Archivio del Tag ‘L’Espresso’
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Nessuno cresce per caso: la Meloni piace all’establishment
Nessuno cresce per caso. O meglio, non basta essere bravi politici per crescere in punti percentuali. Questa è la prima regola delle democrazie occidentali. Per capire l’evoluzione dello scenario partitico italiano occorre leggere tra le righe delle geometrie nazionali e internazionali. Così da non illudersi troppo facilmente per alcuni, o scandalizzarsi troppo istericamente per altri. Facciamo un passo indietro negli anni. Quando Matteo Salvini diventò segretario, era dicembre del 2013, la Lega era al 4 per cento, mentre il Movimento 5 Stelle già rompeva la dicotomia destra/sinistra diventando il partito più votato dagli italiani col 25 per cento di consensi dopo le elezioni di febbraio (sempre del 2013). Insomma la cavalcata del “Capitano” – aldilà della sua non ordinaria capacità di calarsi fisicamente nei luoghi, a una velocità supersonica, tra un comizio, una fiera locale o una sagra di paese – serviva in quel momento storico ad arginare l’ascesa dirompente del M5S ma soprattutto a fermare l’emorragia dei voti di centro-destra. Col tempo, Matteo Salvini sfrutta il vuoto mediatico lasciato dai diktat di Beppe Grillo che costringono i suoi a non andare in televisione, diventa uomo di copertina e da talk show, abbandona la “secessione”, avvia un progetto di architettura “nazionale” e introduce il “sovranismo” nel suo manifesto politico in contrapposizione al “populismo civico pentastellato”.Con questa strategia riesce a portare la Lega dal 4 al 17 (marzo 2018), al 34 per cento (maggio 2019), con una parentesi di governo “nazional-populista” durata 15 mesi che spiazzò tutte le centrali cultural-finanziarie, al punto ora da concorrere per la prima volta della storia repubblicana con il Partito Democratico in Emilia Romagna, e da conquistare in Calabria la prima regione del Sud Italia. Incredibile ma vero. Matteo Salvini gode di consenso popolare ma è isolato all’estero. Se non fosse per la sua animalità politica – la campagna elettorale in Emilia Romagna, dettata da un’agenda dell’ubiquità, è da manuale – avremmo potuto annunciare la sua fine, eppure dobbiamo aspettare ancora un po’ di tempo. In compenso esiste una seconda regola nelle democrazie occidentali. Per governare in Italia non basta il consenso popolare ma occorre anche avere una sponda all’estero molto forte. Il leader della Lega dovrebbe impararla a memoria perché a furia di stare tra le folle – impressionanti, dovremmo aggiungere per onestà intellettuale – ha trascurato i tavoli internazionali, laddove si decidono anche le sorti dell’Italia. Dopo essere stato più o meno scaricato da Donald Trump che in fase di consultazioni fece un endorsement a “Giuseppi”, nonché dal Cremlino dopo il caso “moscopoli”, ora cerca con ritardo e in modo sconclusionato di incassare un sostegno da Israele e dai suoi circoli in Italia.Chi ha capito questa regola è appunto Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia, che in maniera chirurgica e silenziosa tesse la sua ragnatela negli spazi che contano, laddove Matteo Salvini è stato marginalizzato o si è auto-marginalizzato: Washington e Bruxelles. Aderendo al Parlamento Europeo al Partito dei Conservatori e dei Riformisti Europei ha scelto un percorso riformista e moderato, e senza scattarsi fotografie con il berretto rosso con scritto “Make America Great Again” già prepara una missione alla Casa Bianca per parlare direttamente con Donald Trump o in alternativa con il vicepresidente Mike Pence. Proprio di questo si sarebbe parlato martedì 12 novembre in un incontro super riservato a Villa Taverna rivelato da “Repubblica”, con l’ambasciatore statunitense Lewis Eisenberg. E non è un caso che di recente, in una prospettiva avveniristica di consolidamento dell’asse anglo-americano con la rielezione di Trump e la Brexit già annunciata da Boris Johnson, anche il “Times” l’abbia inserita tra le 20 persone che potrebbero cambiare il mondo nel 2020. In sintesi, il blocco anglo-americano ha bisogno dell’Italia per tenere un piede in Europa, e Giorgia Meloni sembrerebbe molto più affidabile di Matteo Salvini. E’ quando sei tra le “stelle nascenti” del “Times” che devi domandarti se stai facendo la cosa giusta.Ad aver intuito queste dinamiche sono i nemici di Matteo Salvini, i quali hanno capito di non poterlo sfidare frontalmente, così hanno deciso di indebolirlo portando lo scontro nel suo campo, dall’interno, alimentando la crescita di Fratelli d’Italia al fine di ridimensionare i rapporti di forza nel centro-destra. Non è un caso infatti che i sondaggi danno Fdi in crescita, proporzionalmente al calo della Lega, e sui mezzi d’informazione riceve più inviti di tutti gli altri. Stando all’ultimo studio di Mediamonitor.it sulle presenze dei politici italiani nei principali tv nazionali (Rai, Mediaset, La7, SkyTg24), che ha diviso gli ultimi sei mesi in due periodi distinti (gli ultimi tre mesi dell’esecutivo Conte I; e i primi tre mesi del Conte II), Giorgia Meloni è infatti quella che cresce di più in fatto di ospitate: +58,8 per cento. Chi dice che è merito del tormentone musicale “Io sono Giorgia” o del suo social media manager (come dicono a “L’Espresso”), non ha capito che le partite non si giocano in superficie ma in profondità, oppure a un livello molto più alto. Dipende dai punti di vista, ma la sostanza è la stessa. Le logiche dell’establishment sono molto più potenti dei semplici algoritmi. Vallo a spiegare ai “giovani coglioni” (direbbe Céline) che perseguitano la “Bestia”.(Sebastiano Caputo, “L’ascesa di Giorgia Meloni”, da “L’Intellettuale Dissidente” del 20 gennaio 2020).Nessuno cresce per caso. O meglio, non basta essere bravi politici per crescere in punti percentuali. Questa è la prima regola delle democrazie occidentali. Per capire l’evoluzione dello scenario partitico italiano occorre leggere tra le righe delle geometrie nazionali e internazionali. Così da non illudersi troppo facilmente per alcuni, o scandalizzarsi troppo istericamente per altri. Facciamo un passo indietro negli anni. Quando Matteo Salvini diventò segretario, era dicembre del 2013, la Lega era al 4 per cento, mentre il Movimento 5 Stelle già rompeva la dicotomia destra/sinistra diventando il partito più votato dagli italiani col 25 per cento di consensi dopo le elezioni di febbraio (sempre del 2013). Insomma la cavalcata del “Capitano” – aldilà della sua non ordinaria capacità di calarsi fisicamente nei luoghi, a una velocità supersonica, tra un comizio, una fiera locale o una sagra di paese – serviva in quel momento storico ad arginare l’ascesa dirompente del M5S ma soprattutto a fermare l’emorragia dei voti di centro-destra. Col tempo, Matteo Salvini sfrutta il vuoto mediatico lasciato dai diktat di Beppe Grillo che costringono i suoi a non andare in televisione, diventa uomo di copertina e da talk show, abbandona la “secessione”, avvia un progetto di architettura “nazionale” e introduce il “sovranismo” nel suo manifesto politico in contrapposizione al “populismo civico pentastellato”.
