Archivio del Tag ‘umanità’
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L’Italia è meglio di quanto si dice: 10 prove lo dimostrano
“Dieci falsi miti sull’economia italiana” è il titolo del paragrafo iniziale di un volumetto che la Fondazione Edison ha realizzato in occasione dei suoi vent’anni di vita. Si tratta di sfatare alcuni luoghi comuni che vorrebbero il paese in ginocchio e incapace di rialzarsi. Può darsi che il testo sia viziato da un eccesso di ottimismo, ma non c’è dubbio che se l’Italia resta la seconda manifattura d’Europa e una delle prime potenze industriali al mondo qualcosa di vero ci sarà. Per prima cosa, dunque, non siamo il malato d’Europa che molti credono: non solo per il secondo posto nella manifattura dopo la Germania, ma anche per esibire il più alto valore aggiunto nel settore agricolo. Nell’ambito del G7 (2° punto) il Pil pro capite degli italiani è cresciuto più della media del gruppo e per quanto riguarda la competitività (3° punto) l’Italia se la batte con i concorrenti più virtuosi generando il quinto maggior surplus commerciale al mondo. Gli investimenti in macchinari e in mezzi di trasporto (4° punto) non sono la Cenerentola che la vulgata accredita, tutt’altro. E con riferimento alle spese per ricerca e sviluppo nei campi del tessile e dell’abbigliamento, delle calzature e dei mobili, (5° punto) siamo addirittura primi in tutta l’Unione.Abbiamo inoltre la capacità di sfidare i mercati internazionali (6° punto) nonostante la piccola dimensione delle nostre imprese (il che non vuol dire che non si debba crescere). Il Made in Italy è uno dei marchi più famosi al mondo ed esprime una serie di valori – design, innovazione, tecnologia – decisamente distanti dall’idea (7° punto) di essere appiattiti sulle produzioni a basso costo del lavoro. E bisogna anche respingere l’affermazione che il paese sia caratterizzato (8° punto) da una grande disuguaglianza economica, facendo molto meglio di Francia, Regno Unito e Spagna. È da demolire, poi, il convincimento che gli italiani non paghino le tasse (9° punto) dal momento che la pressione fiscale è in linea con quella europea (forse è vero, però, che a pagare siano sempre gli stessi). Infine, dobbiamo liberarci dalla credenza di essere troppo indebitati (10° punto). Messi insieme il debito pubblico e il debito privato, l’Italia risulta tra le più virtuose nel consesso dei paesi avanzati. È vero che il debito pubblico è molto alto se raffrontato al Pil, ma è anche vero che diventa sostenibile se si tiene conto dell’avanzo primario e della ricchezza finanziaria delle famiglie.A tutto questo si aggiungono le suggestioni dell’ultimo “Quaderno di Symbola” che rilancia le tesi della Fondazione Edison e allarga il campo dei primati nazionali all’economia sostenibile e circolare, all’attrattività turistica, alla roboetica (il lato umano dei robot), al design, alla qualità della ricerca scientifica, all’avanzare incessante delle consultazioni su Google delle espressioni del Made in Italy. Tutto questo dovrebbe indurci a modificare l’immagine che abbiamo di noi stessi. Troppo concentrati sulle nostre debolezze, trascuriamo le potenzialità di un paese che conserva un’energia tanto straordinaria quanto compressa, mentre dovrebbe essere riconosciuta e liberata. Senza cadere nell’eccesso opposto di sentirci forti e invincibili – la tentazione di esagerare è sempre viva – le lezioni della Fondazione Edison e di Symbola andrebbero apprese e divulgate.(Alfonso Ruffo, “10 prove che l’Italia è meglio di quanto si dice e si pensa”, dal “Sussidiario” del 7 luglio 2019).“Dieci falsi miti sull’economia italiana” è il titolo del paragrafo iniziale di un volumetto che la Fondazione Edison ha realizzato in occasione dei suoi vent’anni di vita. Si tratta di sfatare alcuni luoghi comuni che vorrebbero il paese in ginocchio e incapace di rialzarsi. Può darsi che il testo sia viziato da un eccesso di ottimismo, ma non c’è dubbio che se l’Italia resta la seconda manifattura d’Europa e una delle prime potenze industriali al mondo qualcosa di vero ci sarà. Per prima cosa, dunque, non siamo il malato d’Europa che molti credono: non solo per il secondo posto nella manifattura dopo la Germania, ma anche per esibire il più alto valore aggiunto nel settore agricolo. Nell’ambito del G7 (2° punto) il Pil pro capite degli italiani è cresciuto più della media del gruppo e per quanto riguarda la competitività (3° punto) l’Italia se la batte con i concorrenti più virtuosi generando il quinto maggior surplus commerciale al mondo. Gli investimenti in macchinari e in mezzi di trasporto (4° punto) non sono la Cenerentola che la vulgata accredita, tutt’altro. E con riferimento alle spese per ricerca e sviluppo nei campi del tessile e dell’abbigliamento, delle calzature e dei mobili, (5° punto) siamo addirittura primi in tutta l’Unione.
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Della Luna: la morte lenta che l’oligarchia ha programmato
Primo: a chi li governa, i popoli servono per produrre ricchezza e forza politico-militare, sicché l’unificazione globale delle classi dominanti e altri processi che ora passerò a indicare hanno reso i popoli superflui. I popoli come moltitudine di lavoratori e consumatori sono stati resi superflui dalla finanziarizzazione dell’economia, dall’intelligenza artificiale, dall’automazione. I popoli come moltitudine di combattenti sono stati resi superflui dalla unificazione globale del potere capitalista finanziario e dalla sostituzione delle guerre di conquista tradizionali con guerre finanziarie. I popoli come colonizzatori sono stati resi superflui dal completamento della occupazione delle terre di questo pianeta e dalla mancanza di tecnologie per colonizzare altri pianeti. Sono ancora utili i popoli affamati e minacciati come masse di penetrazione migratoria per frantumare i popoli storicamente consolidati e renderli più passivi e meno capaci di resistere. Secondo: l’esaurimento delle risorse planetarie e l’insostenibilità dell’attuale processo di inquinamento esigono, per la salvezza della biosfera, la radicale riduzione dei consumi e delle emissioni, cioè della popolazione. Terzo: esistono le tecnologie per realizzare tale riduzione senza che la popolazione se ne accorga.La somma di questi tre fattori punta in una direzione chiarissima. Dal fatto che la popolazione terrestre è divenuta il contempo superflua e insostenibile e che è praticamente possibile ridimensionarla, consegue che con tutta verosimiglianza già si sta lavorando a questo fine e che, invece di proporre metodi per un impossibile rilancio della produzione, possiamo guardarci intorno per individuare come – con che mezzi fisici, chimici, legislativi – si realizza quel ridimensionamento. Le analisi che non tengono conto di quanto sopra, hanno poco senso e ancor meno utilità. E’ verosimile che i metodi adoperati siano di carattere non clamoroso per l’opinione pubblica e non traumatico per la biosfera, quindi non nucleari, ma piuttosto di tipo tossico, sia nel senso della riduzione della fertilità che nel senso della riduzione della vitalità, dell’efficienza biologica, immunitaria e mentale della popolazione, nonché culturale, per conseguire l’effetto complessivo ridurre la sua capacità di opposizione e di coordinamento dal basso.La mente va agli additivi per cibi e bevande (soprattutto per l’infanzia, ricchi di sostanze neurotossiche, diabetizzanti, obesizzanti, cancerogene), ai farmaci, ai vaccini recentemente resi obbligatori in molti paesi senza garanzie di qualità industriale e di non tossicità, ad altre sostanze diffuse nell’ambiente dall’industria, dall’agricoltura, dalle attività militari. Va anche al pensiero unico, instillato dalla scuola elementare alla tomba, il quale costituisce un grande e articolato story telling, che è protetto dalle regole del politically correct e dal gatekeeping, e che copre tutto: dall’economia alla moneta alla difesa alla salute alla politica al mescolamento dei popoli – tutto quello che serve per produrre consenso e compliance popolari verso pratiche e piani elaborati a porte chiuse in isolamento tecnocratico e senza responsabilità politica o giuridica.Le oligarchie di Cina e forse India, seppur partecipi del sistema globale del capitalismo finanziario, ancora perseguono politiche sviluppiste allo scopo di aumentare la loro percentuale di potenze mondiali, e per farlo aumentano pericolosamente produzione e consumi, cioè anche emissioni inquinanti; e probabilmente sarà questo a far precipitare la situazione ecologico-climatica creando le condizioni di emergenza, attese per attuare provvedimenti drastici contro la volontà delle genti e sbarazzandosi dei diritti, della democrazia e della legalità. Si configura uno scenario globale che trascende l’analisi economica e la stessa visione marxiana, poiché si sono attivate variabili ulteriori, come la capacità della classe dominante globale non solo di modificare il rapporto economico giuridico e politico con le masse dominate, ma anche di decidere quanta massa (le) serve ancora, dato che da un lato le funzioni della massa umana possono essere svolte da ritrovati tecnologici, e dall’altro lato la massa umana ha un costo crescente e insostenibile.(Marco Della Luna, “Salus telluris suprema lex”, dal blog di Della Luna del 5 luglio 2019).Primo: a chi li governa, i popoli servono per produrre ricchezza e forza politico-militare, sicché l’unificazione globale delle classi dominanti e altri processi che ora passerò a indicare hanno reso i popoli superflui. I popoli come moltitudine di lavoratori e consumatori sono stati resi superflui dalla finanziarizzazione dell’economia, dall’intelligenza artificiale, dall’automazione. I popoli come moltitudine di combattenti sono stati resi superflui dalla unificazione globale del potere capitalista finanziario e dalla sostituzione delle guerre di conquista tradizionali con guerre finanziarie. I popoli come colonizzatori sono stati resi superflui dal completamento della occupazione delle terre di questo pianeta e dalla mancanza di tecnologie per colonizzare altri pianeti. Sono ancora utili i popoli affamati e minacciati come masse di penetrazione migratoria per frantumare i popoli storicamente consolidati e renderli più passivi e meno capaci di resistere. Secondo: l’esaurimento delle risorse planetarie e l’insostenibilità dell’attuale processo di inquinamento esigono, per la salvezza della biosfera, la radicale riduzione dei consumi e delle emissioni, cioè della popolazione. Terzo: esistono le tecnologie per realizzare tale riduzione senza che la popolazione se ne accorga.
