Archivio del Tag ‘Terni’
-
Subdolo 5G: infame strage di alberi in tutte le città italiane
Da quando ho iniziato a interessarmi del 5G, ho scoperto che vi sono non uno, ma due aspetti preoccupanti, di questa nuova tecnologia. Il primo è quello che riguarda la salute: mentre si sta procedendo con grande fretta alla commercializzazione della nuova “Rete dei miracoli”, infatti, nessun serio studio scientifico è stato fatto sulle conseguenze che potrebbe comportare quest’irradiazione, ormai onnipresente, sugli esseri umani. Fra poco ci troveremo letteralmente sommersi da un mare di microonde, con antenne piazzate ogni 500 metri nelle grandi città, e magari solo fra dieci o vent’anni potremo sapere quali saranno state le reali conseguenze sulla nostra salute. Ma di questo argomento ci occuperemo in un altro video, che sto preparando. Nel frattempo, vorrei portare alla vostra attenzione un secondo problema, che non è da meno: riguarda la distruzione selvaggia e sistematica dei nostri alberi. A quanto pare, infatti, gli alberi – soprattutto quelli più alti – impediscono una buona irradiazione del segnale 5G. E quindi li stanno togliendo di mezzo, in tutta Italia, con delle giustificazioni decisamente ridicole. Un paio di mesi fa mi ero accorto che, dalle mie parti, avevano tagliato in modo abominevole dei bellissimi viali alberati, e ho cominciato a chiedere in giro quale fosse il motivo. Ma nessuno mi sapeva dare una risposta, al punto che ho iniziato a sospettare che ci fosse di mezzo il 5G.Allora ho chiesto agli ascoltatori di “Border Nights” di segnalarmi se anche dalle loro parti si fossero registrati degli abbattimenti ingiustificati di alberi: e mi è arrivata, letteralmente, una caterva di segnalazioni. Nel frattempo, però, i “debunker” hanno già messo le mani avanti, cercando di smentire quest’idea che gli alberi vengano tagliati per fare strada al 5G. “Butac”, uno dei siti classici di “debunking”, ha pubblicato un articolo nel quale cerca di smentire questa ipotesi. A questo giro – scrive “Butac” – si parla di alberi abbattuti perché, secondo la tesi di “TerraRealTime” (il sito che per primo ha denunciato il taglio indiscriminato degli alberi) sarebbero un problema per la diffusione del segnale. «Ma si tratta dell’ennesima sciocchezza antiscientifica sostenuta solo e unicamente per spaventarvi, e magari convincervi a comperare un cappellino contro l’elettrosmog». Ora, “Butac”: a parte che qui nessuno vende cappellini (stiamo solo cercando di proteggere la nostra ricchezza naturale, casomai), ma il fatto che gli alberi rappresentino un ostacolo praticamente insormontabile, per il 5G, ormai è un dato accertato. Lo confermano, ad esempio, due documenti ufficiali del governo inglese: li ha pubblicati l’Ordnance Survey, l’ufficio che si occupa della mappatura del territorio. Uno si intitola “Pianificazione 5G, considerazioni geo-spaziali – una guida per i pianificatori e le autorità locali”. L’altro si intitola: “L’effetto delle costruzioni e dell’ambiente naturale sulle onde radio millimetriche”, ovvero il 5G.Da questi documenti leggiamo: «Vegetazione e edifici: i risultati presentati in questo rapporto dimostrano che gli oggetti della vegetazione, ovvero alberi e arbusti con un denso fogliame, provocano un disturbo nella propagazione del segnale oltre i 6 Ghz». Ci sono delle considerazioni generali: gli alberi di oltre 3 metri sono messi nel gruppo che “andrebbe” preso in considerazione (“should do”), mentre gli alberi oltre i 5 metri sono nel gruppo del “must do”, ovvero quelli che “bisogna” prendere in considerazione. Più sotto, c’è la spiegazione: “should do” sono «oggetti che vale la pena considerare durante le rilevazioni»; “must do” significa invece che questi oggetti «avranno un impatto significativo nella propagazione del segnale delle microonde millimetriche», e che quindi «vanno assolutamente presi in considerazione durante i rilevamenti». Il documento, poi, presenta diversi esempi pratici, illustrati con fotografie. Indicando uno stadio, dice: «Questa zona ha due aspetti interessanti, che dovrebbero essere presi in considerazione come ostacoli potenziali per le trasmissioni». Il primo: «Le torri di supporto all’esterno dello stadio, che sono fatte con una complessa struttura di acciaio». Il secondo: «La passeggiata sulla sinistra, che è adornata di alberi che possono bloccare i segnali in partenza dalla struttura dello stadio».Un altro esempio, sempre in foto, dice: «Qui viene mostrata una zona a intenso traffico pedonale, vicina ad un lampione candidato all’utilizzo del 5G». Due aspetti sono la prendere in considerazione: «Gli alberi caduchi, che possono causare un degrado limitato del segnale nei mesi invernali, mentre in estate – con le foglie – potrebbero avere un effetto significativo» (il secondo ostacolo è il viadotto che sovrasta l’area pedonale). Poi il rapporto mostra invece una situazione positiva, per loro: «La vista aerea del grande centro commerciale mostra grandi spazi aperti, con pochissimi elementi in grado di bloccare il segnale 5G: c’è soltanto un piccolo numero di alberi accanto al parcheggio». Quindi, evviva le zone con pochi alberi: per noi vanno molto meglio, dice il documento. Altro esempio, viale alberato: «In questa strada residenziale c’è una grande quantità di alberi, che bloccano chiaramente il percorso per le antenne che potrebbero venir collocate sui lampioni». Quindi, cosa si fa? Si buttano giù gli alberi, semplice.Guardate ora gli articoli che mi sono stati mandati dagli ascoltatori di “Border Nights”:poi decidete voi se c’entrano qualcosa, oppure no. Vi dico solo una cosa: sono quasi tutti articoli del 2018-2019, quindi molto recenti. E quasi sempre viene data una spiegazione risibile, per il taglio degli alberi. Ovvero: risultano di colpo tutti malati; oppure ti dicono che ne pianteranno degli altri, più bassi; oppure ti dicono che sono diventati, improvvisamente, tutti pericolosi. Cioè: alberi secolari, che sono lì da più di cento anni, di colpo diventano una minaccia per la popolazione. Di fatto, mi ha scritto una persona che si occupa di installazioni 5G. E mi ha detto che, in effetti, moltissimi sindaci e amministratori locali vengono spaventati, con l’idea di poter essere ritenuti responsabili per eventuali danni causati dalla caduta degli alberi, e quindi – non appena gli si suggerisce di tagliarli – accettano subito (spesso senza il nulla-osta delle autorità che dovrebbero salvaguardare il verde pubblico).Guardate quello che sta succedendo, in Italia. Palermo: “Il Comune si prepara ad abbattere 200 alberi di pino, decisione folle”. Montesilvano, provincia di Pescara: “Taglio indiscriminato degli alberi sani”. Pescara: “La guerra degli alberi tagliati in nome della sicurezza”. Poggibonsi, provincia di Siena: “Scempi chiamati riqualificazioni”. Prato, viale Montegrappa: “Polemiche sugli alberi tagliati”, Ravenna: “Pini abbattuti in via Maggiore”. Roma: “Dal 2016 abbattuti 9.111 alberi – mille spariti in centro, è polemica”. Rovereto: “Abbattuti gli alberi fra le proteste”. Ancora Roma: “Abbattuti 450 alberi malati, ma i nuovi saranno alti solo 3 metri”. Guarda che coincidenza: ricordate il “should do” e il “must do”? Salerno, Nocera Inferiore: “Cosa si cela dietro l’abbattimento dei pini?”