando e autore di tre libri su questa vicenda, che ha aspetti anche molto intricati.Il nome di Ettore Majorana apparve relativamente tardi, nella periodizzazione di questa collaborazione con Rolando, che venne a sapere l’identità di questo frate già nel ‘59. Ma solo il 7 dicembre 2001, attraverso una lettera, Ettore diede il permesso a Rolando di divulgare finalmente l’informazione che dietro alla Macchina e a queste sue nuove conoscenze c’era lui. Prima, Rolando parlò sempre di “un gruppo internazionale di studiosi”, che stava rappresentando e con i quali collaborava. «In quella lettera, però, Ettore chiese a Rolando di mantenere il segreto su due punti: il convento dov’era nascosto e i principi di questa nuova fisica, di questa nuova matematica – che, se divulgati, potrebbero far fare un salto di qualità straordinario all’umanità, ma se messi nelle mani sbagliate ci potrebbero portare alla distruzione in un battibaleno». Ettore Majorana? «Un uomo di una fede enorme, se pensiamo che si è ritirato dal mondo per dedicarsi solo a questo: aveva visto l’immensa possibilità e l’enorme pericolo».Francesco Alessandrini ammette che non è facile spiegare cosa può fare, questa fisica rivoluzionaria. Il primo concetto base è sconvolgente: «Dietro questo nostro mondo fisico c’è una specie di immagine, di schema di ciò che si realizza nel mondo fisico – che non è fisico, ma ha la capacità di organizzare e far funzionare il mondo fisico in un certo modo. Per cui, nel momento in cui riusciamo a capire come intervenire su questo schema, il cambiamento che provochiamo nello schema si ripercuote automaticamente nel mondo fisico». Attenzione: «Significa che abbiamo una possibilità di trasformazione della realtà fisica praticamente infinita». Problema immediato: «Questo concetto è di una grandiosità tale che non può venire accettato dalla fisica attuale, che invece parte dalla fisica stessa, dal mondo materiale, analizzandolo dal di dentro. Finché non si fa il salto, e si va al di fuori del mondo fisico per capire cosa c’è dietro, non riusciremo mai a comprendere pienamente ciò che si fa nel mondo fisico», aggiunge Francesco. «La visione prospettica di questa fisica è talmente al di là di ciò che si sfa facendo attualmente, da aprire prospettive assolutamente incredibili su ciò che può essere la vita umana, e su come si può interagire con la vita del mondo fisico nel suo complesso».In primissimo piano, la forza (segreta) del pensiero: «Il pensiero è il veicolo – lo strumento, il mezzo – che permette di andare a modificare lo schema, non fisico, che c’è dietro alla realtà fisica», spiega l’ingegner Alessandrini. «Con un certo tipo di pensiero (ben costruito, ben focalizzato, ben indirizzato e ben strutturato) si è di fatto in grado di modificare – e di creare, proprio – la realtà fisica, la nostra vita nel mondo fisico». Aggiunge Roberta Rio: «La cosa affascinante, di questi principi – che appartengono ad una fisica per il futuro, potremmo dire – in realtà sono già apparsi sulla Terra migliaia di anni fa in antichi scritti come i Veda, che solo ora riusciamo a interpretare in questa direzione». Mentre per alcuni i Veda sono soltanto racconti mitologici della tradizione induista, «per altri – noi compresi – sono veri e propri manuali di fisica». Sono libri scritti in sanscito, migliaia di anni fa. Ebbene, sì: rappresentano «un viaggio affascinante nella conoscenza, e proprio alcuni passi dei Veda parlano della qualità del “pensiero che crea”, che deve avere determinate caratteristiche per avere la capacità di creare, o meglio di manifestare, di portare sulla Terra, nella materia, quell’immagine corrispondente che esiste in un mondo oltre la materia, in una dimensione – uno spazio – oltre la materia».In questo senso, aggiunge Roberta, le indicazioni sono straordinarie, per l’uomo, in termini di responsabilità: l’idea che noi siamo i co-creatori della realtà nella quale viviamo. «E’ una fisica che si