Archivio del Tag ‘Robert Mueller’
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Golpe o guerra civile: il regime che vuole cancellare Trump
Da noi imperversano, tipo bombardamento di Dresda, le fake news. Le rivediamo finalizzate a seminare terrore e assembramenti in ospedali e pronti soccorsi, tramite fake contagiati e fake decessi da fake Covid (fake=falso). Decessi autentici, invece, da intubazioni, ventilazioni, ovviamente in assenza coatta di parenti, e cure salvavita negate agli oncologici, diabetici, infartuati e depressi. E tutti, convinti che i governanti governino per noi, i medici medichino per noi e i media ci diano notizie vere, abboccano e si adeguano. Negli Usa, operando gli stessi mandanti ed eseguendo gli stessi sicari, la differenza la fa un presidente il quale, bene o male che gli vogliate, tutta questa pantomima la contrasta e ridicolizza. Ma il senso profondo di tutto questo pochi lo sanno. Basterebbe l’eresia di un presidente anti-Cupola, degna dei Catari contro il Papa, perché i signori del Nuovo Ordine Mondiale digital-pandemico, ricorrendo a personaggetti come Greta Thunberg, o a personaggioni come Bergoglio, o ad altri chicchirichì del pollaio, lo sostituiscano come “male assoluto” addirittura a Russia, Cina, Iran. E, nella congiuntura, alla maledetta idrossoclorochina ammazza-virus e vaccino.
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Il silenzio di Conte, l’avvocato delle spie: cosa ci nasconde?
È accaduto tutto così velocemente che ancora non tutto è chiaro. Il passaggio in 20 giorni da una coalizione orientata a destra, a un’altra di un colore opposto, è stato un tale cambio, e talmente improvviso, da non aver ancora sedimentato tutte le risposte sulle sue radici e ragioni – perché si è sgretolato il potere di Salvini proprio al suo culmine? Cosa ha rotto l’unità del governo? Come mai è sopravvissuto alla crisi della sua coalizione Giuseppe Conte, arrivando a guidarne una seconda di segno opposto? Le risposte sono tante e vanno dalle più fantasiose e oscure (doppi e tripli complotti) alle più politologiche, passando per l’inevitabile visita al sofà degli psicanalisti. Le rivelazioni del “New York Times” e del “Washington Post” sulle visite e gli incontri segreti avuti nel nostro paese dagli alti rappresentanti dell’amministrazione Trump con rappresentanti dell’intelligence italiana aggiungono ora altre domande, molto più inquietanti: come mai il presidente Conte non ha informato nessuno di questi contatti con gli americani e della loro missione in Italia? Avrebbe potuto? Avrebbe dovuto? O la sua è stata una opaca manovra, che ha in qualche modo interferito sul corso stesso della crisi e della sua composizione?Conte dovrà ora rispondere a queste e ad altre domande davanti al Copasir, il Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica, che lo ha convocato. Dopo questa audizione, il premier risponderà poi anche pubblicamente, come lui stesso ha annunciato in queste ore. Ma basta rimettere in fila gli avvenimenti che hanno portato all’avvitarsi di questa crisi per nutrire più di un dubbio, se non un sospetto, sulla segretezza con cui questi contatti fra Palazzo Chigi e gli americani sono stati protetti. Dal calendario, infatti, risulta evidente, come si diceva, che la crisi si avvita in maniera velocissima, in primavera, e che a un certo punto incrocia vari appuntamenti. Prendendo a misura i rapporti di Salvini con la Russia, possiamo risalire al 15-16 luglio del 2018, il viaggio a Mosca per i mondiali di calcio del leader leghista. Il 17-18 ottobre del 2018 va di nuovo in Russia. Son i giorni anche del famoso incontro all’Hotel Metropol di suoi collaboratori con tre russi per un presunto finanziamento di 65 milioni per la Lega. L’incontro del Metropol viene svelato il 24 febbraio del 2019 dal settimanale “L’Espresso”. Il 17 giugno 2019 Salvini vola in Usa per incontrare Trump, ma vede solo il vicepresidente Pence e il segretario di Stato, ex capo della Cia fino al marzo, Mike Pompeo. Il 4 luglio Putin è a Roma in visita ufficiale. Il 10 luglio il sito “Buzzfeed” pubblica l’audio dell’incontro al Metropol fra i leghisti e i russi. Da quel momento assistiamo a una accelerazone.Il 17-18 luglio Salvini va a Helsinki per il vertice dei ministri dell’interno Ue e attacca l’alleanza di governo in Italia: «Con i 5 Stelle non c’è più fiducia, nemmeno personale», e evoca per la prima volta il voto anticipato. Il 31 luglio la riforma Bonafede viene approvata “salvo intese” da un diviso Cdm. Il 6 agosto il decreto sicurezza-bis è legge. Il giorno dopo, il 7 agosto, al Senato M5S e Salvini sostengono due opposte mozioni sulla Tav. L′8 agosto la crisi si formalizza con una nota in cui il leader della Lega annuncia che non c’è più maggioranza. Entrano in scena nuovi attori. È il 15 agosto, e nella Roma infuocata del ferragosto arriva una delegazione da Washington. Altissimo livello: il General Attorney, il ministro di giustizia William Barr. Non sappiamo ancora esattamente cosa cerchino gli uomini di Trump. Sappiamo solo che cercano in Italia le prove che l’inchiesta Mueller sui rapporti di Trump con i russi per orientare le elezioni americane sia stata tutta una invenzione dei democratici Usa. La posizione di Washington in merito non è molto velata: l’idea è che intelligence di alcuni paesi europei, Inghilterra e Italia nello specifico, abbiano aiutato un attacco alla democrazia in America. Di tutto questo sappiamo davvero poco. Ma sappiamo che, di qualunque cosa si tratti, Conte autorizza gli incontri.Ripetiamo: è il 15 agosto. Esattamente 5 giorni dopo, il 20 agosto, Conte va in Senato e pronuncia il famoso discorso con cui scarica Salvini e consuma la rottura della coalizione. Nel discorso l’attacco all’ex alleato, il rapporto con la Russia del leghista, e la vicenda Metropol hanno un grande rilievo. Il 24 agosto Conte si reca al G7 di Biarritz su Iran, dazi, e Russia. Trump, appena giunto alla cena di apertura si ferma a parlare per una decina di minuti con il premier italiano. Un colloquio molto fitto, dicono fonti di Palazzo Chigi, durante il quale il tycoon ha testimoniato molta considerazione e attenzione personale nei confronti del professore, assicurando che «i rapporti personali vanno al di là degli incarichi». Il 27 agosto Trump si fa più esplicito: «Spero che Giuseppi Conte resti premier». Il 5 settembre giura il nuovo governo M5S-Pd, con premier lo stesso Conte. Venerdì 27 settembre, nuova visita della delegazione Usa, stesso scopo. Eccetto che stavolta nella nuova coalizione del governo Conte c’è il Pd. Neanche in questo caso, come il 15 agosto, Conte informa l’alleato. E se si può dire che forse con Salvini la crisi era già consumata a metà agosto, con il Pd si è in piena luna di miele.La prima domanda è dunque: avrebbe dovuto informare i suoi alleati? E, se verificato al Copasir che non l’ha fatto, la sua scelta rivela un elemento di mancata “opportunità” o di opacità bella e buona? Insomma c’è una sorta di colpevole silenzio? L’avvocato Conte ha sempre voluto, e conservato gelosamente, il suo ruolo di capo dei servizi. La legge affida infatti al presidente del Consiglio “l’alta direzione e la responsabilità generale della politica dell’informazione per la sicurezza, nell’interesse e per la difesa della Repubblica e delle sue istituzioni democratiche”. La legge 3 agosto 2007 n. 124 all’articolo 3 prevede che il presidente del Consiglio possa delegare talune sue prerogative (eccetto quelle sue esclusive) a un ministro senza portafoglio o a un sottosegretario di Stato alla presidenza. La legge dice che può, ma non che deve. E il gioco del delegare o meno è sempre entrato a far parte della tessitura di tutti i governi come parte del profilo che intende prendere. Alcuni premier così hanno delegato; gli ultimi due, Gentiloni e Conte, non hanno delegato. Conte si è tenuto la delega nella formazione del governo di coalizione dei giallorossi, soprattutto come bilanciamento a Salvini agli interni. Conte tuttavia non ha delegato nemmeno dopo, quando è rimasto capo del governo con la coalizione con il Pd.Tenendosi questa delega il premier attuale è di fatto il capo di ogni responsabilità attinente l’intelligence. Nulla può muoversi senza la sua decisione. Ma è obbligato a informare i suoi colleghi? O può/deve mantenere il silenzio assoluto? Gli esperti