. Ancora Salerno: “Abbattimento degli alberi in via Rebecca Guarna”. San Terenzo, provincia di La Spezia: “Piazza Brusacà saluta i suoi pini”. Provincia di Teramo: “Nuove proteste contro l’abbattimento degli alberi della strada provinciale 259”. Terni: “Repulisti di pini, scattata l’operazione per l’abbattimento di 44 alberi”. Trapani: “Taglio alberi a Paceco, il comitato Pro-Eritrine protesta col sindaco”. Trevignano, sul Lago di Bracciano: “Abbattuti pini sani di 70 anni per rifare le strade”. Treviso: “Tagliati altri 87 alberi perché sono malati”. Certo, perché gli alberi si ammalano tutti insieme, 87 per volta.Ancora Treviso: “Non tagliate gli alberi, i residenti insorgono”. Udine: “Via Pieri, iniziato l’abbattimento degli alberi”. Verona: “Centinaia di alberi da abbattere per realizzare il nuovo filobus”. Giustamente, dice il commento: «Il trasporto pubblico e la mobilità sono essenziali, ma non a qualsiasi prezzo, e non con questi metodi». Sempre a Verona: “Nuovo taglio di alberi a Verona Sud: a chi giova?”. Ancora Verona: “Lungoadige San Giorgio, tagliati 21 alberi”. Viareggio: “Abbattimento alberi, presidio al cavalcavia”. Regione Abruzzo, Parco Sirente: “Il pasticcio degli alberi tagliati”. Agrigento: “Taglio degli alberi alla Villa Bonfiglio, la Soprintendenza vuole chiarezza”. Sempre ad Agrigento: “Alberi capitozzati, l’assessore sospetta che sia stato iniettato veleno in alcuni pini”. Anagni: “Potatura fuori stagione, inervento drastico di capitozzatura in piena germogliazione, che lascia perplessi”. Ancona: “Abbattuti gli alberi sul viale, giù i frassini fra le proteste”. Avezzano, in Abruzzo: “Taglio degli alberi a piazza Torlonia, più della metà erano pericolosi”. Ovviamente, gli alberi sono diventati – di colpo – il pericolo pubblico numero uno, in Italia.Provincia di Bari: “Scempio sugli alberi a Pane e Pomodoro”, che è la famosa spiaggia barese. Benevento: “Taglio dei pini, piante a rischio caduta estremo”. Biella: “Alberi abbattuti, Legambiente contro le amministrazioni comunali”. Sempre in provincia di Biella: “Deturpata la strada dei pellegrini, è caos dopo il taglio di 200 alberi”. Marina di Carrara, Vittorio Sgarbi difende i pini: “Barbarie, denuncio tutto”. Catania: “Proteggere l’ambiente, scatta la protesta per gli alberi capitozzati”. A me, più che capitozzati, questi sembrano segati alla base. Marina di Cerveteri: “Gli alberi ostacolano il 5G”. Chiaravalle, nelle Marche: “Abbattono i pini storici, proteste e manifestazioni in largo Oberdan”. Crema: “Il caso degli alberi tagliati in via Bacchetta”. Si veda il prima e il dopo: che squallore. Provincia di Faenza: “Brisighella, 513 alberi abbattuti”. Sempre a Faenza: “Via all’abbattimento di 520 alberi in città”. Lido Scacchi, in provincia di Ferrara: “Forza Italia chiede spiegazioni sugli alberi tagliati”. Firenze: “Proseguono gli abbattimenti, alberi tagliati in piazza Indipendenza”. Sempre a Firenze: “Strage di alberi a Porta al Prato, ma erano tutti sani. Il Comune dice: una ditta ha danneggiato le radici”. Certo, ha danneggiato le radici non di uno, ma di tutti gli alberi in un colpo solo, come no…Ancora a Firenze: “Tagliati tutti i pini in viale Guidoni, idem in viale Morgagni: de profundis per gli alberi abbattuti”. Piana Fiorentina: “Il taglio dei tigli, una decisione del Comune”. Foggia: “In via Napoli uno scempio, presentato esposto contro il taglio di 101 pini”. Provincia di Grosseto: “Tagliati 30 ettari di bosco nella Riserva del Farma, l’esperto: è un disastro”. Sempre a Grosseto: “Taglio degli alberi in città, 1.640 cittadini protestano”. Ancora a Grosseto: “Stop al taglio degli alberi, è uno scempio”. Provincia dell’Aquila: “Tagliati gli storici alberi dell’Altopiano delle 5 Miglia”. Molfetta: “Quartiere San Domenico sotto shock: tagliato l’Albero della Vita, ancora ignote le motivazioni”. Napoli, quartiere del Virgiliano: “Strage di pini, oltre 100 saranno abbattuti”. Novara: “Via libera all’abbattimento di 32 aceri”. Como: “Faggi abbattuti al liceo Giovio, sale la protesta; la Provincia dice: ragioni di sicurezza”. Certo, come no: alberi che sono lì da cento anni e, adesso che arriva il 5G, diventano di colpo pericolosi.E’ sempre la stessa scusa, fra l’altro. Guardate: “Garbagnate, Natale senza pini: verranno abbattuti; potrebbero diventare pericolosi, col passare del tempo, per la cittadinanza”. Quindi siamo addirittura al taglio preventivo, precauzionale. Campoformido, provincia di Udine: “Proteste per il taglio dei pini marittimi in piazza a Basaldella; procede la riqualificazione del centro”. Certo, perché adesso “distruggere” si dice “riqualificare” (la neolingua imperversa). Lecco: “Alberi abbattuti sul lungolago, le piante possono rigenerarsi”. Certo, magari fra vent’anni ricrescono anche; nel frattempo tu hai piazzato le tue belle antennine 5G da tutte le parti. Este, in provincia di Padova: “Alberi tagliati senza motivo, delitto contro la natura”. Piacenza: “Alberi tagliati senza motivo, uno scempio”. Ancora a Roma, al Salario: “Alberi tagliati senza motivo”. Ferrara: “Continua il massacro degli alberi lungo la statale 16”.Ragazzi, è pazzesco quello che stanno facendo. Due o tre di questi casi potrebbero anche essere situazioni in cui davvero gli alberi vanno tagliati, ma qui stanno facendo una carneficina: qui siamo di fronte a un abbattimento sistematico degli alberi in tutto il paese. E il fatto è che sono molto furbi, perché lo fanno a livello locale, senza fare rumore. Lo fanno cittadina per cittadina, contando sul fatto che una comunità non sa quello che succede in quella accanto. Se non ci fosse stato questo contributo, da parte degli ascoltatori di “Border Nights”, ciascuno avrebbe continuato a pensare che magari era solo un problema loro. E nel frattempo, questa gente sta devastando le risorse naturali dell’intero paese. Io non so cosa dirvi, ragazzi. Mi auguro però che vogliate organizzarvi, sia a livello locale che regionale, perché qui vanno presi i sindaci, uno per uno, con nomi e cognomi, e vanno messi di fronte alle loro responsabilità. Non è possibile che il nostro paese venga devastato in questo modo, senza che nessuno faccia niente. E se aspettiamo che intervengano i nostri politici da Roma stiamo freschi: quelli son troppo impegnati a conservare il proprio stipendio, la loro poltroncina, per preoccuparsi dei problemi reali. E anche tu, “Butac”, e tutti gli altri “debunker”: invece di scrivere scemenze, datevi da fare. Qui non c’entrano le questioni ideologiche: la natura è di tutti, anche vostra.(Massimo Mazzucco, “G5, la strage degli alberi”, video pubblicato su “Luogo Comune” l’8 luglio 2019. L’autore, al termine del filmato, annuncia che a questa prima indagine sul taglio degli alberi seguirà uno studio per vedere più da vicino quelli che possono essere i rischi effettivi dell’impatto della rete 5G sulla nostra salute).Da quando ho iniziato a interessarmi del 5G, ho scoperto che vi sono non uno, ma due aspetti preoccupanti, di questa nuova tecnologia. Il primo è quello che riguarda la salute: mentre si sta procedendo con grande fretta alla commercializzazione della nuova “Rete dei miracoli”, infatti, nessun serio studio scientifico è stato fatto sulle conseguenze che potrebbe comportare quest’irradiazione, ormai onnipresente, sugli esseri umani. Fra poco ci troveremo letteralmente sommersi da un mare di microonde, con antenne piazzate ogni 500 metri nelle grandi città, e magari solo fra dieci o vent’anni potremo sapere quali saranno state le reali conseguenze sulla nostra salute. Ma di questo argomento ci occuperemo in un altro video, che sto preparando. Nel frattempo, vorrei portare alla vostra attenzione un secondo problema, che non è da meno: riguarda la distruzione selvaggia e sistematica dei nostri alberi. A quanto pare, infatti, gli alberi – soprattutto quelli più alti – impediscono una buona irradiazione del segnale 5G. E quindi li stanno togliendo di mezzo, in tutta Italia, con delle giustificazioni decisamente ridicole. Un paio di mesi fa mi ero accorto che, dalle mie parti, avevano tagliato in modo abominevole dei bellissimi viali alberati, e ho cominciato a chiedere in giro quale fosse il motivo. Ma nessuno mi sapeva dare una risposta, al punto che ho iniziato a sospettare che ci fosse di mezzo il 5G.