intreccia anche con la spiritualità: è questa la novità, o comunque l’intuizione. Un docente della John Hopkins University diceva che l’universo non è materiale, ma mentale e spirituale. Questa è la nuova frontiera della conoscenza, e anche dello sviluppo dell’umanità». Finalmente, dice Francesco, grazie a queste scoperte di Ettore Majorana «si torna a collegare la ragione con l’intuizione, la materia con l’oltremateria, la scienza con lo spirito, l’uomo con Dio. Il grande passo che stiamo facendo – rivela – è quello di tornare a unire scienza e spiritualità, come gli uomini del passato facevano, sapendo che era la vera completezza della vita nella quale ci troviamo a vivere». Pensieri che azionano la materia? «Esattamente». La Macchina? Un’invenzione prodigiosa: non solo per quello che può fare, ma per la rivoluzionaria conoscenza da cui proviene.«Quando si riesce, con la Macchina, ad andare in questo “oltremateria”, si entra in un ambito in cui, di fatto, il tempo scompare. O meglio: scompare il tempo come lo pensiamo noi», spiega Francesco. Normalmente, infatti, pensiamo il tempo come una successione di istanti, e nel mondo fisico visibile viviamo solo l’attimo presente: il passato e il futuro esistono, ma non appartengono all’attimo presente. «Quando ti trasferisci invece in quest’ambito “oltremateria”, lì non c’è più discontinuità tra passato, presente e futuro. E’ come se fosse un ambiente unico, in cui puoi andare, istantaneamente, in un punto del tempo che corrisponde a un punto del nostro passato». Una prospettiva vertiginosa, capace di rivoluzionare – in modo definitivo – la stessa concezione della vita sulla Terra. Ad una condizione: che si agisca rapidamente, senza più perdere tempo. «Ettore ha delineato il 2022-24 come data-limite per la vita sul pianeta, ma gli altri scienziati climatologi non sono lontani, le previsioni più pessimistiche parlano del 2030-2040», insistono Roberta e Francesco. «Ne resta poca, di vita sulla Terra, se non si fa qualcosa subito. E non lo dice solo Majorana, ma altri grandi scienziati come ad esempio Steven Hawking, che a gennaio 2017 disse: sbrigatevi ad andare ad abitare su Marte, perché la vita sulla Terra sta per finire».Oggi, l’ottantenne Rolando Pelizza – il custode del codice segreto della Macchina – invecchia con pazienza. «Mostra i primi segni di affaticamento, ma la sua immensa bontà è intatta», assicurano Roberta e Francesco. «Finché avrà fiato continuerà a fare queste cose, a cui ha dedicato 50-60 anni della sua vita». E Majorana? «Rolando dice che Ettore è sempre stato un tipo giovanile. L’ha visto un po’ invecchiare, ma dimostrando sempre molti meno anni». Ha usato la Macchina su di sé, per restare giovane? «Può darsi che abbia scoperto qualche utilizzo del pensiero per mantenersi in buona forma», dice Francesco. E’ ancora vivo? Oggi avrebbe 112 anni. «Non lo sappiamo», ammettono i due ricercatori: Rolando Pelizza si rifiuta di dare notizie precise. L’ultima traccia certa risale al 2006, quando Majorana aveva 100 anni. La Macchina, invece, non è più un mistero: sul web ci sono i progetti completi. Quello che manca è la formula per farla funzionare: il segreto di Pelizza. Che fare? «Il nostro obiettivo è chiaro: convincere chi possiede la Macchina a entrare finalmente in rapporto con Rolando e permettergli di fare quell’aggiustamento del clima che ci auguriamo venga fatto», tramite il favoloso dispositivo “dettato” da Majorana. «Anche se non ce ne rendiamo conto – concludono Roberta Rio e Francesco Alessandrini – siamo veramente in un momento critico per la sopravvivenza dell’uomo sulla Terra». Non lo accettiamo, eppure ci stiamo avvicinando alla nostra fine: «Se non c’è un intervento immediato – e l’unico che conosciamo è quello attraverso questa Macchina – saltiamo tutti quanti».