Archivio del Tag ‘classe dirigente’
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Magaldi: la truffa delle elezioni 2018, solito inciucio in arrivo
Tu chiamale, se vuoi, elezioni. Ma sapendo che il risultato, già scritto, si chiama inciucio. Con un risvolto ovviamente orrendo, per l’Italia. E cioè: ancora e sempre, sottomissione all’altrui potere. «Sono venticinque anni che il nostro paese non ha più un governo autorevole, e ci sono tutte le condizioni perché questa infelice tradizione prosegua, anche dopo le prossime politiche», sostiene Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt. «Quella che ci aspetta – dice, ai microfoni di “Colors Radio” – è solo l’ennesima truffa: precisamente, la truffa delle elezioni 2018, in cui i voti degli italiani serviranno solo a sorreggere l’ennesimo accordo basato sulle solite larghe intese, che naturalmente tutti fingono di voler evitare». Il Pd almeno porta a casa la legge sul biotestamento, «una delle pochissime buone cose fatte, insieme alle unioni civili». Renzi mostra di voler tirar dritto, ma sa già che dovrà vedersela con l’uomo di Arcore: «Fateci caso: appena Berlusconi ha rimesso fuori il naso, con il risultato delle regionali in Sicilia, si è immediatamente risvegliata una certa magistratura a orologeria. Sicché il Cavaliere si è visto costretto a elogiare la Merkel, aprendo addirittura alla possibilità di un Gentiloni-bis. Come dire: lasciatemi in pace, farò il bravo. Mi guarderò bene dal disturbare il vero potere che condiziona la penisola».Sondaggi alla mano, Renzi e Forza Italia saranno costretti a convivere, nonostante i mal di pancia di Salvini, che comunque ha prontamente ammaninato la bandiera anti-euro. «Le cosiddette destre estreme europee, come quella austriaca? Sono perfette per perpetuare in eterno il potere dell’oligarchia neo-aristocratica», osserva Magaldi. Lampante il caso francese di Marine Le Pen: «Il Front National è l’avversario che chiunque vorrebbe avere», specie se l’antagonista si chiama Emmanuel Macron. Lo strano feeling tra Palazzo Chigi e l’Eliseo? Assurdo: «In che cosa Macron potrebbe rappresentare una novità, rispetto al dominio eurocratico fondato sul rigore? E’ stato ministro di Valls, nominato da Hollande. Il che è tutto dire». Senza contare gli eminenti “padrini” del presidente francese, già banchiere del gruppo Rothschild, sostenuto dal supermassone oligarchico Jacques Attali, secondo Paolo Barnard maestro” di Massimo D’Alema. Come sperare che sia Macron a rompere il muro dell’austerity a guida tedesca? Significa solo prendere per il naso gli italiani, come sembrano aver tutta l’aria di fare gli ex Pd del cartello “Liberi e Uguali”, formazione che esibisce la foglia di fico istituzionale dell’incolore Pietro Grasso.«Da quelle parti circolano slogan che mirano a marcare le distanze dal Pd, ma dietro alle parole non c’è sostanza: piuttosto – dichiara Magaldi – lo spettacolo è quello, verminoso, della corsa alle poltrone, tramite candidature in seggi sicuri». Nulla che, in ogni caso, possa anche solo lontanamente impensierire i poteri forti che stanno piegando l’Italia. E nella “truffa” delle elezioni di primavera, Magaldi inserisce anche il Movimento 5 Stelle: al di là delle vaghe esternazioni di Di Maio su eventuali possibilità di collaborazione post-voto, i grillini sono intenzionati a restare nel loro sostanziale isolamento, non più così splendido dopo la pessima prova di Roma. Di fatto: sul tappeto, non c’è nessuna opzione per cambiare lo scenario, che vede l’Italia subire i diktat di potentati europei finanziari e industriali, che utilizzano la Merkel, Draghi e lo Juncker di turno. Terminali italiani della filiera? Per esempio il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan, che Magaldi considera organico ai circuiti più reazionari dell’oligarchia supermassonica delle Ur-Lodges, gli stessi in cui – sempre secondo Magaldi – militano Mario Monti, Giorgio Napolitano e Massimo D’Alema.Sono peraltro in buona compagnia, per così dire: nel saggio “Massoni”, che mette a fuoco il “back office” del vero potere, Magaldi cita personaggi come Gianfelice Rocca (Techint e Assolombarda), Giuseppe Recchi (costruzioni) nonché il banchiere Tommaso Cucchiani, insieme ad Alfredo Ambrosetti, Carlo Secchi, Emma Marcegaglia, Matteo Arpe. Sempre all’ambiente neo-aristocratico delle superlogge sovranazionali, per Magaldi, sono associati l’ex ministro Domenico Siniscalco e Corrado Passera, Marta Dassù e l’attuale governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, insieme a ex ministri come Vittorio Grilli (governo Monti), Fabrizio Saccomanni (governo Letta) e Federica Guidi (governo Renzi). Loro sì, un’agenda ce l’hanno: è quella imposta all’Italia dall’Europa del rigore. Meno diritti e più tasse, meno lavoro e salari più bassi. E ancora: tagli al welfare e alle pensioni, disoccupazione e impieghi precari. «Non dico che un imprenditore non possa licenziare un dipendente, ma dev’essere la Costituzione a garantire che il lavoratore licenziato possa rapidamente trovare un altro lavoro», dice Magaldi, che ha impegnato il Movimento Roosevelt in un vasto studio per migliorare la Costituzione italiana, nello spirito (largamente inattuato) dei padri costituenti.Socialismo liberale: proprio a un gigante del pensiero progressista europeo, il leader svedese Olof Palme, Magadi e i suoi dedicheranno all’inizio del 2018 un importante convegno a Milano: un’occasione per misurare, davvero, l’abisso che ci separa dall’Europa che sarebbe potuta nascere e svilupparsi, con al timone uomini come Palme, che impiegarono appieno la sovranità dello Stato per ottenere benessere diffuso e garanzie sociali per tutti. Nino Galloni, prestigioso economista post-keynesiano e vicepresidente del Movimento Roosevelt, sostiene che una “moneta di Stato”, fiduciaria, potrebbe benissimo aggirare il Trattato di Maastricht e risollevare di colpo l’economia italiana, attraverso la creazione di milioni di posti di lavoro. Cosa manca? La volontà politica, in primis. Manca una visione organica, una classe dirigente capace e non più subalterna, al servizio di poteri esterni. Le elezioni prossime venture? Una farsa: nessuna vera scelta, sul piatto. Solo variazioni sul tema, che non cambia: vietato alzare la voce con i boss dell’Unione Europea. Le forze in lizza? Fingeranno di combattersi, per poi attovagliarsi allo stesso tavolo. «Per questo, comunque vadano – conclude Magaldi – le elezioni della primavera 2018 saranno una vera e propria truffa».Tu chiamale, se vuoi, elezioni. Ma sapendo che il risultato, già scritto, si chiama inciucio. Con un risvolto ovviamente orrendo, per l’Italia. E cioè: ancora e sempre, sottomissione all’altrui potere. «Sono venticinque anni che il nostro paese non ha più un governo autorevole, e ci sono tutte le condizioni perché questa infelice tradizione prosegua, anche dopo le prossime politiche», sostiene Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt. «Quella che ci aspetta – dice, ai microfoni di “Colors Radio” – è solo l’ennesima truffa: precisamente, la truffa delle elezioni 2018, in cui i voti degli italiani serviranno solo a sorreggere l’ennesimo accordo basato sulle solite larghe intese, che naturalmente tutti fingono di voler evitare». Il Pd almeno porta a casa la legge sul biotestamento, «una delle pochissime buone cose fatte, insieme alle unioni civili». Renzi mostra di voler tirar dritto, ma sa già che dovrà vedersela con l’uomo di Arcore: «Fateci caso: appena Berlusconi ha rimesso fuori il naso, con il risultato delle regionali in Sicilia, si è immediatamente risvegliata una certa magistratura a orologeria. Sicché il Cavaliere si è visto costretto a elogiare la Merkel, aprendo addirittura alla possibilità di un Gentiloni-bis. Come dire: lasciatemi in pace, farò il bravo. Mi guarderò bene dal disturbare il vero potere che condiziona la penisola».
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Ingroia: l’astensionismo è un progetto politico del potere
Emergenza Italia: urge un programma di salvezza nazionale. Era il 2011 quando Paolo Barnard pubblicava, inascoltato, il suo esplosivo saggio-denuncia “Il più grande crimine”, scritto l’anno precedente il drammatico commissariamento dell’Italia da parte di Monti e Napolitano, su input dei poteri oligarchici incarnati dalla Bce di Jean-Claude Trichet e Mario Draghi. Una predicazione nel deserto, quella di Barnard, inutilmente contattato da personaggi come Tremonti, da gruppi come Fratelli d’Italia, dagli stessi grillini – che Barnard mise in relazione diretta con Warren Mosler, traduttore della “Modern Money Theory” e autore di un piano salva-Italia da due milioni di posti di lavoro. Di mezzo, dopo Monti, ci sono stati Letta e Renzi. Il menù? Sempre lo stesso: rigore, imposto da Bruxelles. Oggi il timone (si fa per dire) è nelle mani di Gentiloni, che vanta come un successo lo slittamento del Fiscal Compact al 2019, mentre i 5 Stelle hanno definitivamente rinunciato a qualsiasi rivendicazione sovranista esattamente come la Lega, condizionata dall’alleanza elettorale col Cavaliere. Addirittura surreale la discesa in campo di Grasso, cioè Bersani (che votò l’obbligo del pareggio di bilancio in Costituzione) e D’Alema, recordman delle privatizzazioni quand’era a Palazzo Chigi. Alternative, sulla carta? Una, in teoria: la “Lista del Popolo” capitanata da Antonio Ingroia e Giulietto Chiesa. Parole d’ordine: quelle lanciate da Barnard sette anni fa.Nei toni dell’assemblea costitutiva della lista, svoltasi a Roma il 16 dicembre, si coglie ormai la piena consapevolezza della catastrofe incombente: «Non è affatto escluso il rischio, per l’Italia, di essere commissariata in modo anche formale, esattamente come la Grecia». C’è un Rubicone da varcare: «Adesso o mai più, perché domani sarebbe tardi», sostiene Ingroia, spronando i volontari verso quella che appare una missione quasi impossibile: raccogliere da subito migliaia di firme, in pochissimi giorni, sperando di riuscire a presentare effettivamente la lista in tempo per le politiche del 4 marzo. Alla guida di “Rivoluzione Civile”, nel 2013 Ingroia fallì l’obiettivo: raccolse solo il 2% dei suffragi, restando al di sotto della soglia di sbarramento. Stavolta è diverso, sostiene: la crisi morde, la situazione italiana è peggiorata in modo drammatico. Per questo, dice l’ex magistrato, sarà più facile trovare interlocutori. Lo stesso Ingroia è pervenuto a conclusioni ben diverse da quelle di quattro anni fa: oggi infatti dichiara che, senza sovranità monetaria e sotto il peso perdurante dei trattati europei, nessun partito potrebbe mantenere quello che promette. Lui cosa annuncia? L’abolizione della legge Fornero, la rimozione del pareggio di bilancio della Costituzione, la cancellazione del Jobs Act. Smarcarsi dalla Nato, ma soprattutto da Bruxelles: rinegoziare i trattati-capestro, o addio Unione Europea.Prodi e D’Alema? «Sono proprio loro ad aver sottoscritto il Trattato di Lisbona», dice Ingroia: sono i veri responsabili del disastro, nascosti dietro un’etichetta “di sinistra” che, tagliando i viveri allo Stato, espone l’Italia al massacro sociale, alla fine del welfare e dei diritti del lavoro, alla carneficina delle privatizzazioni selvagge. «Siamo un paese impaurito, preda della paura, e questo nostro progetto politico è soprattutto un atto di coraggio», dichiara Ingroia, citando Paolo Borsellino: «Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola». Insiste Ingroia: «Ci vogliono audacia e coraggio per affrontare un’impresa che, non possiamo nascondercelo, è molto difficile». Primo step: riuscire davvero a presentare le liste. Poi: superare lo sbarramento del 3%. «Non ce la faranno mai», è la profezia televisiva di Maurizio Crozza. Ovviamente Ingroia non è dello stesso avviso: «Puntiamo a crescere fino al 60%, rispondendo alla maggioranza degli italiani che ormai ha smesso di votare. L’astensionismo? Fa comodo al potere: meno saremo, e più sarà facile controllarci». Il nemico? «Un sistema politico-finanziario corrotto e mafioso». I partiti? Nessuno affronta il toro per le corna. E in più «hanno tutti paura di noi», dice Ingroia, convinto che il mainstream politico stia sottovalutando la sua “Mossa del Cavallo”.«Vogliono ricacciarci nell’astensionismo – insiste l’ex magistrato – perché è perfettamente funzionale all’élite internazionale, che intende continuare a utilizzare, per i suoi scopi, la piccola élite rappresentata dalla classe dirigente nazionale», che a sua volta agisce «attraverso un’élite di elettori-militanti schierati, quindi controllabili». Aggiunge: «Il crescere dell’astensionismo è un progetto politico, che mira a ridurre il numero dei votanti: meno sono, e meglio sono controllabili». Ingroia spera di «trasformare la disperazione in rivoluzione, la rabbia in progetto». Il mitico 60%? «Un sogno, ovviamente, che però – non domani – potrebbe anche trasformarsi in realtà, a patto di riuscire a infondere fiducia in questa Italia spaventata». A proposito di coraggio, Ingroia cita il massone Martin Luther King, riprendendo la frase che lo stesso eroe americano dei diritti civili prese da un altro massone progressista, lo scrittore tedesco Johann Wolfgang Goethe: «Un giorno la paura bussò alla porta, il coraggio andò ad aprire e non trovò nessuno». Con le parole di un terzo massone, il rosacrociano Gandhi, Ingroia formula il suo auspicio: «Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono, poi vinci».Emergenza Italia: urge un programma di salvezza nazionale. Era il 2011 quando Paolo Barnard pubblicava, inascoltato, il suo esplosivo saggio-denuncia “Il più grande crimine”, scritto l’anno precedente il drammatico commissariamento dell’Italia da parte di Monti e Napolitano, su input dei poteri oligarchici incarnati dalla Bce di Jean-Claude Trichet e Mario Draghi. Una predicazione nel deserto, quella di Barnard, inutilmente contattato da personaggi come Tremonti, da gruppi come Fratelli d’Italia, dagli stessi grillini – che Barnard mise in relazione diretta con Warren Mosler, traduttore della “Modern Money Theory” e autore di un piano salva-Italia da due milioni di posti di lavoro. Di mezzo, dopo Monti, ci sono stati Letta e Renzi. Il menù? Sempre lo stesso: rigore, imposto da Bruxelles. Oggi il timone (si fa per dire) è nelle mani di Gentiloni, che vanta come un successo lo slittamento del Fiscal Compact al 2019, mentre i 5 Stelle hanno definitivamente rinunciato a qualsiasi rivendicazione sovranista esattamente come la Lega, condizionata dall’alleanza elettorale col Cavaliere. Addirittura surreale la discesa in campo di Grasso, cioè Bersani (che votò l’obbligo del pareggio di bilancio in Costituzione) e D’Alema, recordman delle privatizzazioni quand’era a Palazzo Chigi. Alternative, sulla carta? Una, in teoria: la “Lista del Popolo” capitanata da Antonio Ingroia e Giulietto Chiesa. Parole d’ordine: quelle lanciate da Barnard sette anni fa.