-
Gelli, Andreotti, Cia: a Pistoia il fucile che uccise Kennedy?
Il fucile messo nelle mani di Lee Oswald il 22 novembre del 1963 è un Carcano, arma fabbricata in Italia. Carcano era il cognome del tecnico che, presso le fonderie belliche di Terni, prese un progetto di successo austriaco e, fatta qualche modifica per mascherare l’avvenuto copia-incolla, propose una sorta di sottomarca di un modello particolarmente venduto. Come qualunque fucile o pistola, anche il Carcano di Dallas ha un numero di serie, il suo è C2766. Attraverso tale sigla, si è potuta ricostruire la sua storia, fino a risalire ad un nome, quello di Samuel Cummings. Costui era, a metà del secolo scorso, un membro dell’Adam Consolidated Industries Inc., società con doppia sede, a New York e a Roma, dedita al commercio d’armi. Samuel Cummings aveva un uomo di fiducia in Italia: Enrico Frittoli. Sodale di Licio Gelli, Frittoli era titolare di una società di import-export a Montecarlo. Un rapporto del Sisde (il servizio segreto civile) del 1982 informava che ai vertici della Loggia di Montecarlo, insieme a Gelli, vi era Enrico Frittoli. E il sospetto era che proprio attraverso Frittoli, Gelli potesse agilmente commerciare in armi.Lo stesso Frittoli è attualmente (almeno fino al 20 agosto 2018) il responsabile per il Principato di Monaco del Coordinamento Europa del Popolo delle Libertà, il polo politico di Silvio Berlusconi. Il 6 marzo del 2006, su segnalazione della Segreteria di Stato vaticana, è stato insignito, da Papa Benedetto XVI, del titolo di Commendatore dell’Ordine di San Gregorio Magno. Il Carcano riguardò direttamente anche il Sifar, il servizio segreto militare italiano, e Giulio Andreotti. J. Edgard Hoover, il capo dell’Fbi, spedì a Roma il 10 giugno del 1964 un cablogramma nel quale faceva esplicito riferimento a un rapporto del nostro servizio militare contenente informazioni dettagliate sulla celebre carabina. Un dispaccio inviato dal capo-stazione Cia a Roma, datato 31 dicembre 1963, aveva avvertito l’Fbi che quel rapporto era stato confezionato su richiesta di Andreotti. Il Carcano, infatti, faceva parte di una partita di residuati bellici della Seconda Guerra Mondiale dell’esercito fascista, finita in uno stock d’armi ricondizionate e che, grazie a un appalto indetto dal nostro ministero della difesa, nel 1960 finisce proprio alla Adam’s Consolidated Industries Inc., di Samuel Cummings. Nell’anno 1960 il titolare del dicastero della difesa era Giulio Andreotti.Ma non è finita qui, perché lo scorso anno, 2017, ritorna alla ribalta proprio il nostro Carcano, a Pistoia. Il fucile con cui Lee Oswald sparò al presidente degli Stati Uniti è ufficialmente custodito negli Usa, ma un fucile analogo fu trovato un anno fa in un capannone della ex fabbrica di munizioni Smi (Società Metallurgica Italiana) di Campo Tizzoro. L’arma, disattivata e arrugginita, era avvolta in una busta Smi con un cartellino con scritto “C.Warren”, il nome della prima commissione che indagò sul delitto Kennedy, insieme ad alcuni documenti. Tutto era in un armadio metallico, acquistato (come il resto del materiale dell’archivio difesa della Smi) all’asta 5 anni fa per 5.000 euro, dopo che il relativo ramo dell’azienda era stato ceduto al pubblico. La scoperta si deve a Gianluca Iori, architetto e direttore dell’Istituto di ricerche storiche e archeologiche di Pistoia. Iori considera «eccezionali» i documenti rinvenuti, «ora custoditi in cassaforte». Di questi documenti non si è saputo più nulla.Quanto al fucile, Gianluca Iori azzardò più ipotesi: da quella che fosse finito nell’armadio per caso, che potesse essere il secondo fucile che aveva sparato a Kennedy, o che fosse l’arma lasciata a Campo Tizzoro dalla commissione Warren per prove balistiche. Nel 1966, effettivamente arrivarono a Campo Tizzoro investigatori della Cia per alcune verifiche, in quanto due delle tre pallottole esplose da Oswald, oltre a un caricatore, erano state prodotte presso la Smi, che all’epoca «era la principale ditta di munizioni in ambito Nato». Durante la Seconda Guerra Mondiale la Smi produsse per l’esercito tedesco, attestatosi lungo la Linea Gotica proprio sull’Appennino Pistoiese, e fu risparmiata dai bombardamenti alleati grazie ad accordi segreti presi tra la proprietà e l’intelligence britannica. Dal 2006 il grande stabilimento è stato definitivamente chiuso e la produzione è stata trasferita a Fornaci di Barga, vicino al paese di Pinocchio.(Lara Pavanetto, “Come dal fucile Carcano di Oswald, si arriva a Andreotti, Gelli e Berlusconi per finire nel 2017 a Pistoia”, dal blog della Pavanetto del 20 agosto 2018).Il fucile messo nelle mani di Lee Oswald il 22 novembre del 1963 è un Carcano, arma fabbricata in Italia. Carcano era il cognome del tecnico che, presso le fonderie belliche di Terni, prese un progetto di successo austriaco e, fatta qualche modifica per mascherare l’avvenuto copia-incolla, propose una sorta di sottomarca di un modello particolarmente venduto. Come qualunque fucile o pistola, anche il Carcano di Dallas ha un numero di serie, il suo è C2766. Attraverso tale sigla, si è potuta ricostruire la sua storia, fino a risalire ad un nome, quello di Samuel Cummings. Costui era, a metà del secolo scorso, un membro dell’Adam Consolidated Industries Inc., società con doppia sede, a New York e a Roma, dedita al commercio d’armi. Samuel Cummings aveva un uomo di fiducia in Italia: Enrico Frittoli. Sodale di Licio Gelli, Frittoli era titolare di una società di import-export a Montecarlo. Un rapporto del Sisde (il servizio segreto civile) del 1982 informava che ai vertici della Loggia di Montecarlo, insieme a Gelli, vi era Enrico Frittoli. E il sospetto era che proprio attraverso Frittoli, Gelli potesse agilmente commerciare in armi.
