Archivio del Tag ‘Ahmet Davutoglu’
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Siria: Putin ferma l’Isis, cioè Erdogan (che rinnega Ataturk)
Giovedi scorso, all’inizio del colloquio-maratona di Mosca, il presidente russo Vladimir Putin si è rivolto al presidente turco Recep Tayyip Erdogan con quella che probabilmente è la più straordinaria mossa diplomatica di questo giovanissimo 21° secolo. Putin ha detto: «All’inizio del nostro incontro, vorrei esprimere ancora una volta le mie sincere condoglianze per la morte dei vostri militari in Siria. Sfortunatamente, come vi avevo già riferito durante la nostra telefonata, nessuno, comprese le truppe siriane, conosceva i loro spostamenti». È così che un vero leader mondiale dice – di persona, ad un leader regionale – di astenersi dal posizionare le sue forze a sostegno dello jihadismo, in incognito, nel bel mezzo di un esplosivo teatro di guerra. La discussione faccia a faccia fra Putin ed Erdogan, con solo gli interpreti presenti nella stanza, è durata tre ore, prima di un’altra ora con le rispettive delegazioni. Alla fine, tutto si è risolto con Putin che ha trovato un modo elegante di salvare la faccia ad Erdogan per mezzo di, avete indovinato, un ulteriore cessate il fuoco a Idlib (iniziato giovedì a mezzanotte) scritto e firmato in turco, russo ed inglese, “tutti i testi con la stessa validità giuridica”.Inoltre, il 15 marzo comincerà il pattugliamento congiunto turco-russo lungo l’autostrada M4, il che significa che le infinite e mutevoli frange di Al-Qaeda in Siria non potranno riconquistarla. Se tutto questo sembra un déjà vu, è perché lo è. Molte foto ufficiali dell’incontro di Mosca mostrano in primo piano il ministro degli esteri russo Sergey Lavrov e il ministro della difesa Sergey Shoigu, gli altri due pesi massimi presenti all’incontro, a parte i presidenti. Sulla scia di Putin, Lavrov e Shoigu devono aver aver dato, senza mezzi termini, una bella lavata di capo ad Erdogan. È abbastanza: adesso, per favore, comportati bene oppure pagane le dure conseguenze. Una caratteristica prevedibile del nuovo cessate il fuoco è che sia Mosca che Ankara, che fanno parte del processo di pace di Astana insieme a Teheran, rimangono impegnate a garantire “l’integrità territoriale e la sovranità” della Siria. Ancora una volta, non vi è alcuna garanzia che Erdogan la rispetterà.È fondamentale ricapitolare le cose fondamentali. La Turchia è in una profonda crisi finanziaria. Ankara ha bisogno di soldi, molti soldi. La lira sta crollando. Il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (Akp) ha perso le elezioni. L’ex primo ministro e leader del partito, Ahmet Davutoglu, il teorico del neo-ottomanesimo, ha lasciato il partito e si sta ritagliando la propria nicchia politica. L’Akp è impantanato in una crisi interna. La risposta di Erdogan è stata quella di passare all’offensiva. È così che vorrebbe ripristinare il proprio carisma. Mettiamo insieme Idlib con le sue pretese marittime sulle acque intorno a Cipro e il ricatto all’Unione Europea, attuato sommergendo di rifugiati l’isola greca di Lesbo, e avremo il modus operandi tipico di Erdogan in pieno svolgimento. In teoria, questo nuovo cessate il fuoco costringerà finalmente Erdogan ad abbandonare tutte quelle miriadi di metastasi di Al-Nusra/Isis, quelli che l’Occidente chiama i “ribelli moderati”, debitamente armati da Ankara. Questa è la linea rossa definitiva di Mosca e anche di Damasco. Non sarà lasciato alcun territorio a disposizione degli jihadisti.L’Iraq è un’altra storia: l’Isis è ancora presente tra Kirkuk e Mosul. Nessun fanatico della Nato lo ammetterà mai, ma – ancora una volta – è stata la Russia a prevenire la minaccia dell’”invasione