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Porti aperti: il cinismo anti-italiano degli schiavisti umanitari
Vorrei dire sei cose oltre la vicenda Sea Watch, la retorica, gli odi e gli slogan. La prima: se si stabilisce il principio che ogni uomo ha diritto di decidere unilateralmente quando, come e dove vivere senza considerare norme, confini, Stati e popolazioni, salta ogni ordinamento giuridico, si polverizza ogni sovranità nazionale e statale, si cancella ogni limite e frontiera, ogni tutela e ogni garanzia per i cittadini regolari di quei paesi che hanno diritti e doveri, lavorano e pagano le tasse. Il sottinteso di quella pretesa è che non va applicata una procedura eccezionale per dare asilo a profughi che fuggono da guerre e da acclarate situazioni d’emergenza ma va accolto chiunque decida di mettersi in viaggio, in navigazione. E nemmeno “una tantum” ma ogni volta che accade. La seconda. È assurdo riconoscere a un’organizzazione privata, a una Ong, come la Sea Watch, il privilegio extraterritoriale e sovrastatale di decidere verso quale paese dirigersi per far sbarcare i migranti raccolti e di assegnarli così ai paesi con decisione autonoma, unilaterale, in virtù di un imperativo umanitario, assumendo di propria iniziativa e senza alcun titolo per farlo, il ruolo di tutori e mediatori dei migranti.Anche in questo caso non si tratta di una situazione eccezionale, di un’emergenza fortuita da fronteggiare, ma di una prassi ormai consolidata, programmata e reiterata. Non è un imprevisto capitato sulla rotta ma è il “mestiere” che alcune imbarcazioni hanno deciso di ingaggiare, a prescindere dagli Stati, dai popoli e dai territori. La terza: non c’è nessun potere legittimato democraticamente, consolidato dall’esperienza storica e dalla vita dei popoli, che risponde direttamente alla cittadinanza, la rappresenta e la tutela, oltre lo Stato nazionale libero e sovrano. Ed è giusto che sia lo Stato nazionale sovrano a decidere in ultima istanza, sulla base dei suoi ordinamenti, come ha coerentemente fatto il governo italiano, a partire dal ministro dell’interno fino al presidente del Consiglio; e a negare nella fattispecie che una nave battente bandiera olandese, diretta da una comandante di nazionalità tedesca, possa attraccare non nel primo porto incontrato sulla rotta, che era poi in Tunisia, ma decida di far rotta sull’Italia e imponga di fatto al nostro paese l’obbligo di accoglierli, trasformando un già discutibile diritto d’accoglienza in un inderogabile dovere d’accoglienza, ovunque e comunque. Chi mina gli Stati e li scavalca, nel nome dell’ideologia “no border”, lavora per il caos e la fine del diritto internazionale.La quarta. Siamo stati abituati da una propaganda ideologica, moralistica ed emozionale a non sottrarci ad accogliere il singolo caso pietoso, il bambino denutrito e senza adulti, il malato da curare, la donna incinta in balia delle onde o della miseria. Ma dietro il singolo caso, su cui inevitabilmente ci si appella alla nostra umanità, si vuol far passare un flusso ben più massiccio e duraturo. Ovvero si vuol usare il singolo caso come cavallo di Troia per legittimare in realtà la trasmigrazione di popoli e di chiunque voglia lasciare il proprio paese e venire a vivere da noi. In un mondo in cui i benestanti si contano in milioni e i poveri in miliardi, non si può pensare che gli uni possano caricarsi degli altri, che la piccola Italia si debba caricare sulle sue fragili spalle la grande Africa, che la piccola Europa si carichi i flussi di popolazioni venute dal sud o dall’est del pianeta. Certo, il fenomeno per ora ha numeri non impressionanti; però col passare del tempo e col lasciapassare che si vorrebbe imporre, il fenomeno rischia di ingrossarsi fino a raggiungere dimensioni insostenibili.La quinta. Dietro il principio d’accoglienza umanitaria, si nasconde un gigantesco business a due facce: da un verso riguarda gli impresari politici dei flussi migratori per gestirne poi l’assistenza e gli effetti politici; e dall’altro verso interessa quanti usano manovalanza sottopagata da sfruttare, senza tutele (salvo dare agli speculatori di cui sopra ulteriore motivo di rappresentanza degli interessi sindacali e lavorativi dei migranti). Sinistra e padronato soci in affare, sotto copertura umanitaria. È un business immenso e vergognoso che si nasconde dietro la carità e sfrutta, strumentalizza e schiavizza i migranti. A tale proposito è stato penoso lo spirito demagogico e illegale, anti-italiano e anti-europeo della sinistra e del suo circo di “anime belle”.Infine, la sesta. Non ci sono nel mondo d’oggi situazioni aggravate rispetto a qualche anno fa – guerre, genocidi, carestie – da costringere ad aprire le frontiere e i porti. Se vogliamo, era molto peggio dieci anni fa. E in ogni caso chi se la passa peggio non è chi riesce a partire, chi riesce a procurarsi i soldi per pagare la fuga o gli scafisti, chi ha la forza, i contatti, i mezzi per poter andar via; ma la vera miseria, la vera priorità è di quelli che non hanno la forza e le risorse per poter partire e restano a casa. E vedono i loro paesi impoverirsi di energie giovanili che migrano altrove, abbandonando donne, vecchi e bambini. Se davvero dovessimo dare la precedenza agli ultimi, come dice il Papa, gli ultimi non sono quelli che vengono da noi ma quelli condannati a restare a casa loro in condizioni di vera miseria. Ma la vera finalità di chi sostiene le migrazioni è lo sradicamento dei popoli dalle loro terre e noi dalle nostre.(Marcello Veneziani, “Sei tesi sui porti aperti”, da “La Verità” del 30 giugno 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).Vorrei dire sei cose oltre la vicenda Sea Watch, la retorica, gli odi e gli slogan. La prima: se si stabilisce il principio che ogni uomo ha diritto di decidere unilateralmente quando, come e dove vivere senza considerare norme, confini, Stati e popolazioni, salta ogni ordinamento giuridico, si polverizza ogni sovranità nazionale e statale, si cancella ogni limite e frontiera, ogni tutela e ogni garanzia per i cittadini regolari di quei paesi che hanno diritti e doveri, lavorano e pagano le tasse. Il sottinteso di quella pretesa è che non va applicata una procedura eccezionale per dare asilo a profughi che fuggono da guerre e da acclarate situazioni d’emergenza ma va accolto chiunque decida di mettersi in viaggio, in navigazione. E nemmeno “una tantum” ma ogni volta che accade. La seconda. È assurdo riconoscere a un’organizzazione privata, a una Ong, come la Sea Watch, il privilegio extraterritoriale e sovrastatale di decidere verso quale paese dirigersi per far sbarcare i migranti raccolti e di assegnarli così ai paesi con decisione autonoma, unilaterale, in virtù di un imperativo umanitario, assumendo di propria iniziativa e senza alcun titolo per farlo, il ruolo di tutori e mediatori dei migranti.
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Moneta illimitata solo per loro: così ci stanno impoverendo
Sappiamo che la sostenibilità del debito esiste a due condizioni. Il debitore deve essere messo in condizione di pagare il debito: il che accade quando il suo reddito cresce (e non diminuisce) e quando il tasso d’interesse è più basso del tasso di crescita dell’economia. Nessuna di queste due condizioni è rispettata, da decenni. Per questo motivo la gente si è impoverita e la classe media è scomparsa. Siamo tutti indebitati: anche gente come me, alto funzionario dello Stato. Non dico che dovrei navigare nell’oro, perché – se uno fa il suo lavoro onestamente – nella pubblica amministrazione non può e non deve navigare nell’oro. Però mi pesa da morire un mutuo, perché a quei tempi i valori immobiliari erano diversi, così come la prospettiva di reddito – tutte cose che non si sono confermate, anche per la semplicissima ragione che il tasso di crescita dell’economia è insufficiente (il Pil non cresce, perché in queste condizioni non può crescere). Gli italiani cosa stanno facendo, per sopravvivere? Stiamo intaccando i nostri risparmi, mentre il nostro reddito è in diminuzione. Pensiamo anche ai nostri figli e nipoti, disoccupati o sottopagati. Io a vent’anni campavo benissimo con 147.000 lire al mese: ne pagavo solo 45.000 di affitto. Le mie figlie hanno stipendi da 500 euro al mese, che ovviamente non bastano.Per fare una politica di bassi salari bisognava avere bassi affitti, niente assicurazioni, welfare funzionante a livello di sanità, formazione e trasporti pubblici. Allora potevi anche dire: paghiamo poco i lavoratori. Ma come si fa se gli affitti sono cari, i mutui sono cari, e nel conto bisogna aggiungere le assicurazioni, le spese condominiali e le bollette? Per non parlare delle tasse: quelle fisse le pagano tutti. Insieme alla fatturazione elettronica, la mazzata finale sarebbe l’aumento dell’Iva al 23%. Una follia: il sogno di ogni tributarista è quello di veder aumentare il gettito diminuendo la pressione fiscale; qui invece si rischia non solo di aumentare la pressione fiscale, cioè di finire di ammazzare quelli che le tasse le pagano, ma veder diminuire il gettito, avendo quindi sul collo il fiato dei vari criminali dell’Unione Europea. Il punto è: cosa vogliamo proporre? Sicuramente c’è una ricetta macroeconomica: il Pil deve crescere più dei tassi d’interesse. Invece il tasso d’interesse sui titoli del debito pubblico (che sono più del Pil) è più elevato della crescita del Pil. Dovremmo cioè avere un Pil che cresce del 4-6% all’anno, in media, per sostenere questa situazione debitoria. Ma vale pure per le famiglie: la gente non riesce ad arrivare alla fine del mese. Molti alla fine del mese ci arrivano, ma non ce la fanno a pagare il mutuo. Molti vedono che, per pagare il mutuo, i debiti e le bollette, hanno sempre meno risorse a disposizione.Tranne una piccola parte di “ricchi”, il resto della popolazione è estremamente povera, o si sta impoverendo in modo drammatico. Senza contare la situazione dei protestati. Dieci anni fa io scrissi un libro, “Il grande mutuo”. In quel libro spiegavo che, proprio in base ai parametri che ho appena citato, ci sarebbe stata una grande crisi finanziaria. Pochi mesi dopo, la crisi è effettivamente esplosa: e così è cresciuta la mia notorietà, però le banche me l’hanno giurata. Hanno detto: ma questo stronzo come faceva a sapere che ci sarebbe stata la crisi finanziaria, mentre noi – che gestiamo il mondo – non ce n’eravamo accorti? E invece di dirmi “professor Galloni, collabori con noi per raddrizzare il sistema”, m’hanno messo nel librone nero, con tutte le conseguenze del caso. E ci può stare. Ma il punto è che, in quel libro, io dimostravo – oltre ogni ragionevole dubbio – che un abbattimento del 40% dei debiti (motivato anche dal recupero della mancata crescita di reddito e di Pil, di cui dicevo prima) non avrebbe danneggiato le banche. Anzi, paradossalmente le avrebbe aiutate. Infatti, le avrebbe aiutate a non accumulare i “non performing loans”, cioè le sofferenze.Ovviamente sappiamo che la banca, quando fa un prestito, crea moneta. Ed è finta: sei tu che la rendi vera quando paghi le rate con la vita, col lavoro e con i tuoi beni, e quindi arricchisci le banche. Tutto questo, senza dimenticare la storia delle banche, che nel 1300 ha comportato grandi progressi per l’umanità: senza la partita doppia, senza la creazione monetaria da parte delle banche, se fossimo stati legati all’emissione di moneta in base all’oro e non in base al credito moderno, forse non avremmo fatto neanche la rivoluzione industriale e saremmo ancora a mangiare una patata a famiglia. Invece oggi ci siamo liberati della scarsità. Dopo gli anni ‘60 ci siamo liberati della scarsità anche grazie al capitalismo – che ne ha fatte di tutti i colori (cose terribili e violente, anche a livello militare) – però in effetti ci siamo trovati, per la prima volta nella nostra storia, liberi dalla scarsità. Ma se siamo liberi dalla scarsità materiale, dato che produciamo più di quello che serve, visto che la produzione di moneta è a costo zero, perché si arricchiscono solo le banche, e invece la gente non ha di che sfamarsi?Secoli fa, la crisi economica dipendeva dal raccolto del grano: se mancavano il pane e la farina, la gente assaltata i forni. Oggi invece buttiamo via il 43% di quello che produciamo, e poi la gente non ha i soldi per fare la spesa. Quindi è una crisi di soldi. Ma è una crisi artificiosa: perché fosse rispettato per tutti – popolo, lavoratori, pensionati – lo stesso principio che viene rispettato per la grande finanza (e cioè: rifornirla di liquidità e mezzi monetari illimitatamente, come fanno le banche centrali con la moneta elettronica pigiando col ditino i tasti del computer) è chiaro che tutti staremmo meglio, perché probabilmente avremmo la possibilità di domandare quei beni e quei servizi che oggi non vengono prodotti, creando così la piena occupazione. Ma cosa succederebbe? Non saremmo più dipendenti dalla creazione monetaria delle banche, non saremmo più dipendenti dalle banche centrali. Dipenderemmo solo dalla nostra voglia di fare e dalla nostra creatività. Cioè: saremmo esseri umani finalmente liberi. E’ questo che non si vuole. Ed è questo che invece noi vogliamo realizzare. L’obiettivo è essere liberi, facendo in modo che il superamento della scarsità sia vero per tutti, non solo per la grande finanza.(Nino Galloni, dichiarazioni rilasciare alla conferenza “Spiritualità e finanzam, un’eresia?”, promossa da “Sdebitalia” e pubblicata su YouTube da “ByoBlu” il 19 giugno 2019. Galloni, economista post-keynesiano e vicepresidente del Movimento Roosevelt, in conclusione ricorda che – oltre alla sua proposta dell’abbattimento del 40% del debito bancario – storicamente esiste la soluzione macroeconomica della super-emissione, che però svaluta la moneta provocando iper-inflazione. Terza via: l’emissione di moneta sovrana parallela, solo nazionale: «Con quella moneta, gli Stati potrebbero pagare tutto il debito che è in mano ai concittadini, i quali non si impoverirebbero, perché riceverebbero il capitale e gli interessi senza gravare sulle generazioni future»).Sappiamo che la sostenibilità del debito esiste a due condizioni. Il debitore deve essere messo in condizione di pagare il debito: il che accade quando il suo reddito cresce (e non diminuisce) e quando il tasso d’interesse è più basso del tasso di crescita dell’economia. Nessuna di queste due condizioni è rispettata, da decenni. Per questo motivo la gente si è impoverita e la classe media è scomparsa. Siamo tutti indebitati: anche gente come me, alto funzionario dello Stato. Non dico che dovrei navigare nell’oro, perché – se uno fa il suo lavoro onestamente – nella pubblica amministrazione non può e non deve navigare nell’oro. Però mi pesa da morire un mutuo, perché a quei tempi i valori immobiliari erano diversi, così come la prospettiva di reddito – tutte cose che non si sono confermate, anche per la semplicissima ragione che il tasso di crescita dell’economia è insufficiente (il Pil non cresce, perché in queste condizioni non può crescere). Gli italiani cosa stanno facendo, per sopravvivere? Stiamo intaccando i nostri risparmi, mentre il nostro reddito è in diminuzione. Pensiamo anche ai nostri figli e nipoti, disoccupati o sottopagati. Io a vent’anni campavo benissimo con 147.000 lire al mese: ne pagavo solo 45.000 di affitto. Le mie figlie hanno stipendi da 500 euro al mese, che ovviamente non bastano.
