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Archivio del Tag ‘scandali’

  • Magaldi: l’Oms cinese e il nuovissimo Ministero della Verità

    Scritto il 07/4/20 • nella Categoria: segnalazioni • (5)

    Taci, il nemico ti ascolta. Siamo arrivati al Minculpop all’amatriciana del sempre più sconcertante “avvocato del popolo”, capace di chiudere gli italiani in casa lasciandoli anche senza soldi? Di male in peggio: ora sarà l’orwelliano Ministero della Verità a vigilare sulle notizie somministrabili ai sudditi, in tema di coronavirus. Nella nuova “Unità per il monitoraggio delle notizie false”, voluta dal sottosegretario Andrea Martella (Pd, ovviamente) monteranno la guardia «specialisti della comunicazione e del fact-checking», spiega “Repubblica”, quotidiano di proprietà di John Elkann (Fiat-Fca). Nomi del calibro di Riccardo Luna, editorialista di “Repubblica”, nonché Francesco Piccinini (direttore di “Fanpage”) e David Puente, “responsabile fact-checking” per il giornale online “Open”, fondato da Enrico Mentana (firmatario, con Grillo e Renzi, del “Patto per la Scienza” guidato da Roberto Burioni, che ha appena chiesto alla magistratura di spegnere “ByoBly”, il video-blog di informazione indipendente più amato e seguito dagli italiani). La task force messa in piedi da Martella a Palazzo Chigi? «Ridicola e grottesca, oltre che preoccupante», la definisce Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt.
    «Stiamo ancora aspettando – dice Magaldi – che i grandi media (quelli che secondo il governo sarebbero depositari della verità unica) facciano ammenda per le tante fake news ufficiali spacciate in queste anni, a partire da quella sulle inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein». Quanto al cosiddetto complottismo, Magaldi accusa: «Spesso, alimentare tesi vistosamente strampalate è funzionale a chi detiene il potere, per screditare in partenza qualsiasi voce alternativa». Magaldi è allarmato per la folle situazione in cui versa l’Italia: libertà drasticamente azzerata ed economia prossima al coma, «grazie a un governo che prende per il naso lavoratori, famiglie e aziende, senza fornire precise garanzie sulla ripresa». Un “suicidio” di massa, scandaloso: «Ancora non è stato dato un concreto aiuto materiale a chi è stato costretto a restare a casa e non ha risorse per far fronte alle necessità anche solo alimentari della famiglia». L’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt, ha le idee chiarissime: «Non resta che emettere moneta sovrana: moneta di Stato, “non a debito”, non convertibile in euro e spendibile solo in Italia, fondamentale per impedire che la nostra economia crolli».
    A insospettire Magaldi è anche l’incredibile confusione cui stiamo assistendo: «Fa pensare al motto massonico “ordo ab chao”: il caos è quello che purtroppo stiamo già vivendo, e temo che il “nuovo ordine” che si prepara possa rivelarsi inquietante, cioè senza un ritorno alla piena libertà di prima. Troppe voci continuano a prefigurare un futuro in cui dovremo rinunciare alle possibilità di movimento a cui, da sempre, eravamo abituati». Un sospetto che viene dalla Cina, o meglio dall’Oms, il cui presidente – il politico etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus – è ora accusato dal “Wall Street Journal” di aver “coperto” il grave ritardo con cui le autorità di Pechino hanno diffuso le notizie sulla iniziale diffusione del Covid-19, salvo poi raccomandare (anche all’Italia) il modello-Wuhan, cioè il “coprifuoco”, come unica possibile strategia antivirus. «L’Etiopia ha strettissimi legami con la Cina: è uno snodo centrale, strategico, per l’egemonia cinese sull’Africa». Anche per questo, secondo Magaldi, è ben poco rassicurante la longa manus protesa dall’Oms, che è presente anche nel governo italiano (con Walter Ricciardi, ingaggiato in qualità di super-consulente del ministro della sanità Roberto Speranza).
    «Noi comunque non staremo con le mani in mano – avverte Magaldi – specie se poi la riapertura dell’Italia dovesse essere ulteriormente rinviata». Il Movimento Roosevelt, che sta attrezzando uno “sportello legale” per assistere i cittadini alle prese coi decreti dello stato d’emergenza, ha inoltre in cantiere una “task force costituzionale” per «difendere i cittadini da eventuali abusi, accuse e vessazioni civili e penali di palese natura antidemocratica, liberticida e anticostituzionale». Magaldi prevede un ampio ricorso, appena possibile, in tutte le sedi giudiziarie, a maggior ragione «se qualcuno tentasse, come già si ventila, di rafforzare ulteriormente i poteri straordinari dell’esecutivo, approfittando sciaguratamente della situazione emergenziale». Non è tutto: «A giorni – conclude Magaldi – presenteremo al governo le nostre proposte per cominciare finalmente ad assistere gli italiani, sul piano economico. Se venissero ignorate – avverte – potremmo anche decidere di violare la legge, in modo nonviolento e democratico, con azioni dimostrative nelle piazze».

    Taci, il nemico ti ascolta. Siamo arrivati al Minculpop all’amatriciana del sempre più sconcertante “avvocato del popolo”, capace di chiudere gli italiani in casa lasciandoli anche senza soldi? Di male in peggio: ora sarà l’orwelliano Ministero della Verità a vigilare sulle notizie somministrabili ai sudditi, in tema di coronavirus. Nella nuova “Unità per il monitoraggio delle notizie false”, voluta dal sottosegretario Andrea Martella (Pd, ovviamente) monteranno la guardia «specialisti della comunicazione e del fact-checking», spiega “Repubblica”, quotidiano di proprietà di John Elkann (Fiat-Fca). Nomi del calibro di Riccardo Luna, editorialista di “Repubblica”, nonché Francesco Piccinini (direttore di “Fanpage”) e David Puente, “responsabile fact-checking” per il giornale online “Open”, fondato da Enrico Mentana (firmatario, con Grillo e Renzi, del “Patto per la Scienza” guidato da Roberto Burioni, che ha appena chiesto alla magistratura di spegnere “ByoBly”, il video-blog di informazione indipendente più amato e seguito dagli italiani). La task force messa in piedi da Martella a Palazzo Chigi? «Ridicola e grottesca, oltre che preoccupante», la definisce Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt.

  • Carpeoro: né cure né aiuti, grazie a Conte. E l’Italia esplode

    Scritto il 29/3/20 • nella Categoria: idee • (9)

    Sessanta milioni di ostaggi: non del coronavirus, ma di un governo catastrofico. Tutta la rabbia di Gianfranco Carpeoro, su YouTube il 29 marzo, in video-chat con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Un’ora di analisi impietose sullo sfacelo-Italia. L’accusa: due cose doveva fare, Conte. La prima: trovare una cura, alla svelta, per il Covid-19. La seconda: tamponare subito la crisi delle famiglie più fragili, costrette a casa e rimaste senza soldi. E non ha fatto né l’una né l’altra. Infatti, zero investimenti d’urgenza sulla ricerca. Quanto agli aiuti materiali, solo annunci e proclami: «Non un soldo finora erogato, dopo settimane di divieti assurdi contenuti in ben quattro decreti, tutti incostituzionali, vergati da quel fior d’avvocato che abbiamo come presidente del Consiglio». Condanna senza appello: «Un governo senza idee, intempestivo, pavido». Senza neppure il coraggio di mobilitare «le grandi aziende che, allo Stato, devono sontuosi favori», come quelle della grande distribuzione. «Dove sono, gli ipermercati? Perché non mettono un soldo, per contribuire a fronteggiare l’emergenza? Perché il governo non chiede loro di consegnare la spesa gratis, a chi ne ha bisogno? Cosa si aspetta, che si finisca a coltellate nelle strade?».
    Timore ammesso, finalmente, anche dal ministro dell’interno Luciana Lamorgese. «E si accorge solo adesso che l’ordine pubblico potrebbe essere a rischio?». Si paventa l’impiego diretto dei militari: «Se dovessero essere costretti a reprimere proteste – dice Carpeoro – alcuni reparti potrebbero anche rifiutarsi di eseguire ordini inaccettabili: e a quel punto il governo cadrebbe». Naturalmente, Carpeoro spera che le più fosche previsioni vengano smentite dai fatti: guai, se la situzione dovesse precipitare a tal punto. Ma il pericolo è reale: «Toglietevi dalla testa che la situazione rientri a breve nella normalità: non se parla prima di giugno». Economia azzerata dalla paralisi imposta per decreto: il rischio che saltino i nervi cresce, di giorno in giorno. «E il governo non osa dire, ai cittadini, cosa li aspetta: preferisce procedere così, di proroga in proroga». Aiuti dall’Europa? Per ora esclusi, a quanto pare: grazie alla solita Germania, e soprattutto «a uno Stato mafioso e criminale come l’Olanda», che notoriamente – essendo un paradiso fiscale scandalosamente tollerato dall’Ue – drena risorse strategiche anche all’Italia, salvo poi impedirle di accedere a finanziamenti salva-vita che oggi sarebbero drammaticamente urgenti.
    Conte? Al di là delle recite, sembra strare al gioco: «Ha stretto un patto segreto con l’establishment europeo, che l’ha aiutato a restare a Palazzo Chigi», dopo le dimissioni di Salvini. Durerà? Dipende: se esplode la protesta sociale, addio “avvocato del popolo”. Draghi farebbe meglio, al suo posto? Ovvio: chiunque farebbe meglio di Conte. Quanto all’ex presidente della Bce, «non lascerebbe gli ospedali senza i reagenti per i tamponi. E avrebbe giocato d’anticipo, mettendo mano ad aiuti immediati per evitare qualsiasi esplosione di esasperazione». Saprebbe come agire, Draghi, al contrario di «questi incapaci assoluti che oggi sono al governo: impogono le mascherine, ma poi la gente non sa dove trovarle». Per Carpeoro, l’apocalisse-coronavirus mostra un ritratto anche impietoso dell’Italia, quasi fosse «un paese di cretini, coi vicini di casa che ora si sentono sceriffi e si mettono a sostituire i poliziotti». Spionaggio di massa? «Leciti tutti i controlli: quello che contesto sono i troppi divieti».
    Carpeoro accusa: se l’Italia è nel caos e di fronte al baratro, lo deve a questo governo imbelle. A oltre due mesi dal primo allarme, ancora non è stato adottato un protocollo medico, univoco ed efficace, almeno per limitare i danni. Andavano investiti del compito, da subito, i nostri maggiori istituti di ricerca. E invece: zero, si naviga ancora a vista. Lo stesso Carpeoro è convinto che i morti sarebbero stati gli stessi, anche senza imporre il coprifuoco: ma serviva il coraggio di non fermare l’economia. Visto che invece si è scelto di assecondare il panico, occorreva almeno attrezzarsi in modo serio: tutti a casa, ma col frigo pieno. E con garanzie vere sulla ripresa: niente tasse, e aiuti concreti. «Altri paesi, dove l’emergenza è scattata molto dopo, rispetto all’Italia, già stanno indennizzando aziende, lavoratori ed esercenti. In Italia, invece, per ora solo chiacchiere». Assente, il governo, su tutti i fronti: «Banche e assicurazioni, per esempio: non sono state invitate a dare una mano. Un governo serio avrebbe mille modi per convincerle, anche minacciando di abolire l’obbligo assicurativo per le auto». In compenso, non manca chi sfotte l’anziano Berlusconi – ormai fuori dai giochi – per una sua ipotetica “fuga” in Francia, in realtà mai avvenuta. «A questi imbecilli – tuona Carpeoro – ricordo che Berlusconi ha donato 10 milioni di euro. E domando: quanto ha donato De Benedetti? E quanto ha donato Prodi, che è stra-miliardario?».