musulmana” dell’Europa pubblicizzata da Erdogan. Anche se, in primo luogo, non si è mai trattato di una vera e propria invasione: solo poche migliaia di migranti economici dall’Afghanistan, dal Pakistan e dal Sahel, non di siriani. Non esiste “un milione” di rifugiati siriani in procinto di entrare nell’Ue. L’Ue, come sempre, continuerà a blaterare. Bruxelles e la maggior parte delle capitali europee non hanno ancora capito che è stato Bashar al-Assad ad aver sempre combattuto Al-Nusra/Isis. Semplicemente, non comprendono la correlazione delle forze sul terreno. La loro posizione di ripiego è sempre stato il disco rotto dei “valori europei”. Nessuna meraviglia che l’Ue sia un attore secondario nell’intera tragedia siriana.Mentre cercavo di collegare le motivazioni di Erdogan-Khan alla storia della Turchia e agli imperi delle steppe, avevo ricevuto un eccellente feedback da alcuni analisti turchi progressisti. La loro posizione, in sostanza, è che Erdogan è un internazionalista, ma solo in termini islamici. Dal 2000 in poi è riuscito a creare un clima di negazione delle antiche motivazioni nazionaliste turche. Usa l’identità turca, ma, come sottolinea un analista, «questo non ha nulla a che fare con i turchi antichi. È un Ikhwan. Neanche a lui importa dei curdi, finché rimangono i suoi ‘islamisti buoni’». Un altro analista sottolinea che «nella Turchia moderna, l’essere ‘turco’ non è legato alla razza, perché la maggior parte dei turchi sono anatolici, una popolazione mista». Quindi, in breve, ciò che interessa ad Erdogan è Idlib, Aleppo, Damasco, La Mecca e non l’Asia sud-occidentale o l’Asia centrale. Vuole essere il “secondo Ataturk”.Eppure nessuno, tranne gli islamisti, lo vede in questo modo, e «talvolta lui mostra la sua rabbia proprio per questo motivo. Il suo unico obiettivo è quello di battere Ataturk e creare un opposto islamico di Ataturk». E la creazione di quell’anti-Ataturk passerebbe attraverso il neo-ottomanesimo. L’eccellente storico indipendente Can Erimtan, che avevo avuto il piacere di incontrare quando viveva ancora ad Istanbul (ora si è auto-esiliato), offre un ampio background eurasiatico dei sogni di Erdogan. Bene, Vladimir Putin ha appena dato un po’ di respiro al secondo Ataturk. Nessuno però scommette più sul fatto che questo nuovo cessate il fuoco non si trasformi in una pira funeraria.(Pepe Escobar, “Putin salva Erdogan da se stesso”, da “Asia Times” del 6 marzo 2020; articolo tradotto da Markus per “Come Don Chisciotte”).Giovedì scorso, all’inizio del colloquio-maratona di Mosca, il presidente russo Vladimir Putin si è rivolto al presidente turco Recep Tayyip Erdogan con quella che probabilmente è la più straordinaria mossa diplomatica di questo giovanissimo 21° secolo. Putin ha detto: «All’inizio del nostro incontro, vorrei esprimere ancora una volta le mie sincere condoglianze per la morte dei vostri militari in Siria. Sfortunatamente, come vi avevo già riferito durante la nostra telefonata, nessuno, comprese le truppe siriane, conosceva i loro spostamenti». È così che un vero leader mondiale dice – di persona, ad un leader regionale – di astenersi dal posizionare le sue forze a sostegno dello jihadismo, in incognito, nel bel mezzo di un esplosivo teatro di guerra. La discussione faccia a faccia fra Putin ed Erdogan, con solo gli interpreti presenti nella stanza, è durata tre ore, prima di un’altra ora con le rispettive delegazioni. Alla fine, tutto si è risolto con Putin che ha trovato un modo elegante di salvare la faccia ad Erdogan per mezzo di, avete indovinato, un ulteriore cessate il fuoco a Idlib (iniziato giovedì a mezzanotte) scritto e firmato in turco, russo ed inglese, “tutti i testi con la stessa validità giuridica”.