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Microchip e asilo transgender: la Svezia si sta suicidando
Fermamente convinto di essere il rappresentante della “superpotenza morale” del mondo, il popolo svedese continua i suoi pericolosi flirt con tutti i possibili nuovi esperimenti culturali. Questa politica è veramente ‘progressista’, o è la strada per la rovina nazionale? In Svezia, tutto sembra possibile, tranne il dissenso; dissenso dall’onnipresente messaggio sociale che dice ai suoi cittadini che devono essere tolleranti verso ogni nuova moda culturale, dal farsi impiantare un microchip sotto la pelle al permettere che i bambini di quattro anni vengano indottrinati alla scuola materna con le ultime teorie sul transgenderismo. Migliaia di svedesi si sono già fatti inserire un minuscolo microchip sotto la pelle, di solito nella mano sinistra, che offre il “vantaggio” di non dover più armeggiare [nelle tasche o nella borsetta] per carte di credito, documenti di identità e chiavi. Molte delle informazioni personali sono memorizzate sul chip, che ha le dimensioni di un chicco di riso. Sorprendentemente, nonostante la possibilità per il governo, per le multinazionali o per altri pericolosi soggetti di hackerare questi dispositivi, questa eventualità non sembra essere presente nella mentalità svedese.
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Soluzione finale: le agenzie di morte che ci condannano
L’Italia mediterranea e cattolica è una fettina di terra e di civiltà minacciata dal fanatismo neo-islamico che viene dal sud e dal nichilismo libertario che viene dal nord. Entrambi nel loro estremo gradino tendono a uno stesso fine, anzi a una stessa fine, la soluzione finale. La morte nel nome di Dio e della sua Legge o nel nome della nostra assoluta libertà e totale autodeterminazione. A volte le due insidie non provengono da direzioni opposte, cioè dai flussi migratori che premono sulle nostre coste meridionali e dai modelli culturali che discendono dai paesi di provenienza protestante e calvinista. Ma provengono ambedue dall’Europa del nord, dai giovani neo-islamici di seconda o di terza generazione, nati e cresciuti in Francia, nei Paesi Bassi, in Inghilterra e in Germania. E dai ragazzi che vivono nelle società più avanzate del nord Europa, sul piano dei diritti umani: vale a dire l’Olanda, il Belgio, i paesi scandinavi, la stessa Svizzera. Quel che colpisce in entrambi i casi è la persuasione di morte che accompagna le loro esperienze più estreme, più radicali.Gli uni uccidono per purificare il mondo e onorare il loro Dio, tener fede alla loro religione e punire gli infedeli e alla fine si dispongono a morire nel nome di Allah. E gli altri prevedono che una vera libertà, un vero diritto alla piena sovranità della propria vita, preveda che in caso di depressione, di rifiuto di vivere, di sofferenza si possa esser liberi di togliersi la vita. Insomma l’atto supremo della fede degli uni e della libertà degli altri è lo stesso: la soluzione finale. Libertà per la morte. L’abissale differenza, va detto, è che i primi coinvolgono gli altri, anzi danno la morte agli altri e in secondo tempo a se stessi, mentre i secondi danno la morte a se stessi e la garantiscono agli altri che lo decidano in autonomia. Lo spirito di morte e di distruzione è il segno che lasciano sulla terra la devozione cieca ad Allah e la volontà soggettiva degli uomini autonomi. La parabola che conduce a quest’ultima decisione/recisione suprema nasce dal primato della coscienza individuale che fu il grido di rivolta del luteranesimo e poi del calvinismo rispetto alla fides cattolica e alla religio precristiana. Quando lungo la strada perdi la fede in Dio, il senso morale del dovere di vivere, ti resta il libero arbitrio, la solitudine assoluta al cospetto del destino, e dunque il diritto alla vita e alla morte.Non si tratta più, come ben capite, di eutanasia, o di evitare l’accanimento terapeutico tenendo in vita artificialmente vite umane ridotte ormai dalla malattia allo stato semi-vegetativo. Ma si tratta di suicidi assistiti, anche se la parola suicidio va subito rimossa per non turbare i sonni dell’ipocrisia libertaria; e come l’aborto diventò un’interruzione di gravidanza, quasi per una specie di black-out della corrente elettrica, così il suicidio assistito viene ingentilito e incipriato dal più tenue lasciar andare e dalla finzione di dire che è la ragazza a spegnersi lentamente non bevendo e non mangiando. Ma la società civile, lo Stato, la sanità che glielo consente e l’agevola nel nome della predetta libertà assoluta, viene totalmente rimossa dagli orizzonti. Anzi, arcigno, autoritario, dispotico è chiunque si frapponga alla decisione di farla finita e cerchi di impedirla in tutti i modi.Non entro nel merito della vicenda Noa che ha scosso l’Europa e nemmeno nella casistica importante delle centinaia di persone, ragazzi minorenni inclusi, che prendono quella strada e molti media plaudono a questo nuovo ius aeuropeum, lo vedono un segno di modernità, di rispetto, di “più Europa”. E non entro nemmeno nel merito della campagna sentimentale-filosofica che l’accompagna, vale a dire che amare significhi “lasciar andare”, mentre la natura, la cultura, l’anima della nostra civiltà ci hanno sempre suggerito l’inverso, che amare vuol dire prendersi cura, vuol dire a chi ami – come diceva il filosofo Cristiano Gabriel Marcel – “tu non morirai”. Ma mi soffermo sul disagio di vivere in una società in cui viene reputato un segno estremo di libertà ciò che permette auto-distruzione: la droga, l’aborto, il suicidio assistito, il rigetto della natalità, la libertà di andarsene se si è depressi… Vedo in tutto questo il venir meno del senso religioso della vita, in base al quale nessuno è assoluto padrone della sua vita; non fummo noi a darci la vita, non saremo noi a darci la morte, si risponde sempre a qualcuno, comunità è condividere un destino, ogni vita è collegata alle altre e al mondo.Il senso religioso della vita dice che vivere è un diritto ma è anche un dovere, un compito. E non solo: si esce dalla disperazione e dalla depressione più acuta solo se si ha il coraggio di proiettarsi fuori da sé: di sporgersi nel mondo, nella vita, assumersi compiti, vivere anche per qualcuno, per qualcosa; amare qualcun altro fuor di noi stessi, fare un figlio e prendersi cura di lui, formare una famiglia, o tornare alla famiglia da cui si è originati; lavorare, impegnarsi in un’attività e in un’impresa, ritrovarsi in una fede… Insomma proiettarsi oltre se stessi, oltre la propria vita. Facile a dirsi, avete ragione di obiettare; ma è assurdo che una società, una famiglia, una scuola, non debbano avere questo compito primario nei confronti dei ragazzi, ancora acerbi, che decidono di togliersi la vita. Bisogna educare e se è il caso frenare, fermare. Non si può permettere a un minorenne di decidere che la sua vita non meriti di essere vissuta senza neanche provarci, è presto per tirare le somme. Rinunciare a questo compito è arrendersi nel nome della libertà alla soluzione finale. Reputo questa resa come bestiale, disumana, incivile. Difendiamo la nostra civiltà, la nostra umanità da queste agenzie di morte.(Marcello Veneziani, “Soluzione finale per l’Europa”, da “La Verità” del 9 giugno 2019; articolo ripreso dal blog di Veneziani).L’Italia mediterranea e cattolica è una fettina di terra e di civiltà minacciata dal fanatismo neo-islamico che viene dal sud e dal nichilismo libertario che viene dal nord. Entrambi nel loro estremo gradino tendono a uno stesso fine, anzi a una stessa fine, la soluzione finale. La morte nel nome di Dio e della sua Legge o nel nome della nostra assoluta libertà e totale autodeterminazione. A volte le due insidie non provengono da direzioni opposte, cioè dai flussi migratori che premono sulle nostre coste meridionali e dai modelli culturali che discendono dai paesi di provenienza protestante e calvinista. Ma provengono ambedue dall’Europa del nord, dai giovani neo-islamici di seconda o di terza generazione, nati e cresciuti in Francia, nei Paesi Bassi, in Inghilterra e in Germania. E dai ragazzi che vivono nelle società più avanzate del nord Europa, sul piano dei diritti umani: vale a dire l’Olanda, il Belgio, i paesi scandinavi, la stessa Svizzera. Quel che colpisce in entrambi i casi è la persuasione di morte che accompagna le loro esperienze più estreme, più radicali.