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Sionismo, cent’anni di guerra: dopo la Siria, tocca all’Iran
Un secolo di guerra, in Medio Oriente, grazie al sionismo: lo scorso 2 novembre ricorrevano i cento anni dalla Dichiarazione Balfour, evento che ha marcato indelebilmente la storia contemporanea della regione mediorientale. Con quell’atto politico-diplomatico,ricorda Gaetano Colonna, il governo inglese – sotto la pressione del movimento sionista, collegatosi ai vertici del potere britannico e statunitense nel corso della Prima Guerra Mondiale – aprì la strada alla nascita dello Stato ebraico, poi nato nel 1948. «Molti eventi epocali hanno segnato la drammatica storia di quest’area del mondo, che da allora non ha più conosciuto la pace», rileva Colonna su “Clarissa”: prima il crollo dell’Impero Ottomano e la spartizione fra le potenze occidentali dei territori arabi, poi il controllo della produzione e delle riserve di petrolio, «anch’esso divenuto fattore strategico durante la Grande Guerra dopo che la flotta inglese convertì i suoi propulsori navali a questo carburante». Dalla sua formazione, lo Stato di Israele ha condotto ripetute guerre che «gli hanno consentito di raggiungere un livello di potenza militare e di influenza politica planetaria», passando per «l’annientamento del nazionalismo arabo», di cui il regime sirano di Bashar Assad – oggetto di un violentissimo processo di destabilizzazione – è l’ultimo epigono.In parallelo, il terremoto regionale innescato da sionismo ha provocato la diffusione dell’integralismo islamico, «prima foraggiato dall’Occidente durante la Guerra Fredda, sia in funzione anti-comunista che anti-nazionalista, poi presentato quale nemico mortale e divenuto strumento di una nuova “strategia della tensione” internazionale». Nel frattempo è cresciuta la contrapposizione fra l’Islam sciita guidato dall’Iran, protagonista della rivoluzione khomeinista del 1979, e l’Islam integralista dei wahabbiti in Arabia Saudita, «inattacabile pilastro del sistema di controllo occidentale delle risorse petrolifere fin dal 1943, con l’accordo fra Roosevelt ed il re predone Ibn Saud». Negli ultimi mesi, aggiunge Colonna, «in questo teatro geopolitico fondamentale per gli equilibri di potenza internazionali e dunque per la pace mondiale», abbiamo assistito a ulteriori, pericolosi sviluppi: appare sempre più credibile «la probabilità di un conflitto, rivolto a dare un assetto definitivo a quest’area totalmente destabilizzata dai diretti interventi occidentali in Iraq e in Afghanistan fra il 1991 ed il 2003».Il rapido dissolversi delle aspettative suscitate mediaticamente dalla cosiddetta “primavera araba”, inoltre, «ha mostrato quanto essa fosse in realtà semplicemente rivolta a demolire gli ultimi due regimi del Medio Oriente allargato, Gheddafi in Libia e gli Assad in Siria, sopravvissuti alla neutralizzazione delle classi dirigenti arabe, laiche e nazionaliste, ispirate negli anni Sessanta da un socialismo di tipo populista e anticomunista». L’aprirsi dello spaventoso conflitto siriano, che secondo i calcoli sauditi e occidentali avrebbe dovuto risolversi in pochi mesi, «ha avuto un effetto complessivamente devastante, poiché ha completato il processo di disgregazione delle entità statali dell’intero Medio Oriente, lungo una fascia che oggi corre dal Kurdistan fino al Mare Mediterraneo, dall’Iran al Libano – realizzando per la prima volta in un secolo l’unificazione su di un’unica linea di frattura di una molteplicità di conflitti via via accumulatisi: quello curdo-turco, quello sunnita-shiita, quello israelo-libanese-iraniano». Tutto questo, osserva Colonna, è avvenuto mentre gli Stati Uniti «andavano progressivamente focalizzando il proprio sistema di potenza sull’Oceano Pacifico, come nuovo baricentro degli interessi mondiali nordamericani», spinti su questa rotta «dal crescere della potenza cinese e dal pericolo del costituirsi di un asse indo-russo-cinese in grado di controllare lo Hearthland mondiale – costante preoccupazione di lungo periodo di ogni stratega americano».La sostanziale incapacità degli Usa di costruire una pace in Medio Oriente ha fatto sì che le amministrazioni statunitensi «accolgano oggi le indicazioni strategiche di quella classe dirigente mista americano-israeliana che disegna la politica mediorientale nordamericana». Una classe dirigente che dalla fine degli anni ‘80 «suggeriva non disinteressatamente di delegare allo Stato di Israele la tutela degli interessi dell’America in Medio Oriente», cosa che oggi avviene pienamente. Classe dirigente «bene impersonata da Jared Kushner, autorevole genero del presidente Trump, membro di influenti istituzioni del sionismo statunitense, che ha di fatto delegato a lui la gestione dei rapporti con Israele e con gli alleati arabi mediorientali». Al giovane Kushner, o meglio «a quell’ambiente culturale nordamericano che attribuisce un valore ideologico determinante allo Stato ebraico», secondo Colonna si ascrive oggi il riconoscimento che gli Stati Uniti hanno fatto di Gerusalemme come capitale di Israele, secondo le aspettative sioniste. «Un evento che, a cento anni dalla dichiarazione Balfour, assume un significato sintomatico del livello a cui questo storico movimento è oggi giunto nell’Occidente anglosassone e nel mondo».Colonna ipotizza che questa storica decisione giunga proprio quando si è ormai certi di aver predisposto il quadro politico e militare necessario e sufficiente a sostenerne fino in fondo tutti i possibili contraccolpi. «Sintomo non banale di questo deciso atteggiamento, che ha quasi il sapore di una sfida alla comunità internazionale, è stata l’inaugurazione lo scorso settembre della prima base Usa con personale americano ufficialmente stabilita nello Stato di Israele, all’interno della Mashabim Air Base israeliana, nel deserto del Negev: e dunque in tutto e per tutto vincolata alla catena di comando e al controllo dello Stato ebraico». Il coinvolgimento nel conflitto siriano della Russia di Putin, «dimostratasi assai più efficiente sul piano militare di quanto non siano apparsi gli Stati Uniti e la Nato», in questa luce conferma l’investimento su Israele come «garanzia della stabilizzazione del conflitto», anche da parte di Mosca: «Nessuno dei velivoli israeliani che, violando lo spazio aereo libanese, hanno ripetutamente colpito la Siria, compresa la capitale Damasco, è stato mai oggetto di alcuna azione né difensiva né controffensiva, nonostante la completa copertura di quest’area da parte della efficiente sorveglianza elettronica russa».Il recente attacco israeliano in Siria contro un’installazione militare a quanto pare dell’Iran, colpita il 2 dicembre, «appare indicativo di quanto la creazione di quella faglia conflittuale che parte dal Mediterraneo per giungere all’Iran possa dimostrasi pericolosa sul piano bellico», avverte Colonna. Al presidente francese Macron, il premier israeliano Netanyahu ha spiegato, senza mezzi termini, che «dopo la vittoria sullo Stato Islamico, la situazione è mutata perché forze filo-iraniane hanno assunto il controllo della situazione». D’ora in avanti, ha aggiunto, «Israele considera le attività dell’Iran in Siria come obiettivi militari per cui non esiteremo ad agire se la nostra sicurezza lo richiederà». In questo contesto «si deve anche inquadrare l’impressionante accelerazione della situazione in Arabia Saudita, che è il secondo partner degli Stati Uniti per importanza strategica nella regione: un partner al quale da sempre sono stati delegate molte delle operazioni più delicate, in cui il fattore islamico è stato utilizzato spregiudicatamente dall’Occidente a sostegno della propria politica di potenza – dall’utilizzo anti-terzaforzista negli anni della Guerra Fredda, dalla formazione dei Talebani in Afghanistan per dare un colpo decisivo all’Urss, al ruolo di piattaforma di lancio delle offensive occidentali contro l’Iraq, alla destabilizzazione della Siria, fors’anche all’esecuzione degli attacchi alle Twin Towers del 2001».Proprio in questi ultimi mesi, coincidenti con la preparazione dell’evento storico del riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele, l’Arabia Saudita (o meglio, una nuova leva di oligarchi sauditi, cresciuti nel clima di integrazione politica e finanziaria con i centri del capitalismo anglosassone) ha dato vita a una potente spinta modificatrice degli assetti sauditi: dall’intensificazione del conflitto nello Yemen, all’ostracismo contro il Qatar, vuoi per il suo aperturismo all’Iran ma soprattutto per il ruolo di competitor del rapporto privilegiato con l’Occidente, fino all’incredibile vicenda della “cattura” del premier libanese Hariri, rimasto alcuni giorni in ostaggio del governo saudita, fino a quando Macron non ha dato garanzie sulla volontà di estromettere l’Iran dal Libano e forse anche di più, l’impegno a contrastare l’ormai troppo potente Hezbollah in Libano. Una vicenda «accolta nella più totale indifferenza da parte europea, nonostante fosse ben chiaro il peso della posta in gioco per la nostra sicurezza – oltre che per quel poco che resta del diritto internazionale».Tutto sembra pronto, secondo Colonna, per «ridisegnare il Medio Oriente secondo le linee strategiche affermate negli ultimi cento anni dal movimento sionista, fattosi potenza internazionale con lo Stato di Israele». O queste mosse saranno accolte supinamente, «con il beneplacito della Russia di Putin, la rabbiosa accettazione dell’Iran e la definitiva disgregazione del Libano», oppure «avremo un nuovo conflitto, che potrebbe essere a bassa intensità, ma potrebbe anche suscitare imprevedibili effetti a catena». Per Colonna, l’Europa porta una gravissima responsabilità: non ha saputo distinguere la propria posizione da quella anglosassone, ha mantenuto la Nato come proprio strumento militare «ben sapendo che esso non ha mai operato a favore dell’unità del nostro continente», e in più ha «incoraggiato la penetrazione militare e tecnologica israeliana nei centri nevralgici della sicurezza europea». Un discorso a parte meriterebbe poi la situazione italiana, «nella cui storia gli ultimi decenni hanno dimostrato, insieme ad una progressiva rinuncia ai nostri interessi strategici essenziali, un acritico accoglimento di tutti i desiderata israeliani». Attenzione: «Le ragioni di questo completo allineameno italiano, e della sua rilevanza per la stessa politica interna del nostro paese, è una storia ancora tutta da scrivere».Un secolo di guerra, in Medio Oriente, grazie al sionismo: lo scorso 2 novembre ricorrevano i cento anni dalla Dichiarazione Balfour, evento che ha marcato indelebilmente la storia contemporanea della regione mediorientale. Con quell’atto politico-diplomatico,ricorda Gaetano Colonna, il governo inglese – sotto la pressione del movimento sionista, collegatosi ai vertici del potere britannico e statunitense nel corso della Prima Guerra Mondiale – aprì la strada alla nascita dello Stato ebraico, poi nato nel 1948. «Molti eventi epocali hanno segnato la drammatica storia di quest’area del mondo, che da allora non ha più conosciuto la pace», rileva Colonna su “Clarissa”: prima il crollo dell’Impero Ottomano e la spartizione fra le potenze occidentali dei territori arabi, poi il controllo della produzione e delle riserve di petrolio, «anch’esso divenuto fattore strategico durante la Grande Guerra dopo che la flotta inglese convertì i suoi propulsori navali a questo carburante». Dalla sua formazione, lo Stato di Israele ha condotto ripetute guerre che «gli hanno consentito di raggiungere un livello di potenza militare e di influenza politica planetaria», passando per «l’annientamento del nazionalismo arabo», di cui il regime siriano di Bashar Assad – oggetto di un violentissimo processo di destabilizzazione – è l’ultimo epigono.