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Quel jet russo abbattuto per anticipare il golpe in Turchia
I cieli della Turchia, la notte di venerdì, erano affollati di caccia F-16. I jet si rincorrevano a bassa quota sopra Ankara ed Istanbul illuminandosi reciprocamente con i radar d’attacco, senza però arrivare mai ad aprire il fuoco. E tra i piloti che, nella notte di venerdì, a bordo dei jet F-16, inseguivano ad altissima velocità gli stessi caccia guidati dagli uomini rimasti fedeli al presidente Recep Tayyip Erdogan, c’erano anche i due piloti che il 24 novembre del 2015, al confine tra Siria e Turchia, abbatterono in volo il Su-24 Fencer russo, impegnato nelle operazioni anti-Isis nel nord della Siria, che per 17 secondi violò lo spazio aereo turco. Il quotidiano turco “Hurriyet”, infatti, riferisce che i due piloti coinvolti nell’abbattimento del cacciabombardiere russo, sono coinvolti anche nel golpe fallito contro il presidente Erdogan, e che sono stati posti in custodia cautelare per aver preso parte al tentativo di colpo di Stato.L’abbattimento del velivolo provocò la rottura delle relazioni tra Ankara e Mosca e generò una crisi diplomatica profonda che si è conclusa solo dopo circa otto mesi, nel giugno scorso, quando il Cremlino ha ricevuto le scuse formali per l’abbattimento del jet da parte del presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Fino a quel momento, infatti, Ankara aveva sempre rifiutato di assumersi le responsabilità dell’accaduto. Il fatto, però, che i due piloti che obbedirono all’ordine di abbattere il jet russo, figurino ora tra le file dei militari golpisti e oppositori di Erdogan, spinge a ripensare gli eventi del 24 novembre alla luce degli accadimenti dello scorso fine settimana. La spaccatura fra Erdogan ed una parte dei militari, del resto, non è cosa nuova, ma vecchia di almeno dieci anni, e il golpe fallito messo in atto nella giornata di venerdì viene considerato da molti analisti solo l’apice di un processo che va avanti da tempo.C’è quindi chi già pensa che forse, dietro l’abbattimento del caccia di Mosca, impegnato nelle operazioni contro lo Stato Islamico nel nord della Siria, potrebbe non esserci stato un ordine diretto di Erdogan, ma che forse l’iniziativa partì da quegli stessi generali dell’aviazione turca, che risultano, secondo le controverse informazioni a disposizione finora, essere stati alla base dell’organizzazione del tentativo colpo di Stato. «All’epoca dell’incidente fu l’allora premier Ahmet Davutoglu a prendersi la responsabilità di quello che successe e non Erdogan», spiega a “Gli Occhi della Guerra” Alexander Sotnichenko, professore di relazioni internazionali all’Università di San Pietroburgo ed esperto di relazioni russo-turche, «ora Erdogan sta cercando di dimostrare che non fu lui il colpevole di quella vicenda, ma i sostenitori di Gulen».In più, il tentativo di golpe, che avrebbe potuto essere messo in atto in diverse occasioni, ultima quella delle contestate elezioni del 2015, avviene proprio in un momento in cui le relazioni tra Ankara e Washington sono ai minimi storici e mentre è iniziato un percorso di normalizzazione delle relazioni con la Russa. Percorso che ha aperto anche un’ulteriore strada, quella che porta verso una composizione diplomatica della crisi siriana. Le prime tappe di questo percorso sono state la rimozione delle sanzioni, gli incontri al vertice tra i ministri degli esteri dei due paesi e la ripresa del dialogo in diversi settori. Un incontro tra Erdogan e Putin è previsto, inoltre, per la prima settimana di agosto, e secondo alcune indiscrezioni, il bilaterale tra i due leader, che si sarebbe dovuto tenere a settembre, al G20 di Guangzhou, in Cina, sarebbe stato anticipato proprio durante una telefonata tra