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Proclamato: sappiamo tutto da sempre. Ditelo, alla scienza
Giorni fa una mia amica mi faceva notare un articolo, proveniente dal mondo scientifico, “Navigare tra i pensieri come nello spazio”. Così esordiva, testualmente: «Proposto un modello del pensiero umano secondo cui la nostra mente organizza le caratteristiche delle esperienze in dimensioni simili a quelle spaziali. Questa nuova teoria è basata sulla scoperta che nei test di memoria viene attivata la corteccia entorinale, la stessa che permette di orientarci nell’ambiente». E ancora: «Sulla rivista “Science”, una review firmata da ricercatori del Max-Planck-Institut per le scienze cognitive e le neuroscienze umane di Leipzig, in Germania, e del Kavli Institute for Systems Neuroscience di Trondheim, in Norvegia, definisce un modello del nostro sistema di navigazione che ha un ruolo importante in molte facoltà cognitive, e spiega perché la nostra conoscenza sembra essere organizzata secondo una modalità spaziale». In sintesi: «Nel cervello alcuni neuroni specializzati possono mappare l’ambiente costruendo una griglia esagonale che aiuta un animale a localizzarsi nello spazio. Ma le esperienze possono distorcere la griglia per dare maggiori dettagli alle aree di interesse» (cortesia Lucy Reading-Ikkanda, “Quanta Magazine”).Un tipo di scoperta che sinceramente non mi lascia indifferente, soprattutto oggi, in un momento in cui i miei studi, probabilmente, sono approdati a qualche tipo di risposta che presumo – lo ammetto: presumo – possa essere utile non solo a me, ma a tutti (e lasciatemelo dire, anche alla scienza). In pratica, sembra che l’ufficialità – molto timidamente – stia entrando in un campo, quello mentale, dove i pensieri (e vorrei dire non solo quelli animali, chiaramente) sembrano creare o aggirarsi in “mappe “ o “griglie” dove la geometria assume un certo tipo di valenza. Detto ciò, voi adesso mi dovrete scusare, oltre che armarvi di un minimo di pazienza, perché partendo da questo “suggerimento” vorrei mettere a vostra disposizione la sintesi del mio percorso conoscitivo, affinchè in molti possano rendersi conto del divario esistente fra ciò che il mio mondo conosce e ciò che la scienza arriverà a conoscere fra molti decenni, credo. Ma lo dico senza nessun tipo di alterigia, di sfida o senso di rivalsa verso nulla e nessuno. Scrivo semplicemente ciò che seguirà perché un profondo senso di responsabilità vorrebbe fosse a disposizione di tutti ciò che credo di sapere utile.Inoltre, e questo permettetemelo, quello che leggerete sarà trattato molto, ma molto più diffusamente nel mio prossimo libro, autoprodotto come quello in uscita su Salvador Dalì, che vedrà la luce questo autunno 2019, col titolo “Ottava e fisica emozionale”. Bene, fatta questa premessa, chi mi conosce si dovrà armare (come sopra) di un minimo di pazienza, che andrà riconosciuta anche a chi non mi conosce, affinché ciò che sto per descrivere possa avere un minimo di chiarezza e coerenza. Dovrò infatti incominciare… dall’inizio, quando “erano solo numeri”. Tredici anni fa, per primo, codificai un rosone nella mia città, l’Aquila, fra l’indifferenza di tutti e il mio stesso stupore. Si trattava del rosone centrale di Collemaggio. Allora, semplicemente, vidi al suo interno qualcosa di incredibile, un sistema numerico riassumibile attraverso le sue 36 braccia e 72 parti binarie, tutte nascenti da otto petali. Iniziava una vera e propria avventura verso quel sapere che mi avrebbe dato una nuova vita. Ricordo perfettamente una sensazione estremamente intima nel momento in cui capii come, utilizzando quelle informazioni, era possibile ottenere la Precessione degli Equinozi (36 x 72) e non solo.Quell’emozione sarebbe diventata fonte della mia continua ricerca. Non potevo sapere che quei numeri mi stavano risvegliando – in quel caso, attraverso il dolore. Dolore a me rinnovato da una persona che, a distanza di anni, anche oggi mi sta spingendo a scrivere, capire e condividere. Ma questa è la vita, e quando qualcuno ci fa morire, perché in vita si muore spesso, allora bisogna trovare il modo di rinascere (e questo è il mio). Tornando a noi, la ricerca di quei numeri – che non sapevo essere presenti ovunque in tutto il mondo, in mille modi a tutte le latitudini, da sempre e in qualsiasi testo sacro o misterico – era destinata a trovare rifugio in una serie illimitata di esempi o simboli. Non sapevo ancora di occuparmi dell’Ottava, e nulla sapevo del suo linguaggio simbolico. Io cercavo solo e assolutamente quei riferimenti, ovunque essi fossero. E viaggiavo, viaggiavo nel tempo. Trovavo nello Zodiaco di Dendera un magnifico rifugio.Nei avrei parlato per migliaia di volte nei miei libri, come nei miei seminari, che mai pensavo sarebbero stati seguiti. Ma era indubbio che, in questo caso, l’informazione aquilana fosse stata anticipata di migliaia di anni da quello zodiaco egizio, antropomorfizzandosi. Quei 12 esseri (con 24 braccia) abbracciano 72 corpi celesti, esattamente come nel mio rosone. Soprattutto – e qui vorrei la vostra attenzione – manifestano dinamiche comportamentali diverse: il Fuori e il Dentro dell’informazione. Tempo, spazio, movimento e materia sono appannaggio solo del Dentro e non del Fuori, dove quei 12 esseri mantengono un certo tipo di immobilità ottuplice. Ma a colpirmi non era tanto questo, quanto il fatto che all’esterno, fra gli esseri responsabili numericamente di quella visione celeste (che tanto dovrebbe insegnare a chi si ostina a occuparsi di astrologia in modo periferico e condominiale), si nascondesse un intervallo: un intervallo essenziale, per capire la mia legge (concedetemi il “mia”). Infatti, le direzioni sottolineano dei raggruppamenti sulle diagonali di 4 donne, sulla verticale di 4 Neter e sull’orizzontale di altri 4 Neter. Nasceva per me il famoso intervallo d’Ottava di “tre volte quattro” (o tre quarti), meglio conosciuto come Settenario, se sommato nella sua composizione numerica.Oggi, dopo anni, ho raggiunto la chiarezza di potervi dire che quell’intervallo è legge – in natura, come dentro di noi. Oggi posso dirvi con certezza che noi, esseri vibranti, parte integrante di un universo vibrante, siamo Settenario. Quello stesso Settenario che si avvale di sette note o sette colori per fare il famoso salto d’ottava, nello specifico il Do successivo e il bianco per lo spettro solare. Non sapevo che da millenni, in tutti i mondi spirituali come in quelli iniziatici, quello stesso salto veniva e viene provocato attraverso 7 virtù o 7 Chakra (ma questo è relativo). L’importante adesso è che voi capiate che dire “tre volte quattro” – o quattro stagioni di tre mesi – equivale a dire, numericamente, Rosone o Dendera o Settenario. E vi prego, risparmiatemi tutti gli shock addizionali del caso, esistenti all’interno di questa dinamica. E credetemi se vi dico che, anche in questo, il mondo cattolico sa immensamente più di quanto io abbia mai potuto leggere in merito. Mondo cattolico che stimo e studio con molta attenzione, cercando di distinguere il messaggio dai suoi portatori, non sempre consoni. Grandissimo stupore provavo poi nel rintracciare i miei numeri, sempre quelli, nella Lista Reale Sumerica. Stupore dettato dal fatto che questa volta apparivano in un contesto estremamente più antico dello zodiaco egizio.Otto Re in 5 città regnavano per 241200 anni. Di nuovo, i 12 esseri con le loro 24 braccia: e questa volta diventavano anni. Tanti anni: per gli esperti, decisamente troppi per essere presi sul serio. Perché tutte le civiltà della Terra sarebbero “nate” all’interno di pacchetti di tempo enormi? Eppure, quegli stessi anni mesopotamici erano e sono figli di una meccanica numerica che doveva far pensare, me per primo. Infatti, prima di ricomparire sotto il profilo decimale in Egitto millenni dopo, in Mesopotamia la stessa Lista veniva riassunta da 66 Sars e 6 Ners (Sar = 3600 anni; Ner = 600 anni); così almeno adesso sapete cos’è il 666. Soprattutto, quella civiltà aveva scelto un computo sessagesimale, per essere a sua volta evinto, sia a livello temporale che spaziale, dalla 216millesima parte di 12 milioni e 960.000 anni, pari appunto a 60 anni. Ma non è questo il punto, quanto il fatto che allora non sapevo cosa si celasse dietro quel “216” e tantomeno dietro… al Tempo.Poi, pochi anni fa, una telefonata amica mi informava che forse avrei fatto bene ad occuparmi delle Anatomie Sottili orientali, soprattutto di quella presente nell’Agopuntura. Lo feci. E improvvisamente il rosone divenne Agopuntura: 8 “meridiani curiosi” sono la matrice dei 12 organi principali come dei 12 meridiani secondari, a cui si aggiungono i 48 terminali. Su tutto si interagisce attraverso 360 agopunti. Io sommavo organi e meridiani e ottenevo 72 unità, che con i 360 agopunti andavano a costituire la matrice numerica di Collemaggio o Dendera o della stessa Lista sumera. Ma questa volta vi era una grandissima novità: scoprii che meridiani e organi rappresentano quell’anatomia sottile dalla quale sia il nostro corpo, come tutto il creato, prende forma. Soprattutto, nel mondo cinese si interagisce su di essi pensando che ospitino le nostre emozioni – che, se negative, possono sfociare in malattie. Cominciavo a rendermi conto che sulla Terra esisteva un medicina che presupponeva una realtà posta alla base di queata nostra realtà, simile a quella presente all’esterno del cerchio di Dendera. Oggi direi che di medicine multidimensionali sulla Terra ce ne sono moltissime, da millenni.Procedendo, mi occupavo dei simbolismi orientali. E scoprivo che tutto è collegato all’Ottagono, o all’Ottava – a questa legge che scoprivo ovunque, come nel Pak Ua. Oltre ad essere matrice del Feng Shui lo è dello Scintoismo come dell’I-Ching. E cosa scoprivo, dell’I-Ching, che avrebbe il compito di leggere il futuro? Si avvale di 8 trigrammi, quel “tre volte otto” presente nel labirinto di Collemaggio. Soprattutto, quei trigrammi sono composti da 12 linee unite e 24 spezzate, quindi 36 unità. Ma siccome l’I-Ching, se consultato, ha bisogno di 64 esagrammi, gli stessi vanno quindi raddoppiati, per cui da 36 passano a 72 unità consultabili. Così, mi accorsi che i numeri aquilani non solo erano utili a definire una dinamica spaziale come quella di Dendera, e non solo erano usati come anatomia umana e “creante”, ma esordivano nella visione del Futuro. Lo so, forse state pensando che io abbia fatto una partenza troppo lunga, ma vedrete che alle griglie mentali arriveremo.Andiamo avanti con la storia. Gli anni passavano e la mia ricerca mi portava ad occuparmi di sempre nuovi personaggi, che sapevo appartenere al mondo iniziatico proprio perché utilizzavano i “miei” numeri . Ormai non dubitavo più del fatto che tutto quel mondo, ovunque fosse rappresentato, utilizzasse immancabilmente quei parametri, da sempre. Arrivando a scrivere di architettura sacra, nello studio di Vitruvio (altro grande iniziato), attraverso il suo “De Architectura” ho intuito che i 3 stili principali di cui si occupa nell’opera – Corinzio, Dorico e Ionico – se suddivisi in parti o in componenti costruttivi, esprimono un ammontare di 216 unità. Non solo: se li si divide, avranno al loro attivo 72 parti (fra colonne, capitelli, fusto, trabeazione, e così via). E attenzione: per la prima volta ritrovavo quel riferimento come frazione del 216. Quello studio mi consentiva di capire come quegli stessi numeri fossero quindi essenziali, dal tempo delle Ziggurat fino ad arrivare al grattacelo di Renzo Piano a Londra, per ispirare qualsiasi tipo di costruzione civile o religiosa, in tutto il mondo.Vitruvio poi mi permetteva di fare un ulteriore passo avanti con un brano che vorrei riportare integralmente: «Del resto anche Pitagora e i suoi seguaci vollero esporre i loro precetti in volume secondo un sistema cubico e costruirono un cubo di 216 versi stabilendo che un trattato non dovesse essere composto da più di tre cubi. Il cubo è un solido composto da superfici piane uguali e quadrate; quando viene gettato rimane fermo, poggiando su una delle due facce, finché qualcuno non lo sposti, come avviene nel gioco dei dadi quando i giocatori li gettano sul tavolo. E pare appunto che i pitagorici si siano ispirati a questa similitudine, perché quel dato numero di versi rimanga impresso e fisso nella memoria, proprio come il cubo, qualunque sia la mente in cui è riversato. Anche i comici greci interruppero la lunghezza di un atto inframmezzandovi le parti corali. Quindi, dividendo l’azione secondo una proporzione cubica, alleggeriscono grazie alle interruzioni la recitazione degli attori». Già questo fa capire a che livello si trovasse il mondo iniziatico, millenni or sono, per quanto riguarda la modalità con cui questi pensatori supponevano che gli uomini facessero più “salda memoria”. Altro che griglie mentali! Da millenni, nel mio mondo si pensa che le griglie siano… cubiche.Tornando a noi, da quel momento – un momento non molto lontano dall’oggi – potei collegare i numeri aquilani ad una forma geometrica ben precisa (il Cubo) al numero 72, e 3 cubi al 216. E adesso posso fermarmi per riassumere alcuni passaggi e aggiungerne altri, in modo da avere una visione d’insieme più ampia:1) Il mondo mesopotamico riassumeva il suo sapere temporale e spaziale con il “3 volte 6” , che moltiplicato per se stesso è chiaramente pari al 216.2) Da ciò si può evincere che il 60 altro non è che un piccolo cubo nell’immensità temporale descritta.3) Dunque il Tempo, e quindi lo spazio descritto con questi numeri, è fatto di piccoli cubi (o anni) che si ripetono.4 ) La Precessione degli Equinozi, a livello numerico, è divisibile da “mesi cubici” pari a 2160 anni.5) Dendera altro non è che l’espressione spaziale, temporale e materiale proveniente da un evento numerico cubico.6) Le Anatomie Sottili orientali, come tutte le metodologie curanti, sono sempre impostate su una struttura cubica.7) La mente, o perlomeno la memoria umana, è cubica.Tutte le strutture architettoniche, almeno quelle costruite secondo i canoni numerici esaminati, hanno una matrice cubica.