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Giannuli: l’Italia è morta, in campo solo mediocri e cialtroni
Cosa sta succedendo sul palcoscenico della politica italiana? Niente. Per carità, non manca il trambusto e anzi ce n’è troppo: frenetici cambi di casacca, nuovi-vecchi partiti che si riciclano, promesse elettorali a spam, colpi di scena e frettolosi abbandoni della barca che affonda, ma nulla che abbia un senso o qualche valore politico. Come in teatro, nell’intervallo fra uno spettacolo e l’altro, quando il palcoscenico è invaso da inservienti velocissimi che spazzano, lavano, rimettono a posto i mobili, cambiamo i fondali, ma non c’è nessuna rappresentazione. I cambi di giacca e le sigle dei riciclati: un semplice cambio di costume con i soliti scadenti attori. I programmi elettorali? Sparate elettorali senza senso, di cui nessuno si ricorderà un minuto dopo i risultati. I colpi di scena? Semplici spot elettorali. Forse la cosa più significativa (se non altro la più divertente) è la gara a chi salta fuori prima dalla barca renziana che ormai affonda inesorabilmente: Lapo Elkann definisce Renzi non un Macron ma un micron, persino il maggior azionista del Pd, De Benedetti, dice che voterà scheda bianca perché Renzi non gli piace. Forse l’unica cosa che ha qualche senso (ma siamo solo agli inizi) è quello che sta succedendo in Commissione scandali bancari.Quello che colpisce più di tutto è l’assoluta estraneità di tutto questo ai problemi del paese a cominciare dal suo veloce declino di immagine a livello internazionale (esclusione dai mondiali, partita persa per l’Ema e per l’infelice candidatura di Padoan, l’esclusione di fatto dal direttorio europeo, l’assenza sulla scena internazionale della nostra diplomazia). C’è chi propone un ministero per gli anziani, magari una cosa solo di facciata, ma si dimentica la situazione catastrofica dei giovani. Lo dico appartenendo alla categoria di quelli cui dovrebbero pensare il costituendo ministero berlusconiano: per noi il problema è avere una vecchiaia dignitosa e possibilmente serena, ma quello che dovevamo fare l’abbiamo fatto, mentre i giovani hanno davanti tutta una vita per la quale si prospettano scenari da brivido. Per non parlare delle tante cose ormai solite: occupazione, sanità, istruzione, messa in sicurezza antisismica, ricostruzione, degrado delle città eccetera, di cui non vale neppure più la pena parlarne. Il problema dei problemi è che questo paese non ha più una classe dirigente, al cui posto ha una compagnia di scadentissimi guitti.Avremmo bisogno di sostituire immediatamente questa corte di cialtroni con una vera classe dirigente (e non solo in politica, ma anche nelle banche, nell’università, nei giornali, delle aziende), ma il guaio è che una classe dirigente non si improvvisa in qualche mese o anno. Quando per 25 anni hai trascurato di formare il personale politico di una nazione (e tutto il resto) poi non si può pretendere di tirare fuori il coniglio dal cilindro. In primo luogo è definitivamente battuta l’idea di estrarre una classe dirigente politica dalla mitica società civile: tutta la Seconda Repubblica è vissuta di questo mito, attingendo generosamente dai ranghi dell’imprenditoria, della magistratura, dell’università, della medicina, della finanza, e questo è il brillante risultato. E questo è accaduto per due buone ragioni: prima di tutto perché la politica è uno specialismo a sé, che può e deve attingere competenze dalla società civile, ma che non può essere sostituito da altre competenze, insomma un buon chirurgo molto probabilmente non sarà affatto un buon ministro della sanità, come i tanti avvocati che si sono succeduti al ministero di grazia e giustizia si sono dimostrati pessimi ministri.In secondo luogo perché, mettiamocelo in testa, il pesce puzza dalla testa, ma in breve va a male tutto: se la politica è corrotta e incompetente, in breve anche tutti gli altri ruoli dirigenti lo saranno (ammesso che non lo siano già da prima), e quindi è una illusione quella di sostituire la classe politica attingendo alla mitica società civile. E questo valga per dissipare quell’altra imbecillità per la quale “basta essere onesti” per dirigere lo Stato (qui, tanto per dissipare ogni dubbio, sto parlando dei miei amici 5 Stelle che, dopo tanta retorica sul cittadino comune, poi parlano di “tecnici” per un governo a 5 Stelle): no, non basta essere onesti, occorre anche capirci qualcosa dei quello che si amministra. Occorre mettere mano ad un’opera di ricostruzione culturale del paese, formare una classe dirigente vera e, nel frattempo, cercare di limitare i danni scegliendo il meno peggio.(Aldo Giannuli, “La politica italiana? Ras, rien à signaler”, dal blog di Giannuli del 29 novembre 2017).Cosa sta succedendo sul palcoscenico della politica italiana? Niente. Per carità, non manca il trambusto e anzi ce n’è troppo: frenetici cambi di casacca, nuovi-vecchi partiti che si riciclano, promesse elettorali a spam, colpi di scena e frettolosi abbandoni della barca che affonda, ma nulla che abbia un senso o qualche valore politico. Come in teatro, nell’intervallo fra uno spettacolo e l’altro, quando il palcoscenico è invaso da inservienti velocissimi che spazzano, lavano, rimettono a posto i mobili, cambiamo i fondali, ma non c’è nessuna rappresentazione. I cambi di giacca e le sigle dei riciclati: un semplice cambio di costume con i soliti scadenti attori. I programmi elettorali? Sparate elettorali senza senso, di cui nessuno si ricorderà un minuto dopo i risultati. I colpi di scena? Semplici spot elettorali. Forse la cosa più significativa (se non altro la più divertente) è la gara a chi salta fuori prima dalla barca renziana che ormai affonda inesorabilmente: Lapo Elkann definisce Renzi non un Macron ma un micron, persino il maggior azionista del Pd, De Benedetti, dice che voterà scheda bianca perché Renzi non gli piace. Forse l’unica cosa che ha qualche senso (ma siamo solo agli inizi) è quello che sta succedendo in Commissione scandali bancari.
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Magaldi: l’Italia è salva, grazie a Grasso e ai D’Alema-boys
Sicché sarebbe Pietro Grasso, detto Piero, il formidabile anti-Renzi? O meglio l’anti-Renzusconi, l’eroe carismatico che si opporrà all’ennesimo inciucio che ci attende? Ma mi faccia il piacere, direbbe Totò. Abbiate fede: prima o poi gli italiani avranno finalmente un Parlamento degno – non ancora nella primavera 2018, però. Parola di Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt e promotore del Pdp, Partito Democratico Progressista, che ancora aspetta di nascere su base popolare, mediante assemblea costituente con libera adesione. Obiettivo: fare piazza pulita dei personaggi che hanno condannato il paese al declino, e che – lungi dal farsi da parte – animano l’imbarazzante farsa dell’ennesima campagna elettorale inutile. Nessuno dei tre poli osa raccontare la nuda verità, l’inaccettabile sottomissione ai poteri forti europei che hanno costretto il sistema-Italia a fare harakiri. Renzi e Berlusconi, in attesa di sedersi allo stesso tavolo, fanno a gara a chi le spara più grosse, in termini di promesse elettorali palesemente impossibili da mantenere, sotto il regime di euro-austerity. Mentre il grillino Di Maio – altrettanto lontano dalla realtà – fa il turista a Washington, evitando accuratamente la sponda progressista. E a Roma intanto chi spunta? Pietro Grasso, il nuovo campione degli indimenticabili Bersani e D’Alema, notoriamente amatissimi dagli italiani.«C’è da ridere per non piangere, se il rinnovamento deve partire da Grasso», dice Gioele Magaldi a David Gramiccioli di “Colors Radio” all’indomani della convention romana dei fuoriusciti dal Pd renziano, alleati degli ex-Sel e di gruppi ancora più esigui della sinistra, come quello di Civati. «Già magistrato dignitoso, Grasso è un signore di 72 anni che è stato miracolato da alcune poltrone, come la presidenza del Senato: si è dimesso, tra virgolette, dal Pd, ma non ricordo che si sia erto a difensore della democrazia e dei diritti quando tutti quanti, da destra a sinistra, avallavano il Fiscal Compact varato dal governo Monti, anche con i voti di Bersani, D’Alema, Speranza e compagni, tutti provenienti dalla filiera Pci». Insiste Magaldi: «L’aver pienamente sottoscritto le peggiori le politiche di rigore è davvero il peccato originale di questa sedicente sinistra italiana». E aggiunge: «Chi può pensare, davvero, che il rinnovamento del paese possa venire da un personaggio come Grasso? Non direi che sia stato un presidente del Senato memorabile: e oggi il popolo “de sinistra” dovrebbe entusiasmarsi, plaudire? Immagino quanta eccitazione e quanti fremiti, alla vista di Grasso che arringa le folle. C’è davvero da piangere, da singhiozzare».Per il dopo-elezioni, non c’è bisogno di profezie: sondaggi alla mano, Renzi e il Cavaliere saranno “costretti” a una riedizione del Patto del Nazareno. Larghe intese, ma dalla vita breve: Magaldi prevede «crisi parlamentari sempre più ravvicinate, nei prossimi tempi, perché la situazione è insostenibile: c’è una decadenza dell’Italia che ormai questa classe dirigente nel suo complesso non è in grado di fronteggiare», men che meno «gli spaventapasseri della convention romana della sinistra, vecchi notabili variamente riciclati, che oggi ci vengono a cantare questa canzone stonata: e sono più aristocratici loro, nei rapporti umani e anche nella visione politica, di altri che vengono collocati a destra». Magaldi pensa al futuro Pdp e ragiona da allenatore: «Basta con questa finzione, noi lavoriamo per un partito davvero popolare: non ci interessa la rappresentazione populista, demagogica e squinternata che fa del popolo una macchietta, vogliamo una politica finalmente all’altezza dell’Italia, fondata su sovranità, dignità e diritti». Si tratta di ripartire da zero, per una «credibile rigenerazione politica di un paese malgovernato per 25 anni dai sedicenti centrodestra e centrosinistra». Il punto si svolta? Dire no alla truffa del rigore, dogma ideologico imposto dall’élite finanziaria. E’ la parola d’ordine su cui, promette Magaldi, si costruirà il Pdp, già partire dalla prossima legislatura, parlando anche a parlamentari «disgustati» dello spettacolo in arrivo.Sicché sarebbe Pietro Grasso, detto Piero, il formidabile anti-Renzi? O meglio l’anti-Renzusconi, l’eroe carismatico che si opporrà all’ennesimo inciucio che ci attende? Ma mi faccia il piacere, direbbe Totò. Abbiate fede: prima o poi gli italiani avranno finalmente un Parlamento degno – non ancora nella primavera 2018, però. Parola di Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt e promotore del Pdp, Partito Democratico Progressista, che ancora aspetta di nascere su base popolare, mediante assemblea costituente con libera adesione. Obiettivo: fare piazza pulita dei personaggi che hanno condannato il paese al declino, e che – lungi dal farsi da parte – animano l’imbarazzante farsa dell’ennesima campagna elettorale inutile. Nessuno dei tre poli osa raccontare la nuda verità, l’inaccettabile sottomissione ai poteri forti europei che hanno costretto il sistema-Italia a fare harakiri. Renzi e Berlusconi, in attesa di sedersi allo stesso tavolo, fanno a gara a chi le spara più grosse, in termini di promesse elettorali palesemente impossibili da mantenere, sotto il regime di euro-austerity. Mentre il grillino Di Maio – altrettanto lontano dalla realtà – fa il turista a Washington, evitando accuratamente la sponda progressista. E a Roma intanto chi spunta? Pietro Grasso, il nuovo campione degli indimenticabili Bersani e D’Alema, notoriamente amatissimi dagli italiani.