(Il libro: Francesco Alessandrini e Roberta Rio, “La Macchina. Il ponte tra la scienza e l’oltre”, edito in self-publishing da “Il Mio Libro”, 160 pagine, euro 15,50 – oppure 4,99 in versione digitale, formato ePub. Su “Border Nights” la trasmissione integrale dell’intervista, in onda l’8 maggio 2018).“Smontare” la materia e ricostruirla ovunque, azzerando lo spazio-tempo. Primo obiettivo: medicare l’atmosfera, per riparare il clima e salvare la Terra. E ancora: creare energia infinita a costo zero, senza più petrolio e carbone. «So come si fa», direbbe il protagonista del film. «E chi ti credi di essere, Dio?». Non proprio, ma quasi: «Io sono Ettore Majorana, lo scienziato ufficialmente scomparso nel 1938». Immaginatevi la faccia dell’ingegner Rolando Pelizza, industriale bresciano, il giorno che si sentì rispondere in quel modo, nel lontano 1959, da quell’uomo giovanile dall’età indefinibile. Majorana? Il baby-genio che sbalordiva i suoi maestri Fermi, Amaldi e Pontecorvo, scappati negli Usa e in Urss per sottrarre a Hitler la ricerca sull’atomica. Lui, Majorana: il giovanissimo fenomeno venuto dalla Sicilia a incantare i “ragazzi di via Panisperna”, cioè i migliori cervelli del mondo, all’epoca, nel campo della fisica. «Ho capito cos’è la materia e come funziona. E tu, Rolando, devi aiutarmi a costruire un dispositivo sperimentale». La Macchina: la scatola “magica” che fa sparire le cose, qualsiasi cosa, e ne cambia la natura fisica. Possibile? Eccome: Giulio Andreotti prese molto sul serio la faccenda, passando il dossier a Kissinger.
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Rosa Rossa: quei simboli svelano la verità indicibile su Moro
Da via Fani a via Caetani, passando per via Montalcini. Nomi e date, segni e simboli a cui pochissimi hanno fatto caso. Racconterebbero l’atroce “operazione Moro” – italiana e internazionale, politica e geopolitica – riletta secondo il codice segreto di un disegno meno evidente, ma forse decisivo: capace di cioè di “firmare”, in modo occulto, il sanguinoso sequestro e poi il calvario del presidente “eretico” della Dc, fino alla sua spietata uccisione. Messaggio: quell’assassinio è stato l’atto d’inizio di una nuova epoca di dominazione mondializzata. Ne parlò la giornalista Gabriella Carlizzi, indagatrice atipica e indipendente dei misteri italiani, così come Solange Manfredi, avvocato e saggista. Ne accenna lo storico Giuseppe De Lutiis nel libro “Il lato oscuro del potere” (Editori Riuniti). Ne parla diffusamente Sergio Flamigni nel romanzo “La tela del ragno” (Kaos). L’argomento lo sfiora lo stesso Giovanni Fasanella, autore di bestseller come “Il golpe inglese”, che nel recentissimo libro-indagine “Il puzzle Moro” (Chiarelettere) ricostruisce il ruolo di Londra nella strategia della tensione in Italia, mettendo anche l’accento sul Vaticano, dopo le dirompenti conclusioni della commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Giuseppe Fioroni: per il blitz di via Fani sarebbe stata usata una palazzina di via Massimi di proprietà dello Ior, la banca vaticana.
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Carte false: così nascosero la storia della Papessa Giovanna
«E’ per evitare equivoci sul sesso del Papa che fu introdotta la sedia “gestatoria”, la speciale poltrona per la cerimonia di incoronazione del nuovo pontefice, con un foro nel sedile attraverso cui uno o due diaconi, con le mani, dovevano verificare la presenza degli attributi maschili», ricorda l’agenzia di stampa “Adn Kronos”. La formula di annuncio, in latino: “Habet duo testiculos et bene pendentes”. Questa curiosa consuetudine «fu introdotta nel medioevo, quando la Chiesa decise di porre fine alle dicerie sulla Papessa Giovanna, una giovane donna originaria di Magonza, salita al soglio di Pietro dopo aver ingannato la corte papale sul suo reale stato anagrafico». Ma è veramente esistita, la Papessa femmina? Non per Wikipedia, che propende ancora per la “leggenda”: «La Papessa Giovanna sarebbe stata l’unica figura di Papa donna, che avrebbe regnato sulla Chiesa con il nome di Giovanni VIII