sostengono che eccetto per il segreto di Stato, che riguarda però gravi emergenze, potenziali danni gravi che potrebbero derivare per il paese, vale per il resto una “opportunità” politica che spinge a informare l’apposito comitato ristretto del Consiglio dei ministri. In questo caso la “opportunità politica” non era forse tale da spingere/obbligare Conte a informare? La domanda si fa tanto più urgente se, come è il caso, si tratta non di uno ma di ben due esecutivi, di natura fra loro completamente diversa, con cui si è scelto il silenzio. Per semplificare: se è possibile che Conte abbia scelto di non informare Salvini sulla visita di Barr il 18 agosto perché ormai in piena rottura, perché non ha informato (o lo ha fatto ?) della visita il 27 settembre in piena luna di miele con il Pd? È, come si diceva, un intreccio di scelte e date che lascia inquieti: il rapporto fra Conte e l’amministrazione americana avviene infatti con tempi tali da sollevare almeno il dubbio che ci sia una forte relazione fra la crisi italiana, la conferma del premier e il consenso americano. Si intravvede uno scambio, e forse questo scambio c’è o forse no, ma Conte ci deve sicuramente una spiegazione. Il silenzio con cui ha custodito questi contatti è forse, infatti, l’elemento più inquietante di questa vicenda.(Lucia Annunziata, “L’avvocato delle spie”, articolo pubblicato dall’“Huffington Post” e ripreso da “Dagospia” il 4 ottobre 2019).È accaduto tutto così velocemente che ancora non tutto è chiaro. Il passaggio in 20 giorni da una coalizione orientata a destra, a un’altra di un colore opposto, è stato un tale cambio, e talmente improvviso, da non aver ancora sedimentato tutte le risposte sulle sue radici e ragioni – perché si è sgretolato il potere di Salvini proprio al suo culmine? Cosa ha rotto l’unità del governo? Come mai è sopravvissuto alla crisi della sua coalizione Giuseppe Conte, arrivando a guidarne una seconda di segno opposto? Le risposte sono tante e vanno dalle più fantasiose e oscure (doppi e tripli complotti) alle più politologiche, passando per l’inevitabile visita al sofà degli psicanalisti. Le rivelazioni del “New York Times” e del “Washington Post” sulle visite e gli incontri segreti avuti nel nostro paese dagli alti rappresentanti dell’amministrazione Trump con rappresentanti dell’intelligence italiana aggiungono ora altre domande, molto più inquietanti: come mai il presidente Conte non ha informato nessuno di questi contatti con gli americani e della loro missione in Italia? Avrebbe potuto? Avrebbe dovuto? O la sua è stata una opaca manovra, che ha in qualche modo interferito sul corso stesso della crisi e della sua composizione?
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I pompieri di New York: le Torri Gemelle erano state minate
Il 24 luglio scorso, 18 anni dopo la tragedia dell’11 Settembre a New York, nel silenzio totale dei grandi media americani (e italiani), cinque uomini non “qualunque” si sono riuniti nel distretto di Piazza Franklin e Munson, a un passo dal Queens di New York, per approvare, all’unanimità, una risoluzione. Il cui testo proclama l’«incontrovertibile evidenza» del dato che «esplosivi preventivamente collocati» all’interno delle «tre torri» del World Trade Center, «ne hanno provocato la distruzione». Chiunque abbia seguito un poco le polemiche che da 18 anni ruotano attorno alla spiegazione dell’11 settembre 2001, si renderà conto immediatamente che una tale dichiarazione cancella in un colpo solo l’intero impianto della inchiesta ufficiale, contenuta nel famigerato “9/11 Commission Report”. Dunque è importante sapere chi sono questi cinque uomini. Sono i membri della Commissione dei vigili del fuoco del distretto di piazza Franklin e Munson: un distaccamento di “volontari” (come lo sono i pompieri americani) che subì gravi perdite mentre portava aiuto nei primi momenti del dramma. I pompieri della contea di Nassau che morirono nelle torri furono 24, ai quali si aggiunsero quattro residenti nel quartiere.La Commissione dei cinque (composta da uomini che 18 anni fa parteciparono a quelle operazioni e ne uscirono vivi) ha l’incarico di tenere viva la memoria di quell’evento. I loro nomi vanno ricordati: Philip F Melloy, Dennis G. Lyons, Joseph M. Torregrossa, Christopher L. Gioia, Les Saltzman. Non perché siano famosi. Né probabilmente lo diventeranno. Ma sono importanti perché videro con i loro occhi, sentirono con le loro orecchie. Sono i primi esperti, sanno di che si tratta, portano i segni nei loro corpi. Tuttavia non furono ascoltati, nemmeno interrogati dalla Commissione. E se lo furono, le loro testimonianze vennero taciute o ignorate. Ci sono voluti 18 anni perché potessero trovare la forza e il coraggio di rendere pubblico, solennemente, quello che sanno. Ovviamente i grandi media americani e occidentali non diranno una parola di tutto ciò, ma questo non basterà per fermare la notizia. Non lo impedisce a noi in questo momento.Questi cinque testimoni, pompieri di New York, cittadini americani, si sono mossi dopo che il Comitato degli Avvocati per una nuova inchiesta sull’11 settembre è riuscito a far arrivare una precisa richiesta sul tavolo del procuratore del distretto Sud di New York, Geoffrey S. Berman. La richiesta era esattamente quella di riconoscere l’evidenza che il World Trade Center era stato preventivamente riempito di esplosivi, prima dell’arrivo degli aerei che colpirono due delle tre torri. Il fatto nuovo fu che l’ufficio del procuratore rispose (nel novembre scorso) riconoscendo che la petizione aveva il diritto di essere portata sul tavolo di un Gran Jury, cioè di fronte a un tribunale dello Stato. Il tempo passa, gli ostacoli ci sono e cresceranno, i ritardi si accumuleranno. Ma adesso ci sono testimoni e esperti che dichiarano pubblicamente di voler sostenere «ogni sforzo di altre istituzioni governative che vorranno investigare e scoprire la verità – che continua a essere ostacolata – sugli eventi di quell’orribile giorno».Così dice la risoluzione dei pompieri di New York, contea di Nassau. Il commissario Gioia ha detto: «Noi siamo il primo distretto che approva questa risoluzione. Non saremo gli unici». Ma allora risorge potente un interrogativo: chi piazzò quelle cariche esplosive nelle tre torri? Chi poteva condurre in porto una tale operazione? Non certo i 19 terroristi “islamici” che sarebbero stati (e non c’erano) a bordo degli aerei. Ci volevano squadre di specialisti ben protetti, per farlo. Tutte cose di cui la commissione ufficiale neppure si è occupata, negando poi l’esistenza “inoppugnabile” delle esplosioni dal basso, che precedettero e accompagnarono i crolli. Dunque la commmissione ufficiale ha mentito. Ricordiamo che a capo dell’Fbi in quel momento c’era (pura coincidenza?) colui che è al centro dell’inchiesta sul Russiagate, Robert Mueller.(Giulietto Chiesa, “11 Settembre, le torri del Wtc erano minate? Una commissione di vigili del fuoco lo sostiene e per me è giusto ascoltarli”, dal “Fatto Quotidiano” del 18 agosto 2019. Fonte: “Global Research”, “Call for New 9/11 Investigation: New York Area Fire Commissioners Make History”).Il 24 luglio scorso, 18 anni dopo la tragedia dell’11 Settembre a New York, nel silenzio totale dei grandi media americani (e italiani), cinque uomini non “qualunque” si sono riuniti nel distretto di Piazza Franklin e Munson, a un passo dal Queens di New York, per approvare, all’unanimità, una risoluzione. Il cui testo proclama l’«incontrovertibile evidenza» del dato che «esplosivi preventivamente collocati» all’interno delle «tre torri» del World Trade Center, «ne hanno provocato la distruzione». Chiunque abbia seguito un poco le polemiche che da 18 anni ruotano attorno alla spiegazione dell’11 settembre 2001, si renderà conto immediatamente che una tale dichiarazione cancella in un colpo solo l’intero impianto della inchiesta ufficiale, contenuta nel famigerato “9/11 Commission Report”. Dunque è importante sapere chi sono questi cinque uomini. Sono i membri della Commissione dei vigili del fuoco del distretto di piazza Franklin e Munson: un distaccamento di “volontari” (come lo sono i pompieri americani) che subì gravi perdite mentre portava aiuto nei primi momenti del dramma. I pompieri della contea di Nassau che morirono nelle torri furono 24, ai quali si aggiunsero quattro residenti nel quartiere.