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Dopo 40 anni, ora “Repubblica” è finita agli Agnelli-Elkann
Lunedì sera è diventata ufficiale l’acquisizione della maggioranza relativa del gruppo editoriale Gedi da parte di Exor, la più grande società italiana per fatturato, di proprietà della famiglia Agnelli-Elkann. Se ne parlava da settimane – e pure da qualche anno, come vedremo – ma è la più grossa storia capitata ai giornali italiani in questo millennio, per molte ragioni. La prima ragione, la più “fine-di-un’era”, è che il quotidiano “Repubblica” non è più della famiglia De Benedetti. “Repubblica” fu creata nel 1976 da un gruppo di giornalisti e investitori, e inserita dentro un gruppo editoriale in cui stava il settimanale “L’Espresso”, allora molto venduto e importante, e ne prendeva il nome. Nel 1979 l’imprenditore Carlo De Benedetti entrò nella società e negli anni successivi estese la sua partecipazione, e il suo ruolo crebbe fino a farlo diventare l’editore del gruppo, che nel tempo acquisì molti quotidiani locali storici ne creò altri, e comprò anche le due importanti radio, “Deejay” e “Capital”. Carlo De Benedetti, che i giornali hanno sempre chiamato “l’ingegnere”, divenne per molti anni un protagonista della scena editoriale e politica italiana, con una grande passione per il ruolo esercitato e per il potere acquisito da “Repubblica” e dal gruppo nella vita pubblica.Solo per dire della sua esposizione più famosa e citata nella politica, al tempo della ideazione del Partito Democratico circolò molto una sua frase per cui ne avrebbe preso “la tessera numero uno”. Sotto la proprietà di Carlo De Benedetti, “Repubblica” ebbe due importantissimi direttori, rimasti in carica per ben vent’anni ciascuno, fino al 2016: Eugenio Scalfari prima ed Ezio Mauro dopo. Ma dall’inizio del 2016 la storia del quotidiano ha preso una velocità completamente diversa: dopo questi lunghi periodi di continuità, nel 2016 fu appunto nominato un nuovo direttore, Mario Calabresi (allora direttore della “Stampa”, e prima già a lungo a “Repubblica”), e due mesi dopo fu annunciata una storica fusione con il gruppo editoriale della famiglia Agnelli che pubblicava la “Stampa”, il terzo quotidiano italiano. Già nel 2019 Calabresi era stato di fatto licenziato, e Carlo Verdelli (già vicedirettore al “Corriere della Sera”, poi direttore di “Vanity Fair” e della “Gazzetta dello Sport”) nominato al suo posto. E dopo solo nove mesi, lunedì, la cessione della maggioranza del gruppo alla famiglia Agnelli. Cosa è successo in questi tre anni, anzi sei?Nel 2013 Carlo De Benedetti – che stava compiendo 79 anni – aveva ceduto la proprietà del gruppo Espresso ai tre figli, annunciando di volersi ritirare dal ruolo di editore. L’operazione era stata seguita con curiosità dal mondo dell’editoria giornalistica, perché nessuno dei tre figli Rodolfo, Marco ed Edoardo si era mai mostrato interessato a quel ramo delle attività di famiglia, né aveva la passione per la scena giornalistico-politica che aveva avuto del padre. Edoardo fa il cardiologo, Rodolfo e Marco si occupano di altre aziende di famiglia: Rodolfo soprattutto con ruoli importanti negli affari finanziari e un più volte manifestato disinteresse per il tormentato business dei giornali. Anche per questo, quando nel 2016 c’era stata la clamorosa fusione con il gruppo editoriale della “Stampa” (che comprendeva anche il quotidiano “Secolo XIX” di Genova), in molti si erano domandati se fosse stata «”Repubblica” ad avere comprato la “Stampa”, o la “Stampa” ad avere comprato “Repubblica”», ovvero chi avrebbe preso il comando della nuova società tra Rodolfo De Benedetti e John Elkann: malgrado il gruppo Espresso fosse il più grande, e ufficialmente le quote maggiori fossero della famiglia De Benedetti, le curiosità per l’editoria giornalistica di John Elkann – capo delle aziende della famiglia Agnelli – sembravano più convinte e motivate (Elkann aveva contestualmente lasciato una vecchia presenza nell’azionariato della società editrice del “Corriere della Sera”).La nuova società, però – ribattezzata Gedi – veniva in effetti gestita da Rodolfo e Marco De Benedetti, e anche le scelte successive sembravano privilegiare la testata maggiore – “Repubblica” – rispetto alla “Stampa”, che dopo un iniziale ruolo di “secondo quotidiano nazionale del gruppo” pareva essere stato destinato a quello di “primo quotidiano locale del gruppo”. Nel frattempo era cambiata l’Italia: la scelta di un nuovo direttore di 46 anni (“giovane”, per le abitudini dei grandi quotidiani italiani) come Mario Calabresi era il risultato di una lettura del cambiamento italiano in cui il tempo della grande contrapposizione manichea tra berlusconismo e antiberlusconismo era finito, e in cui i recenti successi di Matteo Renzi sembravano confermare che il paese si stesse muovendo verso divisioni più sfumate e articolate, verso complessità maggiori, e verso una maggiore modernità e un rinnovamento generazionale. Mario Calabresi, capace di rapporti più trasversali e analisi meno schematiche, oltre che nato negli anni Settanta, era parso l’uomo giusto per confermare “Repubblica” dentro i tempi, ribaltandone l’approccio tenuto nell’era precedente.Un giornale più contemporaneo, anche nel disegno e nei temi, con una nuova inventiva sui progetti digitali, e che addirittura arrivò a un’occasione importantissima e divisiva come il referendum costituzionale scegliendo di non dare una linea esatta ai suoi lettori, e offrendo spazio a entrambe le posizioni. Ma l’analisi del cambiamento si rivelò rapidamente sbagliata (un po’ da tutti): quel periodo di innovazione e costruzione di una nuova sinistra di successo si è esaurito – come si sa – molto rapidamente, e quello che lo ha sostituito sono di nuovo tempi di “resistenza” a sinistra, di indicazione del nemico, di contrapposizioni violente. Da questa constatazione di errata direzione è venuto l’allontanamento drastico di Calabresi all’inizio del 2019, con modi e atteggiamenti oggettivamente sgradevoli da parte dell’editore, e confermati anche da Carlo De Benedetti, che intanto aveva cominciato a rifarsi vivo pubblicamente per criticare la piega presa dal giornale. Al suo posto è stato nominato Carlo Verdelli, 62 anni, molto stimato per la sua capacità di guidare i progetti giornalistici più diversi e di conoscere i sentimenti e desideri dei lettori.Il quale Verdelli – più in sintonia coi tempi – ha immediatamente restaurato e reinventato gli approcci tradizionali di “Repubblica”, con posizioni molto più aggressive e urlate, una campagna promozionale dal titolo “Alza la