Archivio del Tag ‘turbolenze’
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Economia tedesca a picco, ecco perché l’Ue teme la Brexit
La Germania è decisiva per l’economia Ue. Non è una novità. La novità è che l’economia tedesca sta collassando. Non rallentando… nemmeno attraversando delle turbolenze. I tedeschi sono una potenza industriale ed esportatrice. E il trend di queste due cose è in declino da più di un anno. La bilancia commerciale degli ultimi due trimestri è stata la peggiore dal 2016. E l’euro si è deprezzato del 13% da gennaio 2018. Questo è possibile perché gran parte delle esportazioni tedesche sono dirette agli altri paesi Ue e questi sono pieni di debiti fin sopra i capelli. Inoltre, il dato di marzo del Pmi tedesco (Indice gestionale per gli acquisti manifatturieri), ben al di sotto delle attese, è stato confermato questa settimana dai numeri di aprile, che sono semplicemente orribili. La previsione del 22 marzo ha sbagliato di più di 3 punti, il dato è del 44,7 contro aspettative del 48,0 (qualunque dato sotto il 50 significa una contrazione). Una contrazione si è verificata (sorprendendo ancora una volta i mercati) anche a febbraio. Infatti, non ci sono stati che dati in ribasso, alcuni dei quali analogamente orribili, a partire dall’inizio dello scorso anno.Questo è soltanto il più drammatico tra gli gli indici economici tedeschi. Ma i dati sono tutti pessimi. Ciò mette la Germania sulla via della recessione. Di nuovo, non è una novità per chiunque stesse guardando attentamente i mercati. Ne parlo per smascherare la follia che circonda la Brexit e fornire un contesto sensato. Ho definito la Brexit una minaccia esistenziale per la Ue. Lo è, e anche di più. Questo è il motivo per cui tutti, su entrambe le sponde della Manica, stanno lavorando alacremente per sabotarla. Nel mio ultimo articolo per “Strategic Culture” faccio i nomi dei responsabili. L’Ue non vuole la Brexit e se dovesse accadere, infliggerebbe un danno incredibile al sistema politico britannico e alla sua integrità. Non c’è alcuna vera differenza rispetto a quanto accaduto in Grecia nel 2015. Tutto fu pilotato da Angela Merkel allora ed è pilotato dalla Merkel oggi. L’intransigenza della Ue nelle negoziazioni, a parte non avere altre alternative, è un bluff elaborato per separare e dividere la classe politica britannica, ora che il popolo ha votato per l’uscita.Trovo patetico vedere la Merkel impegnata questa settimana in un affascinante tour in Irlanda per presentare il suo lato materno e contribuire ad alleviare il dolore dell’aperto tradimento del sistema politico britannico da parte di Theresa May. Ora che la soluzione si avvicina, la Merkel e Donald Tusk stanno giocando la parte del poliziotto buono, mentre Guy Verhofstadt interpreta il poliziotto cattivo con la bava alla bocca. La discesa tedesca nei guai economici è ora il principale problema per la Merkel, anche se dubito che lei sia pienamente consapevole delle implicazioni. Tutti tendono a giudicare erroneamente normale la situazione, e per lei il Progetto Europeo dovrebbe essere abbastanza forte da superare qualsiasi tempesta. Ma se non dovesse esserlo? L’opinione diffusa è che tenere il Regno Unito nella Ue, nel ruolo di mucca da mungere, sia importante per assicurare il prolungarsi del dominio tedesco sull’Unione. E penso che questo sia quello di cui sono convinti a Bruxelles. Tuttavia, inizio a credere che la realtà sia differente da quello che pensano i burattinai.Quindi, sostengo che, di fatto, la Germania e