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Archivio del Tag ‘sabotaggio’

  • Matteo Renzi non è serio, ma per fortuna c’è Saviano

    Scritto il 14/9/14 • nella Categoria: idee • (2)

    Saviano contro Renzi? Sfida fra titani. Mentre il rottamatore inanella chiacchiere, figuracce e “riforme” a orologeria, capaci teoricamente di smantellare quel che resta dell’Italia, in ossequio al doppio diktat della Germania e dell’élite neoliberista mondiale, l’autore di “Gomorra” critica «lo stile di governo di Matteo Renzi, caratterizzato da un approccio non adeguato alla gravità del momento». Lo rileva Gad Lerner sul suo blog, citando il settimanale “L’Espresso”, su cui l’autore partenopeo gestisce la rubrica “L’Antitaliano”, un tempo firmata dal grande Giorgio Bocca. «Il momento è gravissimo», per cui «la necessità di serietà è illimitata», sostiene Saviano, sul giornale uscito il 12 settembre. Il premier e i suoi ministri «dovrebbero rendersi conto che non è possibile sempre e comunque strizzare l’occhio alla più stantia rappresentazione della cialtroneria nazionale», scrive Saviano.
    Una critica che prende di mira l’infelice immagine di Renzi, che si esibisce con un cono gelato proprio mentre viene annunciato il cronicizzarsi della recessione. «Se il giorno in cui si è ufficializzata la deflazione che ha portato l’economia italiana al 1959 il nostro premier ha teatralmente mangiato il gelato – scrive sempre Saviano – forse a breve sarà costretto a presentarsi al paese in ginocchio e con la testa bassa, in un vuoto di parole, finalmente rappresentativo del disastro». Lo scrittore, spiega Lerner, si riferisce alla risposta di Renzi all’“Economist”: il settimanale britannico aveva dedicato una copertina, al solito provocatoria, sul ritorno dell’eurocrisi. L’immagine: una barca di banconote col simbolo dell’euro, a bordo la Merkel, Hollande e Renzi che ostentano disinteresse e a poppa Mario Draghi che tenta di tirar fuori l’acqua per evitare l’affondamento. Saviano concorda, e tira in ballo addirittura il Cavaliere: «Si pensava che con l’uscita di scena di Silvio Berlusconi, quell’eterno rinvio ai tipici personaggi della commedia all’italiana fosse esaurito».
    Berlusconi, nientemeno. «Si sperava che il pagliaccio e l’abile battutista con responsabilità di governo avessero lasciato il terreno a una generazione di persone serie, in grado di cogliere la gravità delle situazioni e dunque capace di lavorare con discrezione a soluzioni anche dolorose, ma di largo respiro». Questo dunque il Saviano-pensiero: persone serie, per decisioni gravi e naturalmente dolorose. Il serissimo Monti, l’austera Merkel, il micidiale Van Rompuy. Il problema dell’Italia? Non l’Unione Europea, non l’Eurozona, non il sabotaggio dello Stato a scopo di privatizzazione. Non il taglio del welfare, la scure su salari e pensioni, l’iper-tassazione, il Fiscal Compact, il pareggio di bilancio in Costituzione, la svendita del paese, l’assalto ai beni comuni. Il problema non è la disoccupazione indotta dall’élite globalista, macché. Il problema dell’Italia è la carenza di serietà. Parola di Saviano, cioè del mainstream: Benigni, Fabio Fazio, Gramellini, gli editorialisti del “Corsera”e di “Repubblica”, gli ospiti di Bruno Vespa.
    Grido di dolore: non servono i vuoti annunci di Renzi, bisogna fermare l’emorragia di giovani talenti. «Ci vuole un investimento forte sul capitale umano», scrive lo scrittore anti-camorra, lungi dal domandarsi perché, improvvisamente, “non ci sono più soldi” e lo Stato è costretto a ricorrere ferocemente alle tasse per restare in piedi. E poi, diamine, lo stile: «Ci si aspetterebbe umiltà, silenzio, riservatezza: esistere solo quando si è al lavoro, rifuggendo ogni futilità». Anche così, attraverso il Saviano di turno, continua l’offensiva del “Gruppo Espresso” contro Matteo Renzi, “reo” di aver spodestato brutalmente il serissimo Enrico Letta, col quale Eugenio Scalfari era solito cenare, magari in compagnia del compassato Giorgio Napolitano e dell’algido Mario Draghi. Bei tempi, quelli. Che serietà. E che stile.

    Saviano contro Renzi: sfida fra titani. Mentre il rottamatore inanella chiacchiere, figuracce e “riforme” a orologeria, capaci teoricamente di smantellare quel che resta dell’Italia, in ossequio al doppio diktat della Germania e dell’élite neoliberista mondiale, l’autore di “Gomorra” critica «lo stile di governo di Matteo Renzi, caratterizzato da un approccio non adeguato alla gravità del momento». Lo rileva Gad Lerner sul suo blog, citando il settimanale “L’Espresso”, su cui l’autore partenopeo gestisce la rubrica “L’Antitaliano”, un tempo firmata dal grande Giorgio Bocca. «Il momento è gravissimo», per cui «la necessità di serietà è illimitata», sostiene Saviano, sul giornale uscito il 12 settembre. Il premier e i suoi ministri «dovrebbero rendersi conto che non è possibile sempre e comunque strizzare l’occhio alla più stantia rappresentazione della cialtroneria nazionale», scrive Saviano.

  • Riforme eversive: sabotare l’Italia, registi e complici

    Scritto il 28/8/14 • nella Categoria: idee • (4)