dall’853 all’855. È considerata dagli storici alla stregua di un mito o di una leggenda medievale». Poi, nel 2011, lo storico Pietro Ratto scova un volume avventurosamente custodito, che svela che la cronologia vaticana ha “taroccato” due secoli interi, proprio per cancellare – a posteriori – la storia imbarazzante della Papessa, fattasi passare per Papa. Ratto scrive la sua scoperta in un saggio, “Le pagine strappate”, lo invia a grandi editori e si sente rispondere così: «Ma lei non tiene alla sua famiglia?».Il libro è uscito, ma è stato accolto dal silenzio più assoluto. «Ho capito che avevo toccato un potere davvero forte, oltre ogni immaginazione», afferma Ratto in un’intervista. Nel sito “In-Contro Storia” premette: «La storia che i professori insegnano a scuola è quella che a loro volta hanno imparato». Tutto scorre senza intoppi e senza dubbi: «In pochi si chiedono se ciò che viene raccontato sia effettivamente accaduto, e le perplessità che eventualmente insorgono vengono presto soffocate». Chi davvero cerca la verità la può trovare, aggiunge Ratto, «ma solo a patto di stravolgere le proprie conoscenze, mantenendosi aperto a sempre nuove prove, a sempre nuovi elementi di studio». Il suo libro, “Le pagine strappate”, descrive passo dopo passo «l’affascinante analisi di un testo del Quattrocento sfuggito alla censura del Concilio di Trento». Un’analisi che Ratto definisce «onesta, appassionante e appassionata, che incredibilmente svela i trucchi della Chiesa per rimuovere la vicenda storica della Papessa Giovanna, restituendoci uno scorcio di realtà da tempo rimossa».Per il blog storico “Sguardo sul Medioevo”, il saggio di Ratto è «altamente convincente», dal momento che l’autore «riesce quantomeno a dimostrare che la censura selvaggia della Chiesa abbia davvero nascosto una presunta Papessa». L’originalità de “Le pagine strappate”, rileva “SoloLibri.net”, «sta proprio nel modo di in cui l’autore ha scelto di esporre i risultati di una ricerca storica – basata su dati verificati, su notti insonni, su confronti, calcoli, date, fonti antiche – rendendola accessibile ed invitante, senza banalizzarla ma accrescendone invece il fascino, anche per chi non mastica storia quotidianamente». Wikipedia, che non è aggiornata sul libro di Ratto e quindi alla storia della Papessa non crede, ricorda però che la vicenda «ottenne in Occidente un qualche grado di plausibilità a causa di elementi intriganti contenuti nella storia». Il primo a raccontare questa storia per iscritto, nel 1240, fu il cronista domenicano Giovanni di Metz, ripreso pochi anni dopo dal confratello Martino Polono. Chi era, Giovanna? Secondo la narrazione, scrive Wikipedia, si trattava di una donna inglese, educata a Magonza: «Per mezzo dei suoi convincenti e ingannevoli travestimenti in abiti maschili, riuscì a farsi monaco con il nome di Johannes Anglicus per poi salire al soglio pontificio, alla morte di Papa Leone IV (17 luglio 855), con il nome di Giovanni VIII».Sembra che la Papessa non praticasse l’astinenza sessuale, aggiunge Wikipedia. Così, Giovanna rimase incinta «di uno dei suoi tanti amanti». Durante la solenne processione di Pasqua, nella quale il Papa tornava al Laterano dopo aver celebrato messa in San Pietro, mentre il corteo papale era nei pressi della basilica di San Clemente, la folla entusiasta si strinse attorno al cavallo che portava il Pontefice. «Il cavallo del Papa, impaurito, reagì violentemente, provocando a “Papa Giovanni” un travaglio prematuro». Scopertone il segreto, la Papessa Giovanna «fu fatta trascinare per i piedi da un cavallo, attraverso le strade di Roma, e lapidata a morte dalla folla inferocita nei pressi di Ripa Grande». Fu poi sepolta «nella strada dove la sua vera identità era stata svelata, tra San Giovanni in Laterano e San Pietro in Vaticano». In altre versioni, Giovanna sarebbe morta subito, al momento del parto; oppure, una volta scoperta, rinchiusa in un convento. Pietro Ratto, però, racconta un’altra storia. Che comincia, per lui, nel novembre del 2011. Via web ha appena conosciuto un personaggio misterioso, protetto dall’anonimato, che l’autore chima “l’Erudito”. Vive in una baita in montagna, isolata, immersa nella natura. Un giacimento di archivi preziosi: incunaboli, pergamene, manoscritti antichissimi. Anche un originale del Decamerone di Boccaccio. E poi Machiavelli, Mazzarino e Guicciardini, tutti «in preziosissime, inestimabili edizioni originali», per non parlare delle pergamene del Trecento, dei documenti longobardi.