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Archivio del Tag ‘risparmi’

  • Le tasse alla mafia dei ladri, venduti al padrone straniero

    Scritto il 14/12/14 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Pagate le tasse senza discutere! Sono per la mafia e per la partitocrazia! Ormai è sotto gli occhi di tutti: le tasse che paghiamo vanno in mano ai ladri della politica, delle istituzioni, della burocrazia, delle mafie, che le usano soprattutto per arricchirsi, senza curarsi di spenderle bene e utilmente, nell’interesse collettivo. A Roma era così già 50 anni fa. E’ la costante nazionale, il carattere essenziale e immutabile dello Stato italiano. Rubare è lo scopo per cui si fa politica, e il mezzo con cui si fa politica, è il criterio con cui si fa carriera in politica e nell’apparato pubblico e partecipato. In questo quadro, i divieti all’uso del contante, l’imposizione di tenere i soldi in banca e di rendersi completamente tracciabili, col fisco che ti fa i conti in tasca e ti manda la dichiarazione dei redditi a casa, come se l’evasione fiscale dipendesse dall’uso del contante nelle transazioni spicciole, è un modo per consentire alla casta di saccheggiare direttamente e senza difese il cittadino, e per le banche di lucrare su ogni transazione, cumulativamente: 100 pagamenti di 100 euro l’uno, a 1,5 euro di commissioni, fanno guadagnare alla banca 150 euro, se fatti con la carta di credito, e zero, se fatti per contanti.
    Il principio della rappresentanza democratica parlamentare è clamorosamente e definitivamente fallito sia perché il paese non ha più autonomia politica nelle cose che contano, sia perché i rappresentanti rappresentano le segreterie affaristiche che li nominano, e vanno contro gli interessi dei rappresentati. Fino agli anni ’80 questo sistema di potere si notava meno, faceva danni sopportabili e compatibili con un certo sviluppo del paese, con un certo benessere, garantito da una spirale costruttiva di investimenti e consumi, grazie al fatto che allora la banca centrale e i vincoli di portafoglio delle banche ordinarie garantivano il finanziamento del debito pubblico a tassi sostenibili escludendo il rischio di default. E grazie al fatto che le banche ordinarie si dedicavano all’economia reale anziché alle speculazioni finanziarie e alle truffe ai risparmiatori. E grazie al cambio flessibile.
    Oggi gli uomini della buro-partitocrazia sono tutti in pasta, trasversalmente, tra loro e con la mafia. Sono tutti nella criminalità organizzata. Quelli che non lo sono direttamente e attivamente, lo sono comunque, perché consapevolmente e volontariamente fanno parte di quel mondo. Quindi sono corresponsabili. Non ci sono onesti, solo finti tonti. Questo sistema ovviamente non si lascia cambiare dal suo interno, perché occupa i canali elettorali, mediatici, istituzionali, e in buona parte anche quelli giudiziari (molti arrestati di oggi sono assolti di ieri); e l’“esterno”, cioè l’“Europa”, la Germania, trae profitto e potere economici proprio da questa situazione. E’ quindi chiaro che questa gente, questa casta, questa cupola nazionale non la si abbatterà mai con le leggi, i tribunali, l’indignazione popolare, anzi continuerà a tramandare il sistema alle nuove leve. Non la si potrà mai abbattere con strumenti interni all’ordinamento dello Stato, che essa occupa. La potrebbero fermare solo mezzi rivoluzionari, solo la ghigliottina. Oppure un padrone straniero che la sostituisca e prenda direttamente in mano la gestione amministrativa del paese – ovviamente nel suo proprio interesse.
    I leader carismatici proposti al pubblico possono essere “puliti” di faccia, ma gli apparati dei loro partiti sono tutto un cupolone, funzionano in quel modo, quindi nessun governo potrà cambiare questo sistema. Con le loro migliaia di società partecipate e di Onlus mai contabilmente controllate che ricevono e spartiscono i miliardi del business dell’accoglienza. Renzi, che invoca giustizia e promette pulizia, finge di non conoscere che cosa sono gli apparati dei partiti e di non sapere che, se si mettesse di traverso, semplicemente verrebbe sostituito. E infatti le principali componenti della partitocrazia, superando l’ipocrita distinzione maggioranza-opposizione, si accordano tra loro sulle riforme del sistema elettorale e del Senato, riforme concepite per proteggere e rafforzare il sistema stesso. E così alla Camera resta il sistema dei nominati: possono divenire deputati solo i graditi dei segretari dei partiti. La riforma del Senato mette quest’ultimo ancora di più nelle mani dei segretari, i quali vi collocheranno nominati regionali e comunali – cioè elementi presi dagli ambiti più ladreschi dell’apparato – dotandoli così di ciò che resta dell’immunità parlamentare.
    Intanto, il governo ha allontanato il commissario alla spending review, Cottarelli, che aveva ardito raccomandare la soppressione di 6.000 società partecipate mangiasoldi, una indispensabile greppia di consenso per la partitocrazia. Le condizioni degli italiani – tassazione, recessione, disoccupazione – continueranno perciò a peggiorare e peggiorare e peggiorare, finché questi non insorgeranno con le armi e non faranno fuori materialmente la casta parassita e criminale, o quella parte di essa che non riuscirà a fuggire all’estero. Ma non lo faranno mai: in parte emigrano, in maggioranza restano a subire o a raccontarsi le favole, aspettando il padrone straniero, e di vendersi a lui. Dopotutto, è questa la storica tradizione del Belpaese.
    (Marco Della Luna, “Le tasse ai ladri e alla mafia”, dal blog di Della Luna dell’8 dicembre 2014).

    Pagate le tasse senza discutere! Sono per la mafia e per la partitocrazia! Ormai è sotto gli occhi di tutti: le tasse che paghiamo vanno in mano ai ladri della politica, delle istituzioni, della burocrazia, delle mafie, che le usano soprattutto per arricchirsi, senza curarsi di spenderle bene e utilmente, nell’interesse collettivo. A Roma era così già 50 anni fa. E’ la costante nazionale, il carattere essenziale e immutabile dello Stato italiano. Rubare è lo scopo per cui si fa politica, e il mezzo con cui si fa politica, è il criterio con cui si fa carriera in politica e nell’apparato pubblico e partecipato. In questo quadro, i divieti all’uso del contante, l’imposizione di tenere i soldi in banca e di rendersi completamente tracciabili, col fisco che ti fa i conti in tasca e ti manda la dichiarazione dei redditi a casa, come se l’evasione fiscale dipendesse dall’uso del contante nelle transazioni spicciole, è un modo per consentire alla casta di saccheggiare direttamente e senza difese il cittadino, e per le banche di lucrare su ogni transazione, cumulativamente: 100 pagamenti di 100 euro l’uno, a 1,5 euro di commissioni, fanno guadagnare alla banca 150 euro, se fatti con la carta di credito, e zero, se fatti per contanti.

  • Stampano moneta e comprano noi, poveri euro-fessi

    Scritto il 04/12/14 • nella Categoria: idee • (3)

    Stampare moneta per l’economia reale, contro lo strapotere del sistema finanziario. Moneta funzionale, emessa direttamente dallo Stato o dalla “banca centrale di emissione”, di cui il potere pubblico assuma il governo. Obiettivo: fornire «tutto il denaro necessario a fare gli investimenti pubblici diretti», destinati a incentivare «occupazione, domanda interna, adeguamento infrastrutturale, innovazione scientifico-tecnologica, assicurando al contempo l’impossibilità del default». Per Marco Della Luna, è esattamente ciò che servirebbe per «uscire dall’attuale recessione-deflazione, dopo il fallimento ormai visibile delle ricette dell’austerità e del quantitative easing, difese oramai soltanto da soggetti in malafede e per interesse». Di fronte alla possibilità di creazione monetaria, il neoliberismo obietta: non si può immettere moneta a piacimento nell’economia, perché ci deve essere un rapporto tra quantità di moneta e quantità di beni, altrimenti la moneta si svaluta o si generano bolle speculative, mobiliari e immobiliari. L’alternativa? Ce l’abbiamo sotto gli occhi, e si chiama disastro.
    Se la moneta aggiuntiva viene usata per aumentare la produzione, quindi l’offerta di beni e servizi, allora non vi sarà inflazione monetaria (ossia aumento generalizzato dei prezzi), mentre vi sarà un aumento della ricchezza prodotta e del reddito, oltre che dell’occupazione. Certo, aggiunge Della Luna, questa moneta in più «bisogna spenderla bene, e una classe dirigente avida e idiota, come tale selezionata, non lo può fare». Se invece la moneta aggiuntiva viene usata per acquistare titoli finanziari e immobili, «allora vi sarà una salita dei valori delle Borse e degli immobili, e questo fa piacere a tutti gli investitori mobiliari e immobiliari». E se anche vi fosse, come conseguenza dell’immissione monetaria, una certa inflazione iniziale, «questa aiuterebbe i debitori (cioè gli Stati, molte imprese, molti privati) e danneggerebbe i creditori non indicizzati all’inflazione, mentre stimolerebbe le spese che oggi vengono differite perché si prevede un calo o una costanza dei prezzi, il che alimenta la deflazione». Quindi, nel complesso, «dopo la presente deflazione, una certa inflazione o reflazione sarebbe benefica».
    Oggi, continua Della Luna, il grosso dell’offerta monetaria è assorbito dal settore finanziario-speculativo, ossia da “prodotti” finanziari separati dall’economia reale (produzione, consumi). Sono “prodotti” producibili all’infinito, fino alla saturazione del mercato, cioè all’esaurimento «dell’abilità di collocarli, rifilarli o sbolognarli ai clienti ingenui, allorquando una bolla sta per scoppiare». Problema: questo settore dell’economia assorbe il grosso dell’offerta monetaria, «lasciando a secco della fisiologica liquidità il mercato dei beni-servizi reali e degli investimenti per produrli». Ed ecco il paradosso di oggi: «Da un lato un’esorbitante creazione-offerta di moneta, che le banche centrali creano e mettono a disposizione, in quantità enormi, non dell’economia reale ma delle banche universali per le loro speculazioni finanziarie, improduttive anzi distruttive, e dall’altro una carestia di moneta nell’economia reale, cui le medesime banche (in Italia) fanno sempre meno credito, con conseguente declino-insufficienza di domanda solvibile e di possibilità di investimento e occupazione – onde la deflazione».
    In altre parole, l’offerta di moneta «è eccessiva per il settore finanziario, da cui viene continuamente alimentata, mentre è gravemente insufficiente per quello reale, a cui viene continuamente ridotta». Primo passo: non solo «separare le banche di credito e risparmio da quelle speculative», ma anche «fare in modo che la liquidità del settore produttivo, dell’economia reale (quello da cui dipendono gli stipendi, il cibo, i servizi) sia assicurata e protetta dalle interferenze e distrazioni del settore finanziario, molto più grosso e turbolento». Della Luna Parla di «anemizzazione monetaria dell’economia reale», con detentori di liquidità che “tesaurizzano” gli investimenti anche all’estero, mentre il prelievo fiscale imposto dal Mes, il Meccanismo Europeo di Stabilità, drena altro denaro dal sistema-Italia, insieme al regime di austerity europea che impone «la realizzazione forzata di avanzi primari del bilancio pubblico e il pagamento di alti interessi a detentori esteri di titoli del debito pubblico». Domanda: «In una situazione di recessione interna e fuga verso l’estero di imprenditori, lavoratori qualificati e capitali, che cosa potrebbe essere più demenziale che imporre tasse al paese per sostenere il debito pubblico di paesi in crisi (Spagna, Grecia) al fine puntellare una valuta, l’euro, che ostacola le esportazioni e induce la deindustrializzazione del paese?».
    «Eppure gli italiani hanno dato fiducia persino a chi ha fatto questo», continua Della Luna. «Si aggiunga, infine, a questo museo degli orrori dell’imbecillità politica, o dell’alto tradimento istituzionale – se preferite – il fatto che la deprivazione-anemizzazione monetaria del paese, di cui sopra, fa sì che gli asset produttivi migliori – industria, commercio, finanza, alberghi, terreni agricoli pregiati – si deprezzino e vengano massicciamente comperati da soggetti-capitali finanziari stranieri, e che quindi il reddito generato da questi asset esca dal reddito nazionale italiano, divenendo reddito dei paesi che li comperano». E l’auto-privazione monetaria, che produce tutti questi mali, non è che un trucco: perché la moneta sovrana «è solo un simbolo e non ha costi o limiti di produzione intrinseci», e i paesi stranieri che rastrellano le nostre migliori aziende «lo possono fare appunto perché fanno la scelta opposta all’auto-privazione monetaria, ossia perché scelgono di produrre a costo zero grandi masse di moneta-simbolo». Che dire: «Il quadro dell’idiozia totale è perfetto. Non resta che ringraziare i nostri governanti nazionali ed europei e le nostre banche centrali, e lusingarci per tutti i consensi, i voti, le tasse e gli onori che continuiamo tributare loro».