-
#MattonellaDimettiti, lesa maestà e fake news istituzionali
Cultori sfegatati del nuovo genere letterario di giornaloni, quello delle fake news sulle fake news, leggiamo e collezioniamo tutto. Non ci perderemmo una puntata per nessuna ragione al mondo. Lo spettacolo dell’establishment che prende scoppole in tutto il mondo perché sta sulle palle ai cittadini e, anziché guardarsi allo specchio, cerca in Russia la spiegazione dei suoi continui fiaschi, è semplicemente impagabile. L’establishment ordina agli inglesi di votare no alla Brexit e quelli votano sì? Dev’essere un complotto dei russi a suon di fake news. L’establishment intima agli americani di votare Hillary Clinton contro Trump e quelli eleggono Trump? Sarà per le fake news diffuse da Putin. L’establishment raccomanda agli italiani di votare sì al referendum costituzionale e quelli votano no? Ci dev’essere sotto la congiura delle fake news moscovite. L’establishment diffida gli italiani dal premiare il populismo sovranista 5Stelle e la Lega e quelli corrono a votare 5Stelle e Lega? Le solite fake news della propaganda moscovita. L’establishment beatifica Mattarella che rifiuta il governo Conte con dentro Savona e subito Facebook e (molto meno) Twitter pullulano di messaggi contro Mattarella e pro Conte&Savona? La solita regìa dei troll russi, provenienti stavolta da San Pietroburgo.Il bello è che i fabbricanti di complotti un tanto al chilo sono gli stessi che accusano i populisti sovranisti di complottismo. Dopodiché anche i loro complotti, alla prova dei fatti, si rivelano quello che sono: balle, bufale, patacche, fake news (al cubo). Memorabile il caso di “Beatrice Di Maio”, il nickname di Fb additato dalla “Stampa” come il Grande Vecchio grillin-casaleggiano delle fake news contro Renzi, Boschi, Lotti & C.: peccato fosse la moglie di Brunetta. Una storia da manuale del boomerang, che fa il paio con le accuse di razzismo lanciate dal Pd al governo Conte perché un gruppo di giovinastri aveva lanciato un uovo a un’atleta di colore, poi frettolosamente ritirate dopo la scoperta che un lanciatore era il figlio di un consigliere comunale Pd. Ora ci risiamo. I giornaloni non riescono proprio a digerire che il 27 maggio, quando Mattarella rispedì a casa Conte per via di Savona, molti italiani si siano incazzati da soli: se i social tracimavano di commenti critici o insultanti, non era perché chi aveva appena votato M5S e Lega si sentisse defraudato e invocasse le dimissioni del capo dello Stato; ma perché c’era dietro Putin con la sua fabbrica di troll a San Pietroburgo. Infatti, per un’intera settimana, ci hanno ammorbati con una cascata di articoloni e titoloni.Tutti ispirati dal Colle (bastava leggere le firme: quelle dei quirinalisti), finché il pool Antiterrorismo della Procura di Roma (non è uno scherzo: è tutto vero), la Dia, la Polizia Postale, i servizi segreti e il Copasir non hanno aperto inchieste per vilipendio al capo dello Stato e attentato alla sua libertà. Roba da 20 anni di galera, come minimo. Poi i servizi hanno subito detto che non c’è una sola prova sui famosi troll russi. E chi aveva titolato “L’attacco al Colle via Twitter. Alcune ‘firme’ del Russiagate dietro i messaggi contro il capo dello Stato”, “Le manovre dei russi sul web e l’attacco coordinato a Mattarella”, “Interventi sulla politica italiana dai troll russi che spinsero Trump”, (“Corriere”), “La questione russa in Italia. Interferenze cyber”, “Interferenze russe sul voto del 4 marzo” (“La Stampa”), “Dalla propaganda di Putin 1500 tweet per Lega e 5Stelle”, “Una pioggia sui social in arrivo da San Pietroburgo”, “Il Pd nel mirino dei troll russi” (“Repubblica”), che ha fatto? Ha chiesto scusa per tutte le balle raccontate e lasciato perdere? Macché: fischiettando con grande nonchalance, ha infilato un paio di righette qua e là negli articoli – non più nei titoli – per dire che i russi non c’entrano nulla, o non c’è alcuna prova che c’entrino. Cioè: le critiche al presidente italiano erano tutte italiane. Dunque su chi si indaga, e per quale reato? Sui cittadini che, tutelati dall’articolo 21 della Costituzione, postano sui social il loro legittimo dissenso sulla massima carica, manco fossimo nella Russia di Putin?Mentre il boomerang volteggia all’indietro su chi l’aveva lanciato – cioè il Quirinale sempre più simile al Cremlino – i quirinalisti ispirati dall’alto tentano di intercettarlo in tempo con le nude mani: «Si cerca – scrive ieri il “Corriere” – di far passare Mattarella come un uomo permaloso che, credendosi un semidio, vorrebbe rianimare almeno il reato di lesa maestà». Già, l’impressione è proprio questa. «Manca solo che accusino il Quirinale di istigare i magistrati a recuperare la cultura greca del delitto di hybris» per «veder marcire in galera chiunque si pronunci criticamente su di lui». Già, la sensazione è proprio questa. Invece no: Egli, «nella sua imperturbabilità zen» e immensa bontà, adora chi lo critica, ma solo «in una dialettica accettabile in democrazia, ciò che esclude insulti e minacce». Resta da capire dove siano insulti e minacce nell’hashtag #MattarellaDimettiti dei tweet sotto inchiesta, prima made in Russia e ora rientrati nella cinta daziaria (lo “snodo di Milano”). Ma tutto è bene quel che finisce bene, o quasi.“Repubblica”, mentre autosmentisce una settimana di titoli sulla Russia con una sola frasina («gli account utilizzati per le campagne di influenza dei russi della Internet Research Agency di San Pietroburgo hanno cessato di operare nell’autunno scorso», dunque solo «mani italiane»), monta un’intera pagina su una notizia sensazionale: in Italia i siti dei 5Stelle rilanciano i messaggi di Di Maio e degli altri 5Stelle. Roba forte. Non solo: le critiche a Mattarella furono «un assalto squadrista» (tipo quelli di “Repubblica” a Leone e Cossiga) finalizzato nientepopodimenoché a «eccitare la coscienza del paese». Accipicchia. E chi è stato? «Consolidati network di condivisione di contenuti para-giornalistici di segno sovranista, piuttosto che populisti». Mecojoni. E non è mica finita: «Sono evidenti le stimmate e la regia politica». Perbacco: le pagine Fb di «quelli che si dicono 5S» chiedevano l’impeachment di Mattarella. Chi l’avrebbe mai detto? Una addirittura postava una domanda dal chiaro contenuto eversivo: «Siete d’accordo con Di Maio che invoca la messa in stato d’accusa di Mattarella?». E qualcuno osò financo rispondere, non so se mi spiego. Seguono i nomi dei putribondi mandanti: «Tale Piergiorgio, alias ‘Pierre’ Cantagallo», «Grande Cocomero classic» (il nostro preferito), «tale Francesco Camillo Soro» da Las Palmas. E ho detto tutto. Che si aspetta ad arrestarli, fustigarli, convertirli in appositi campi di rieducazione? L’Antiterrorismo non ponga altro tempo in mezzo.E, già che c’è, non trascuri le indagini sulla leggendaria «fabbrica delle fake news» e sull’inquietante «fiume di denaro che porta a Londra, a Mosca, in Albania», smascherati mesi fa dai segugi di “Repubblica”, che ne inseguirono le tracce fino al covo operativo: «Una fabbrica di manufatti in alluminio a Terni». Lì, «in una sera gelida di novembre, durante una pausa di cambio turno, Leonardo, un metalmeccanico di 34 anni, ex punk, la terza media in tasca e i soldi per comprare il primo modem non più di sei anni fa, apre le porte del Sistema». Roba grossa, di cui però non si seppe più nulla. Se non che – fu sempre “Repubblica” a rivelarlo, con grave sprezzo del pericolo – «Leonardo di cognome fa Piastrella», ma quando diventa un «cavaliere nero dell’intossicazione online», si fa chiamare “Ermes Maiolica”, molto ricercato dai «broker pubblicitari». Perché voi non ci crederete, ma «più traffico hai, più soldi prendi dalla pubblicità». Strano, eh? Infatti «in Rete ha cominciato a fare capolino un certo Vincenzo Ceramica. Provate a indovinare chi sia». Sono mesi che tratteniamo il fiato, in attesa che qualcuno sveli l’arcano – se non “Repubblica”, che abbandonò la pista proprio sul più bello, almeno l’Antiterrorismo. Se il sor Piastrella c’entra col sor Maiolica, c’entrerà anche col sor Ceramica? E non è che l’hashtag eversivo #MattarellaDimettiti era un messaggio in codice per il sor Mattonella?(Marco Travaglio, “#MattonellaDimettiti”, dal “Fatto Quotidiano” del 9 agosto 2018, ripreso da “Il bene comune newsletter”).Cultori sfegatati del nuovo genere letterario di giornaloni, quello delle fake news sulle fake news, leggiamo e collezioniamo tutto. Non ci perderemmo una puntata per nessuna ragione al mondo. Lo spettacolo dell’establishment che prende scoppole in tutto il mondo perché sta sulle palle ai cittadini e, anziché guardarsi allo specchio, cerca in Russia la spiegazione dei suoi continui fiaschi, è semplicemente impagabile. L’establishment ordina agli inglesi di votare no alla Brexit e quelli votano sì? Dev’essere un complotto dei russi a suon di fake news. L’establishment intima agli americani di votare Hillary Clinton contro Trump e quelli eleggono Trump? Sarà per le fake news diffuse da Putin. L’establishment raccomanda agli italiani di votare sì al referendum costituzionale e quelli votano no? Ci dev’essere sotto la congiura delle fake news moscovite. L’establishment diffida gli italiani dal premiare il populismo sovranista 5Stelle e la Lega e quelli corrono a votare 5Stelle e Lega? Le solite fake news della propaganda moscovita. L’establishment beatifica Mattarella che rifiuta il governo Conte con dentro Savona e subito Facebook e (molto meno) Twitter pullulano di messaggi contro Mattarella e pro Conte&Savona? La solita regìa dei troll russi, provenienti stavolta da San Pietroburgo.