voce” e titoli più forti e grandi anche come dimensioni (anche qui, però, dopo pochi mesi il cambio di governo ha messo in difficoltà la linea di opposizione bellicosa del giornale alla maggioranza Lega-M5S). Sullo sfondo di tutto questo, non si può ignorare la crisi economica complessiva e mondiale dei giornali e dei quotidiani, e le difficoltà dei gruppi editoriali a limitare le perdite e ricostruire modelli di business nuovi: e quindi il declino economico anche del gruppo Gedi, e l’enorme difficoltà di qualunque nuovo orientamento o progetto a ottenere risultati migliori sotto questi aspetti. In questo quadro già complicato e spaesato, lo scorso settembre Carlo De Benedetti – che nel frattempo aveva esibito pubblicamente la sua delusione per le difficoltà del suo ex giornale – ha improvvisamente presentato un’offerta per riacquistare dai figli le loro quote del gruppo, sostenendo con sprezzo che non fossero capaci di gestirlo, che non ne avessero alcun interesse, e che lo stessero portando al fallimento.L’offerta, bassa e giudicata irricevibile da qualunque esperto, veniva motivata da De Benedetti appunto col basso valore a cui il gruppo sarebbe stato portato dalla gestione dei figli. I quali avevano reagito con maggiore sobrietà ma altrettanta irritazione, dicendosi addolorati di un simile atto di disistima e avversità e rifiutando la proposta. Ma era chiaro che la situazione non poteva andare avanti senza altri sconvolgimenti. E lo sconvolgimento ha cominciato a circolare come probabile nelle redazioni da qualche settimana, ed è diventato ufficiale lunedì sera. “Repubblica”, dopo quarant’anni, non è più della famiglia De Benedetti; la famiglia Agnelli si è ripresa il suo quotidiano storico, la “Stampa”; e malgrado il percorso tortuoso, è finita che è «la “Stampa” ad avere comprato “Repubblica”». Ancora ne succederanno, perché le difficoltà di un grande gruppo mediatico rimarranno e dovranno essere affrontate con idee e denaro, e non è detto che bastino le une o l’altro. Ma il 2 dicembre è stato un giorno che si ricorderà nella storia dei giornali italiani. La fine di un’era, davvero, come dicono i quotidiani.(”La storia più grossa in mezzo secolo di giornali italiani”, da “Il Post” del 3 dicembre 2019).Lunedì sera è diventata ufficiale l’acquisizione della maggioranza relativa del gruppo editoriale Gedi da parte di Exor, la più grande società italiana per fatturato, di proprietà della famiglia Agnelli-Elkann. Se ne parlava da settimane – e pure da qualche anno, come vedremo – ma è la più grossa storia capitata ai giornali italiani in questo millennio, per molte ragioni. La prima ragione, la più “fine-di-un’era”, è che il quotidiano “Repubblica” non è più della famiglia De Benedetti. “Repubblica” fu creata nel 1976 da un gruppo di giornalisti e investitori, e inserita dentro un gruppo editoriale in cui stava il settimanale “L’Espresso”, allora molto venduto e importante, e ne prendeva il nome. Nel 1979 l’imprenditore Carlo De Benedetti entrò nella società e negli anni successivi estese la sua partecipazione, e il suo ruolo crebbe fino a farlo diventare l’editore del gruppo, che nel tempo acquisì molti quotidiani locali storici ne creò altri, e comprò anche le due importanti radio, “Deejay” e “Capital”. Carlo De Benedetti, che i giornali hanno sempre chiamato “l’ingegnere”, divenne per molti anni un protagonista della scena editoriale e politica italiana, con una grande passione per il ruolo esercitato e per il potere acquisito da “Repubblica” e dal gruppo nella vita pubblica.
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Il silenzio di Conte, l’avvocato delle spie: cosa ci nasconde?
È accaduto tutto così velocemente che ancora non tutto è chiaro. Il passaggio in 20 giorni da una coalizione orientata a destra, a un’altra di un colore opposto, è stato un tale cambio, e talmente improvviso, da non aver ancora sedimentato tutte le risposte sulle sue radici e ragioni – perché si è sgretolato il potere di Salvini proprio al suo culmine? Cosa ha rotto l’unità del governo? Come mai è sopravvissuto alla crisi della sua coalizione Giuseppe Conte, arrivando a guidarne una seconda di segno opposto? Le risposte sono tante e vanno dalle più fantasiose e oscure (doppi e tripli complotti) alle più politologiche, passando per l’inevitabile visita al sofà degli psicanalisti. Le rivelazioni del “New York Times” e del “Washington Post” sulle visite e gli incontri segreti avuti nel nostro paese dagli alti rappresentanti dell’amministrazione Trump con rappresentanti dell’intelligence italiana aggiungono ora altre domande, molto più inquietanti: come mai il presidente Conte non ha informato nessuno di questi contatti con gli americani e della loro missione in Italia? Avrebbe potuto? Avrebbe dovuto? O la sua è stata una opaca manovra, che ha in qualche modo interferito sul corso stesso della crisi e della sua composizione?Conte dovrà ora rispondere a queste e ad altre domande davanti al Copasir, il Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica, che lo ha convocato. Dopo questa audizione, il premier risponderà poi anche pubblicamente, come lui stesso ha annunciato in queste ore. Ma basta rimettere in fila gli avvenimenti che hanno portato all’avvitarsi di questa crisi per nutrire più di un dubbio, se non un sospetto, sulla segretezza con cui questi contatti fra Palazzo Chigi e gli americani sono stati protetti. Dal calendario, infatti, risulta evidente, come si diceva, che la crisi si avvita in maniera velocissima, in primavera, e che a un certo punto incrocia vari appuntamenti. Prendendo a misura i rapporti di Salvini con la Russia, possiamo risalire al 15-16 luglio del 2018, il viaggio a Mosca per i mondiali di calcio del leader leghista. Il 17-18 ottobre del 2018 va di nuovo in Russia. Son i giorni anche del famoso incontro all’Hotel Metropol di suoi collaboratori con tre russi per un presunto finanziamento di 65 milioni per la Lega. L’incontro del Metropol viene svelato il 24 febbraio del 2019 dal settimanale “L’Espresso”. Il 17 giugno 2019 Salvini vola in Usa per incontrare Trump, ma vede solo il vicepresidente Pence e il segretario di Stato, ex capo della Cia fino al marzo, Mike Pompeo. Il 4 luglio Putin è a Roma in visita ufficiale. Il 10 luglio il sito “Buzzfeed” pubblica l’audio dell’incontro al Metropol fra i leghisti e i russi. Da quel momento assistiamo a una accelerazone.Il 17-18 luglio Salvini va a Helsinki per il vertice dei ministri dell’interno Ue e attacca l’alleanza di governo in Italia: «Con i 5 Stelle non c’è più fiducia, nemmeno personale», e evoca per la prima volta il voto