«Tra le tante meraviglie – racconta Ratto – l’Erudito collezionista mi spalanca davanti agli occhi, sornione, un testo del Quattrocento. Un’opera di un illustre storico della Chiesa, in un’edizione miracolosamente sfuggita all’inesorabile censura del Concilio di Trento, che strategicamente l’anziano collezionista apre sul tavolo in un punto preciso, proprio là dove un anonimo segnalibro si nascondeva da chissà quanti anni. Gli domanda: «La conosce la storia della Papessa Giovanna?». Ma certo, la famosa favola. Al che, “l’Erudito” storce il naso: «Non gli piace ch’io liquidi frettolosamente come leggenda quello che considera un evento storico a tutti gli effetti». L’anziano bibliofilo non aggiunge nient’altro, «ma il suo sguardo beffardo è un invito alla lettura, allo studio, una volta tornato a casa». Giorni e notti di lavoro febbrile, in cui Ratto passa dallo scetticismo all’euforia. «Gli occhi bruciano, a suon di leggere e rileggere», contando «giorni, mesi, anni, tra l’855 ed il 1100». “L’Erudito” gli procura alcune edizioni successive dell’opera, quelle opportunamente rivedute e corrette dagli inquisitori, quelle che gli storici conoscono a menadito. «E man mano che procedo, man mano che conto, mi accorgo del trucco», scrive Ratto.«La Papessa, evidentemente, è esistita davvero, dato che la Chiesa è ricorsa ad un complesso processo di falsificazione di date e nomi di Pontefici relativi ai duecento anni successivi per occultare e rimuovere dalla storia un periodo esattamente corrispondente al lasso di tempo in cui, secondo gli storici medievali, si sarebbe verificato il suo pontificato», afferma lo studioso. «Le pagine che mi trovo di fronte e radiografo per settimane ne sono la prova». Da qui nasce il libro, “Le pagine strappate”, che «narra di questa mia entusiasmante ricerca, le cui tappe vengono raccontate come in un romanzo ma meticolosamente spiegate e dimostrate, come in un saggio storico». E’ un libro che parla di un altro libro, “Delle vite dei Pontefici”, scritto dal celebre storico rinascimentale Bartolomeo Sacchi, detto il Platina. Attenzione: l’edizione che Ratto si ritrova tra le mani è quella originale del 1552, tradotta in volgare e sfuggita ai censori. E’ ben diversa, dunque, da quella “ripulita” che poi è giunta agli storici. Così, la ricerca dello studioso «si trasforma in un autentico scoop, per quanto la scabrosità della scoperta abbia indotto gli “studiosi” e la stampa più o meno specializzata a non divulgarla».«Comincia così la mia analisi comparata nei confronti di questa antica copia, confrontata con l’edizione in latino del 1562 e con quella in volgare del 1650, colpite invece da una progressiva censura ecclesiastica», spiega Ratto. «Tutte e tre le copie sono, naturalmente, presenti nella collezione dell’anziano collezionista. Dal confronto delle tre edizioni risalgo pian piano alle ragionevoli prove dell’esistenza della Papessa ed agli evidentissimi trucchi con cui i suoi due anni di pontificato potrebbero essere stati cancellati dalla Storia, ricorrendo a complesse correzioni di date e nomi di pontefici relativi ai due secoli successivi». Tanto per cominciare, il Platina era il direttore della Biblioteca Vaticana. Un illustre umanista, che ha dedicato la sua storia dei Papi a Sisto IV, pontefice da cui è molto apprezzato e che gli ha conferito quell’importante ruolo. Nonostante ciò, il