    Stampare moneta per l’economia reale, contro lo strapotere del sistema finanziario. Moneta funzionale, emessa direttamente dallo Stato o dalla “banca centrale di emissione”, di cui il potere pubblico assuma il governo. Obiettivo: fornire «tutto il denaro necessario a fare gli investimenti pubblici diretti», destinati a incentivare «occupazione, domanda interna, adeguamento infrastrutturale, innovazione scientifico-tecnologica, assicurando al contempo l’impossibilità del default». Per Marco Della Luna, è esattamente ciò che servirebbe per «uscire dall’attuale recessione-deflazione, dopo il fallimento ormai visibile delle ricette dell’austerità e del quantitative easing, difese oramai soltanto da soggetti in malafede e per interesse». Di fronte alla possibilità di creazione monetaria, il neoliberismo obietta: non si può immettere moneta a piacimento nell’economia, perché ci deve essere un rapporto tra quantità di moneta e quantità di beni, altrimenti la moneta si svaluta o si generano bolle speculative, mobiliari e immobiliari. L’alternativa? Ce l’abbiamo sotto gli occhi, e si chiama disastro.

  • Germania e Olanda fuori dall’euro, piani pronti dal 2011

    Scritto il 02/12/14 • nella Categoria: segnalazioni • (2)

    Nel 2011, in piena tempesta-Eurozona, l’Olanda aveva pronto un piano per uscire dalla moneta unica e tornare alla valuta sovrana nazionale, il guilder, già all’inizio del 2012. Analogo piano-B era stato preparato anche dalla Germania, nel caso in cui la crisi mortale imposta alla Grecia avesse travolto anche Spagna e Italia. Georgios Papandreou e Silvio Berlusconi si erano appena dimessi. Chiari sintomi del pericolo, scrive “Goldcore”: la situazione poteva finire fuori controllo, con possibile effetto-domino sull’intero sistema. Lo rivela un recente reportage televisivo e lo conferma l’attuale ministro olandese delle finanze, Jeroen Dijsselbloem, oggi presidente dell’Eurogruppo, in un’intervista per “Eu Observer” e “Bloomberg”. «E’ vero che il ministro delle finanze e che il governo si prepararono per il peggiore degli scenari», afferma Dijsselbloem. «I capi di governo, incluso quello olandese, lo hanno sempre detto: vogliamo che i paesi dell’Eurozona restino uniti. Ma il governo olandese si è anche domandato: cosa succederebbe se non ce la facessero? E si è preparato a questa evenienza».
    Mentre Dijsselbloem ha detto che ora non c’è più nessun bisogno di mantenere il “segreto” su questi piani, scrive “Goldcore” in un post su “Zero Hedge” tradotto da “Come Don Chisciotte”, all’epoca queste ipotesi furono tenute in segreto per evitare di spargere panico sui mercati finanziari. Racconto confermato anche da Jan Kees de Jager, ministro delle finanze tra il 2010 e il 2012. Non tutti i partner dell’Eurozona, però, si prepararono all’uscita dall’euro: «Siamo stati uno dei pochi paesi, insieme alla Germania», ha detto de Jager nel reportage, «e avevamo anche una squadra congiunta, Germania-Olanda, per parlare di questi scenari». Il governo tedesco non smentisce: «Noi e i nostri partner della zona euro, tra cui i Paesi Bassi, eravamo e siamo determinati a fare tutto il possibile per prevenire qualsiasi rottura della zona euro», si limita a dichiarare il ministero delle finanze di Berlino. «Questa è una vera rivelazione», sostiene “Goldcore”, perché nel 2011 il super-ministro Wolfgang Schauble aveva detto che l’euro avrebbe potuto sopravvivere anche senza la Grecia. «Ma che avrebbe potuto sopravvivere senza l’Olanda è tutta un’altra cosa».
    Un euro senza l’Olanda – e soprattutto senza la Germania – è attualmente inconcepibile, continua “Zero Hedge”. «De Jager afferma anche che altri paesi trovarono che la prospettiva di una disgregazione dell’euro fosse una cosa spaventosa, tanto che misero la testa sotto la sabbia piuttosto che affrontare la situazione di petto». Sembra che non siano stati preparati analoghi piani di emergenza nei paesi “Piigs”, cioè Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna. «Bisogna chiedersi se questi piani sarebbero stati resi pubblici, se questo documentario televisivo non avesse costretto il governo olandese a dare una conferma alle sue affermazioni». Da notare che in Germania e Olanda «la cittadinanza è stata in prima linea nella richiesta del movimento di rimpatrio dell’oro, che attualmente percorrere tutta Europa», Francia compresa. «In un clima in cui si è persa fiducia nelle valute “fiat”, qualsiasi ritorno ad un “fiat-fiorino” o ad un “fiat-marco” sarebbe rischioso, in mancanza della fiducia che può dare invece il supporto delle riserve auree».
    La prospettiva di un dissolvimento dell’euro sarebbe «spaventosa», secondo “Zero Hedge”, ma sembra che la maggior parte delle nazioni dell’Eurozona si siano preparate malamente a questo evento e anzi siano del tutto impreparate. «Per tutti gli investitori e i risparmiatori che utilizzano altre valute “fiat” di qualsiasi nazione, si pone una importante domanda: avete un piano di emergenza in caso di fallimento della valuta in cui avete investito?». Il disfacimento dell’euro, continua il blog, potrebbe anche avvenire qualora il popolo tedesco o i suoi politici decissero che non vale più la pena salvare il progetto monetario europeo. «In questo caso, tutte le nazioni indebitate in modo più significativo, i cosiddetti Piigs ma anche Giappone, Regno Unito e Stati Uniti, sarebbero a rischio di svalutazioni monetarie». Secondo “Zero Hedge”, ci sarebbero «svalutazioni monetarie competitive e l’abbattimento del valore di alcune valute per ottenere dei vantaggi competitivi», al punto che «comincerebbe una guerra delle monete che produrrebbe seri rischi per la stabilità a lungo termine e per la prosperità di tutte le democrazie del mondo, nonché delle finanze e dei risparmi della gente comune». Ben noti, invece, i rischi (in realtà certezze) del perdurare dell’Eurozona: per i paesi come l’Italia, il declino è segnato e senza speranze.

    Nel 2011, in piena tempesta-Eurozona, l’Olanda aveva pronto un piano per uscire dalla moneta unica e tornare alla valuta sovrana nazionale, il guilder, già all’inizio del 2012. Analogo piano-B era stato preparato anche dalla Germania, nel caso in cui la crisi mortale imposta alla Grecia avesse travolto anche Spagna e Italia. Georgios Papandreou e Silvio Berlusconi si erano appena dimessi. Chiari sintomi del pericolo, scrive “Goldcore”: la situazione poteva finire fuori controllo, con possibile effetto-domino sull’intero sistema. Lo rivela un recente reportage televisivo e lo conferma l’attuale ministro olandese delle finanze, Jeroen Dijsselbloem, oggi presidente dell’Eurogruppo, in un’intervista per “Eu Observer” e “Bloomberg”. «E’ vero che il ministro delle finanze e che il governo si prepararono per il peggiore degli scenari», afferma Dijsselbloem. «I capi di governo, incluso quello olandese, lo hanno sempre detto: vogliamo che i paesi dell’Eurozona restino uniti. Ma il governo olandese si è anche domandato: cosa succederebbe se non ce la facessero? E si è preparato a questa evenienza».

  • Gangster al governo, brogli d’oro per salvare il dollaro

    Scritto il 01/12/14 • nella Categoria: segnalazioni • (4)