la Merkel hanno già perso la guerra per tenere insieme la Ue, a prescindere dalla Brexit. La distruzione del sistema politico britannico non renderà gli inglesi più facili da controllare, ma più difficili. Non spaventerà i recalcitranti come l’italiano Matteo Salvini o Marine Le Pen in Francia. Li farà infuriare. Il fallimento dell’economia tedesca nel tenere insieme l’Unione colpirà molto velocemente e come un boomerang la leadership tedesca della Ue. Già lo vediamo quando il presidente francese Emmanuel Macron si discosta apertamente dalla Germania sulla Brexit. Moltissime persone, inclusi i Remainer di Londra, sostengono di non poter sopravvivere contro un’economia più grande, più forte come quella della Ue, ossia della Germania. Molto di quello che tiene insieme la Ue è la volontà di tutti gli altri di sopportate la visione tedesca dell’integrazione fino a quando la Germania è disposta a metterci i soldi. Tuttavia, sembra sempre più che questo non avverrà in futuro. L’Ue ha quasi raggiunto il limite sui trasferimenti interni, il che testimonia quanto deboli siano le prospettive economiche di lungo termine per la Germania sotto l’attuale agenda politica.Arriverà un momento in cui una semplice ricaduta in recessione non sarà più un’altra fase ciclica di ribasso che può essere risolta dalla stampante e dalle magie della banca centrale. Diventerà qualcosa che i politici non potranno imporre con la forza e i media non potranno addolcire. La recessione tedesca è arrivata a causa dei problemi strutturali del buco nero fiscale che è la Ue. Sta causando ovvie fughe di capitale verso gli asset Usa – il dollaro, le azioni e le obbligazioni, tutte insieme. Ha fatto alzare il prezzo degli asset sicuri in Europa a livelli oltre l’assurdo. E ancora, nessuno ha il coraggio di dire che c’è una crisi! Siccome esiste ancora un po’ di margine nell’economia tedesca, ancora non si sono visti gli effetti sui consumatori. Pertanto, esiste sufficiente spazio per tutti per raccontare ancora frottole. Ma i risparmi stanno salendo rapidamente, mentre la spesa dei consumatori è in diminuzione. Le notizie sono ancora sufficientemente contrastanti da non aver ancora iniziato a inguaiare ulteriormente la Merkel a livello politico. Ma aspettate. Succederà.(Tom Luongo, “L’economia tedesca è un morto che cammina”, da “Voci dall’Estero” del 6 aprile 2019).La Germania è decisiva per l’economia Ue. Non è una novità. La novità è che l’economia tedesca sta collassando. Non rallentando… nemmeno attraversando delle turbolenze. I tedeschi sono una potenza industriale ed esportatrice. E il trend di queste due cose è in declino da più di un anno. La bilancia commerciale degli ultimi due trimestri è stata la peggiore dal 2016. E l’euro si è deprezzato del 13% da gennaio 2018. Questo è possibile perché gran parte delle esportazioni tedesche sono dirette agli altri paesi Ue e questi sono pieni di debiti fin sopra i capelli. Inoltre, il dato di marzo del Pmi tedesco (Indice gestionale per gli acquisti manifatturieri), ben al di sotto delle attese, è stato confermato questa settimana dai numeri di aprile, che sono semplicemente orribili. La previsione del 22 marzo ha sbagliato di più di 3 punti, il dato è del 44,7 contro aspettative del 48,0 (qualunque dato sotto il 50 significa una contrazione). Una contrazione si è verificata (sorprendendo ancora una volta i mercati) anche a febbraio. Infatti, non ci sono stati che dati in ribasso, alcuni dei quali analogamente orribili, a partire dall’inizio dello scorso anno.