anticipato. Il 31 luglio la riforma Bonafede viene approvata “salvo intese” da un diviso Cdm. Il 6 agosto il decreto sicurezza-bis è legge. Il giorno dopo, il 7 agosto, al Senato M5S e Salvini sostengono due opposte mozioni sulla Tav. L′8 agosto la crisi si formalizza con una nota in cui il leader della Lega annuncia che non c’è più maggioranza. Entrano in scena nuovi attori. È il 15 agosto, e nella Roma infuocata del ferragosto arriva una delegazione da Washington. Altissimo livello: il General Attorney, il ministro di giustizia William Barr. Non sappiamo ancora esattamente cosa cerchino gli uomini di Trump. Sappiamo solo che cercano in Italia le prove che l’inchiesta Mueller sui rapporti di Trump con i russi per orientare le elezioni americane sia stata tutta una invenzione dei democratici Usa. La posizione di Washington in merito non è molto velata: l’idea è che intelligence di alcuni paesi europei, Inghilterra e Italia nello specifico, abbiano aiutato un attacco alla democrazia in America. Di tutto questo sappiamo davvero poco. Ma sappiamo che, di qualunque cosa si tratti, Conte autorizza gli incontri.Ripetiamo: è il 15 agosto. Esattamente 5 giorni dopo, il 20 agosto, Conte va in Senato e pronuncia il famoso discorso con cui scarica Salvini e consuma la rottura della coalizione. Nel discorso l’attacco all’ex alleato, il rapporto con la Russia del leghista, e la vicenda Metropol hanno un grande rilievo. Il 24 agosto Conte si reca al G7 di Biarritz su Iran, dazi, e Russia. Trump, appena giunto alla cena di apertura si ferma a parlare per una decina di minuti con il premier italiano. Un colloquio molto fitto, dicono fonti di Palazzo Chigi, durante il quale il tycoon ha testimoniato molta considerazione e attenzione personale nei confronti del professore, assicurando che «i rapporti personali vanno al di là degli incarichi». Il 27 agosto Trump si fa più esplicito: «Spero che Giuseppi Conte resti premier». Il 5 settembre giura il nuovo governo M5S-Pd, con premier lo stesso Conte. Venerdì 27 settembre, nuova visita della delegazione Usa, stesso scopo. Eccetto che stavolta nella nuova coalizione del governo Conte c’è il Pd. Neanche in questo caso, come il 15 agosto, Conte informa l’alleato. E se si può dire che forse con Salvini la crisi era già consumata a metà agosto, con il Pd si è in piena luna di miele.La prima domanda è dunque: avrebbe dovuto informare i suoi alleati? E, se verificato al Copasir che non l’ha fatto, la sua scelta rivela un elemento di mancata “opportunità” o di opacità bella e buona? Insomma c’è una sorta di colpevole silenzio? L’avvocato Conte ha sempre voluto, e conservato gelosamente, il suo ruolo di capo dei servizi. La legge affida infatti al presidente del Consiglio “l’alta direzione e la responsabilità generale della politica dell’informazione per la sicurezza, nell’interesse e per la difesa della Repubblica e delle sue istituzioni democratiche”. La legge 3 agosto 2007 n. 124 all’articolo 3 prevede che il presidente del Consiglio possa delegare talune sue prerogative (eccetto quelle sue esclusive) a un ministro senza portafoglio o a un sottosegretario di Stato alla presidenza. La legge dice che può, ma non che deve. E il gioco del delegare o meno è sempre entrato a far parte della tessitura di tutti i governi come parte del profilo che intende prendere. Alcuni premier così hanno delegato; gli ultimi due, Gentiloni e Conte, non hanno delegato. Conte si è tenuto la delega nella formazione del governo di coalizione dei giallorossi, soprattutto come bilanciamento a Salvini agli interni. Conte tuttavia non ha delegato nemmeno dopo, quando è rimasto capo del governo con la coalizione con il Pd.Tenendosi questa delega il premier attuale è di fatto il capo di ogni responsabilità attinente l’intelligence. Nulla può muoversi senza la sua decisione. Ma è obbligato a informare i suoi colleghi? O può/deve mantenere il silenzio assoluto? Gli esperti sostengono che eccetto per il segreto di Stato, che riguarda però gravi emergenze, potenziali danni gravi che potrebbero derivare per il paese, vale per il resto una “opportunità” politica che spinge a informare l’apposito comitato ristretto del Consiglio dei ministri. In questo caso la “opportunità politica” non era forse tale da spingere/obbligare Conte a informare? La domanda si fa tanto più urgente se, come è il caso, si tratta non di uno ma di ben due esecutivi, di natura fra loro completamente diversa, con cui si è scelto il silenzio. Per semplificare: se è possibile che Conte abbia scelto di non informare Salvini sulla visita di Barr il 18 agosto perché ormai in piena rottura, perché non ha informato (o lo ha fatto ?) della visita il 27 settembre in piena luna di miele con il Pd? È, come si diceva, un intreccio di scelte e date che lascia inquieti: il rapporto fra Conte e l’amministrazione americana avviene infatti con tempi tali da sollevare almeno il dubbio che ci sia una forte relazione fra la crisi italiana, la conferma del premier e il consenso americano. Si intravvede uno scambio, e forse questo scambio c’è o forse no, ma Conte ci deve sicuramente una spiegazione. Il silenzio con cui ha custodito questi contatti è forse, infatti, l’elemento più inquietante di questa vicenda.(Lucia Annunziata, “L’avvocato delle spie”, articolo pubblicato dall’“Huffington Post” e ripreso da “Dagospia” il 4 ottobre 2019).È accaduto tutto così velocemente che ancora non tutto è chiaro. Il passaggio in 20 giorni da una coalizione orientata a destra, a un’altra di un colore opposto, è stato un tale cambio, e talmente improvviso, da non aver ancora sedimentato tutte le risposte sulle sue radici e ragioni – perché si è sgretolato il potere di Salvini proprio al suo culmine? Cosa ha rotto l’unità del governo? Come mai è sopravvissuto alla crisi della sua coalizione Giuseppe Conte, arrivando a guidarne una seconda di segno opposto? Le risposte sono tante e vanno dalle più fantasiose e oscure (doppi e tripli complotti) alle più politologiche, passando per l’inevitabile visita al sofà degli psicanalisti. Le rivelazioni del “New York Times” e del “Washington Post” sulle visite e gli incontri segreti avuti nel nostro paese dagli alti rappresentanti dell’amministrazione Trump con rappresentanti dell’intelligence italiana aggiungono ora altre domande, molto più inquietanti: come mai il presidente Conte non ha informato nessuno di questi contatti con gli americani e della loro missione in Italia? Avrebbe potuto? Avrebbe dovuto? O la sua è stata una opaca manovra, che ha in qualche modo interferito sul corso stesso della crisi e della sua composizione?