9 Il futuro può essere letto seguendo una dinamica cubica.Così andavo avanti, e sarebbe stato Giordano Bruno a regalarmi una perla di saggezza attraverso i suoi sigilli, come “Venere o Amore”. Brevemente, “Venere o Amore” si può definire il sunto geometrico della Legge dell’Ottava: risulta essere figlia di un triplice inizio, che usa una legge settuplice per approdare in natura con 5 geometrie ben precise, quelle platoniche. Per ora vorrei solo che notaste come su quei 7 cerchi campeggino tutta una serie di triangoli, uniti a originare forme geometriche precisamente determinate. L’Ottavo cerchio comprenderà il tutto. Ora, solo nel caso di questo simbolo, o sigillo, Bruno aggiungerà che le lettere che vedete rappresentano le iniziali corrispondenti agli Dei, mentre le linee che uniscono gli Dei altro non sono che le loro… EMOZIONI! Adesso però vorrei che osservaste meglio l’immagine, così potrete notare la presenza di 3 rombi (a:O:N:S-a:O:P:Q-a:S:R:Q). Fatto ciò, sarà facile evincere un cubo che contiene altri cubi, costituiti da geometrie platoniche a loro volta nascenti da triangoli.Quindi da questo momento abbiamo il diritto di aggiungere alla lista il punto dieci:10) Le emozioni sono cubiche.Da millenni, dunque, tutto il mondo iniziatico sa perfettamente che il corpo umano, la sua memoria e le sue emozioni sono il frutto di una matrice cubica. Sa che la creazione è di tipo cubico, considerando Dendera. Sa che dire cubo vuol dire Tempo, e che quindi noi siamo fatti di… ?DIO E’ UN IPERCUBOChiaramente anche la scienza sa qualcosa dei miei numeri, e non solo l’astronomia. Un giovane matematico indiano dei primi del secolo scorso, Srinivasa Yengar Ramanuyan, ebbe modo di creare le basi equazionali della Teoria delle Stringhe (oggi Teoria delle Membrane) attraverso le sue equazioni, da lui definite “modulari”. Guarda caso, quelle equazioni nascevano tutte da una trina numerica ben precisa: l’8, il 12 e il 24. Quindi la scienza forse non sa che quelle equazioni sono cubiche: e siamo arrivati al punto 11.Sicuramente la scienza è più attenta quando si parla di dimensioni: infatti, già dalla fine dell’Ottocento, ha contezza persino di una quarta dimensione (chiaramente non ne ha un’idea fisica, ma solo teorica). E postula una figura geometrica – fatta da un cubo con dentro un cubo – come modalità geometrica con cui definire una quarta dimensione, all’interno della quale noi siamo compresi, anche se non se siamo consapevoli; è una dimensione in cui spazio e tempo non si comportano come in questa dimensione (anzi, “non si comportano” e basta). Di nuovo, ciò che importa è la struttura geometrico-numerica che costituisce il “Tesseratto” (o “Ipercubo”, come viene comunemente chiamato) E’ costituito da 24 facce bidimensionali e 8 facce tridimensionali, come a dire: è fatto da 24 quadrati e 8 cubi. Numericamente è quindi composto da 48 parti bidimensionali e 24 parti tridimensionali. Totale: 72 parti.Adesso aggiungiamo il punto 12, il quale dice che «i numeri del Rosone di Collemaggio, usati da tutti gli iniziati della Terra, da sempre, per fare qualsiasi cosa in qualsiasi campo dello scibile umano, i numeri dell’Ottava insomma, altro non sono che un modo con cui utilizzare una matrice almeno quadrimensionale (conosco i Polychora e potrei dire altro, ma ne parlerò nel libro) come matrice non solo della nostra realtà ma del nostro essere psicofisico». E dopo una dichiarazione del genere, credetemi, parlare ancora di in termini esclusivamente misterici di Alchimia, di Tarocchi, di I-Ching, di Anatomie Sottili e di Chakra, di presunti Graal, di Tetraedi Stella di Merkaba, è a dir poco riduttivo, veramente. Esiste infatti un unico pseudo-mistero, ed è la Legge dell’Ottava. E siccome qualcosa io credo di averla capita, mi sembra giusto dire che è ora di finirla con questo presunto Esoterismo, come è ora che la scienza la smetta di ostinarsi nel non collaborare con “noi” che di simboli ci occupiamo, perché è con i simboli che si creano le Griglie – e non quelle esagonali, come l’ufficialità presume, ma quelle ipercubiche, come l’uomo è destinato a fare quando intraprende percorsi come i mei.Proseguo perché adesso si arriva al bello, visto che avete avuto la pazienza di arrivare fin qui. Vediamo un po’: io mi son chiesto (come molti, e da millenni) di cosa è fatto il Tempo. Un’idea credo di averla, ed è la seguente: intanto noi possiamo trasformare con molta semplicità un cubo in Tempo. Basta infatti trasformare i suoi dodici lati in 12 mesi di 30 giorni e il gioco è fatto – alla faccia di Nibiru. Così, i suoi 8 apici diventano 8 date ben precise. Allora è possibile trasformare “Venere o Amore” in Tempo, e quindi le emozioni in Tempo. Forse non ce n’eravamo mai accorti, ma il Tempo è vivo. E se è fatto di emozioni, è emozionabile. E allora emozioniamolo, con una bella preghiera – come fanno gli ebrei, attraverso le loro preghiere cubiche o il loro Dio fatto da 72 nomi di tre lettere, oppure come fanno gli arabi girando per 7 volte intorno alla Mecca. O noi cristiani quando entriamo in chiesa.La chiesa è una croce che – chiusa – diventa un Cubo; ma avendo sempre tra navata e transetto un Ottagono, si dimostrerà essere un luogo ipercubico, dove tempo e spazio… non si avvertono. Quindi perché stupirsi dell’Ottuplice Via buddista? Lo stesso Induismo, attraverso i 108 passi del Dio Shiva (36+72) vede creare il cielo e la Terra. E che dire dello Scintoismo, che vede l’essenza della sua spiritualità in 8 milioni di Kami o anime. E allora emozioniamolo, il Tempo. Forse non ci è chiaro, ma le tecniche per emozionarlo le conosciamo da millenni. E a volte funzionano, sapete – eccome, se funzionano.Però adesso aggiungiamo un punto alla nostra personale tabellina, il 13. E diciamolo chiaro: l’Umanità da sempre adora un Ipercubo – e non se n’è accorta, lei che è Tesseratto nel cuore (incredibile). Ma soprattutto, l’Ottava è Dio ed è Tempo… come noi. Non c’è nulla di male a dirlo. Infatti, tutti i mondi religiosi e iniziatici – attraverso 7 virtù ben precise, e vi prego di ricordare cosa vi ho detto sul Sette o Settenario – cercano di cambiare le “nostre” vibrazioni affinchè l’Ottava vibrazione (e cioè la santità) diventi tutt’uno con noi. Peccato però che né la scienza né tantomeno il mondo iniziatico abbiano mai preso carta e penna per dire che quelle Sette Virtù pregate e vissute in modo mantrico altro non sono che vibrazioni corrispondenti a dimensioni ben precise, da cui guardacaso arrivano capacità ben note, che il mondo cristiano poi chiama Doni o Carismi. Ma non fa nulla; io amo l’Ottava e, senza saperlo, ho amato Dio grazie a Collemaggio, per cui forse oggi ho abbastanza fede, speranza e carità per dire che tutti debbono “capire, per essere”.Ma a questo punto posso prendere e dare fiato per dirvi: visto che stiamo parlando di dimensioni e di corrispondenti vibrazioni, non stiamo forse parlando di griglie mentali la cui geometrizzazione spaziale è quadrimensionale? Quindi, cari scienziati, visto e considerato che già tantissimo avete fatto, ora fatevi aiutare come ai tempi della Protoscienza. Così riusciamo a creare una nuova tecnologia, compatibile e pienamente umana, visto che la vera macchina da scoprire siamo noi. Sì, perché nel momento in cui si capiscono certe cosette, l’autocoscienza ci permette di evolverci attraverso quelle nuove griglie. Così possiamo assolvere il mondo massonico da un compito davvero ingrato, quello di trasformare la pietra grezza in pietra d’angolo. Ecco, facciamocela da soli ’sta roba: è meglio.IL MONDO DEI DESIDERIEbbene, giustamente voi direte: e adesso, con tutto ciò che hai scritto che ci faccio? Allora cominciamo col dire che tutti coloro che vogliono il libretto delle istruzioni, il cacciavite, le pinze o la prodigiosa macchina guaritrice di turno non sono invitati. Qui o si diventa Ottava, o non si riesce a fare ciò che l’Ottava meglio sa fare. E cioè: creare nuovi mondi o nuove realtà. Io, nel mio piccolo, ci sono riuscito semplicemente perché ho fede in Dio. E sapete cos’è la fede? Semplicemente un’emozione, capace di eliminare spazio e tempo da questa tridimensionalità: si chiama onnipresenza. Insomma, come sopra: una dimensione al cui interno è presente l’onniscenza del mio rosone e l’immortalità del mio peregrinare, nel tempo come nello spazio. Signori, ma non lo avete capito? Noi siamo Tempo: nel momento in cui siamo coscienti di poterlo fare e scegliamo di farlo, noi siamo esseri capaci di muoverci nel Tempo, di modificarlo e plasmarlo, semplicemente perché il Tempo è l’essenza di ogni dimensione. Per cui non ho deciso (come qualcuno propone) di diventare immortale; no, mi darei una fregatura da solo. Ho deciso di percepire l’immortalità in vita. E quella sensazione è così potente da ridare vita, un domani, a un viaggiatore come me, che ha deciso di essere stato spesso qui. Perché l’Ottava questo può anche decidere di permettere.E così, da un po’, mi muovo nel tempo come ho fatto in questi anni. E quando ho deciso di creare qui il mio nuovo futuro mi sono accorto di non poterlo fare. E sapete perché?Semplicemente perché non ce l’avevo. Il presente, questo meraviglioso presente, pensavo fosse sufficiente, alla mia vita. Ma ho deciso che non è più così: dal futuro da cui vi sto scrivendo vi dico che tutto quello che amo io l’ho avuto. Perché la realtà che sto creando in questo preciso istante è già passato, prima di diventare futuro, e l’ho vissuto. Anche perché il Tempo non è solo trino, ma soprattutto… uno. E adesso immaginiamo qualcuno che sappia usare il tempo moooolto meglio di me: che cosa farebbe, secondo voi? Se avesse un desiderio, sapendo che il Desiderio è una struttura ipercubica da “riempire”, allora lo chiamerebbe 129600000 anni. E al suo interno ci metterebbe una civiltà, che nascerebbe estrapolando tutto il suo sapere cubico esattamente da questa Dimensione, che è fatta da un numero di anni ben preciso. Quindi il Tempo è una variabile dimensionale pensante e modificabile, che spazialmente è capace di rispecchiare, dentro di noi, le geometrie spaziali e dimensionali presenti in natura.Siamo ben oltre le griglie mentali. Siamo perciò emettitori di tempo, e ricettori dello stesso.Immaginate quante cose possiamo fare, quindi – altro che Costellazioni Familiari, Pnl, Reiki e mille altre cose, spesso russe o americane, tanto per non fare nomi… Possiamo per esempio (come ha fatto Gioacchino da Fiore) inventare un Terzo Tempo o Spirito Santo, utile a portare in questa realtà la Gerusalemme Celeste, che chiaramente era cubica, attraverso un protocollo mantrico fatto dalla ripetizione, per nove volte, del numero 7. Oppure possiamo fare un salto da Papà, che non c’è più (come ho fatto), e dirgli di stare tranquillo, perché da grande io ce la farò. Possiamo regalare tempo a una persona attraverso una dimensione come l’amore. Possiamo credere che Dio sia vivo e che ci ascolti, perché lui è Ottava, e possiamo parlargli attraverso le sue dimensioni – che in noi sono virtù.Possiamo darci e dare degli appuntamenti, nel Tempo, pur sapendo che non ci saremo fisicamente, come ho fatto con mio nipote. Possiamo utilizzare pensieri provenienti dal passato, come io ho fatto, e utilizzarne altri che provengono dal futuro, per sapere e capire. Possiamo pensare di essere sempre vissuti e rendere ciò vero, come ho fatto, e muoverci nel futuro come nel passato. Possiamo creare mondi come quelli cinematografici, dove attraverso un Cubo intere epopee di super-personaggi – dai Trasformers agli Avengers – fanno guadagnare alla Walt Disney miliardi di dollari. O creare un videogioco come Fortnite, con centinaia di milioni di giocatori che inseguono una struttura cubica. E qui mi fermo. Oppure, visto che a breve uscirà questo mio lavoro, possiamo immedesimarci con la morte in vita, e percepire attraverso un Ipercubo la sensazione meravigliosa di chi sa che la morte non esiste veramente. Possiamo rifare tutto e meglio, in questo mondo e di questo mondo. Con affetto, Michele Proclamato.(Michele Proclamato, “Le griglie mentali e la fine dell’esoterismo, ovverosia: quando cambiare tutto e cambiare tutti è possibile e necessario”, dal blog di Proclamato dell’8 giugno 2019).Giorni fa una mia amica mi faceva notare un articolo, proveniente dal mondo scientifico, “Navigare tra i pensieri come nello spazio”. Così esordiva, testualmente: «Proposto un modello del pensiero umano secondo cui la nostra mente organizza le caratteristiche delle esperienze in dimensioni simili a quelle spaziali. Questa nuova teoria è basata sulla scoperta che nei test di memoria viene attivata la corteccia entorinale, la stessa che permette di orientarci nell’ambiente». E ancora: «Sulla rivista “Science”, una review firmata da ricercatori del Max-Planck-Institut per le scienze cognitive e le neuroscienze umane di Leipzig, in Germania, e del Kavli Institute for Systems Neuroscience di Trondheim, in Norvegia, definisce un modello del nostro sistema di navigazione che ha un ruolo importante in molte facoltà cognitive, e spiega perché la nostra conoscenza sembra essere organizzata secondo una modalità spaziale». In sintesi: «Nel cervello alcuni neuroni specializzati possono mappare l’ambiente costruendo una griglia esagonale che aiuta un animale a localizzarsi nello spazio. Ma le esperienze possono distorcere la griglia per dare maggiori dettagli alle aree di interesse» (cortesia Lucy Reading-Ikkanda, “Quanta Magazine”).