    Sessanta milioni di ostaggi: non del coronavirus, ma di un governo catastrofico. Tutta la rabbia di Gianfranco Carpeoro, su YouTube il 29 marzo, in video-chat con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Un’ora di analisi impietose sullo sfacelo-Italia. L’accusa: due cose doveva fare, Conte. La prima: trovare una cura, alla svelta, per il Covid-19. La seconda: tamponare subito la crisi delle famiglie più fragili, costrette a casa e rimaste senza soldi. E non ha fatto né l’una né l’altra. Infatti, zero investimenti d’urgenza sulla ricerca. Quanto agli aiuti materiali, solo annunci e proclami: «Non un soldo finora erogato, dopo settimane di divieti assurdi contenuti in ben quattro decreti, tutti incostituzionali, vergati da quel fior d’avvocato che abbiamo come presidente del Consiglio». Condanna senza appello: «Un governo senza idee, intempestivo, pavido». Senza neppure il coraggio di mobilitare «le grandi aziende che, allo Stato, devono sontuosi favori», come quelle della grande distribuzione. «Dove sono, gli ipermercati? Perché non mettono un soldo, per contribuire a fronteggiare l’emergenza? Perché il governo non chiede loro di consegnare la spesa gratis, a chi ne ha bisogno? Cosa si aspetta, che si finisca a coltellate nelle strade?».

  • Barnard a Burioni: non siete scienza, se oscurate Montanari

    Scritto il 29/3/20 • nella Categoria: idee • (4)

    Caro dottor Roberto Burioni, e suoi colleghi del Patto Trasversale per la Scienza, so che avete preso di petto il giornalista Claudio Messora, la sua testata “ByoBlu” e il naopatologo Montanari, Messora pubblicato. Be’, giusto per creare un “level plain field”, vi dico che non sono amico di nessuno dei due e ho sempre rifiutato di comparire sulla testata. Ma… c’è un “ma”. Il “ma” è che quando vedo che la scienza, nata da Galileo Galilei, si comporta come una cordata democristiana ai tempi di Ciriaco De Mita, be’, allora devo parlare, dottor Burioni. Le faccio dei nomi. Ignác Fülöp Semmelweis, Kery Mullys, Richard Horton, Freeman Dyson, Galileo Galilei. Abbia la pazienza, per cortesia, di ascoltare questi pochi minuti. Ignác Fülöp Semmelweis fu il medico ungherese che perse la vita, letteralmente, perché si accorse che la sepsi pureperale, che ai suoi tempi ammazzava decine di migliaia di donne gravide e di feti, era dovuta al fatto che i medici passavano da malato a malato, per poi infine visitare le gravide, senza lavarsi le mani nude. Le sue grida d’allarme furono prima ridicolizzate, poi fecero infuririare quelli che fanno i Patti per la Scienza, e infine – letteralmente – lo ammazzarono, rinchiudendolo in un manicomio, dove dopo due settimane di torture morì. Ma aveva ragione. Ci vollero decenni, e vallate di morti innocenti, perché la scienza se ne accorgesse.
    Kery Mullys fu l’inventore della “polymerase chain reaction” la Pcr, la tecnica di amplificazione di pezzi di acido nucleico, che non solo ha cambiato la storia dell’intera scienza biomedica, ma è ciò che oggi ci permette di identificare con certezza la presenza del coronavirus negli umani. Per questa scoperta, tra l’altro, Mullys vinse il Premio Nobel nel ‘93. Era un mio amico, Kery Mullys: lo invervistai per due mie inchieste di “Report”, negli anni Novanta, mangiavano gli spaghetti ai gamberoni fatti ha me nella sua casa di La Hoja, in California. Mullys mi disse, e l’aveva detto all’America delle scienze, che l’intero establishment scientifico globale aveva preso un immenso abbaglio, in virologia, cona la scoperta dell’Hiv come unica causa dell’Aids. Immagini, Burioni, il caos che ne seguì, quando “Report” di Gabanelli trasmise alla Rai quella mia inchiesta, quella mia intervista: Furio Colombo si “scarabattò” sudaticcio in qualche talkshow di punta, a smentire Mullys, e a chiedere implicitamente che lui, “Report” e io fossimo relegati alla vergogna. Anni dopo, Luc Montagner – il vero scopritore dell’Hiv – ammise che dovevano esserci dei co-fattori ad aiutare l’Hiv a causare l’Aids.
    In realtà, poi, il grande dissidente dell’Hiv come causa dell’Aids è un altro luminare americano, Peter Duesberg – altro mio caro amico, che fu eletto membro dell’Accademia delle Scienze Usa, per esser stato lo scopritore del primo onco-virus al mondo. Duesberg, letteralmente, fece perdere la testa agli scienziati: quando nel 1996, su Mullys e Duesberg, io intervistai il “baronissimo” dei baroni, cioè Anthony Fauci all’Nih, sperimentai i 25 minuti di odio più intensi, da parte di un intervistato, nella storia del giornalismo. Ma qui arriva Richard Horton (e lei sa chi è). Per il pubblico, è il direttore della più prestigiosa rivista scientifica del mondo, il “The Lancet”, su cui mi auguro che lei, Burioni, abbia abbondantemente pubblicato (immagino di sì). Richard Horton fu talmente scandalizzato dai tentativi della scienza di mettere a tacere delle voci scomode, che sul “The New York Review of Books”, nientemeno, scrisse: «Sono voci che comunque meritano di essere ascoltate, e l’assassinio ideologico che hanno subito rimarrà come un testamento imbarazzante delle tendenze reazionarie della scienza moderna». Cari Burioni e colleghi del Patto Trasversale per la Scienza, inizia a venirvi in mente qualcosa che avete fatto, in questi giorni, in Italia?
    E infine Freeman Dyson, deceduto a 96 anni, proprio il 28 febbraio scorso: era l’ultimo sopravvissuto dell’immenso “cluster” di geni della fisica e della matematica del Novecento, da Albert Einstein a Robert Oppenheimer, da Enrico Fermi a Alan Turing fino a Richard Feynman e Stephen Hawking. Freeman Dyson lavorò con tutti loro, e sedette fino alla sua morte nell’ufficio accanto a quello di Einstein, nell’Institute of Advanced Studies di Princeton, in America (più alto di lì non si va – almeno, con la relatività generale di questo universo). Lo conobbi brevemente: un uomo meraviglioso. Ma Dyson non era solo un “contrarian”: era proprio l’eretico degli eretici, in scienza. C’è una sua meravigliosa “lecture” al Pardee Centre della Boston University, dove inizia dicendo: «I dogmi scientifici odierni probabilmente sono giusti, ma devono essere sfidati». Quest’uomo, che fu definito un genio ha Hans Bethe (e spero che lei, Burioni, sappia chi era, Hans Bethe: fu il cervello che scrisse la matematica di quasi tutta la fisica quantistica, da Niels Bohr fino a Richard Feynman), trascorse gli ultimi anni della sua vita a prendersi tegole in testa dai Patti Trasversali per la Scienza, quando: 1) sfidò i modelli matematici dei climatologi sul “climate change”, definendoli “flat wrong”, cioè pessima aritmetica; 2) si mise contro l’invero movimento verde globale, dichiarando che gli orgamismi geneticamente modificati sono un tesoro di salvezza per i poveri, e non il loro veleno; 3) quando dichiarò che Darwin ci aveva forse preso, su come si sono evolute le macro-forme viventi, ma non aveva capito nulla dell’evoluzione dei microorganismi della Terra per miliardi di anni.
    E le tegole in testa, caro dottor Burioni, se le presero pure quelli che lo pubblicavano, cioè che pubblicavano un ostinato negazionista dei teoremi scientifici oggi dati per scontati. Ma mai – mai e poi e mai, Burioni – i suoi colleghi internazionali, ai livelli dell’Institute for Advanced Studies di Princeton, la seconda patria di Einstein, o ai livelli del “The Lancet”, si sognarono di trottare nelle Procure a denunciare chi aveva dato voce agli iconoclasti. Anzi – e ve lo ripeto, esimi Burioni e colleghi del Patto Trasversale per la Scienza: Horton, direttore del “The Lancet”, scrisse: «Sono voci che meritano di essere ascoltate, e l’assasinio ideologico che hanno subito rimarrà come testamento imbarazzante delle tendenze reazionarie delle scienza moderna». State umiliando il ricordo di Galileo Galilei, dottor Burioni e Patto Trasversale per la Scienza: il Galileo scandaloso e le sue folli idee, eretiche e pericolose al pubblico dei fedeli, zittito dalle Procure di allora (l’Inquisizione). Ritirate l’esposto contro “ByoBlu”, oppure togliete la parola “scienza” dal vostro Patto. E cito, ancora: «I dogmi scientifici odierni probabilmente sono giusti, ma devono essere sfidati» (Freeman Dyson).
    (Paolo Barnard, “Il testamento imbarazzante delle tendenze reazionarie della scienza moderna”, video-messaggio del 28 marzo 2020 in sostegno di “ByoBlu”, video-blog denunciato dal Patto Trasversale per la Scienza guidato da Roberto Burioni per aver dato spazio a Stefano Montanari e alle sue tesi alternative sul coronavirus).

    Caro dottor Roberto Burioni, e suoi colleghi del Patto Trasversale per la Scienza, so che avete preso di petto il giornalista Claudio Messora, la sua testata “ByoBlu” e il naopatologo Montanari, Messora pubblicato. Be’, giusto per creare un “level plain field”, vi dico che non sono amico di nessuno dei due e ho sempre rifiutato di comparire sulla testata. Ma… c’è un “ma”. Il “ma” è che quando vedo che la scienza, nata da Galileo Galilei, si comporta come una cordata democristiana ai tempi di Ciriaco De Mita, be’, allora devo parlare, dottor Burioni. Le faccio dei nomi. Ignác Fülöp Semmelweis, Kery Mullys, Richard Horton, Freeman Dyson, Galileo Galilei. Abbia la pazienza, per cortesia, di ascoltare questi pochi minuti. Ignác Fülöp Semmelweis fu il medico ungherese che perse la vita, letteralmente, perché si accorse che la sepsi pureperale, che ai suoi tempi ammazzava decine di migliaia di donne gravide e di feti, era dovuta al fatto che i medici passavano da malato a malato, per poi infine visitare le gravide, senza lavarsi le mani nude. Le sue grida d’allarme furono prima ridicolizzate, poi fecero infuririare quelli che fanno i Patti per la Scienza, e infine – letteralmente – lo ammazzarono, rinchiudendolo in un manicomio, dove dopo due settimane di torture morì. Ma aveva ragione. Ci vollero decenni, e vallate di morti innocenti, perché la scienza se ne accorgesse.