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Le frontiere salvano popoli e libertà: ditelo, a John Lennon
“Le frontiere uccidono”, titolava una copertina recente de “L’Espresso”. È vero se pensiamo ai Vopos che uccidevano i loro connazionali, i tedeschi dell’Est che tentavano di varcare la frontiera per fuggire dal regime comunista. Se non sbaglio è stato l’ultimo capitolo in Europa di persone uccise perché volevano saltare il muro o il filo spinato. Ed era la frontiera di casa loro. A ben vedere, le frontiere che impediscono di entrare clandestinamente non sono malefiche perché salvaguardano popoli e territori, leggi, regole e cittadinanza, diritti e doveri; invece sono malefiche le frontiere che impediscono di uscire, come le cortine di ferro di tutti i regimi comunisti. Quelle si, furono frontiere criminogene che trasformavano le nazioni in prigioni e gli Stati in carcerieri. Ma dietro quel titolo e quella campagna contro le frontiere c’è un’ideologia, anzi c’è L’Ideologia del nostro Sconfinato Presente Globale. La riassume l’antropologo Michel Agier nella stessa rivista: «L’unica speranza è liberare il mondo dai confini», in modo da consentire «la libera circolazione delle persone». Senza limiti. Ma questo è il sunto della predica che ci propina ogni giorno la Fabbrica Mondiale dell’Opinione Corretta e che ha trovato in Carola Rackete la sua ultima testimonial, con tutto lo strascico di protettori e tifosi.È l’ideologia “no border”, morte ai confini, abbattiamo i muri e le frontiere di ogni tipo – tra popoli, tra territori, tra Stati, tra sessi, tra culture. È il Racconto Unico e Globale recitato ogni giorno come un rosario dell’uniformità, da stampa e propaganda, declamato dal Papa e da cantanti, artisti, intellettuali, opinionisti e bella gente. Nell’ideologia “no border” confluiscono più eredità: l’Internazionale socialista e comunista, il cosmopolitismo di matrice illuminista e massonica, il filone catto-umanitario, la filantropia e il capital-liberismo del Mercato Globale. Ma di mezzo c’è un passaggio. È l’utopia eco-pacifista e anarco-permissiva fiorita tra il ’68, l’Isola di Whight e Woodstock nell’estate del ’69, che fu l’apoteosi del mondo hippie. Libero amore, libera droga, niente limiti e confini. Quel clima trovò il suo manifesto ideologico in una celebre canzone del ’71, “Imagine” di John Lennon. Fu la bibbia di quei mondi. Non è un caso che la sigla di chiusura del comunismo in Italia sia stata proprio la canzone di Lennon, suonata a un congresso di Rifondazione Comunista al posto dell’Internazionale. Lenin lasciò il posto a Lennon.È una gran bella canzone, “Imagine”, ma le sue parole sono il manifesto del nichilismo presente e dell’ideologia “no border” in purezza, come la miglior cocaina. Leggiamo le sue parole: “Immagina che non ci sia il paradiso… e nessun inferno… Immagina la gente vivere per l’oggi… Immagina che non ci siano più patrie… Nessun motivo per cui morire e uccidere, nessuna religione, niente proprietà… E il mondo sarà una cosa sola”. È condensata in pochi versi l’Ideologia “no border” d’oggi: la negazione del senso religioso, dell’amor patrio e dei legami famigliari; il dominio assoluto del presente sul passato, sul futuro e sull’eterno, il pacifismo come fine della storia e risoluzione della politica, lo sradicamento globale e l’unificazione del pianeta, senza più frontiere. Ma se si vive solo per l’oggi, senza più motivi degni per vivere e per morire, se non ci aspettano cieli e inferni, se non c’è più Dio né patria né radice, perché poi lamentarsi se il mondo si riduce a un immenso spurgatorio e noi siamo i relativi materiali in transito, frutto di una liberazione che somiglia a un’evacuazione? È questo il senso ultimo della società liquida?Quell’utopia è piuttosto l’estinzione dell’umanità nel fumo e nella polvere dei desideri; al suo posto c’è un gregge vagante e belante in perpetua transumanza, che si vive addosso, senza storia e senza avvenire, senza confini e senza civiltà, guidato solo dall’io voglio. Ma se al mondo togli le frontiere, togli le norme che regolano i popoli, abolisci gli Stati e gli ordinamenti giuridici ad essi connessi, le tasse e i servizi, togli le garanzie di libertà e di sicurezza per i suoi cittadini, salta tutto. Salta la civiltà, che è fondata proprio sulla linea di frontiera tra il giusto e l’ingiusto, il bene e il male, il mio e il tuo, il naturale e il culturale. La libertà smisurata si rovescia nel suo contrario, e tramite l’anarchia conduce inevitabilmente al dispotismo, come insegnò Platone già 24 secoli fa. La libertà ha bisogno di confini, necessita di limiti, altrimenti sconfina, prima a danno della libertà altrui e poi annega nel caos universale. La libertà, come la dignità e la civiltà, si fonda sulle differenze. E ogni differenza delimita un’identità.La frontiera è il presupposto inevitabile per riconoscere l’altro, per confrontarsi e per dialogare. Il confine è il riconoscimento reciproco dei limiti. Del resto, il male peggiore per i greci era l’hybris, la tracotanza, il delirio di chi viola la misura e i confini. Per disintossicarsi da questa devastante utopia “no-border” consiglio di leggere almeno due libri, “Elogio delle frontiere” di Régis Debray (ed. Add) e “Dismisura” di Olivier Rey (ed. Controcorrente). Perduti Marx e Rousseau, che sopravvive come piattaforma nella caricatura grillina, perduto il socialismo di Lenin e di Gramsci, resta Lennon e l’Ideologia No Border ridotta a “Imagine”, anzi a imaginetta e spacciata come il toccasana per l’umanità. Resta immutata l’indole utopista, ma scende enormemente di livello. Immagina che bello, un mondo di replicanti a ruota libera…(Marcello Veneziani, “Le frontiere salvano i popoli e le civiltà”, dal numero 31 di “Panorama”, luglio 2019; articolo ripreso dal blog di Veneziani).“Le frontiere uccidono”, titolava una copertina recente de “L’Espresso”. È vero se pensiamo ai Vopos che uccidevano i loro connazionali, i tedeschi dell’Est che tentavano di varcare la frontiera per fuggire dal regime comunista. Se non sbaglio è stato l’ultimo capitolo in Europa di persone uccise perché volevano saltare il muro o il filo spinato. Ed era la frontiera di casa loro. A ben vedere, le frontiere che impediscono di entrare clandestinamente non sono malefiche perché salvaguardano popoli e territori, leggi, regole e cittadinanza, diritti e doveri; invece sono malefiche le frontiere che impediscono di uscire, come le cortine di ferro di tutti i regimi comunisti. Quelle si, furono frontiere criminogene che trasformavano le nazioni in prigioni e gli Stati in carcerieri. Ma dietro quel titolo e quella campagna contro le frontiere c’è un’ideologia, anzi c’è L’Ideologia del nostro Sconfinato Presente Globale. La riassume l’antropologo Michel Agier nella stessa rivista: «L’unica speranza è liberare il mondo dai confini», in modo da consentire «la libera circolazione delle persone». Senza limiti. Ma questo è il sunto della predica che ci propina ogni giorno la Fabbrica Mondiale dell’Opinione Corretta e che ha trovato in Carola Rackete la sua ultima testimonial, con tutto lo strascico di protettori e tifosi.