    In tutta Europa, con le prime riforme della fine degli anni ‘70, il modello di sviluppo favorevole al lavoro e alla crescita, di stampo keynesiano, è stato sostituito con «un modello neomonetarista, diretto al trasferimento di redditi, ricchezza, diritti e potere politico dalla popolazione generale e dalle classi produttive alla élite finanziaria apolide», con un fine apertamente «antisociale e incompatibile coi principi costituzionali». Questo disegno, già ampiamente realizzato dall’Ue e dalla politica italiana, «è la radicale eversione del fondamento di legittimità dello Stato», sancito dalla Costituzione italiana, che fonda la Repubblica sul “lavoro”, sulla democraticità, sull’eguaglianza giuridica e sostanziale. Come documenta il giurista Luciano Barra Caracciolo, l’insieme delle riforme e dei trattati introdotti in esecuzione di questo piano è radicalmente anticostituzionale, oltre che «penalmente illecito», in quanto «attentato contro la Costituzione commesso con mezzi violenti», cioè il rischio provocato di default pubblico e la diffusione deliberata di «disoccupazione, allarme e grave sofferenza sociale».
    “Il grande mutuo”, saggio di Antonino Galloni (Editori Riuniti) già nel 2007 preannunciava l’imminente esplosione di un’imponente crisi finanziaria e di liquidità dopo l’inizio, anni prima, delle problematicità nell’economia reale. Quasi contemporaneamente, «in epoca di grandi promesse europeiste al pubblico», un altro saggio, “Basta con questa Italia”, firmato da Marco Della Luna (Arianna Editrice, 2008), anticipava che l’Italia, come sistema-paese, con le sue aziende pubbliche e private meno competitive di quelle straniere, sotto-capitalizzate, sotto-finanziate e strozzinate, vessate da fisco e pubblica amministrazione, incapaci di significativi avanzamenti tecnologici, sarebbe stata «rilevata dal capitale straniero, che la avrebbe riformata e gestita secondo i propri interessi, e certo non secondo quelli degli italiani». Esattamente questo sta avvenendo, scrive oggi Della Luna nel suo blog, grazie alla piena collaborazione tra la politica italiana, l’Ue e la Bce, «che hanno creato ad arte le condizioni affinché ciò avvenisse». Problema capitale: la grave carenza di liquidità, «che si pretende di combattere con misure fiscali e budgetarie che invece la aggravano, gettando il paese nelle mani del capitalismo imperialista appoggiato dalla Bce».
    «L’eversione costituzionale – scrive Della Luna – consiste essenzialmente nel sostituire, con l’inganno e le crisi create ad hoc, il sistema socioeconomico legittimante stabilito nella Costituzione con uno incompatibile con esso perché antidemocratico e oligarchico». Questa manomissione prende oggi il nome di “riforme”, corrompendo nel modo più subdolo anche il vocabolario italiano. Insieme allo stesso Nino Galloni, Della Luna mette a fuoco il quadro, regolarmente trascurato dai media: l’Italia è ko grazie al piano europeo nonostante la sua economia sia virtualmente ancora sana, e grazie alla disonestà organica della Germania, che bara clamorosamente. Primo appunto: «Nonostante tutto, le imprese italiane esportano più di quanto il sistema Italia importi: quindi hanno un buon potenziale medio di profitto, sono interessanti, fanno gola». Secondo punto: «La Germania ha fatto e fa imbrogli di tutti i generi», anche se – almeno fino a due anni fa, grazie a un ceto politico-imprenditoriale meno rapace di quello italiano – ha investito in innovazione tecnologica per abbassare il costo del lavoro. Terzo problema: da due anni, la stessa Germania sta contenendo la propria domanda interna.
    «E’ uno squilibrio dovuto a eccesso di avanzo commerciale, che corrisponde al disavanzo di altri», scrivono Galloni e Della Luna. «E’ vero che a tale avanzo non corrisponde un disavanzo dell’Italia, ma nondimeno quell’avanzo è utilizzabile per comperare, in Italia, servizi in via di privatizzazione». Si tengano presenti, poi, le intenzioni annunciate da Draghi: sostenere il credito bancario verso l’economia reale, «nei limiti del mandato della Bce». Si tratta di «espressioni allusive, indeterminate, ambigue, che prospettano una variabile ad oggi ancora tale». A pesare, intanto, è la realtà. Il capitale straniero ha potuto comprare a prezzo di saldo moltissime aziende italiane soprattutto grazie all’euro: la moneta unica agevola l’export tedesco sfavorendo quello italiano, e inoltre aumenta l’indebitamento dell’Italia, rendendo più difficile – per il nostro paese – ottenere crediti. Poi pesa anche la riduzione tedesca del costo del lavoro: «La Germania, aiutandosi slealmente con lo sforamento del limite del 3% del deficit sul Pil (autorizzato dall’Italia), nonché con trucchi contabili e con illeciti aiuti di Stato alle imprese, ha ridotto prima di Italia e altri paesi il suo costo del lavoro per unità di prodotto. Lo ha fatto anche introducendo forme di impiego a 250 e 450 euro al mese, dette minijob e midijob».
    Grazie a questi vantaggi strategici – moneta favorevole e minor costo produttivo, ottenuto anche “barando” – la Germania ha potuto esportare verso la periferia (Italia compresa) molto più di quanto prima importava da essa, «realizzando così per molti anni forti saldi attivi della bilancia dei pagamenti, e indebitando quei paesi verso di sé, tanto più che prestava loro soldi per importare i suoi prodotti (caso estremo: la Grecia)». Questo ha permesso a Berlino di «rastrellare a basso costo aziende valide o potenzialmente produttive e redditizie di quei paesi, per integrarle nei propri cicli produttivi», lasciando ai paesi d’orgine – come l’Italia – soltanto «le briciole dei margini di utile», o addirittura chiudendo aziende concorrenti di quelle tedesche. «Gli utili di queste aziende rastrellate – scrive Della Luna – vengono trattenuti o deportati in Germania». Di male in peggio: nel settore dei servizi pubblici, l’operazione di “rastrellamento” si sta estendendo con la partecipazione della Francia.