  • Virus letali contro la popolazione? Gli Usa la sanno lunga

    Scritto il 21/3/20 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    Quelli che prevengono le malattie e si espongono alla creazione di virus sono eroici, ma quelli che creano e diffondono intenzionalmente malattie e virus sono spietati. Data la storia del governo degli Stati Uniti e del suo complesso industriale militare riguardo alla guerra batteriologica e con i germi, l’uso di questi agenti contro le grandi popolazioni e il desiderio di creare agenti che sono ceppi specifici per razza, queste potenti entità sono diventate diffusori di morte, che non dimostrano compassione per gli innocenti. I virus artificiali intesi per la guerra, che si tratti di rovina economica, fame o morte di massa, sono i meccanismi del vero male che è tra noi. Una volta pensavo che la guerra nucleare avrebbe segnato la fine della vita per come la conosciamo, ma considerando la guerra e la tecnologia della modernità, ora penso che virus incontrollati e mortali possano logorare la popolazione mondiale, poiché uno dopo l’altro i veleni vengono rilasciati come atti di guerra nascosta. Non può esserci fine a questa follia, poiché qualsiasi ritorsione con la stessa moneta comporterà la diffusione di malattie in tutto il mondo: tutto creato dall’uomo.
    Il nuovo coronavirus (2019-nCoV) è uno in una serie di molti che, probabilmente ma più certamente, non sono stati i soli prodotti dall’uomo nei laboratoro. Questo virus ha caratteristiche uniche, che hanno avuto luogo in precedenza con Sars e Mers, e ha materiale genetico che non è mai stato identificato e non è legato a nessun virus noto, animale o umano. Questo dovrebbe essere preoccupante per tutti, perché se questo è prodotto dall’uomo, è stato fabbricato come un’arma da guerra. Quindi chi è responsabile del suo rilascio in Cina? È possibile che questo virus sia stato creato in Cina e sia stato “accidentalmente” rilasciato nella popolazione, ma non sembra credibile a qualsiasi livello: pensate che il governo cinese avrebbe creato un virus specifico per la razza cinese e lo avrebbe rilasciato nel proprio paese? È interessante notare che, in passato, le università e le Ong statunitensi si sono recate in Cina appositamente per fare esperimenti batteriologici illegali, e questo è stato così vergognoso, per i funzionari cinesi, che il risultato è stato la rimozione forzata di queste persone.
    L’università di Harvard, uno dei principali attori di questo scandalo, ha rubato i campioni di Dna di centinaia di migliaia di cittadini cinesi, se ne è andata dalla Cina con quei campioni e ha continuato la ricerca batteriologica illegale negli Stati Uniti. Si pensa che l’esercito americano, il che imprime una svolta completamente diversa nel filo del discorso, aveva commissionato la ricerca in Cina in quel momento. Questo è più che sospetto. Gli Stati Uniti, secondo “Global Research”, hanno avuto un massiccio programma di guerra batteriologica, almeno dai primi anni ’40, ma hanno usato agenti tossici contro questo paese e altri a partire dal 1860. Questo non è un segreto, indipendentemente dalla propaganda diffusa dal governo e dai suoi partner nella ricerca e produzione criminale di armi batteriologiche. A partire dal 1999, il governo degli Stati Uniti aveva dispiegato il suo arsenale di armi chimiche e batteriologiche (Chemical and Biological Weapons – Cbw) contro le Filippine, Portorico, Vietnam, Cina, Corea del Nord, Laos, Cambogia, Cuba, i boat-people haitiani e il vicino Canada, secondo “Counterpunch”.
    Naturalmente, i cittadini degli Stati Uniti sono stati usati molte volte anche come cavie ed esposti, dal governo, ad agenti di germi tossici e sostanze chimiche letali. Tenete presente che questo è un breve elenco, in quanto gli Stati Uniti sono ben noti per l’utilizzo di procure per diffondere i loro prodotti chimici tossici e agenti germinali, come è accaduto in Iraq e in Siria. Dal 1999 si sono verificati continui episodi di diversi virus, molti dei quali si presume siano prodotti dall’uomo, incluso l’attuale coronavirus. Non sono solo gli Stati Uniti a sviluppare e produrre agenti e virus di guerra batteriologica; lo fanno anche molti paesi sviluppati in tutto il mondo. Ma gli Stati Uniti, come in ogni area di guerra e di uccisione, sono di gran lunga il leader mondiale, nel disumano desiderio di poter uccidere intere popolazioni attraverso mezzi di guerra batteriologica e chimica. Poiché questi agenti sono estremamente pericolosi e incontrollabili e possono diffondersi all’impazzata, è evidente il rischio non solo per le popolazioni isolate, ma anche per il mondo intero.
    Considerate che un virus mortale creato dagli Stati Uniti e usato contro un altro paese è stato scoperto e verificato e, per rappresaglia, quel paese o altri hanno deciso di contrattaccare l’America con altri agenti tossici. Dove andrebbe a finire, e nel tempo, quanti miliardi di persone potrebbero essere interessate in un simile scenario? Tutte le indicazioni sottolineano il fatto che i virus più tossici, velenosi e mortali mai conosciuti vengono creati nei laboratori di tutto il mondo. Negli Stati Uniti pensiamo a Fort Detrick (Maryland), Pine Bluff Arsenal (Arkansas), Horn Island (Mississippi), Dugway Proving Ground (Utah), Vigo Ordinance Plant (Indiana) e molti altri. Pensate alle partnership a carattere fascista tra questo governo [americano] e l’industria farmaceutica. Pensate alle installazioni militari statunitensi posizionate in tutto il mondo. Da ciò non può derivare nulla di buono, dal momento che non si tratta di trovare cure per le malattie o di scoprire vaccini, ma viene fatto solo per una ragione, e questo è a scopo di guerra batteriologica per uccidere in massa.
    Il tentativo di trovare armi batteriologiche che ammaleranno e uccideranno milioni di persone alla volta non è solo una farsa, ma oltrepassa ciò che è il male. Il primo passo è scoprire che i governi – il colpevole più probabile è il governo degli Stati Uniti – stanno disseminando questi virus appositamente, per causare gravi danni. Una volta dimostrato ciò, sarà noto l’incredibile rischio per tutti, e quindi le persone di tutto il mondo dovrebbero mettere da parte tutto ciò che causa la loro divisione, fare fronte comune e fermare questo assalto all’umanità. «Nei vasti laboratori del Ministero della Pace e nelle stazioni sperimentali, team di esperti sono instancabilmente al lavoro alla ricerca di gas nuovi e letali; o di veleni solubili che possono essere prodotti in quantità tali da distruggere la vegetazione di interi continenti; o di ceppi di germi patogeni, immunizzati contro tutti i possibili anticorpi» (George Orwell, “1984″).
    (Gary Barnett, estratti dell’intervento “Gli Stati Uniti sono il leader mondiale nella ricerca, produzione e uso di armi batteriologiche contro l’umanità”, pubblicato il 22 febbraio 2020 su “Information Clearing House” e tradotto da “Come Don Chisciotte”).

    Quelli che prevengono le malattie e si espongono alla creazione di virus sono eroici, ma quelli che creano e diffondono intenzionalmente malattie e virus sono spietati. Data la storia del governo degli Stati Uniti e del suo complesso industriale militare riguardo alla guerra batteriologica e con i germi, l’uso di questi agenti contro le grandi popolazioni e il desiderio di creare agenti che sono ceppi specifici per razza, queste potenti entità sono diventate diffusori di morte, che non dimostrano compassione per gli innocenti. I virus artificiali intesi per la guerra, che si tratti di rovina economica, fame o morte di massa, sono i meccanismi del vero male che è tra noi. Una volta pensavo che la guerra nucleare avrebbe segnato la fine della vita per come la conosciamo, ma considerando la guerra e la tecnologia della modernità, ora penso che virus incontrollati e mortali possano logorare la popolazione mondiale, poiché uno dopo l’altro i veleni vengono rilasciati come atti di guerra nascosta. Non può esserci fine a questa follia, poiché qualsiasi ritorsione con la stessa moneta comporterà la diffusione di malattie in tutto il mondo: tutto creato dall’uomo.

  • Magaldi: italiani felici e reclusi a vita, aspettando altri virus?

    Scritto il 18/3/20 • nella Categoria: idee • (6)

    Si colpevolizza chi indugia nel portare a spasso il cane, dopo che si è lasciato che migliaia di persone lasciassero la Lombardia per dirigersi al Sud: secondo la logica della quarantena sono potenziali untori, e si lascia tuttora che queste ondate si muovano, senza che queste persone vengano prima sottoposte a un test. Ci viene proposta una retorica da “grande fratello” orwelliano, plaudendo ai pecoroni che si mettono a cantare, a comando, dai balconi. Abbiamo scoperto quanto è facile limitare la libertà e costringere i cittadini in casa: moltissimi italiani, festosi e scodinzolanti, hanno già introiettato la segregazione della quarantena. Ma se questa emergenza durerà altri mesi, o magari un anno, staremo tutti in casa in attesa di avere lumi su quando riprenderà la vita normale? E se in futuro dovessero arrivare 2-3 virus all’anno che facciamo, sospendiamo la nostra vita? Bella mutazione antropologica: reclusi in casa per sempre? E’ questo il futuro che ci attende? Nella Seconda Guerra Mondiale, chi entrò in guerra in nome della libertà e della democrazia, contro il totalitarismo hitleriano, mise nel conto milioni di morti. E adesso noi, senza colpo ferire, saremo privati della democrazia. Non si vota più: rinviate elezioni e referendum, fino alla scomparsa del coronavirus. E se dovesse presentarsi un virus all’anno? Democrazia kaputt?

  • Israele minaccia Sanders: nel nostro paese non lo vogliamo

    Scritto il 06/3/20 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    Oggi abbiamo appreso che l’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, Danny Dannon, ha riferito all’Aipac che Bernie Sanders è un pazzo ignorante, un bugiardo o entrambe le cose. «Non vogliamo Sanders all’Aipac. Non lo vogliamo in Israele… Chiunque definisca il primo ministro israeliano un ‘razzista’ è un bugiardo, un idiota ignorante o entrambe le cose», ha annunciato l’ambasciatore Dannon. Le prove del razzismo israeliano e delle politiche razziste del governo Netanyahu sono, purtroppo, indiscutibili. Lo si può vedere in come il governo Netanyahu affronta il problema dei migranti di colore. O esaminare questo razzista disegno di legge nazionale israeliano. Ciò induce a chiedersi che cosa abbia motivato l’ambasciatore Dannon ad agire in modo così “antidiplomatico,” per indurlo ad attaccare in questo modo il leader del Partito Democratico, reo di aver espresso una critica motivata ad Israele e al suo primo ministro. Ma, ancor prima di porci questa domanda, dobbiamo considerare ciò che ci hanno fatto sapere gli stessi media israeliani.
    In una registrazione trapelata al pubblico, Natan Eshel, consulente anziano di Netanyahu, ha rivelato che «l’odio è ciò che unisce» la destra israeliana, e «funziona bene con gli elettori non ashkenaziti». Eshel, un ex dirigente dello staff di Netanyahu che aveva rassegnato le dimissioni a seguito di uno scandalo di natura sessuale, continua a lavorare con il primo ministro israeliano, e l’anno scorso aveva condotto i due negoziati per la formazione della coalizione di governo. Nella registrazione, Eshel spiega che il ministro del Likud (ed ex portavoce dell’Idf) Miri Regev è «molto brava» ad «agitare» i sostenitori del Likud. Eshel definisce la Regev «un animale», ma fa notare che le sue tattiche funzionano molto bene nell’«ottenere il sostegno della folla». È ragionevole pensare che la descrizione che l’ambasciatore Dannon fa del senatore Sanders servisse ad uno scopo simile: aizzare la folla dell’Aipac. E naturalmente i media ebraici britannici, insieme ai gruppi di pressione ebraici e alla lobby israeliana, hanno anch’essi usato questa tecnica fin dal 2017 per scatenare l’odio della folla verso il Partito Laburista e il suo leader, Jeremy Corbyn. Certa gente, a quanto pare, è unita dall’odio.
    Questa registrazione del consulente anziano di Netanyahu trapelata al pubblico fa luce sulla sempre crescente paura che gli ebrei hanno dell’antisemitismo. Quelli che sono così facilmente “uniti dall’odio” tendono a credere che anche il prossimo sia ugualmente carico di odio. La paura ebraica dell’antisemitismo può essere vista come una proiezione. Quelli che sono “uniti dall’odio” possono benissimo attribuire la propria astiosità ai loro vicini, non importa se palestinesi, elettori laburisti o addirittura leader democratici. Ciò che vediamo è una micidiale valanga di odio e di paura: più uno è gonfio di odio, più è tormentato dal pensiero che l’Altro sia afflitto dalla sua stessa animosità. Gesù Cristo aveva riscontrato questa caratteristica molto pericolosa tra i suoi stessi confratelli. La sua soluzione era stata scioccante, anche se semplice. Invece di accumulare armi, aveva detto ai suoi seguaci di porgere l’altra guancia: fare un passo avanti, amare il prossimo, staccarsi dal circolo vizioso, cercare la pace e l’armonia. Il destino di Gesù è noto a tutti. Come non è un segreto la sorte di quelli che cercano di predicare la pace agli israeliani e ai sionisti.
    (Gilad Atzmon, “L’odio, contro la pace e l’armonia”, dal blog di Atzmon del 2 marzo 2020; articolo tradotto da Markus per “Come Don Chisciotte”. Originario di Israele e ora trasferitosi a Londra, Atzmon è un jazzista di fama internazionale, critico con Tel Aviv e attivamente boicottato dalle associazioni che supportano la politica dello Stato ebraico. L’Aipac, American Israel Public Affairs Committee, è un gruppo di pressione americano noto per il forte sostegno allo Stato di Israele; la lobby sionista è considerata il più potente e influente gruppo d’interesse a Washington. L’acronimo Idf indica invece le forme armate israeliane, largamente impiegate per la selvaggia repressione dei civili palestinesi. Quanto alle tensioni tra Israele e gli Usa, è impossibile non ricordare l’episodio del 1963: il premier David Ben Gurion preferì dimettersi, pur di sottrarsi all’invito di Kennedy a Washington per chiarire alla Casa Bianca le circostanze della costruzione clandestina della centrale nucleare israeliana di Dimona. Pochi mesi dopo, Kennedy verrà assassinato a Dallas).