i due, avvenuta a seguito degli eventi degli ultimi giorni, in cui Mosca si è detta preoccupata della instabilità nell’area, augurando ad Erdogan un «veloce ripristino di un robusto ordine costituzionale e della stabilità».Se le relazioni con la Russia sono tornate buone, quelle tra Washington e Ankara, invece, continuano a precipitare dopo il tentato golpe. La Turchia sta accusando gli Stati Uniti di proteggere l’imam Fethullah Gulen, considerato da Erdogan la mente del golpe fallito in Turchia. Ankara sta chiedendo l’estradizione del dissidente turco che da 15 anni risiede negli Stati Uniti, ma Washington non vuole concederla se non a fronte di prove legali e dell’apertura di un processo formale. Una figura, quella di Gulen, che divide anche gli stessi vertici statunitensi. All’interno dell’amministrazione Obama, svela infatti il “Wall Street Journal”, c’è chi lo considera un settantenne innocuo, e chi ammette che i “gulenisti” abbiano giocato negli ultimi anni, un ruolo di primo piano nel cercare di indebolire l’esecutivo dell’Akp. Proprio Gulen, intanto, da oltreoceano, esclude di avere a che fare con gli esecutori del colpo di Stato e, al contrario, accusa Erdogan di essersi organizzato il golpe da solo, per operare la tanto attesa svolta islamista ed autocratica, dichiarandosi, quindi, sicuro, che la richiesta di estradizione della Turchia agli Usa non andrà a buon fine. Richiesta che Ankara ha inviato nella giornata di martedì.Forse per questo motivo la Turchia continua ad accusare gli Stati Uniti di aver avuto un ruolo, anche se indiretto nel tentativo da parte dei militari di prendere il potere. Il comandante della base aerea di Incirlik, quella messa a disposizione dalla Turchia agli Stati Uniti per i raid contro lo Stato Islamico, il generale Bekir Ercan Van, ed altri dieci militari sono stati arrestati domenica per complicità nel colpo di Stato, e le autorità turche hanno eseguito delle perquisizioni nella base aerea nei pressi del confine siriano per raccogliere prove dell’utilizzo della base da parte dei militari golpisti. I caccia che si sono alzati in volo su Ankara e Istanbul, infatti, si sono riforniti grazie alle 10 cisterne di carburante presenti nel complesso concesso in uso agli americani, che guidano la coalizione internazionale anti-Isis. La Turchia, paese membro della Nato, ha lanciato così una provocazione neanche troppo velata agli alleati di oltreoceano. Provocazione che si era già concretizzata nell’accusa diretta del ministro del lavoro di Ankara, Suleyman Soylu, il quale aveva dichiarato lo scorso 16 luglio che “gli istigatori di questo colpo di stato sono gli Stati Uniti”. Accuse subito definite “false” e “dannose” dal Dipartimento di Stato.(Alessandra Benignetti, “Quel jet russo abbattuto per anticipare il golpe”, da “Il Giornale” del 19 luglio 2016).I cieli della Turchia, la notte di venerdì, erano affollati di caccia F-16. I jet si rincorrevano a bassa quota sopra Ankara ed Istanbul illuminandosi reciprocamente con i radar d’attacco, senza però arrivare mai ad aprire il fuoco. E tra i piloti che, nella notte di venerdì, a bordo dei jet F-16, inseguivano ad altissima velocità gli stessi caccia guidati dagli uomini rimasti fedeli al presidente Recep Tayyip Erdogan, c’erano anche i due piloti che il 24 novembre del 2015, al confine tra Siria e Turchia, abbatterono in volo il Su-24 Fencer russo, impegnato nelle operazioni anti-Isis nel nord della Siria, che per 17 secondi violò lo spazio aereo turco. Il quotidiano turco “Hurriyet”, infatti, riferisce che i due piloti coinvolti nell’abbattimento del cacciabombardiere russo, sono coinvolti anche nel golpe fallito contro il presidente Erdogan, e che sono stati posti in custodia cautelare per aver preso parte al tentativo di colpo di Stato.