    Beneficiando di posizioni di monopolio e contando su una domanda costante, quello dei servizi pubblici – nel quale è facilissimo incrementare le tariffe – è un settore che produce fortissimi utili e rendite. Soldi, continuano Galloni e Della Luna, che «saranno sempre più raccolti dalle tasche dei cittadini e delle imprese italiane per essere deportati in Germania e in Francia: probabilmente l’asse franco-tedesco per dominare l’Ue si basa su accordi di questo tipo». Al fine di massimizzare l’utile di questa operazione, sia sul settore manifatturiero che su quello dei servizi, «questo capitalismo mercantilista e imperialista ha bisogno di fare le cosiddette riforme, le quali in sostanza sono riduzioni dei diritti economici e non economici dei lavoratori anche autonomi, aumento della loro sudditanza al datore di lavoro, aumento dei livelli di precariato, di disoccupazione e sotto-occupazione in funzione di battere la forza contrattuale dei lavoratori». Analogamente, «vengono colpiti i piccoli e piccolissimi imprenditori, artigiani, commercianti, che non si prestano al piano di conquista dell’imperialismo mercantile franco-tedesco».
    Ed ecco il trucco finale: «Per realizzare pienamente questa operazione di take-over sui servizi pubblici, è necessario farli privatizzare. A questo fine essi vengono, attraverso opportune campagne mediatiche, presentati come inefficienti, corrotti, dispendiosissimi, costosi, parassitari». Inoltre, «non si dice che investire in essi aumenterebbe la loro efficienza, in quanto li doterebbe di strumenti oggi mancanti e avrebbe un sicuro effetto di moltiplicatore del Pil, mentre il togliere loro fondi ha un effetto demoltiplicatore». Non è tutto: «Come ulteriore strumento per sabotarli, li si sta sovraccaricando di oneri e spese anche attraverso la politica di immigrazione di massa senza limitazioni, che sta ponendo un onere crescente e potenzialmente enorme alla spesa pubblica per l’accoglienza, mantenimento, cure sanitarie, alloggio, ricongiungimenti familiari». Profezia: «Quando la situazione diverrà esplosiva per i crescenti costi così suscitati da una parte e per la crescente disoccupazione e recessione dall’altra, con ulteriori maggiorazioni delle tasse, la popolazione stessa chiederà la privatizzazione estesa dei servizi sociali ora ancora in mano pubblica. A quel punto, capitali stranieri entreranno e occuperanno queste posizioni di mercato collegate a rendite monopolistiche».
    In altre parole, la fine dello Stato sociale. «Sottolineo che la Germania e i suoi satelliti riescono a sfruttare questo processo perché hanno eseguito prima dell’Italia e di altri paesi le riforme consistenti nella riduzione del costo del lavoro e dei diritti dei lavoratori», precisa Della Luna. In questo modo, anticipando i “concorrenti” europei, Berlino ha acquisito «quei vantaggi commerciali, quegli attivi negli scambi con l’Italia, quei conseguenti crediti verso di essa», che ora spende «per rastrellare le imprese e i servizi italiani». La Bce, l’Ue, Maastricht, l’euro, i vertici istituzionali: «Tutti concorrono a questo scopo strategico, spingendo per le “riforme” che l’Europa ci chiede». Tutti questi soggetti «lavorano per cedere e trasferire al capitale straniero le risorse e le aziende del paese, e insieme per trasformare i lavoratori italiani in forza lavoro sottopagata e sottomessa dei nuovi padroni finanziari stranieri». Tutto ciò accade per una ragione semplicissima: la politica italiana glielo consente. «In compenso di questa prestazione di tradimento, la nostra casta politica si riserva il ruolo di complice dei capitali stranieri, onde mantenere le sue poltrone e i suoi privilegi».
    Ecco perché, intorno a questo progetto, «la partitocrazia italiana si è ora saldamente unita in modo trasversale, destra e sinistra, per realizzare di corsa le famose riforme», che ovviamente «non c’entrano col rilancio economico». L’Italicum, per esempio, «è stato concordato tra Renzi e Berlusconi per sopprimere i partiti piccoli e autonomi, non radicati nel controllo della spesa pubblica». La casta punta soprattutto sulla nuova legge elettorale e sul nuovo Senato, «che hanno la funzione di blindarla contro la protesta, il dissenso, il potenziale voto contrario dei cittadini traditi e derubati dai partiti». Non a caso il Senato ridisegnato dal Patto del Nazareno «viene preposto alla regolazione della spesa pubblica e consegnato agli uomini degli apparati partitici regionali, ossia la parte peggiore, più vorace, della partitocrazia: potranno mangiare più che mai, spalleggiati e legittimati anche dagli interessi stranieri». Naturalmente è già in programma anche una riforma della giustizia, «per mettere al guinzaglio quei giudici che restano fedeli alla Costituzione e alla Repubblica». Scontato: «La voteranno tutti insieme, trasversalmente. Sono già d’accordo. E poi qualcuno avrà diritto alla grazia».
    Scoperto il gioco, c’è da mettersi a piangere: «Le promesse di risanamento e rilancio entro il modello economico vigente sono pura menzogna», sottolinea Della Luna. «Per tornare alla crescita e all’occupazione è indispensabile, innanzitutto, spiegare il complotto alla gente, specialmente agli imprenditori e ai lavoratori, uscire dalla struttura sopra descritta, dall’euro, dall’Ue, e disfarsi dei personaggi politici e istituzionali che la assecondano». In parallelo, dicono Della Luna e Galloni, occorre «avviare una revisione del concetto di moneta oggi in uso, la “fiat currency”, e far capire, con tutte le conseguenze, che essa non è una merce né una materia prima, ma un simbolo, generato col computer e senza costi». Che senso ha, dunque, parlare di scarsità o mancanza di mezzi finanziari per gli investimenti necessari e utili alla società? Al contrario: «E’ un crimine eversivo e contro l’umanità fingere che vi sia una tale scarsità o mancanza, e usare questa finzione per impadronirsi di un paese e della sua economia reale, e per deprimere i salari e i livelli occupazionali». Raccontare la menzogna suprema – dire cioè che ci sia scarsità di moneta, e che la moneta abbia un costo di produzione – significa solo imporre un progetto di dominio, per trasferire la ricchezza reale strappandola a cittadini, imprese, famiglie e lavoratori, per consegnarla  «nelle mani del cartello dei produttori dei mezzi monetari che in cambio non produce e non dà alcuna ricchezza reale alla società».