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D’Alema: gli italiani non fanno più figli. Chissà come mai…
Come mai gli italiani non fanno più figli? Non se lo chiede, Massimo D’Alema, mentre ripropone tranquillamente il più classico teorema mondialista: il nostro futuro saranno i migranti, unica risposta all’impoverimento demografico del Belpaese, sempre più anziano e spopolato. L’ex segretario del Pds è stato un esponente di punta della classe dirigente italiana, in particolare di quella “sinistra post-comunista di governo” che supportò la grande cessione della sovranità nazionale dopo la caduta (per via giudiziaria) della Prima Repubblica. Eppure, alla televisione italiana già immersa nel clima politico della campagna elettorale, D’Alema parla dell’Italia come se fosse un turista distratto, e non l’uomo che sedette per due anni a Palazzo Chigi, peraltro vantandosi di aver realizzato il massimo volume possibile di privatizzazioni, un vero e proprio record europeo. Parla come un osservatore sbadato e impreciso, D’Alema, quando si limita a prendere atto che il bizzarro problema che affligge lo Stivale, da molti anni, è la crisi della natalità, il saldo negativo che rivela la decrescita costante della popolazione. Affrontare il male a monte, occupandosi degli italiani? Aiutarli a scommettere nuovamente sul futuro? Ma no, basta rimpiazzarli con un po’ di profughi africani. Per gli italiani, tuttalpiù, D’Alema ha in mente una cura innovativa e rivoluzionaria: reintrodurre l’imposta sulla prima casa.D’Alema appartiene a pieno titolo alla storia del Novecento: il suo nome è legato per sempre all’infelice stagione che vide incrinarsi i decenni del benessere, preparando il crollo sistemico al quale stiamo assistendo. Ma la vera notizia è che l’ex premier sia ancora in campo nel 2017, tra le fila (meramente anti-renziane) di un sedicente movimento “democratico e progressista”. Quella di D’Alema sembra una voce proveniente dalle catacombe della politica, dal cimitero neoliberista nel quale marcirono e poi morirono, a volte anche assassinate, le migliori idee di progresso sociale, giustizia e solidarietà, incarnate in Europa da giganti del pensiero come Olof Palme, leader della gloriosa socialdemocrazia svedese, artefice del più avanzato welfare del continente. Nel salottino televisivo di Lilli Gruber, D’Alema parla come se nulla sapesse di quanto è avvenuto, in questi anni, al paese a cui oggi si rivolge: la colossale svendita del patrimonio nazionale, i tagli sanguinosi alla spesa sociale, l’austerity, la precarizzazione del lavoro e la piaga della disoccupazione. Dov’era, D’Alema, quando l’Italia organizzava il proprio suicidio socio-economico con il macigno del Fiscal Compact, la legge Fornero sulle pensioni, la crocifissione della Costituzione mediante pareggio di bilancio obbligatorio?L’ex premier post-comunista parla come se non conoscesse Mario Draghi, come se non avesse mai sentito nominare Napolitano e Monti, la Merkel e la spietata Troika che ha ridotto alla fame una nazione come la Grecia. Si limita a descrivere l’Italia come un paese curiosamente in crisi demografica, i cui abitanti – chissà perché – hanno smesso di sposarsi e di metter su famiglia. Il giornalista Paolo Barnard, autore del saggio “Il più grande crimine”, presenta D’Alema come “allievo” di Jacques Attali, eminente politologo francese, già “consigliere del principe” quando lavorava all’Eliseo. Un grande economista transalpino, Alain Parguez, rivela che proprio Attali, oggi padrino di Macron, contribuì a determinare la svolta neo-reazionaria del presidente socialista Mitterrand, “l’inventore” della soglia del 3% (del Pil) come tetto alla spesa pubblica. Una regola artificiosa e nefasta, anti-economica, da allora utilizzata dall’élite finanziaria per scatenare l’attacco frontale alla sovranità di bilancio degli Stati europei, mettendo fine alla loro capacità di realizzare politiche progressiste.Nel suo saggio del 2014 sulla segreta geografia supermassonica del massimo potere (“Massoni”, Chiarelettere), Gioele Magaldi collega D’Alema e Attali sul piano delle loro frequentazioni più riservate: il primo, scrive, milita in due diverse Ur-Lodges, la “Pan-Europa” e la “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum”, mentre il secondo nella “Three Eyes”. Secondo Magaldi, le “logge madri” sono strutture esclusive e sovranazionali del back-office del potere, incubatrici di ogni grande decisione finanziaria, economica e geopolitica. Quelle citate, in relazione a D’Alema e Attali, sempre secondo Magaldi (a sua volta “iniziato” alla Ur-Lodge progressista “Thomas Paine”) sono superlogge orientate in senso neo-aristocratico, grandi protagoniste della globalizzazione universale che sta privatizzando il pianeta, senza più altra bandiera che quella del denaro. Se la figura politica di D’Alema resta complessa, legata alla tormentata conversione atlantica degli ex comunisti (D’Alema fu il primo premier italiano proveniente dal Pci, il partito di Togliatti e Berlinguer), può sembrare un mistero l’ipotetica attualità della sua proposta odierna, la sua stessa permanenza nel club degli interlocutori politici italiani.D’Alema sarà addirittura tra i competitori elettorali del 2018, per giunta nel cartello guidato dall’imbarazzante Bersani, che si richiama in modo surreale all’articolo 1 della Costituzione (“fondata sul lavoro”, ma in realtà “affondata” dalla costituzionalizzazione del rigore imposta dal governo Monti, con i voti di Berlusconi e dello stesso Bersani). La surrealtà di questa sedicente sinistra prosegue nell’omaggio ricorrente a Romano Prodi, il super-privatizzatore dell’Iri che riuscì a passare da Palazzo Chigi alla Goldman Sachs, fino alla guida della Commissione Europea, cioè l’organismo che ha inflitto le maggiori sofferenze ai lavoratori europei. Al fantasma di Prodi, peraltro, si oppone quello del Cavaliere, che allatta agnellini per la gioia degli animalisti ed evoca spettacolari candidature securitarie, scomodando alti ufficiali dei carabinieri. Poi naturalmente c’è l’odiato Renzi, per il quale il male italico numero uno resta “la burocrazia” (infatti: il problema di Palermo è il traffico, dice Benigni nel film in cui interpreta il boss mafioso Johnny Stecchino). E i 5 Stelle? Lontani anche loro dalla zona rossa, quella del vero pericolo: il loro mitico “reddito di cittadinanza” lo finanzierebbero semplicemente “tagliando gli sprechi”, non certo bocciando i diktat di Bruxelles. Un quadro pittoresco, nel quale diventa comprensibile persino la sopravvivenza giurassica dello stesso D’Alema, così sbadato da non domandarsi perché l’Italia sia tanto in crisi, al punto da smettere di fare figli.Perché mai gli italiani non fanno più figli? Non se lo chiede, Massimo D’Alema, mentre ripropone tranquillamente il più classico teorema mondialista: il nostro futuro saranno i migranti, unica risposta all’impoverimento demografico del Belpaese, sempre più anziano e spopolato. L’ex segretario del Pds è stato un esponente di punta della classe dirigente italiana, in particolare di quella “sinistra post-comunista di governo” che supportò la grande cessione della sovranità nazionale dopo la caduta (per via giudiziaria) della Prima Repubblica. Eppure, alla televisione italiana già immersa nel clima politico della campagna elettorale, D’Alema parla dell’Italia come se fosse un turista distratto, e non l’uomo che sedette per due anni a Palazzo Chigi, peraltro vantandosi di aver realizzato il massimo volume possibile di privatizzazioni, un vero e proprio record europeo. Parla come un osservatore sbadato e impreciso, D’Alema, quando si limita a prendere atto che il bizzarro problema che affligge lo Stivale, da molti anni, è la crisi della natalità, il saldo negativo che rivela la decrescita costante della popolazione. Affrontare il male a monte, occupandosi degli italiani? Aiutarli a scommettere nuovamente sul futuro? Ma no, basta rimpiazzarli con un po’ di profughi africani. Per gli italiani, tuttalpiù, D’Alema ha in mente una cura innovativa e rivoluzionaria: reintrodurre l’imposta sulla prima casa.
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Giannuli: serve un partito, la Mossa del Cavallo rischia l’1%
«Le prossime elezioni politiche si svolgeranno in un contesto che non ha precedenti rispetto agli ultimi 70 anni. La deriva del paese è tale da poter affermare che l’Italia è ormai allo sfascio. Ecco perché occorre una “Mossa del Cavallo”». All’appello di Antonio Ingroia e Giulietto Chiesa per una “Lista del Popolo” da mettere in campo alle prossime elezioni, per fermare il collasso del paese di fronte alla “caduta libera” dei tre blocchi in apparenza contrapposti – centrodestra, centrosinistra e 5 Stelle – il politologo Aldo Giannuli frena: bene l’idea di mobilitare forze democratiche, ma è meglio evitare di candidarsi nel 2018. «Non saremo mai un partito», assicurano Ingroia e Chiesa? Male, replica Giannuli: è proprio di un partito che ci sarebbe bisogno, organizzato in modo trasparente e democratico, evitando il rischio dell’ennesima Armata Brancaleone pronta a sciogliersi e frantumarsi già all’indomani del voto, magari dopo aver racimolato un bottino elettorale irrisorio. Giannuli, saggista e storico dell’ateneo milanese, apprezza l’impegno di partenza: tenere aggregati i movimenti che lavorarono per il “no” al referendum del 4 dicembre scorso sulla Costituzione. «Mi sembra condivisibile l’idea di una fondazione dal basso del movimento mobilitando la base che fu determinante per la vittoria del “no”», scrive, sul suo blog. Ma aggiunge: «Questa scelta di lista “last minute” mi sembra per più versi discutibile».