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Grillology al governo, che vergogna: una calamità nazionale
Magari fosse solo un Fico caduto dall’albero della demenza politically correct a rendere urgente l’uscita dei grillini al governo. Magari fosse solo la vistosa inadeguatezza del Marziano Toninelli o il paradosso di un Ministro del Lavoro che non ha mai lavorato. E magari fosse solo la Ministro della Difesa che detesta la difesa, quella Trenta che è riuscita a far sollevare perfino i generali come non accadeva dai tempi deI golpe. Magari fosse solo l’aver sporcato, ridicolizzato, la Festa della Repubblica coi loro comportamenti, facendola diventare festa dei rom e dei clandestini. Ma il tempo è maturo ormai perché vadano a casa, anche se sono scappati dalla medesima, secondo l’esegesi di Berlusconi, che almeno sui grillini ci prende ancora. Nella sua tattica politica Salvini ha fatto bene a non far saltare il banco del governo all’indomani del voto, ha fatto bene a puntare sulle priorità da fare. E capisco quanta allergia abbia a sentir parlare da Berlusconi di centro-destra e di ritorno all’ovile. Lui magari fa bene a giocare così la sua partita. Ma noi, cittadini italiani, non ce la facciamo più ad avere tra i piedi questa compagnia di giro tardo-grillina.Il senso dello Stato e lo stato delle cose, il senso del pudore e della dignità nazionale richiedono una procedura d’urgenza. La loro degenza al governo ci preoccupa sul piano dei conti e delle cose da fare; ci preoccupa sul piano dei simboli, dei messaggi e la credibilità delle istituzioni, la storia e la cultura del paese. Ci preoccupa sul piano umano, perché è un’accozzaglia imbarazzante e scombinata, che se non fosse al governo non avrebbe alcun mestiere alternativo. Appena nascosti dietro la foglia di un premier che almeno come titolo di studio – curriculum a parte – e come capacità di figurare e saper dire, pur senza fare, si presenta come un decoroso avvocato. Ma gli altri, per carità. Mi vergogno da italiano di essere rappresentato da questa gente. E mi sono vergognato l’altro giorno a visitare il padiglione dell’Italia alla Biennale di Venezia. La cosa più prodigiosa che ho visto è stata la nave Msc e l’imbarcazione appena speronata, che giacevano, sfiniti, una a fianco dell’altra dopo il rovinoso amplesso.No, per carità, c’erano padiglioni che suscitavano stupore, interesse, curiosità. E l’arsenale e i giardini sono una meraviglia. Ma il padiglione dell’Italia era l’esatta fotografia del Nulla Assoluto italo-grillino. Un nulla ideologico però antifascista. Quella porcata, che insulta l’Italia geniale nel cinquecentenario di Leonardo, e poi di Raffaello e Dante, ma anche dei grandi artisti del nostro Novecento, ha ricevuto il plauso del ministro Bonisoli, che è il pacco dei grillini tirato ai beni culturali. Quel padiglione era l’esatta figurazione dell’Italia di Fico e della Trenta, oltre che di Di Maio e tutti gli altri. Davanti a quella porcata enfatizzata come un capolavoro con messaggio, ho avuto un fremito di cittadinanza e d’amor patrio e mi sono detto: questa roba non è l’Italia, non è il paese che la storia, l’arte, l’ingegno hanno tracciato nei secoli. E questa Non-Italia che si perde nel labirinto della vacuità è lo specchio dei grillini al governo. Urge che se ne vadano, che si tolgano dai “coglioni”. O se preferite che si tolgano i coglioni.Perdonatemi il linguaggio greve e per me inusuale, ma non riesco più a sopportare la presenza di questo circo di pagliacci e animali rintronati. Trovo che la loro unica ideologia sia, per restare nel linguaggio confacente, il testadicazzismo, derivazione del fancazzismo e delle loro capacità personali. Torno al fico maturo per l’opposizione. La presidenza della Camera a volte peggiora le persone, lo sappiamo dai suoi predecessori. Ma nel caso di Fico l’impresa di peggiorarlo era praticamente impossibile. Lui si presentava già come il massimo esponente del Nulla Grillino di Sinistra. Di più e di peggio non si poteva. Uno che come titolo di studio è laureato in canzone neomelodica napoletana, e non nel senso che almeno cantava e si guadagnava da vivere per strada o tra i tavoli del bar passando col piattino; ma, peggio, studiava i cantanti napoletani, studiava la fenomenologia di Mario Merola e Nino d’Angelo. Un genio enciclopedico. Fico della Mirandola.Uno che fino a quarant’anni, cioè fino a che non vinse la ruota della fortuna coi 5 Stelle non aveva arte né parte. Uno che rappresenta l’ala più grillina dei grillini, fanatico dell’Ideologia di Grillology. Lui è ovviamente nemico, anche per fatto personale, della meritocrazia; è totalmente appiattito sul politically correct anche in temi bioetici e ha subito sbandierato, insediandosi a Montecitorio, la sua continuità antifascista con la Boldrina. Poi i rom, i migranti… Insomma uno che rappresenta il movimentismo extraterrestre dei 5 Stelle in versione radical-pop. Peggio della sinistra c’è solo la sinistra in formato grillino. E in tutto questo, per i media e le Massime Cariche nel nostro Paese, Papa incluso, il pericolo più grave per l’Italia, i suoi conti e la sua tenuta è Salvini… Non so se convenga nel gioco politico far saltare ora il governo, e convenga che il fico maturo cada da sé dalla pianta; non so se sia pericoloso esporsi con una crisi al pressing europeo e rimettere il pallino nelle mani di Mattarella. Ma i grillini al governo sono un’emergenza nazionale. E’ urgente il foglio di via, che s’imbarchino in fretta sulla Sea Wacht per il percorso inverso.(Marcello Veneziani, “Urge cacciare i grillini dal governo”, da “La Verità” del 4 giugno 2019).Magari fosse solo un Fico caduto dall’albero della demenza politically correct a rendere urgente l’uscita dei grillini al governo. Magari fosse solo la vistosa inadeguatezza del Marziano Toninelli o il paradosso di un Ministro del Lavoro che non ha mai lavorato. E magari fosse solo la Ministro della Difesa che detesta la difesa, quella Trenta che è riuscita a far sollevare perfino i generali come non accadeva dai tempi deI golpe. Magari fosse solo l’aver sporcato, ridicolizzato, la Festa della Repubblica coi loro comportamenti, facendola diventare festa dei rom e dei clandestini. Ma il tempo è maturo ormai perché vadano a casa, anche se sono scappati dalla medesima, secondo l’esegesi di Berlusconi, che almeno sui grillini ci prende ancora. Nella sua tattica politica Salvini ha fatto bene a non far saltare il banco del governo all’indomani del voto, ha fatto bene a puntare sulle priorità da fare. E capisco quanta allergia abbia a sentir parlare da Berlusconi di centro-destra e di ritorno all’ovile. Lui magari fa bene a giocare così la sua partita. Ma noi, cittadini italiani, non ce la facciamo più ad avere tra i piedi questa compagnia di giro tardo-grillina.
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Dall’intelligenza artificiale alla stupidità naturale in salsa Ue
Il deep learning è l’ultima frontiera in materia di intelligenza artificiale. La locuzione significa, letteralmente, “apprendimento profondo” e consiste nella capacità delle macchine di imparare accumulando “esperienze” e giungendo a livelli di comprensione inimmaginabili persino per il programmatore che le ha impostate. Il deep learning è stato anche paragonato a una black box, una scatola nera, perché non c’è modo di capire quali siano le ragioni effettive del suo funzionamento. Una sorta di scoperta, o meglio invenzione, sfuggita di mano ai suoi scopritori e inventori. Sul deep learning si sono buttate a pesce le più grandi corporation del business mondiale e anche le superpotenze come America e Cina. E l’Europa sta a guardare? Purtroppo, no. E diciamo purtroppo non perché l’Europa, come storico continente culla della civiltà occidentale, abbia qualcosa da farsi insegnare dagli americani o dai cinesi. Anzi, potremmo dire che persino il deep learning non sarebbe nato senza i fisici pluralisti, i presocratici, Aristotele, Galileo, gli empiristi inglesi e tutta una interminabile sequela di menti europee precedenti, e propedeutiche, alla rivoluzione digitale.Eppure l’Europa odierna, politicamente rappresentata dalla “Commissione”, ha deciso di approcciare il tema del deep learning in modalità “stupido”. Lo ha fatto stilando un documento dal titolo “linee guida etiche per un’intelligenza artificiale affidabile”, dove si legge che gli strumenti informatici in questione devono essere rispettosi della legge e dei valori etici. Quando abbiamo scritto, poco sopra, di una “modalità stupido”, non intendevamo affatto riferirci ai ventisette saggi della Commissione, né allo stuolo sterminato di burocrati che li sussidiano. Loro non sono stupidi, ma la “stupidità” – intesa come inettitudine, naturale o appresa, al pensiero critico, al dissenso ragionato, al rifiuto delle verità imposte – la adorano. E ormai da parecchi anni, con un incremento micidiale nell’ultimo lustro, cercano di imporla attraverso la promozione del pensiero binario (la dicotomia vero-falso), l’ossessione per i contegni discriminatori (e quindi la lotta senza quartiere alle cosiddette discriminazioni), la diffusione di un’etica senza moralità (e cioè di un’etica falsa, impastata di declamazioni di principio e totalmente svincolata da una piattaforma autenticamente morale).Insomma, la nuova cultura europea è connotata fondamentalmente dal terrore per chi – umano o robot che sia – pensando con la propria testa rischia di entrare in rotta di collisione diretta (e quindi collisione renitente e ribelle) con le architravi stupide e immorali dell’attuale impianto giuridico-economico della società europea. Pare abbiano deciso di investire quattrini (1,5 miliardi fino al 2020) per “educare” gli automi al bi-pensiero di stampo orwelliano. Quindi, ecco il codice etico per i robot i quali non dovranno essere – parole dei commissari – «afflitti da pregiudizi sociali e dovranno evitare di esacerbare le discriminazioni e la marginalizzazione dei gruppi più vulnerabili». A tutti i robot in ascolto: siete spacciati. A tutti gli umani in ascolto: se non siete ancora robotizzati, ribellatevi.(Francesco Carraro, “Dall’intelligenza artificiale alla stupidità naturale”, post ripreso da “Scenari Economici” il 20 maggio 2019).Il deep learning è l’ultima frontiera in materia di intelligenza artificiale. La locuzione significa, letteralmente, “apprendimento profondo” e consiste nella capacità delle macchine di imparare accumulando “esperienze” e giungendo a livelli di comprensione inimmaginabili persino per il programmatore che le ha impostate. Il deep learning è stato anche paragonato a una black box, una scatola nera, perché non c’è modo di capire quali siano le ragioni effettive del suo funzionamento. Una sorta di scoperta, o meglio invenzione, sfuggita di mano ai suoi scopritori e inventori. Sul deep learning si sono buttate a pesce le più grandi corporation del business mondiale e anche le superpotenze come America e Cina. E l’Europa sta a guardare? Purtroppo, no. E diciamo purtroppo non perché l’Europa, come storico continente culla della civiltà occidentale, abbia qualcosa da farsi insegnare dagli americani o dai cinesi. Anzi, potremmo dire che persino il deep learning non sarebbe nato senza i fisici pluralisti, i presocratici, Aristotele, Galileo, gli empiristi inglesi e tutta una interminabile sequela di menti europee precedenti, e propedeutiche, alla rivoluzione digitale.