    In tutta Europa, con le prime riforme della fine degli anni ‘70, il modello di sviluppo favorevole al lavoro e alla crescita, di stampo keynesiano, è stato sostituito con «un modello neomonetarista, diretto al trasferimento di redditi, ricchezza, diritti e potere politico dalla popolazione generale e dalle classi produttive alla élite finanziaria apolide», con un fine apertamente «antisociale e incompatibile coi principi costituzionali». Questo disegno, già ampiamente realizzato dall’Ue e dalla politica italiana, «è la radicale eversione del fondamento di legittimità dello Stato», sancito dalla Costituzione italiana, che fonda la Repubblica sul “lavoro”, sulla democraticità, sull’eguaglianza giuridica e sostanziale. Come documenta il giurista Luciano Barra Caracciolo, l’insieme delle riforme e dei trattati introdotti in esecuzione di questo piano è radicalmente anticostituzionale, oltre che «penalmente illecito», in quanto «attentato contro la Costituzione commesso con mezzi violenti», cioè il rischio provocato di default pubblico e la diffusione deliberata di «disoccupazione, allarme e grave sofferenza sociale».

  • Ilan Pappe: Israele non fa più parte del mondo civile

    Scritto il 03/8/14 • nella Categoria: idee • (8)

    Io non so ancora chi era il vostro congiunto. Potrebbe essere stata una bambina di pochi mesi, o un bambino di qualche anno, o un vostro nonno, o un vostro figlio o un vostro genitore. Ho saputo della morte del vostro congiunto da Chico Menashe, un commentatore politico di “Reshet Bet”, la più importante stazione radio israeliana. Chico ha detto che l’uccisione del vostro congiunto e il fatto di aver ridotto Gaza in macerie e di aver costretto 150.000 persone a lasciare le loro case, è parte di una strategia israeliana ben studiata: questa strage soffocherà l’impulso dei palestinesi di Gaza a resistere alle politiche israeliane. Ho sentito queste sue parole mentre leggevo, nell’edizione del 25 luglio deIla cosiddetta “rispettabile” testata “Haaretz”, le parole del non tanto rispettabile storico Benny Morris, secondo cui persino questo che sta accadendo ora non è abbastanza.
    Morris considera le attuali politiche di genocidio “refisut” – deboli di mente e di spirito; fa appello ad una futura maggiore opera di distruzione, poichè è questo il modo in cui si difende la propria “capanna nella giungla”, per citare la descrizione di Israele data dall’ex primo ministro israeliano Ehud Barak. Violenza disumana. VIOLENZA DISUMANA Sì, ho paura di dire che, a parte la flebile voce di una minoranza che scompare in mezzo a tanta violenza disumana, dietro a questo massacro ci sono tutti i media e tutte le maggiori personalità israeliane. Non vi scrivo per dirvi che provo vergogna – da tempo mi sono dissociato dall’ideologia di Stato e cerco di fare il possibile, come individuo, per contrastarla e sconfiggerla. Forse questo non basta; siamo spesso inibiti da momenti di vigliaccheria, egoismo e anche da un impulso naturale di prenderci cura principalmente delle nostre famiglie e di chi amiamo.
    Tuttavia, sento oggi il bisogno di assumermi un impegno solenne nei vostri confronti, un impegno che nessuno dei tedeschi che mio padre conobbe durante il regime nazista fu disposto ad assumersi, quando quei selvaggi massacrarono la sua famiglia. In questo giorno di vostro profondo dolore, questo mio impegno non sarà gran cosa, ma è la cosa migliore che io possa fare; e restare in silenzio non la considero un’opzione. E’ il 2014 – la distruzione di Gaza è ben documentata. Non è il 1948, quando i palestinesi dovettero lottare con ogni mezzo per poter raccontare la loro tragica storia di orrori subiti. Moltissimi dei crimini allora commessi dai sionisti rimasero nascosti e ancora oggi non sono venuti alla luce. Quindi, il mio unico e semplice impegno sarà quello di registrare, informare e insistere perché si conosca la verità dei fatti. La mia vecchia università, ad Haifa, ha reclutato i suoi studenti per diffondere via Internet un mare di bugie israeliane in tutto il mondo; ma oggi siamo nel 2014 e una propaganda di questo genere non funzionerà.
    IMPEGNO A BOICOTTARE Impegno a boicottare. Tuttavia, questo certamente non può bastare. Mi impegno quindi a continuare nello sforzo di boicottare uno Stato che commette crimini di questo genere. Solo quando l’Unione delle Federazioni Calcistiche Europee espellerà Israele, quando il mondo accademico si rifiuterà di avere rapporti istituzionali con Israele, quando le compagnie aeree eviteranno di volare sui cieli d’Israele e quando si capirà che perdere denaro nel breve termine per una presa di posizione etica significa guadagnare nel lungo termine moralmente e finanziariamente – solo allora potremo dire di aver onorato degnamente la vostra perdita. Il movimento di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (Bds), ha conseguito diversi obbiettivi e continua nel suo instancabile lavoro. Ci sono ancora ostacoli, come la falsa accusa di antisemitismo e il cinismo dei politici. E’ così che è stata bloccata all’ultimo momento un’onorevole iniziativa di architetti britannici per indurre i loro colleghi in Israele a prendere una posizione morale, piuttosto che essere complici nella colonizzazione criminale di quelle terre. Altrove, in Europa e negli Stati Uniti, politici senza spina dorsale hanno sabotato simili iniziative. Ma il mio impegno è quello di essere sempre parte attiva nello sforzo di superare questi ostacoli. La memoria del vostro amato sarà la mia forza trainante, insieme al vivo ricordo delle sofferenze dei palestinesi nel 1948 e degli anni che seguirono.
    MATTATOIO Mattatoio. Faccio tutto questo egoisticamente. Prego e spero fortemente che in questo tragico momento della vostra vita, mentre i palestinesi di Shujaiya, Deir al-Balah e Gaza City assistono quotidianamente al massacro da parte di aerei, carri armati e artiglieria israeliani, non vi porti a smarrire per sempre la speranza nell’umanità. Questa umanità comprende anche degli israeliani che non hanno il coraggio di parlare, ma che esprimono il loro orrore in privato, come lo attesta la mia casella di posta elettronica zeppa di messaggi, e la mia pagina Facebook, come lo attesta quella piccola minoranza in Israele che manifesta pubblicamente contro il crescente genocidio di Gaza. Questa umanità comprende anche quelli che ancora non sono nati, che forse saranno in grado di sfuggire a una macchina di indottrinamento sionista che li plasma, dalla culla alla tomba, e li addestra a disumanizzare i palestinesi a tal punto che veder bruciare vivo un ragazzo palestinese di sedici anni non li smuove e non li fa barcollare nella loro fede nel governo, nell’esercito e nella religione.
    SCONFITTA Sconfitta. Per il loro bene, per il mio e per il vostro bene, mi auguro di poter continuare a sognare l’alba del giorno dopo – quando il sionismo sarà sconfitto insieme all’ideologia che governa le nostre vite tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo; e che tutti noi possiamo vivere la vita normale che desideriamo e meritiamo. Quindi, oggi mi impegno a non farmi distrarre da amici e dirigenti palestinesi che ancora ripongono le loro speranze nella “soluzione dei due Stati”. Se davvero uno sente l’impulso di lavorare per un cambiamento di regime in Palestina, l’unico obbiettivo deve essere quello di lottare per la parità dei diritti umani e civili e per il pieno ristabilimento e reintegro di tutti coloro che sono e sono stati vittime di sionismo, dentro e fuori l’amata terra di Palestina.
    Il vostro congiunto, chiunque sia stato, possa lui/lei riposare in pace, sapendo che la sua morte non è stata vana – e non perché sarà vendicata e rivendicata all’infinito. Non abbiamo bisogno di altri spargimenti di sangue. Credo ancora che ci sia un modo per porre fine alla malvagità e alla crudeltà con la forza dell’umanità e della moralità. Giustizia significa anche portare in tribunale gli assassini che hanno ucciso la vostra persona amata e tante altre persone, e portare i criminali di guerra d’Israele davanti ai tribunali internazionali. Lo so, è una via molto più lunga, anch’io avverto a volte l’impulso di far parte di una forza che utilizza la violenza per porre fine alla disumanità. Ma mi impegno a lavorare per la giustizia, la giustizia piena, la giustizia riparatoria. Questo è quello che posso promettere – lavorare per evitare che arrivi in Palestina una prossima fase di pulizia etnica e un nuovo genocidio a Gaza.
    (Ilan Pappe, “Alla famiglia della millesima vittima del genocidio ad opera degli israeliani a Gaza”, dal blog “The Electronic Intifada” del 27 luglio 2014, tradotto da “Come Don Chisciotte”. Il professor Pappe, di Haifa, è uno dei massimi storici israeliani contemporanei. Durissimo il suo saggio “La pulizia etnica della Palestina”, pubblicato da Fazi, che denuncia l’orrore del genocidio anti-palestinese per mano sionista avviato decenni prima della Seconda Guerra Mondiale. Oggi, Pappe insegna all’università di Exeter, in Gran Bretagna).

    Io non so ancora chi era il vostro congiunto. Potrebbe essere stata una bambina di pochi mesi, o un bambino di qualche anno, o un vostro nonno, o un vostro figlio o un vostro genitore. Ho saputo della morte del vostro congiunto da Chico Menashe, un commentatore politico di “Reshet Bet”, la più importante stazione radio israeliana. Chico ha detto che l’uccisione del vostro congiunto e il fatto di aver ridotto Gaza in macerie e di aver costretto 150.000 persone a lasciare le loro case, è parte di una strategia israeliana ben studiata: questa strage soffocherà l’impulso dei palestinesi di Gaza a resistere alle politiche israeliane. Ho sentito queste sue parole mentre leggevo, nell’edizione del 25 luglio deIla cosiddetta “rispettabile” testata “Haaretz”, le parole del non tanto rispettabile storico Benny Morris, secondo cui persino questo che sta accadendo ora non è abbastanza.

  • Mafia ad alta velocità, in val Susa l’indagine del Ros

    Scritto il 02/7/14 • nella Categoria: segnalazioni • (1)