-
Salva-banche, risparmiatori traditi e rovinati: oltre 2 miliardi
Il governo salva le banche, lasciando che siano rovinati i risparmiatori. Una truffa: oltre 2 miliardi di euro di risparmi azzerati, di colpo, senza preavviso. «Siamo tantissimi, siamo la nuova Parmalat», protestano rivolgendosi a “Repubblica”, che presenta un vasto reportage effettuato da Maurizio Bolognini e Laura Montanari. Parlano gli italiani rovinati del decreto salva-banche varato in sordina, una domenica pomeriggio, dal governo Renzi: «Siamo la macelleria sociale, quelli che è stato facile ingannare». Pensionati, casalinghe, operai, impiegati, piccoli risparmiatori, gente distante anni luce dalle alchimie finanziarie o dalle acrobazie azionarie. Quelli che si presentano allo sportello e dicono: «Ho da parte questi soldi, cosa mi consiglia?». Cercavano investimenti sicuri, e sono finiti «nella roulette russa delle azioni volatili, dei bond subordinati al veleno». Come Mario, pensionato di Empoli: «Ho perso trentamila euro, la metà dei risparmi di una vita. All’Etruria mi hanno fatto vedere un foglio, dei miei soldi non resta niente». I casi come il suo rimbalzano da Chieti a Terni, da Pescara a Ferrara, da Grosseto ad Arezzo.Il fulmine è caduto dalla Banca Etruria alla Banca Marche, dalla Cassa di Risparmio di Chieti alla Cassa di Risparmio di Ferrara. «Dai posti insomma in cui ci si fida», dove l’impiegato di banca «si trasforma in una specie di consulente finanziario». Per la prima volta, in Italia, spiega “Repubblica”, quattro banche (Carife, CariChieti, Banca Etruria e Banca Marche) sono state “risolte” con un meccanismo che anticipa in parte il bail-in (salvataggio interno) che entrerà in vigore dal 1° gennaio prossimo e in parte ricorre al vecchio bail-out (salvataggio esterno), già andato in scena durante la crisi finanziaria, ma questa volta senza prevedere l’iniezione diretta di soldi pubblici nel capitale delle banche in difficoltà. Il primo aspetto è quello che coinvolge direttamente i risparmiatori. Nel decreto di salvataggio si prevede che le azioni e le obbligazioni subordinate delle “vecchie” banche siano interamente svalutate: «Sono diventati pezzi di carta. E rappresentano quindi una perdita al 100% per chi le ha sottoscritte». Moody’s parla di 2 miliardi di euro di azioni azzerate, più 788 milioni di euro in “obbligazioni subordinate”. «Sono strumenti che, in caso di difficoltà dell’emittente, prevedono il rimborso del capitale solo “in subordine” rispetto ad altri titoli, cioè le obbligazioni “senior”, che hanno un grado di protezione maggiore».Il problema che emerge dalle testimonianze raccolte, scrive sempre “Repubblica”, è che ben pochi dei sottoscrittori di queste obbligazioni erano a conoscenza del rischio al quale andavano incontro. Dopo che azioni e obbligazioni hanno assorbito le perdite, i crediti in sofferenza (cioè morosi) delle vecchie banche sono stati svalutati: da 8,5 miliardi, il loro valore è stato abbattuto a 1,5 miliardi (il 17% circa del valore originario, un dato di gran lunga inferiore al valore medio di copertura delle “sofferenze” in Italia). Sono poi stati trasferiti in una bad bank, una “banca cattiva” che non ha la licenza per l’attività tradizionale: è una scatola per le “sofferenze”, per venderle a operatori specializzati, sperando di recuperare i denari in gioco. Gli altri attivi delle vecchie banche, cioè le parti “buone”, sono finiti in quattro nuove entità, dotate di un capitale necessario per operare, in vista della loro cessione. Le risorse necessarie a queste operazioni, circa 3,6 miliardi, sono arrivate dal sistema bancario attraverso un Fondo di risoluzione, al quale torneranno i proventi della vendita dei crediti in sofferenza e delle banche risanate.Per questo, continua “Repubblica”, alcuni parlano ancora di bail-out, salvataggio da fuori, ma senza soldi diretti dei contribuenti (come era invece accaduto in alcuni paesi, durante la crisi, quando gli Stati avevano messo direttamente capitali nelle banche in crisi). La Commissione Ue ha accertato comunque che ci sono aiuti di Stato, ma in una misura tale da non generare una distorsione del mercato e quindi ha dato il via libera all’operazione. Per di più, su una parte di quei fondi (1,65 miliardi di finanziamento delle maggiori banche), c’è una garanzia della Cdp che scatterà se il Fondo di risoluzione non sarà capiente per rimborsare quella linea di credito, alla scadenza tra un anno e mezzo. «La morale della vicenda è tirata da un report di Moody’s: è la prima volta che gli obbligazionisti subordinati subiscono un azzeramento del loro capitale, in queste proporzioni, per l’Italia». Visto che molti investitori erano piccoli e privati, ciò potrà accrescere la consapevolezza della rischiosità dei meccanismi di risoluzione per gli obbligazionisti, irrigidendo ulteriormente la vendita di bond attraverso la rete di filiali a vantaggio dei depositi, maggiormente garantiti.«Una lezione amara, che in molti sperimentano sulla pelle. Senza considerare, poi, che dal 2016 il meccanismo del “salvataggio interno” si dispiegherà in tutta la sua forma, colpendo potenzialmente anche altri soggetti interessati alla banca». Se domani una banca in difficoltà non avrà un piano di risanamento ritenuto consono dall’autorità, la ristrutturazione peserà fino all’8% delle passività su, nell’ordine: azionisti, obbligazionisti “junior” (meno garantiti, i subordinati già chiamati a pagare con le quattro banche in questione), obbligazionisti “senior” e correntisti oltre i 100.000 euro. Se ancora ciò non fosse sufficiente, interverrà il Fondo unico di risoluzione per un ammontare fino al 5% della banca in crisi. Cosa significa questo? Uno studio recentemente commissionato dal Parlamento Europeo ha simulato cosa sarebbe accaduto se le regole del bail-in fossero state valide durante la crisi finanziaria tra il 2007 e il 2014. «Su un campione di 72 banche salvate, che hanno totalizzato perdite per 313 miliardi, 153 miliardi sarebbero stati assorbiti con i fondi propri e il coinvolgimento dei creditori. Nei fatti, il bail-out andato in scena ha spalmato su tutti i cittadini, attraverso l’intervento dello Stato che usa i soldi dell’erario, il costo degli errori di manager e stakeholder».Il reportage di “Repubblica” è un viaggio nel dolore e nella rabbia: «Siamo le vittime di quel decreto», racconta Roberta Gaini, 50 anni, toscana, impiegata in una ditta chimica: «Non riesco più a dormire da giorni. Mi hanno preso i soldi che mi aveva lasciato mio padre, ho perso 62.000 euro in obbligazioni subordinate, 20.000 li ha persi mia madre e diecimila mia sorella. Come la chiamiamo se non una truffa?». Rabbia, sconforto e sospetti per migliaia di risparmiatori delle quattro banche “salvate” dal governo con un conto che pagano – e salato – loro. Silvia Trovò abita a Voghiera, in provincia di Ferrara, ha un’azienda agricola che produce frutta e seminativi: «Dal venerdì alla domenica del 22 novembre per noi è cambiato tutto, abbiamo perso 26.000 euro in obbligazioni subordinate e azioni della CariFerrara. Erano i soldi che mio padre, anche lui agricoltore, ci aveva lasciato: non può capire il dispiacere e la rabbia». Storie strazianti, come quella di Francesca, da Civitavecchia: «Mio padre, correntista Banca Etruria da 40 anni, invalido