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Scie chimiche: “A Malpensa tutti lo sanno ma nessuno parla”
Aerei fantasma che spengono il Transponder e spariscono dai radar passivi delle torri di controllo. Voli civili che di colpo, varcato lo spazio aereo italiano, vengono configurati come voli militari. E ancora: velivoli che da qualche anno vengono caricati in modo anomalo, con i bagagli non più nelle stive di coda. Ma soprattutto: aerei che, una volta a terra, perdono liquidi strani, da misteriosi tubicini, appena il loro contenuto si scongela. Scie chimiche? Ebbene sì. Ne parla, in una clamorosa video-denuncia, un operatore aeroportuale di Milano-Malpensa. Si chiama Enrico Gianini, e sa che le sue dichiarazioni potrebbero costargli il posto di lavoro. E’ addetto al carico e scarico dei bagagli sugli aerei di linea. Si è convinto che i jet emettano scie chimiche, probabilmente miscelando acqua “addizionata” con cristalli minerali. Accusa: tutti sanno, a Malpensa. «Piloti, controllori di volo, meccanici. Persino la polizia aeroportuale». Tutti sanno, ma nessuno parla. Dice: ci sono di mezzo i servizi segreti, si rischia grosso. Premette: «Voglio fare un appunto a chi vedrà questo video e vorrà portarmi in tribunale. Noi lavoriamo 8 ore al giorno sotto quegli aerei. Siamo immersi in un bagno chimico, non sappiamo neanche di che cosa si tratta». Avverte: «Se qualcuno viene fuori con qualsiasi minaccia giuridica, io vi metterò in condizioni di dover spiegare, a tutti gli aeroportuali e al popolo italiano, come mai i vostri aerei sversano sostanze chimiche sul piazzale senza permesso. Non mi interessa il cielo: basta solo il piazzale».
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Col dollaro sovrano, Usa in ripresa ed Eurozona in crisi
La crisi della periferia europea ha sortito un effetto boomerang per l’euro e per Berlino: tra il 2011 e il 2013 la quantità di euro nelle riserve delle banche centrali è scesa dal 25,1 al 24.2%. Nel 2007 la Germania è caduta da terza a quarta economia nel ranking mondiale. Invece, l’egemonia del dollaro è rimasta intatta, conservando il 64% del totale della valuta nelle riserve delle banche centrali. Così, gli Usa mantengono la supremazia economica globale, spiegano Ariel e Ulises Noyola Rodríguez. La crisi del debito sovrano europeo, iniziata nel 2010 dopo la crisi delle ipoteche “subprime” statunitensi del 2007-2008, ha rivelato la fragilità delle fondamenta economiche dell’Unione Europea, partita nel 2002 con l’euro come moneta unica. Lo sviluppo differente delle crisi – negli Usa e in Europa – rende manifesto «il carattere gerarchico dell’economia mondiale» e, con esso, «l’asimmetria di potere tra gli Stati capitalisti dominanti: Germania e Usa».Gli Stati Uniti, spiegano i due economisti in un’analisi ripresa da “Come Don Chisciotte”, godono di un sistema finanziario con una maggiore elasticità dinnanzi alle turbolenze dell’economia mondiale: la banca centrale statunitense «riproduce la sua posizione in cima alla piramide dei sistemi finanziari nazionali concentrando e centralizzando capitali attraverso il binomio “dollaro – Wall Street”, che rappresenta un meccanismo di dominazione finanziaria». La moneta sovrana – il dollaro – stravince il confronto, perché la Federal Reserve emette moneta su richiesta del governo, mentre l’euro – moneta senza Stato, per Stati senza più moneta propria – non può transitare direttamente dalla Bce ai governi dell’Eurozona. Così, la Fed ha espanso la sua base monetaria (denaro depositato in banche e in circolazione nell’economia reale) di un 400%, mentre la Bce soltanto di un 150%.La banca centrale europea, osservano i due analisti, prova a non pregiudicare la posizione dell’euro come moneta di riserva. «I programmi che ha lanciato includono la “sterilizzazione di liquidità” che la Fed non ha previsto, ovvero: il denaro che la Bce usa per comprare titoli finanziari lo recupera ritirandolo dalla propria base monetaria». Immettendo invece nuovo denaro nel circuito, la Fed ha permesso all’economia americana di «riprendersi più rapidamente rispetto al sistema finanziario