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Italian Russiagate: le bufale di BuzzFeed, che odia Salvini
«L’attacco mondialista a Salvini dimostra proprio questo intento, riprendere il flusso dell’immigrazione fuori controllo e continuare a produrre dumping salariale». Tanto, «il presunto argine ‘antisistema’ rappresentato dai 5 Stelle appare sempre più inadeguato, incoerente e ambiguo», visto che lo stesso Di Maio – nel tentativo disperato di tamponare l’emorragia di voti verso la Lega – partecipa volentieri all’ultimo gioco al massacro contro Salvini, invitandolo a rispondere dei presunti finanziamenti russi davanti al Parlamento: «Quando il Parlamento chiama, il politico risponde, perché il Parlamento è sovrano e lo dice la nostra Costituzione». Sovranità limitata, in realtà: è Bruxelles, non Roma, a stabilire cosa può fare l’Italia, la cui Costituzione è stata deturpata dall’inserimento suicida del pareggio di bilancio. Se n’è dimenticato, Di Maio? È evidente, scrive Rosanna Spadini su “Come Don Chisciotte”, che il capo politico del Movimento 5 Stelle cita “BuzzFeed” come fonte d’informazione altamente attendibile, «celando di proposito le rivelazioni pregresse sulla macchina di propaganda web del MoV, e sul fatto che Alberto Nardelli interpreterebbe un trend politico decisamente di sinistra, avverso al governo gialloverde».
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Trump rischia: fu l’unico a denunciare il falso 11 Settembre
Sapevate che Donald Trump fu l’unico cittadino americano, insieme all’immobiliarista Jimmy Walter, a denunciare immediatamente come falsa la versione ufficiale sull’11 Settembre fornita da Bush? Walter fu costretto all’esilio, mentre Trump è oggi alla Casa Bianca: proprio a lui si rivolge il giornalista francese Thierry Meyssan, acuto analista geopolitico, in un appello nel quale si chiede al presidente Usa di fare il punto, finalmente, sui veri responsabili del devastante attacco terroristico al cuore di Manhattan, e sulle micidiali conseguenze che l’attentato ha avuto, in tutto il mondo. Da allora, ricorda Meyssan, il potere dei neocon ha sistematicamente colpito tutti i paesi non ancora globalizzati, a partire dall’Afghanistan e dall’Iraq, con il pretesto di Al-Qaeda e poi dell’Isis, fino alle laceranti devastazioni inflitte alla Libia e alla Siria. Da Meyssan anche un preciso avvertimento, a Trump: l’uomo che lavora al suo impeachment, Robert Mueller, oggi nei panni di procuratore generale, nel 2001 era il capo dell’Fbi, e in quella veste contribuì a mentire sull’11 Settembre, partecipando al grande insabbiamento sui veri mandanti della strage. Ecco il testo della lettera aperta che Meyssan indirizza all’attuale presidente degli Stati Uniti:Signor presidente, i crimini dell’11 settembre 2001 non sono mai stati giudicati nel suo paese. Le scrivo da cittadino francese, il primo a denunciare le incongruenze della versione ufficiale e ad aprire il mondo al dibattito e alla ricerca dei veri esecutori. In un tribunale penale, in quanto giuria, dobbiamo determinare se il sospetto portatoci sia colpevole o meno, e, alla fine, decidere quale punizione dovrebbe ricevere. Quando abbiamo assistito agli eventi dell’11 Settembre, l’amministrazione Bush Junior ci ha detto che il colpevole era Al-Qaïda, e la punizione che avrebbe dovuto ricevere era il rovesciamento di coloro che l’avevano aiutata: prima i Talebani afghani, poi il regime iracheno di Saddam Hussein. C’è tuttavia una serie di prove che attesta l’impossibilità di questa tesi. Se fossimo membri di una giuria, dovremmo oggettivamente dichiarare che i Talebani e il regime di Saddam non sono colpevoli di questo crimine. Questo da solo, naturalmente, non ci consentirebbe di indicare i veri colpevoli. Non potremmo però concepire di condannare parti innocenti sol perché non abbiamo saputo come trovare i colpevoli.Quando il segretario di Stato per la giustizia e il direttore dell’Fbi, Robert Mueller, rivelarono i nomi dei 19 presunti dirottatori, capimmo tutti che stavano mentendo. Avevamo già di fronte a noi, infatti, le liste divulgate dalle compagnie aeree di tutti i passeggeri imbarcati – liste su cui nessuno dei sospettati era presente. Da lì, siamo diventati sospettosi della “Continuità del Governo”, l’istanza incaricata di subentrare alle autorità elette dovessero queste venire uccise durante uno scontro nucleare. Abbiamo avanzato l’ipotesi che questi attacchi mascherassero un colpo di Stato, in conformità col metodo Luttwak: mantenere l’apparenza dell’esecutivo, ma imponendo una politica diversa. Nei giorni successivi all’11 Settembre, l’amministrazione Bush prese diverse decisioni: la creazione dell’Ufficio di Sicurezza Nazionale e il voto per un voluminoso codice antiterrorismo elaborato molto tempo prima, il Patriot Act. Per questioni che l’amministrazione stessa definisce “terroristiche”, questo testo sospende la Carta dei Diritti, che era il vanto del vostro paese. Sbilancia le vostre istituzioni. Due secoli più tardi, sancisce il trionfo dei grandi proprietari terrieri, che scrissero la Costituzione, e la sconfitta degli eroi della Guerra d’Indipendenza, che chiedevano che venisse aggiunta la Carta dei Diritti.Il segretario alla difesa, Donald Rumsfeld, creò l’Office of Force Transformation, sotto il comando dell’ammiraglio Arthur Cebrowski. Quest’ultimo presentò immediatamente un programma, anch’esso pronto da tempo, che prevedeva il controllo dell’accesso alle risorse naturali dei paesi del sud geopolitico. Chiedeva la distruzione dello Stato e delle strutture sociali nella metà del mondo che non era ancora globalizzata. Il direttore della Cia lanciò contemporaneamente la “Worldwide Attack Matrix”, un pacchetto di operazioni segrete in 85 paesi, dei quali Rumsfeld e Cebrowski intendevano distruggere le strutture statali. Considerando che solo i paesi le cui economie erano globalizzate sarebbero rimasti stabili e che gli altri sarebbero stati distrutti, gli uomini dell’11 Settembre hanno dispiegato le forze armate statunitensi al servizio degli interessi finanziari transnazionali. Hanno tradito il suo paese e l’hanno trasformato nell’ala armata di questi predatori. Negli ultimi 17 anni, abbiamo assistito alle bugie che vengono date ai suoi compatrioti dai successori di coloro che redassero la Costituzione e che al tempo si opposero – senza successo – alla Carta dei Diritti. Questi ricchi sono diventati super-ricchi, mentre la classe media è stata ridotta di un quinto e la povertà è aumentata. Abbiamo anche assistito all’attuazione della strategia Rumsfeld-Cebrowski: quasi tutto il Grande Medio Oriente è stato devastato da “guerre civili”. Intere città sono state cancellate dalla mappa, dall’Afghanistan alla Libia, tramite Arabia Saudita e Turchia, che non erano esse stesse in guerra.Nel 2001, solo due cittadini