Archivio del Tag ‘sorpasso’
-
Salvini assediato, ha tutti contro: perfetto, così stravincerà
Chissà quanti popcorn si sta mangiando, Matteo Salvini, al pensiero che altrove stiano sbocciando champagne per festeggiare la sentenza del tribunale del riesame, quella per cui la Lega dovrà restituire i 49 milioni di rimborsi elettorali fittizi risalenti alla gestione Bossi-Belsito. Perché basterebbe scorrere le cronache a ritroso per capire come è dal 2013 che la Lega e Salvini si stanno preparando a questo momento. E che la strategia politica stessa del partito di Via Bellerio è figlia di questa consapevolezza: allargare la base del consenso e proiettarsi su scala nazionale per dar vita, qualora le condizioni lo richiederanno, a un nuovo movimento autonomo rispetto al passato leghista. Attenzione: non stiamo dicendo che la svolta sovranista della Lega sia esclusivamente figlia della necessità di salvare il partito dallo tsunami giudiziario. Stiamo dicendo che la strategia del leader della Lega è stata contemporaneamente di attacco a uno spazio politico da riempire, e di difesa della sopravvivenza del partito stesso e della sua sostenibilità finanziaria.A Salvini va riconosciuto di aver intuito che ci fosse una domanda di nazionalismo inevasa, che in Italia e in Europa, mentre Renzi veleggiava al 40% e Tsipras e Podemos sembravano le uniche alternative possibili, stesse iniziando a soffiare vento da destra, e dall’Est, che negli Stati Uniti di Obama e nel Regno Unito saldamente tra le mani di David Cameron vi fosse aria di rivoluzione. Nessuno ci credeva, lui sì. Un po’ per virtù, un po’ per necessità. Un po’ perché aveva capito che i voti di Berlusconi in Meridione erano in libera uscita, un po’ perché allargare la propria base elettorale al di fuori del perimetro settentrionale – con tanti saluti alla Padania e al Sole delle Alpi – gli avrebbe consentito di tentare il colpo gobbo: il sorpasso ai danni di Forza Italia e la presa di tutto il centrodestra, nel giorno del tramonto definitivo della stella di Re Silvio, attraverso la creazione di un soggetto politico nuovo. È stato un lavoro lungo e faticoso che Salvini ha intrapreso con una costanza e una tenacia da applausi. Un giorno andava a prendersi sputi e insulti a Napoli, il giorno dopo era ai cancelli dell’Ilva di Taranto, quello dopo ancora in giro sui treni regionali per la campagna elettorale in Sicilia.Nel frattempo, gli antichi feticci della Lega Nord che fu cadevano come petali di un fiore. Prima il simbolo della Padania, poi il colore verde, sostituito dal blu, quindi gli slogan, da “Prima il Nord” a “Prima gli italiani”, lui che nemmeno tifava la nazionale di calcio. Infine il nome stesso del partito, Lega, senza più alcun riferimento al settentrione. Se la strategia ha avuto successo, è perché tutti gli altri gli hanno concesso spazio e libertà per portarla avanti. Né Forza Italia, né il Movimento Cinque Stelle, né il Partito Democratico, ognuno con le proprie responsabilità, sono riusciti a togliere alla Lega e a Salvini mezzo elettore lombardo o veneto, nonostante federalismo e autonomia – al netto della burla dei referendum – siano state messe in soffitta, nonostante gli scandali bancari, nonostante i guai giudiziari. E nessuno, nel contempo, è riuscito a contrapporsi a Salvini nel centrosud, dove oggi, stando ai sondaggi, veleggia attorno al 20%, cinque punti sopra al Partito Democratico, quasi quindici più di Berlusconi.Contemporaneamente, il leader leghista le ha provate tutte per mettere al sicuro i soldi del partito. Ci ha provato col nuovo movimento “Noi con Salvini”, senza successo. E, ancora, con la mossa a sorpresa di Roberto Calderoli, che sul finire della scorsa legislatura è uscito dal gruppo della Lega Nord per fondare quello della Lega e basta. Nessuna scissione: solo la dimostrazione che quello che oggi governa è un nuovo soggetto politico, del tutto