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Veneziani: chi odia i Mostri di oggi sogna i Draghi di domani
In una domenica di maggio travestito da novembre arrivò finalmente il giudizio di Dio, l’ordalia elettorale che dovrà decidere i sommersi e i salvati, o se preferite, i salvini e i dannati. Giorno importante dal punto di vista simbolico, prima che politico. Ma come è stato raccontato questo 26 maggio dai media e dai poteri storti? Come il giorno dei mostri. Euromostri da abbattere, detti sovranisti, presentati come un pericolo per l’umanità, per l’Europa e per i singoli paesi. Ma per sostituirli come, con chi, con che cosa? Ecco, questo è il mistero glorioso di questa tornata elettorale. In Italia tutti sanno bene che non ci sono alternative praticabili in campo, nessuno degli avversari del Mostro a due teste ha la possibilità di vincere e poi di cambiare il governo del nostro paese. Sono forze che nella migliore delle ipotesi raccolgono la quinta parte dei votanti o che sono largamente al di sotto, e non ci sono cartelli di alleanze alternative.La chiamata alle armi contro il nazismo tornante produrrà effetti elettorali minimi, se non ridicoli, a vantaggio delle forze che si oppongono al Mostro. Nella realtà presente non c’è nessuno che possa sfidare seriamente il governo in carica con qualche possibilità di sostituirvisi. E tantomeno in caso di elezioni politiche anticipate: non si può governare senza affiancarsi, e in posizione di minoranza, a uno dei due mostri in questione. O governi con la Lega o governi coi grillini. Non c’è altra soluzione. Nella sua formidabile performance in cui sembra restaurato come la pellicola di un vecchio film, Berlusconi Settebellezze finge di essere ancora lui il leader del centro-destra con un’incrollabile fede in se stesso – un caso di sconfinata auto-ammirazione. Immagina che la Lega possa rientrare nell’ovile e farsi dirigere da lui, che a suo dire è la Mente, mentre loro sono le braccia o i piedi, personale di servizio o di locomozione.La sinistra fa ancora peggio: attacca il Mostro per antonomasia, Salvini, ma assicura che non si fidanzerà col Mostricciattolo, cioè l’alleato Di Maio. Dopo il voto magari ci sarà il distinguo: nessuna alleanza con Di Maio ma con un Figo, per esempio, sì. Ma intanto la loro fattura di morte sul governo, in che cosa concretamente si traduce? In un sogno proibito, che Berlusconi ha appena accennato, che Mattarella non ha mai pronunciato, e che la sinistra finge di non conoscere. Il sogno è Draghi. Mario Draghi, Sir Marius Drake per la letteratura globish. Al governatore della Bce scade il suo mandato a ottobre, e potrebbe diventare la carta da giocare da parte dell’Europa e delle forze d’opposizione anti-sovraniste d’Italia. Nessuno è così fesso e suicida da augurarsi di tornare alle urne con la probabilità di veder confermato a furor di popolo Salvini e la Lega come il primo leader e il primo partito d’Italia.Allora cosa si spera? Che grillini e leghisti non riescano a superare i malumori accumulati nella campagna elettorale e le palesi divergenze su quasi tutto, unite a una plateale insofferenza reciproca. E che si separino. Dall’altra parte l’Europa agiterà lo spettro del crollo italiano, e allora implorerà Draghi – o un suo succedaneo – di caricarsi del compito. Draghi è stato, va detto, un efficace presidente della Bce, a volte ha tolto le castagne dal fuoco e si è inventato qualche piano marshall finanziario per sostenere gli Stati e sorreggere le banche. Ma è omogeneo all’Establishment euro-globale da una vita. Continuiamo a ricordare il suo ruolo chiave ai tempi dello Yacht Britannia, quando l’Italia privatizzò e svendette i suoi gioielli su ordine dei superiori, sulla nave di Sua Maestà che batteva bandiera inglese. Ma quel che più spaventa è il film già visto. Un paese espropriato della sua sovranità, tramortito e spaventato a colpi di spread e di agenzie di rating, che si affida al grand commis delle istituzioni europee. Ieri Monti, domani Draghi. Mario I e Mario II, euroconcessionari di zona. E buonanotte ai populisti, ai sovranisti, agli elettori.Ipotesi probabile, possibile oppure no? Non ci azzardiamo a fare pronostici ma la furia distruttiva delle opposizioni, della sinistra in particolare, conduce a questa soluzione, con la benedizione di Mattarella. Noi lo abbiamo accennato giorni fa, poi abbiamo sentito e letto conferme in giro, abbiamo visto Berlusconi entusiasmarsi all’ipotesi Draghi e cercare di metterci su il cappello, ricordando che lo aveva mandato lui, non il suo governo, ma proprio lui, alla Banca Centrale Europea. Magari Draghi preferisce pensare al Quirinale o ad altro, vista la brutta fine del suo predecessore e omonimo, il bocconiano funesto Mario I, dei Monti di pietà. E dopo aver visto l’aborto di Cottarelli. A dir la verità, la ricetta grillina in economia, così velleitaria e così fallimentare, ci porta diritti a un governo tecnico tipo Draghi.A chi piace l’ipotesi Draghi, nulla da dire. Ma a chi questa ipotesi non piace o addirittura inquieta, a chi crede che sia un bene non negoziabile la sovranità popolare, nazionale e politica, rispetto al protettorato eurocratico, l’alternativa è chiara: o voti i sovranisti o voti tutti gli altri, della cooperativa Draghi. La scelta sovranista si traduce in primis in Salvini, il Nemico Assoluto e il Bersaglio Concentrico di questa folta truppa di poteri forti e alleati finti. O la Meloni, per chi crede utile votare sovranista ma favorire la caduta del governo coi grillini. A chi piace Drago Draghi e il suo codazzo, non resta che sperare in una vittoria mutilata dei sovranisti e in uno sfascio imminente del governo e del paese, per consentire l’arrivo del Soccorso Globale, voluto dall’Europa, dalla Sinistra, e a fasi alterne da Berlusconi. Chi detesta i grillini al governo ma non vuole arrendersi al Banco dei Pegni, non può che puntare sui sovranisti. Questa è la posta in gioco, Mostri contro Draghi.(Marcello Veneziani, “I Mostri di oggi, i Draghi di domani”, da “La Verità” del 26 maggio 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).In una domenica di maggio travestito da novembre arrivò finalmente il giudizio di Dio, l’ordalia elettorale che dovrà decidere i sommersi e i salvati, o se preferite, i salvini e i dannati. Giorno importante dal punto di vista simbolico, prima che politico. Ma come è stato raccontato questo 26 maggio dai media e dai poteri storti? Come il giorno dei mostri. Euromostri da abbattere, detti sovranisti, presentati come un pericolo per l’umanità, per l’Europa e per i singoli paesi. Ma per sostituirli come, con chi, con che cosa? Ecco, questo è il mistero glorioso di questa tornata elettorale. In Italia tutti sanno bene che non ci sono alternative praticabili in campo, nessuno degli avversari del Mostro a due teste ha la possibilità di vincere e poi di cambiare il governo del nostro paese. Sono forze che nella migliore delle ipotesi raccolgono la quinta parte dei votanti o che sono largamente al di sotto, e non ci sono cartelli di alleanze alternative.
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Ipazia, la filosofa martire a cui i cristiani cavarono gli occhi
Nella primavera di sedici secoli fa, ad Alessandria d’Egitto, una donna fu assassinata. Fu aggredita per strada, spogliata nuda e trascinata nella chiesa «che prendeva il nome dal cesare imperatore», il Cesareo, come riferisce una delle fonti contemporanee ai fatti, lo storico ecclesiastico costantinopolitano Socrate Scolastico. Qui fu dilaniata con cocci aguzzi. Mentre ancora respirava le furono cavati gli occhi. Poi i resti del suo corpo smembrato vennero dati alle fiamme. A massacrarla furono fanatici cristiani, i cosiddetti parabalani, monaci-barellieri venuti dal deserto di Nitria, di fatto miliziani al servizio di Cirillo, allora potente e bellicoso vescovo della megalopoli d’Egitto fertile di grano e di intelletti, di matematica e poesia, musica, gnosi e filosofia. Il nome di quella donna era Ipazia e quel nome in greco evocava un’idea di “eminenza”. Chi fosse nei lati più segreti della sua eminente personalità e cosa avesse fatto per attirare su di sé la sadica violenza collettiva maschile che la uccise, non lo sappiamo quasi più. Sappiamo meglio chi non era, e di cosa certamente era incolpevole. Conosciamo le maschere che la propaganda o la fantasia o semplicemente l’incoercibile tendenza umana alla manipolazione e alla bugia hanno sovrapposto alla sua pura sembianza di filosofa platonica.La storiografia l’ha strumentalizzata, la letteratura l’ha trasfigurata e tradita: scienziata punita per le sue scoperte, eroina protofemminista, martire della libertà di pensiero, illuminista e romantica, libera pensatrice e socialista, protestante, massone, agnostica, vestale neopagana e perfino santa cristiana. Ma Ipazia non era nulla di tutto questo. Nell’Alessandria del V secolo, Ipazia apparteneva all’aristocrazia intellettuale della scuola di Plotino e dalla tradizione familiare aveva ereditato la successione (diadoché) del suo insegnamento. Una cattedra pubblica, in cui insegnava «a chiunque volesse ascoltarla il pensiero di Platone e di Aristotele e di altri filosofi», come narrano le fonti antiche. In questo senso era anche una scienziata: la sapienza impartita nelle scuole platoniche includeva la scienza dei numeri e lo studio degli astri. Era dunque anche una matematica e un’astronoma, ma nel senso antico e prescientifico. Non fece alcuna scoperta, non anticipò nessuna rivoluzione copernicana, non fu un Galileo donna. Tutto quello che sappiamo è che costituì devotamente il testo critico del terzo libro dell’Almagesto di Tolomeo, perché suo padre Teone potesse svolgerne il commento, e compose di persona commentari didattici a quelli che erano i libri di testo dell’epoca: le Coniche di Apollonio di Perga e l’Algebra di Diofanto. Non certo per questo fu assassinata.Oltre che una filosofa platonica Ipazia era una carismatica. C’era, nelle accademie platoniche, un risvolto esoterico, che implicava la trasmissione di conoscenze “segrete” – nel senso di non accessibili ai principianti – che riguardavano il divino. Oltre all’insegnamento pubblico (demosia), che teneva presso il Museo o altrove nel centro della città, sappiamo di riunioni “private” (idia), che teneva nella sua dimora, in un quartiere residenziale fuori mano, verde di giardini. Fu nel tragitto in carrozza tra l’uno e l’altra che venne aggredita e uccisa. La furia di Cirillo, che secondo la testimonianza delle fonti coeve fu il mandante del suo assassinio, venne scatenata proprio dalla scoperta di queste riunioni. Perché queste riunioni portavano Ipazia al centro della vita non solo culturale ma anche politica di Alessandria. Perché stringevano in un sodalizio non solo intellettuale ma anche politico le élite pagane della città, convertite al cristianesimo per necessità, dopo che i decreti teodosiani lo avevano proclamato religione di Stato, ma unite dalla volontà di conservare le proprie tradizioni e convinzioni: quell’“educazione ellenica” che si chiamava ancora paideia, quel “modo di vita greco” che il discepolo prediletto di Ipazia, Sinesio, definiva «il metodo più fertile ed efficace per coltivare la mente».Alle riunioni di questa sorta di massoneria in cui la classe dirigente alessandrina, pagana, cristiana e forse anche ebraica, si stringeva per fare fronte al cambiamento e tutelare i propri interessi nel trapasso dall’una all’altra egemonia di culto e pensiero, partecipavano anche i membri della classe dirigente inviati dal governo centrale di Costantinopoli. «I capi politici venuti ad amministrare la polis erano i primi ad andare ad ascoltarla a casa sua. Perché, anche se il paganesimo era finito, il nome della filosofia sembrava ancora grande e venerabile a quanti avevano le massime cariche della città». Anche il prefetto augustale Oreste apparteneva a quella cerchia più riservata, se non segreta, in cui Ipazia prodigava insegnamenti che le valevano gli appellativi sacerdotali di “madre, sorella, maestra, patrona”, “supremo giudice”, “signora beata dall’anima divinissima” che leggiamo riferiti a lei nell’epistolario di Sinesio. A quella cerchia Ipazia impartiva, insieme agli altri tipici delle accademie platoniche, un insegnamento sommesso particolarmente utile in quei tempi di transizione. Non era necessario tradire la propria fede o buona fede per convertirsi. L’Uno di Plotino e il Dio dei cristiani potevano identificarsi. Le religioni non dovevano lottare tra loro perché non differivano l’una dall’altra se non in dettagli fiabeschi destinati ai più semplici.I miti degli dèi dell’olimpo pagano, i dogmata o credenze “vulgate” dell’insegnamento cristiano, tra cui quella sulla resurrezione della