statunitensi hanno denunciato l’incoerenza della versione di Bush, due promotori immobiliari – il democratico Jimmy Walter, poi costretto all’esilio, e lei stesso, poi entrato in politica ed eletto presidente. Nel 2011, abbiamo visto il comandante di AfriCom sollevato dalla propria posizione e sostituito dalla Nato, per essersi rifiutato di sostenere Al-Qaïda nella liquidazione della Libia. Abbiamo poi visto il LandCom della Nato organizzare il sostegno occidentale ai jihadisti in generale, e ad al-Qaïda in particolare, nel loro tentativo di rovesciare la Siria. I jihadisti, considerati “combattenti della libertà” contro i sovietici, poi come “terroristi” dopo l’11 Settembre, ancora una volta sono quindi diventati alleati del Deep State (cosa che, in realtà, sono sempre stati). Con immensa speranza, abbiamo quindi osservato le sue azioni per sopprimere, uno ad uno, tutti i loro sostenitori. È con la stessa speranza che vediamo oggi che sta parlando con la sua controparte russa per riportare vita nel devastato Medio Oriente. È però anche con analoga ansia che vediamo Robert Mueller, ora procuratore speciale, inseguire la distruzione della sua patria attaccando la sua posizione. Signor presidente, non solo lei ed i suoi connazionali soffrite della diarchia che è salita al potere dal colpo di Stato dell’11/9, ma il mondo intero ne è vittima. Signor presidente, l’11 Settembre non è storia antica. È il trionfo di quegli interessi transnazionali che stanno schiacciando non solo il suo popolo, ma tutta l’umanità che aspira alla libertà.(Thierry Meyssan, “Lettera a aperta a Trump sulle conseguenze dell’11 Settembre”, pubblicata da “Voltaire Net” il 30 agosto 2018 e quindi tradotta da Hmg per “Come Come Chisciotte”).Sapevate che Donald Trump fu l’unico cittadino americano, insieme all’immobiliarista Jimmy Walter, a denunciare immediatamente come falsa la versione ufficiale sull’11 Settembre fornita da Bush? Walter fu costretto all’esilio, mentre Trump è oggi alla Casa Bianca: proprio a lui si rivolge il giornalista francese Thierry Meyssan, acuto analista geopolitico, in un appello nel quale si chiede al presidente Usa di fare il punto, finalmente, sui veri responsabili del devastante attacco terroristico al cuore di Manhattan, e sulle micidiali conseguenze che l’attentato ha avuto, in tutto il mondo. Da allora, ricorda Meyssan, il potere dei neocon ha sistematicamente colpito tutti i paesi non ancora globalizzati, a partire dall’Afghanistan e dall’Iraq, con il pretesto di Al-Qaeda e poi dell’Isis, fino alle laceranti devastazioni inflitte alla Libia e alla Siria. Da Meyssan anche un preciso avvertimento, a Trump: l’uomo che lavora al suo impeachment, Robert Mueller, oggi nei panni di procuratore generale, nel 2001 era il capo dell’Fbi, e in quella veste contribuì a mentire sull’11 Settembre, partecipando al grande insabbiamento sui veri mandanti della strage. Ecco il testo della lettera aperta che Meyssan indirizza all’attuale presidente degli Stati Uniti:
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Barnard: cucù, l’Occidente sta investendo miliardi su Putin
Sono le 05:59 del mattino del 12 marzo a Londra. Parte un ordine di acquistare in massa titoli di Stato di un paese straniero da parte di Xxxx Global Assets Associates, tizi con 807 miliardi nel portafoglio clienti. Sono le 23:59 a New York, parte un ordine da Xxxxx Investment Management, gente con 1.230 miliardi nel portafoglio clienti, di acquistare in massa gli stessi titoli di cui sopra. E alla stessa ora, su differenti time-zones, partono identici ordini da simili colossi della finanza speculativa, sempre per comprare quei titoli. Il tutto si assomma in un totale di 6.8 miliardi di dollari in ordini per titoli di Stato di un paese straniero particolarmente appetibile. Quando quelli che devono sapere la verità in geopolitica su un dato governo scuciono somme da Tesoro di Atlantide per comprare dei titoli di quel particolare governo, significa che loro sanno che il governo che vende quei titoli di Stato è al sicuro da veri pericoli letali. Questo, e solo questo, è il motivo per cui vi buttano miliardi. Magari quel governo potrà essere colpito da rogne cosmetiche, tipo gli allarmi delle agenzie di rating, o tipo i bollettini dell’Ocse (vedi Italia anni 2012-16), o dalle pietose ‘sanzioni’ di un continente morto che cammina (Ue). Ma loro, i veri padroni, sanno che nessuno farà davvero fuori quel governo che oggi hanno scelto per investire. Please welcome: Russia & Vladimir Putin.Mentre tutti gli ‘esperti’ e gli ‘autorevoli commentatori’ vi stanno dicendo che adesso Putin – il quale non solo avrebbe truccato le elezioni Usa, ma avrebbe anche tentato di uccidere l’ex spia russa Sergei Skripal a Londra – è nella merda fin sopra i capelli e gli asfalteranno la sua Russia indietro nella preistoria a forza di sanzioni e di minacce di guerre… be’, mentre questo accade e gli allarmismi vi riempiono i notiziari, chi comanda il mondo invece… investe in Putin. Ops? Credo che sia necessario riscriverlo: chi comanda il mondo invece… investe in Putin. Allora, ’sta pagliacciata Occidente-Nato vs Russia-Putin, ormai è ovvia. Partiamo dalla base: Theresa May sa benissimo che Putin non ha un accidenti a che fare con Sergei Skripal. Così come lo Special Us Counsel Robert Mueller sa benissimo che Putin non ha mai davvero truccato le elezioni in America. Il caso Skripal esiste solo a causa dei miserabili affari domestici di un partito conservatore inglese che è alla disperazione terminale per la sua ignobile incapacità di tenere testa a Bruxelles nel Brexit. Il caso Mueller-Putin esiste solo a causa dei miserabili contorcimenti del partito democratico americano che sa perfettamente che ha perso ancora più consensi da quando Trump è stato eletto, e che ha messo truppe in Siria da cui non sa più uscire, per cui gli serve una “distrazione di massa” chiamata Special Us Counsel Robert Mueller.Come detto, chi possiede il Tesoro di Atlantide, in questo momento è rilassato sulla performance dei titoli di Stato russi a 11 anni e a 29 anni di scadenza. Rileggete: 11 anni e 29 anni, sono date da super-tranquilli, almeno oggi. Significa che già oggi 17 marzo 2018, i super investitori come Xxxx GlobalAssets Associates, o Xxxxx Investment Management e altri giganti globali, sanno direttamente dalle stanze del potere politico che conta, che alla fine Putin è intoccabile. Vladimir Putin è un intoccabile. Cos’è il giornalismo? E’ forse una dispensa di verità finali per un pubblico? No, quello è quel cornetto Algida di Travaglio. Il giornalismo è l’incessabile inchiesta di menti libere di fronte a fenomeni apparentemente inspiegabili, ma che ci suggeriscono dati. Il giornalista non è il cretino che, come su “Comedonchisciotte.org” o il “Fq”, dopo un paio di annetti vi dice con cerrrrrtezza chi manovra la Siria, cosa esattttttamente succede in Ucraina o se davvvvvvvero Berlusconi incontrò in Venezuela le cosche.Il vero giornalismo osserva fenomeni immensi, e, se è vero giornalismo, serve alle persone come voi che leggete a essere intelligenti, che è sempre sinonimo di farsi la domanda successiva a quella iniziale che sta in bocca a tutti. Quindi… Perché Vladimir Putin fa con diligenza il gioco buffonesco di tutta la Nato, della stampa internazionale, e poi della May, di Macron, della Merkel, di Mueller e del panico democratico-siriano, opponendo solo proteste di facciata tipo camomilla, mentre gli investitori padroni del mondo corrono a comprargli i titoli? Io sono un intellettuale orribile, perché vero. Vi lascio con questo: no risposte da Barnard. Vi ho dato un quadro, ora voi dovete pensare… cioè think.