Platina riporta la vicenda della Papessa, citando il cronista medievale Martino Polono, «senza smentirla o liquidarla come pura leggenda e senza venir attaccato dalla Chiesa».Secondo l’edizione del 1552, al momento della sua elezione la Papessa (di cui si raccontano particolari della vita fino al suo parto avvenuto in strada durante una processione), assume il nome di Giovanni VIII. Così, la numerazione dei Papi omonimi continua poi per tutta la serie fino all’ultimo, il predecessore di Martino V, che viene chiamato Giovanni XXIV. Nelle altre due edizioni analizzate, che tendono a considerare la Papessa una “fabula”, Giovanni VIII è colui che nell’edizione del 1552 è Giovanni IX, e il diretto predecessore di Martino V compare come Giovanni XXIII, antipapa. «Questa circostanza è importante: come avrebbe potuto uno storico famoso come il Platina, infatti, sbagliare il numerale di un Papa regnante sessant’anni prima, senza venir pubblicamente smentito e deriso? Sarebbe un po’ come se uno studioso attuale chiamasse Montini “Paolo VII”». Aggiunge Ratto: dall’analisi delle correzioni apportate nelle edizioni del 1562, e soprattutto del 1650, si rafforza l’ipotesi che le complesse motivazioni normalmente addotte per giustificare la celebre “Questio Paparum Joannum”, il rebus che ha assillato gli storici (nel conteggio di tutti i Papi Giovanni, infatti, mancherebbero due pontefici) non avrebbero in realtà nessun fondamento, «a parte l’esigenza di occultare il pontificato della Papessa».Autore dell’occultamento: il revisore Onofrio Panvinio, «vero e proprio braccio armato della censura ecclesiastica». Un potente burocrate vaticano, «in grado di risistemare il conteggio dei Giovanni con autentici “giochi di prestigio”». Come quando, nell’edizione del 1650, Panvinio «sostiene improvvisamente di essere in possesso di non meglio precisate “brevi apostoliche”, in virtù delle quali “i Giovanni che noi chiamiamo 21, 22 e 23 si dovrebbero chiamare 20, 21 e 22”. Per Ratto sono «trucchetti, questi, smascherabili proprio grazie al confronto con l’edizione incensurata». Infine, tramite un complesso conteggio condotto in parallelo sulle copie del 1552 e del 1650, relativo a tutti i pontificati a partire da quello del successore di Leone IV – che per la prima edizione è (la Papessa) Giovanni VIII mentre nella seconda è Benedetto III – Piero Ratto rileva «un evidente processo di correzione di centinaia di date di elezione o di morte di pontefici, nonché di nomi e di numerali». Una manipolazione bella e buona, per «assottigliare progressivamente la differenza tra la versione del Platina e quella della Chiesa ufficiale, fino al definitivo riallineamento delle due cronologie, raggiunto con la consacrazione di Benedetto IX, verificatasi nel dicembre 1032».Wikipedia riconosce che in molti hanno accostato la carta della Papessa, uno degli “arcani maggiori” dei tarocchi, alla figura della Papessa Giovanna. E cita un romanzo sulla vicenda, “La Papessa Giovanna” del greco Emmanouil Roidis, uscito nel 1865, poi tradotto nel 1954 dall’inglese Lawrence Durrell, col titolo “The Curious History of Pope Joan”. Più recente il romanzo dell’autrice statunitense Donna Woolfolk “Cross Pope Joan” (1996), da cui è stato tratto nel 2009 il film “La papessa”. Ma Wikipedia non cita il saggio di Ratto neppure nella (vasta) bibliografia sulla controversa vicenda. «Ciò che davvero potrebbe aver spinto la Chiesa del Cinquecento a cancellare la vicenda di Giovanna – osserva Ratto – sarebbe stato unicamente l’insopportabile scandalo di una “foemina” sul soglio di Pietro». Da notare, infine, «l’importante e inconfutabile prova» che il saggio fornisce relativamente alla presenza del busto di Giovanna tra quelli degli altri pontefici, «ben visibile nel duomo di Siena ancora alla fine del XVI secolo». In un’opera del 1595, scritta proprio per smentire la “favola” di Giovanna, un giurista cattolico rinascimentale si lamentò a gran voce della presenza di quel busto a Siena e ne richiese l’immediata rimozione. «Un elemento molto importante, questo, dato che fino ad oggi anche questa particolare circostanza è sempre stata liquidata come l’ennesima falsità collegata alla “fabula” e messa in circolazione dai soliti “eretici” protestanti».