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Salvini anti-Cina, con lo Zio Sam. Ma non era sovranista?
Il ministro dell’interno Matteo Salvini dice no ad accordi con la Cina che possono «creare interferenze con il consolidato posizionamento internazionale dell’Italia» e addirittura configurare una «colonizzazione». Se la questione non fosse molto seria ci sarebbe davvero da ridere, scrive Fabrizio Verde su “L’Antidiplomatico”, di fronte all’ennesima uscita anti-cinese di Matteo Salvini. Il leader leghista manifesta la sua preoccupazione circa un’eventuale “colonizzazione” dell’Italia? «Il discorso è condivisibile, ma c’è un piccolo problema che sembra sfuggire al padano convertito al nazionalismo: l’Italia è già colonizzata. Dagli Stati Uniti, non di certo dalla Cina». La presenza militare statunitense in Italia inizia nel 1951, ricorda Verde: nelle 113 installazioni militari statunitensi presenti sul nostro territorio opererebbero circa 13.000 militari. Cifra che raggiunge le 16.000 unità se aggiungiamo il personale amministrativo. «Qualcuno ha mai ascoltato Salvini denunciare questa che di fatto rappresenta una vera e propria occupazione militare?». Macché: solo silenzio, da parte del solitamente loquace leghista, «anche sugli ordigni nordamericani dispiegati in Italia in funzione anti-russa». Ospitiamo infatti il numero più alto di armi nucleari statunitensi schierate in Europa: 70 ordigni su un totale di 180.Siamo anche gli unici – continua Verde – con due basi atomiche: quella dell’aeronautica militare di Ghedi (Brescia) e quella statunitense di Aviano (Pordenone). «Due primati che comportano spese pesanti a carico del governo di Roma: spese che, a 25 anni dalla fine della guerra fredda e degli incubi nucleari, appaiono ingiustificabili, come denunciava “L’Espresso” nel 2014». Ufficialmente – precisa Verde – l’arsenale nucleare non esiste: «Tanto Washington quanto Roma non hanno mai ammesso la presenza di queste armi letali sul territorio italiano, ma 20 ordigni si trovano presso la base bresciana di Ghedi, mentre altri 50 ad Aviano, custoditi nei bunker Usa». Ancora più risibile, per Verde, è la preoccupazione per quel che riguarda i dati sensibili e la tecnologia 5G. «Il trattamento di dati sensibili è interesse nazionale», ha aggiunto Salvini: «La sicurezza dei dati non può essere un discorso meramente economico». Anche in questo caso, obietta “L’Antidiplomatico”, «si può essere preoccupati per la tecnologia utilizzata dalla Cina quando non è mai emerso nemmeno un sospetto che la Cina voglia servirsi della tecnologia o delle infrastrutture 5G per rubare dati sensibili?».Forse, scrive sempre Verde, Salvini dovrebbe andare a rileggersi quanto si è appreso grazie alle coraggiose denunce di un “whistleblower” come Edward Snowden: «Grazie a lui è emersa l’immensa attività di spionaggio effettuata dall’agenzia statunitense Nsa». Per il “New Yorker”, non è altro che «la più grande, più potente, più tecnologicamente sofisticata agenzia di spionaggio che il mondo abbia mai conosciuto». Finanche le comunicazioni private di Angela Merkel furono intercettate. Secondo lo “Spiegel”, all’epoca dello scandalo, gli Stati Uniti possedevano circa 80 centri di spionaggio in Europa, comuni a Cia e Nsa, tra cui uno a Roma. Infatti, finì intercettato anche Berlusconi. «Che sia gravissimo non c’è dubbio», ebbe a dichiarare Salvini, leader dell’allora Lega Nord. «Che debbano dare spiegazioni, anche. Ma già che ci sono – aggiunse – gli americani ci dicano pure perchè dal 2011 l’Italia non ha più un governo legittimamente eletto». Adesso in Italia un governo legittimamente eletto c’è, e proprio Salvini ne è un esponente di punta. «Evidentemente – scrive Verde – una volta arrivato nella cosiddetta stanza dei bottoni, il padano folgorato sulla via di Roma ha deciso di farsi portatore delle istanze di quei poteri che dalla fine della Seconda Guerra Mondiale di fatto colonizzano l’Italia».Al contrario, secondo “L’Antidiplomatico”, il Movimento 5 Stelle, «pur tra limiti e contraddizioni», mostra con l’apertura alla Cina di «puntare agli interessi dell’Italia molto di più dell’autoproclamato sovranista Matteo Salvini», il quale avrebbe deciso di «farsi portabandiera del vecchio servilismo filo-atlantico che ha storicamente caratterizzato buona parte della classe dirigente italiana». Punti di vista, naturalmente: c’è infatti chi vede una sorta di “gioco delle parti”, tra i distinguo che oppongono Lega e 5 Stelle su molti temi. Vero, Salvini si è schierato con Trump anche sul Venezuela, mentre i pentastellati restano cauti, equidistanti da Maduro e da Guaidò. Schermaglie: in realtà, sia Salvini che Di Maio sanno benissimo che il governo gialloverde è supportato dalla Casa Bianca, e che grandi poteri di Wall Street (Jp Morgan, Citigroup) intervennero nel 2018 per spegnere sul nascere l’incendio dello spread, scatenato in funzione anti-gialloverde alla nascita del governo Conte. Perché se è ovvio che l’Italia resti a sovranità limitata, anzi limitatissima, è pur vero che la “colonizzazione” più minacciosa è quella di Bruxelles, che vieta all’Italia di ricorrere al deficit. Cos’è peggio, le bombe (dormienti) di Trump o i diktat Ue? Certo, Salvini si è avvicinato agli Usa. In compenso, Di Maio ci ha fatto la campagna elettorale, portato a spasso – tra Washington e Manhattan – dal politologo Michael Ledeen, esponente del Jewish Institute e pezzo da novanta dell’élite atlantista.Il ministro dell’interno Matteo Salvini dice no ad accordi con la Cina che possono «creare interferenze con il consolidato posizionamento internazionale dell’Italia» e addirittura configurare una «colonizzazione». Se la questione non fosse molto seria ci sarebbe davvero da ridere, scrive Fabrizio Verde su “L’Antidiplomatico”, di fronte all’ennesima uscita anti-cinese di Matteo Salvini. Il leader leghista manifesta la sua preoccupazione circa un’eventuale “colonizzazione” dell’Italia? «Il discorso è condivisibile, ma c’è un piccolo problema che sembra sfuggire al padano convertito al nazionalismo: l’Italia è già colonizzata. Dagli Stati Uniti, non di certo dalla Cina». La presenza militare statunitense in Italia inizia nel 1951, ricorda Verde: nelle 113 installazioni militari statunitensi presenti sul nostro territorio opererebbero circa 13.000 militari. Cifra che raggiunge le 16.000 unità se aggiungiamo il personale amministrativo. «Qualcuno ha mai ascoltato Salvini denunciare questa che di fatto rappresenta una vera e propria occupazione militare?». Macché: solo silenzio, da parte del solitamente loquace leghista, «anche sugli ordigni nordamericani dispiegati in Italia in funzione anti-russa». Ospitiamo infatti il numero più alto di armi nucleari statunitensi schierate in Europa: 70 ordigni su un totale di 180.
