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Archivio del Tag ‘Ticino’

  • L’altra verità sui Panama Papers (e non fa onore alla stampa)

    Scritto il 12/4/16 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    I Panama Papers di clamore ne hanno suscitato. Indignazione, anche, com’è inevitabile quando vengono rivelati i conti milionari di centinaia di personalità di caratura mondiale. Ma siamo sicuri che si tratti di giornalismo? La risposta non è affatto scontata. Certo, sarebbe molto facile e comodo unirsi al coro di indignazione e di condanna per le rivelazioni. La stampa internazionale tende ad essere conformista e se un pool di prestigiose testate pubblica i risultati di quella che viene presentata come una straordinaria inchiesta giornalistica la “verità” trasmessa al mondo diventa univoca e incontestabile. I dubbi, in realtà, sono doverosi: ciò a cui assistiamo in queste ore non ha per nulla le stigmate del giornalismo di inchiesta, semmai di qualcos’altro ben più ambiguo e poco onorevole. Di certo rappresenta il bis di un altro scandalo esploso esattamente tre anni fa. Ricordate? Nell’aprile del 2013 l’International Consortium of Investigative Journalism – lo stesso che oggi propizia i Panama Papers – diffuse i nomi di 130.000 conti nei paradisi fiscali e delle fiduciarie di tutto il mondo che avevano aiutato i loro prestigiosi clienti ad aprirli; uno scandalo che lambì anche la Svizzera e naturalmente anche il Ticino con la diffusione dei nomi di alcuni studi.
    Lo schema mediatico di allora è identico a quello che emerge ora: una fonte passa al Consorzio di giornalismo una quantità enorme di documenti segreti, talmente colossale da indurlo a coinvolgere un certo numero di testate giornalistiche nella lettura e nella selezione di migliaia di documenti, la cui autenticità, però, è assicurata. Da chi? Ma dalla fonte stessa, che però non viene rivelata alle testate. Garantisce il direttore dell’International Consortium of Investigative Journalism. E questo è il punto: giornalismo di inchiesta presuppone un lavoro faticoso, duro, talvolta rischioso, in cui i giornalisti seguono una prima traccia, trovano riscontri, cercano più testimoni incrociando le prove. E’ un esercizio ben diverso sia dall’Offshore leaks che dai Panama Papers, in cui ai giornalisti è stato semplicemente chiesto di setacciare montagne di carte, senza indagare, senza approfondire, senza incrociare, svolgendo una mansione più che da reporter da reporter investigativo, da speleologo dell’informazione.
    Pochi commentatori, sia allora sia oggi, si sono posti la domanda fondamentale: com’è possibile che una sola fonte abbia potuto avere accesso a segreti custoditi gelosamente da studi professionali iperprotetti, trafugando dossier di dimensioni tali da non poter essere sottratti da un solo impiegato infedele? Parliamo di 11 milioni di documenti, che riguardano 200mila società in un arco di tempo lunghissimo, 40 anni! Chi e per quale ragione ha potuto compiere un’operazione così ampia, così sofisticata e così strumentale nei bersagli finali Non abbiamo una risposta certa ma sappiamo che le guerre moderne si combattono non solo con la forza militare, bensì anche – e talvolta soprattutto – con strumenti asimmetrici come la pirateria informatica, dunque con il trafugamento di informazioni sensibili. E avendo letto attentamente e con angoscia le rivelazioni di Edward Snowden, l’ex analista dei servizi segreti americani, non ci stupiamo più di nulla. Nessun archivio è davvero al sicuro, nulla di quanto scriviamo su un computer è davvero soltanto nostro. C’è chi ha accesso alla vita digitale di ogni uomo e di ogni società, in qualunque parte del mondo e può disporne a piacimento. Anche a Panama, un tranquillo lunedì di aprile, usando i media come straordinario, compiacente e compiaciuto detonatore.
    (Marcello Foa, “L’altra verità sui Panama Papers, e non fa onore alla stampa”, dal blog “Il Cuore del Mondo” su “Il Giornale” del 4 aprile 2016).