(Paolo Barnard, “Putin, perché fa il gioco della Nato?”, dal blog di Barnard del 17 marzo 2018).Sono le 05:59 del mattino del 12 marzo a Londra. Parte un ordine di acquistare in massa titoli di Stato di un paese straniero da parte di Xxxx Global Assets Associates, tizi con 807 miliardi nel portafoglio clienti. Sono le 23:59 a New York, parte un ordine da Xxxxx Investment Management, gente con 1.230 miliardi nel portafoglio clienti, di acquistare in massa gli stessi titoli di cui sopra. E alla stessa ora, su differenti time-zones, partono identici ordini da simili colossi della finanza speculativa, sempre per comprare quei titoli. Il tutto si assomma in un totale di 6.8 miliardi di dollari in ordini per titoli di Stato di un paese straniero particolarmente appetibile. Quando quelli che devono sapere la verità in geopolitica su un dato governo scuciono somme da Tesoro di Atlantide per comprare dei titoli di quel particolare governo, significa che loro sanno che il governo che vende quei titoli di Stato è al sicuro da veri pericoli letali. Questo, e solo questo, è il motivo per cui vi buttano miliardi. Magari quel governo potrà essere colpito da rogne cosmetiche, tipo gli allarmi delle agenzie di rating, o tipo i bollettini dell’Ocse (vedi Italia anni 2012-16), o dalle pietose ‘sanzioni’ di un continente morto che cammina (Ue). Ma loro, i veri padroni, sanno che nessuno farà davvero fuori quel governo che oggi hanno scelto per investire. Please welcome: Russia & Vladimir Putin.
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Clinton, pedofili al potere: e Trump mobilita il Pentagono
Pedofili al potere, ai massimi vertici. Traffico di bambini, orge con minorenni. Nomi coinvolti? I maggiori, a cominciare dai Clinton. Da chi viene la denuncia? Da Donald Trump, che sta cercando di salvarsi – dall’impeachment e forse dall’omicidio, visto che «Kennedy fu ucciso per molto meno». Ma attenzione: mentre il Deep State trema, i grandi media tacciono: congiura del silenzio. Siamo in pericolo, scrive Paolo Barnard: Trump si fa difendere direttamente dal Pentagono, evocando lo stato di guerra, mentre i suoi nemici (accusati di pedofilia, prove alla mano) hanno il potere di silenziare giornali e televisioni. In altre parole: sta accadendo qualcosa di mai visto, a Washington. Una lotta mortale, tra un presidente sotto assedio e i suoi avversari “mostruosi”. Trump agisce solo per opportunismo, per salvarsi minacciando di spiattellare quello che sa, e che gli hanno rivelato ex funzionari della Cia come Kevin Shipp? Per contro, chi vuole farlo fuori adesso è nel panico da quando il presidente ha contrattaccato «con due numeri»: 13818, cioè l’ordine presidenziale esecutivo, e 82 FR 60839, cioè «il protocollo del medesimo presso l’Us Government Publishing Office». Una mossa “nucleare”, «ma talmente tanto che quegli apparati di potere, Shadow Government e Deep State, faticano a riprendersi». Una storia «agghiacciante», che Barnard ricostruisce nei dettagli.«Che i media siano controllati e che si auto-censurino per salvarsi il sedere, lo sa anche un cacciavite», premette. «Ma che due notizie bomba sul presidente della nazione più potente del mondo, e accessibili a tutti, scomparire nel nulla sui maggiori media occidentali, per un ordine di scuderia, questo non lo credevo». Attenti: nei Pentagon Papers, nel Watergate, nell’Iran-Contras, nell’Iraq-gate, i fatti erano occulti. Qui invece «sono pubblici e accessibili da una pensionata, riguardano l’uomo più potente del pianeta, eppure sono stati ‘suicidati’ e sepolti da tutti i grandi media con un accordo e con una sincronia scioccanti». In pratica, «i media non esistono più». Trump è sotto attacco da parte di due “Stati ombra” ben noti: il raggruppamento dei servizi segreti (Cia, Nsa, Nga, Fbi) che va sotto il nome di Shadow Government, e le maggiori corporations coi loro lobbysti che foraggiano il Congresso: Big Oil, Big Pharma, Big Banks, Big Media, Arms Industry e Silicon Valley, che passano sotto il nome di Deep State. Nota per gli scettici: chiunque neghi l’esistenza e i poteri di questi apparati, liquidandoli con la parola “complottismo”, «non ha mai letto una pagina del “New York Times”, del “Washington Post” o sentito di P2 e stragismo in Italia, quindi è un cretino».Donald Trump? Un presidente «incontrollabile, e forse anche mentalmente instabile», ma proprio per questo «ha devastato la sacra tradizione di almeno 70 anni di presidenze americane, dove le politiche reali furono sempre influenzate o truccate da Shadow Government e Deep State, fino alla presidenza Obama inclusa». Conclusione: «Trump va quindi abbattuto. Ma quest’uomo è molto meno fesso di ciò che appare», scrive Barnard. O meglio: «Si è circondato di alcuni dei più brillanti ‘Rasputin’ di tutta la storia moderna». Messo sotto assedio, ha quindi contrattaccato con quei due numeri, 13818 – 82 FR 60839. Premessa: «Donald Trump è sotto una ‘Dresda’ di bombe per abbatterlo», fra cui il presunto accordo-scandalo con Putin per truccare le elezioni 2016, che coinvolge anche la sua famiglia (e la relativa inchiesta è nelle mani dell’implacabile ex direttore dell’Fbi Robert Mueller). Sconta «accuse di grave instabilità mentale da impeachment», apparentemente documentate dall’esplosivo bestseller “Fire and Fury” di Michael Wolff: «Una presunta serie di abusi sessuali ai danni di donne lungo la sua carriera sia da businessman che come politico». Poi c’è una sfilza di accuse a membri del suo governo (Steve Mnuchin, Ryan Zinke, Tom Price) per uso personale di denaro pubblico. «Tutti questi scandali s’appoggiano pesantemente sui poteri e/o sulle spiate dello Shadow Government».Ce n’è a sufficienza per demolire chiunque, osserva Barnard. E Trump, senza quel micidiale documento (che ha firmato il 20 dicembre 2017) sembrava un gigante dai piedi d’argilla. «Non controlla l’Fbi, prima diretta dal suo arci-nemico Comey e oggi da Christopher Wray che a sua volta non controlla l’Fbi». In più Trump «non controlla la Cia, diretta