Archivio del Tag ‘Veri Finlandesi’
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La Merkel come Bismarck, nell’Europa riletta da Giannuli
Molti parlamentari italiani non sanno neppure dove stia la Libia, quale città ne sia la capitale e con quali paesi confini? Vero, la classe politica italiana fa schifo, scrive Aldo Giannuli, ma gli altri come sono messi? «Certo, un ceto politico non si improvvisa, e da vent’anni la distruzione dei partiti e la scomparsa di ogni attività di formazione politica hanno prodotto una classe politica scalcinata di improvvisatori, cialtroni e incapaci. Ma, chiediamoci: l’impreparazione del ceto politico è un fatto italiano o più generale?». Restando in Occidente e tralasciando i recenti movimenti di protesta – tipo M5S, Front National, Indignados e “Veri Finlandesi” – il politologo dell’ateneo milanese si concentra sui capi di Stato e di governo che hanno retto i propri paesi dal crollo del Muro di Berlino, cioè dall’avvento della globalizzazione neoliberista. I Bush? Il padre, uno dei pochi non confermati per il secondo mandato. Il figlio? «Uno dei peggiori presidenti della storia americana». Di Clinton, «non si ricordano particolari successi». Soprattutto, Giannuli non ricorda né i bombardamenti su Belgrado, né la clamorosa abolizione del Glass-Steagal Act, che scatenò Wall Street verso l’orgia finanziaria culminata nella crisi mondiale del 2007, dovuta proprio alla licenza di speculare concessa da Clinton a tutte le banche.«Molte speranze aveva suscitato Barack Obama, sia dal punto di vista dell’uscita dalla crisi economica, sia da quello della pace internazionale sia, infine, per quanto riguarda il riequilibrio delle diseguaglianze interne». E invece: nessuna riforma storicamente importante, «dato il modestissimo esito tanto della riforma sanitaria quanto di quella sulla finanza». Sul piano della politica internazionale, Obama «ha chiuso gli interventi in Iraq e Afghanistan, ma lasciando una situazione di sfascio totale», poi «ha partecipato all’intervento in Libia e anche lì la situazione è uno sfascio». Infine «ha rotto con la Russia, creando una situazione che non si vedeva dalla fine della guerra fredda». Un bilancio «forse peggiore di quello di Bush figlio», dice Giannuli, che però non cita le ombre più inquietanti della presidenza Obama: l’introduzione degli omicidi di massa mediante bombardamenti missilistici coi droni, il surreale annucio – senza prove – della presunta eliminazione di Osama Bin Laden in Pakistan e il finanziamento dello jihadismo in Siria, poi riciclato anche in Iraq con la sigla “Isis”. Passerà alla storia la tensione del 2013 con la Russia sulla crisi in Siria, da cui poi le immediate ripercussioni in Ucraina.Singolare anche l’interpretazione che Giannuli fornisce della politica francese. Chirac? «Un presidente mediocre». Eppure, osò opporsi a Bush evitando di schierare la Francia nella guerra contro Saddam: una “mediocrità” di cui oggi ci sarebbe estremo bisogno. Sempre per Giannuli, trascurando l’incolore Hollande, il presidente «di gran lunga peggiore» della storia francese sarebbe stato Sarkozy e non Mitterrand, «cui si deve la riorganizzazione europea dopo la riunificazione tedesca», cioè l’attuale “inferno” dell’Eurozona. Il professor Giannuli lo definisce «un piano molto ambizioso, che sul lungo periodo non ha retto». Secondo la maggior parte degli osservatori indipendenti europei, al contrario, Mitterrand è stato il principale artefice dell’attuale regime tecnocratico europeo: un piano che ha retto benissimo, perché mirato alla confisca della democrazia in Europa. Il grande economista francese Alain Parguez, già insider all’Eliseo, rivelò la natura “monarchica” di Mitterrand e dei suoi più stretti consiglieri come Jacques Attali, quello della famosa frase sulla “plebaglia europea” («credono davvero che l’euro l’abbiamo creato per la loro felicità?»).Altrettanto inconsueta l’analisi di Giannuli sulla Germania. Helmut Kohl? «Al pari di Mitterrand, è stato l’artefice della riorganizzazione europea e dell’ingresso dell’Europa nell’era della globalizzazione». Poi, Schoeder «ha proseguito sulla linea europeista del predecessore», avvicinando la Germania alla Russia e allontanandola da Parigi. E l’abominevole Merkel? «Nel contesto europeo attuale spicca, sembra quasi Bismarck, ma vista sul piano storico si colloca in posizione medio-bassa nella graduatoria. Forse in po’ più su di Schroeder, ma comunque al di sotto di Schmidt o Khol». Non una parola, da Giannuli, sull’Italia, se non l’accenno alla «catastrofe del 1992-93», cioè il ciclone Tangentopoli che cancellò la Prima Repubblica. Chiarissimo, al contrario, un analista di rango come l’economista Nino Galloni: fu Kohl a pretendere la testa dell’Italia – anche con Mani Pulite, appunto – per accettare l’euro imposto da Mitterrand come contropartita dell’unificazione tedesca. Kohl accettò a una condizione: che venisse azzoppata la concorrenza