    Truccano il prezzo dell’oro, giocando al ribasso e colpendo l’economia e i risparmiatori, solo per proteggere il dollaro, cioè la grande speculazione finanziaria. Peggio ancora: controllati e controllori sono le stesse persone. In un sistema sano, dovrebbero finire in galera. Lo affermano Paul Craig Roberts e Dave Kranzler: la finanza americana è un colossale imbroglio, scrivono, e cospira contro l’economia reale, a cominciare da quella degli Stati Uniti, aziende e famiglie. Sono accusa i “bankster” delle famigerate “bullion bank”, soprattutto Jp Morgan, Hsbc, ScotiaMocatta, Barclays, Ubs e Deutsche Bank: «Agendo probabilmente per conto della Federal Reserve, hanno sistematicamente spinto al ribasso il prezzo dell’oro», dal settembre del 2011. «Tenere basso il prezzo dell’oro serve a proteggere il dollaro Usa da una esplosione incontrollata dell’aumento del valore del dollaro e dei debiti in dollari». Certo, la domanda di oro continua a salire. Ma il prezzo viene tenuto basso col trucco dei “futures”: il prezzo dell’oro non è determinato dal mercato fisico, ma dalle scommesse speculative sul prezzo che si vuole stabilire.
    «Praticamente tutte le scommesse effettuate sul mercato dei “futures” sono pagate in contanti, in moneta e non in oro», spiegano Craig Roberts e Krnzler. Così, «il pagamento in contanti dei contratti serve a spostare dal mercato fisico al mercato monetario il luogo in cui si determina il prezzo dell’oro». E’ il terreno perfetto per manpolazoni d’ogni genere.
    L’ultima macchinazione orchestrata? E’ legata alla Fed, per esempio, che ha deciso di far salire il picco del tasso di cambio del dollaro dopo aver annunciato la fine del “quantitative easing”. Appena la banca centrale Usa ha dichiarato che avrebbe smesso di stampare dollari per sostenere il prezzo delle obbligazioni, ha dato mandato alle banche di far scendere il prezzo dell’oro con nuove vendite “naked”, cioè “allo scoperto”. Funziona così: enormi quantità di contratti a termine “scoperti”, cioè solo di carta, vengono stampati per essere buttati, tutti in una volta, sul mercato dei “futures” nei momenti in cui il mercato tende a salire. «Aumentando l’offerta di “oro di carta”, le vendite di enormi quantità  servono a far scendere il prezzo dei “futures”, ed è il prezzo del “future” che determina il prezzo a cui le quantità fisiche dei lingotti possono essere acquistate».
    Stesso schema in Giappone, dove il prezzo dell’oro – su pressione di Washington – è stato fatto crollare per compensare l’effetto del nuovo massiccio programma di “Qe”. Obiettivo: impedire che l’oro si valorizzasse come bene-rifugio, a scapito della speculazione finanziaria. «L’annuncio del Giappone di voler creare moneta all’infinito avrebbe dovuto provocare un rialzo del prezzo dell’oro. Quindi, per evitare questa prevedibile risalita, alle 3 di notte – ora occidentale – mentre era in corso un intenso scambio di “futures” dell’oro, il mercato dei “futures” elettronico (Globex) è stato investito da una improvvisa vendita di 25 tonnellate di contratti Comex di “oro di carta”, allo scoperto, facendo scendere immediatamente il prezzo dell’oro a 20 dollari. «Nessun venditore onesto avrebbe buttato via il proprio capitale con una vendita di quel genere, in quel modo». Il prezzo dell’oro si è stabilizzato con un lieve rialzo, ma alle 8 del mattino – ora della costa orientale Usa – 20 minuti prima della apertura del New York Futures Market (Comex), sono state messe in vendita altre 38 tonnellate di oro in “futures di carta e allo scoperto”, sempre per far scendere il prezzo del lingotto. «Anche in questo caso, nessun investitore onesto si sarebbe liberato di una quantità tanto enorme di suoi beni personali, cancellando così improvvisamente la sua propria ricchezza».
    Il fatto che il prezzo dell’oro sia determinato in un mercato di carta – in cui non c’è nessun limite di quantità nel creare la carta su cui scrivere i contratti – produce lo strano risultato che la domanda di lingotti di oro fisico si trovi in un mondo fuori dal tempo, senza rapporti con la produzione reale, e quindi il prezzo può continuare a scendere, annotano Craig Roberts e Kranzler. «La domanda asiatica è pesante, in particolare quella dalla Cina, e le aquile d’argento e d’oro stanno volando via dagli scaffali della zecca degli Stati Uniti in quantità da record. Le scorte dei lingotti si stanno esaurendo, ma i prezzi dell’oro e dell’argento continuano a scendere giorno dopo giorno». Spiegazione: «Il prezzo del lingotto non è determinato in un mercato reale, ma in un mercato truccato, fatto solo di carta,  in cui non c’è nessun limite alla quantità e alla possibilità di creare “oro di carta”». Cinesi, russi e indiani «sono ben lieti che autorità americane corrotte, con questo sistema, rendano loro possibile acquistare sempre maggiori quantità di oro a prezzi sempre più bassi». Infatti, «un mercato truccato è proprio quello che ci vuole per gli acquirenti di lingotti, così come è proprio quello che ci vuole per le autorità Usa che si sono impegnate a proteggere il dollaro da un aumento del prezzo dell’oro».
    Certo, «una persona onesta potrebbe pensare che esista una incompatibilità tra una forte domanda per un bene che può essere fornito solo in quantità vincolata e un contemporaneo calo del suo prezzo». Il fenomeno è più che anomalo: «Una situazione del genere dovrebbe suscitare l’interesse degli economisti, dei media finanziari, delle autorità finanziarie e delle commissioni del Congresso». Tutto tace, invece. «Dove sono le class action delle compagnie delle miniere d’oro contro la Federal Reserve, e contro le banche che custodiscono i lingotti, e contro tutti quelli che stanno danneggiando gli interessi delle società minerarie con contratti di vendita “allo scoperto” a breve?». Sottolineano Craig Roberts e Kranzler: «La manipolazione dei mercati, soprattutto sulla base di informazioni privilegiate, è illegale e altamente immorale. La vendita allo scoperto – “naked” – sta causando danni agli interessi delle miniere. Una volta che il prezzo dell’oro sarà portato sotto i 200 dollari l’oncia, molte miniere diventeranno antieconomiche. Dovranno chiudere. I minatori diventeranno disoccupati. Gli azionisti perderanno soldi. Come si può continuare a mantenere un prezzo a questo livello, ovviamente truccato, e continuare a manipolarlo?».
    La risposta, scrivono Craig Roberts e Kranzler, è che «il sistema politico e finanziario degli Stati Uniti è stato inghiottito da un sistema di corruzione e criminalità», nientemeno. «La politica della Federal Reserve di brogli sui prezzi delle obbligazioni e dell’oro per dare liquidità alla speculazione del mercato azionario ha danneggiato l’economia e decine di milioni di cittadini americani, solo per proteggere le quattro mega-banche dai loro errori e dai loro crimini». Attenzione: «Questo uso privato della politica pubblica non ha precedenti nella storia». E’ puro banditismo. «I responsabili devono essere arrestati e mandati sotto processo e dovrebbero contemporaneamente essere citati per danni». Il guaio è che, accanto alle mega-banche, sono implicate le stesse autorità Usa, che «pagano S&P per mantenere un valore artificiale del cambio del dollaro e per trovare la liquidità necessaria per sostenere i titoli azionari e obbligazionari, particolarmente quest’ultimo tanto artificiosamente alto che i risparmiatori ricevono dalle banche un interesse reale negativo sui loro risparmi investiti in obbligazioni». Tutto abusivo, e pericoloso, perché il sistema finanziario è fuori dalla realtà dell’economia: «Quando le autorità non riusciranno più a tenere in piedi il castello di carte, il crollo del castello sarà completo».
    «La costruzione di questo castello di carta – accusano Craig Roberts e Kranzler – è la prova della complicità degli economisti, dell’incompetenza dei mezzi finanziari e della corruzione delle autorità pubbliche e delle istituzioni private. I capi di una manciata di mega-banche responsabili di tutto questo problema sono le stesse persone che siedono al Tesoro degli Stati Uniti, alla Fed di New York e nelle agenzie che controllano la finanza degli Stati Uniti. Stanno usando il loro potere di controllo sulla politica pubblica per proteggersi e per proteggere le loro imprese dai loro stessi comportamenti insensati». Dettaglio: «Il prezzo di questa protezione è tutto sulle spalle dell’economia e degli americani che pagano le tasse, e il prezzo da pagare sta continuando a salire». Ok, l’America sarà anche la patria dell’economia, vista la quantità di Premi Nobel. Questo però non spiega «come gli economisti americani non abbiano notato che il prezzo dell’oro, dell’argento, delle azioni e delle obbligazioni emesse negli Stati Uniti non abbiano nessun rapporto con la realtà economica del paese. L’incompatibilità tra mercati e realtà economica non disturba, comunque, né i politici né gli economisti, che fanno solo gli interessi del governo e dei gruppi di interesse loro alleati». Il risultato? «E’ un’economia ridotta a un castello di carte», gestita da personaggi che «dovrebbero stare in galera, anziché al governo».

    Truccano il prezzo dell’oro, giocando al ribasso e colpendo l’economia e i risparmiatori, solo per proteggere il dollaro, cioè la grande speculazione finanziaria. Peggio ancora: controllati e controllori sono le stesse persone. In un sistema sano, dovrebbero finire in galera. Lo affermano Paul Craig Roberts e Dave Kranzler: la finanza americana è un colossale imbroglio, scrivono, e cospira contro l’economia reale, a cominciare da quella degli Stati Uniti, aziende e famiglie. Sono accusa i “bankster” delle famigerate “bullion bank”, soprattutto Jp Morgan, Hsbc, ScotiaMocatta, Barclays, Ubs e Deutsche Bank: «Agendo probabilmente per conto della Federal Reserve, hanno sistematicamente spinto al ribasso il prezzo dell’oro», dal settembre del 2011. «Tenere basso il prezzo dell’oro serve a proteggere il dollaro Usa da una esplosione incontrollata dell’aumento del valore del dollaro e dei debiti in dollari». Certo, la domanda di oro continua a salire. Ma il prezzo viene tenuto basso col trucco dei “futures”: il prezzo dell’oro non è determinato dal mercato fisico, ma dalle scommesse speculative sul prezzo che si vuole stabilire.