    Oggi abbiamo appreso che l’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, Danny Dannon, ha riferito all’Aipac che Bernie Sanders è un pazzo ignorante, un bugiardo o entrambe le cose. «Non vogliamo Sanders all’Aipac. Non lo vogliamo in Israele… Chiunque definisca il primo ministro israeliano un ‘razzista’ è un bugiardo, un idiota ignorante o entrambe le cose», ha annunciato l’ambasciatore Dannon. Le prove del razzismo israeliano e delle politiche razziste del governo Netanyahu sono, purtroppo, indiscutibili. Lo si può vedere in come il governo Netanyahu affronta il problema dei migranti di colore. O esaminare questo razzista disegno di legge nazionale israeliano. Ciò induce a chiedersi che cosa abbia motivato l’ambasciatore Dannon ad agire in modo così “antidiplomatico,” per indurlo ad attaccare in questo modo il leader del Partito Democratico, reo di aver espresso una critica motivata ad Israele e al suo primo ministro. Ma, ancor prima di porci questa domanda, dobbiamo considerare ciò che ci hanno fatto sapere gli stessi media israeliani.

  • Coronavirus, la Cina sa che il Pentagono prepara la guerra

    Scritto il 03/2/20 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    Paolo Liguori, direttore di TgCom24, ha detto che il coronavirus sarebbe uscito da un laboratorio militare cinese di Wuhan? Siamo alle prese con mille incertezze: non possiamo ancora fare affermazioni precise. Illustri virologi, tra cui Burioni, ritengono che il vettore originario possa essere un pipistrello. “Ritengono”: prove, non ce ne sono. Altra questione: Xi Jinping è sincero oppure no? La mia tesi è questa: il problema è troppo grande, perché Xi Jinping possa scherzare, su questo, o far finta di niente. Il problema colpisce la Cina duramente, la colpirà ancora più duramente e ci colpirà tutti. Non credo sia possibile pensare che il presidente cinese sia un irresponsabile. Credo che Xi Jinping ci abbia detto la verità, o meglio quello che sa lui. Non sono sicuro che tutto quello che sa Xi Jinping sia la verità: la stanno cercando, anche loro. In secondo luogo, credo che qualunque alto dirigente cinese non possa ignorare che, nei documenti ufficiali del Pentagono, c’è scritto – nero su bianco, e in modo esplicito – che la Cina, insieme alla Russia, è un nemico decisivo degli Stati Uniti d’America. In questi documenti, ufficialmente presentati al Parlamento, il Pentagono aggiunge che gli Stati Uniti devono «prepararsi a una guerra imminente» con la Cina.
    Hanno ragione? Hanno torto? Non è importante. L’importante è che lo dicano, che gli Stati Uniti si stanno preparando a una guerra “imminente” con la Cina, che «implicherà grandi perdite per la stessa popolazione civile degli Stati Uniti». Sono cose che cito da un documento ufficiale del Pentagono, sottoposto al giudizio e al voto del Senato degli Stati Uniti e della Camera dei rappresentanti. Quindi: se io fossi un dirigente cinese, potrei trascurare questo fatto? No, ovviamente. Dobbiamo trascurarlo, noi? Non credo: è uno dei fattori del problema, e quindi dovrà essere tenuto sotto la lente d’ingrandimento, con la massima attenzione. C’è chi pensa che qualcuno, per conto degli Usa, possa essersi “lasciato scappare” quel virus per mettere in ginocchio quello che è il maggior competitore economico dell’America a livello mondiale? Come si sa, io non nascondo una mia precisa opinione: ritengo che il gruppo dirigente degli Stati Uniti sia dominato da un gruppo di dementi. Lo ritenevo prima dell’attuale presidente, e lo ritengo tuttora. Dico “dementi”, perché tutti i loro atti conducono a una situazione di guerra, nel mondo. Quindi, di fronte a un caso come quello del coronavirus, non posso dimenticare quello che penso. Insisto: penso che siano dei dementi, e dai dementi non ci può aspettare nulla di buono né di rassicurante.
    Mi limito a questo, perché non conosciamo con precisione la situazione. Posso semmai aggiungere una considerazione che ci riguarda da vicino. In tanti, ormai, stanno cominciando a capire che stiamo vivendo in un mondo assolutamente vulnerabile. A prescindere da tutte le teorie e dalle ipotesi che si possono fare, su quello che sta accadendo, davanti ai nostri occhi dovrebbe balenare, chiara come il sole, la constatazione che questo mondo è straordinariamente vulnerabile. Se ad esempio le cose che stiamo vedendo in questo momento dovessero andare male, noi ci troveremmo di fronte a un mondo radicalmente diverso, da quello che conosciamo, e questo avverrebbe nello spazio di poche decine di settimane. Di fronte a emergenze di questo tipo siamo tutti impreparati, a partire da chi deve prendere le decisioni. Quello che vediamo dice che le cose accadono più velocemente di quanto l’organizzazione economica, politica, sociale e militare del paese sia in grado di fronteggiare. Siamo colti di sorpresa, clamorosamente. Quando è stata proclamata la chiusura del collegamento Cina-Italia, erano già in volo 5 aerei italiani appena decollati dalla Cina. Che ne è stato, di quei passeggeri (italiani e cinesi) virtualmente a rischio di contagio? Sono stati posti in stato di osservazione?
    Tralasciando le polemiche, il fatto è che stiamo vivendo in una società vulnerabile – che è anche impazzita, visto che non è in grado di governare se stessa. E questo dovrebbe porre dei problemi, al governo delle grandi corporations e dei grandi Stati. Possiamo andare avanti in questa direzione senza introdurre dei cambiamenti radicali, in tempi rapidi? Su La7, Mentana si è scandalizzato per l’ultima indagine sociologica dell’Eurispes, secondo cui il 15% degli italiani non crede all’Olocausto, ritiene che la Shoah sia stata un’invenzione (o comunque un’esagerazione). Ma perché tanto sdegno? Caro Mentana, chi è il responsabile del fatto che il 15% degli italiani non sa niente della storia della Seconda Gerra Mondiale? Ma siete voi, che avete fatto la televisione. Siete voi, che avete dato la disinformazione. E adesso, Mentana, ti stupisci che il 15% degli italiani non ti creda? Ma tu agli italiani hai raccontato un sacco di bugie, in tutti questi anni. E non li hai formati, non li hai informati, non ti sei scandalizzato per la loro ignoranza. E così anche adesso, di fronte all’evidenza di un collasso organizzativo e intellettuale della società in cui viviamo, c’è ancora gente che dice che è tutto normale, e che le cose devono andare avanti così.
    (Giulietto Chiesa, dichiarazioni rilasciate il 31 gennaio 2020 a “Contro Tv”, in video-chat con Massimo Mazzucco; video ripreso su YouTube e pubblicato sul blog “Luogo Comune”).

    Paolo Liguori, direttore di TgCom24, ha detto che il coronavirus sarebbe uscito da un laboratorio militare cinese di Wuhan? Siamo alle prese con mille incertezze: non possiamo ancora fare affermazioni precise. Illustri virologi, tra cui Burioni, ritengono che il vettore originario possa essere un pipistrello. “Ritengono”: prove, non ce ne sono. Altra questione: Xi Jinping è sincero oppure no? La mia tesi è questa: il problema è troppo grande, perché Xi Jinping possa scherzare, su questo, o far finta di niente. Il problema colpisce la Cina duramente, la colpirà ancora più duramente e ci colpirà tutti. Non credo sia possibile pensare che il presidente cinese sia un irresponsabile. Credo che Xi Jinping ci abbia detto la verità, o meglio quello che sa lui. Non sono sicuro che tutto quello che sa Xi Jinping sia la verità: la stanno cercando, anche loro. In secondo luogo, credo che qualunque alto dirigente cinese non possa ignorare che, nei documenti ufficiali del Pentagono, c’è scritto – nero su bianco, e in modo esplicito – che la Cina, insieme alla Russia, è un nemico decisivo degli Stati Uniti d’America. In questi documenti, ufficialmente presentati al Parlamento, il Pentagono aggiunge che gli Stati Uniti devono «prepararsi a una guerra imminente» con la Cina.