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Magaldi: quella di Ingroia e Chiesa è la Mossa del Somaro
La Mossa del Cavallo? Ma va là, quella semmai è la Mossa del Somaro: «Come possono essere credibili, Antonio Ingroia e Giulietto Chiesa – da soli – nei panni di frontman di una Lista del Popolo, né di destra né di sinistra?». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, boccia la sortita di Chiesa e Ingroia, che lanciano la proposta di un listone-cartello per dire no all’establishment in vista delle politiche 2018. «Ingroia è un ex magistrato con precise benemerenze, e Chiesa è un giornalista abile nello svelare le manipolazioni del mainstream: ma entrambi, inutile nasconderlo, provengono dalla militanza comunista». Aggiunge Magaldi: «Chiesa non è un organizzatore politico, ma non lo è nemmeno Ingroia: parlano da soli i numeri della sua ultima iniziativa, “Rivoluzione Civile”», che nel 2013 superò di poco il milione di voti, racimolando appena il 2%, senza conquistare neppure un seggio in Parlamento. «Niente di più facile che si ripeta questa performance, dato il carattere velleitario e improvvisato della “Mossa del Somaro”: se così fosse – infierisce Magaldi – verrebbero bruciate le aspettative di milioni di italiani che si aspettano una proposta politica seria, un vero cambio di paradigma».Ma anche se, miracolosamente, Ingroia e Chiesa riuscissero a superare lo sbarramento del 3%, «in aula ci finirebbero soltanto loro, lasciando fuori i tanti “somari” portatori d’acqua», continua Magaldi. «E con un pugno di seggi, com’è possibile pensare di sferrare un attacco efficace contro il manistream tecnocratico europeo?». E’ seccato, il presidente del Movimento Roosevelt, per quella che legge come una fuga in avanti, decisa da due personalità che fino a poche settimane fa erano tra gli interlocutori di una comunità politica plurale, messasi al lavoro per trovare una sintesi possibile, contro il rigore imposto dall’Ue: un programma forte, da opporre ai non-programmi del centrodestra, del centrosinistra e dei 5 Stelle. Tra i promotori del gruppo di contatto, oltre a Magaldi, un attivista come Franco Bartolomei di “Risorgimento Socialista”. Ingroia e Chiesa? «Sono venuti meno, in modo unilaterale, all’impegno della consultazione reciproca. E in più – dice Magaldi, ai microfoni di “Colors Radio” – hanno copiato pari pari una proposta che il Movimento Roosevelt aveva loro segnalato, tra i 21 principi-guida del costruendo Pdp, Partito Democratico Progressista: la necessità di una Costituzione Europea, validata da referendum popolari. Un’idea nostra, che Igroia e Chiesa hanno fatto propria senza dichiararne la paternità».In collegamento web-streaming con Marco Moiso, coordinatore londinese del Movimento Roosevelt, lo stesso Magaldi contesta il metodo del “listone”: «Non si può dire: venite, poi sceglieremo noi i candidati, come se i leader della lista ne fossero i padroni. Se contesti la mancanza di democrazia in casa altrui, dovresti applicare il metodo democratico innanzitutto a casa tua, altrimenti ti comporti come i 5 Stelle, che accettano la non-democrazia interna, o lo stesso Berlusconi, che ha elevato il rango di singoli personaggi solo in base alla loro vicinanza con il principe». Magaldi conferma la vocazione trasversale del Movimento Roosevelt: «Nel prossimo Parlamento – annuncia – saranno eletti deputati e senatori a noi vicini, che proveranno a incidere, nei rispettivi partiti, per sollecitare una visione diversa della politica, non più sottomessa ai diktat dell’oligarchia finanziaria che domina le istituzioni europee». Il nascituro Pdp? «Si presenterà alle elezioni solo se saranno migliaia gli italiani che si iscriveranno all’assemblea costituente, viceversa aspetteremo che il progetto sia pienamente condiviso a livello popolare».Magaldi crede nel ritorno ai partiti: «Quelli della Prima Repubblica, con i loro limiti, avevano contribuito a fare dell’Italia una potenza economica, un paese prospero. Spariti i partiti tradizionali, magari difettosi ma comunque democratici, ci ritroviamo al potere i partiti-azienda, fondati su leader che poi diventano regnanti e spengono ogni dissenso interno». L’alternativa delle liste movimentiste? «Non esiste: ogni Armata Brancaleone è destinata a sciogliersi come neve al sole, a frantumarsi già all’indomani delle elezioni». Nell’augurare buon viaggio a quella che ha ribattezzato “La Mossa del Somaro”, lo stesso Magaldi esprime rammarico per l’interrotta collaborazione: «Non è in discussione il valore di Antonio Ingroia e Giulietto Chiesa, anche se – in mesi di incontri – le nostre idee coincidevano solo in parte». Diversa, ad esempio, la lettura sul passato recente del nostro paese, «a cominciare dai tanti golpe del 1992 che hanno decretato il drammatico declino dell’Italia». Impossibile pretendere che Ingroia, da ex magistrato, consideri un “golpe bianco” il giustizialismo degli inquirenti di Tangentopoli che decapitarono la classe dirigente italiana, sguarnendo il paese di fronte al Trattato di Maastricht. Lo stesso Chiesa, nel 2004, fu eletto nel Parlamento Europeo nella lista creata da Achille Occhetto insieme all’uomo-simbolo di Mani Pulite, Antonio Di Pietro.E poi, aggiunge Magaldi, come si fa a dire “non saremo mai un partito”? Proprio di partiti – veri, seri – il paese ha un bisogno drammatico, sostiene il fondatore del Movimento Roosevelt: «Serve un impegno preciso, per il futuro. Occorre avere la vista lunga, non limitata all’imminente scadenza elettorale». Altro abbaglio: puntare sull’oceano dell’astensionismo. I “renitenti” fanno gola: in Sicilia hanno votato solo 4 elettori su dieci, a Ostia uno su tre. «Ma è evidente che i cittadini più ricettivi a un messaggio politico sono quelli che a votare ci vanno. E non è certo con i “listoni” improvvisati, confezionati in vista delle prossime elezioni, che si può pensare di invertire la rotta e motivare al voto milioni di italiani», dice Magaldi, che per l’immediato resta pessimista: «Se i 5 Stelle continuano a rifiutare alleanze, rivedremo il solito inciucio che portò al governo Letta. Solo che la crisi nel frattempo si è aggravata: è ormai crisi sociale, politica, economica». Facile profezia: «C’è fame di poltrone, ma non basteranno per tutti. E’ forte il rischio che si possa tornare al voto in tempi rapidi. E, ancora una volta, senza un vero programma per l’Italia». Il Rubicone da varcare? Un’alleanza larga, plurale, di forze democratiche e progressiste, da opporre all’oligarchia neo-aristocratica. «Serve un progetto non divisivo, ma a vocazione maggioritaria, che le elezioni le vinca. E dia vita a un governo che dica finalmente a Bruxelles: facciamo dei referendum per creare una Costituzione Europea democratica, oppure l’Italia sospende la vigenza degli attuali trattati europei».La Mossa del Cavallo? Ma va là, quella semmai è la Mossa del Somaro: «Come possono essere credibili, Antonio Ingroia e Giulietto Chiesa – da soli – nei panni di frontman di una Lista del Popolo, né di destra né di sinistra?». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, boccia la sortita di Chiesa e Ingroia, che lanciano la proposta di un listone-cartello per dire no all’establishment in vista delle politiche 2018. «Ingroia è un ex magistrato con precise benemerenze, e Chiesa è un giornalista abile nello svelare le manipolazioni del mainstream: ma entrambi, inutile nasconderlo, provengono dalla militanza comunista». Aggiunge Magaldi: «Chiesa non è un organizzatore politico, ma non lo è nemmeno Ingroia: parlano da soli i numeri della sua ultima iniziativa, “Rivoluzione Civile”», che nel 2013 superò di poco il milione di voti, racimolando appena il 2%, senza conquistare neppure un seggio in Parlamento. «Niente di più facile che si ripeta quella performance, dato il carattere velleitario e improvvisato della “Mossa del Somaro”: se così fosse – infierisce Magaldi – verrebbero bruciate le aspettative di milioni di italiani che si aspettano una proposta politica seria, un vero cambio di paradigma».
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Dieudonné e le reti dell’orrore: bambini uccisi dai potenti
Fate tacere quel comico: svela l’esistenza di reti di pedofili satanisti dietro i massimi vertici del potere. E’ il caso del controverso Dieudonné, nome completo M’bala M’bala, umorista francese di origine camerunense, balzato anche in Italia agli onori delle cronache per il suo presunto antisemitismo dopo la strage di Charlie Hebdo. Mesi prima era finito nelle indagini della magistratura francese, che aveva ordinato il boicottaggio del suo spettacolo “Il muro” nei teatri delle più importanti città. Durante lo show, scrive Federica Francesconi sul blog “La strage degli innocenti”, Dieudonné «denunciava apertamente le reti dei pedofili che agiscono in Francia indisturbate grazie alle coperture della classe dirigente del paese». Dopo la circolare emanata dal ministero dell’interno, che imponeva lo stop allo spettacolo che il comico avrebbe dovuto recitare in tutta la Francia, i teatri transalpini gli hanno revocato uno dopo l’altro il permesso andare in scena. «Alcuni movimenti e gruppi hanno denunciato l’intervento delle autorità francesi come un vero e proprio attacco alla libertà di espressione sancita dalla Costituzione». A preoccupare i censori erano «le rivelazioni che Dieudonné aveva fatto durante i suoi show satirici sull’esistenza in territorio francese di radicate e pericolosissime reti pedofile».Non è difficile mettere fuori gioco Dieudonné, che è «dichiaratamente antisemita». La stessa Francesconi premette: «Non condivido tutto quello che il comico sostiene sugli ebrei». Ma il punto è un altro: la questione non riguarda “gli ebrei”, o meglio i sionisti, ma i bambini. Spesso sequestrati, violati e abusati. Torturati, e infine “sacrificati”. «Durante i suoi spettacoli il comico francese ha parlato più volte dei bambini che vengono violati durante disgustosi rituali sessuali praticati dai “grandi” di questo mondo», avverte la blogger. Per cui, «vi è il legittimo sospetto che questa possa essere la vera ragione dell’interdizione dei suoi spettacoli». In particolare, Dieudonné si è occupato del caso dei fratelli Roche: un caso di malagiustizia che in anni recenti ha suscitato molto clamore in Francia e ha fatto venire allo scoperto le strette connessioni tra pedofilia e magistratura deviata. I due fratelli, Charles-Louis e Diane Roche, hanno denunciato il coinvolgimento di politici e magistrati francesi in pratiche pedofile “controiniziatiche”, a cui pare fosse legato anche il loro padre, il magistrato di Tolosa Pierre Roche. La rivelazione: il potere di una magistratura “nera”, incaricata di insabbiare le indagini e proteggere gli “orchi”, tutti insospettabili.Poco prima di morire di cancro, l’uomo aveva confidato ai figli il terribile segreto che per anni aveva custodito: l’esistenza di una costola deviata della magistratura, «il cui obiettivo segreto è di insabbiare tutte le inchieste e le indagini che provano l’esistenza delle reti pedocriminali e che tentano di fare luce sulle coperture istituzionali di cui i pedofili godono». Bingo: nel suo spettacolo, Dieudonné aveva ospitato uno dei due fratelli, Charles-Louis, «che ha potuto esprimersi liberamente in una sorta di monologo durante il quale ha denunciato i loschi traffici di cui è a conoscenza e in cui pare fosse implicato anche il padre». Il comico ha bollato senza mezzi termini le reti pedofile dell’orrore, definendole «reti sataniste», a capo delle quali vi sarebbe un «gruppo segreto», meglio conosciuto come «élite mondialista». Che cosa ha rivelato di così destabilizzante per i poteri occulti il figlio del defunto magistrato Pierre Roche? Durante lo spettacolo di Dieudonné, «Charles-Louis ha testimoniato sulle confessioni fattegli dal padre che riguardavano i crimini di cui si era macchiato durante l’esercizio della sua carica».In particolare, in punto di morte, Pierre Roche avrebbe «rivelato al figlio di aver partecipato a delle orge nella regione di Tolosa, in compagnia di altre personalità francesi altolocate». Durante queste orge «i partecipanti abusavano di prostitute, di vagabondi rapiti per strada e di bambini». Attenzione: erano «orge che finivano sempre con l’uccisione rituale delle piccole vittime, dopo averle sottoposte a ogni tipo di tortura». Federica Francesconi definisce quelle atroci serate «cerimonie controiniziatiche». Un’allusione precisa: viene chiamato “contro-iniziato” un soggetto che abbia ricevuto un’iniziazione esoterica (per esempio massonica) e che poi faccia un uso distorto, capolvolto, delle conoscenze che gli sono state trasmesse. Per la massoneria democratico-progressista sono “contro-iniziati” gli uomini del massimo potere, aderenti a superlogge internazionali che nei fatti rinnegano gli ideali della stessa tradizione massonica (libertà, uguaglianza, fratellanza) per “pervertire” in senso neo-oligarchico l’ordine mondiale, retto da una casta più o meno occulta di super-potenti, assolutamente reazionari, contrari cioè ai diritti, al benessere e al progresso del 99% della popolazione.Per alcuni di essi si tratta di una vera e propria forma di religione, scrive Gianfranco Carpeoro nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, in cui illustra la dottrina ottocentesca del marchese Saint-Yves d’Alveidre: in base alla teoria della “sinarchia”, l’élite (“illuminata” per auto-elezione) ha il diritto-dovere di governare le masse, visto che il popolo – rozzo e ignorante – non avrebbe gli strumenti per decidere da sé. In altre parole, la democrazia è una bestemmia. E proprio allo svuotamento sostanziale della democrazia si è dedicata l’élite eurocratica, che secondo Dieudonné è anche rigorosamente pedofila. Uccidere un bambino mediante un sacrificio rituale significa “uccidere” il futuro che non ti piace, quello degli altri, al tempo stesso propiziando il tuo: lo sostiene Giuseppe Genna, tra le pagine del romanzo “Nel nome di Ishmael” che svela una realtà abominevole: quella dell’omicidio “rituale” dei bambini, abusati dai pedofili, come viatico “magico” per sanguinosi attentati politici organizzati dall’oligarchia tramite settori deviati dei servizi segreti. Un incubo, simile a quello descritto da Charles-Louis Roche nello spettacolo di Dieudonné. E quelle orge francesi, dice il figlio del giudice, erano quasi sempre filmate, «verosimilmente per ricattare a vita i partecipanti», ne deduce la Francesconi.