  • Sinistra-fantasma, non ci ha difeso da Berlino né dall’euro

    Scritto il 29/11/14 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Proseguendo con le politiche di austerity l’Eurozona è destinata a deflagrare. Per questo, una sinistra degna di questo nome avrebbe il dovere di ragionare anche sulle modalità di uscita dalla moneta unica, per non lasciare il campo soltanto alle destre. Nel 2011 fui invitato a Parigi dal Partito socialista europeo a presentare lo “standard retributivo”, una proposta per interrompere la gara al ribasso tra i salari dei paesi membri dell’Unione. Ma i tedeschi si opposero. Di quella, come di altre ipotesi di coordinamento europeo, anche le più blande, non se ne fece nulla. Anzi, da allora i conflitti tra paesi sono aumentati. Sotto l’influenza del governo tedesco, a Napoli il recente vertice Bce ha ribadito che i singoli Stati nazionali dovranno restare fedeli alla linea dell’austerity. Inoltre, dal vertice è emerso un altro elemento che getta nuove ombre sul futuro dell’Eurozona. Draghi ha annunciato che la Bce immetterà sul mercato nuova liquidità per un ammontare complessivo fino a 1.000 miliardi in due anni. Sembrano tanti soldi, eppure da molti è stato considerato un intervento insufficiente.
    Il motivo possiamo comprenderlo facendo un confronto con altre banche centrali, ad esempio la Federal Reserve. Dall’inizio della crisi, la banca centrale statunitense ha effettuato acquisti di titoli e conseguenti emissioni di moneta per un ammontare tale da quintuplicare il suo bilancio. La Bce, invece, non lo ha nemmeno raddoppiato. Questo raffronto chiarisce che dovremmo sfatare l’opinione comune secondo cui Draghi sarebbe pronto a fare “tutto ciò che è necessario” per stabilizzare l’Eurozona. In realtà, messi a confronto con quelli di altre istituzioni, i suoi interventi sono stati abbastanza modesti. Nell’Eurozona registriamo da tempo un dissidio sulle interpretazioni dei vincoli europei, che vede la Germania e i suoi satelliti da un lato e l’Italia e gli altri Stati del Sud Europa dall’altro. Adesso nel conflitto viene coinvolta apertamente anche la Francia, che per un certo periodo si era tenuta un po’ in disparte ma che adesso inizia anch’essa a patire gli effetti dell’austerity. Temo però che non esistano le condizioni politiche per convincere il governo tedesco ad accettare finalmente una svolta negli indirizzi europei.
    Non vedo svolte di politica economica all’orizzonte. La mia opinione è che i paesi del Sud Europa avrebbero dovuto insistere sul fatto che in gioco è il futuro non solo della moneta unica ma anche del mercato unico europeo. Solo così, forse, avremmo potuto persuadere i tedeschi. Ma una trattativa del genere non è mai nemmeno iniziata. Ora mi sembra tardi. Il problema è che, come è stato ormai evidenziato dalla più autorevole letteratura scientifica, insistere con le politiche di austerity e di precarizzazione significa accrescere i divari tra paesi forti e paesi deboli. A lungo andare, come segnala il “monito degli economisti”, la forbice risulterà insostenibile e ai decisori politici non resterà altro che una scelta tra modi alternativi di uscita dall’Eurozona, ognuno dei quali può avere effetti diversi sulle diverse classi sociali. Sarebbe ora che tale punto entrasse nell’agenda politica delle forze politiche e sociali che si considerano eredi, più o meno degne e dirette, della tradizione del movimento dei lavoratori. Le destre nazionaliste, reazionarie e al limite xenofobe, appaiono prontissime a cogliere l’occasione di una crisi dell’euro. Le sinistre europee, invece, sembrano del tutto imbambolate. Verso una débacle storica.
    L’ex viceministro Pd Stefano Fassina parla di “disintegrazione caotica della moneta unica” e di “insostenibilità dell’euro”? Se si volesse far sul serio, bisognerebbe ripartire dai fondamenti. Per lungo tempo a sinistra ha prevalso un’idea astratta e retorica della globalizzazione e dell’europeismo. Un’idea basata sul convincimento che l’indiscriminata apertura ai mercati globali e l’unificazione monetaria europea potessero creare le condizioni per una maggiore convergenza tra lavoratori di diversi paesi, e quindi per un nuovo internazionalismo del lavoro. Ma la realtà si è rivelata molto più complessa. Basti notare che dall’introduzione dell’euro i differenziali salariali tra i diversi paesi non sono diminuiti ma al contrario sono aumentati. Anche questo ha reso difficile l’avvio di qualsiasi forma di coordinamento europeo della contrattazione. La sinistra, se ne esiste ancora una, dovrebbe partire da una revisione critica di quell’europeismo retorico e privo di aderenza ai fatti che per tanti anni l’ha caratterizzata. L’uscita dall’euro un salto nel buio? Abbiamo mostrato, dati alla mano, che i nemici della moneta unica sottovalutano i problemi di una eventuale uscita dall’Eurozona, per esempio riguardo ai salari o alle possibili acquisizioni estere di capitali nazionali. Questi problemi evidenziano che una uscita dall’euro andrebbe accompagnata da opportune politiche di salvaguardia, in primo luogo dei lavoratori. Ma i difensori dell’euro, che agitano il pericolo del salto nel buio, sono talvolta capaci di errori analitici anche più gravi.
    Prendiamo ad esempio il rischio di fughe di capitali. La verità è che queste già avvengono dentro l’Eurozona. I capitali sono fuggiti dalla Grecia nel 2010, da Italia, Spagna e Irlanda nel 2011, e più di recente le fughe di capitale hanno colpito Cipro, dove per arginarle è stato persino ipotizzato un ripristino dei controlli sui movimenti di capitale. Un tipico errore in malafede degli apologeti dell’euro è quello di evocare lo spettro di quel che succederebbe fuori senza considerare che i disastri che già si stanno già verificando dentro l’Eurozona. Intanto la Troika detta le politiche di austerity che portano a maggiore flessibilità, privatizzazioni e smantellamento di quel che resta dello Stato sociale. In Italia, il governo giustifica il Jobs Act sostenendo che occorre rendere il mercato del lavoro italiano più flessibile, più equo e più simile a quello della Germania. In realtà i dati Ocse mostrano che le riforme Treu, Biagi e Fornero hanno determinato una caduta delle tutele dei lavoratori italiani che è stata addirittura tripla rispetto alla riduzione delle protezioni che nello stesso periodo si è registrata in Germania.
    Gli indici dell’Ocse mostrano che ormai i lavoratori a tempo indeterminato in Italia sono meno protetti che in Germania. Inoltre, quando si parla di “apartheid” del mercato del lavoro, cioè di un divario tra protetti e precari, bisognerebbe ricordare che in Germania quel divario è triplo rispetto all’Italia. Infine, bisognerebbe smetterla con questa litania secondo cui una maggiore precarizzazione del mercato del lavoro riduce la disoccupazione. Questa tesi è stata seccamente smentita da vent’anni di ricerche empiriche. Dunque il Jobs Act si fonda su tesi false e per questo andrebbe respinto al mittente. Quanto al Tfr in busta paga, è un’anticipazione che rischia solo di deteriorare ulteriormente i risparmi dei lavoratori e che avrà effetti sulla crescita risibili. E’ l’ennesima dimostrazione che quella di Renzi non è una politica definibile tradizionalmente di “centro”: in realtà il governo segue una linea demagogica e populista.
    (Emiliano Brancaccio, estratti delle dichiariazioni rilasciate a Giacomo Russo Spena per l’intervista “L’Ue è fallita, la sinistra ragioni sull’euro”, pubblicata da “Micromega” il 7 ottobre 2014).

    Proseguendo con le politiche di austerity l’Eurozona è destinata a deflagrare. Per questo, una sinistra degna di questo nome avrebbe il dovere di ragionare anche sulle modalità di uscita dalla moneta unica, per non lasciare il campo soltanto alle destre. Nel 2011 fui invitato a Parigi dal Partito socialista europeo a presentare lo “standard retributivo”, una proposta per interrompere la gara al ribasso tra i salari dei paesi membri dell’Unione. Ma i tedeschi si opposero. Di quella, come di altre ipotesi di coordinamento europeo, anche le più blande, non se ne fece nulla. Anzi, da allora i conflitti tra paesi sono aumentati. Sotto l’influenza del governo tedesco, a Napoli il recente vertice Bce ha ribadito che i singoli Stati nazionali dovranno restare fedeli alla linea dell’austerity. Inoltre, dal vertice è emerso un altro elemento che getta nuove ombre sul futuro dell’Eurozona. Draghi ha annunciato che la Bce immetterà sul mercato nuova liquidità per un ammontare complessivo fino a 1.000 miliardi in due anni. Sembrano tanti soldi, eppure da molti è stato considerato un intervento insufficiente.

