Archivio del Tag ‘sfaldamento’
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Lo sfacelo della politica italiana e l’indegna fine dei 5 Stelle
Rumore di fondo: ogni giorno che passa, l’Armata Brancaleone del Conte-bis offre di sé un ritratto piuttosto penoso. Accuse, ripicche, insinuazioni e ricatti. Dopo la débacle in Umbria, il clima è ulteriormente peggiorato. Volano gli stracci tra i 5 Stelle, mentre l’incolore Pd zingarettiano si lecca le ferite senza nulla dire, pensare, proporre. Renzi (in versione mini-sciacallo) si gode lo spettacolo, gustandosi la faccia dello spaurito Speranza, ministro “di sinistra” di un esecutivo inesistente, abborracciato dai tecnocrati-canaglia di Bruxelles e tenuto in piedi da parlamentari terrorizzati dall’idea del voto anticipato. Sul funerale dell’Italia volteggia l’avvoltoio Mario Draghi, osannato dal gotha dell’euro-catastrofe, mentre Salvini (in tandem con Giorgia Meloni, miracolata dal voto umbro) già si proietta a colpi si selfie sulle regionali in Emilia. Nessuno di loro ha battuto ciglio per la svendita alla Francia dei resti umani della Fiat, operai residuali in balia degli affaroni non più italiani della dinastia Agnelli-Elkann. Silenti gli stessi sindacati-fantasma, anche di fronte al disperato taglieggiamento del governo ai danni del cittadino, vessato da grappoli di micro-tasse che servono a tenere in piedi un bilancio utile solo a rinviare di qualche mese la certificazione clinica del declino, imposto dalla sottomissione all’austerity perenne.L’ultima caccia alle streghe – tutta colpa dell’idraulico che lavora in nero, del ristorante che rifuta le carte di credito – aggiunge disagio al senso del ridicolo che grava sul paese, pietosamente alla mercé di qualsiasi forza esterna intenzionata a usare l’Italia come discount a prezzi stracciati. La liquidazione dell’Italia va avanti da almeno un quarto di secolo, si lamenta l’ex ministro socialista Formica: finita la cosiddetta Prima Repubblica, insieme ai partiti e a quel che restava delle loro ideologie sono sparite anche le idee su come progettare un futuro per la Penisola. Berlusconi e Prodi, poi Monti e i prestanome del Pd. Fallito sul nascere l’ambiguo tentativo gialloverde, si è tornati all’antico ma solo provvisoriamente, barcollando in modo precario sull’abisso. Emblema del momento presente, il non-premier Conte: non votato, non eletto, non schierato, non chiaro con gli italiani. Rumore di fondo: disgregazione, sfaldamento, diserzione. Renzi aspetta che Zingaretti si dissangui, Salvini attende la fine di Berlusconi. Nessuno ha spiegato che idea di paese ha in mente, quale visione di futuro, che tipo di collocazione per l’Italia, quale ruolo dello Stato nell’economia, che posizione assumere con l’Ue. Si procede a tentoni, tra voci di indagini e comparsate televisive, confidando nel supporto fokloristico delle opposte tifoserie, dall’ostilità calcistica per l’avversario.Lo sfacelo del Movimento 5 Stelle spiega, da solo, il disastro politico italiano. Dopo aver promesso di rimettere il cittadino al centro della scena, il partito-caserma fondato da Casaleggio e Grillo ha tradito militanti ed elettori, votando esattamente il contrario di quanto sbandierato per anni. Voltafaccia completo, su tutta la linea, sonoramente premiato col 7,4% rimediato a Perugia. I delusi bombardano Di Maio, come se Grillo non esistesse. Gli ottimisti scommettono ancora sulla base grillina, piena di buone intenzioni, ingannata dai perfidi dirigenti. Ma i 5 Stelle non hanno mai celebrato un congresso, eletto (davvero) i loro organi dirigenti, confrontato diverse opzioni sul tappeto. Hanno accettato, fin dall’inizio, che fosse il Capo ad avere l’ultima parola, sempre. E’ stato Grillo a imporre a Di Maio di allearsi con Renzi, dopo aver cestinato il 90% del programma dei 5 Stelle. Il MoVimento ora è in stato di disfacimento: doveva servire solo a tener buoni gli italiani, in attesa che il grande potere si riorganizzasse? In realtà, il caos regna anche ai piani alti: lo dimostra la paralisi della Commissione Europea. Macron e Merkel litigano, oggi. Ma non hanno di che preoccuparsi, riguardo all’Italia: il Movimento 5 Stelle ha mostrato loro che milioni di italiani possono davvero credere a storielle come il mitico “uno vale uno”. A metterli nel sacco c’è riuscito persino Beppe Grillo.Rumore di fondo: ogni giorno che passa, l’Armata Brancaleone del Conte-bis