al 100% e cardiopatico cronico, aveva affidato i suoi risparmi di una vita da operaio (40.000 euro) all’istituto di credito succitato, in virtù di un rapporto di estrema fiducia».Nessuno, racconta Francesca, l’aveva avvisato dei rischi che correva con le obbligazioni subordinate: «Lui era tranquillo, si fidava ciecamente del dipendente che gliele aveva proposte, pur avendo un profilo di rischio basso (secondo la Mifid). In un momento lui si è visto azzerare i suoi risparmi, che gli servono per curarsi». E aggiunge: «Sono una dei tanti disperati, una vittima della macelleria socio-umana di questo governo, della gestione dissennata dei dirigenti di Banca Etruria. E non so come comunicarlo a mio padre, perché potrebbe verificarsi un serio attentato alla sua fragile salute, oltre al danno finanziario subito». E tutto grazie a quel decreto, «emanato in un pomeriggio domenicale di novembre, in sordina, artatamente pianificato», che ha ridotto sul lastrico centomila o forse duecentomila risparmiatori italiani.Il governo salva le banche, lasciando che siano rovinati i risparmiatori. Una truffa: oltre 2 miliardi di euro di risparmi azzerati, di colpo, senza preavviso. «Siamo tantissimi, siamo la nuova Parmalat», protestano rivolgendosi a “Repubblica”, che presenta un vasto reportage effettuato da Maurizio Bolognini e Laura Montanari. Parlano gli italiani rovinati del decreto salva-banche varato in sordina, una domenica pomeriggio, dal governo Renzi: «Siamo la macelleria sociale, quelli che è stato facile ingannare». Pensionati, casalinghe, operai, impiegati, piccoli risparmiatori, gente distante anni luce dalle alchimie finanziarie o dalle acrobazie azionarie. Quelli che si presentano allo sportello e dicono: «Ho da parte questi soldi, cosa mi consiglia?». Cercavano investimenti sicuri, e sono finiti «nella roulette russa delle azioni volatili, dei bond subordinati al veleno». Come Mario, pensionato di Empoli: «Ho perso trentamila euro, la metà dei risparmi di una vita. All’Etruria mi hanno fatto vedere un foglio, dei miei soldi non resta niente». I casi come il suo rimbalzano da Chieti a Terni, da Pescara a Ferrara, da Grosseto ad Arezzo.
-
Gentiloni tra gli Usa, Israele e il gas russo gestito dall’Eni
Un ministro vicino a Israele e al Vaticano ma soprattutto devoto a Washington, per controbilanciare la perdurante amicizia con la Russia, via Eni. E’ la lettura che Aldo Giannuli fornisce della nomina di Paolo Gentiloni come ministro degli esteri, dopo giorni difficili nei quali Renzi ha dovuto affrontare la manifestazione della Cgil e il pestaggio degli operai di Terni. Gentiloni, si dice, non era nella rosa iniziale dei candidati per la sostituzione della Mogherini. Imposto dal Colle? Eppure «viene dalla Margherita, come gran parte dello staff renziano». Non era in pole position in omaggio al principio della “parità di genere” nel governo? «Renzi è abbastanza fatuo per andare dietro a queste fesserie, ma la cosa non convince». Perché a Gentiloni non si è arrivati subito? Probabilmente, spiega Giannuli nel suo blog, perché la suia nomina fa parte di una partita complessa, fatta soprattutto di energia e business, in cui l’Italia si colloca a metà strada tra gli Usa, che puntano a punire la Russia, e Israele, che invece non gradisce le sanzioni contro Putin e rimprovera Obama di non aver sferrato un attacco contro l’Iran.Dopo «una breve scapigliatura giovanile», dal Movimento Studentesco ai comunisti del Pdup passando per una collaborazione con il “Manifesto”, dov’era ritenuto esperto di mondo cattolico, «Gentiloni è andato a sciacquare i suoi panni nel Potomac, diventando uomo assai sensibile alle ragioni a stelle e strisce», scrive Giannuli. «E ancor più sensibile è diventato, con il tempo, alle ragioni di Israele: è interessante constatare come proprio alla vigilia della sua nomina, Gentiloni abbia avuto un caloroso incontro con i maggiori rappresentanti della comunità ebraica italiana». Non è un mistero, aggiunge Giannuli, che da almeno cinque anni, cioè dall’epoca del “discorso del Cairo” di Obama, Washington e Tel Aviv procedano «in direzioni via via divaricanti», sicché «l’intesa non è più quella di un tempo». Si sa: «Israele avrebbe voluto l’intervento in Iran che non c’è stato», e inoltre «non ha visto affatto di buon occhio la “primavera araba” che gli Usa hanno, in parte, incoraggiato». Parallelamente, «Washington si è mostrata meno allineata del passato ad Israele sulla questione palestinese». Ma soprattutto, in tempi recenti, «è la questione energetica a dividere i due vecchi sodali».Gli Usa, ricorda lo storico dell’ateneo milanese, hanno l’obiettivo strategico di indebolire la Russia e in particolare la sua influenza sull’Europa, determinata dal peso delle sue forniture di gas. «A questo scopo, gli Usa hanno cercato in tutti i modi di impedire la nascita del gasdotto “Southstream”, prima con il progetto concorrenziale “Nabucco”, dopo spingendo per l’inserimento del Quatar nella rete metanifera europea». Entrambe le questioni vedono al centro il nostro paese, sottolinea Giannuli: “Southstream” avrebbe dovuto essere costruito dall’Eni (ora non sappiamo che fine farà il progetto), mentre la via più semplice per agganciare il Qatar alla rete europea è agganciarlo al gasdotto italo-libico-algerino, operazione tentata nel 2005 e bloccata dal governo Berlusconi, per evidenti preferenze moscovite. Scelta che i quatarioti «si legarono al dito, rendendo all’Italia pan per focaccia in occasione della crisi libica». Va da sé, conclude Giannuli, che Israele veda il piano di inserimento del Qatar come il fumo negli occhi. Ed è ovvio, dato che il Qatar finanzia i Fratelli Musulmani: sicché, «accentuare la dipendenza dell’Europa dalle forniture di un paese arabo è in palese contrasto con i suoi interessi strategici». Per questo, «si è determinata una oggettiva convergenza fra Mosca e Tel Aviv».Il problema era tornato per un attimo alla ribalta, all’inizio della crisi ucraina, in occasione del viaggio di Letta in Qatar per trattare sull’ingresso degli arabi in Alitalia. Poi la tempestiva crisi del governo Letta bloccò sul nascere la ripresa del disegno. Dopo, con il governo Renzi (sul quale si sa avere molta influenza l’economista Yoram Gutgeld, già ufficiale superiore dell’esercito israeliano), sono venute le nomine Eni con la promozione di Claudio De Scalzi al posto che fu di Paolo Scaroni e, con essa, la conferma piena degli orientamenti filorussi dell’ente petrolifero di Stato. Insomma, «nel governo Renzi si è riprodotta in sedicesimo quella convergenza russo-israeliana di cui dicevamo», spiega Giannuli. «E gli americani non hanno affatto gradito, riservando al giullare fiorentino più di uno sgarbo». Poi, «puntuale come Big Ben», è arrivato lo scandalo Nigeria, «che ha colpito De Scalzi, oltre che Scaroni». Renzi? «In un primo momento ha difeso a spada tratta De Scalzi, ma si è molto raffreddato quando questi, per salvarsi, ha buttato a mare Scaroni (“decideva tutto lui”). E il gelo è sceso in occasione della visita di Italia di Li Kequiang, quando, alla cerimonia della firma dei contratti d’affari conclusi, tutti hanno notato la clamorosa assenza di De Scalzi, unico a mancare fra i big delle imprese di Stato».Sembra quindi che tutto confermi che sia in atto «una nuova puntata