indipendente da quello che si era intascato illegalmente i rimborsi elettorali. Se oggi la Lega fosse identica a cinque anni fa sarebbe praticamente spacciata. Oggi, senza Nord, senza Padania, senza felpe e bandane verdi, non lo è. Non sappiamo cosa succederà domani. Se effettivamente la nuova Lega (senza Nord) dovrà sborsare 49 milioni sino all’ultimo centesimo, o se sarà necessario un’ulteriore allontanamento dalle radici della vecchia Lega (col Nord) attraverso la nascita di un nuovo soggetto politico unitario di centrodestra, del tutto alieno, almeno formalmente, alla vicenda giudiziaria che fu.Quel che sappiamo è che Salvini ci è arrivato nelle migliori condizioni possibili in cui ci poteva arrivare: al governo, da ministro dell’interno, con un consenso popolare stellare, con una linea politica completamente diversa da quella del Carroccio di cinque anni fa, con una marea di deputati e senatori di Forza Italia e Fratelli d’Italia che non vedono l’ora di saltare il fossato e di passare armi e bagagli sotto le insegne della Lega. E con la possibilità di guadagnarsi il centro della scena invocando un nuovo complotto, quello della magistratura ai suoi danni, e un nuovo nemico da abbattere. In altre parole, pronto a ogni evenienza. «Io non mollo e lavoro ancora più duro. Sorridente e incazzato», ha scritto sui suoi canali social. Avete capito, adesso, perché sorride?(Francesco Cancellato, “Se sperate che Salvini cada sui 49 milioni, state andando a sbattere contro a un muro”, da “Linkiesta” del 7 settembre 2018).Chissà quanti popcorn si sta mangiando, Matteo Salvini, al pensiero che altrove stiano sbocciando champagne per festeggiare la sentenza del tribunale del riesame, quella per cui la Lega dovrà restituire i 49 milioni di rimborsi elettorali fittizi risalenti alla gestione Bossi-Belsito. Perché basterebbe scorrere le cronache a ritroso per capire come è dal 2013 che la Lega e Salvini si stanno preparando a questo momento. E che la strategia politica stessa del partito di Via Bellerio è figlia di questa consapevolezza: allargare la base del consenso e proiettarsi su scala nazionale per dar vita, qualora le condizioni lo richiederanno, a un nuovo movimento autonomo rispetto al passato leghista. Attenzione: non stiamo dicendo che la svolta sovranista della Lega sia esclusivamente figlia della necessità di salvare il partito dallo tsunami giudiziario. Stiamo dicendo che la strategia del leader della Lega è stata contemporaneamente di attacco a uno spazio politico da riempire, e di difesa della sopravvivenza del partito stesso e della sua sostenibilità finanziaria.
-
Renzi come Silvio, l’Italia non può permettersi i Grillo
«Chi davvero pensava tra i 5 Stelle che il sorpasso fosse possibile, usava droghe molto forti ma anche molto scadenti», scherza Andrea Scanzi, secondo cui «non ci voleva uno scienziato» per intuire che Renzi avrebbe battuto Grillo magari attestandosi attorno al 32%, con 5 punti di scarto sul M5S. «L’evento pressoché imprevedibile non è la vittoria, scontata, ma la portata enorme della vittoria: Renzi ha addirittura sfondato il muro del 40%, doppiando i rivali». Il Pd ha preso più di 2 milioni di voti in più rispetto a un anno fa con Bersani. «Il 2014 sta a Renzi come il 1994 a Berlusconi», scrive il giornalista del “Fatto”. «Dominerà la scena politica per i prossimi vent’anni». Motivi solidi: incarna «un cambiamento morbido e garbato, prossimo al gattopardismo», essendo «scaltro e rassicurante». E ora si prenderà tutto: «Se non è scemo, e non lo è, a breve fa saltare il banco, va al voto, prende una maggioranza bulgara e con un Parlamento ferocemente renziano fa tutte le riforme che vuole».Da ieri, aggiunge Scanzi, i Civati e i Cuperlo contano zero: «Se hanno un minimo di amor proprio vanno di corsa a dare una mano a Tsipras, o a chi ci sarà alle prossime politiche». Renzi? Ormai è «un uomo solo al comando», ancorché