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L’antifascismo dei cretini: puro odio, in assenza di fascismo
Abbiamo sempre avuto pazienza con i cretini non cattivi e con i cattivi ma intelligenti. Non riusciamo però ad averne con i cretini cattivi, magari in origine solo cretini poi incattiviti oppure solo cattivi poi rincretiniti. Ma sono cresciuti a dismisura e si sono aggravati. Sto parlando del nuovo antifascismo, collezione autunno-inverno, che si alimenta di fascistometri per misurare il grado di fascismo che è in ciascuno di noi e di istruzioni per (non) diventare fascisti, di Anpi posticce che sventolano l’antifascismo anche il 4 Novembre, non più costituite da partigiani ma da militanti dell’odio perenne; e poi di mobilitazioni, manifestazioni e mascalzonate, veicolate da giornaloni, telegiornaloni, talk show e da tante figurine istituzionali. Come quel Figo che alterna dichiarazioni d’antifascismo a dichiarazioni surreali d’amore a proposito degli stupri e i massacri tossico-migranti. Per lui le violenze si combattono con l’amore, come dicevano i più sfigati figli dei fiori mezzo secolo fa. Lui ci arriva adesso, cinquant’anni dopo e a proposito di un fatto così terribile come uno stupro mortale a una ragazzina.
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Meno tasse, più debito: così gli Usa volano, lavoro per tutti
Ci sono momenti dove il cronista deve tacere a far parlare solo i fatti. E questi fatti sono immensi, gridano vendetta per noi cittadini ridotti da un sistema monetario infame a viver da topi nel perenne terrore delle ire e delle scudisciate del Padrone a Bruxelles. Buona lettura, ma fa ribollire il sangue stare a guardare altri crescere, lavorare, poter sperare, solo perché hanno tutte le sacrosante armi costituzionali della moneta sovrana. Spesa pubblica a tutto gas: «Il presidente Donald Trump sta aumentando la spesa pubblica a debito di lunga scadenza come mai accaduto dalla peggior recessione americana dopo la Seconda Guerra Mondiale, e questo nonostante l’economia sia nel boom di espansione». «Trump e il Congresso hanno approvato tagli alle tasse ed espansione della spesa pubblica, e per trovare le necessarie coperture il ministero del Tesoro ha deciso di emettere ulteriore debito per 78 miliardi di dollari nei prossimi quattro mesi, in quella che è la terza espansione consecutiva del deficit di bilancio». Conte porta i rendimenti Btp al 3% e si alza lo spread: panico in Ue. Trump fa la stessa identica cosa “perché noi siamo sovrani”. «Il rendimento del titolo decennale Usa è salito oltre il 3% dopo l’annuncio dell’espansione della spesa pubblica, con lo spread dei titoli aumentato di 26 punti di base».«Siamo il governo sovrano americano, siamo il più grande mercato sovrano del mondo, è quindi ovvio che possiamo continuare ad emettere debito per trovare le coperture senza nessun riguardo ai rendimenti dei titoli né se i tassi d’interesse stanno aumentando o calando», ha dichiarato il Tesoro Usa a Washington il 1° agosto. Conte ha appena sussurrato, e già si prevedono punizioni dei mercati e di Bruxelles; per la super-spesa pubblica e il taglio delle tasse di Trump i mercati sono tranquilli, e l’economia fiorisce. «Il Tesoro americano prevede di aumentare le aste del proprio debito su un ampio raggio di strumenti, a fronte di una forte richiesta dei mercati che hanno reagito molto positivamente ai dati americani sulla creazione di nuovi posti di lavoro». «I tagli alle tasse ‘corporate’ e un contemporaneo aumento della spesa pubblica stanno creando una manna di posti di lavoro, perché si sta vedendo un aumento delle richieste di lavoratori da record che sta quasi prosciugando la disoccupazione». «Sono in media 215.000 i nuovi posti creati ogni mese nel 2018. Le richieste di sussidi di disoccupazione sono le più basse da quasi 50 anni mentre le aziende si lamentano di non trovar manodopera a sufficienza».«Il settore dei servizi macina senza sosta nuovi impieghi. In aumento anche le mansioni per la produzione di beni materiali, particolarmente nel manifatturiero dove le aziende americane sono in affanno per soddisfare la mole gli ordini». «L’economia Usa è cresciuta del 4,1% nel secondo quarto su base annua, e il segretario al Tesoro Steven Mnuchin ha annunciato crescite di oltre il 3% per almeno quattro o cinque anni, con una disoccupazione in rapida discesa sotto il 3,9%». In Italia, Conte il 15 ottobre sarà costretto all’umiliante rituale di dover sottoporre a una Commissione Ue di autocrati non eletti la Legge di Bilancio per il loro permesso di farci spendere spiccioli pubblici con un limite di deficit di bilancio del 1,6%, che è come neppure spendere per i cittadini. Il ministro Tria ha pubblicamente annunciato ai mercati che l’Italia neppure si sogna espansioni di spesa a sua discrezione, e starà dentro i limiti decisi da Gentiloni, per, di nuovo, obbedire al limite di 1,6% di deficit. La crescita del Pil italiano nel primo quarto è stata del 1,4% su base annua, un calo rispetto all’anno prima. La produzione industriale è un disastro con un miserabile +1,7%, il dato più basso in un anno, e il manifatturiero è ai minimi.La disoccupazione in Italia è ancora all’11%, in aumento da maggio. L’Eurozona nel suo insieme è cresciuta dello 0,3% nel primo quarto 2018. Rileggete tutta la parte sugli Stati Uniti. Il quadro che ne esce non deve portare a trionfalismi pro-Trump, perché è ancora lungi dall’essere vero keynesismo, soprattutto sui livelli salariali, e sappiamo poi come i repubblicani usano il “fantasma” degli aumenti di deficit per tagliare il welfare. Ma ci dice però chiarissima una cosa: chi ha moneta sovrana può compiere almeno il primo passo fondamentale per far lavorare, crescere e sperare la gente: spendere fondi di Stato zittendo chiunque al mondo e senza nessun vero danno a lungo termine, anzi, il contrario. Io sono esausto, mi sembra di ripetere da 9 anni che “è la terra che gira intorno al Sole”, ma no, non c’è nulla da fare, noi siamo per l’esimio “L’Espresso” i sovranisti buffoni in vacanza. Lavoro e democrazia sono a moneta sovrana, il resto è sofferenza.(Paolo Barnard, “Usa: meno tasse e spesa pubblica senza remore, mercati e crescita alle stelle – poi c’è chi deve vivere come topi, nella paura”, dal blog di Barnard del 4 agosto 2018. Dati e citazioni da: The Us Treasury, “The Wall Street Journal”, Bloomberg Research, “The Financial Times”, Imf, “Focus Economics”, Istat).Ci sono momenti dove il cronista deve tacere a far parlare solo i fatti. E questi fatti sono immensi, gridano vendetta per noi cittadini ridotti da un sistema monetario infame a viver da topi nel perenne terrore delle ire e delle scudisciate del Padrone a Bruxelles. Buona lettura, ma fa ribollire il sangue stare a guardare altri crescere, lavorare, poter sperare, solo perché hanno tutte le sacrosante armi costituzionali della moneta sovrana. Spesa pubblica a tutto gas: «Il presidente Donald Trump sta aumentando la spesa pubblica a debito di lunga scadenza come mai accaduto dalla peggior recessione americana dopo la Seconda Guerra Mondiale, e questo nonostante l’economia sia nel boom di espansione». «Trump e il Congresso hanno approvato tagli alle tasse ed espansione della spesa pubblica, e per trovare le necessarie coperture il ministero del Tesoro ha deciso di emettere ulteriore debito per 78 miliardi di dollari nei prossimi quattro mesi, in quella che è la terza espansione consecutiva del deficit di bilancio». Conte porta i rendimenti Btp al 3% e si alza lo spread: panico in Ue. Trump fa la stessa identica cosa “perché noi siamo sovrani”. «Il rendimento del titolo decennale Usa è salito oltre il 3% dopo l’annuncio dell’espansione della spesa pubblica, con lo spread dei titoli aumentato di 26 punti di base».