  • Craig Roberts: i Clinton? In galera, anziché alla Casa Bianca

    Scritto il 28/11/14 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Glenn Greenwald ha rivelato che Hillary Clinton è il candidato presidenziale dei bankster e dei guerrafondai. Pam e Russ Martens registrano che Elizabeth Warren è la sua concorrente populista. Dubito però che un politico che rappresenti il popolo possa raccogliere abbastanza fondi per poter competere in una campagna presidenziale. Se comunque la Warren dovesse diventare una minaccia, tutto l’establishment si muoverebbe per costruirle intorno una cornice nella quale la potrebbero dipingere in qualsiasi modo pur di farla fuori. Hillary Clinton come presidente significherebbe guerra alla Russia. Con neocon-nazisti come Robert Kagan e Max Boot a gestire la politica militare e con una Hillary che fa confronti  tra il presidente della Russia Putin e Adolf Hitler, la guerra dovrebbe essere una certezza. E, come hanno scritto Michel Chossudovsky e Noam Chomsky, la guerra, stavolta, sarebbe nucleare. Se Hillary fosse eletta presidente, i gangster finanziari e tutti quei criminali che traggono vantaggio dalle guerre riuscirebbero a completare il loro impossessamento del paese. E questo sarebbe per sempre, o almeno fino all’arrivo dell’Armageddon, la resa dei conti finale.
    Per comprendere a che cosa si andrebbe incontro con Hillary, proviamo a ripensare alla presidenza Clinton. Mise in moto delle trasformazioni che in qualche modo non vengono riconosciute. Clinton distrusse il partito democratico con gli accordi sul “libero commercio”, che regolò il sistema finanziario e inaugurò la politica di Washington – che ancora continua – del “cambio di regime”, con gli attacchi militari illegali su Jugoslavia e Iraq, e il suo regime cominciò ad usare una forza omicida e ingiustificata contro dei civili americani, per poi coprire gli omicidi depistando le indagini, con false investigazioni. Questi quattro grandi cambiamenti sono quelli che hanno gettato il paese in una spirale viziosa che ha portato alla militarizzazione della polizia e ad una ostentata iniquità dei redditi e della ricchezza. Si potrebbe capire perché i repubblicani volevano il “North American Free Trade Agreement”, ma fu Bill Clinton che lo trasformò in legge: è un meccanismo usato dalle multinazionali Usa per esportare la loro produzione di merci e servizi venduti sui mercati americani.
    Spostando la produzione all’estero, i risparmi sul costo del lavoro fanno aumentare i profitti delle multinazionali e il valore delle loro azioni, producendo dei guadagni di capitale per gli azionisti e dei bonus multimilionari in dollari per i loro dirigenti che hanno contribuito al raggiungimento degli obiettivi. I vantaggi per il capitale sono enormi, ma questi vantaggi sono tutti a spese dei lavoratori della manifattura Usa e delle minori entrate in tasse per le città e per gli Stati. Quando si chiudono gli stabilimenti e si manda il lavoro all’estero, non c’è più lavoro per la classe media. I sindacati delle industrie e della manifattura perdono iscritti, distruggendo così i sindacati dei lavoratori, che sono quelli che finanziano le campagne elettorali dei democratici. Il contrappeso del potere che era costituito dal lavoro contro il capitale, in questo modo era annullato. E i democratici dovettero ricorrere alle stesse fonti di sovvenzionamento dei repubblicani. Il risultato è uno Stato con un solo partito.
    L’indebolimento della base di tassazione che città e Stati hanno dovuto fronteggiare ha reso possibile un attacco dei repubblicani contro i sindacati del settore pubblico. Oggi il partito democratico non esiste più, visto che la politica del partito non è più finanziata da quei sindacati che rappresentano la gente comune. Oggi entrambi i partiti politici rappresentano gli interessi degli stessi gruppi di potere: il settore finanziario, il complesso militare barra security, le lobby di Israele, le industrie estrattive e l’agro-business. Non c’è più un partito che rappresenti veramente i propri elettori, malgrado il fatto che la gente comune continui a pagare con le proprie tasse tutti i costi dei salvataggi delle finanziarie e delle guerre intraprese, mentre le industrie estrattive e la Monsanto distruggono l’ambiente e portano al degrado la catena alimentare. Le elezioni non hanno più nulla a che vedere con le cose reali, come la perdita della protezione costituzionale da parte dei cittadini o un governo che agisca in base alle leggi esistenti. Al contrario, i partiti si mettono a discutere su argomenti come i matrimoni omosessuali e la raccolta di fondi federali per l’aborto. L’abrogazione della legge Glass-Steagall, firmata da Clinton, fu solo la prima mossa di quello che servì per rimuovere tanti altri vincoli che permisero al sistema finanziario di trasformarsi in un casinò, dove il gioco d’azzardo e le scommesse sono garantiti da fondi pubblici e dalla Federal Reserve. Le conseguenze definitive a cui porterà il paese questa trasformazione restano ancora da vedere.
    L’attacco del regime Clinton contro i serbi, secondo il diritto internazionale, fu un crimine di guerra, ma invece fu il presidente jugoslavo, che aveva cercato di difendere il proprio paese, che fu messo sotto processo come criminale di guerra. Quando il regime Clinton fece uccidere la famiglia di Randy Weaver a Ruby Ridge e altre 76 persone a Waco, sottoponendo i pochi sopravvissuti ad un processo-farsa, i crimini del regime contro l’umanità sono rimasti impuniti. Lo stesso sistema impostato da Clinton è continuato poi per altri 14 anni con i crimini commessi anche da Bush/Obama contro l’umanità in sette paesi, dove milioni di persone sono state uccise, mutilate e cacciate dalle loro case… ma questo sembra tutto accettabile. E ‘abbastanza facile per un governo fomentare la propria popolazione contro gli stranieri, come ben dimostrano i successi di Clinton, di George W. Bush e di Obama. Ma il regime Clinton riuscì a mettere americani contro altri americani. Quando l’Fbi gratuitamente uccise la moglie di Randy Weaver e il suo figlioletto, le denunce di Randy Weaver furono tacciate di propaganda e non considerate, senza motivo.
    Quando l’Fbi attaccò la setta dei Davidians – un movimento religioso staccatosi dalla Chiesa cristiana “avventista del settimo giorno” – con carri armati e gas velenosi, provocando un incendio che fece morire bruciate 76 persone, soprattutto donne e bambini, queste uccisioni e questo omicidio di massa furono giustificate dal regime Clinton, che considerò come accuse selvagge e infondate quelle che venivano mosse per chiedere giustizia per il massacro compiuto dal governo. Tutti gli sforzi di attribuire la responsabilità per i crimini compiuti dalla polizia furono bloccati e (purtroppo) cominciarono a costituire dei precedenti che sono serviti a far approvare una normativa che garantisce, in casi simili, l’immunità dalla legge. Questa immunità ora si è estesa a tutte le polizie locali, che possono regolarmente compiere abusi e uccidere cittadini americani sulle loro strade e nelle loro case.
    La mancanza di rispetto delle leggi internazionali da parte di Washington è un argomento su cui i governi di Russia e Cina si lamentano sempre più, e che ebbe origine con il regime Clinton. Le bugie di Washington su Saddam Hussein e sulle “armi di distruzione di massa” cominciarono durante il regime Clinton, così come l’obiettivo di un “cambio di regime” in Iraq e come i bombardamenti illegali di Washington e gli embarghi che costarono la vita di mezzo milione di bambini iracheni che persero la vita (ma che il segretario di Stato di Clinton disse che erano giustificabili). Il governo degli Stati Uniti aveva già fatto cose malvagie in passato. Ad esempio, la guerra ispano-americana fu un trampolino di lancio per costruire l’impero, e Washington ha sempre tutelato gli interessi delle società americane da qualsiasi oppositore latino-americano, ma il regime Clinton ha globalizzato la criminalità. I golpe per il cambio di regime sono diventati sempre più spericolati fino a rischiare una guerra nucleare, perché ormai non sono più governi come quello di Grenada o dell’Honduras ad essere rovesciati. Oggi si prendono di mira Russia e Cina. E certe zone, che fino a pochi anni fa erano parte integrante della Russia stessa, come Georgia e Ucraina, sono state trasformate in Stati vassalli di Washington.
    Washington ha finanziato le Ong che organizzano la “lotta studentesca” di Hong Kong, nella speranza che le proteste si diffonderanno fino in Cina e che destabilizzino il governo. L’incoscienza di questi interventi negli affari interni di paesi stranieri, potenze nucleari, è senza precedenti. Hillary Clinton è una guerrafondaia, e la stessa cosa sarà anche il candidato che presenteranno i repubblicani. L’irrigidimento della retorica anti-russa che parte da Washington e dai suoi pessimi Stati-fantoccio della Ue sta mettendo il mondo sulla strada della propria estinzione. Gli arroganti neoconservatori, con la loro esasperante convinzione che gli Stati Uniti siano il paese “eccezionale e indispensabile”, vedrebbero un abbassamento dei toni della loro retorica e una de-escalation delle sanzioni come un passo indietro. Quanto più i neocon e i politici come John McCain e Lindsey Graham salgono nei toni della loro retorica, tanto più ci si avvicina alla guerra.
    Mentre oggi il governo degli Stati Uniti istiga la polizia agli arresti preventivi e alle incarcerazioni di chiunque potrebbe un giorno commettere un crimine, quella che invece dovrebbe essere arrestata e incarcerata, buttando via la chiave, dovrebbe essere tutta intera la squadra di questi guerrafondai-neocon, prima che riescano a distruggere l’umanità. Gli anni di Clinton hanno prodotto una gran quantità documentazione sui tanti crimini e sulle coperture di fatti come l’attentato di Oklahoma City, Ruby Ridge, Waco, lo scandalo dei laboratori criminali dell’Fbi, la morte di Vincent Foster, il coinvolgimento della Cia nel traffico di droga, la militarizzazione delle forze dell’ordine, il Kosovo… e si può andare avanti finché si vuole. La maggior parte di questi documenti sono stati scritti da persone che non avevano un punto di vista parziale, né liberal, né conservatore, perché nessuno si rendeva ancora conto della natura della trasformazione che stava avvenendo nella governance americana. Quelli che hanno dimenticato e quelli che sono troppo giovani non hanno la capacità di vedersi o di riconoscersi in quello che sono stati gli anni di Clinton. Recentemente ho parlato del libro di Ambrose Evans-Pritchard “The Secret Life of Bill Clinton”. Altro libro con una documentazione importante è “Feeling Your Pain”, di James Bovard.
    Sia il Congresso che i media hanno lavorato non poco per appoggiare e per dare le opportune coperture a molti eventi importanti avvenuti durante la presidenza Clinton, ma si sono concentrati solo su faccende di poco conto come le vendite immobiliari di Whitewater o la relazione sessuale di Clinton con la stagista della Casa Bianca Monica Lewinsky. Clinton e il suo regime corrotto hanno mentito su molte cose ben più importanti, ma la Camera dei Rappresentanti lo ha messo sotto accusa solo per le bugie raccontate sulla sua relazione con Monica Lewinsky. Ignorando le numerose (e ben più importanti) ragioni che avrebbero potuto portare a un impeachment, si è parlato tanto solo di un fatto inconsistente, e il Congresso e i media sono stati complici nel permettere che crescesse a dismisura un ramo dannoso dell’esecutivo. Questa mancanza di responsabilità ci ha portato alla tirannia in patria e alla guerra all’estero, e sono questi i due mali che ci stanno avviluppando tutti, ogni giorno di più.
    (Paul Craig Roberts, “Con le prossime presidenziali Usa, la guerra sarà più vicina”, da “Information Clearing House” del 18 novembre 2014, tradotto da “Come Don Chisciotte”).

    Glenn Greenwald ha rivelato che Hillary Clinton è il candidato presidenziale dei bankster e dei guerrafondai. Pam e Russ Martens registrano che Elizabeth Warren è la sua concorrente populista. Dubito però che un politico che rappresenti il popolo possa raccogliere abbastanza fondi per poter competere in una campagna presidenziale. Se comunque la Warren dovesse diventare una minaccia, tutto l’establishment si muoverebbe per costruirle intorno una cornice nella quale la potrebbero dipingere in qualsiasi modo pur di farla fuori. Hillary Clinton come presidente significherebbe guerra alla Russia. Con neocon-nazisti come Robert Kagan e Max Boot a gestire la politica militare e con una Hillary che fa confronti  tra il presidente della Russia Putin e Adolf Hitler, la guerra dovrebbe essere una certezza. E, come hanno scritto Michel Chossudovsky e Noam Chomsky, la guerra, stavolta, sarebbe nucleare. Se Hillary fosse eletta presidente, i gangster finanziari e tutti quei criminali che traggono vantaggio dalle guerre riuscirebbero a completare il loro impossessamento del paese. E questo sarebbe per sempre, o almeno fino all’arrivo dell’Armageddon, la resa dei conti finale.

  • Piano segreto Ue, prelievo forzoso dai nostri conti correnti

    Scritto il 22/11/14 • nella Categoria: segnalazioni • (1)