    «Via la mafia dalla val Susa», gridarono in coro i No-Tav asserragliati a Chiomonte il 27 giugno 2011, quando scorsero la ruspa dell’Italcoge di Ferdinando Lazzaro sfondare le barricate degli attivisti per consentire ai duemila agenti di sgomberare la “Libera Repubblica della Maddalena” e avviare il mini-tunnel geognostico, primo e unico cantiere finora aperto per la linea Tav Torino-Lione, considerata la grande opera più costosa della storia italiana nonché la più inutile d’Europa, visto il crollo del traffico Italia-Francia e la presenza in valle di Susa della ferrovia internazionale Torino-Modane ormai deserta, nonostante l’ammodernamento del traforo del Fréjus. Oggi, a tre anni di distanza, i No-Tav accolgono con sollievo la retata di arresti e denunce operata dai carabinieri del Ros su ordine della direzione distrettuale antimafia del Piemonte, tesa a stroncare l’infiltrazione della ‘ndrangheta nella maxi-torta dell’alta velocità. «Quella dei No-Tav è anche una lotta antimafia», ha ricordato Marco Revelli al maxi-processo torinese contro gli attivisti della valle di Susa, indagati anche per terrorismo dalla procura torinese guidata da Caselli, prima che la Cassazione stabilisse l’insussistenza di quel gravissimo reato.
    Contro gli inquirenti di Torino in questi mesi si erano levate voci molto autorevoli, tra cui quelle di alti magistrati a riposo, come Taselli, Pepino e Palombarini. «Contro di noi anche la folle accusa di terrorismo – hanno protestato i No-Tav – mentre nessuno indaga sull’ombra della ‘ndrangheta che incombe sul cantiere di Chiomonte». Errore: qualcuno indagava. E ha intercettato alcune aziende incaricate del movimento terra: «Prendiamo tutto noi», gongolavano i titolari delle imprese. Tra questi Giovanni Toro, secondo gli inquirenti esponente di spicco della ‘ndrina di San Giovanni Marchesato (Crotone), che proprio grazie a Lazzaro – la cui azienda oggi si chiama Italcostruzioni – avrebbe lavorato a Chiomonte aggirando le norme che impedivano l’accesso ai camion privi delle necessarie autorizzazioni. «Lo faccio attraverso la Prefettura, gli dico che dobbiamo asfaltare, è urgente», dice Lazzaro, intercettato dai Ros.
    Uno dei punti sotto esame riguarda l’asfaltatura delle piste destinate al pattugliamento della polizia, all’interno dell’area militarizzata del cantiere. «Il fatto che emerge, e che dovrebbe far riflettere sulla sicurezza del cantiere – scrive “L’Espresso” – è che gli investigatori non hanno trovato traccia di contratti registrati tra Toro, Italcostruzioni o Ltf», la società Lyon-Turin Ferroviaire che ha in appalto la costruzione dell’arteria. Il che vuol dire, secondo gli inquirenti, che l’azienda di Toro «ha lavorato sotto gli occhi dei militari che presidiavano il sito senza un pezzo di carta che certificasse la sua presenza». Sempre sull’“Espresso”, Giovanni Tizian ricostruisce le vicende alla base dell’indagine: «Inizialmente, la ditta di Lazzaro si chiama Italcoge. Con questa ottiene la commessa. Poi però Italcoge fallisce». Ma Lazzaro «continuava di fatto a occuparsi del cantiere avvalendosi proprio di Toro», scrive il giudice delle indagini preliminari che ha firmato le 900 pagine dell’ordinanza.
    L’imprenditore in pratica ha creato una nuova società, la Italcostruzioni, proseguendo senza problemi i lavori a Chiomonte: «Italcostruzioni acquisiva i mezzi, le autorizzazioni di legge nonché il subentro nel Consorzio Valsusa», che raccoglie gran parte delle aziende impegnate nel grande appalto pubblico. Ma c’è di più, aggiunge Tizian: Lazzaro negli atti è indicato come uno degli interlocutori principali di Rfi, Rete ferroviaria italiana, e Ltf. «Alcune conversazioni intercettate dimostravano sia l’influenza esercitata da Lazzaro in seno al Consorzio Valsusa, che di fatto considerava di sua proprietà, sia il ruolo di unico interlocutore della committente Ltf», scrivono i magistrati. «Prendiamo tutto noi, Nando», si sente in una delle intercettazioni. E Lazzaro conferma: «Prendiamo tutto noi». Tra gennaio e marzo 2012 poi il titolare di Italcostruzioni – per ora indagato per smaltimento illecito dei rifiuti di cantiere – cerca «di fare entrare Toro all’interno del Consorzio Valsusa». L’imprenditore calabrese che ha asfaltato le piste a Chiomonte, ora in carcere insieme a una ventina di persone, è invece indagato per concorso esterno con il clan crotonese.
    Ferdinando Lazzaro, dicono ora gli attivisti valsusini, è andato ripetutamente in televisione ad accusare i No-Tav degli incendi divampati presso aziende coinvolte nel cantiere: tesi avallata dai media, nonostante i roghi di tanti presidi No-Tav (i punti d’incontro del movimento, regolarmente dati alle fiamme). In prima fila, a incolpare i valsusini, i politici dell’establishment, dal senatore Pd Stefano Esposito al ministro Maurizio Lupi. Mai un accenno al problema-mafia in valle di Susa neppure dal ministro Alfano, recatosi in visita al cantiere di Chiomonte come l’ex sindaco torinese Sergio Chiamparino, ora presidente della Regione Piemonte, fattosi fotografare in campagna elettorale nel sito di cantiere che secondo gli inquirenti sarebbe stato realizzato con il contributo dell’imprenditoria mafiosa. «Le grandi opere come il Tav fanno gola alla mafia», avvertì il giallista Massimo Carlotto al “Valsusa FilmFest”, «perché sono un’occasione d’oro per riciclare denaro sporco». Nel suo “Libro nero dell’alta velocità”, Ferdinando Imposimato ricorda che buona parte della rete Tav italiana è stata costruita dalla mafia, grazie al sistema dei subappalti a cascata che rende incontrollabile la lievitazione dei prezzi.
    Di mafia in valle di Susa in realtà si parla da sempre, visto che il comprensorio turistico è dotato di importanti impianti invernali e ha ospitato grandi eventi, dai Mondiali di sci alle Olimpiadi. Storie di appalti sospetti, intimidazioni e sindacalisti minacciati fanno parte della letteratura giudiziaria della valle di Susa, fin dalle prime segnalazioni della Commissione Antimafia. A metà degli anni ‘90, su iniziativa della nuova magistratura antimafia creata dopo la morte di Falcone e Borsellino, fu disciolto per infiltrazioni mafiose il Consiglio comunale di Bardonecchia – primo caso, nel nord Italia. Sempre negli anni ‘90, affiorarono legami tra Susa e la ‘ndrangheta attraverso uno strano traffico di armi, centinaia di pistole cedute illegamente dalla locale armeria a una cosca calabrese “sotto gli occhi di settori dell’intelligence”, secondo gli inquirenti. Di mafia si è occupato a lungo il nuovo procuratore capo di Torino, Armando Spataro, succeduto a Gian Carlo Caselli, protagonista della dura repressione contro il movimento No-Tav, con un migliaio di cittadini denunciati, oltre 50 imputati al maxiprocesso celebrato nell’aula-bunker del carcere torinese delle Vallette e persino il rivio a giudizio dello scrittore Erri De Luca, “reo” di aver difeso lo strumento del “sabotaggio” come forma di resistenza civile contro la grande opera, che devasterebbe il territorio fino a renderlo inabitabile, mettendo in pericolo anche la salute data la presenza di amianto e uranio nel materiale di scavo.
    Spataro, che nel giorno del suo insediamento ha dichiarato di non gradire i giudici-superstar, si è occupato anche di terrorismo, denunciando l’opacità dei legami con alcuni settori dello Stato. Dopo aver condotto l’indagine sul rapimento illegale del mullah Abu Omar, sequestrato in Italia dal Sismi per ordine della Cia, il giudice è stato premiato per il saggio “Ne valeva la pena. Storie di terrorismi e mafie, di segreti di Stato e di giustizia offesa” (Laterza, 2010). Nucleo centrale della narrazione, è proprio la vicenda della “extraordinary rendition” del leader islamico catturato e poi torturato. L’opposizione del segreto di Stato, da parte dei governi Prodi e Berlusconi, è stata per Spataro «l’occasione per riflettere sui rapporti tra politica e magistratura e sulla violazione dei diritti umani con il pretesto della sicurezza». E’ ora l’ex magistrato di Mani Pulite a coordinare una procura, quella di Torino, impegnata nella repressione di centinaia di attivisti No-Tav, decisi a contrastare un’opera inutile, per la quale l’Europa ha appena dimezzato il già scarso contributo previsto, mentre la Francia riprenderà eventualmente in considerazione il progetto Torino-Lione solo dopo il 2013. Un’opera costosissima e ora anche inquinata dall’ombra della mafia, come anticipato dai documenti sequestrati ai No-Tav. «Bollati come terroristi che accumulavano materiale chissà per quale scopo criminale», chiosa Tizian su “L’Espresso”. «Oggi invece la storia sembra un po’ diversa: facevano lavoro di controinformazione».

    «Via la mafia dalla val Susa», gridarono in coro i No-Tav asserragliati a Chiomonte il 27 giugno 2011, quando scorsero la ruspa dell’Italcoge di Ferdinando Lazzaro sfondare le barricate degli attivisti per consentire ai duemila agenti di sgomberare la “Libera Repubblica della Maddalena” e avviare il mini-tunnel geognostico, primo e unico cantiere finora aperto per la linea Tav Torino-Lione, considerata la grande opera più costosa della storia italiana nonché la più inutile d’Europa, visto il crollo del traffico Italia-Francia e la presenza in valle di Susa della ferrovia internazionale Torino-Modane ormai deserta, nonostante l’ammodernamento del traforo del Fréjus. Oggi, a tre anni di distanza, i No-Tav accolgono con sollievo la retata di arresti e denunce operata dai carabinieri del Ros su ordine della direzione distrettuale antimafia del Piemonte, tesa a stroncare l’infiltrazione della ‘ndrangheta nella maxi-torta dell’alta velocità. «Quella dei No-Tav è anche una lotta antimafia», ha ricordato Marco Revelli al maxi-processo torinese contro gli attivisti della valle di Susa, indagati anche per terrorismo dalla procura torinese guidata da Caselli, prima che la Cassazione stabilisse l’insussistenza di quel gravissimo reato.