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Migranti, patto col diavolo: l’Ue vende l’anima alla Turchia
L’accordo con la Turchia è la cosa più sordida a cui io abbia mai assistito nella moderna politica europea. Il giorno in cui i leader dell’Unione Europea hanno firmato l’accordo, Recep Tayyip Erdogan, il presidente turco, ha scoperto il proprio gioco: «La democrazia, la libertà e lo Stato di diritto… Per noi, queste parole non hanno assolutamente più alcun valore». A quel punto, il Consiglio Europeo avrebbe dovuto chiudere la conversazione con Ahmet Davutoglu, il primo ministro turco, e mandarlo a casa. E invece hanno fatto un accordo con lui – denaro e molto altro ancora, in cambio dell’aiuto nella crisi dei rifugiati. La Turchia si occuperà di ritrasferire circa 72.000 rifugiati arrivati nella Ue – uno swap uno-ad-uno per ogni clandestino che i turchi fanno salire sui barconi nel Mar Egeo. In cambio, l’Ue pagherà alla Turchia 6 miliardi di euro e aprirà un nuovo capitolo nei negoziati di adesione all’Ue – questo, con un paese la cui leadership ha appena abrogato la democrazia.L’Ue inoltre è pronta a consentire l’esenzione dal visto per 75 milioni di residenti in Turchia. L’Unione Europea non solo ha venduto la sua anima, quel giorno, ma in realtà ha anche concluso un affare piuttosto scadente. Io non sono in grado di giudicare se questo accordo è conforme alla Convenzione di Ginevra e al diritto internazionale. Presumo che il Consiglio Europeo abbia fatto in modo di poter sostenere un’azione in tribunale. Ma anche se può essere considerato legale, ho dei dubbi che possa essere attuato. Sarà interessante vedere se l’Ue si rimangerà le promesse fatte alla Turchia nel caso che Ankara non riuscisse a mantenere l’impegno. Anche se l’operazione fosse pienamente attuata, non alleggerirebbe la pressione di molto. Il numero atteso di rifugiati che si fanno strada verso l’Ue sarà molto superiore ai 72.000 concordati con la Turchia. Un think-tank tedesco ha fatto i conti sui flussi di profughi per quest’anno e ha messo a punto una stima che va da di 1,8 milioni a 6,4 milioni di persone. Quest’ultima cifra corrisponde allo scenario peggiore, che potrebbe includere un gran numero di immigrati dal Nord Africa.La chiusura della rotta dei Balcani occidentali per i rifugiati – dalla Grecia attraverso la Macedonia, Serbia, Croazia, Slovenia e poi in Austria e Germania – ha procurato un sollievo a breve termine per gli europei del nord, ma ci sono numerosi percorsi alternativi che i rifugiati possono prendere. Possono passare attraverso il Caucaso e l’Ucraina, o attraverso il Mediterraneo verso l’Italia e la Spagna. Se i paesi chiudono i loro confini, non riducono il flusso di profughi, ma semplicemente lo deviano. Si tratta di un classico esempio di una politica “beggar-thy-neighbor”. Questo dimostra che una politica dei rifugiati a livello Ue è inevitabile. Uno dei casi più eclatanti di azione unilaterale è la chiusura delle frontiere in Austria. Ora il paese sta ripristinando i controlli alla principale frontiera verso l’Italia – l’autostrada del Brennero. Questa è una delle rotte più trafficate tra Europa meridionale e settentrionale. Una volta che i rifugiati arrivano in Italia, ci si aspetta molto movimento ai confini settentrionali. A quel punto è probabile che Francia, Svizzera e Slovenia decidano di ripristinare i controlli.L’Italia potrebbe essere tagliata fuori dall’area Schengen per i movimenti senza passaporto, di cui ora fa parte, e Schengen diventerebbe un piccolo club di paesi del Nord Europa – forse un modello per il futuro dell’Eurozona. Questo sarebbe il primo passo verso la frammentazione della Ue. L’accordo con la Turchia avrà anche un impatto sul dibattito referendario nel Regno Unito. Il campo a favore di un’uscita dall’Unione Europea non avrebbe forse qualcosa da dire sull’esenzione dal visto per 75 milioni di turchi? Chiunque abbia a cuore la democrazia e i diritti umani odierà questo accordo. Come anche chiunque tema il