  • Magaldi: bravo Salvini, si fa processare sfidando gli ipocriti

    Scritto il 21/1/20 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Fa benissimo, Matteo Salvini, a sfidare apertamente chi lo vorrebbe alla sbarra. Ottima idea, quella del leader della Lega: opportuna e coraggiosa la decisione di sottoporsi al processo per il caso della nave Gregoretti, fermata l’estate scorsa davanti al porto siciliano di Augusta con i suoi 116 migranti. Lo afferma Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt: se qualcuno pensa di tornare a processare la politica nei tribunali (in questo caso, tentando di fermare per via giudiziaria un leader che sembra politicamente imbattibile), tanto vale affrontare l’accusa in aula e porre il problema, una volta per tutte, davanti alla nazione. Ha senso inquisire un ministro per i suoi atti politici? Tema drammaticamente illuminato dal film “Hammamet”, appena uscito nelle sale, e dai tanti libri freschi di stampa che propongono una radicale rilettura della sorte di Bettino Craxi, liquidato vent’anni fa ricorrendo all’iniziativa del pool Mani Pulite. Troppo spesso, sottolinea Magaldi, si è cercato di strumentalizzare le toghe (magari inconsapevoli) per fini politici: e il clamore sul caso Gregoretti, dove l’accusa di sequestro di persona appare effettivamente debole, secondo il leader del Movimento Roosevelt ha l’aria di una mera speculazione politica di basso profilo.
    In video-chat su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, Magaldi chiarisce la sua posizione: per i politici (almeno, fin che sono in carica) è necessaria la tutela dell’immunità parlamentare assicurata nel modo più forte, anche per salvaguardare la piena dignità della funzione politica. Quanto a Salvini, ben venga il salto di qualità della sua condotta: fino a ieri, di fronte ad analoghe contestazioni (nave Diciotti), il capo della Lega era passato dall’ostentare tranquillità al quasi-implorare l’immunità, fino a essere “salvato” da Conte e Di Maio. Oggi, con il quadro parlamentare ribaltato e i 5 Stelle al governo col Pd, il no” agli sbarchi diventa materia giudiziaria: un pretesto per cercare di indebolire il nuovo leader dell’opposizione. Eloquente il parere di Zingaretti, secondo cui Salvini (che starebbe esasperando la vicenda) agirebbe «per motivi personali». Il che la dice lunga sulla perdurante ipocrisia di un Pd che, in fondo, è l’erede diretto di quella “casta di maggiordomi” che accettò senza condizioni il vincolo esterno dell’Ue, pur di sedersi al governo dopo il crollo (giudiziario) della Prima Repubblica. Un Pd senza idee né identità, che strizza l’occhio al neo-ambientalismo propagandistico di Greta e all’imbarazzante exploit delle Sardine, che pretendono di imbavagliare i ministri negando loro accesso a Twitter.
    Salvini tira dritto: vuole andare a processo per la Gregoretti (spiazzando anche la Meloni e Forza Italia) e intanto si protegge le spalle omaggiando Trump e Netanyahu: clamoroso l’applauso del leghista per l’uccisione americana del generale iraniano Qasem Soleimani, temuto da Israele. E a proposito: Salvini è tornato sul tema mediorientale, tifando per la promozione di Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico, dopo aver equiparato l’antisemitismo alle critiche al sionismo. In un recente convegno alla presenza dell’ambasciatore israeliano in Italia, l’ex vicepremier si è rammaricato dell’assenza di Liliana Segre: «Lei avrebbe tanto da insegnare, Carola Rackete no», ha aggiunto, attaccando la “capitana” della Sea Watch che speronò una motovedetta della Guardia di Finanza. Il fatto che una tragedia come la Shoah venga costretta a galleggiare nello stesso mare in cui nuotano i migranti descrive bene il tenore della speculazione politica corrente, mentre l’Italia perde i pezzi: vessato dalla Commissione Europea, il Belpaese non riesce a risolvere nessuna delle sue crisi industriali, e in più assiste impotente anche alla perdita della Libia, ormai “appaltata” al duopolio russo-turco senza che il fantasmatico Conte-bis riesca a battere un colpo per dimostrare di esistere.
    «Salvini sta studiando», disse Magaldi la scorsa estate, dopo la diserzione del Papeete e la fine del governo gialloverde, clamorosamente rimpiazzato da quello giallorosso. Per i detrattori (e i grandi media), si trattò di un autogoal: il capo della Lega sperava nelle elezioni anticipate, mai si sarebbe aspettato che i 5 Stelle si stringessero al Pd – e a Renzi – per giunta mantenendo Conte a Palazzo Chigi. Salvini fornisce una versione diversa: gli sarebbe stato impossibile giustificare ancora, presso l’elettorato leghista, un governo senza risultati. Non solo la problematica autonomia regionale per il Nord-Est, ma soprattutto il miraggio della Flat Tax, o comunque il sollievo fiscale promesso da Armando Siri. Ai gialloverdi, leghisti inclusi, Magaldi non ha mai fatto sconti: «Bravissimi ad abbaiare contro Bruxelles, e altrettanto bravi a prendere ceffoni, tornando a Roma con le pive nel sacco e senza neppure la magra consolazione del 2,4% di deficit». Erano i tempi in cui il campione sovranista Salvini flirtava con Marine Le Pen e l’ungherese Orban, insieme all’intero cartello di Visegrad ostile alle frontiere aperte. Poi è arrivata la bombetta-Moscopoli, con i silenzi imbarazzati sulla presenza di Savoini al Metropol, intercettato (da quale servizio segreto?) mentre discuteva di forniture energetiche, non si sa a che titolo, con oligarchi russi.
    Nella conversione atlantista di Salvini, peraltro anticipata già nella visita in Israele lo scorso anno, Magaldi vede il bicchiere mezzo pieno: «Salvini si sta schierando, dopo esser stato tacciato di essere inaffidabile in quanto filo-russo». Per la precisione, si sta allineando a Trump e Netanyahu. Magaldi apprezza: «Sono a favore della creazione di uno Stato palestinese e denuncio gli abusi della politica israeliana», premette, non senza aggiungere: «Israele resta pur sempre l’unica democrazia dell’area: se si vuole la pace, è più facile partire proprio dagli elementi israeliani progressisti, piuttosto che dai paesi – tutti autoritari – che circondano lo Stato ebraico». E cita il coraggioso tentativo di Yitzhak Rabin, «massone progressista» assassinato nel ‘95 da un colono ultra-sionista per aver tentato, davvero, di stringere una pace storica coi palestinesi. Nulla di simile è oggi all’orizzonte: era ancora vivo Arafat quando la scelta della pace fu pagata, dall’Olp, con la secessione di Gaza, finita sotto il controllo di Hamas, «una formazione fondamentalista sciita, vicina all’Iran, che nega tuttora a Israele il diritto di esistere». Mala tempora currunt: Medio Oriente nel caos, Libia contesa da potenze lontane dall’Ue, Europa inesistente, Italia paralizzata da una crisi che sembra senza vie d’uscita. E in mezzo a questo disastro, l’impresentabile Pd pretende di crocifiggere Salvini, per via giudiziaria, con il pretesto dell’opposizione agli sbarchi?
    A far salire la temperatura, ovviamente, sono le imminenti regionali in Emilia Romagna: una lunghissima campagna elettorale, punteggiata dai comizi casa per casa dell’onnipresente Salvini, cui si oppone – agitando addirittura l’antifascismo – l’ambigua ciurma delle Sardine prodiane. Per Magaldi, sono tappe della guerra tattica che, dietro le quinte, vede contrapposti due supermassoni occulti, «il “fratello” Romano Prodi e il “fratello” Mario Draghi, entrambi proiettati verso la conquista del Quirinale, dopo Mattarella». Quanto all’Emilia, si tratta di una Regione «ben governata dall’uscente Stefano Bonaccini». Se dovesse perdere, però, non sarebbe una tragedia: «E’ inconcepibile – dice Magaldi – la pretesa di mantenere al potere sempre la stessa parte politica, ininterrottamente, per mezzo secolo: non bisogna avere paura dell’alternanza, che è il sale della democrazia, e questo dovrebbe valere anche per la Lega». Nel frattempo, resta comunque inevasa la questione di fondo: «L’Italia – sintetizza Magaldi – ha bisogno di un cambio radicale nella governance dell’Ue, ottenendo il via libera a investimenti per 200 miliardi non computabili nel deficit. C’è un paese da ricostruire, facendolo uscire dall’incubo artificiale dell’austerity, progettata da un’élite reazionaria di cui sia Draghi che Prodi sono stati al servizio, con la differenza che oggi Draghi si dice pentito del suo operato, mentre Prodi se ne guarda bene».

    Fa benissimo, Matteo Salvini, a sfidare apertamente chi lo vorrebbe alla sbarra. Ottima idea, quella del leader della Lega: opportuna e coraggiosa la decisione di sottoporsi al processo per il caso della nave Gregoretti, fermata l’estate scorsa davanti al porto siciliano di Augusta con i suoi 116 migranti. Lo afferma Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt: se qualcuno pensa di tornare a processare la politica nei tribunali (in questo caso, tentando di neutralizzare per via giudiziaria un leader che sembra politicamente imbattibile), tanto vale affrontare l’accusa in aula e porre il problema, una volta per tutte, davanti alla nazione. Ha senso inquisire un ministro per i suoi atti politici? Tema drammaticamente illuminato dal film “Hammamet”, appena uscito nelle sale, e dai tanti libri freschi di stampa che propongono una radicale rilettura della sorte di Bettino Craxi, liquidato trent’anni fa ricorrendo all’iniziativa del pool Mani Pulite, ai tempi in cui la Lega Nord, in Parlamento, agitava il cappio. Troppo spesso, sottolinea Magaldi, si è cercato di strumentalizzare le toghe (magari inconsapevoli) per fini politici: e il clamore sul caso Gregoretti, dove l’accusa di sequestro di persona appare effettivamente debole, secondo il leader del Movimento Roosevelt ha l’aria di una mera speculazione politica di basso profilo.