(Il libro: Pietro Ratto, “Le pagine strappate”, Elmi’s World, 112 pagine, 12 euro).«E’ per evitare equivoci sul sesso del Papa che fu introdotta la sedia “gestatoria”, la speciale poltrona per la cerimonia di incoronazione del nuovo pontefice, con un foro nel sedile attraverso cui uno o due diaconi, con le mani, dovevano verificare la presenza degli attributi maschili», ricorda l’agenzia di stampa “Adn Kronos”. La formula di annuncio, in latino: “Habet duo testiculos et bene pendentes”. Questa curiosa consuetudine «fu introdotta nel medioevo, quando la Chiesa decise di porre fine alle dicerie sulla Papessa Giovanna, una giovane donna originaria di Magonza, salita al soglio di Pietro dopo aver ingannato la corte papale sul suo reale stato anagrafico». Ma è veramente esistita, la Papessa femmina? Non per Wikipedia, che propende ancora per la “leggenda”: «La Papessa Giovanna sarebbe stata l’unica figura di Papa donna, che avrebbe regnato sulla Chiesa con il nome di Giovanni VIII dall’853 all’855. È considerata dagli storici alla stregua di un mito o di una leggenda medievale». Poi, nel 2011, lo storico Pietro Ratto scova un volume avventurosamente custodito, che svela che la cronologia vaticana ha “taroccato” due secoli interi, proprio per cancellare – a posteriori – la storia imbarazzante della Papessa, fattasi passare per Papa. Ratto scrive la sua scoperta in un saggio, “Le pagine strappate”, lo invia a grandi editori e si sente rispondere così: «Ma lei non tiene alla sua famiglia?».
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Il segreto del Pellicano: tutta la verità è qui, ma in incognito
Può accadere che, di colpo, tutto quello che credevamo di sapere non valga più. Vacillano certezze in ogni campo della conoscenza, protette dalla scuola e dalla scienza ufficiale, al riparo della grande cornice culturale del materialismo. La prima crepa può aprirsi davanti al Cenacolo di Leonardo, se un anziano professore ti tira per la giacca, ansioso – chissà perché – di confidarti qualcosa. Comincia allora un viaggio avventuroso e anche pericoloso, che assomiglia al volo del Pellicano: la tua vita finisce in pezzi, poi all’improvviso risorge. E tu, nel frattempo, sei diventato un’altra persona: rinata dalle tue ceneri, come la Fenice. E’ quanto accade al grafico Giulio Cortesi, in crisi con il lavoro e con la moglie, nelle retrovie della Milano del 2005. Finirà ipnotizzato da grandi pittori: un misterioso quadro del Caravaggio ma, soprattutto, le opere del Giorgione. Segreti da decifrare, con l’aiuto di inattesi personaggi spuntati dal nulla, tra Milano e Torino, attorno a una ragazza affascinante. Chiave di volta, alla fine, un anziano monaco dell’abbazia di Chiaravalle, custode di un labirinto. Si dipana allora il filo di un sapere “altro”, condiviso dai padri della scienza moderna ma tenuto risolutamente nascosto: la verità è tra noi, ma in incognito.E’ la convinzione a cui approda lo stesso Cortesi al termine del romanzo a cui Gianfranco Carpeoro affida la «storia realmente accaduta di una leggenda», quella dei Rosacroce, gli uomini che proprio nel Pellicano – uccello che, simbolicamente, si trafigge il petto per resuscitare i suoi pulcini, nutrendoli col suo sangue – videro l’emblema e il messaggio del Cristo, la necessità del sacrificio per conquistare l’immortalità. Un allievo di Carpeoro, il saggista Michele Proclamato, in questi anni sta fornendo brillanti ricostruzioni dei valori simbolici che ci circondano, tutti ispirati al “sapere segreto” simboleggiato dal Tempio di Salomone, da cui il genio di Isaac Newton, padre della fisica moderna ma innanzitutto alchimista, trasse