dominio tedesco dell’Ue, avviato da Angela Merkel. Il cancelliere tedesco non ne aveva certo bisogno, per uscire dalla trappola in cui si era cacciata. E’ stata la sua decisione unilaterale di aprire le frontiere della Germania che ha trasformato una crisi dei rifugiati gestibile in un un disastro ingestibile. Non è facile trattare in modo puramente razionale l’ipotesi di un’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Ma ormai l’Ue ha perduto la sua superiorità morale, non dovremmo essere sorpresi se la gente comincia a mettere in discussione ciò che essa rappresenta, e che sia un’istituzione necessaria.(Wolfgang Münchau, “Firmando l’accordo con la Turchia, l’Ue si è venduta l’anima”, dal “Financial Times” del 20 marzo 2016, ripreso da “Voci dall’Estero”).L’accordo con la Turchia è la cosa più sordida a cui io abbia mai assistito nella moderna politica europea. Il giorno in cui i leader dell’Unione Europea hanno firmato l’accordo, Recep Tayyip Erdogan, il presidente turco, ha scoperto il proprio gioco: «La democrazia, la libertà e lo Stato di diritto… Per noi, queste parole non hanno assolutamente più alcun valore». A quel punto, il Consiglio Europeo avrebbe dovuto chiudere la conversazione con Ahmet Davutoglu, il primo ministro turco, e mandarlo a casa. E invece hanno fatto un accordo con lui – denaro e molto altro ancora, in cambio dell’aiuto nella crisi dei rifugiati. La Turchia si occuperà di ritrasferire circa 72.000 rifugiati arrivati nella Ue – uno swap uno-ad-uno per ogni clandestino che i turchi fanno salire sui barconi nel Mar Egeo. In cambio, l’Ue pagherà alla Turchia 6 miliardi di euro e aprirà un nuovo capitolo nei negoziati di adesione all’Ue – questo, con un paese la cui leadership ha appena abrogato la democrazia.
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Tutti in guerra, contro l’Isis (anzi, no: contro la Russia)
Fingono, ancora una volta, di contrastare l’Isis. Ma l’unico vero obiettivo da colpire è la Russia. Per questo, il gioco si sta facendo pericoloso. Ne è convinto Maurizio Blondet, secondo cui l’improvviso attivismo militare occidentale in Siria ha il solo scopo di proteggere “Daesh” e i suoi sponsor, cominciando dalla Turchia, e ostacolare l’offensiva di Mosca che ha costretto in ritirata le truppe del Califfo. Di fatto, stiamo andando «alla guerra a passi da gigante», ma si tratta di un «gigante demente», che dopo l’atto di pirateria di Ankara – l’abbattimento del Sukhoi russo – ha deciso di schierare batterie di Patriot al confine tra Turchia e Siria, «come voleva Erdogan (e non aveva finora ottenuto)». Peggio: la Nato vuole inglobare «il microscopico Montenegro (630 mila abitanti)» e lo coinvolge in esercitazioni militari in Ucraina col regime di Kiev, a cui ha già fornito armi letali. Dal canto loro, gli ucraini si offrono di “aiutare la Turchia” con invio di «mais, girasole e petrolio», mentre la Francia si eclissa dietro gli Usa e si prepara a schierarsi con Germania e Gran Bretagna, pronte a effettuare, in Siria, bombardamenti non concertati con Mosca (contro cui Bruxelles, intanto, decide di protrarre le sanzioni).«Cameron – scrive Blondet – ha ottenuto dal suo parlamento il via a “bombardare le basi Isis” in Siria e lo fa senza coordinarsi con i russi. In pratica, un atto di ostilità». E la Ue ha deciso («a porte chiuse, senza consultare i parlamenti per volontà di Angela Merkel»), di prolungare le sanzioni contro Mosca. «Che cosa precisamente la Ue rimproveri alla Russia, non si sa più». Una cosa è evidente: «E’ la Nato a determinare totalmente la politica estera della Ue», commenta “Deutsche Wirtschaft Nachrichten”. Berlino s’impegna per la prima volta a mandare i suoi Tornado a bombardare la Siria, «ormai chiaramente una operazione occidentale per ostacolare la vittoria russa contro l’Isis», anche se dei 93 Tornado che aveva in origine acquistato ne restano operativi solo 29, «aerei vecchi anche di 34 anni, considerati obsoleti». Dei 68 Eurofighter più moderni, continua Blondet, ne restano