della guerra segreta dei gasdotti e che essa passi per il governo italiano», ragiona Giannuli. «Di qui la necessità di un ministro degli esteri molto ben accreditato sia presso Washington che presso Tel Aviv per trovare una mediazione in un conflitto che potenzialmente può travolgere il governo». Meglio ancora se questo mediatore dispone di buone entrature in Vaticano ed è amico di un personaggio come Stefano Silvestri, «altro ex estremista passato al campo a stelle e strisce», che può contare a sua volta su amici a Mosca e a Washington. Resta il rebus sulle modalità della nomina di Gentiloni: «Come mai un nome così perfetto non è stato la prima scelta? Forse perché occorreva coprirlo con altre candidature di parata, per non bruciarlo nel partito, dove c’erano altri candidati pure renziani? O per distrarre l’attenzione dal vero senso dell’operazione?».Un ministro vicino a Israele e al Vaticano ma soprattutto devoto a Washington, per controbilanciare la perdurante amicizia con la Russia, via Eni. E’ la lettura che Aldo Giannuli fornisce della nomina di Paolo Gentiloni come ministro degli esteri, dopo giorni difficili nei quali Renzi ha dovuto affrontare la manifestazione della Cgil e il pestaggio degli operai di Terni. Gentiloni, si dice, non era nella rosa iniziale dei candidati per la sostituzione della Mogherini. Imposto dal Colle? Eppure «viene dalla Margherita, come gran parte dello staff renziano». Non era in pole position in omaggio al principio della “parità di genere” nel governo? «Renzi è abbastanza fatuo per andare dietro a queste fesserie, ma la cosa non convince». Perché a Gentiloni non si è arrivati subito? Probabilmente, spiega Giannuli nel suo blog, perché la suia nomina fa parte di una partita complessa, fatta soprattutto di energia e business, in cui l’Italia si colloca a metà strada tra gli Usa, che puntano a punire la Russia, e Israele, che invece non gradisce le sanzioni contro Putin e rimprovera Obama di non aver sferrato un attacco contro l’Iran.
-
Ovadia: il ‘900 è finito, infatti con Renzi torniamo all’800
Auspico un autunno caldo e la rinascita di una sinistra, autentica, altro che Pd. Se Renzi ammettesse di essere un uomo di destra, sarebbe un gesto di grande onestà intellettuale. Quando sento parlare di due sinistre, mi vien da sorridere: quale sarebbe la seconda? Il Pd? E allora io sono Papa. Il Pd non ha più nulla di sinistra. Massimo Cacciari, non un pericoloso bolscevico come me, recentemente ha spiegato come quel partito non sia mai veramente nato e che ora è nelle ferree mani di Matteo Renzi, i cui modelli sono la Thatcher e Blair. Li copia nella distruzione dello Stato Sociale e delle sue regole. Lo stesso utilizzo degli anglicismi è indicativo. Perché termini come Local Tax, Spending Review e Jobs Act? Tra l’altro se analizziamo al dettaglio, i termini sono esplicati: Job in inglese non è lavoro bensì impiego in senso lato, e Act sottintende un gesto unilaterale, non un accordo tra due contraenti. Renzi ha scardinato qualsiasi ipotesi di patto sociale.Alle europee prende il 40,8%? E’ un bravissimo comunicatore, si vende bene. Incarna la retorica del nuovismo contro chi è ancora ancorato al Novecento, peccato lui voglia tornare all’Ottocento dove si poteva licenziare arbitrariamente. Forse è più vecchio lui di quella folla che sabato scorso ha invaso Roma in difesa dei propri diritti. Vince perché altrove c’è il nulla. Grillo ha perso il treno. Poteva rappresentare un’interessante proposta ma ha sposato veementemente la retorica dell’urlo. Pur avendo ottimi parlamentari, questo va riconosciuto al M5S, hanno fallito, non sono riusciti a incidere e la novità dopo mesi annoia. Anche la destra è allo sfascio, Berlusconi è un uomo patetico. La sinistra, quella vera, avrebbe un vastissimo popolo e potrebbe arrivare anche al 20%. Ma è più presa a litigare e dal proprio narcisismo ombelicale che a fare politica. Ora è in attesa che l’ex sinistra del Pd le getti un osso. Così – tra paura, opportunismo e crisi – le persone optano per questo giovanotto tronfio, con uno stile dinamico e sbarazzino, il quale dice di voler cambiare e modernizzare il paese.Conosco gente, autenticamente di sinistra, che per mancanza di alternative alle europee l’ha votato. C’è un disperato bisogno di un’aggregazione del popolo di sinistra, lo dovrebbero auspicare anche le persone sinceramente democratiche. In tutta Europa esiste, tranne che in Italia. In Germania abbiamo la Linke, in Francia un fronte variegato intorno al 10, in Grecia l’esperienza trionfante di Syriza, in Spagna l’innovazione di Podemos. E da noi? Abbiamo bisogno di una vera sinistra capace di tutelare il mondo del lavoro, l’ambiente e arrestare razzismo e deriva ultraliberista. Senza, chi osteggerà il trattato europeo del Ttip? Chi si batterà per i beni comuni e contro le privatizzazioni? Non abbiamo l’ambizione di diventare il partito della nazione, ma una forza forte e dialogante con gli altri.Decine di operai di Terni vengono licenziati e con la disperazione nel cuore, con vite perse senza più un’occupazione, e magari con figli senza futuro, si riversano nella capitale per una manifestazione non violenta e che succede? Vengono caricati e manganellati. Ma siamo matti? In un’epoca di dramma sociale e aumento delle diseguaglianze, invece di parlare di solidarietà umana e primaria, si cancellano diritti e dignità dei lavoratori. Dubito che gli agenti l’abbiamo fatto di loro sponte, sarà giunto un comando dall’alto. Come succedeva in Gran Bretagna ai tempi della Thatcher, lì torniamo. I minatori inglesi sanno cosa hanno passato in termini di repressione per aver osato rivendicare salari dignitosi e tutele. Passatemi una battuta: il Papa sembra al momento l’unico leader di sinistra. Landini? Ha un potenziale enorme, un leader già pronto. Quando lo sento parlare in televisione, vedo l’autenticità di un uomo che la sua vita se l’è sudata. La schiettezza di un uomo senza doppi fini, che non vuole fregarti. E’ autenticamente indignato. Le sue sono parole pronunciate col cuore perché da anni vicino alla povera gente e ai deboli. La nostra Italia migliore. Altro che manganellate.(Moni Ovadia, dichiarazioni rilasciate a Giacomo Russo Spena per l’intervista “Se Renzi e il Pd sono di sinistra, io sono il Papa”, pubblicata da “Micromega” il 31 ottobre 2014).Auspico un autunno caldo e la rinascita di una sinistra, autentica, altro che Pd. Se Renzi ammettesse di essere un uomo di destra, sarebbe un gesto di grande onestà intellettuale. Quando sento parlare di due sinistre, mi vien da sorridere: quale sarebbe la seconda? Il Pd? E allora io sono Papa. Il Pd non ha più nulla di sinistra. Massimo Cacciari, non un pericoloso bolscevico come me, recentemente ha spiegato come quel partito non sia mai veramente nato e che ora è nelle ferree mani di Matteo Renzi, i cui modelli sono la Thatcher e Blair. Li copia nella distruzione dello Stato Sociale e delle sue regole. Lo stesso utilizzo degli anglicismi è indicativo. Perché termini come Local Tax, Spending Review e Jobs Act? Tra l’altro se analizziamo al dettaglio, i termini sono esplicati: Job in inglese non è lavoro bensì impiego in senso lato, e Act sottintende un gesto unilaterale, non un accordo tra due contraenti. Renzi ha scardinato qualsiasi ipotesi di patto sociale.