«I partecipanti alle serate orgiastiche erano tutti membri della massoneria deviata francese la quale, tramite i filmati, teneva sotto scacco i suoi affiliati per obbligarli a lasciarsi manovrare nell’esercizio dei rispettivi ruoli pubblici», aggiunge la blogger. «La testimonianza dei due fratelli Roche è molto importante perché per la prima volta, tramite i suoi figli, un notabile, uno dei membri di questi gruppi occulti che governano i sistemi istituzionali di quasi tutti gli Stati, viola il voto di segretezza e omertà a cui è obbligato per rivelare al mondo i segreti inconfessabili dell’élite satanista». La terribile ricostruzione è proposta anche da un documentario su Dieudonné ripreso da YouTube. Il documento conferma che Charles-Louis Roche ha approfittato dell’ospitalità del comico per rendere pubblica la testimonianza del genitore, e quindi denunciare l’esisternza delle «reti dell’orrore» delle quali padre, magistrato di alto grado, è stato membro, prima di morire. O meglio: «Prima di essere assassinato», si afferma, sostenendo che il giurista non sarebbe morto in modo naturale. E dai media «silenzio totale», visto che gli organi di stampa «eseguono gli ordini».Secondo Charles Louis-Roche, l’ideologia del gruppo cui aveva appartenuto il padre «consiste in un progetto culturale, a cominciare dalla legge, dalla morale e dalla discendenza che ha come scopo la violazione, la tortura e la morte di bambini di età compresa tra i pochi mesi di vita e i 10 anni». Ne parla anche la sorella, Diane Roche: «Reti pedofile, sataniste e mafiose all’interno delle quali dei bambini vengono filmati e contemporaneamente torturati, violati e uccisi». Nello spettacolo di Dieudonné, Charles-Louis Roche ha dichiarato che il padre gli aveva rivelato che a tali reti pedofile «appartengono esponenti del mondo della politica, gli editori, la finanza, i medici». Quali sono le attività di questi circoli? «Consistono nell’organizzare serate estreme, alcune delle vere e proprie rappresentazioni teatrali, che sono di due tipi». Il primo tipo consiste in una “storia della pesca di Cristo”, forse un rituale controiniziatico: «Per festeggiare la Natura, la serata degenera nel sadomasochismo e nel consumo di stupefancenti, che servono per aumentare il piacere dei partecipanti e che costituiscono un doppio premio». Vengono utilizzate anche prostitute e ragazze provenienti da famiglie disagiate: «Sono le candidate ideali per sparire senza lasciare traccia».E chi sarebbero i protettori di queste reti pedofile? Charles-Louis Roche elenca i nomi di 71 magistrati francesi attualmente in carica: li definisce «corrotti» e sostiene che facciano «esattamente ciò che il potere politico ordina loro di fare». Dentro a queste reti esisterebbe un metodo comune di dissuasione, per evitare che troppe verità scomode vengano divulgate. «Questo metodo – denuncia il documentario – consiste nell’ostacolare e nel ricorrere a minacce molto dissuasive per ridurre al silenzio grandi uomini come Dieudonné, il belga Marc Vervloesem ed altri, che hanno rivelato alcune verità e che quindi costituiscono per questi mostri, questi assassini di bambini, un pericolo». Costoro avrebbero «minacciato di rapire i figli di Dieudonné, che ha contribuito a denunciare queste reti pedofile sataniche». Aggiungono gli autori del video: «Sono perfettamente al corrente che Dieudonné conosce l’esistenza di queste reti pedofile, che ha contribuito a denunciare». Si parla di personaggi potentissimi e protetti da impunità assoluta: «Sono coloro che attualmente detengono il potere sulla Terra». Le chiavi del potere, per loro, sarebbero «l’adorazione di Moloch, una delle rappresentazioni di Lucifero simboleggiato da un gufo o da una civetta», nonché il più prosaico «controllo privato della moneta».«Secondo i loro precetti satanici – continuano i documentaristi francesi – l’adorazione del diavolo deve manifestarsi attraverso rituali e cerimonie che coinvolgono bambini, rituali che si rivelano alla presenza di alcuni simboli che li rappresentano». Il filmato accusa in particolare un prestigioso avvocato di origine ebraica, Alain Jacubowicz, che avrebbe minacciato Dieudonné, invitandolo (sinistramente) a «ridere bene con i suoi figli». Jacubowicz è il presidente della Licra, la Lega antirazzista francese, specializzata nella lotta contro l’antisemitismo, che «ha fatto di Dieudonné il bersaglio preferito di una diffamazione mediatica imbastita per screditare il comico e le sue denunce pubbliche contro i poteri occulti», scrive Federica Francesconi. «Jacubowicz è anche colui che ha difeso il B’nai B’rith e il Concistoro israelita durante i processi “Barbie”, “Touvier” e “Papon”, criminali e torturatori nazisti che durante la Seconda Guerra Mondiale si resero responsabili dell’uccisione di migliaia di ebrei». Il B’nai B’rith è un’associazione ebraica di stampo massonico, mentre il Concistoro israelita è l’istituzione rappresentativa degli ebrei di Francia.Quindi Jacubowicz è uno dei massini rappresentanti della comunità ebraica francese, «ma non un personaggio esattamente limpido se, come denunciato da Dieudonné, in un’aula del tribunale, davanti a decine di persone, ha minacciato di nuocere ai suoi figli pronunciando quell’inequivocabile frase dal sapore satanista», aggiunge Francesconi: “ridere bene coi propri figli” può essere un’allusione ai riti infernali di chi “ride” uccidendo bambini? «Ma si sa: a certi personaggi è permesso dire di tutto», aggiunge Francesconi. Certi big «godono dell’immunità pressoché integrale della magistratura», quindi non temono che il loro prestigio sociale possano essere scalfito. «E’ curioso che pochi mesi prima della strage del presunto commando jihadista contro la redazione di Charlie Ebdo, in Francia un disegnatore satirico, Plantu, sia stato assolto in un processo che lo vedeva accusato di incitamento all’odio religioso e alla violenza», aggiunge la blogger, dopo aver disegnato in una vignetta l’allora pontefice Benedetto XVI nell’atto di sodomizzare un bambino. Palntu era stato assolto: quella vignetta «era soltanto una denuncia dell’omertà e del silenzio dei vertici ecclesiastici sul fenomeno sommerso della pedofilia nella Chiesa», e non già un atto di accusa indiscriminato contro tutti i cattolici. «Peccato che la stessa libertà di espressione non venga riconosciuta anche a Dieudonné, forse perché, a differenza di Plantu, punta il dito contro l’onnipotente e tentacolare comunità ebraica? A voi la risposta».Fate tacere quel comico: svela l’esistenza di reti di pedofili satanisti dietro i massimi vertici del potere. E’ il caso del controverso Dieudonné, nome completo M’bala M’bala, umorista francese di origine camerunense, balzato anche in Italia agli onori delle cronache per il suo presunto antisemitismo dopo la strage di Charlie Hebdo. Mesi prima era finito nelle indagini della magistratura francese, che aveva ordinato il boicottaggio del suo spettacolo “Il muro” nei teatri delle più importanti città. Durante lo show, scrive Federica Francesconi sul blog “La strage degli innocenti”, Dieudonné «denunciava apertamente le reti dei pedofili che agiscono in Francia indisturbate grazie alle coperture della classe dirigente del paese». Dopo la circolare emanata dal ministero dell’interno, che imponeva lo stop allo spettacolo che il comico avrebbe dovuto recitare in tutta la Francia, i teatri transalpini gli hanno revocato uno dopo l’altro il permesso andare in scena. «Alcuni movimenti e gruppi hanno denunciato l’intervento delle autorità francesi come un vero e proprio attacco alla libertà di espressione sancita dalla Costituzione». A preoccupare i censori erano «le rivelazioni che Dieudonné aveva fatto durante i suoi show satirici sull’esistenza in territorio francese di radicate e pericolosissime reti pedofile».
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Crisi e terrore, ma il Nuovo Ordine Mondiale lo farà la Cina
Il nuovo ordine mondiale? Lo farà la Cina. «Non è solo il maggior creditore degli Usa, ma nel breve tempo di un decennio si è contraddistinta per l’assalto alle roccaforti del capitalismo statunitense e per una nuova forma di colonizzazione africana». Il destino della Cina sembra quindi sfuggire allo storico braccio di ferro di Washington e Mosca: «Nell’espansionismo cinese c’è infatti l’impronta di una nuova classe dirigente, tecnocratica e pragmatica, silenziosa e lungimirante». La Cina diventerà egemone perché, oltre alla capacità di azione, ha sufficienti risorse interne per conquistare il potere globale. A tutto ciò si aggiunge che i cinesi hanno la volontà e la capacità «di controllare i flussi di investimenti con cui raggiungere i propri obiettivi». La studiosa torinese Enrica Perucchietti, autrice di saggi come “L’altra faccia di Obama”, “Utero in affitto” e “False flag, sotto falsa bandiera”, oggi segnala un dossier del Club di Roma: “2052. Scenari globali per i prossimi quarant’anni”. Quaranta ricercatori coordinati da Jorgen Randers provano a delineare il futuro globale: la Cina sarà il leader mondiale entro trent’anni. Diverrà «la forza trainante del pianeta», superando in tal mondo i due blocchi storici che competono per la supremazia globale, Usa e Russia.«Il destino profetizzato dai consulenti del Club di Roma è stato previsto anche da altri ricercatori, che hanno puntato in particolare sulla forza economica e finanziaria della Cina che negli ultimi anni si sta accaparrando le risorse naturali, dall’energia ai minerali, dalle foreste alle derrate agricole, insidiando così le zone d’influenza che appartenevano all’Occidente», afferma Enrica Perucchietti in un’intervista su “Letture.org” in occasione dell’uscita dell’edizione aggiornata dal saggio “Governo globale, la storia segreta del nuovo ordine mondiale” (Arianna), scritto insime a Gianluca Marletta. «Credo che nonostante gli sforzi dell’imperialismo mondialista di portare avanti i propri progetti, nel giro di qualche anno lo scettro passerà di mano e probabilmente il centro del potere si sposterà in Cina», ribadisce la Perucchietti, pur ammettendo che le variabili imprevedibili sono comunque molte, «così come sono da prendere in considerazione delle anomalie che si sono registrate come l’elezione Trump e la Brexit, che sono state evidentemente sottostimate». Tuttavia, come segnala lo stesso Paolo Barnard, colpisce l’arma segreta di Pechino: il suo “capitalismo di Stato” con moneta sovrana mette il governo al riparo dallo strapotere della finanza mondialista non allineata agli oligarchi del partito unico.La riflessione sul futuro “cinese” del mondo conclude un’analisi che la giornalista affronta partendo dallo studio del Nwo, inizialmente liquidato come fiaba cospirazionista. «Oggi la sensazione che sia in atto un progetto di mondialismo (seguente alla globalizzazione delle merci) è comunemente accettato: pensiamo per esempio a Henry Kissinger che ha dato un’opera dal titolo altisonante come “World Order”». Sempre più politici, ministri, capi di Stato e pontefici, aggiunge Perucchietti, negli ultimi decenni hanno parlato pubblicamente dell’esigenza di costituire un “nuovo ordine mondiale”. Lei e Marletta, nel libro, ricostruiscono la storia (documentata) di questo progetto, e le tappe che arrivano fino a noi. «Al di là delle confusioni generate dalla cultura web, lungi dall’essere il delirio di una manciata di paranoici, il nuovo ordine mondiale è al contrario un argomento serissimo, che merita di essere indagato». L’elezione di Trump? «Ha illuso alcuni di poter condurre a una battuta d’arresto del progetto mondialista, ma nei mesi abbiamo assistito a una “normalizzazione” del neo-presidente e l’anacronistico ritorno alla guerra fredda, che ha portato anche alla comparsa di un nuovo nemico sullo scacchiere geopolitico, la Corea del Nord».Se Pyongyang è solo l’ultimo apparente “nemico pubblico” da gettare in pasto alla società per distrarla dalla crisi e «compattarla rispetto a una emergenza esterna», visto che ormai «la Russia non poteva più rispecchiare quel ruolo, dato che la figura di Putin desta sempre maggior consenso o comunque meno diffidenza», posto che un conflitto contro la Corea del Nord «sarebbe non solo inutile, ma svantaggioso e pericoloso», dato che «non apporterebbe nemmeno benefici da un punto di vista geopolitico», vale la pena inquadrare anche questo capitolo («solo teatrale», anche secondo Gioele Magaldi) come parte dello stesso copione mondialista che sta tenendo in scacco il pianeta da ormai moltissimo tempo. Per comprendere che cosa sia il nuovo ordine mondiale, secondo Enrica Perucchietti, è necessario ricostruire le tappe storiche che hanno portato, attraverso i secoli, allo sviluppo dell’ideologia globalista, riscoprendone le radici e i presupposti filosofici, spirituali e teologici. «L’ideologia del Nwo, infatti, attinge la sua linfa vitale da un preciso contesto storico, identificabile con il mondo protestante dei secoli XVII e XVIII. È a partire dall’Inghilterra protestante che l’idea di una Nuova Era di “trasformazione del mondo”, di un progetto prima utopistico e poi politico di “rinnovamento” dell’umanità trova adesione, sostegno e suoi primi “profeti”».Un progetto, rileva la giornalista, che è nato inizialmente come contraltare all’universalismo della nemica Chiesa cattolica e dell’Impero Asburgico e fusosi, successivamente, con analoghe correnti fiorite nello stesso periodo in Nord Europa. L’ideologia mondialista ha recepito e rielaborato nei secoli anche altri tipi di influssi: sull’originario substrato protestante-anglosassone, infatti, si innestano successivamente almeno altre due correnti politico-spirituali: l’ideologia universalistica di matrice massonica (su cui si innestano alcune derive occultistiche) e un certo neo-messianismo di matrice sionista. «Queste correnti così diverse tra loro troveranno una convergenza fondata sull’elitismo di chi (gli Usa in primis) si sente in diritto e in dovere di promuovere anche con la forza il proprio imperialismo e assoggettare il resto del mondo ai propri interessi». L’autrice respinge la tesi del Grande Complotto Universale: è storicamente indimostrabile e serve solo a screditare chi indaga seriamente