operativi appena 37. «Però anche Berlino ha annunciato che bombarderà “senza coordinarsi con la Russia”». Conclusione: «La miserabile debolezza con cui gli europei si prestano a queste dementi provocazioni anti-Putin è dimostrata dal fatto che da quando Mosca ha posizionato gli S-400 per contrastare gli aerei turchi, la francese Charles De Gaulle ha smesso di “bombardare l’Isis”».Sono trascorsi almeno otto o nove giorni senza incursioni sulla Siria: senza il permesso di Assad, lo stesso Hollande (che aveva promesso una “risposta spietata” dopo gli attentati di Parigi) non osa rischiare la sua unica portaerei, scrive Blondet. «Per giorni, anzi, la Charles De Gaulle è stata introvabile. Poi si è scoperto che aveva lasciato il Mediterraneo orientale per “rifugiarsi dietro i Patriots Usa in Turchia”». Così Erdogan, «a cui non par vero di trovare ogni giorno più membri della Nato coinvolti nella sua sporca guerra», ha subito consentito ai caccia francesi di andare a “bombardare l’Isis” (e cioè intralciare i russi) dalla base turca di Incirlik. «Insomma tutto l’Occidente, in perfetta malafede, è schierato a dar ragione ad Erdogan e a sostenere di fatto Daesh che cede sotto i colpi russi». Secondo Blondet, il numero delle provocazioni è ormai troppo elevato, per non vedere una volontà precisa. In più, «emerge che quando gli F-16 turchi abbatterono il Sukhoi, erano appoggiati da F-16 americani come deterrente per una rappresaglia russa». Se è vero, «significa che Obama non ha alcuno scrupolo a cominciare un conflitto diretto con Mosca», ha commentato Michael Jabara Carley, docente di politica internazionale alll’Università di Montreal.L’ultima provocazione, per il momento, è forse la più inquietante: «Due sommergibili turchi (Dolunay e Burakreis), scortati dall’incrociatore americano Uss Carney che porta missili balistici Aegis, stanno tallonando la nave da guerra Moskva, armata di missili S-300, al largo di Cipro, in acque internazionali». La cosa è allarmante, sostiene Blondet, perché può essere il preludio alla ritorsione più temuta da Mosca fin dai tempi degli Zar: che la Turchia chiuda alla navigazione russa il Bosforo e i Dardanelli. Il premier turco Davutoglu ha minacciato: «Anche la Russia ha da molto da perdere», da eventuali contro-sanzioni. Se Erdogan chiudesse gli stretti, violerebbe la convenzione internazionale di Montreux, sulla libertà di navigazione, che risale al 1936. In quale sede potrebbe protestare, Mosca? L’Onu? L’Europa? La chiusura degli Stretti renderebbe arduo l’impegno militare russo in Siria. Una trappola pericolosa, secondo Blondet: ricorda le sanzioni con cui Roosevelt lasciò il Giappone con riserve di petrolio per soli 8 mesi, spingendolo in guerra: «E fu l’attesa, auspicata, desideratissima Pearl Harbor».Fingono, ancora una volta, di contrastare l’Isis. Ma l’unico vero obiettivo da colpire è la Russia. Per questo, il gioco si sta facendo pericoloso. Ne è convinto Maurizio Blondet, secondo cui l’improvviso attivismo militare occidentale in Siria ha il solo scopo di proteggere “Daesh” e i suoi sponsor, cominciando dalla Turchia, e ostacolare l’offensiva di Mosca che ha costretto in ritirata le truppe del Califfo. Di fatto, stiamo andando «alla guerra a passi da gigante», ma si tratta di un «gigante demente», che dopo l’atto di pirateria di Ankara – l’abbattimento del Sukhoi russo – ha deciso di schierare batterie di Patriot al confine tra Turchia e Siria, «come voleva Erdogan (e non aveva finora ottenuto)». Peggio: la Nato vuole inglobare «il microscopico Montenegro (630 mila abitanti)» e lo coinvolge in esercitazioni militari in Ucraina col regime di Kiev, a cui ha già fornito armi letali. Dal canto loro, gli ucraini si offrono di “aiutare la Turchia” con invio di «mais, girasole e petrolio», mentre la Francia si eclissa dietro gli Usa e si prepara a schierarsi con Germania e Gran Bretagna, pronte a effettuare, in Siria, bombardamenti non concertati con Mosca (contro cui Bruxelles, intanto, decide di protrarre le sanzioni).