    Un’euro-rapina sui conti correnti? Potrebbe accadere, e i poveri risparmiatori subirebbero una mazzata con pochi precedenti (tra i quali il prelievo forzoso notturno del 1992 effettuato dal governo Amato). E, soprattutto, è quello che teme il focoso europarlamentare leghista, Gianluca Buonanno, che ha presentato un’interrogazione scritta alla Commissione Ue e alla Bce per chiedere di confermare «l’esistenza di un piano di misure adottato nel luglio 2014» secondo il quale, come già sperimentato a Cipro, «sarebbe prevista l’imposizione di misure d’urgenza che consentirebbero il congelamento dei conti correnti bancari dei cittadini e delle imprese europee e il prelievo forzato delle somme ritenute necessarie a fronteggiare l’esposizione debitoria». Ma la domanda che pone Buonanno è anche un’altra: «La Bce ritiene che il rischio di default sia concreto a tal punto da permettere l’adozione di un tale piano?». La risposta non è semplice: anche se le crisi si presentano sempre in forme diverse, l’opera di prevenzione (anche se l’Ue ha raggiunto soglie maniaco-depressive) può rappresentare un aiuto.
    Tuttavia, quando si ascoltano le parole del capo economista di Standard & Poor’s, Jean-Michel Six, lo shock è fortissimo: «La ripresa economica ha perso molto slancio e, avvicinandoci al 2015, nell’Eurozona sono aumentati i rischi di una terza recessione dopo il 2009 e il 2011», ha detto. I quesiti aumentano. Perché il presidente della Bce, Mario Draghi, e soprattutto le istituzioni italiane – pubbliche e private – in questi mesi hanno messo l’accento sulla creazione di una bad bank, cioè di un ente che si faccia carico dei crediti deteriorati degli istituti (in Italia hanno superato i 180 miliardi) per ripulire i bilanci e consentire una migliore sopravvivenza del sistema? Perché la principale banca italiana, Intesa Sanpaolo, ha scaricato dal portafoglio 17 miliardi di Btp? Qui rispondere è più facile: hanno ripreso valore e ha guadagnato, la Bce li penalizza e, se la recessione proseguisse, meglio stare leggeri. Perché allora Buonanno lancia questo allarme?
    «Mi è stato detto da fonti interne alla Commissione che esiste un documento nel quale si specifica che il prelievo sui conti correnti potrebbe arrivare al 10% delle giacenze», racconta, sostenendo che «in ogni caso la Bce e la Commissione devono smentire se si tratta di una notizia falsa oppure confermarla». Vale la pena di raccontare la storia per intero. Sin dall’anno scorso in sede comunitaria è stato approvato un piano d’azione per la “risoluzione ordinata delle crisi bancarie”, contestuale alla nascita dell’Unione Bancaria. I pilastri sono due. Il primo è il “Single supervisory mechanism” (Ssm), ossia la vigilanza unificata della Bce sulle più importanti banche europee. È stato istituito un organismo, sono state scritte delle regole sui requisiti minimi di solidità patrimoniale e sono stati condotti gli stess-test che in Italia hanno bocciato Monte dei Paschi e Banca Carige.
    Il secondo pilastro è il “Single resolution mechanism” (Srm), ossia il dispositivo per i salvataggi in caso di crisi. La trattativa è stata complicatissima e si è conclusa solo nell’Ecofin di Lussemburgo dello scorso giugno. Come al solito ha vinto la Germania. È, infatti, passato il principio-guida del bail-in , cioè il salvataggio delle banche con mezzi propri. Se le cose vanno male, come accaduto a Cipro, pagano prima gli azionisti (con aumenti di capitale mostruosi) e poi gli obbligazionisti (con una rinegoziazione del debito). Se la situazione non migliorasse, sarebbero i correntisti con depositi oltre i 100.000 euro a rimetterci. È prevista, inoltre, l’istituzione di un fondo unico finanziato dagli Stati membri (che raggiungerà la dotazione di 55 miliardi nel 2024) per tamponare le eventuali carenze di liquidità. È chiaro che i prestiti del fondo andranno comunque restituiti dalle banche con le modalità sopra descritte. I piccoli risparmiatori che volessero chiudere i conti prima che la propria banca fallisca potrebbero dover aspettare almeno 15 giorni fino al 2018. E, comunque, i derivati non si toccano!
    (Gian Maria De Francesco, “Piano segreto dell’Europa, saccheggiare i nostri risparmi”, da “Il Giornale” del 14 novembre 2014).

    Un’euro-rapina sui conti correnti? Potrebbe accadere, e i poveri risparmiatori subirebbero una mazzata con pochi precedenti (tra i quali il prelievo forzoso notturno del 1992 effettuato dal governo Amato). E, soprattutto, è quello che teme il focoso europarlamentare leghista, Gianluca Buonanno, che ha presentato un’interrogazione scritta alla Commissione Ue e alla Bce per chiedere di confermare «l’esistenza di un piano di misure adottato nel luglio 2014» secondo il quale, come già sperimentato a Cipro, «sarebbe prevista l’imposizione di misure d’urgenza che consentirebbero il congelamento dei conti correnti bancari dei cittadini e delle imprese europee e il prelievo forzato delle somme ritenute necessarie a fronteggiare l’esposizione debitoria». Ma la domanda che pone Buonanno è anche un’altra: «La Bce ritiene che il rischio di default sia concreto a tal punto da permettere l’adozione di un tale piano?». La risposta non è semplice: anche se le crisi si presentano sempre in forme diverse, l’opera di prevenzione (anche se l’Ue ha raggiunto soglie maniaco-depressive) può rappresentare un aiuto.

  • Zero disoccupazione: via l’euro, e 2 milioni di assunzioni

    Scritto il 20/11/14 • nella Categoria: segnalazioni • (3)

    Disoccupazione zero. Uno slogan politico, che riassume il programma di piena occupazione messo a punto per l’Italia dai sostenitori della Mmt, Moderm Money Theory, partendo da un presupposto imprescindibile: il controllo pubblico e sovrano della moneta, senza il quale ogni sforzo è vano perché, eliminato lo Stato, a dominare sono i mercati finanziari, i poteri forti mondiali. Padre fondatore di questa impostazione è John Maynard Keynes, cervello del boom economico occidentale del ‘900: il sistema funziona e produce benessere solo se, a monte, il potere pubblico investe denaro creato dal nulla, attraverso il deficit positivo. Per un altro colosso dell’economia democratica, Hyman Minsky, la missione dello Stato è quella di diventare “datore di lavoro di ultima istanza”. Concetti lunari, se riletti oggi in pieno neoliberismo terminale globalizzato, con in più il guinzaglio mortale dell’euro che, come prima missione, elimina dalla scena proprio l’attore fondamentale del processo democratico macroeconomico, lo Stato, costretto a dipendere dal sistema bancario. Una farsa le immissioni di liquidità pilotate dalla Bce, perché sono destinate alle banche, ai loro buchi di bilancio e alla loro speculazione finanziaria, anziché al credito per l’economia reale.
    Nel regime dell’euro, caso unico al mondo – moneta senza Stato, per Stati senza più moneta, dunque ostaggio delle banche – si saldano due pulsioni egemoniche negative, quella “imperiale” atlantica (che proprio con l’euro ha azzoppato l’Europa, partner potenziale della Russia dopo la caduta dell’Urss), e quella neoconservatrice europea incarnata dall’élite post-coloniale franco-tedesca, fondata sul mercantilismo del super-export (lavoro a basso costo, salari da fame) e sul neoclassicismo, che pretende di estendere allo Stato l’antica dottrina di David Ricardo, risalente all’epoca napoleonica: prima di poter investire, anche lo Stato deve “risparmiare”, come se fosse un’azienda qualsiasi anziché l’unica istituzione democratica abilitata a emettere moneta a costo zero, in regime di monopolio. Di qui la politica di rigore preparata per decenni, a partire dal divorzio tra Tesoro e banche centrali, e culminata oggi nella catastrofe dell’Eurozona a guida tedesca, con un paese come l’Italia retrocesso oltre le prime 20 posizioni nella graduatoria dei redditi Ocse, e alle prese con una disoccupazione spaventosa.
    Con l’euro, risalire la china è materialmente impossibile: l’intera costruzione della non-moneta europea è stata concepita in base al preciso scopo politico di impedire allo Stato di continuare a sostenere l’economia nazionale, mettendola in crisi e ripristinando condizioni di dominio neo-feudale. Oggi infatti sono i pesi massimi del business euroatlantico a speculare sul disastro, anche con le privatizzazioni, acquisendo a prezzi stracciati beni, aziende, servizi e infrastrutture, cioè il patrimonio sviluppato nei “decenni del benessere” in regime di sovranità monetaria, prima della grande globalizzazione americana. Lo Stato piange perché non può più reggere i conti in rosso – non avendo più il debito pubblico denominato in moneta propria – e quindi non può fare altro che tagliare i servizi e aumentare le tasse, fino a provocare il progressivo collasso dell’economia. Non potendo più svalutare la moneta, né immetterla liberamente nel sistema, né tantomeno utilizzarla come in passato per investimenti strategici, nel regime padronale dell’Eurozona non resta che svalutare il lavoro, seppellendo in questo modo qualsiasi residuo fondamento dell’economia marxista e riducendo il lavoratore ad automa sempre meno pagato, intercambiabile al ribasso sul nuovo mercato dei migranti precari globalizzati.
    Per questo ha carattere apertamente rivoluzionario la proposta sovranista sviluppata da Warren Mosler e diffusa in Italia da Paolo Barnard: restituire la moneta allo Stato, cioè alla generalità dei cittadini, significa sottrarla al monopolio abusivo del sistema finanziario, che ha “sequestrato” la fondamentale leva monetaria agli Stati europei proprio quando la Russia cessava di essere un avversario formale della Nato. Inaffidabili, per il super-potere di Wall Street, le democrazie europee col loro welfare e le loro tutele sindacali. Un modello funzionante, pericolosamente prossimo alle nuove frontiere dell’Est Europa, da mettere in crisi – con il “golpe” monetario – prima ancora che la crisi della crescita e la finanziarizzazione dell’economia esplodessero in modo dirompente e palese. Secondo il “programma di piena occupazione” della Mmt, il semplice recupero sovrano della moneta può dare ossigeno a un singolo sistema-paese, a prescindere dal contesto internazionale, posto che esistano ovviamente le condizioni politiche per sfidare i poteri forti al punto da “restituire” ai cittadini, insieme alla moneta, un assetto economico funzionale e sociale: il denaro a disposizione del lavoro, e non viceversa. Si tratta dunque di un programma tecnico, in attesa di adozione. Primo punto: tamponare la voragine e dare un lavoro a tutti, subito. Come? Pagando uno stipendio a qualsiasi disoccupato disposto a lavorare e produrre l’equivalente del reddito ricevuto.
    Il salario sarebbe leggermente inferiore al compenso garantito dai contratti del settore privato. E sarebbe transitorio, cioè assicurato soltanto fino al momento in cui il disoccupato non viene assunto da un’impresa privata. Si tratterebbe in ogni caso un impiego produttivo, ma in campi che non creano concorrenza al settore privato (esempio: la tutela idrogeologica). Dotato nuovamente di moneta propria, lo Stato potrebbe ampliare la base monetaria nazionale, aumentando subito il deficit: dall’attuale 3% del Pil si passerebbe immediatamente all’8-10%. Prima conseguenza: taglio immediato della pressione fiscale, ridotta di almeno il 5%, agendo sull’Iva e sulle tasse sul lavoro. Valore della manovra: 75 miliardi, pari a 2 milioni di posti di lavoro. In parallelo, investimenti annuali da 30-40 miliardi per pilotare una riconversione sostenibile dell’economia: e quindi istruzione, risparmio energetico, sicurezza idrogeologica, ambiente e salute, con ricadute a cascata sul sistema delle aziende e sull’occupazione. Detassazione e investimento pubblico: con moneta sovrana (e politici onesti e capaci) si può fare. Senza moneta sovrana, la missione sarebbe fuori della portata del miglior politico. All’orizzonte, in ogni caso, non se ne vedono. Il che induce ormai molti economisti a ipotizzare che l’uscita dall’euro, giudicata inevitabile e prossima, avverrebbe attraverso un crollo del sistema, con conseguenze disastrose, non esistendo una struttura politica capace di sostenere un piano di salvezza nazionale come quello tracciato dalla Mmt di Mosler.

    Disoccupazione zero. Uno slogan politico, che riassume il programma di piena occupazione messo a punto per l’Italia dai sostenitori della Mmt, Moderm Money Theory, partendo da un presupposto imprescindibile: il controllo pubblico e sovrano della moneta, senza il quale ogni sforzo è vano perché, eliminato lo Stato, a dominare sono i mercati finanziari, i poteri forti mondiali. Padre fondatore di questa impostazione è John Maynard Keynes, cervello del boom economico occidentale del ‘900: il sistema funziona e produce benessere solo se, a monte, il potere pubblico investe denaro creato dal nulla, attraverso il deficit positivo. Per un altro colosso dell’economia democratica, Hyman Minsky, la missione dello Stato è quella di diventare “datore di lavoro di ultima istanza”. Concetti lunari, se riletti oggi in pieno neoliberismo terminale globalizzato, con in più il guinzaglio mortale dell’euro che, come prima missione, elimina dalla scena proprio l’attore fondamentale del processo democratico macroeconomico, lo Stato, costretto a dipendere dal sistema bancario. Una farsa le immissioni di liquidità pilotate dalla Bce, perché sono destinate alle banche, ai loro buchi di bilancio e alla loro speculazione finanziaria, anziché al credito per l’economia reale.