da Mike Pompeo, che a sua volta non controlla la Cia». Di più: «Non controlla la Nsa diretta dall’ammiraglio Michael Rogers, che a sua volta non controlla la Nsa». Donald Trump «non ha nessuna influenza sulla Nga, che gioca un ruolo centrale in tutte le inchieste di massima sicurezza in America». Questo, per quanto riguarda lo Shadow Government. «Poi è troppo ricco per poter essere comprato dal Deep State, che – specialmente con Wall Street e la dirigenza ebraica americana – è lo sponsor principale dei democratici, e di tutti i repubblicani ostili al presidente». Poi, continua Barnard, quattro giorni prima di Natale cade la bomba 13818 – 82 FR 60839. «E, usando un’impareggiabile espressione americana, “the shit hit the fan” (la merda finì nelle pale del ventilatore)». Attenzione: l’ordine esecutivo «è uno degli atti legislativi americani più dirompenti da sessant’anni». Cosa dice? Colpisce con le massime armi – militari, giuridiche e finanziarie – chiunque si renda colpevole di violazioni dei diritti umani e di corruzione, negli Usa e nel mondo».L’ordine esecutivo presidenziale «colpisce anche i governi esteri coinvolti, i loro funzionari, e qualsiasi complice in qualsiasi forma». Di più: «Va a colpire queste infami catene là dove gli fa più male, cioè nei soldi, con il blocco e la confisca dei loro denari, proprietà, titoli, azioni, anche nelle loro forme più maliziosamente nascoste o lontanamente imparentate». Certo, «sappiamo che Trump non è Mandela», e infatti quel decreto è stato scritto «per mitragliare a morte un settore ben preciso delle violazioni dei diritti umani». Nel mirino c’è una piaga indicibile: «Il mercato dei minori per pedofilia, nel bacino più ampio dei trafficanti di persone». Infatti, spiega Barnard, il presidente aveva anticipato questa legge il 23 febbraio 2017 in conferenza stampa, rilanciata dalla “Associated Press”, «dove parlò proprio di traffici umani per pedofilia». Ma perché? «Perché Trump sa bene che questo abominio, l’abuso di minori venduti, sembra aver infettato la maggioranza dei vertici del Deep State, col silenzio dello Shadow Government, e con un presunto forte coinvolgimento di una notissima beneficienza: la Clinton Foundation». Come fa Trump a saperlo? «Da anni ne parla in pubblico un ex pezzo grosso della Cia, più altre fonti autorevoli». Sicché, il suo “executive order” «colpirà proprio i suoi nemici».In questo preciso momento, giura Barnard, «negli Stati Uniti alcuni altissimi nomi stanno tremando, e precisamente dalla mattina del 21 dicembre scorso, quando l’“executive order” 13818 – 82 FR 60839 è stato pubblicato ‘in Gazzetta’ a Washington». Un conrattacco mortale: «Jfk fu ucciso per meno, a quanto sappiamo fino ad oggi. Infatti i ‘Rasputin’ di Trump sapevano che la vita del presidente sarebbe stata immediatamente in pericolo dopo quell’ordine esecutivo». Proprio per questo, infatti, «hanno fatto la pensata di tutte le pensate». Cioè: il ricorso d’emergenza al Pentagono. Nelle prime righe dell’“executive order”, il presidente scrive: «Io perciò decido che i gravi abusi dei diritti umani, e la corruzione, nel mondo costituiscono un’insolita e straordinaria minaccia alla sicurezza nazionale». Notare: le parole “minaccia” e “sicurezza nazionale”, pronunciate dal presidente degli Stati Uniti, «implicano l’immediata mobilitazione di tutto l’esercito americano, cioè del Pentagono. E’ di fatto un preallarme di guerra, e di conseguenza le protezioni intorno al presidente divengono massime. E quando si muove il Pentagono non esiste nulla al mondo, se non un arsenale nucleare straniero, che possa batterlo. Questo è ultra-chiaro a tutti gli apparati di Deep State e Shadow Government, che ora sono in “deep shit”, nella merda fino al collo, per essere chiari».Non è stato un caso che Trump abbia messo nei posti chiave a Washington tre generali, e un ammiraglio a capo dei più potenti 007 degli Usa, sottolinea Barnard. «Abbiamo il generale James “Mad Dog” Mattis come ministro della difesa, il generale John Kelly come White House Chief of Staff e il generale H. R. McMaster come Consigliere per la Sicurezza Nazionale. Poi, anche se boicottato dai suoi sottoposti, c’è l’ammiraglio Michael Rogers a capo dalla Nsa. Insomma, il Pentagono. Trump sarà anche scemo, ma cosa sia lo Shadow Government lo sapeva benissimo, e si è protetto». Protezioni salva-vita, ora che Trump – per sfuggire all’assedio di cui è vittima – incalza i suoi nemici, capeggiati da Hillary Clinton, con quell’ordine esecutivo concepito «per metterli in un angolo con indagini profonde sul traffico internazionale di minori per pedofilia, in cui sarebbero coinvolti molti vertici Usa del Deep State, inclusi i Clinton, col silenzio dello Shadow Government». “The Donald” lo sta facendo «coprendosi le spalle con l’intero esercito degli Stati Uniti». Del resto, l’argomento toccato è off limits: pedofilia e potere, “non aprite quella porta”. Nessuno aveva mai osato tanto: l’abuso di bambini, nelle alte sfere, è un tabù inaccessibile. Chi tocca, muore.«Esisterebbe dunque un traffico di minori per pedofili di altissimo livello ai vertici del Deep State, inclusi i Clinton», scrive Barnard. «Trump apprende questo da molte fonti, la prima delle quali è l’ex agente e dirigente pluridecorato della Cia Kevin M. Shipp. Costui, senza la fama attribuita al suo collega ‘whistleblower’ Edward Snowden, sta rivelando da anni il livello di marciume criminale che davvero permea lo Shadow Government in America». Shipp è stato esperto di anti-terrorismo, guardia del corpo di due direttori della Cia. Era ai vertici della Counterintelligence, ed è stato citato dal “New York Times” come «veterano della Central Intelligence Agency». In altre parole: «Non è proprio un signor nessuno nello Shadow Government americano». Barnard ricorda che da anni il “Washington Times”, il “New York Post” e l’inglese “Guardian” «riportavano notizie certe sui cosiddetti “Voli Lolita” – cioè voli su un jet privato per orge con minori – organizzati dal miliardario pedofilo Jeffrey Epstein». Per dire: «Bill Clinton, secondo gli atti del processo che condannò Epstein, fu ospite 26 volte su quei voli». Altri nomi di alto rango trovati nell’agenda “nera” del miliardario «furono Tony Blair, Michael Bloomberg, Richard Branson fra molti altri, e i cellulari delle minori schiave del sesso fra cui “Jane Doe N.3”», una ragazzina che negli atti processuali ha dichiarato di «essere stata costretta a rapporti sessuali con diversi politici americani, top businessmen, un premier famosissimo e altri leader internazionali».Nel 2006, continua Barnard, «Epstein fece una grassa donazione alla Clinton Foundation». Nella capitale Usa, la Ong di Conchita Sarnoff, “Alliance to Rescue Victims of Trafficking”, ha decine di files su “potere e pedofilia”. Un incubo? Certo. «Ora, provate a trovare traccia sui grandi media italiani o americani dell’esplosivo affare». Niente: silenzio assoluto sui nomi coinvolti, «come Bill e Hillary Clinton, Robert Mueller, Kevin M. Shipp». Sui media, le espressioni Deep State e Shadow Government neppure compaiono. «Attenti, non parliamo di una legge del Nicaragua, ma del presidente americano più discusso e delegittimato della storia». Silenzio stampa totale: ne accenna il solo “Financial Times”, «ma svuotando tutta la news». Peggio: il 19 gennaio, giunge al Congresso un memorandum «che sembra contenere le prove delle azioni della Clinton, coi soldi del Partito Democratico, col silenzio di Cia ed Fbi, per usare i poteri “tech” della Nsa permessi dalla legge Fisa, sotto la presidenza di Obama… e il tutto per spiare la campagna elettorale di Trump, per corrompere testimoni russi a dire il falso contro il neo-eletto presidente, e con la collusione di Londra».