  • Soleimani come Massud: ucciso l’eroe, seppellirai la pace

    Scritto il 07/1/20 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Qassem Soleimani era certamente un militare, un duro, ma era anche uomo di Stato, un consigliere politico insostituibile per la “guida suprema” dell’Iran, l’ayatollah Alì Khamenei: in quella veste «ha dimostrato di essere un uomo di stabilizzazione, un tessitore, al pari della sua risolutezza come guerriero». Attenzione: nel 2001, un paio di giorni prima dell’11 Settembre, il leggendario guerrigliero afghano Ahmad Shah Massud venne ucciso in un attentato. Chi lo fece (il signore della guerra Gulbuddin Hekmatyar, agente dell’Isi – l’intelligence pakistana, braccio operativo della Cia) sapeva benissimo che da lì a poco l’Afghanistan sarebbe stato invaso. I killer di Massud non volevano tra i piedi un eroe nazionale che rappresentasse un punto di stabilità per quel paese. «Chi ha ucciso Soleimani sa bene cosa sta per succedere e ha inteso togliere di mezzo preventivamente un perno di stabilità per tutta la regione». E’ l’analisi che Simone Santini offre, dal blog “Megachip”, per leggere tra le righe del caos scatenato dall’infame agguato terroristico statunitense, in territorio iracheno, costato la vita al leader dei Pasdaran, eroe nazionale iraniano e liberatore della Siria grazie alla storica sconfitta impartita al’Isis, la sanguinosa formazione terrorista sunnita finanziata e protetta dall’Occidente.
    Da Santini, uno sguardo disincantato e prospettico sul nuovo pericoloso incendio mediorientale, scatenato – colpendo l’Iran – per minare il possibile rafforzamento dell’asse tra Teheran e Pechino (e magari Mosca) nel quadro della “nuova guerra fredda” in corso (o, se si preferisce, Terza Guerra Mondiale a puntate). Già tre anni fa, all’indomani della elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, Santini elencava i compiti che sarebbero stati affidatio all’amministrazione Trump. Primo: ripristinare e proteggere l’economia interna, ricostruendo le sue basi fondamentali. Ovvero: Stati Uniti rimessi in pista come motore produttivo, manifatturiero, verso la piena occupazione, mettendo fine alle delocalizzazioni selvagge. Poi: distensione con la Russia, ma senza cedere nulla di quanto conquistato nel frattempo. Tradotto: «Congelamento dello status quo, fine delle aggressioni, reciproco rispetto formale e collaborazione laddove gli interessi fossero convergenti». Cruciale il capitolo Cina, come si è visto: massima competizione commerciale ed economica con Pechino, «ma senza spingere al momento sull’acceleratore del confronto militare». Sul medio periodo, prevedeva Santini, «si dovrà alzare sempre più l’asticella della competizione globale e porre Pechino davanti ad una scelta strategica: accettare la supremazia americana in cambio di una parziale condivisione dei dividendi dell’Impero oppure il confronto militare, sempre più aggressivo».
    E intanto: «Concentrarsi nell’immediato sullo scacchiere mediorientale, lo scenario più urgente». Dunque: «Fine della sponsorizzazione del jihadismo sunnita, che ha esaurito in quell’area la sua funzione, e spinta verso la democratizzazione delle petromonarchie del Golfo, a partire dall’Arabia Saudita. Il nemico principale, tuttavia – sottolineava Santini tre anni fa – torna ad essere lo sciismo politico e i suoi alleati, il cosiddetto asse della resistenza, e il suo centro nevralgico, l’Iran». Le linee di faglia su cui si sarebbe mossa l’amministrazione americana erano dunque ben visibili da subito, conferma oggi l’analista di “Megachip”. «Questi tre anni di presidenza, turbolenti, ci hanno poi confermato quelle direttrici e consentito di approfondire taluni approcci». In particolare, per quanto riguarda il confronto con l’Iran, «Trump è apparso bilanciarsi tra le due fazioni principali dello Stato Profondo statunitense che, semplificando e banalizzando, si potrebbero così riassumere: la fazione realista, “il partito dell’assedio”, per cui il nemico va accerchiato, logorato, ma non colpito a fondo perché poi diventa molto difficile ricomporre i cocci di quel che si è rotto; la fazione idealista, messianica, “il partito della guerra”, per cui vale il motto “colpisci per primo, colpisci due volte, e sui cocci pisciaci sopra”».
    Tra queste due posizioni “imperiali”, ne esistono tante altre, variegate e composite, e Trump è a cavallo di una di queste. «Nel gruppo di potere che lo ha portato alla Casa Bianca, ad esempio – scrive oggi Santini – ci sono quelli che vorrebbero concentrarsi esclusivamente sugli affari interni lasciando sullo sfondo il resto del pianeta, e le lobbies ultrasioniste il cui unico interesse è togliere di mezzo la Repubblica islamica iraniana». L’assassinio di Qasem Soleimani, secondo Santini, dimostra che il “partito della guerra” ha preso definitivamente il controllo della strategia nei confronti dell’Iran. «Se Trump abbia preso tale decisione o sia stato messo davanti al fatto compiuto sarà materia di dibattito per gli storici, ma non cambia la situazione», aggiunge l’analista. «In ogni caso, c’è chi ritiene prevalente l’ipotesi di una decisione diretta del presidente, soprattutto per scopi elettorali: creare un nemico esterno imminente lo aiuterebbe a tirarsi fuori dai guai interni, richiesta di impeachment e collaterali (va aggiunto che anche Israele è, di nuovo, in campagna elettorale, e questa tornata è esistenziale per Netanyahu ancor più che per Trump)». La tesi opposta è quella di un Trump che non vorrebbe lo scontro diretto, ma vi è spinto dai falchi del complesso militare-industriale. «Tutto più o meno plausibile», annota Santini: «Personalmente propendo per una ipotesi intermedia, rifacendomi anche ad un precedente storico», quello di Bill Clinton.
    Durante tutto il 1998, l’allora presidente vide montare in maniera virulenta lo scandalo Lewinsky, un sexgate che portò alla sua incriminazione per spergiuro ed ostacolo alla giustizia. «Clinton non aveva a cuore la crisi internazionale che si stava profilando all’orizzonte, il Kosovo: sapeva a malapena dove si trovasse». Poi, improvvisamente – continua Santini – nell’autunno inoltrato di quell’anno, «quando lo scandalo interno era al culmine, decise di mettere la crisi balcanica al centro della sua azione politica». Miracolo: «Altrettanto improvvisamente la crisi interna si sgonfiò». E la crisi del Kosovo, «da affare regionale, divenne affare globale». Si domanda Santini: «Furono molto bravi gli strateghi di Clinton a sviare l’attenzione o, piuttosto, il sexgate rivelò la sua vera natura?». Si trattò quindi di «uno strumento di pressione montato ad arte da alcuni centri di potere, per fare sì che il presidente, e alcuni altri centri di potere che egli rappresentava, portassero gli Stati Uniti in guerra». In altre parole: «Sventolando il Kosovo davanti a Clinton fu facile trovare un accordo win-win: tu ci dai la guerra e il sexgate finisce nel dimenticatoio». Mutatis mutandis, può essere accaduto lo stesso in questa fase tra Trump, i gruppi di potere del Deep State, l’impeachment e l’Iran.
    A questo punto, prosegue Santini nella sua analisi, si fa un gran discutere su quali potrebbero essere le future mosse degli iraniani: la preoccupazione di una escalation è fortissima e tangibile, visto che si temono ripercussioni drammatiche. «Alcuni analisti sostengono che gli Usa stiano scherzando col fuoco, che hanno commesso un errore fatale, che la politica estera statunitense è allo sbando, chiaro segnale del loro inarrestabile declino». Santini non è affatto d’accordo: «Ritengo invece che questa escalation, questa accelerazione di fase, sia stata lucidamente pianificata e perseguita». Infatti, le due conseguenze immediate che ha già prodotto «sono esattamente quelle che gli americani si attendevano». Tanto per cominciare, «l’Iran si è ritirato dall’accordo nucleare». Il governo di Rouhani-Zarif ha resistito fino all’ultimo: «Ha resistito alla denuncia unilaterale del trattato da parte americana, che lo rendeva di fatto vuoto, ha resistito alla imposizione di ulteriori pesantissime sanzioni che stanno avendo profondi effetti sulla società iraniana». I politici di Teheran «hanno più volte chiesto sostegno diplomatico agli immobili e tremebondi paesi europei, inutilmente».
    Ora, aggiunge Santini, «l’atto terroristico americano, una sorta di dichiarazione di guerra, ha colpito sotto la cintola la componente moderata del potere iraniano», che di fatto «non può più resistere alle pressioni della componente radicale senza esserne travolta sul piano interno». E così, «gli Stati Uniti hanno di nuovo lo strumento retorico e mediatico principe da brandire contro l’Iran e contro i riottosi alleati europei per giustificare le prossime aggressioni: la paura della bomba atomica in mano agli ayatollah (e poco importa se tale minaccia sia sempre stata inesistente, conta solo che venga percepita come tale)». La seconda conseguenza, poi, secondo Santini è molto sottile da interpretare: «Che il Parlamento iracheno abbia decretato la cacciata delle truppe straniere di occupazione dal paese potrebbe sembrare una sconfitta per gli americani, ma così non è». Il governo iracheno infatti è fragilissimo, di fatto dimissionario dopo le imponenti manifestazioni popolari contro corruzione e condizioni economiche dei mesi scorsi, represse a costo di centinaia di morti e migliaia di feriti, e che si sono interrotte solo in seguito alla promessa del premier Abdul-Mahdi di dimettersi. «Un governo in queste condizioni non ha la minima forza per imporre la decisione assunta contro gli Stati Uniti».
    L’Iraq si trova, oggettivamente, in una condizione di pre-guerra civile. «Se fossi uno stratega americano, o israeliano, farei il possibile per favorire tale drammatico esito», scrive Santini. Tutti nemici: iracheni contro curdi e sunniti contro sciiti, ma le divisioni interne travagliano le stesse componenti sciite. «Il mondo sciita non è monolitico», spiega Santini: «In particolare, la dottrina khomeinista ha prodotto al suo interno una profonda frattura di ordine religioso ma con importanti riflessi politici», dato che «religione e politica nell’Islam si intrecciano intimamente». In Iraq «esistono fazioni sciite radicali ma nazionaliste (la principale è quella che fa capo a Moqtada al Sadr) e fazioni sciite altrettanto radicali ma filo-iraniane (che si richiamano alla ideologia e organizzazione degli Hezbollah libanesi)». Gli sciiti nazionalisti iracheni – aggiunge Santini – mal sopportano (è un eufemismo) l’ascesa egemonica degli sciiti filo-iraniani in Iraq. Sicchè, lo scontro armato è all’ordine del giorno, visto che «questi partiti, gruppi e fazioni sono tutti strutturati in organizzazioni paramilitari». Dare la parola alle armi? «Sarebbe possibile se il paese sprofondasse nel caos», in una sorta di “tutti contro tutti” dagli esiti imprevedibili.
    In quel caso, conclude Santini, «l’Iran sarebbe risucchiato in questa guerra civile irachena e ne uscirebbe ulteriormente dissanguato». Dopo due guerre che hanno raso al suolo l’Iraq, emerge una verità di fondo: «Gli americani in questi lunghi anni di occupazione hanno dimostrato di non avere la forza militare sufficiente per imporre la loro egemonia, ma ce l’hanno a sufficienza per “controllare” una guerra civile, aperta o sotterranea, indefinitamente, finché fosse nel loro interesse». Ed ecco che, alla luce di questa analisi, risulta meno “folle” e incomprensibile l’efferata uccisione del grande tessitore carismatico Soleimani, che Santini – in modo davvero suggestivo – accosta alla fine, altrettanto atroce, che la longa manus terroristica degli Usa riservò al “leone del Panshir”, l’eroe nazionale afghano che (come il guerriero Soleimani) avrebbe avuto il prestigio, l’autorevolezza e la popolarità per imporre la pace, mettendo fine alle ingerenze internazionali nel suo tormentato paese. Ieri il comandante Massud, oggi il generale Soleimani: e i registi della morte provengono dalla medesima capitale, Washington.

    Qassem Soleimani era certamente un militare, un duro, ma era anche uomo di Stato, un consigliere politico insostituibile per la “guida suprema” dell’Iran, l’ayatollah Alì Khamenei: in quella veste «ha dimostrato di essere un uomo di stabilizzazione, un tessitore, al pari della sua risolutezza come guerriero». Attenzione: nel 2001, un paio di giorni prima dell’11 Settembre, il leggendario guerrigliero afghano Ahmad Shah Massud venne ucciso in un attentato. Chi lo fece (il signore della guerra Gulbuddin Hekmatyar, agente dell’Isi – l’intelligence pakistana, braccio operativo della Cia) sapeva benissimo che da lì a poco l’Afghanistan sarebbe stato invaso. I killer di Massud non volevano tra i piedi un eroe nazionale che rappresentasse un punto di stabilità per quel paese. «Chi ha ucciso Soleimani sa bene cosa sta per succedere e ha inteso togliere di mezzo preventivamente un perno di stabilità per tutta la regione». E’ l’analisi che Simone Santini offre, dal blog “Megachip“, per leggere tra le righe del caos scatenato dall’infame agguato terroristico statunitense, in territorio iracheno, costato la vita al leader dei Pasdaran, eroe nazionale iraniano e liberatore della Siria grazie alla storica sconfitta impartita al’Isis, la sanguinosa formazione terrorista sunnita finanziata e protetta dall’Occidente.