circondato spesso «da arroganti e sprovveduti», mentre il grande sconfitto è il Movimento 5 Stelle: non tanto per il voto, quanto le abnormi aspettative alimentate. «In un paese tradizionalista e conservatore come l’Italia, un movimento così anomalo e di rottura che va stabilmente a due cifre (e la prima è un “2”) ha del miracoloso», premette Scanzi. «Per dire: quando sono usciti gli exit poll, che davano Renzi al 33 e M5S al 26.5, fossi stato in loro avrei firmato tutta la vita. Non mi stupisce il secondo posto, e tutto sommato neanche il 21 scarso: mi stupisce il gap rispetto a Renzi. Nonostante i tre milioni di voti in meno rispetto al febbraio 2013, il risultato non è negativo in sé: a giugno 2013 era dato sotto al 20% e invece oggi è ormai seconda forza radicata: chi, 15 mesi fa, avrebbe detto che Di Battista sarebbe stato più forte di Berlusconi?».I problemi sono altri: «Il primo è la forbice sovrumana con Renzi: accettabile fino a 5, dolorosa attorno al 12 (due mesi fa si parlava di Renzi 34% e M5S al 22%), disastrosa con i quasi 20 punti attuali». Il secondo problema, forse ancora più grave, è «la sopravvalutazione di se stessi». Ovvero: «Perché insistere con ‘sto “vinciamonoi”? Perché credere ciecamente nel sorpasso (ma sorpasso de che?)? Perché dare quasi per certo il raggiungimento del 30% o giù di lì? Perché farsi così tanti autogol (“Se non vinco mi ritiro”, cit Grillo)? E’ ovvio che, giustamente, ora mezzo mondo li sfotte. E fa bene a sfottere». Detta più chiaramente: «Numericamente è una sconfitta, ma visto le (folli) aspettative malamente alimentate è un’asfaltata». Evidentemente, i 5 Stelle si erano convinti «che il mondo reale fosse la rete o la piazza piena». Errore: «Hanno forse dimenticato che l’Italia che vota è fatta anzitutto da chi in piazza non ci va mai e magari decide all’ultimo momento». I milioni di indecisi, stavolta, «li ha presi tutti Renzi».Certo, i militanti 5 Stelle sono molto più attivi di quelli del Pd, «ma anche questa non è una novità: pure Luttazzi riempiva i teatri e Santoro faceva incetta di share, ma convincevano i già convinti e la maggioranza reale restava sempre di Berlusconi». Adottando un profilo più basso, continua Scanzi, oggi il M5S avrebbe addirittura potuto sorridere, perché «in Italia la norma è che vincano i Renzi e l’anomalia è che i Grillo vadano sopra il 10 (figurarsi il 20). Se però ripeti ogni istante “vinciamo noi”, poi ti demoliscono per forza». Secondo Scanzi, nonostante tutto, per i 5 Stelle è meglio essere secondi: «A fare opposizione sono bravi, a governare non so». Se non vuole calare ancora, il M5S deve sottoporsi a un “bagno di umiltà” per valutare i troppi errori: «I parlamentari bravi li hanno: vediamo come reagiranno». Soprattutto, per il giornalista del “Fatto”, «un paese governato da Renzi con il pungolo costante dei 5 Stelle è oggi il massimo a cui l’Italia può ambire».«Chi davvero pensava tra i 5 Stelle che il sorpasso fosse possibile, usava droghe molto forti ma anche molto scadenti», scherza Andrea Scanzi, secondo cui «non ci voleva uno scienziato» per intuire che Renzi avrebbe battuto Grillo magari attestandosi attorno al 32%, con 5 punti di scarto sul M5S. «L’evento pressoché imprevedibile non è la vittoria, scontata, ma la portata enorme della vittoria: Renzi ha addirittura sfondato il muro del 40%, doppiando i rivali». Il Pd ha preso più di 2 milioni di voti in più rispetto a un anno fa con Bersani. «Il 2014 sta a Renzi come il 1994 a Berlusconi», scrive il giornalista del “Fatto”. «Dominerà la scena politica per i prossimi vent’anni». Motivi solidi: incarna «un cambiamento morbido e garbato, prossimo al gattopardismo», essendo «scaltro e rassicurante». E ora si prenderà tutto: «Se non è scemo, e non lo è, a breve fa saltare il banco, va al voto, prende una maggioranza bulgara e con un Parlamento ferocemente renziano fa tutte le riforme che vuole».