industriale italiana. Ormai è tutto chiaro, ma forse non per Giannuli: «Dovremo tornarci su – conclude – per chiederci il perché di questa decadenza della politica».Molti parlamentari italiani non sanno neppure dove stia la Libia, quale città ne sia la capitale e con quali paesi confini? Vero, la classe politica italiana fa schifo, scrive Aldo Giannuli, ma gli altri come sono messi? «Certo, un ceto politico non si improvvisa, e da vent’anni la distruzione dei partiti e la scomparsa di ogni attività di formazione politica hanno prodotto una classe politica scalcinata di improvvisatori, cialtroni e incapaci. Ma, chiediamoci: l’impreparazione del ceto politico è un fatto italiano o più generale?». Restando in Occidente e tralasciando i recenti movimenti di protesta – tipo M5S, Front National, Indignados e “Veri Finlandesi” – il politologo dell’ateneo milanese si concentra sui capi di Stato e di governo che hanno retto i propri paesi dal crollo del Muro di Berlino, cioè dall’avvento della globalizzazione neoliberista. I Bush? Il padre, uno dei pochi non confermati per il secondo mandato. Il figlio? «Uno dei peggiori presidenti della storia americana». Di Clinton, «non si ricordano particolari successi». Soprattutto, Giannuli non ricorda né i bombardamenti su Belgrado, né la clamorosa abolizione del Glass-Steagal Act, che scatenò Wall Street verso l’orgia finanziaria culminata nella crisi mondiale del 2007, dovuta proprio alla licenza di speculare concessa da Clinton a tutte le banche.
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Parigi, Londra, Roma: un voto per scardinare il regime Ue
L’incognita del voto in Francia è sicuramente «il punto più vulnerabile della costruzione europea», in questa fase.Segue a ruota l’Inghilterra, dove si prevede un’affermazione non irrilevante dell’Ukip che, però, difficilmente supererà di molto il 25% e quasi certamente non raggiungerà il 30%. Discorso diverso: da sempre, l’europeismo inglese è piuttosto tiepido. Non a caso, infatti, «l’Inghilterra non è nell’Eurozona e, spesso, in politica estera, ha seguito più gli Usa che i partner europei». Secondo Giannuli, un forte successo dell’Ukip darebbe una spinta forse decisiva all’Inghilterra a sciogliere gli ormeggi europei. Inoltre lo United Kingdom Independence Party è particolarmente forte nel Galles, paese che potrebbe essere contagiato dal secessionismo della Scozia, che sta andando al referendum sulla separazione da Londra. «Se si profilasse un’uscita contemporanea di Scozia e Galles, entrerebbe seriamente in crisi il Regno Unito, riducendolo di fatto alla sola Inghilterra o poco più, con effetti che si riverserebbero anche sulla Ue, che si troverebbe a dover ripensare tutti i trattati istitutivi».Infine, il caso italiano: le soglie critiche sono quelle legate al derby Renzi-Grillo. Il leader del Movimento 5 Stelle «deve superare il 25% per mantenere un certo peso politico», mentre il neo-premier «è nei guai se va sotto il 30% anche di un solo voto». Soprattutto, «la distanza fra i due deve essere superiore ai tre punti dal punto di vista di Renzi e inferiore da quello di Grillo». Infatti, una differenza sotto i tre punti «renderebbe il M5S competitivo con il Pd in caso di elezioni politiche». In soldoni, conclude Giannuli, «il problema è quello della stabilità del quadro politico del massimo debitore di Europa: se il governo entra in fibrillazione e si trascina con sé le leggendarie riforme renziane, i mercati finanziari europei non possono non risentirne». Ai “mercati”, infatti, piace tanto il regime di Bruxelles: prepariamoci a vederli di nuovo all’opera, a suon di spread, se il vento di rivolta – come tutto lascia pensare – comincerà a soffiare su tutta l’Europa, con la sola ovvia eccezione della Germania, dove il consenso pro-euro è quotato attorno al 90%.Il voto francese, inglese e italiano può mettere in crisi l’Ue. Attenti a leggere bene il risultato europeo del 25 maggio: se una delle tante liste anti-austerità (o meglio, anti-Germania) dovesse ottenere un clamoroso successo in un paese, le forze di governo di quel paese si troverebbero strette fra la tenaglia del vincolo europeo e la pressione interna anti-Ue. Alcuni governi, per non essere travolti, potrebbero essere costretti ad adottare politiche meno arrendevoli verso Bruxelles. Altri, invece, potrebbero scegliere la strada opposta, col rischio di una conflittualità sociale ben più aspra del passato. In ogni caso, la crisi elettorale potrebbe spingere diversi sistemi politici al limite della rottura. Lo sostiene Aldo Giannuli, guardando al verdetto delle europee: se in Germania vincerà la linea Merkel-Spd mentre nel resto d’Europa cresceranno molto le liste euroscettiche, una “grande coalizione” a Strasburgo tra popolari e socialdemocratici rafforzerebbe ulteriormente la percezione di una “Europa tedesca”, facendo esplodere gli atteggiamenti anti-tedeschi e anti-Ue, determinando una spirale incontrollabile.