-
Sinistra, un popolo di orfani senza un solo leader credibile
Renzi può dormire sonni tranquilli: a sinistra lo contestano solo pesi-piuma come Civati e Cuperlo. Nel giorno in cui a Roma centinaia di migliaia di persone rispondevano alla chiamata della Cgil, lo storico Giovanni De Luna indicava significativamente il “deserto” alla sinistra di Renzi, anche se il conflitto tra il governo e Cgil spalancherebbe «intere praterie a sinistra del Pd». Infatti, «il partito a vocazione maggioritaria immaginato da Renzi», se da un lato tende al “grande centro” svuotando di senso il bipolarismo su cui si è fondata la Seconda Repubblica, dall’altro favorisce anche le ali estreme del sistema politico. La crisi in corso, avverte Anna Lami, porta con sé una profonda radicalizzazione del quadro politico, i cui effetti devono ancora pienamente dispiegarsi: «Inevitabile la rottamazione di chi non capisce il mutamento epocale in atto, illudendosi di poter tirare avanti come se nulla fosse, mantenendo una prospettiva di piccolo cabotaggio». L’ha capito perfettamente Matteo Renzi, e nel suo piccolo se n’è reso conto anche Matteo Salvini, trapiantando a Milano il suo lepenismo, in una piazza Duomo gremita di folla.«Come giustamente notava De Luna, la parte politica che ancora non ha capito qual è la portata degli eventi in atto è la sinistra», scrive Anna Lami su “Megachip”, nonostante il successo delle mobilitazioni sindacali delle ultime settimane. Notevole lo sciopero generale dell’Emilia Romagna proclamato dalla Cgil regionale, con decine di migliaia di lavoratori in piazza a Bologna e quasi tutte le principali fabbriche della regione ferme, per non parlare della battaglia degli operai della Thyssen di Terni, che «dopo cortei improvvisati, occupazione di Comune e Prefettura, picchetti, è culminata in una giornata di sciopero che ha fermato l’intera città umbra con una manifestazione che ha visto circa trentamila partecipanti e la contestazione dei vertici confederali». Il corteo oceanico della Cgil a Roma? «E’ la conferma che il popolo di sinistra esiste ancora, gode di buona salute ed è pronto a farsi sentire». Purtroppo, però, «non siamo più negli anni in cui una grossa manifestazione poteva bastare a frenare le intenzioni degli alti comandi».La verità è che «la crisi sta portando ad un mutamento di epoca: non basta più far vedere che “volendo si potrebbe”, occorrerebbe proprio rompere gli argini, cosa che esula decisamente dalle intenzioni dei vertici sindacali». Ancora una volta, continua Anna Lami, la base si è dimostrata più avanzata di chi dovrebbe rappresentarla: lo dicono gli slogan, i cartelli e gli striscioni, contro l’esecutivo e non solo contro il Jobs Act, dimostrando «una crescente consapevolezza politica tra il popolo lavoratore», che ormai accusa anche Napolitano, la Confindustria e la Bce. «Qui, però, entra in gioco la differenza principale tra la piazza di Milano della Lega Nord e le manifestazioni dei lavoratori», spiega Lami. «Mentre la prima ha trovato piena espressione politica, con un progetto radicale nettamente definito in senso reazionario-populista, le seconde sono ancora completamente prive di interlocutori politici credibili e adeguati ai tempi».E’ un’anomalia «che sta costando molto cara ai ceti popolari e, soprattutto, non sembra volgere verso la fine». Infatti, «fino a quando sarà possibile, come è accaduto a piazza San Giovanni, che starlettine della sinistra Pd, mezze figure come Cuperlo, Fassina e Civati, pienamente coinvolti e responsabili del disastro sociale in atto, si facciano belli sui media parlando da una manifestazione da cui dovrebbero essere cacciati in un nanosecondo, allora il divario politico che separa la realtà odierna e la rappresentazione della sinistra italiana sarà abisso». Renzi e le classi dominanti «potranno continuare a farsi beffe di ogni mobilitazione popolare», conclude Anna Lami, «fino a quando non sorgerà un soggetto politico coerentemente anticapitalista in grado di organizzare quei settori sociali che subiscono la crisi (e che sono disponibili a mobilitarsi, come anche a Roma si è visto) inserendoli in una prospettiva di conflitto», verso un cambiamento radicale.Renzi può dormire sonni tranquilli: a sinistra lo contestano solo pesi-piuma come Civati e Cuperlo. Nel giorno in cui a Roma centinaia di migliaia di persone rispondevano alla chiamata della Cgil, lo storico Giovanni De Luna indicava significativamente il “deserto” alla sinistra di Renzi, anche se il conflitto tra il governo e Cgil spalancherebbe «intere praterie a sinistra del Pd». Infatti, «il partito a vocazione maggioritaria immaginato da Renzi», se da un lato tende al “grande centro” svuotando di senso il bipolarismo su cui si è fondata la Seconda Repubblica, dall’altro favorisce anche le ali estreme del sistema politico. La crisi in corso, avverte Anna Lami, porta con sé una profonda radicalizzazione del quadro politico, i cui effetti devono ancora pienamente dispiegarsi: «Inevitabile la rottamazione di chi non capisce il mutamento epocale in atto, illudendosi di poter tirare avanti come se nulla fosse, mantenendo una prospettiva di piccolo cabotaggio». L’ha capito perfettamente Matteo Renzi, e nel suo piccolo se n’è reso conto anche Matteo Salvini, trapiantando a Milano il suo lepenismo, in una piazza Duomo gremita di folla.
-
Thyssen, una strage per risparmiare 20.000 euro?
Ventimila euro: il prezzo di un’ auto. O, a scelta, di sette vite umane. E’ il costo dell’impianto antincendio fisso e automatico per la linea 5 (quella della strage del 6 dicembre 2007) che venne raccomandato alle acciaierie Thyssen Krupp di Torino da un consulente delle assicurazioni Axa, l’ingegnere chiamato a ispezionare la fabbrica pochi mesi prima dell’incidente e a dare indicazioni sulle migliorie tecniche e organizzative da apportare, come ricorda Lorenza Pleuteri su “Repubblica”.