  • Palombarini: No-Tav, la legge secondo i giudici di Torino

    Scritto il 26/6/14 • nella Categoria: idee • (1)

    Dopo il filosofo Gianni Vattimo, fermamente contrario alla costruzione della linea ferroviaria Torino-Lione, anche lo scrittore Erri De Luca dovrà affrontare un processo penale davanti al Tribunale di Torino. È stato infatti rinviato a giudizio per rispondere del delitto di istigazione a delinquere. Un reato, questo, che la Corte Costituzionale non ha cancellato perché riguarda, o dovrebbe riguardare, solo i comportamenti concretamente idonei a provocare la commissione di altri reati, ferma però la libertà di manifestazione del pensiero garantita dalla Costituzione. Ma, allora, se un intellettuale dice che «la Tav va sabotata» e che «le cesoie sono utili perché servono a tagliare le reti», ovviamente nell’ambito di un giudizio positivo del movimento di resistenza alla costruzione della faraonica linea ferroviaria Torino-Lione (270 chilometri di lunghezza, 55 dei quali in galleria), esprime un’opinione o invece può concretamente indurre altre persone a commettere delitti?
    Da un quarto di secolo c’è in Val di Susa un movimento popolare che tenta di spiegare all’opinione pubblica nazionale le ragioni dell’opposizione all’opera. Dalla tutela della salute, essendo la montagna da scavare ricca di uranio e amianto, alla caduta verticale degli scambi europei di merci sulla direzione est-ovest, dalla ridotta utilizzazione della ferrovia già esistente di cui sarebbe possibile il potenziamento, allo spreco di ingenti risorse in un periodo di grave crisi economica. E però, parallelamente, è andato crescendo il tasso di repressione penale con riferimento agli interventi di intellettuali a sostegno del movimento No Tav e agli scontri fra manifestati e polizia avvenuti in occasione di alcune pubbliche manifestazioni di protesta contro l’iniziativa.
    Ormai da qualche tempo si ha la sensazione di una complessiva forzatura dell’azione penale quando si leggono le imputazioni ascritte ad alcuni intellettuali o che l’autorità giudiziaria torinese formula nei confronti di giovani e meno giovani protagonisti delle lotte contro la costruzione della linea ferroviaria. Quasi che l’autorità giudiziaria torinese si considerasse investita non solo e non tanto del compito di reprimere i fatti penalmente illeciti, ma anche, immediatamente, della tutela dell’ordine pubblico, così contribuendo, a fianco di tutta una serie di poteri forti interessati alla realizzazione dell’opera, a che i lavori si svolgano rapidamente. La sensazione è rafforzata dal fatto che nei processi della Val di Susa più di una volta è intervenuta la Corte di Cassazione non solo per annullare singoli provvedimenti dei magistrati torinesi, ma anche per precisare i principi ai quali essi dovrebbero ispirarsi.
    Così, di recente, la Cassazione si è pronunciata sulla misura cautelare emessa il 5 dicembre 2013 nei confronti di quattro attivisti No Tav per i delitti di “attentato per finalità di terrorismo” e “atti di terrorismo” ai sensi degli articoli 280 e 280 bis codice penale; e ha annullato l’ordinanza. In altra occasione la Suprema Corte era intervenuta con una sentenza del 7 settembre 2012 per ricordare che l’ordinamento, a parte i fenomeni associativi di tipo mafioso, non tollera automatismi di carcerazione preventiva collegati alla sola gravità dei fatti, ma richiede un giudizio di pericolosità per ogni imputato, e che nella scelta di una misura restrittiva eventualmente necessaria occorre partire dalla valutazione dell’efficacia di quelle meno afflittive, prima di giungere alla più grave misura del carcere. È auspicabile che si apra presto un dibattito su queste tematiche, non solo fra i giuristi, in quanto le scelte della magistratura torinese e i relativi contrasti investono ormai il ruolo del giudice.
    (Giovanni Palombarini, “Dai No Tav al ruolo di giudice”, da “Il Mattino di Padova” del 12 giugno 2014, articolo ripreso da “NoTav.info”. Palombarini è stato procuratore generale aggiunto presso la Corte di Cassazione).

    Dopo il filosofo Gianni Vattimo, fermamente contrario alla costruzione della linea ferroviaria Torino-Lione, anche lo scrittore Erri De Luca dovrà affrontare un processo penale davanti al Tribunale di Torino. È stato infatti rinviato a giudizio per rispondere del delitto di istigazione a delinquere. Un reato, questo, che la Corte Costituzionale non ha cancellato perché riguarda, o dovrebbe riguardare, solo i comportamenti concretamente idonei a provocare la commissione di altri reati, ferma però la libertà di manifestazione del pensiero garantita dalla Costituzione. Ma, allora, se un intellettuale dice che «la Tav va sabotata» e che «le cesoie sono utili perché servono a tagliare le reti», ovviamente nell’ambito di un giudizio positivo del movimento di resistenza alla costruzione della faraonica linea ferroviaria Torino-Lione (270 chilometri di lunghezza, 55 dei quali in galleria), esprime un’opinione o invece può concretamente indurre altre persone a commettere delitti?

  • No-Tav, non terroristi. Ma chi protesta resta nel mirino

    Scritto il 18/5/14 • nella Categoria: idee • (1)