offre di sé un ritratto piuttosto penoso. Accuse, ripicche, insinuazioni e ricatti. Dopo la débacle in Umbria, il clima è ulteriormente peggiorato. Volano gli stracci tra i 5 Stelle, mentre l’incolore Pd zingarettiano si lecca le ferite senza nulla dire, pensare, proporre. Renzi (in versione mini-sciacallo) si gode lo spettacolo, gustandosi la faccia dello spaurito Speranza, ministro “di sinistra” di un esecutivo inesistente, abborracciato dai tecnocrati-canaglia di Bruxelles e tenuto in piedi da parlamentari terrorizzati dall’idea del voto anticipato. Sul funerale dell’Italia volteggia l’avvoltoio Mario Draghi, osannato dal gotha dell’euro-catastrofe, mentre Salvini (in tandem con Giorgia Meloni, miracolata dal voto umbro) già si proietta a colpi si selfie sulle regionali in Emilia. Nessuno di loro ha battuto ciglio per la svendita alla Francia dei resti umani della Fiat, operai residuali in balia degli affaroni non più italiani della dinastia Agnelli-Elkann. Silenti gli stessi sindacati-fantasma, anche di fronte al disperato taglieggiamento del governo ai danni del cittadino, vessato da grappoli di micro-tasse che servono a tenere in piedi un bilancio utile solo a rinviare di qualche mese la certificazione clinica del declino, imposto dalla sottomissione all’austerity perenne.
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Stop Brexit: ma a perdere è l’Ue, che non piace a nessuno
E’ una mazzata per Bruxelles, non per Londra, la decisione del Parlamento inglese di respingere (con 432 voti contrari e 202 favorevoli) la bozza di accordo con l’Unione Europea sulla Brexit, presentata da Theresa May – che rimedia, peraltro, «la peggiore sconfitta di sempre, per un primo ministro». Lo afferma Paolo Annoni sul “Sussidiario”, nel commentare il clamoroso esito della votazione britannica del 15 gennaio, che espone il governo alla sfiducia e proietta il Regno Unito verso nuove elezioni, spingendo probabilmente l’Ue a prolungare oltre il 29 marzo la scandenza per il negoziato. Secondo Annoni, visto comunque l’esito del referendum – con la vittoria della Brexit – in assenza di un nuovo elemento politico che ne ribalti l’esito o addirittura lo annulli, in qualche modo si va comunque verso un’uscita dell’Inghilterra dall’Unione Europea. «ll “caos” da questa e dall’altra parte della Manica – osserva l’analista – lavora nel senso di un’uscita». E attenzione: «Qualsiasi posticipo di una decisione non mette sotto i riflettori la Gran Bretagna, ovviamente, ma l’Unione Europea».Su questa vicenda, per Annoni «c’è una confusione clamorosa», visto che siamo immersi «in una asfissiante propaganda europeista». La Brexit? E’ stata dipinta nella narrazione maggioritaria come «una battaglia tra le forze della reazione e quelle della rivoluzione, tra populisti-sovranisti ed “europeisti”, tra trogloditi e uomini sapiens». Qualcuno, aggiunge Annoni, ha opportunamente sollevato considerazioni di geopolitica: per esempio, è sempre più complicato il rapporto tra “anglosfera” e Cina. Al cuore della questione «rimane sempre un giudizio sulla traiettoria dell’Unione Europea, in particolare dal 2008, e le sue prospettive». Al di là dei disegni non detti – sottolinea Annoni – la Brexit è fondamentalmente un atto di sfiducia nei confronti dell’Unione Europea: «Infatti, se non ci fossero dubbi sull’Unione, nessuno si sarebbe preoccupato di farci un referendum». Facciamo fatica a capirlo, «perché la discussione sull’Europa è inquinata da valutazioni su quello che vorremmo che fosse o che ci hanno detto che sarebbe stata, ma che non è e continua a non essere».Il dibattito sui problemi dell’Europa, poi, è intorbidito da un secondo problema: «Chiunque ne evidenzi i limiti o i difetti strutturali viene immediatamente rinchiuso nel recinto dei sovranisti-fascisti, e in questo modo la discussione è congelata». L’Europa, ricorda Annoni, non è stata non solo «il blocco economico che è cresciuto di meno nello scenario globale», ma anche «quello che ha mostrato i limiti di governance più evidenti, soprattutto dopo la crisi del 2008». Le ricette economiche neoliberiste improntate sull’austerity «hanno scavato faglie all’interno dell’Europa producendo disastri economico-finanziari e dando vita a squilibri politici crescenti tra i membri». La stessa austerity «è una parola che abbiamo imparato a conoscere solo noi europei», visto che «né Stati Uniti, né Cina o Giappone l’hanno mai