le sue intuizioni cardinali, sulla via già percorsa da uomini come Ruggero Bacone, che forse inventò i primi occhiali già nel ‘200. Da Dante a Mozart, da Tommaso Moro a Cartesio: quali conoscenze li accomunavano? Le stesse dei massimi pittori del Rinascimento, a partire da Giorgione: che, a quanto pare, era al corrente della teoria eliocentrica già mezzo secolo prima delle tesi di Copernico.La fonte di questa “conoscenza segreta” è antichissima: ve n’è traccia nell’incontro biblico tra Abramo e il misterioso Melchisedek, nell’adorazione dei Magi (l’ombra del mazdeismo di Zoroastro, poi dei Sufi), e quindi nella storica missione di San Giacomo e Giuseppe d’Arimatea, impegnati a esportaere il cristianesimo in Europa. Sono i misteri nei quali – partendo dal rebus in forma in puzzle costituito dall’opera pittorica di Giorgione – Giulio Cortesi finisce per inoltrarsi, nella scomoda posizione di indiziato di omicidio. Tra un menù e l’altro – Cortesi è un inguaribile gourmet – dovrà innanzitutto convincere della sua innocenza il ruvido commissario di polizia che indaga su di lui. E finirà col collaborare in modo imprevedibile alle indagini, fornendo intuizioni ricavate proprio dal mondo esoterico che il grafico milanese va scoprendo, aiutato dai consiglieri-ombra che gli procurano indizi nascosti in libri rari, dove il messaggio che conta è sempre mimetizzato, da cogliere tra le righe, seguendo meccanismi analogici e significati annidati tra i numeri.Una doppia ricerca, quindi, scandita dal ritmo incalzante del thriller, non senza pagine di autentica, spassosa comicità come quelle che narrano un divertente ferragosto trascorso nelle discoteche di Ibiza (oltre alla cucina, la musica è l’altra traccia parallela del romanzo). Ma, anziché intrecciare fantasie alla maniera di Dan Brown, Carpeoro utilizza lo stesso spunto il partenza – l’Ultima Cena – per andare alla scoperta di una storia vera, una “leggenda realmente accaduta”, lungo itinerari dove si incrociano Paracelso e Giordano Bruno, Salvador Dalì e Gabriele D’Annunzio, Hugo e Goethe, fino a Steiner e oltre. Uomini di fede, alchimisti, matematici, astronomi e astrologi, filosofi, proto-scienziati, artisti. Tutti esoteristi, impegnati, attraverso i secoli, a prolungare il “volo del Pellicano”: velando sempre, come Giorgione, la suprema verità sulla “matrice dell’universo”, la stessa su cui oggi la fisica quantistica si starebbe affacciando. La legge sacra, la genesi della vita. E’ il cielo senza tempo, attraversato dal volo del Pellicano.(Il libro: Giovanni Francesco Carpeoro, “Il volo del Pellicano”, Melchisedek, 500 pagine, 26 euro).Può accadere che, di colpo, tutto quello che credevamo di sapere non valga più. Vacillano certezze in ogni campo della conoscenza, fino a ieri protette dalla scuola e dalla scienza ufficiale, al riparo della grande cornice culturale del materialismo. La prima crepa può aprirsi davanti al Cenacolo di Leonardo, se un anziano professore ti tira per la giacca, ansioso – chissà perché – di confidare qualcosa proprio a te. Comincia allora un viaggio avventuroso e anche pericoloso, che assomiglia al volo del Pellicano: la tua vita finisce in pezzi, poi all’improvviso risorge. E tu, nel frattempo, sei diventato un’altra persona: rinata dalle sue ceneri, come la Fenice. E’ quanto accade al grafico Giulio Cortesi, in crisi con il lavoro e con la moglie, nelle retrovie della Milano del 2005. Finirà ipnotizzato dal segno dei grandi pittori: un misterioso quadro del Caravaggio ma, soprattutto, le opere del Giorgione. Segreti da decifrare, con l’aiuto di inattesi personaggi spuntati dal nulla, tra Milano e Torino, attorno a una ragazza affascinante. Chiave di volta, alla fine, un anziano monaco dell’abbazia di Chiaravalle, custode di un labirinto. Si dipana allora il filo di un sapere “altro”, condiviso dai padri della scienza moderna ma tenuto risolutamente nascosto: la verità è tra noi, da sempre, ma in incognito.