sul mondialismo. Però, «se è impossibile affermare l’esistenza di una “continuità programmatica” nello sviluppo del Nwo, è legittimo tuttavia parlare di un’evidente continuità ideale che lega, attraverso i decenni e persino i secoli, una serie di “forze” e “poteri” in una complicità di interessi e di azioni».Non esiste un Grande Complotto unico, monolitico? «Esiste però una dottrina di base e una “confluenza di interessi” che spingono verso la costituzione del mondialismo, così come esistono i suoi profeti e “architetti” che ne hanno scritto e parlato anche pubblicamente». Ovvero: «Dalla rete inestricabile dei poteri occulti, delle logge e delle sette, dei potentati economici e dei gruppi di pressione impegnati da tempo a promuovere il progetto del nuovo ordine mondiale, emergono con una frequenza non casuale, nomi, realtà e concreti gruppi di potere che nel nostro “Governo Globale” definivamo il “volto visibile del Nwo” di cui trattiamo ampiamente nella prima parte del saggio». Il progetto mondialista? «Nasce in ambito anglosassone ed è quindi naturale che esso abbia avuto, nella potenza degli Stati Uniti e dell’Inghilterra, il perno della sua potenza (a cui si è aggiunto, a partire dal secondo dopoguerra, il fattore geopolitico costituito dallo Stato di Israele). Quando parliamo del potere di queste nazioni, tuttavia, ci riferiamo a certe strutture di potere che rimangono invariate nel tempo». Nel suo saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata”, Magaldi le chiama Ur-Lodges, superlogge: sarebbero la chiave segreta del back-office del potere mondiale, ormai esteso anche alla Cina nel disegno condiviso della globalizzazione autoritaria.Fatte salve le differenze che contraddistinguono le diverse correnti, osserva Perucchietti, esistono alcune costanti fondamentali alla base del progetto mondialista, e alcuni interessi specifici: per esempio, l’aspirazione a costituire una res-pubblica universale e sovranazionale controllata più o meno direttamente da un’autoselezionata élite. «Quindi la creazione di un governo elitario, di pochi». Inoltre, si registra «la diffusione o imposizione di un pensiero omologato, tendente a dissolvere le identità e le particolarità culturali, politiche e religiose in una sorta di pensiero unico globale». Il progetto di costituzione di un mondo nuovo, infatti, richiede anche «un uomo nuovo, che sia omologato e omologabile, facilmente controllabile», magari anche attraverso l’ideologia gender, di cui la Perucchietti ha parlato in libri come “La fabbrica della manipolazione” e “Unisex”. A cascata, pesano «la conseguente lotta contro le “identità forti” difficilmente omologabili alla cultura mondialista e l’abbattimento dei valori tradizionali». Non solo: ci sono anche «censura e psicoreato, ossia il controllo della comunicazione, dei mass media ma anche delle menti e dell’espressione dei cittadini, di cui la recente battaglia contro le “fake news” è un lampante esempio».E’ all’opera una strategia d’azione che privilegia «l’utilizzo strumentale della politica (una sorta di vera e propria criptopolitica basata su ricatti e complotti per lo più sotterranei)», di cui – come vetta dell’iceberg – abbiamo vaghe notizie, attraverso sigle come la Trilaterale o il Bilderberg, cenacoli «i cui membri si riuniscono a porte chiuse per discutere del destino dell’umanità». Alcuni aspetti ideologici restano imprescindibili, «come il neomalthusianesimo che considera l’eccesso delle nascite nelle classi povere come un problema per la qualità di vita». E infatti «gli architetti del Nwo sono ossessionati dal contenimento/riduzione della popolazione». Nell’immaginario collettivo, il Nwo «ha finito per identificarsi con il potere dei colossi bancari e delle multinazionali che ne sono, per certi versi, l’espressione più visibile». E non è tutto: c’è anche «una visione prometeica e luciferina che convoglia nel Transumanesimo e nelle sue applicazioni cibernetiche, virtuali e tecnologiche: l’idea di fondo è che l’uomo può farsi Dio e abbattere la natura, arrivando a derive post-umane finora impensabili». Nel frattempo, le masse occidentali (e mediorientali, manipolate anch’esse) possono “godersi” l’orrore del terrorismo, una macchina infernale che genera paura, «e la paura è un potente strumento di controllo».Riflette Enrica Perucchietti: «Manipolando le persone in fase di shock, sull’ondata emotiva degli eventi, è possibile introdurre misure liberticide fino a quel momento impensabili, lasciando credere ai cittadini che i provvedimenti scelti siano per il loro bene e la loro sicurezza». Terrorismo ed estremismo «vengono sfruttati abilmente, evocati quotidianamente, politicizzati per poterne sfruttare l’ondata d’urto emotiva». Citando Orwell, la sensazione è che la “guerra al terrore” sia stata concepita come perenne per «poter mantenere intatta la struttura della società» e introdurre uno Stato di polizia. «La guerra non deve cioè aver fine, ma deve servire per poter legittimare misure estreme». Per questo, aggiunge l’analista, «non si può distruggere Al-Qaeda senza pensare che spunti un altro pericolo, Isis o altra organizzazione terroristica che sia». E il terrore «doveva finire per divampare anche in Europa», perché «si stava affievolendo la tolleranza del popolo ad accettare sacrifici per “esportare” la democrazia in paesi lontani». Sicché, «l’unico modo per poterlo spingere a continuare a oliare la macchina da guerra era far assaggiare all’Occidente quel genere di “paura” che noi italiani conosciamo bene: gli anni di piombo».Gli artefici del mondialismo, conclude Perucchietti, «hanno sfruttato con cura occasioni tragiche e non si sono fatti problemi a inscenare od ordire attentati, o comunque a strumentalizzarli per creare i presupposti per poi poter raccogliere e sfruttare delle opportunità calcolate con cura». In questo contesto «rientrano anche le cosiddette “false flag”», ovvero le operazioni “sotto falsa bandiera” come quelle che hanno funestato la Francia con sinistra, cronometrica precisione. Lo rileva Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, secondo cui – nella Francia che ha imposto il silenzio alle indagini su Charlie Hebdo (segreto militare, dopo la scoperta del possibile ruolo dell’intelligence nell’armamento del commando), l’opaco neo-terrorismo ha colpito Nizza il 14 luglio, giorno “sacro” per i massoni progressisti anti-oligarchici, e Parigi il 13 novembre (Bataclan), nell’anniversario di una giornata infausta per i Templari perseguitati nel ‘300, a cui evidentemente i mandanti dell’Isis, mondialisti e atlantici, vorrebbero richiamarsi, firmando il loro sanguinoso delirio. Dove finiremo, di questo passo? A Pechino, risponde Enrica Perucchietti: sarà probabilmente a Cina a mandare in fumo i giochi “illuminati” dell’élite nera, insediando sul trono del pianeta – diversamente mondializzato, ma sempre senza democrazia – da una futura élite “gialla”.Il nuovo ordine mondiale? Lo farà la Cina. «Non è solo il maggior creditore degli Usa, ma nel breve tempo di un decennio si è contraddistinta per l’assalto alle roccaforti del capitalismo statunitense e per una nuova forma di colonizzazione africana». Il destino della Cina sembra quindi sfuggire allo storico braccio di ferro di Washington e Mosca: «Nell’espansionismo cinese c’è infatti l’impronta di una nuova classe dirigente, tecnocratica e pragmatica, silenziosa e lungimirante». La Cina diventerà egemone perché, oltre alla capacità di azione, ha sufficienti risorse interne per conquistare il potere globale. A tutto ciò si aggiunge che i cinesi hanno la volontà e la capacità «di controllare i flussi di investimenti con cui raggiungere i propri obiettivi». La studiosa torinese Enrica Perucchietti, autrice di saggi come “L’altra faccia di Obama”, “Utero in affitto” e “False flag, sotto falsa bandiera”, oggi segnala un dossier del Club di Roma: “2052. Scenari globali per i prossimi quarant’anni”. Quaranta ricercatori coordinati da Jorgen Randers provano a delineare il futuro globale: la Cina sarà il leader mondiale entro trent’anni. Diverrà «la forza trainante del pianeta», superando in tal mondo i due blocchi storici che competono per la supremazia globale, Usa e Russia.
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Carpeoro: Fusaro e Di Pietro, tribuni dell’Italia non-pensante
Diego Fusaro in televisione accusa Antonio Di Pietro e i magistrati di Mani Pulite di aver fatto un colpo di Stato? Da un punto di vista linguistico, non definirei Mani Pulite un colpo di Stato, quanto piuttosto un complotto internazionale, nel senso che il golpe ha caratteristiche squisitamente politiche e personalistiche, che quella storia non ha avuto. Dietro c’erano interessi internazionali e servizi segreti: altre cose. Il colpo di Stato è il voler sostituire un regime con un altro regime. Qui non si voleva sostituire un regime politico: si voleva soltanto mandare a casa la sua dirigenza. Cosa che è stata fatta, con una serie di fattori che si sono incrociati, e una serie di persone che pensavano di poter gestire questo fenomeno e poi ne sono rimaste esse stesse vittime. Una di queste è stato Andreotti: quand’è stato fatto senatore a vita da Cossiga, insieme a Gianni Agnelli, circa sei mesi prima che esplodesse Mani Pulite, Andreotti sapeva bene cosa sarebbe scoppiato. Lo sapeva molto bene, come lo sapeva Cossiga – che guardacaso ha nominato due senatori a vita, Andreotti e Agnelli: vi sembra complicato dedurre che Giulio Andreotti e Gianni Agnelli sapessero cosa stava accadendo, e che lo sapesse anche Cossiga?Pensavano di poter gestire la situazione, ma queste cose scappano di mano: come diceva Craxi, prima o poi le volpi ci finiscono, in pellicceria. Poi si sono incrociate vendette internazionali: se uno sottrae all’arresto americano colui che ha materialmente ucciso uno dei capi del B’nai B’rith, non può pensare che quel braccio operativo, connesso col Mossad, “se la tenga”. E quindi ci è entrato il problema di Sigonella e tutta una serie di problemi. Di Pietro un golpista? No: Di Pietro è un opportunista, che ha lucrato politicamente (e probabilmente anche economicamente) sul fatto di trovarsi in una posizione gestita dai servizi segreti sin dalle origini, fin da quando da poliziotto diventa magistrato, sulla base di un certo piano, gestito anche dagli americani. E tramite questa posizione ha gestito rapporti con servizi segreti di tutto il mondo: dimessosi da magistrato, risulta che il primo viaggio che Di Pietro fa è in Turchia, dove partecipa a incontri con i servizi segreti turchi.Non è stato il primo, Fusaro, a sollevare la questione Mani Pulite in quei termini. Ma il problema è che Fusaro rappresenta una categoria non-pensante dell’Italia (per delle cose che ha detto prima, per come si pone). Non ho detto che lui è non-pensante: ho detto che è gradito ai non-pensanti. E questo è pericoloso, per Di Pietro, perché il suo successo lo ha dovuto ai non-pensanti. Questo per lui è un rischio forte: Di Pietro ha temuto lo scontro televisivo con Fusaro perché entrambi sono sullo stesso piano; affondano nello stesso pubblico, attingono allo stesso consenso, e quindi per Di Pietro è molto pericoloso, incrinare questo tipo di copertura. Il problema, in Italia, è che quelli che fanno qualcosa contro qualcuno vorrebbero prendergli il posto. Questa è la dinamica: attacco qualcuno perché voglio fare le cose che fa lui, al posto suo.Se questa è la dinamica, perché dovrei essere entusiasta di Fusaro? Se non lo sono stato di Di Pietro, non posso esserlo neanche di Fusaro. Le motivazioni sono uguali, le modalità sono uguali: le modalità di analisi, il populismo, la superficialità di certi giudizi, il non voler far pensare la gente (o forse, il non riuscirci). E quindi perché dovrei essere entusiasta di Fusaro se non lo sono stato di Di Pietro e di qualunque altro di questi Cola di Rienzo, di questi personaggi un po’ tribunizi che hanno cavalcato le scene italiane negli ultimi anni? Io sono per una politica diversa, una politica non fatta di tribuni. In Italia si sono abolite le tribune e si sono potenziati i tribuni. Io vorrei che venissero rispolverate le tribune e aboliti i tribuni. Magari ci riusciremo.(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” durante la diretta web-streaming “Carpeoro Racconta” del 22 ottobre 2017, ripresa su YouTube. Il filosofo Diego Fusaro si è scontrato il 19 ottobre nel corso della trasmissione “L’aria che tira”, condotta sul La7 da Myrta Merlino. Il riferimento di Carpeoro al B’nai B’rith è relativo a Lion Klinghoffer, israelo-statunitense ucciso dal commando palestinese del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina, che dirottò la nave da crociera Achille Lauro nel 1985. Dirottamento organizzato dagli uomini di George Habbash, leader del Fplp, e poi “risolto” dall’inviato di Arafat, Abu Abbas, con la collaborazione dell’Egitto e dell’Italia, il cui premier Craxi protesse poi il rimpatrio dei dirottatori e dello stesso Abu Abbas, dopo averli contesi a Sigonella ai marines schierati da Reagan per catturarli e tradurli negli Usa).Diego Fusaro in televisione accusa Antonio Di Pietro e i magistrati di Mani Pulite di aver fatto un colpo di Stato? Da un punto di vista linguistico, non definirei Mani Pulite un colpo di Stato, quanto piuttosto un complotto internazionale, nel senso che il golpe ha caratteristiche squisitamente politiche e personalistiche, che quella storia non ha avuto. Dietro c’erano interessi internazionali e servizi segreti: altre cose. Il colpo di Stato è il voler sostituire un regime con un altro regime. Qui non si voleva sostituire un regime politico: si voleva soltanto mandare a casa la sua dirigenza. Cosa che è stata fatta, con una serie di fattori che si sono incrociati, e una serie di persone che pensavano di poter gestire questo fenomeno e poi ne sono rimaste esse stesse vittime. Una di queste è stato Andreotti: quand’è stato fatto senatore a vita da Cossiga, insieme a Gianni Agnelli, circa sei mesi prima che esplodesse Mani Pulite, Andreotti sapeva bene cosa sarebbe scoppiato. Lo sapeva molto bene, come lo sapeva Cossiga – che guardacaso ha nominato due senatori a vita, Andreotti e Agnelli: vi sembra complicato dedurre che Giulio Andreotti e Gianni Agnelli sapessero cosa stava accadendo, e che lo sapesse anche Cossiga?