  • Barnard: crediti marci e banche in rosso, preparatevi a tutto

    Scritto il 20/11/14 • nella Categoria: segnalazioni • (2)

    No, no, per carità, il problema è Roma, Casta, pensioni d’oro, costi politica, costi lavoro, ecc. Dette queste risolutive verità sulla macroeconomia globale, e tralasciando che ora la Russia può anche chiudere i rubinetti del gas all’Europa avendo completato il secondo più grande accordo di fornitura di gas con la Cina nella storia… insomma, tralasciando queste sciocchezze, chiedo a chi ha 5 minuti di tempo per sollevare gli occhi dai testi delle epiche mozioni dei 5S in Parlamento, di osservare i seguenti semplici punti. La banche italiane sono fra le prime fra quelle dell’Eurozona in termini di volumi di debiti ‘a rischio’ emessi negli scorsi 2 anni (debiti emessi dalle banche per finanziarsi). Il totale sud-europeo di debiti bancari ‘a rischio’ emessi negli scorsi 2 anni è di 18 miliardi di euro, che si aggiungono ai 1.500 miliardi di euro che ancora le banche europee hanno in pancia in termini di crediti emessi e che non riavranno mai più (crediti marci).
    Fra questi ‘debiti a rischio’ che le banche vendono per finanziarsi ci sono anche i famigerati Asset Backed Securities, cioè dei fasci di vostri debiti verso le banche e che voi faticate a ripagare, che vengono venduti a Fondi Avvoltoio americani, così le banche se ne liberano e voi sfigati poi avrete a che fare con gli Avvoltoi (la Camorra è una passeggiatina, in confronto). Insomma, le banche italiane in testa a una corsa delle banche per finanziarsi con prestiti da parte di investitori che rischiano il deretano, perché è alta la possibilità che le banche non li ripaghino, ma questi investitori in compenso chiedono alle banche tassi d’interessi… STRATOSFERICI stratosferici.
    E qui sta la domandina per voi imprenditori e famiglie che chiedete fidi, mutui, prestiti, ecc. A chi credete che le banche faranno pagare il conto di quei tassi stratosferici che pagano loro stesse ai mercati di capitali? A chiiiiiii? Forse a Grillo??… ah! già, non ci avevo pensato. Il boato gastrico del genovese ci salverà! Vi salverà, imprenditori dell’Abruzzo, sindaci della Lombardia, famiglie d’Italia. Scusate se vi ho allarmati di nuovo.
    (Paolo Barnard, “Come sempre, imprenditori e famiglie non fateci caso”, dal blog di Barnard dell’8 novembre 2011).

    No, no, per carità, il problema è Roma, Casta, pensioni d’oro, costi politica, costi lavoro, ecc. Dette queste risolutive verità sulla macroeconomia globale, e tralasciando che ora la Russia può anche chiudere i rubinetti del gas all’Europa avendo completato il secondo più grande accordo di fornitura di gas con la Cina nella storia… insomma, tralasciando queste sciocchezze, chiedo a chi ha 5 minuti di tempo per sollevare gli occhi dai testi delle epiche mozioni dei 5S in Parlamento, di osservare i seguenti semplici punti. La banche italiane sono fra le prime fra quelle dell’Eurozona in termini di volumi di debiti ‘a rischio’ emessi negli scorsi 2 anni (debiti emessi dalle banche per finanziarsi). Il totale sud-europeo di debiti bancari ‘a rischio’ emessi negli scorsi 2 anni è di 18 miliardi di euro, che si aggiungono ai 1.500 miliardi di euro che ancora le banche europee hanno in pancia in termini di crediti emessi e che non riavranno mai più (crediti marci).

  • Sciopero sociale, liberare lo Stato dalla mafia neoliberista

    Scritto il 19/11/14 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    I dati economici per l’Italia e le proiezioni degli organi specializzati non lasciano dubbi: la recessione continuerà, le riforme di Renzi faranno cilecca, la situazione a breve si farà pericolosa. Gli interessi costituiti, la casta europeista e austerofila, si attrezzano per fronteggiare una possibile situazione prerivoluzionaria mediante una riforma del Parlamento e della legge elettorale che metta tutto nelle mani dei segretari di pochi grandi partiti politici, e in particolare si consolida l’asse neoliberista Renzi-Berlusconi. Andiamo infatti verso uno scenario di fallimento delle promesse renziane, di forte peggioramento economico, di dirompenti tensioni sociali, con un Parlamento ultra-maggioritario neoliberista che assicurerà, sì, la maggioranza a un governo fedele al modello economico in via di costruzione, ma che non rappresenterà la popolazione, anzi sarà in palese contrapposizione agli interessi di questa, e dovrà ricorrere alla repressione, legittimandola con i numeri in aula e con l’appoggio dell’“Europa”, e alla bisogna perfezionandola con l’arrivo della Trojka e dell’Eurogendfor.
    L’etica finanziaria del rigore e della virtuosità, incarnata dall’Ue, è un’etica per i creditori renditieri, per gli usurai, per i produttori monopolisti di moneta e credito. Storicamente, l’inflazione del primo del secondo dopoguerra, assieme alle politiche di spesa pubblica a sostegno della crescita economica, alla forte crescita dei redditi nazionali e all’effetto redistributivo di questa combinazione, è ciò che aveva sostanzialmente ridotto i loro privilegi economici. Essi ora si prendono la rivincita imponendo un modello che antepone a tutto la salvaguardia delle rendite anzi la loro rivincita, attraverso l’imposizione di condizioni opposte a quelle del secondo dopoguerra, cioè stagnazione, spostamento di ampie quote dei redditi dal lavoro alle rendite, concentrazione dei redditi e dei capitali nelle mani di cerchie sempre più ristrette, crescita della quota della spesa pubblica che i paesi subalterni, come l’Italia, devono destinare al pagamento degli interessi sul loro debito pubblico.
    La popolazione generale viene posta dai mass media e dalle istituzioni in condizione di conoscere solo la vulgata economica sottesa a questo modello economico e di dimenticare, in quanto ai meno giovani, e di non apprendere, in quanto ai meno vecchi, che è possibile, è esistito e ha funzionato un modello economico diverso, in cui il denaro veniva prodotto e speso per assicurare occupazione e sviluppo, in cui le banche centrali assicuravano l’acquisto dei titoli pubblici a un tasso sostenibile escludendo la possibilità di default, e che in questo modello i disavanzi interni ed esteri nonché i debiti pubblici erano molto più sostenibili di quanto lo sono ora nel sistema della virtuosità per usurai, sicché i governi e i parlamenti avevano la capacità di elaborare e decidere politiche economiche e sociali anziché farsele dettare dai mercati. E le persone avevano la possibilità di fare programmi di vita – cosa che in fondo è lo scopo non solo dell’economia ma della stessa esistenza dello Stato.
    La popolazione generale italiana, se tiene la testa dentro alla “realtà” che le è permesso conoscere, cioè dentro il predetto modello di economia virtuosa per usurari e renditieri marca Maastricht, può davvero pensare che il rimedio alle sofferenze che sta vivendo consista nel rinegoziare i parametri per spuntare qualche punto percentuale di flessibilità, di spesa a deficit in più, come promettono vari statisti-contaballe, oppure l’immissione di qualche centinaia di miliardi da parte della Bce che, come in passato, finirebbero alle banche per chiudere i loro buchi sommersi o per gonfiare nuove bolle speculativa, come sempre avvenuto durante questa “crisi”. L’unico rimedio effettivo sarebbe la sostituzione di quel modello con altri, che ho descritto anche in questo blog.
    Un’opposizione sociale vera e realistica dovrebbe puntare apertamente a questo rovesciamento di modello, non a negoziati per ottenere qualche concessione. che per forza di cose sarebbe presto revocata. E dovrebbe lottare con la coscienza che i tagli di salari, occupazione, garanzie, servizi sono stati intenzionalmente introdotti dalle istituzioni nazionali e sovranazionali come strumento per garantire e rafforzare le posizioni di una classe di renditieri finanziari, di monopolisti del credito; e che quindi si tratta di fare, con i mezzi necessari, se disponibili, una lotta di classe diretta a rovesciare un ordinamento economico-giuridico e a riprendersi i poteri pubblici, governativi, istituzionali, togliendoli a un preciso avversario di classe, per darli alla generalità dei cittadini. È probabile che la rottura dell’equilibrio, dell’omeostasi di questo attuale sistema, sia alle porte, determinata dalla continua contrazione del reddito nazionale, che rende insostenibile il servizio dei debiti pubblici e privati, quindi tende a far saltare il sistema bancario.
    Se a questo punto i poteri forti decidono di mettere le mani nei conti correnti della gente e confiscare il risparmio per puntellare le banche e i conti pubblici, questa può essere la scintilla che coalizza le forze euro-scettiche e trasforma gli “scioperi sociali” della Fiom (novembre 2014), e in cui già si nota il ritorno di una coscienza e di una rabbia di classe, in  un’attuazione di reale sovranità popolare di contro alla irreale rappresentanza di un Parlamento di nominati e ultramaggioritario. Anche perché tale opzione di bail-in a carico dei risparmiatori farebbe capire a molti che il sistema di governance globale creato intorno al Fmi, alla Fed, alla Bce, al Mes, alla Banca dei Regolamenti internazionali, alla Commissione, ha proprio la funzione di scaricare su lavoratori, pensionati, risparmiatori, cittadini, i danni causati dalle attività di azzardo e dalle truffe finanziarie di quella stessa classe internazionale che dirige le predette istituzioni sovranazionali. Un simile rovesciamento dal basso del modello socioeconomico non è possibile su scala nazionale, bensì solo su scala almeno continentale. Ed è improbabile che parta dagli italiani, che sono storicamente incapaci di simili imprese.
    (Marco Della Luna, “Sciopero sociale e rovesciamento del modello neoliberista”, dal blog di Della Luna del 16 novembre 2014).

    I dati economici per l’Italia e le proiezioni degli organi specializzati non lasciano dubbi: la recessione continuerà, le riforme di Renzi faranno cilecca, la situazione a breve si farà pericolosa. Gli interessi costituiti, la casta europeista e austerofila, si attrezzano per fronteggiare una possibile situazione prerivoluzionaria mediante una riforma del Parlamento e della legge elettorale che metta tutto nelle mani dei segretari di pochi grandi partiti politici, e in particolare si consolida l’asse neoliberista Renzi-Berlusconi. Andiamo infatti verso uno scenario di fallimento delle promesse renziane, di forte peggioramento economico, di dirompenti tensioni sociali, con un Parlamento ultra-maggioritario neoliberista che assicurerà, sì, la maggioranza a un governo fedele al modello economico in via di costruzione, ma che non rappresenterà la popolazione, anzi sarà in palese contrapposizione agli interessi di questa, e dovrà ricorrere alla repressione, legittimandola con i numeri in aula e con l’appoggio dell’“Europa”, e alla bisogna perfezionandola con l’arrivo della Trojka e dell’Eurogendfor.