“Fox News” titola: “Molto più grave del Watergate”. Il sito di finanza “Zero Hedge” pubblica all’istante i Tweet di alcuni senatori americani sotto shock, con parole come «questo memorandum manderà a spasso un sacco di gente, al Dipartimento della Giustizia, e certi nomi finiranno in galera», dalla bocca del senatore Matt Gaetz. Roba da invadere le prime pagine di “New York Times” e “Repubblica”, passando per “Cnn”, “Bbc” e “Rai”. «Nulla. Vado su “Fox News”, e in prima non c’è più nulla! Perdo il fiato. Ma lo recupero quando “Zero Hedge” pubblica un Tweet del più autorevole fra gli autorevoli, Edward Snowden, che conferma tutto». Eppure, di nuovo – scrive Barnard – ago e filo «hanno cucito la bocca e le dita di tutto il mondo dei media che contano in un istante, e con un potere di assolutismo che davvero non credevo possibile a questo livello». Ipotesi: «E’ possibile che lo stesso Donald Trump sia parte di questa incredibile congiura del silenzio, per barattare coi suoi nemici e per poterli poi ricattare per anni, ma ciò non cambia la sostanza». Sotto i nostri piedi si sta spalancando un abisso: «Non fate figli», chiosa Barnard.Pedofili al potere, ai massimi vertici. Traffico di bambini, orge con minorenni. Nomi coinvolti? I maggiori, a cominciare dal clan Clinton. Da chi viene la denuncia? Da Donald Trump, che sta cercando di salvarsi – dall’impeachment e forse dall’omicidio, visto che «Kennedy fu ucciso per molto meno». Ma attenzione: mentre il Deep State trema, i grandi media tacciono: congiura del silenzio. Siamo in pericolo, scrive Paolo Barnard: Trump si fa difendere direttamente dal Pentagono, evocando lo stato di guerra, mentre i suoi nemici (accusati di pedofilia, probabilmente ricattabili a vita) hanno comunque il potere di silenziare giornali e televisioni. In altre parole: sta accadendo qualcosa di mai visto, a Washington. Una lotta mortale, tra un presidente sotto assedio e i suoi avversari “mostruosi”. Trump agisce solo per opportunismo, per salvarsi minacciando di spiattellare quello che sa, e che gli hanno rivelato ex funzionari della Cia come Kevin Shipp? Per contro, chi vuole farlo fuori adesso è nel panico da quando il presidente ha contrattaccato «con due numeri»: 13818, cioè l’ordine presidenziale esecutivo, e 82 FR 60839, cioè «il protocollo del medesimo presso l’Us Government Publishing Office». Una mossa “nucleare”, «ma talmente tanto che quegli apparati di potere, Shadow Government e Deep State, faticano a riprendersi». Una storia «agghiacciante», che Barnard ricostruisce nei dettagli.
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Tenetevi forte, il vero Russiagate inguaia i Clinton e Obama
Bye bye Clintons. Scommettete che gli stessi che li hanno vezzeggiati e coperti per decenni stanno per farli fuori esattamente come hanno fatto col maiale Weinstein? Il dossier farlocco su Trump e la Russia l’hanno pagato i democratici, e tutti, Fbi compreso, sono stati complici. Uranium One è stata una svendita di patrimonio nazionale e materiale nucleare ai russi, pagata ai Clinton con denaro riciclato. Le due storiacce si intersecano e si intrecciano, partono da lontano, da un accordo di affari in Kazakistan siglato da Bill Clinton, passano per le famose email fatte sparire da Hillary, infangano niente male l’immacolato Barack Obama, il suo consigliere nazionale e il suo attorney-general. Avete letto qualcosa in proposito sui giornali italiani? Sarebbe una notizia. Eppure lo scandalo sta per esplodere, Hillary Clinton ha un bel dichiarare che è tutto un baloney, tutte cazzate, ma la prova del contrario sta nel fatto che ora i giornali suoi alleati e amici si affrettano a pubblicare notizie compromettenti e a ribadire la certezza delle fonti, nel fatto che il Congresso si è deciso a indagare, che persino il superprocuratore dell’inchiesta sul Russiagate sta cambiando direzione di indagini.Tenetevi forte, è proprio vero che a forza di tentare di fregare qualcuno, magari ricorrendo a fake news, arrivano le notizie vere e investono in pieno l’accusatore, in questo caso la candidata trombata Hillary Clinton, l’ex presidente Barack Obama, la sua Amministrazione, l’agenzia federale di investigazione, Fbi. Naturalmente l’affare si complica se uno dei collusi del passato, Robert Mueller, già direttore dell’Fbi, adesso è a capo dell’investigazione sull’avversario, ovvero su Donald Trump e la sua campagna, accusati pesantemente con campagna mediatica oltre che nomina di procuratore speciale, di collusioni con la Russia di Vladimir Putin tali da falsare il risultato elettorale. Ma invece è tutto il contrario, sono stati la campagna Clinton e il Comitato Democratico a pagare il dossier bufala su Trump che innescò il Russiagate. A questa operazione ha lavorato per i democratici proprio Paul Manafort, ovvero l’ex consigliere di Donald Trump, principale accusato dell’inchiesta di oggi. Seguono una serie di domande, alcune delle quali ormai praticamente retoriche.L’Fbi di James Comey ha utilizzato quel dossier pagato dalla campagna Clinton e dal Comitato democratico, e non verificato, per ottenere dalla Corte Fisa un mandato a sorvegliare il team Trump durante e dopo la campagna elettorale? I dati raccolti illegalmente sui componenti del team sono stati comunicati senza necessaria autorizzazione ad almeno due ministri dell’amministrazione Obama? L’operazione truffaldina è stata fatta non solo per danneggiare prima il candidato, poi il presidente, ma anche per coprire le collusioni passate con la Russia, arrivate fino a venderle un quinto dell’uranio, materiale nucleare, americano in cambio di denaro sporco a Bill Clinton e alla fondazione Clinton? L’intera operazione è stata scoperta dall’Fbi e non comunicata al Congresso su ordine del governo Obama? Il capo di allora dell’Fbi che tacque colpevolmente è lo stesso che ora presiede la commissione di inchiesta sul Russiagate?Il tutto cominciò con un viaggio di Bill Clinton