    I Panama Papers di clamore ne hanno suscitato. Indignazione, anche, com’è inevitabile quando vengono rivelati i conti milionari di centinaia di personalità di caratura mondiale. Ma siamo sicuri che si tratti di giornalismo? La risposta non è affatto scontata. Certo, sarebbe molto facile e comodo unirsi al coro di indignazione e di condanna per le rivelazioni. La stampa internazionale tende ad essere conformista e se un pool di prestigiose testate pubblica i risultati di quella che viene presentata come una straordinaria inchiesta giornalistica la “verità” trasmessa al mondo diventa univoca e incontestabile. I dubbi, in realtà, sono doverosi: ciò a cui assistiamo in queste ore non ha per nulla le stigmate del giornalismo di inchiesta, semmai di qualcos’altro ben più ambiguo e poco onorevole. Di certo rappresenta il bis di un altro scandalo esploso esattamente tre anni fa. Ricordate? Nell’aprile del 2013 l’International Consortium of Investigative Journalism – lo stesso che oggi propizia i Panama Papers – diffuse i nomi di 130.000 conti nei paradisi fiscali e delle fiduciarie di tutto il mondo che avevano aiutato i loro prestigiosi clienti ad aprirli; uno scandalo che lambì anche la Svizzera e naturalmente anche il Ticino con la diffusione dei nomi di alcuni studi.

  • Saviano: le mani della mafia anche sulla Tav Torino-Lione

    Scritto il 07/3/12 • nella Categoria: segnalazioni • (1)

    Tutti parlano di Tav, ma prima di ogni cosa bisognerebbe partire da un dato di fatto: negli ultimi trent’anni l’alta velocità è diventata uno strumento per la diffusione della corruzione e della criminalità organizzata, un modello vincente di business perfezionatosi dai tempi dalla costruzione dell’Autostrada del Sole e della ricostruzione post-terremoto in Irpinia. Questa è una certezza giudiziaria e storica più solida delle valutazioni ambientali e politiche (a favore o contro), più solida di ogni altra analisi sulla necessità o sull’inutilità di quest’opera. In questo momento ci si divide tra chi considera la Tav in val di Susa come un balzo in avanti per l’economia, come un ponte per l’Europa, e chi invece un’aberrazione dello spreco e una violenza sulla natura. Su un punto però ci si deve trovare uniti: bisogna avere il coraggio di comprendere che l’Italia al momento non è in grado di garantire che questo cantiere non diventi la più grande miniera per le mafie.

  • Expo 2015, Milano nuova capitale della ‘Ndrangheta?

    Scritto il 25/7/09 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    In vista dell’Expo 2015 le cosche calabresi stanno infiltrando il tessuto imprenditoriale lombardo e spostano il centro dei propri interessi all’ombra della Madonnina, tanto che i magistrati nazionali antimafia avvisano: «Milano è la nuova capitale della ‘ndrangheta e la Lombardia è diventata la quarta regione mafiosa d’Italia». Lo afferma Gian Luca Ursini sul newsmagazine indipendente “PeaceReporter”, in un ampio servizio che aggiorna la geografia criminale italiana partendo dai colossali investimenti in arrivo a Milano per l’expò universale e le sue miliardarie infrastrutture.

  • Corsa al riarmo: dopo gli F-35, i Chinook

    Scritto il 07/6/09 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    Dopo l’avvio del programma di produzione nazionale dei cacciabombardieri strategici americani F-35, l’Italia disporrà di nuovi elicotteri da guerra “Chinook” Ch-47, oltre che di nuovi sistemi di puntamento per i missili a bordo degli elicotteri d’attacco A-129 “Mangusta”. Lo rivela il newsmagazine “PeaceReporter”, che si incarica di diffondere notizie scarsamente segnalate dai giornali: «Più che per la difesa – osserva “PeaceReporter” – le nuovi armi saranno al servizio della nuova “gendarmeria internazionale” dell’Occidente».

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