  • Carceri private e schiavi al lavoro: l’ultimo scandalo Usa

    Scritto il 04/1/20 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    L’ultimo scandalo americano? Sarebbe «l’uso, da parte del multi-miliardario ebreo Mike Bloomberg, di call center operati da carcerati per la pubblicità della sua campagna presidenziale». Attenzione: la popolazione carceraria degli Stati Uniti è superiore di 21.100 unità rispetto alla somma dei detenuti di Cina e India, due paesi la cui popolazione complessiva è pari a otto volte quella degli States. A denunciare lo sfruttamento professionale dei carcerati, nel “paese della libertà”, è un economista come Paul Craig Roberts, già viceministro con Reagan. A utilizzare manodopera reclusa sono colossi come Apple, ma non solo: stivali e abbigliamento per i militari vengono prodotti facendo lavorare i detenuti. «Chiaramente, le autorità hanno legittimato le carceri private e l’appalto del lavoro penitenziario a basso costo ad entità private che lo utilizzano a scopo di lucro», scrive Craig Roberts, in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. Secondo “The Intercept”, Bloomberg vale 54 miliardi di dollari, ed Apple molto di più. Domanda: «Se Apple può usare il lavoro dei carcerati, perché non può farlo Bloomberg? Quelli che ci guadagnano sono gli appaltatori che affittano i detenuti-lavorari a Bloomberg, ad Apple, al Dipartimento della difesa: incassano il salario minimo statale per i lavori penitenziari, mentre i carcerati sono retribuiti con pochi dollari al mese».
    In passato, ricorda Craig Roberts, i detenuti lavoravano alla manutenzione delle strade pubbliche e non venivano pagati. Ma attenzione: «Lavoravano per la comunità, che a sua volta pagava le spese della loro incarcerazione». Oggi invece «lavorano per le aziende private e generano profitti per le aziende private». Secondo l’analista, «quello che stiamo vivendo è il ritorno del feudalesimo». Sintetizzando: «Lo Stato arresta la gente e la incarcera nelle prigioni private». Sempre lo Stato, poi, «usa i soldi dei contribuenti per pagare le aziende private che gestiscono queste prigioni». A quel punto, «questi centri di detenzione privati affittano il lavoro dei prigionieri ad altre società private che, a loro volta, rivendono i prodotti di questo lavoro a multinazionali e ad enti governativi sulla base del salario minimo sindacale». Si noti: «Questo totale sfruttamento del lavoro è perfettamente legale». Per Craig Roberts, «non è diverso dai signori feudali che mettevano sotto servaggio gli uomini liberi e si appropriavano del loro lavoro». E parliamo, nella maggior parte dei casi, di detenuti non condannati: «Il 96% circa dei carcerati non ha mai ricevuto un processo. Sono stati costretti ad autoincriminarsi, accettando un “patteggiamento” per evitare una punizione più severa».
    Il restante 4%, secondo Craig Roberts, non ha comunque avuto un procedimento equo, «perché i processi equi non garantiscono le massime percentuali di condanne», e secondo l’analista «le carriere dei funzionari di polizia, dei pubblici ministeri e dei giudici vengono prima della giustizia». Per Roberts, «oggi, una pena detentiva andrebbe considerata alla stregua di un servaggio, anche più pesante di quello dell’era feudale». Nel medioevo, almeno, esisteva ancora una certa reciprocità: «Gli uomini liberi, che coltivavano i propri terreni, non avevano protezione contro le bande dei predoni, vichinghi, saraceni, magiari, ed entravano al servizio di un signore in grado di dar loro la protezione di una fortezza e dei cavalieri con la corazza». Invece, «il servo della gleba di oggi deve dare alla prigione privata tutto il suo lavoro». Accusa Roberts: «Le privatizzazioni sono il canto delle sirene dei libertari fautori del libero mercato», che però nella maggior parte dei casi «avvantaggiano gli interessi privati a spese dei contribuenti». Nella vicenda delle carceri privatizzate, «i contribuenti forniscono profitti alle società private che gestiscono le carceri», e le aziende «guadagnano ulteriormente affittando il lavoro dei prigionieri», offerto a basso costo alle multinazionali.
    «Forse questo è un motivo per cui gli Stati Uniti hanno non solo la più alta percentuale di popolazione carceraria, ma anche il più alto numero di detenuti in assoluto: l’America ha più persone in carcere di quante ne abbia la Cina, un paese la cui popolazione è quattro volte maggiore». La privatizzazione del settore pubblico investe anche l’esercito americano, continua Craig Roberts: «Molte attività precedentemente svolte dagli stessi militari sono ora affidate a società private. I cuochi dell’esercito e la corvè cucina sono spariti. Anche il settore rifornimenti è stato dato in appalto. Persino la vigilanza armata nelle basi militari è fornita da compagnie private». Tutti questi esempi «rappresentano l’uso del denaro pubblico per la creazione di profitti privati, tramite l’esternalizzazione di quelle che dovrebbero essere le funzioni di un governo». E la privatizzazione dei servizi dell’esercito «è una delle ragioni per cui le spese degli Stati Uniti nel settore della difesa sono così elevate». In Florida, lo Stato ha privatizzato persino l’ispettorato della motorizzazione, creando ritardi e disservizi persino per il pagamento delle multe, transazioni di cui ora beneficia (con la sua percentuale) un soggetto privato.
    «In sostanza, le privatizzazioni delle funzioni pubbliche sono un modo per trasformare i pagamenti delle tasse in profitti per gruppi privati particolari», riassume Roberts, che smentisce la tesi secondo cui le privatizzazioni ridurrebbero i costi: «Aggiungendo ulteriori passaggi che generano profitti privati, le privatizzazioni aumentano i costi. Nella maggior parte dei casi, le privatizzazioni sono un modo per favorire chi è ben ammanigliato». Oltre a creare flussi di reddito per interessi privati, le privatizzazioni «creano anche ricchezza privata trasferendo beni pubblici in mani private a prezzi sostanzialmente inferiori al valore di mercato». E’ accaduto per la svendita delle società statali britanniche e francesi e del servizio postale britannico. «Le privatizzazioni forzate imposte alla Grecia dall’Ue hanno creato ricchezza per gli Europei del nord a spese della popolazione greca». In una parola, «le privatizzazioni sono un metodo di saccheggio». Letteralmente: «Dal momento che le opportunità per un profitto onesto sono sempre di meno, si fanno strada le razzie. Aspettatevene sempre di più», avverte Craig Roberts, pensando anche agli affaroni che si accumulano, negli Usa, sfruttando gli stessi detenuti.

    L’ultimo scandalo americano? Sarebbe «l’uso, da parte del multi-miliardario ebreo Mike Bloomberg, di call center operati da carcerati per la pubblicità della sua campagna presidenziale». Attenzione: la popolazione carceraria degli Stati Uniti è superiore di 21.100 unità rispetto alla somma dei detenuti di Cina e India, due paesi la cui popolazione complessiva è pari a otto volte quella degli States. A denunciare lo sfruttamento professionale dei carcerati, nel “paese della libertà”, è un economista come Paul Craig Roberts, già viceministro con Reagan. A utilizzare manodopera reclusa sono colossi come Apple, ma non solo: stivali e abbigliamento per i militari vengono prodotti facendo lavorare i detenuti. «Chiaramente, le autorità hanno legittimato le carceri private e l’appalto del lavoro penitenziario a basso costo ad entità private che lo utilizzano a scopo di lucro», scrive Craig Roberts, in un post tradotto da “Come Don Chisciotte“. Secondo “The Intercept”, Bloomberg vale 54 miliardi di dollari, ed Apple molto di più. Domanda: «Se Apple può usare il lavoro dei carcerati, perché non può farlo Bloomberg? Quelli che ci guadagnano sono gli appaltatori che affittano i detenuti-lavoratori a Bloomberg, ad Apple, al Dipartimento della difesa: incassano il salario minimo statale per i lavori penitenziari, mentre i carcerati sono retribuiti con pochi dollari al mese».

  • Meglio gay che sovranisti: così Bergoglio “riscrive” la Bibbia

    Scritto il 26/12/19 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    Qual era il peccato di Sodoma? Per quale motivo il Dio dell’Antico Testamento fece piovere «zolfo e fuoco» su di essa e la distrusse «con tutti gli abitanti e la vegetazione del suolo»? Chi pensa che il grande vizio dei sodomiti fosse la sodomia, non ha capito nulla. Perché è vero che «gli uomini di Sodoma erano perversi e peccavano molto contro il Signore» (Genesi 13:13), però la loro perversione, scopriamo adesso grazie ai teologi di Jorge Mario Bergoglio, era la difesa dei confini, il rifiuto di accogliere gli immigrati. «In una parola, quello che oggi va sotto il nome di sovranismo», scrive Fausto Carioti su “Libero”. «Contrordine fedeli, dunque». “Bella ciao” cantata in chiesa e l’anatema del vescovo di Mazara secondo cui «chi è con Salvini non può dirsi cristiano» sono fenomeni superficiali. «La rivoluzione in atto nella Chiesa è assai più profonda, punta a dare ai cristiani una nuova dottrina», scrive Carioti. «Se andrà in porto o meno lo vedremo, ma il tentativo è smaccato e lo conferma “Che cosa è l’uomo?”, ambiziosissimo libro di 330 pagine» appena stampato dalla Libreria editrice vaticana e scritto dalla Pontificia Commissione Biblica «su richiesta del Papa in persona», ha fatto sapere il gesuita Pietro Bovati, segretario della stessa commissione e allievo di Carlo Maria Martini.
    Gli autori, spiega “Libero”, presentano il volume come «un’interpretazione fedele dell’intera Sacra Scrittura riguardo al tema antropologico», ma così dicendo peccano di falsa modestia. In quelle pagine, scrive Carioti, c’è il tentativo di adeguare ai tempi nuovi la Bibbia e con essa l’intera Chiesa, «relativizzando insegnamenti che per due millenni sono sembrati assoluti ad apostoli, Papi e fior di teologi, e spostando l’attenzione su altri “gravissimi” scandali, tipici della morale bergogliana». Proprio nelle pagine dedicate a Sodoma questo disegno modernista è più evidente. «Qual è stato in realtà il peccato di Sodoma, meritevole di una così esemplare punizione?», chiedono i dotti della commissione pontificia. Subito assicurano che esso non era «la trasgressione sessuale praticata nei confronti di persone dello stesso sesso», nonostante l’abitudine della casa fosse quella. Del resto, spiegano, «non troviamo nelle tradizioni narrative della Bibbia indicazioni concernenti pratiche omosessuali, né come comportamenti da biasimare, né come atteggiamenti tollerati o accolti con favore». Secondo Carioti, si ignora quindi il passo del Levitico in cui si legge: «Non giacerai con un maschio come si fa con una donna, è una cosa abominevole», e si prevede la condanna «a morte» per i trasgressori.
    Però gli studiosi di Bergoglio sembrano considerarlo un ammonimento secondario: «Non si ha notizia che tale sanzione sia mai stata applicata», affermano. «Possiamo ritenere che la normativa del Levitico intendesse tutelare e promuovere un esercizio della sessualità aperto alla procreazione, in conformità con il comando del Creatore agli esseri umani». Poche parole, sintetizza Carioti, per distruggere due millenni di certezze. «Sulla gravità dell’atto omosessuale si erano espressi, tra i tanti, l’apostolo Paolo, escludendo i sodomiti dal novero di coloro che erediteranno il regno dei cieli, il Concilio di Trento e un certo Giovanni Paolo II, che nell’enciclica Veritatis Splendor inserì la sodomia tra gli atti “irrimediabilmente cattivi”». Le cose, però, devono essere cambiate. La vera offesa degli abitanti di Sodoma agli occhi di Dio, ci informano i biblisti bergogliani nel loro libro, fu infatti avere rifiutato di accogliere i due angeli inviati dal Signore sotto forma di viandanti stranieri. Quel racconto, scrivono, «illustra un peccato che consiste nella mancanza di ospitalità, con ostilità e violenza nei confronti del forestiero, comportamento giudicato gravissimo e meritevole perciò di essere sanzionato con la massima severità».
    Il rifiuto del diverso, dello straniero bisognoso e indifeso, «è principio di disgregazione sociale», secondo gli autori vaticani, «avendo in se stesso una violenza mortifera che merita una pena adeguata». Sodoma è trasformata così in «un caso di porti chiusi ante litteram», commenta il portale cattolico “La Bussola”, il primo a denunciare l’operazione. E «l’ossessione immigrazionista» della Chiesa bergogliana «diventa criterio esegetico del testo sacro». In questo modo, chiosa Carioti, il cerchio si chiude, «e noialtri peccatori sappiamo qualcosa in più: la Bibbia non condanna la sodomia, però ritiene la distruzione di una città pena consona per chi non apre le porte agli immigrati. Salvini e quel 31% di italiani – tantissimi dei quali cattolici – che stanno con lui sono avvisati, saranno trattati come sodomiti». Per sdoganare teologicamente l’omosessualità, ferocemente discriminata per secoli, c’è dunque bisogno di creare un nemico alternativo? Peraltro, svariati biblisti concordano su un punto: insieme alle altre tre città della Pentapoli nella regione del Mar Morto, Sodoma e Gomorra furono spietatamente punite da Yahwè per una colpa essenzialmente politica: l’aver disobbedito al capo supremo. In cosa?
    «E’ evidente che Sodoma, Gomorra e le altre città della regione furono colpite in modo devastante per una ragione eminentemente politica: stavano per cambiare alleanze, abbandonando quella con Yahwè». Lo sostiene Mauro Biglino, autore di bestseller che propongono una sconcertante rilettura – letterale – dell’Antico Testamento, basata su traduzioni non teologiche, ma testuali. Premessa: «Il personaggio Yawhè non è in alcun modo un Dio: non è onnipotente, né onnisciente, né immortale. E’ solo uno dei tanti Elohim di cui la Bibbia parla, come Kamosh e Milkom, che guidavano altre tribù ebraiche in concorrenza con i seguaci di Yahwè, gli israeliti». La Bibbia è piena di guerre tra tribù, con Yahwè da una parte, opposto ai suoi “concorrenti”. Chi erano gli Elohim, scambiati per divinità? «Esattamente non lo sappiamo», ammette Biglino: «Nessuno conosce il significato di quella parola, poi tradotta con il termine “Dio” in epoca successiva, quando nacque la religione». In origine, la Bibbia – in cui sono assenti i concetti di divinità, anima e spiritualità – prefigura una situazione di pluralismo: in un passo, agli Elohim il loro capo (Elyon) ricorda che fanno male a essere prepotenti con gli umani, perché un giorno moriranno, come loro.
    Quando gli Elohim smisero di essere visibili, si affermò una sorta politeismo enoteistico: gli dèi sono tanti – scriverà secoli dopo lo stesso San Paolo – ma noi ne seguiamo uno solo. Il problema? L’istituzione religiosa ignora deliberamente il significato letterale del testo biblico, accusa Biglino, deformandolo all’occorrenza per far dire alla Bibbia quello che la politica del momento suggerisce. Sodoma? Fu distrutta con “l’arma del terrore” scagliata dal cielo, perché stava tradendo l’alleanza militare con Yahwè. I testi mesopotamici descrivono gli effetti della micidiale “arma del terrore”, una sorta di “nube nucleare” che fece strage fin nella valle dell’Eufrate. I testi indiani parlano di “tejas-astras” armi a energia diretta. Gli studiosi della paleo-astronautica sostengono le divinità antiche altro non fossero che gli antenati degli odierni extraterrestri. Il vescovo cristiano Eusebio di Cesarea dà credito al fenicio Sanchuniaton, vissuto nel 1200 avanti Cristo, secondo cui la casta sacerdotale fabbricò le religioni per mascherare la vera idenità di quelle “divinità” dispotiche e pericolose. La stessa Bibbia è stata costantemente manomessa fino all’epoca medievale di Carlomagno, piegando i versetti antichi alle più disparate interpretazioni “politiche”. Singolare che tuttora, nel 2019, si ricorra al racconto di Sodoma e Gomorra (privo di fonti, come tutto l’Antico Testamento) per intervenire in modo nettissimo nella ordinaria politica italiana.