  • Mersch, Bce: abbiamo rubato ai poveri per dare ai ricchi

    Scritto il 18/11/14 • nella Categoria: segnalazioni • (2)

    Le due maggiori banche centrali del mondo, la Fed americama e l’europea Bce, «hanno causato un aumento di povertà senza precedenti nella storia», sostiene Paolo Barnard, che denuncia «il più grande trasferimento di ricchezza dai poveri ai ricchi dall’esistenza della civiltà». E’ stato realizzato «con immani trasferimenti di liquidità alle banche (con la patetica scusa che poi le banche avrebbero prestato ad aziende e famiglie)». Sono quei trasferimenti che negli Usa sono chiamati Qe, “quantitative easing”, e da noi Ltro e Omt. Tutto sbagliato, ora lo ammettono anche alla Bce: lo ha ribadito pubblicamente, a Zurigo, il banchiere centrale  Yves Mersch, membro dell’esecutivo della Bce: «Tassi d’interesse molto bassi finiscono per arricchire chi specula in finanza, mentre puniscono i depositi degli ordinari risparmiatori: questo può portare a diseguaglianza sociale sempre maggiore fra ricchi e poveri». Insieme a Warren Mosler (Modern Money Theory), Barnard lo è andato ripetendo negli ultimi cinque anni: la politica di Qe affidata alle banche non avrebbe raggiunto l’economia reale e anzi avrebbe colpito i risparmi.
    Era chiaro, scrive oggi Barnard nel suo blog, che «quei trilioni di dollari o euro sarebbero tutti finiti o in speculazioni di Borsa – arricchendo i soliti miliardari – o ad abbassare i tassi d’interesse a zero, uccidendo i guadagni di centinaia di milioni di piccoli risparmiatori che contavano proprio su quegli interessi dei loro titoli di risparmio per fare un gruzzoletto. Ed è successo. Ok. Io l’ho detto in Tv, scritto, urlato». Ma non è tutto: «La cosa che ora a noi fa ribollire il sangue è che sul più immane crollo dell’economia europea dai tempi di Carlo Magno, arrivano questi tecnocrati delle banche centrali a dire che… in effetti hanno sbagliato, e indirettamente che avevamo ragione noi. Grazie, tante! Dopo che avete devastato centinaia di milioni di famiglie, lavoro e piccole aziende, che vi prenda fuoco l’auto con voi dentro legati. E che bruci piano». Yves Mersch ora denuncia quei “tassi d’interesse molto bassi”? Ma sono stati «da loro scientemente voluti», proprio per “punire gli ordinari risparmiatori”, cioè «noi sfigati cittadini e pensionati».
    Aggiunge lo stesso Mersch: «E cosa abbiamo imparato dalle nostre politiche monetarie sulla distribuzione della ricchezza, dei redditi e dei consumi? Mentre la maggioranza delle famiglie conta sui suoi salari per campare, una minoranza riceve guadagni dai suoi business e dalla finanza». Se le politiche monetarie espansive (proprio quelle della Bce di oggi) «arricchiscono i profitti più che gli stipendi, allora gli industriali ne beneficeranno in modo enorme a scapito dei salariati», ammette Mersch. «Quindi le nostre politiche monetarie causeranno una montante diseguaglianza sociale fra ricchi e poveri». Barnard protesta: «“Causeranno”? L’avete già fatto, bastardi, e oggi fate i discorsini socialmente solidali?». Per Barnard, la politica monetaria che l’élite ha affidato alla Bce non è stata “un errore”, ma criminalità consapevole. Denunce a lungo cadute nel vuoto e non raccolte dagli italiani, «povere anime perse fra i ladri di polli della Casta o Grillo che fa boati gastrici. Poverini: la Casta gli ruba le uova del pollaio, mentre l’Eurozona gli ruba la casa con tutto quello che c’è dentro. Ma sapete gli italiani, poverini».

    Le due maggiori banche centrali del mondo, la Fed americama e l’europea Bce, «hanno causato un aumento di povertà senza precedenti nella storia», sostiene Paolo Barnard, che denuncia «il più grande trasferimento di ricchezza dai poveri ai ricchi dall’esistenza della civiltà». E’ stato realizzato «con immani trasferimenti di liquidità alle banche (con la patetica scusa che poi le banche avrebbero prestato ad aziende e famiglie)». Sono quei trasferimenti che negli Usa sono chiamati Qe, “quantitative easing”, e da noi Ltro e Omt. Tutto sbagliato, ora lo ammettono anche alla Bce: lo ha ribadito pubblicamente, a Zurigo, il banchiere centrale  Yves Mersch, membro dell’esecutivo della Bce: «Tassi d’interesse molto bassi finiscono per arricchire chi specula in finanza, mentre puniscono i depositi degli ordinari risparmiatori: questo può portare a diseguaglianza sociale sempre maggiore fra ricchi e poveri». Insieme a Warren Mosler (Modern Money Theory), Barnard lo è andato ripetendo negli ultimi cinque anni: la politica di Qe affidata alle banche non avrebbe raggiunto l’economia reale e anzi avrebbe colpito i risparmi.

  • Meno tasse? Chi ci crede è un fesso (e l’Iva sarà al 25,5%)

    Scritto il 17/11/14 • nella Categoria: segnalazioni • (1)

    Le sorprese arrivano sempre dai codicilli, spiegano gli avvocati. E un governo truffaldino come quello in carica non poteva non ricorrere ai trucchetti democristiani più antichi. Renzi che va in tv a ripetere che «abbiamo ridotto le tasse» e «promuoviamo la crescita» avrebbe dovuto anche spiegare da dove prendeva “le coperture” per le voci della legge di stabilità inviata a Bruxelles e al presidente della Repubblica, addirittura priva dell’indispensabile esame della Ragioneria di Stato. Se dici che vuoi spendere, insomma, i trattati europei ti obbligano a dire dove prendi i soldi che vuoi impegnare. Dalle tasche dei cittadini più poveri, è l’inevitabile risposta. Nelle pieghe del ddl, infatti, ci sono decine di aumenti delle tasse, ma “nascosti”, rinviati, occultati. E si tratta sempre di tasse indirette, le quali – colpendo i consumi o determinate prestazioni – “pesano” di più sui meno abbienti che non sui riccastri. Vediamone alcune, anche se – trattandosi di un testo molto lungo e “tecnico” – la maggior parte verrà fuori un po’ alla volta.
    Il modo per non farsi fucilare dalla Commissione europea è, da qualche anno, l’inserimento della cosiddetta “clausola di salvaguardia”. In pratica il governo “stima” che determinate decisioni produrranno risparmi o maggiori spese, e se le previsioni non saranno rispettate per difetto (verranno cioè a mancare “le coperture” previste) allora entreranno in vigore misure correttive automatiche per rimettere in ordine il bilancio. Tra le misure automatiche previste dall’attuale legge di stabilità c’è l’aumento dell’aliquota Iva agevolata (oggi al 10%) di 2 punti percentuali nel 2016; se non dovesse bastare salirà di un altro punto nel 2017 (al 13%). E’ certamente il caso di ricordare su quali beni o servizi si applica l’Iva ridotta: cinema, alberghi, treni, autobus, carne, pesce, uova, zucchero, acqua, gas, elettricità, ristoranti e bar, per esempio. Identica dinamica anche per l’Iva “normale”, che dal 22% attuale salirebbe al 24% nel 2016, al 25% nel 2017 e addirittura al 25,5% nel 2018. Tombola!
    In pratica, il governo pensa di far cassa e «combattere la deflazione» depressiva, aumentando la tassazione sui consumi. Nemmeno il più scarso degli economisti consiglierebbe una terapia del genere in piena crisi… Calcolate che soltanto le tasse sulla benzina assommano ormai a 72,42 centesimi di accisa per litro, per la benzina verde, e 61,32 centesimi per il gasolio; sul prezzo totale (costo industriale più accisa) viene poi applicata l’Iva. Un aumento dell’Iva di tre punti in due anni comporterebbe dunque – a prezzo del petrolio invariato, ma non ci sperate – un incremento del prezzo finale alla pompa di circa 5-6 centesimi per litro. Che l’automobile sia considerata un bancomat è una vecchia storia. Ma spingersi fino a reintrodurre il bollo normale per auto storiche è una misura dell’ossessione. Non è nostra intenzione difendere i collezionisti, ma semplicemente i poveracci che vanno in giro – poco – con un’auto di oltre 25 anni di vita. Ma da una misura del genere potrebbero venire al massimo 7,5 milioni di euro.
    Gli esperti si sono affrettati a calcolare, come conseguenza diretta, la demolizione di circa 300-325mila veicoli classificati come “d’interesse storico-collezionistico”. La perdita patrimoniale complessiva viene stimata tra i 2,2 ed i 5,7 milioni. Ma potevano i pensionandi passarla liscia? Ma quando mai… Dopo aver obbligato centinaia di migliaia di lavoratori dipendenti ad aderire ai fondi pensione integrativi (e privati), concedendo una tassazione più bassa, ora si passa a tosare la pecora. I “proventi” percepiti dai fondi pensione vengono tasssati ora al 20% (erano all’11,5). Peggio: l’aumento avrà efficacia retroattiva dal 1° gennaio 2014, in barba ai più elementari princìpi giuridici. E tutto questo passa come “riduzione delle tasse”?
    (Claudio Conti, “Meno tasse? Chi ci crede è un fesso”, da “Contropiano” del 23 ottobre 2014).

    Le sorprese arrivano sempre dai codicilli, spiegano gli avvocati. E un governo truffaldino come quello in carica non poteva non ricorrere ai trucchetti democristiani più antichi. Renzi che va in tv a ripetere che «abbiamo ridotto le tasse» e «promuoviamo la crescita» avrebbe dovuto anche spiegare da dove prendeva “le coperture” per le voci della legge di stabilità inviata a Bruxelles e al presidente della Repubblica, addirittura priva dell’indispensabile esame della Ragioneria di Stato. Se dici che vuoi spendere, insomma, i trattati europei ti obbligano a dire dove prendi i soldi che vuoi impegnare. Dalle tasche dei cittadini più poveri, è l’inevitabile risposta. Nelle pieghe del ddl, infatti, ci sono decine di aumenti delle tasse, ma “nascosti”, rinviati, occultati. E si tratta sempre di tasse indirette, le quali – colpendo i consumi o determinate prestazioni – “pesano” di più sui meno abbienti che non sui riccastri. Vediamone alcune, anche se – trattandosi di un testo molto lungo e “tecnico” – la maggior parte verrà fuori un po’ alla volta.

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