nel 2005 assieme al socio canadese della fondazione, Frank Giustra, in Kazakistan a fare accordi con un pericoloso autocrate filorusso, Nursultan A. Nazarbayev, mentre la moglie Hillary era senatore e si preparava a candidarsi alle presidenziali? Frank Giustra era anche il titolare della UrAsia Energy, venduta ad Uranium One nel 2007. Queste notizie sono state tenute accuratamente nascoste per mesi, ipotesi avanzate solo dai pochi media vicini al presidente, come “New York Post”, “Fox News”, fino a “Breitbart News”, ma ora pubblicano scoop e ricostruzioni un giornale progressista come “The Hill”, l’arci avversario “Washington Post”, “Seattle Times” e “Los Angeles Times”, e persino il “New York Times” comincia a ricordarsi di accurate inchieste del passato poi sepolte. Probabilmente vuol dire che la realtà incalza e tocca correre.Viene la confusione a me, figuriamoci a voi. Proviamo ad andare per ordine. Questa vicenda è gravissima, altro che Watergate, lo dico da mesi e lo ribadisco oggi. Naturalmente potete decidere che preferite leggervi sui giornaloni importanti come il “Corriere” racconti puntuti su quanto non sia in realtà ricco Trump, evidentemente ne sanno più di “Forbes”, su come sia stata fondamentale la campagna su Facebook per far vincere le elezioni a Trump, evidentemente con 6500 dollari – tanti su 100mila ne sono stati dedicati al candidato repubblicano – si influenza una campagna presidenziale, sul fatto che Trump tenga appeso sul suo aereo privato, non nella Trump Tower giudicata dal “Corriere” troppo cafona per accettare di viverci, un Renoir che è una crosta perché l’originale sta al museo di Chicago, probabilmente ha ragione il museo, ma ricordare di quanti falsi siano pieni i musei, magari la storia del falsario Mark Landis, non guasterebbe. Se invece decidete che lo scandalo che presto potrebbe fare impallidire Watergate vi interessa, ecco i primi elementi certi.Il famoso dossier che conteneva immagini e racconti di uno scandaletto sessuale protagonista Donald Trump in un albergo di una città dell’Est europeo, e che suggeriva pesanti connections con Mosca e Putin, è stato finanziato e commissionato dalla campagna presidenziale di Hillary Clinton e dal Comitato Nazionale Democratico alla Fusion Gps, il cui presidente e vicepresidente in questi giorni si rifiutano di rispondere alla commissione di Intelligence, invocando il Quinto emendamento, ovvero il diritto a non autoincriminarsi. La Fusion Gps fa capo dal 2016 a Marc Elias, un avvocato che rappresenta la campagna Clinton e il comitato democratico. Fu assoldato un ex agente segreto inglese, Christopher Steele, che aveva mantenuto dei rapporti con Fbi e servizi segreti degli Stati Uniti, che aveva a lungo lavorato in Russia. Confezionò un insieme di pezzi di dossier vecchi in un unico falso, anche piuttosto sfacciato, come poi è risultato essere. Trump in quella città non c’è neanche mai stato. Il tutto è stato pagato circa 9 milioni di dollari. Steele fu tanto preso sul serio che quando incominciò l’indagine sul presunto Russiagate, l’Fbi lo assoldò sia pure per poco tempo.Il famoso dossier ha poi fatto il giro del mondo per alcuni mesi, dopo l’elezione del presidente, al Congresso ci ha pensato il repubblicano John McCain a farlo distribuire, dovrebbe spiegare perché, i giornali lo avevano tutti ma nessuno aveva il coraggio di pubblicarlo perché smaccatamente fasullo, finché non lo fece una piccola pubblicazione, e da lì si parte per il Russiagate. Due parole in più sullo scandalo invece di Uranium One, partendo da alcune precisazioni che finalmente si fanno strada. Basterebbe il mezzo milione di dollari che in una sola volta Putin ha fatto avere per una conferenza a Bill Clinton a suscitare un sospetto di connivenza. Invece tutti concentrati su centomila dollari in tutto di inserzioni su Facebook, che secondo i democratici e secondo anche alcuni giornalisti italiani, avrebbero sfacciatamente favorito l’elezione di Trump. Quelle inserzioni sono cominciate a giugno del 2015, e a controllarle tutte vedrete che sono genericamente messaggi sul razzismo e sul controllo di armi; secondo Marx Penn, analista e stratega politico, sempre di area democratica, sulle elezioni del 2016 si sono soffermate inserzioni per 6.500 dollari.Se qualche impiccio con la Russia va ipotizzato, varranno ben di più i soldi incassati dai Clinton tra conferenze e affare di Uranium One, no? Però, essendo all’epoca della stipula del contratto di vendita la Clinton segretario di Stato e membro di una commissione governativa incaricata degli accordi, non si può accusare solamente lei, ma l’intera amministrazione di Barack Obama, e qui si parla di interessi e sicurezza nazionale. Si parla di aver venduto un quinto della capacità americana di estrarre uranio alla Russia e per l’esattezza a una compagnia di energia nucleare controllata dallo Stato, la Rosatom. La quale nella sua filiale americana, come l’Fbi ben sapeva, si dava un gran da fare in truffe, ricatti riciclaggio di denaro, frodi ed estorsioni. Se l’Fbi indagò e riferì al dipartimento di Giustizia, quest’ultimo nascose, tanto che l’attività della Rosatom americana continua ancora indisturbata per 4 anni. L’avessero rivelata per tempo, la vendita non sarebbe mai avvenuta. C’era un informatore che aveva lavorato sotto copertura il quale voleva riferire tutto al Congresso, e fu minacciato e bloccato dal Fbi. Ora però parlerà. Per ora mi fermo. Tanto siamo solo agli inizi.(Maria Giovanna Maglie, “Il vero Russiagate scoppierà adesso, e travolgerà i Clinton che l’hanno fabbricato, complice Obama”, da “Dagospia” del 26 ottobre 2017).Bye bye Clintons. Scommettete che gli stessi che li hanno vezzeggiati e coperti per decenni stanno per farli fuori esattamente come hanno fatto col maiale Weinstein? Il dossier farlocco su Trump e la Russia l’hanno pagato i democratici, e tutti, Fbi compreso, sono stati complici. Uranium One è stata una svendita di patrimonio nazionale e materiale nucleare ai russi, pagata ai Clinton con denaro riciclato. Le due storiacce si intersecano e si intrecciano, partono da lontano, da un accordo di affari in Kazakistan siglato da Bill Clinton, passano per le famose email fatte sparire da Hillary, infangano niente male l’immacolato Barack Obama, il suo consigliere nazionale e il suo attorney-general. Avete letto qualcosa in proposito sui giornali italiani? Sarebbe una notizia. Eppure lo scandalo sta per esplodere, Hillary Clinton ha un bel dichiarare che è tutto un baloney, tutte cazzate, ma la prova del contrario sta nel fatto che ora i giornali suoi alleati e amici si affrettano a pubblicare notizie compromettenti e a ribadire la certezza delle fonti, nel fatto che il Congresso si è deciso a indagare, che persino il superprocuratore dell’inchiesta sul Russiagate sta cambiando direzione di indagini.