    Qual era il peccato di Sodoma? Per quale motivo il Dio dell’Antico Testamento fece piovere «zolfo e fuoco» su di essa e la distrusse «con tutti gli abitanti e la vegetazione del suolo»? Chi pensa che il grande vizio dei sodomiti fosse la sodomia, non ha capito nulla. Perché è vero che «gli uomini di Sodoma erano perversi e peccavano molto contro il Signore» (Genesi 13:13), però la loro perversione, scopriamo adesso grazie ai teologi di Jorge Mario Bergoglio, era la difesa dei confini, il rifiuto di accogliere gli immigrati. «In una parola, quello che oggi va sotto il nome di sovranismo», scrive Fausto Carioti su “Libero“. «Contrordine fedeli, dunque». “Bella ciao” cantata in chiesa e l’anatema del vescovo di Mazara secondo cui «chi è con Salvini non può dirsi cristiano» sono fenomeni superficiali. «La rivoluzione in atto nella Chiesa è assai più profonda, punta a dare ai cristiani una nuova dottrina», scrive Carioti. «Se andrà in porto o meno lo vedremo, ma il tentativo è smaccato e lo conferma “Che cosa è l’uomo?”, ambiziosissimo libro di 330 pagine» appena stampato dalla Libreria editrice vaticana e scritto dalla Pontificia Commissione Biblica «su richiesta del Papa in persona», ha fatto sapere il gesuita Pietro Bovati, segretario della stessa commissione e allievo di Carlo Maria Martini.

  • Wall Street Journal: i soldi per i poveri restano in Vaticano

    Scritto il 17/12/19 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    Mentre Papa Francesco predica contro i mali della disuguaglianza economica e i peccati del capitalismo, la Chiesa cattolica sottrae all’Obolo di San Pietro oltre 50 milioni di dollari l’anno per tappare i buchi del proprio bilancio ormai fuori controllo. E tutto questo, scrove Tyler Durden su “Zero Hedge”, dopo aver pagato, in diversi decenni, oltre 3 miliardi di dollari di risarcimenti nei processi contro i preti pedofili in tutto il mondo. Secondo il “Wall Street Journal”, la maggior parte dei circa 55 milioni di dollari che la Chiesa riceve ogni anno va a «colmare il buco nel bilancio amministrativo del Vaticano, mentre solo il 10% viene speso per opere di beneficenza». Questa assai poco pubblicizzata indiscrezione su come la Santa Sede spenda l’Obolo di San Pietro, «conosciuta solo da alcuni alti funzionari vaticani», secondo il quotidiano statunitense «sta suscitando tra alcuni leader della Chiesa cattolica il timore che i fedeli si sentano ingannati sull’utilizzo delle loro donazioni, cosa che potrebbe danneggiare ulteriormente la credibilità della gestione finanziaria vaticana di Papa Francesco». Eppure, l’Obolo di San Pietro – che raccoglie fondi ogni anno, a fine giugno – viene definito come una iniziativa per i bisognosi: un «gesto di carità, un modo per sostenere l’attività del Papa e della Chiesa Universale per favorire soprattutto i più poveri e le Chiese in difficoltà». È anche «un invito a conoscere e ad essere vicini alla nuove forme di povertà e fragilità».
    Una sezione del sito web, dedicata alle “opere realizzate” descrive l’utilizzo delle sovvenzioni individuali. Esempio: 100.000 euro in aiuti di prima necessità ai sopravvissuti al terremoto del mese scorso in Albania, 150.000 euro per le persone colpite nel mese di marzo dal ciclone Idai nell’Africa sud-orientale. «Lo scopo della raccolta dell’Obolo di San Pietro è quello di fornire al Santo Padre i mezzi finanziari per rispondere a coloro che soffrono a causa di guerre, oppressioni, calamità naturali e malattie», secondo il sito web della Conferenza Episcopale statunitense. Solo che, negli ultimi cinque anni – scrive Durden, in un post tradotto da “Come Don Chisciotte” – solo il 10% del denaro raccolto (oltre 55 milioni di dollari nel 2018) è stato realmente destinato alle varie cause benefiche pubblicizzate per sollecitarne la raccolta. Lo affermano «persone che hanno familiarità con la questione», secondo cui «circa i 2/3 dei fondi vengono utilizzati per contribuire a colmare il deficit di bilancio della Santa Sede, in pratica l’amministrazione centrale della Chiesa Cattolica e la rete diplomatica mondiale della stessa Santa Sede». Per il 2018, si parla di un disavanzo di circa 78 milioni di dollari, su una spesa totale di circa 334 milioni.
    La “riallocazione” delle donazioni di beneficenza – aggiunge Durden – arriva nel momento in cui la Santa Sede sta affrontando un deficit di bilancio in forte espansione che, nell’ammonimento del Papa ai cardinali, potrebbe avere un «grave impatto» sul futuro economico della Chiesa. Papa Francesco era stato eletto nel 2013 anche con il mandato di revisionare le finanze vaticane, «dopo le accuse di corruzione, sprechi e incompetenze», secondo il “Wall Street Journal”. La notizia della cattiva gestione finanziaria del Vaticano «non potrebbe arrivare in un momento peggiore», visto che la Chiesa è alle prese «con uno scandalo legato a dubbi investimenti immobiliari londinesi che hanno portato, nel mese di novembre, al licenziamento del suo principale gestore finanziario, René Brülhart». Scoppiato per la prima volta a ottobre, quest’ultimo scandalo è imperniato sui tentativi della Santa Sede di ottenere un prestito di 110 milioni di dollari) per l’acquisto di proprietà di lusso nel quartiere londinese di Chelsea. Per contro, «i regolamenti vaticani consentono al Papa di usare le donazioni come ritiene più opportuno, anche per sostenere la propria amministrazione». Il patrimonio dell’Obolo ammonta attualmente a circa 600 milioni di euro, «in calo rispetto ai circa 700 milioni dell’inizio dell’attuale pontificato», secondo Durden «in gran parte a causa di investimenti sbagliati».

    Mentre Papa Francesco predica contro i mali della disuguaglianza economica e i peccati del capitalismo, la Chiesa cattolica sottrae all’Obolo di San Pietro oltre 50 milioni di dollari l’anno per tappare i buchi del proprio bilancio ormai fuori controllo. E tutto questo, scrive Tyler Durden su “Zero Hedge”, dopo aver pagato, in diversi decenni, oltre 3 miliardi di dollari di risarcimenti nei processi contro i preti pedofili in tutto il mondo. Secondo il “Wall Street Journal”, la maggior parte dei circa 55 milioni di dollari che la Chiesa riceve ogni anno va a «colmare il buco nel bilancio amministrativo del Vaticano, mentre solo il 10% viene speso per opere di beneficenza». Questa assai poco pubblicizzata indiscrezione su come la Santa Sede spenda l’Obolo di San Pietro, «conosciuta solo da alcuni alti funzionari vaticani», secondo il quotidiano statunitense «sta suscitando tra alcuni leader della Chiesa cattolica il timore che i fedeli si sentano ingannati sull’utilizzo delle loro donazioni, cosa che potrebbe danneggiare ulteriormente la credibilità della gestione finanziaria vaticana di Papa Francesco». Eppure, l’Obolo di San Pietro – che raccoglie fondi ogni anno, a fine giugno – viene definito come una iniziativa per i bisognosi: un «gesto di carità, un modo per sostenere l’attività del Papa e della Chiesa Universale per favorire soprattutto i più poveri e le Chiese in difficoltà». È anche «un invito a conoscere e ad essere vicini alla nuove forme di povertà e fragilità».

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