    La Cassazione ha fatto cadere l’accusa di “condotta con finalità di terrorismo” per il lancio di bottiglie molotov contro il cantiere Tav di Chiomonte? Non cantiamo vittoria, avverte Aldo Giannuli: certo viene alleggerita la posizione dei quattro imputati, arrestati con una accusa «tanto spropositata», ma – al processo – il crollo della costruzione accusatoria della Procura di Torino potrebbe essere interpretato come già “premiante” di per sé, scaricando sui quattro giovani il massimo della pena per reati più “realistici”, come “devastazione e saccheggio”. Inoltre, la vicenda dei No-Tav dimostra «quale sia la funzione cardine della magistratura nei processi di globalizzazione: sul versante civilistico attraverso l’assunzione dei principi della “lex mercatoria” e su quello penale attraverso l’emergenzialismo contro i conflitti sociali». Nel mirino, dunque, si ritrova (virtualmente) chiunque protesti. «Prima di tutto, bisogna sbarazzarsi delle mitologie giustizialiste di questi anni, di chi ha visto nella magistratura il baluardo della Costituzione, dove c’era semplicemente uno scontro fra diverse fazioni del potere».
    «Ovviamente», aggiunge Giannuli nel suo blog, «siamo soddisfatti di questo risultato per i quattro accusati che, speriamo, vengano trattati con equità e clemenza, sia in considerazione della loro giovane età, sia delle particolari condizioni in cui viene a trovarsi la lotta in val di Susa, di fronte all’assoluta sordità delle istituzioni e delle forze politiche verso le istanze della popolazione locale». Ma resta il fatto che i quattro «sono stati sottoposti ad un regime detentivo di massima sicurezza, con misure afflittive del tutto sproporzionate al fatto». Secondo alcuni media, i No-Tav denunciati sono ormai un migliaio, e il processo attualmente in corso non si svolge in tribunale, ma nell’aula-bunker del carcere torinese delle Vallette, secondo modalità proprie dei maxi-processi contro il terrorismo e la mafia. Oggi, la Cassazione dà ragione ai tanti giuristi che avevano protestato per la formulazione del reato di terrorismo contro i quattro giovani No-Tav, mentre resta tuttora senza colpevoli il terrorismo (vero) che colpì la valle di Susa negli anni ‘90, con una inquietante sequenza di attentati dinamitardi progettati per incolpare fantomatici “eco-terroristi”, mai individuati e probabilmente mai esistiti.
    Secondo Giannuli, i quattro ragazzi – fino a ieri sotto processo per terrorismo dopo una notte di “assedio” al cantiere di Chiomonte con lanci di molotov – ora dovranno affrontare il giudizio penale «in condizioni di svantaggio psicologico», perché «già la derubricazione del reato parrà una misura di clemenza», per cui «sarà più difficile ottenere quelle attenuanti di quanto sarebbe stato in diverse condizioni di partenza». Per Giannuli, storico dell’università di Milano e consulente di giustizia in tanti processi sulle “stragi impunite”, i problemi sono due: la norma giudiziaria italiana e i suoi utilizzatori. L’anomalia normativa risale all’articolo “270 sexies” del codice penale introdotto nel 2005, «nel clima certamente non sereno seguito al terribile attentato dell’11 settembre 2001», quello contro le Torri Gemelle. L’articolo considera “con finalità di terrorismo” le “condotte” che, “per la loro natura o contesto”, possono “arrecare grave danno ad un paese o ad un’organizzazione internazionale”, e sono compiute “allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici” a “compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto” o “destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un paese”.
    Giannuli fa notare «il carattere eccessivamente vago e imprecisato della fattispecie penale: neppure si esplicita che sia necessario l’uso della violenza (che resta sottintesa)». Molto più genericamente, si parla solo di una “condotta” che possa condizionare i poteri pubblici in relazione a “qualsiasi atto”. «Cosa vuol, dire “qualsiasi atto”? Se un gruppo di cittadini cerca di impedire lo sgombero di case occupate, magari alzando barricate, certamente commette un reato, ma si può parlare di terrorismo per questo? E se il tentativo di indurre i pubblici poteri a recedere da una decisione fosse fatto con frode, potremmo parlare di terrorismo? La norma è così dilatabile che non si comprende bene dove debba arrestarsi». E’ comprensibile – fino a un certo punto – che, di fronte alla minaccia del terrorismo internazionale, il legislatore possa essersi «fatto prendere la mano». Ma oggi, «ad un decennio da quei fatti e con una minaccia tanto ridimensionata», dobbiamo proprio «continuare a tenerci una norma così pericolosamente fluida?». Questi, sottolinea Giannuli, «sono i danni delle “norme di eccezione” che entrano nell’ordinamento per una emergenza e poi ci restano anche quando l’emergenza è passata».
    Tutto questo, accusa Giannuli, «contribuisce a plasmare la mentalità dei magistrati indirizzandoli verso un uso non garantista del diritto penale: come si in questo paese ce ne fosse bisogno, con la magistratura che ci ritroviamo!». Negli ultimi dieci anni, continua lo storico, abbiamo assistito «ad una tendenza della magistratura inquirente ad alzare il tiro, beninteso, quando si tratta di conflittualità sociale, mentre l’atteggiamento è ben più esastico per i reati finanziari o degli appartenenti ai corpi di polizia, nel qual caso passano in cavalleria addirittura gli omicidi». Ormai, «si contesta il reato di devastazione e saccheggio anche se qualcuno sfascia una vetrina o un altro tira giù un segnale stradale e le imputazioni per reati gravissimi sono seminate come noccioline. Neppure ci si pone il problema della commisurazione dell’atto rispetto ai possibili effetti». Vale anche per i No-Tav, ovviamente. In quel caso, secondo Giannuli, l’inquirente ha ragionato così: il lancio delle molotov era finalizzato a bloccare i lavori della linea ferroviaria programmata dallo Stato? Dunque, era rivolto a costringere i poteri pubblici a non attuare quel progetto, e pertanto siamo negli estremi previsti dall’articolo “270 sexies”.
    «In tutto questo ragionamento, non si prende neppure in considerazione se il gesto in questione fosse idoneo ad ottenere l’effetto in questione», continua Giannuli. «Insomma, se cerco di fare una rapina in banca armato di temperino, magari le mie intenzioni sono quelle, ma appare scarsamente realistico che la cosa possa sortire l’effetto voluto ed è probabile che qualcuno mi prenda per matto più che per rapinatore». L’intenzione soggettiva? «Non è criterio di per sé sufficiente a caratterizzare il reato». Specie in un caso come quello della valle di Susa, dove gli stessi imputati – che ammettono la loro volontà di boicottare i lavori – al tempo stesso negano decisamente di aver mai voluto arrecare danno alle persone. E’ bene ricordare che in valle di Susa si sono svolte centinaia di manifestazioni nel corso degli ultimi anni, largamente pacifiche. Solo dal 2011 si è avuto qualche scontro ai margini, coinvolgendo singole fazioni, a volte anche con dei feriti. Ma non è mai stata riscontrata la detenzione di armi da fuoco o, peggio, di arsenali (armi da guerra, bombe) tipici del terrorismo.
    La magistratura inquirente torinese – interpretando quella legge del 2005, nel modo oggi “bocciato” dalla Cassazione – ha alzato il tiro contro una parte dei manifestanti, armati di molotov, petardi, fionde e tubi per lanciare razzi pirotecnici. Mano pesante, insomma, contestando il rischio che quelle attrezzature potessero comunque mettere in pericolo l’incolumità delle persone, operai del cantiere e agenti di sorveglianza. «Questo atteggiamento della magistratura non è una tendenza solo italiana», dice ancora Giannuli, citando «il comportamento della magistratura inglese nel 2011 nei confronti della rivolta giovanile di quella estate». In valle di Susa, però, «mi pare che stiamo facendo gli straordinari». Per Giannuli, la verità è che «il tempo della crisi spinge a comportamenti repressivi anche al di là della legalità: la spropositata accusa di terrorismo ai giovani No-Tav è figlia di questa cultura giuridica e di questa funzione repressiva spinta al parossismo». Sicché, «al di là dei singoli casi, si rende necessaria e urgente una presa di coscienza dei termini reali del problema della giustizia penale».

    La Cassazione ha fatto cadere l’accusa di “condotta con finalità di terrorismo” per il lancio di bottiglie molotov contro il cantiere Tav di Chiomonte? Non cantiamo vittoria, avverte Aldo Giannuli: certo viene alleggerita la posizione dei quattro imputati, arrestati con una accusa «tanto spropositata», ma – al processo – il ridimensionamento dell’imputazione potrebbe essere interpretato come già “premiante” di per sé, scaricando sui quattro giovani il massimo della pena per reati di teppismo. La vicenda dei No-Tav dimostra «quale sia la funzione cardine della magistratura nei processi di globalizzazione: sul versante civilistico attraverso l’assunzione dei principi della “lex mercatoria” e su quello penale attraverso l’emergenzialismo contro i conflitti sociali». Se nel mirino finisce (virtualmente) chiunque protesti, bisogna «sbarazzarsi delle mitologie giustizialiste di questi anni, di chi ha visto nella magistratura il baluardo della Costituzione, dove c’era semplicemente uno scontro fra diverse fazioni del potere».