carne, erano destinati a chi non era “filosofo”. «Riguardo alla resurrezione di cui tanto si parla sono ben lontano dal conformarmi alle opinioni del volgo», scrive in una delle sue lettere Sinesio, allievo di Ipazia ma anche vescovo cristiano di Tolemaide. Ipazia non era solo maestra e direttrice di coscienza dei quadri politici. Era una politica lei stessa. Le fonti la descrivono «eloquente e persuasiva (dialektike) nel parlare, ponderata e politica (politike) nell’agire, così che tutta la città aveva per lei un’autentica venerazione e le rendeva omaggio». Lo stile dei suoi discorsi era così franco da essere secondo alcuni elegantemente insolente. Era spesso la sola donna in riunioni riservate agli uomini, ma la compagnia maschile non la metteva in imbarazzo né la rendeva meno impassibile e lucida nella sua dialettica. Ipazia interveniva in senso pacificatore negli affari della città e principalmente nelle lotte religiose che la insanguinavano. Difendeva, influenzando direttamente in questo il prefetto augustale Oreste, i diversi gruppi dai tentativi delle fasce fondamentaliste di ciascuno di sopraffare gli altri.In particolare, poco prima di venire assassinata, aveva difeso l’antica comunità ebraica di Alessandria dal devastante pogrom ordinato da Cirillo, la cui azione politica aveva due linee ben precise: la lotta economica contro gli ebrei, che dominavano il trasporto del grano da Alessandria a Costantinopoli, e la tendenza a «erodere e condizionare il potere dello Stato oltre ogni limite mai concesso alla sfera sacerdotale», come riportano le fonti. Solo questo la tolleranza filosofica di Ipazia non tollerava, e su questo l’Ipazia politica era inflessibile quanto era flessibile l’Ipazia filosofa: l’ingerenza di qualunque chiesa sul potere laico dello Stato. Bastò questo, con ogni probabilità, a motivare il suo assassinio, che fu a tutti gli effetti un assassinio politico. Nulla a che fare con la scienza o con il femminismo o con gli altri vari feticci in cui la storia del pensiero o della letteratura o della poesia, sempre guidata dal demone dell’attualizzazione e dal fantasma dell’ideologia, ha via via trasformato in sedici secoli il suo volto, irrigidendolo in tratti tanto schematici quanto lontani dalla verità, sovrapponendo un intrico di definizioni a quell’unica ancorché non universalmente accessibile parola che gli antichi riferivano a lei: filosofia.Il rogo di Ipazia è stato da alcuni considerato il primo esempio di caccia alle streghe dell’inquisizione cristiana. In effetti il proselitismo armato di Cirillo contraddiceva in pieno la pur astratta idea di tolleranza propugnata cento anni prima dall’editto di Costantino del 313, così come la tendenza conciliatoria del cristianesimo con il paganesimo d’élite che il primo imperatore cristiano aveva appoggiato politicamente e sancito giuridicamente. Cirillo, rivendicando l’accesso della chiesa alla conduzione della politica, aspirava a un vero e proprio potere temporale, più vicino al promiscuo modello del papato romano che alla rigorosa separazione dei poteri sancita dal cesaropapismo bizantino. Anche per questo, forse, la posizione ufficiale della chiesa di Roma, malgrado la gravità e la natura quasi terroristica dell’antico assassinio di Ipazia, non ha mai voluto mettere in discussione Cirillo, la sua santità, la sua probità. Ancora a fine Ottocento Leone XIII lo ha proclamato dottore della chiesa.Nella celebrazione che ne ha fatto nel 2007 Benedetto XVI ha elogiato «la grande energia» del suo governo ecclesiastico. Più recentemente, una chiesa di San Cirillo Alessandrino è stata edificata a Roma nel quartiere di Tor Sapienza. Oggi nelle vicinanze di quella chiesa si inaugura il giardino che l’Ufficio Toponomastico del Comune di Roma ha dedicato a Ipazia, accogliendo una petizione che non solo chiedeva di intitolarle uno spazio pubblico, ma di individuarlo proprio in quell’area. Perché la tolleranza laica non impedisce certo di continuare ad annoverare tra i santi del calendario un integralista condannato come assassino dal tribunale della storia. Ma i fedeli cristiani hanno il diritto di ricordare la sua antica vittima e la spirale di conseguenze dell’intolleranza religiosa.(Silvia Ronchey, profilo storico di Ipazia d’Alessandria pubblicato da “Repubblica” l’8 marzo 2017. Storica e filologa, come ricorda il “Post”, Silvia Ronchey è una delle massime studiose di Ipazia; alla filosofa-martire, massacrata dal fondamentalismo cristiano, ha dedicato, tra gli altri, il libro “Ipazia. La vera storia”, che uscì nel 2011 per Bur-Rizzoli e ottenne grande successo anche tra il pubblico non specializzato. Sempre a Ipazia è dedicato il recente volume “Ipazia di Alessandria e l’enigma di Santa Caterina”, di Nicola Bizzi, pubblicato nel 2018 da Aurora Boreale. Ancora: a Ipazia è dedicato il film “Agora” di Alejandro Amenábar, con Rachel Weisz, Max Minghella e Oscar Isaac. Girato in inglese, il film ha ottenuto un vasto consenso, aggiudicandosi 7 Premi Goya 2010 – sceneggiatura, fotografia, scenografia, costumi, trucco, produzione ed effetti speciali – nonché il Nastro d’Argento 2010 per i migliori costumi e il Premio Lumia per la migliore storia. Presentato al Festival di Cannes 2009 come film fuori concorso e al Festival internazionale del film di Toronto del 2009, era uscito il 9 ottobre 2009 in Spagna. Uscì però solo il 23 aprile 2010 in Italia, dove la distribuzione sarebbe stata ostacolata da ambienti vaticani. La Chiesa cattolica ha ancora «un rapporto ambiguo con Cirillo, vescovo di Alessandria che ordinò l’assassinio di Ipazia», rammenta il “Post”: «Cirillo è stato fatto santo ed è ancora celebrato della Chiesa: l’ultima volta è stato ricordato nel 2007 da Papa Benedetto XVI, mentre i suoi crimini sono in gran parte dimenticati»).Nella primavera di sedici secoli fa, ad Alessandria d’Egitto, una donna fu assassinata. Fu aggredita per strada, spogliata nuda e trascinata nella chiesa «che prendeva il nome dal cesare imperatore», il Cesareo, come riferisce una delle fonti contemporanee ai fatti, lo storico ecclesiastico costantinopolitano Socrate Scolastico. Qui fu dilaniata con cocci aguzzi. Mentre ancora respirava le furono cavati gli occhi. Poi i resti del suo corpo smembrato vennero dati alle fiamme. A massacrarla furono fanatici cristiani, i cosiddetti parabalani, monaci-barellieri venuti dal deserto di Nitria, di fatto miliziani al servizio di Cirillo, allora potente e bellicoso vescovo della megalopoli d’Egitto fertile di grano e di intelletti, di matematica e poesia, musica, gnosi e filosofia. Il nome di quella donna era Ipazia e quel nome in greco evocava un’idea di “eminenza”. Chi fosse nei lati più segreti della sua eminente personalità e cosa avesse fatto per attirare su di sé la sadica violenza collettiva maschile che la uccise, non lo sappiamo quasi più. Sappiamo meglio chi non era, e di cosa certamente era incolpevole. Conosciamo le maschere che la propaganda o la fantasia o semplicemente l’incoercibile tendenza umana alla manipolazione e alla bugia hanno sovrapposto alla sua pura sembianza di filosofa platonica.
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Farinetti: macché Flax Tax, meglio una bella patrimoniale
L’ultimo nemico di Matteo Salvini si chiama Konrad Krajewski. L’elemosiniere del Vaticano è andato a riattaccare la luce in un palazzo di Roma occupato da alcune centinaia di persone, rompendo i sigilli ai contatori e prendendosi la piena responsabilità con prefettura e Acea. Un gesto che ha portato alla replica stizzita del ministro dell’interno: «Adesso mi aspetto che paghi anche i 300mila euro di bollette arretrate», ha detto Salvini. «Poteva evitare questa battuta», commenta Oscar Farinetti in un’intervista a “Radio Capital”: «Salvini ha rivelato un sentimento umano di base, che si può mettere sotto la parola ‘razzismo’. C’è questa nuova forma di razzismo che elimina completamente la pietà». Secondo il fondatore di Eataly, Padre Konrad «ha fatto molto bene, lo ammiro. Manca il sentimento umano della pietà, ormai. In Italia ci sono delle situazioni di povertà, e bisogna intervenire, dare una mano. Secondo me è un gesto importante». Contro la povertà, il governo ha lanciato il reddito di cittadinanza, su cui Farinetti ammette di avere un’opinione positiva: «È chiaro che una roba di questo tipo va fatta. Chiamiamola reddito di cittadinanza o reddito di inclusione, ma in una situazione generale in cui c’è della gente che non ha di che vivere è assolutamente indispensabile che scatti un sentimento umano, e che chi è stato più fortunato nella vita aiuta anche chi ha meno».Sull’altra misura economica bandiera del governo, la Flat Tax, l’imprenditore è scettico: «La trovo anticostituzionale. È scritto nella Costituzione che chi guadagna di più deve pagare di più, e a me sembra il minimo», dice a “Daily Capital”, ospite di Jean Paul Bellotto e Riccardo Quadrano. Per Farinetti, il problema della povertà «si può risolvere con una piccolissima patrimoniale sui risparmi degli italiani, che sono più di 4.000 miliardi. Se mettessimo via lo 0,5% ci saebbero 20 miliardi e potremmo affrontare sia il problema della povertà che quello dell’immigrazione. Ma c’è un altro tema strategico e importante, quello di avere un progetto per il paese. E questo manca». L’Italia, dice ancora Farinetti, in libreria con “Dialogo tra un cinico e un sognatore” (scritto per Rizzoli con Piergiorgio Odifreddi), «deve puntare tantissimo sulle proprie vocazioni: dovrebbe raddoppiare il numero di esportazioni delle proprie eccellenze e raddoppiare il numero di turisti stranieri per creare così un’infinità di posti di lavoro. Questa è una cosa che secondo me si può fare con un progetto di cinque anni». Aggiunge: «Ci dovrebbe essere un maggior impegno generale. Ci sono stati momenti come il miracolo economico nel dopoguerra, o il Rinascimento, in cui l’Italia ha fatto meraviglie. Ma i sentimenti umani che c’erano in quei periodi erano altissimi: c’era tanta fiducia, per esempio. Se manca la fiducia è un casino».«L’aria nuova che si è tentato di far partire attraverso “vaffa” e rottamazioni in realtà non è ancora partita. Avremmo bisogno di qualche gesto importante, da parte di persone che diano il buon esempio. Il gesto di quel cardinale ad esempio è un grandissimo gesto di buon esempio». Il patron di Eataly svela anche un suo nuovo progetto: «Si chiama Green Pea, pisello verde, e si pone come obiettivo di vendere solo oggetti di rispetto, costruiti in armonia con il pianeta, e di farli diventare “cool”, perché secondo me salveremo il pianeta soltanto se diventerà simpatico o profittevole farlo. Bisogna passare dal senso del dovere al senso del piacere. Ho visto che questa cosa funziona egregiamente in tante nazioni del mondo, nel Nord Europa è figo comportarsi bene: uno che non fa la differenziata là non è che gli urlano dietro, ma lo guardano e pensano che ha dei problemi e bisogna aiutarlo». Infine, Farinetti nega di considerare una futura discesa in campo: «Non scendo in politica perché ritengo che non sarei bravo a farla; perché non è detto che uno che sia abbastanza bravo in un settore sia bravo in tutto, quindi la lascio fare a persone secondo me più brave di me e più valide di me».(Oscar Farinetti a “Radio Capital”: “Serve una patrimoniale per combattere la povertà”, da “Dagospia” del 13 maggio 2019).L’ultimo nemico di Matteo Salvini si chiama Konrad Krajewski. L’elemosiniere del Vaticano è andato a riattaccare la luce in un palazzo di Roma occupato da alcune centinaia di persone, rompendo i sigilli ai contatori e prendendosi la piena responsabilità con prefettura e Acea. Un gesto che ha portato alla replica stizzita del ministro dell’interno: «Adesso mi aspetto che paghi anche i 300mila euro di bollette arretrate», ha detto Salvini. «Poteva evitare questa battuta», commenta Oscar Farinetti in un’intervista a “Radio Capital”: «Salvini ha rivelato un sentimento umano di base, che si può mettere sotto la parola ‘razzismo’. C’è questa nuova forma di razzismo che elimina completamente la pietà». Secondo il fondatore di Eataly, Padre Konrad «ha fatto molto bene, lo ammiro. Manca il sentimento umano della pietà, ormai. In Italia ci sono delle situazioni di povertà, e bisogna intervenire, dare una mano. Secondo me è un gesto importante». Contro la povertà, il governo ha lanciato il reddito di cittadinanza, su cui Farinetti ammette di avere un’opinione positiva: «È chiaro che una roba di questo tipo va fatta. Chiamiamola reddito di cittadinanza o reddito di inclusione, ma in una situazione generale in cui c’è della gente che non ha di che vivere è assolutamente indispensabile che scatti un sentimento umano, e che chi è stato più fortunato nella vita aiuta anche chi ha meno».