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Bufera su Visco, ma silenzio sul retroscena (supermassonico)
Si può anche chiamarla massoneria, ma la definizione è imprecisa: perché non tutti gli affiliati alle superlogge internazionali sono stati iniziati all’obbedienza massonica. Forse non ha mai indossato il grembiulino neppure l’uomo attualmente nella bufera, Ignazio Visco, in quota alla Ur-Lodge reazionaria “Edmund Burke”, difeso da Giorgio Napolitano (superloggia “Three Eyes”, come il ministro Padoan) e attaccato da Matteo Renzi, «che non è massone ma ha ripetutamente bussato – invano, finora – alle stesse reti: quelle della aristocrazia supermassonica neo-conservatrice, attraverso entità paramassoniche come il potentissimo Council on Foreign Relations, di Washington». L’autore di queste indicazioni sulla presunta identità supermassonica del vero potere è Gioele Magaldi, già gran maestro del Goi e poi affiliato alla Ur-Lodge progressista “Thomas Paine”. Nel 2014 Magaldi ha dato alle stampe “Massoni, società a responsabilità illimitata”, edito da Chiarelettere e trasformatosi in bestseller-fantasma: solo il “Fatto Quotidiano” l’ha adeguatamente recensito, nel silenzio assordante dei grandi media. Che peraltro continunano a ignorare Magaldi, anche quando parla di massoneria italiana e di casi scottanti come l’affare Mps, su cui pesa tra l’altro anche lo strano “suicidio” di David Rossi.«Anziché attaccare il Grande Oriente per le vicende provinciali di Banca Etruria – afferma Magaldi, oggi presidente del Movimento Roosevelt – giornali e televisioni farebbero meglio a interrogarsi sul ruolo di Mario Draghi e Anna Maria Tarantola, poi ministra di Monti: erano al vertice di Bankitalia quando la banca centrale avrebbe dovuto vigilare sull’operato del Montepaschi». Analoga polemica con Ferruccio De Bortoli, già direttore del “Corriere della Sera”: «Si parla genericamente di massoneria, in relazione a piccole vicende locali, mentre si continua a ignorare il ruolo supermassonico di primo piano rivestito in Italia, per conto di reti internazionali, da personalità come Monti, Draghi, la stessa Tarantola, l’ex presidente Napolitano e l’attuale ministro dell’economia, Pier Carlo Padoan». Sotto il fuoco renziano è ora finito Ignazio Visco? Non una parola, dal mainstream, sul possibile retroterra comune dei contendenti, legati a influenti “salotti” non italiani. Silenzio anche sul ruolo della banca centrale, a cui un altro supermassone, l’eurocrate Carlo Azeglio Ciampi, “staccò la spina” nel 1980, facendo in modo che Bankitalia cessasse di fungere da “bancomat del governo”, a costo zero, costringendo lo Stato – per finanziare il debito pubblico – a rivolgersi all’esosa finanza internazionale, mettendo all’asta i propri bond. Risultato: una falla rovinosa nel debito italiano, perfetta per indebolire il paese di fronte all’eurocrazia.«La messa alla berlina del governatore Visco ad opera della maggioranza piddina rappresenta un patetico scaricabarile politico», scrive Alberto Bagnai sul blog “Goofynomics”, che parla di «modus paraculandi». Bankitalia non vigilava adeguatamente sulla crisi delle banche italiane? Consob neppure? Chi, onestamente, può dire il contrario? «Ma pensiamo davvero che Visco e Fazio fossero degli incompetenti, dei dilettanti? Se così fosse – aggiunge Bagnai – la loro nomina ad opera della classe dirigente che ancora oggi si ripropone come insostituibile oligarchia dovrebbe suscitare alcune domande anche nell’elettore più superficiale». Forse, continua Bagnai, la causa di tante “sviste” ad opera degli organismi di controllo esterni e interni alle banche italiane «era imputabile non all’umana pochezza ma ad un’altra causa: ad un vincolo esterno». Più precisamente «a un chiaro e inequivocabile ordine di scuderia», emanato in sede europea. «Un ordine al quale tutti, ma proprio tutti, dai vertici Bce fin al più passivo sindaco e revisore della più piccola banca territoriale», dovevano sottostare. Ovvero: «Non intralciare l’enorme arbitraggio finanziario reso possibile dal Trattato di Maastricht e dall’unione monetaria».Arbitraggio? «Così si chiama il prendere a prestito nel nucleo e prestare con spread ai mal-investitori della periferia senza subire rischi di cambio e senza alcun controllo sui movimenti dei capitali», spiega l’economista. «Una colossale macchina da soldi, la cui già enorme potenza era ulteriormente amplificata dal mercato dei derivati, grazie al quale si diluivano i rischi di credito nell’oceano degli ignari e polverizzati investitori globali». In pratica, una droga: «Come nel narcotraffico fisico, nel narcotraffico finanziario tutti si sono sporcati le mani: i coltivatori (ingegneri e top manager finanziari), i cartelli dei trafficanti (le grandi banche del nucleo, cresciute in “Germagna” sino a diventare uno Stato nello Stato), i cartelli degli spacciatori e la loro rete di “down the line dealers” (le grandi banche commerciali periferiche e le numerose banchette che le contornano)». E poi anche «i governi, i responsabili dei controlli a tutti i livelli: pubblici e privati, nazionali e internazionali, i partiti e le forze politiche, tutti pro-Maastricht e pro-euro (ricordo che la “Costituzione europea” da noi fu votata all’unanimità e il Fiscal Compact con dibattito praticamente zero»).E’ stato questo il “miracolo” dell’euro, sintetizza Bagnai con sarcasmo: «È stata questa la fonte di accumulo di capitale finanziario che ora permette la fase due: sfruttare la mobilità incontrollata del lavoro». Quindi, «cari moralisti falliti e vigliacchi – chiosa l’economista – chi di voi è senza Maastricht scagli la prima pietra». Se è difficile leggere analisi di questo tenore sulla grande stampa, o tantomeno ascoltarle in televisione, è addirittura impensabile imbattersi in spiegazioni dettagliate su quello che Bagnai chiama “vincolo esterno”. La piaga del neoliberismo finanziario in versione europea ha drasticamente impoverito centinaia di milioni di persone? Certamente, osserva Magaldi, ma bisogna pur sapere che ogni piano – compreso questo – cammina sulle gambe di individui precisi, accuratamente selezionati da un’élite occulta per occupare posti-chiave. Rarissimo che l’oligarchia si dichiari: è accaduto di recente in Francia, quando il supermassone reazionario Jacques Attali ha rivendicato la partenità del progetto che ha portato all’Eliseo la sua creatura, Emmanuel Macron, già dirigente della Banca Rothschild. In Italia, invece, si sorvola regolarmente anche su un altro difensore di Ignazio Visco: Romano Prodi. «Ne parlerò nel sequel di “Massoni”, di prossima uscita», annuncia Magaldi.«Pessimo interprete di questa globalizzazione privatizzatrice», l’ex premier ulivista, ex presidente della Commissione Europea nonché advisor di Goldman Sachs: benché ufficialmente “progressista” sarebbe anch’esso «affiliato a quelle potenti reti supermassoniche internazionali che hanno progettato la grande crisi, in termini di svuotamento della democrazia e colossale trasferimento della ricchezza dal basso verso l’alto», sostiene Magaldi. La stampa ne coglie sempre e solo gli effetti terminali – la disoccupazione, la crisi dei risparmiatori colpiti dai crack bancari – evitando però sempre di inquadrare il disegno, i suoi architetti occulti e i relativi interpreti locali. Non stupisce che giornali e televisioni continuino a ignorare le rivelazioni di Magaldi, che forniscono un’inedita geografia del vero potere. Tra le 36 superlogge mondiali, da cui dipendono entità paramassoniche come il Bilderberg e la stessa Trilaterale, spicca il ruolo nefasto svolto negli ultimi decenni dalle Ur-Lodges neoaristocratiche e oligarchiche, come la “Edmund Burke”, la “Compass Star-Rose”, la “Leviathan”, la “White Eagle”, senza contare la potentissima “Three Eyes” (Kissinger, Rockefeller, Rothschild) e la “Hathor Pentalpha” fondata dai Bush, secondo Magaldi con intenti addirittura terroristici (11 Settembre, Al-Qaeda, Isis).A valle, la mappa del back-office del potere si rifletterebbe in Italia – come in ogni altro paese, non solo occidentale – nel reticolo dei leader locali: Magaldi ha ripetutamente indicato l’appartenenza di Giorgio Napolitano alla “Three Eyes” (la stessa di Attali). Della “Three Eyes” farebbero parte anche Padoan e Draghi, Gianfelice Rocca (Techint) e Giuseppe Recchi (costruzioni), Marta Dassù (Finmeccanica), Enrico Tommaso Cucchiani (banchiere, già a capo di Intesa Sanpaolo) e l’ex ministra renziana Federica Guidi. Altri circuiti della stessa supermassoneria neo-conservatrice sarebbero rappresentati da uomini affiliati a Ur-Lodges come la “Babel Tower” (Mario Monti), la “Compass Star-Rose” (Fabrizio Saccomanni, Massimo D’Alema, Vittorio Grilli), la “Atlantis-Aletheia” (Corrado Passera), la “Pan-Europa” (Alfredo Ambrosetti, Emma Marcegaglia). Ignazio Visco, l’attuale governatore di Bankitalia, sarebbe invece legato alla “Edmund Burke” (insieme all’ex ministro dell’economia Domenico Siniscalco). Ma non c’è caso che ne si faccia cenno, nelle cronache: tutto finirà, come sempre, attorno alle chiacchiere di Renzi, più quelle su Renzi e quelle contro Renzi, senza spiegare verso quali scogli sta andando la nave, e per ordine di chi.Si può anche chiamarla massoneria, ma la definizione è imprecisa: perché non tutti gli affiliati alle superlogge internazionali sono stati iniziati all’obbedienza massonica. Forse non ha mai indossato il grembiulino neppure l’uomo attualmente nella bufera, Ignazio Visco, in quota alla Ur-Lodge reazionaria “Edmund Burke”, difeso da Giorgio Napolitano (superloggia “Three Eyes”, come il ministro Padoan) e attaccato da Matteo Renzi, «che non è massone ma ha ripetutamente bussato – invano, finora – alle stesse reti: quelle della aristocrazia supermassonica neo-conservatrice, attraverso entità paramassoniche come il potentissimo Council on Foreign Relations, di Washington». L’autore di queste indicazioni sulla presunta identità supermassonica del vero potere è Gioele Magaldi, già gran maestro del Goi e poi affiliato alla Ur-Lodge progressista “Thomas Paine”. Nel 2014 Magaldi ha dato alle stampe “Massoni, società a responsabilità illimitata”, edito da Chiarelettere e trasformatosi in bestseller-fantasma: solo il “Fatto Quotidiano” l’ha adeguatamente recensito, nel silenzio assordante dei grandi media. Che peraltro continunano a ignorare Magaldi, anche quando parla di massoneria italiana e di casi scottanti come l’affare Mps, su cui pesa tra l’altro lo strano “suicidio” di David Rossi.