  • Kiev, la guerra sporca di Obama per fermare la Cina

    Scritto il 04/5/14 • nella Categoria: idee • (5)

    «Le provocazioni degli Stati Uniti in Ucraina non possono essere comprese se si prescinde dal “Pivot Asiatico”», ovvero il grande piano strategico concepito da Washington «porre sotto controllo la crescita cinese, in modo da renderla compatibile con le ambizioni egemoniche degli Stati Uniti». I “cacciatori di draghi”, sostiene Mike Whitney, sono per una strategia di contenimento, mentre i “panda huggers”, cioè gli occidentali filo-Pechino, vorrebbero un “fidanzamento”. Non si sa chi riuscirà a prevalere, ma è chiaro fin d’ora che «dipenderà in modo pesante dalla forza militare», considerando anche le ostilità in atto nel Mar Cinese Meridionale e nelle isole Senkaku, contese al Giappone. Cos’ha a che fare il controllo della Cina con il polverone alzato in Ucraina? Facile: Washington teme la Russia come formidabile fornitore di energia, lungo l’asse eurasiatico. Ecco perché «ha deciso di utilizzare l’Ucraina come banco di prova per un attacco contro la Russia: una Russia forte ed economicamente integrata con l’Europa è una minaccia per l’egemonia degli Stati Uniti».
    Washington, scrive Whitney in un post su “Counterpunch” ripreso da “Come Don Chisciotte”, vuole una Russia debole, impossibilitata a sfidare la presenza americana in Asia Centrale, dove gli Usa puntano a controllare le risorse energetiche vitali. «La Russia fornisce attualmente circa il 30% del gas naturale necessario all’Europa Centrale e all’Occidente, il 60% del quale transita attraverso l’Ucraina. Le popolazioni e le imprese europee dipendono dal gas russo per riscaldare le loro case e per fornire energia ai loro macchinari». Il rapporto di scambio tra Ue e Russia? E’ «reciprocamente vantaggioso», perché «rafforza sia il compratore che il venditore», mentre escude gli Usa, che «non guadagnano nulla dal partenariato Ue-Russia, ragione per cui Washington vuole bloccare l’accesso di Mosca ai mercati “critici”: questa forma di sabotaggio commerciale va considerato come un atto di guerra».
    I rappresentanti delle “Big Oil”, le più grandi multinazionali del settore energetico, conosciute anche come “supermajors”, tempo fa pensavano di poter competere con Mosca attraverso la costruzione di sistemi alternativi, come il Nabucco. «Ma il piano è fallito, e così Washington è passata al piano-B, ovvero al taglio del flusso di gas dalla Russia verso l’Ue». Interponendosi tra i due partner commerciali, continua Whitney, gli Stati Uniti «sperano di poter sovrintendere alla futura distribuzione delle forniture energetiche, e di controllare la crescita economica dei due continenti». Il problema che Obama sta per avere? «Convincere i cittadini dell’Ue che i loro interessi siano stati effettivamente serviti, visto che dovranno pagare il gas, nel 2015, il doppio di quanto hanno fatto nel 2014 – che è quello che succederà se il piano statunitense dovesse riuscire». Per centrare l’obiettivo, gli Stati Uniti «stanno facendo di tutto per attirare Putin in un “confronto”, in modo che i media lo possano trattare alla stregua di un vizioso aggressore che minaccia la sicurezza europea».
    La demonizzazione di Putin, aggiunge Whitney, fornirà le giustificazioni necessarie per fermare il flusso di gas fra la Russia e l’Ue, indebolendo ulteriormente l’economia russa e dando nuove opportunità alla Nato per impiantare basi operative sul perimetro occidentale della Russia. «Non fa alcuna differenza, per Obama, se le persone saranno strozzate dai prezzi del gas, o se dovranno semplicemente morire congelate dal freddo. Ciò che conta davvero è la politica del “pivot” nei riguardi dei mercati più prosperi e promettenti del prossimo secolo». Ciò che conta, per la Casa Bianca, «è schiacciare Mosca tagliando le sue vendite di gas naturale, erodendo al contempo la sua capacità di difesa ed i suoi interessi». Per cui, «seguire gli incidenti giornalieri in Ucraina come se fossero separati dal quadro generale è semplicemente ridicolo», osserva Whitney. «Fanno tutti parte della stessa folle strategia».
    Ne parla apertamente uno stratega come Zbigniew Brzezinski, che a “Foreign Affairs” spiega che «l’Eurasia è ora la scacchiera geopolitica decisiva: non si può più adottare una politica per l’Europa ed un’altra per l’Asia», visto che l’obiettivo è «il primato globale dell’America». Per questo, dice Whitney, «la Cia ed il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti hanno attuato il colpo di Stato per rovesciare il presidente ucraino Viktor Yanukovich, per poterlo rimpiazzare con un loro fantoccio», il premier Arseniy Yatsenyuk, che a sua volta ha ordinato due “operazioni antiterrorismo” per «reprimere gli attivisti disarmati dell’Ucraina Orientale che si oppongono alla giunta di Kiev». Obama, inoltre, «ha evitato d’impegnarsi con Putin in un dialogo costruttivo, volto a trovare una soluzione pacifica alla crisi attuale», perché «vuole impegnare il Cremlino in una lunga guerra civile per indebolire la Russia, screditare Putin e spostare l’opinione pubblica dalla parte degli Stati Uniti e della Nato».
    Putin sa già quello che vuole Obama: la guerra. «Ecco perché il direttore della Cia, John Brennan, è apparso a Kiev il giorno precedente a quello in cui il premier-golpista Yatsenyuk ha ordinato il primo giro di vite sui manifestanti pro-russi nell’est del paese». Ed ecco perché il vicepresidente americano Joe Biden è apparso a Kiev «solo poche ore prima che Yatsenyuk lanciasse il suo secondo giro di vite su quei manifestanti». Alimentare l’incendio: è quello a cui mira Washington, cercando di coinvolgere l’Europa in sempre nuove sanzioni contro Mosca. Dettaglio decisivo: a rimetterci è soprattutto l’Europa. Il peggio, ovviamente, è l’escalation militare. «Sembra che Washington abbia la necessità di attirare le truppe russe in un conflitto», aggiunge Whitney. «Putin ha dichiarato ripetutamente che “risponderà”, se dei russi dovessero essere uccisi in Ucraina. E’ questa la linea rossa da non superare». L’ha ripetuto il ministro degli esteri Sergej Lavrov, solitamente pacato, definendo «criminale» l’attacco di Yatsenyuk ai civili ucraini: «Un attacco ai cittadini russi – avverte Lavrov – sarà considerato come un attacco alla Federazione Russa». Putin finirà nella mischia? Nel caso, è meglio non dimentare la posta in gioco: Mosca, per Obama, è solo l’antipasto. Poi viene Pechino.

    «Le provocazioni degli Stati Uniti in Ucraina non possono essere comprese se si prescinde dal “Pivot Asiatico”», ovvero il grande piano strategico concepito da Washington «porre sotto controllo la crescita cinese, in modo da renderla compatibile con le ambizioni egemoniche degli Stati Uniti». I “cacciatori di draghi”, sostiene Mike Whitney, sono per una strategia di contenimento, mentre i “panda huggers”, cioè gli occidentali filo-Pechino, vorrebbero un “fidanzamento”. Non si sa chi riuscirà a prevalere, ma è chiaro fin d’ora che «dipenderà in modo pesante dalla forza militare», considerando anche le ostilità in atto nel Mar Cinese Meridionale e nelle isole Senkaku, contese al Giappone. Cos’ha a che fare il controllo della Cina con il polverone alzato in Ucraina? Facile: Washington teme la Russia come formidabile fornitore di energia, lungo l’asse eurasiatico. Ecco perché «ha deciso di utilizzare l’Ucraina come banco di prova per un attacco contro la Russia: una Russia forte ed economicamente integrata con l’Europa è una minaccia per l’egemonia degli Stati Uniti».

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