europeo». Cifre: tra il 2007 e il 2013, il valore delle azioni delle 10 maggiori banche americane è aumentato di 2.000 miliardi, secondo la Federal Deposit Insurance Corporation, mentre le grandi banche europee, a giugno 2013, possedevano in azioni 660 milioni di euro in meno rispetto al 2009, secondo la Bce. Inoltre, il sistema finanziario europeo, essendo di natura bipolare – da un lato banche molto forti (Deutsche Bank, Commerzbank e Bnp Paribas) e dall’altro banche molto deboli nella periferia, «aumenta il rischio locale legato a possibili shock finanziari».Affinché si mantenga la “fiducia” nella valuta, la Troika europea fa rispettare il Patto di Stabilità, che obbliga gli Stati membri a non superare il limite del 3% del deficit e del 60% di debito pubblico in relazione al Pil. «Ad ogni modo – aggiungono Ariel e Ulises Noyola Rodríguez – l’applicazione di politiche di austerità ha portato al fatto che attualmente 11 paesi non rispettino il suddetto patto», ovvero Austria, Belgio, Cipro, Slovenia, Spagna, Francia, Finlandia, Grecia, Irlanda, Italia e Olanda. Viceversa, il debito pubblico di Washington (16.7 bilioni di dollari, oltre il 100% del Pil) «si sostiene attraverso il dollaro, che agisce come rifugio privilegiato degli “short-term capitals” del resto del mondo», cioè i capitali attraverso cui si vuole ottenere un plusvalore in meno di un anno. «De facto, il rischio di default statunitense scompare».Il male oscuro dell’Eurozona si chiama deflazione: denaro insufficiente in circolazione. A partire da ottobre 2013, osservano i due economisti, l’inflazione europea si trova sotto l’1%: meno della metà dell’obiettivo fissato dalla Bce, che è il 2%. A gennaio 2014 l’inflazione è calata ulteriormente fino allo 0.8% per poi scendere ancora (allo 0.7%) a febbraio. «Ciò ha messo in allerta Mario Draghi, presidente della Bce, che ha dichiarato che è possibile che la politica monetaria sia più espansiva e includa misure non convenzionali, possibilmente in stile Fed, anche se applicate in maniera selettiva in base ai paesi». La crisi morde: il credito registra la più grave caduta in vent’anni, la disoccupazione al 12% è un record storico, il cambio euro-dollaro (1,4 dollari per euro) ormai «minaccia il dinamismo delle esportazioni tedesche». E l’Institute for Economic Research, in tedesco “Ifo”, rivela che il livello di fiducia delle imprese tedesche sta cominciando a calare.Di fronte a una situazione così drammatica, rispetto a quale la “cura” del rigore non rappresenta certo una soluzione ma, al contrario, proprio la causa principale della sofferenza, oggi la rigidissima Bce non scarta più «la possibilità di stabilire tassi negativi nei depositi bancari per ribaltare la tendenza depressiva dell’economia», creata proprio dall’euro-deflazione. E persino il banchiere centrale tedesco Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, ora è favorevole a un’espansione monetaria (“quantitative easing”), se si cambia l’articolo 123 dello Statuto della Bce che proibisce di finanziare direttamente gli Stati. Moneta finalmente disponibile? Inversione di tendenza obbligatoria, o l’Eurozona collassa.La crisi della periferia europea ha sortito un effetto boomerang per l’euro e per Berlino: tra il 2011 e il 2013 la quantità di euro nelle riserve delle banche centrali è scesa dal 25,1 al 24.2%. Nel 2007 la Germania è caduta da terza a quarta economia nel ranking mondiale. Invece, l’egemonia del dollaro è rimasta intatta, conservando il 64% del totale della valuta nelle riserve delle banche centrali. Così, gli Usa mantengono la supremazia economica globale, spiegano Ariel e Ulises Noyola Rodríguez. La crisi del debito sovrano europeo, iniziata nel 2010 dopo la crisi delle ipoteche “subprime” statunitensi del 2007-2008, ha rivelato la fragilità delle fondamenta economiche dell’Unione Europea, partita nel 2002 con l’euro come moneta unica. Lo sviluppo differente delle crisi – negli Usa e in Europa – rende manifesto «il carattere gerarchico dell’economia mondiale» e, con esso, «l’asimmetria di potere tra gli Stati capitalisti dominanti: Germania e Usa».