contemplata». Oltretutto, insiste Annoni, «la sua applicazione arbitraria e “politica” è diventata strumento di lotta interna, oppure ha salvato i creditori lasciando i debitori distrutti». Economia mercantilista: il modello-Germania, fondato sull’export, «oggi manifesta tutta la sua fragilità». E in un mondo globalizzato, che diventa sempre più complicato e competitivo, «i difetti di governance dell’Unione Europea rendono non solo la costruzione fragile, ma impediscono una crescita armonica e stabile».Non fa una grinza, il ragionamento di Annoni: «Il dibattito sulla Brexit sarebbe impensabile se l’Unione Europea fosse un progetto in salute e funzionale». E invece non lo è. Non solo: riformarla appare impossibile. E la sua costruzione «appare particolarmente inadeguata per affrontare le sfide future, dall’economia alle migrazioni». Ecco perché «aumentano gli incentivi ad abbandonarla». In altre parole: «Non si abbandona la perfetta Europa dei nostri sogni, ma quella che c’è e ci sarà nella realtà di tutti i giorni». Sempre secondo Annoni, gli unici che potrebbero salvarla sono forse i tedeschi, «ma pagando con i soldi dei contribuenti tedeschi, che finora hanno avuto tutto senza mettere un euro». Per salvare l’Europa, inoltre, la Germania dovrebbe «cedere potere politico». E qundi: «Auguri». Siamo in tunnel: col passare del tempo, «più l’Europa si irrigidisce nel suo attuale equilibrio politico e nelle sue attuali regole, più diventerà difficile proporla come alternativa valida». Questa è l’Europa che in Germania fa volare l’Afd, in Francia i Gilet Gialli e in Italia i 5 Stelle. E’ l’Europa che fa salire al 25% la disoccupazione in Grecia per salvare le banche tedesche e francesi. E’ la Disunione Europea «in cui è impossibile un approccio comune al tema dei migranti». Proprio questa Europea, ribadisce Annoni, «è il più grande sponsor per i “brexiters”». E sinceramente, «visto lo stato del dibattito al di qua della Manica, sarà difficile opporre argomenti altrettanto spendibili».Oltretutto, rileva sempre Annoni, il tempo scarseggia: cresce infatti la velocità dei cambiamenti in atto, nei commerci e nei rapporti politici globali. L’Europa dei nostri sogni? «Non c’è, e quindi ha già fallito, vista la nuova fase internazionale». A questo punto «servirebbe un grande atto di umiltà e realismo», insieme a «tantissima, lungimirante e buona politica», per dare vita a «un processo di riforma radicale, in cui forse si può salvare una parte o il nocciolo del progetto originale». Unica precondizione, drastica: «Sacrificare una buona parte della costruzione attuale». Ipotesi percorribile? Non oggi, vista la qualità degli attori in campo. «Se non c’è un’iniziativa forte in questo senso – riassume Annoni – tutto verrà travolto dagli eventi e dalle pressioni esterne». Parallelismi inquietanti: «La Gran Bretagna è sui binari di un’uscita senza ulteriori elementi, esattamente come l’Unione Europea è sui binari di uno sfaldamento senza riforme radicali del suo assetto e dei suoi rapporti di forza interni». Ciò che rende debolissima l’Unione Europea è proprio la sua apparente forza: l’assenza di democrazia nella governance dell’Ue. Le istituzioni autocratiche di Bruxelles possono anche maltrattare la Gran Bretagna, ma la storia finirà male (per l’Unione, non per gli inglesi).E’ una mazzata per Bruxelles, non per Londra, la decisione del Parlamento inglese di respingere (con 432 voti contrari e 202 favorevoli) la bozza di accordo con l’Unione Europea sulla Brexit, presentata da Theresa May – che rimedia, peraltro, «la peggiore sconfitta di sempre, per un primo ministro». Lo afferma Paolo Annoni sul “Sussidiario”, nel commentare il clamoroso esito della votazione britannica del 15 gennaio, che espone il governo alla sfiducia e proietta il Regno Unito verso nuove elezioni, spingendo probabilmente l’Ue a prolungare oltre il 29 marzo la scadenza per il negoziato. Secondo Annoni, visto comunque l’esito del referendum – con la vittoria della Brexit – in assenza di un nuovo elemento politico che ne ribalti l’esito o addirittura lo annulli, in qualche modo si va comunque verso un’uscita dell’Inghilterra dall’Unione Europea. «ll “caos” da questa e dall’altra parte della Manica – osserva l’analista – lavora nel senso di un’uscita». E attenzione: «Qualsiasi posticipo di una decisione non mette sotto i riflettori la Gran Bretagna, ovviamente, ma l’Unione Europea».