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“Repubblica” in declino? Però ha vinto: ha spento la sinistra
Volano stracci tra Eugenio Scalfari e Carlo De Benedetti, che forse vorrebbe liberarsi del giornale-partito nato nel 1976 «per traghettare la sinistra dall’ideologia sovietico-marxista a quella atlantico-liberale». Non è strano che saltino i nervi, scrive Federico Dezzani nella sua “breve storia, non ortodossa”, del secondo quotidiano italiano: “Repubblica” è scesa a poco più di 200.000 copie, contro le oltre 400.000 di appena sette anni fa, quando Ezio Mauro la schierò frontalmente nella battaglia contro Berlusconi. «Il crepuscolo della Seconda Repubblica avanza minaccioso e non è certo casuale che sia accompagnato dalla crisi del quotidiano che, senza dubbio, ha dominato questo periodo della storia italiana», scrive Dezzani nel suo blog. Nato «per affiancare “L’Unità”», quotidiano del Pci, «e sensibilizzare Botteghe Oscure sulle tematiche “liberali”», il giornale «cavalca nei primi anni ‘80 il caso P2, poi assiste l’assalto giudiziario che nel 1992-93 demolisce la Prima Repubblica», quindi «assume la funzione di mentore della sinistra post-comunista, traghettandola nella metamorfosi Pci-Pds-Ds-Pd», e infine «detta l’agenda al governo se la sinistra vince le elezioni», oppure «guida l’opposizione antiberlusconiana, se la sinistra le perde».
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Ma il Renzi francese finirà tra i fischi, come quello italiano
Durante la campagna elettorale francese e nelle ore successive alla vittoria di Emmanuel Macron, i media nostrani hanno tessuto paragoni, molto innocenti, tra il candidato di “En Marche!” e l’ex-premier Matteo Renzi. Utilizziamo l’aggettivo “innocente” perché, ovviamente, ci si è guardati dall’evidenziare le incredibili analogie tra le carriere di due 39enni che, con stucchevole celerità, hanno scalato (o addirittura fondato) un partito, per poi essere catapultati nella stanza dei bottoni saltando a piè pari il classico cursus honorum della politica. Entrambi sponsorizzati da una grande banca d’affari (la Rothschild per Macron e la Jp Morgan per Renzi), entrambi aiutati da scandali giudiziari (il Penelopegate che affossa Fillon e “l’affare stadio” che spiana la strada di Renzi verso il Comune di Firenze), entrambi benedetti da Washington e dal “luogotenente” Angela Merkel, entrambi incensati dal milieu intellettuale-mediatico, entrambi aiutati dalla “fortuna” nella loro conquista del potere (la scissione tra socialisti e “France Insoumise” nel caso Macron, la defenestrazione tutta extra-parlamentare di Enrico Letta nel caso di Renzi).No, non era interesse dei media soffermarsi su questi curiosi, ma scomodi, particolari: la loro volontà era piuttosto quella di evidenziare come entrambi incarnino il rinnovamento, la modernità, l’europeismo, l’apertura agli ideali liberali. Soprattutto, si è tentato in Italia di sfruttare la vittoria di Emmanuel Macron per rilanciare Renzi, quasi che l’ex-premier potesse ricevere in dono dal nuovo inquilino dell’Eliseo una seconda vita politica. “L’Espresso” di Carlo De Debenetti è arrivato addirittura a scrivere, lo scorso 5 aprile: «La nuova sfida di Renzi: diventare Macron. L’ex premier guarda al candidato centrista francese. Perché una sua vittoria avrebbe effetti anche in Italia. E gli lancerebbe la volata verso la riconquista di partito e governo». Viviamo, si sa, un’epoca in cui cadono le illusioni sulla democraticità delle nostre istituzioni, un’epoca di massiccia e costante guerra psicologica, un’epoca in cui la razionalità è una merce sempre più rara. Sono tempi in cui si potrebbe leggere sul giornale: “La nuova sfida della frittata: diventare uovo”.Già. Non c’è alcun dubbio che la narrazione dei media su Macron e Renzi sia deliberatamente invertita dal punto di vista cronologico. Non è l’ex-premier italiano che può diventare Macron (perché il momento magico che quest’ultimo ora vive, Renzi lo ebbe nella lontana primavera del 2014), quanto piuttosto è il nuovo presidente francese ad essere probabilmente ossessionato dal triste epilogo dell’ex-presidente del Consiglio. L’Italia, infatti, si colloca rispetto alla Francia un passo in avanti in termini di crisi economica/politica: l’esperienza del giovane “rottamatore” appartiene non al nostro presente, ma al nostro passato, ed è stata brutalmente archiviata il 4 dicembre scorso con la bocciatura del referendum costituzionale. Sono bastati mille giorni (Job Acts, privatizzazioni, inasprimenti fiscali, immigrazione incontrollata, disoccupazione a due cifre, stagnazione economica) perché l’indice di gradimento di Renzi scivolasse sotto il 30% e gli italiani decidessero di sbarazzarsi di lui, ricordando l’infausta promessa “se perdo il referendum, lascio la politica”.Constata l’identità tra l’agenda di Renzi e quella di Macron, è facile prevedere che lo stesso tempo sia sufficiente per annichilire politicamente l’ex-Rothschild: data la maggiore dose di “mercato” che Macron deve introdurre in Francia, l’assenza di un saldo partito di riferimento e la bellicosità della società francese, è addirittura ipotizzabile che l’enfant prodige della politica francese entri in crisi addirittura nel secondo anno di presidenza. Il “Financial Times” a suo tempo descrisse Renzi come “the last hope for the italian élite”: noi possiamo senza alcun indugio descrivere Macron come “l’ultima speranza dell’establishment francese”. Dopo il quinquennio dell’ex-Rothschild, non ci sarà più nessuna presidenza socialista, né centrista, né repubblicana: sarà l’ora delle forze anti-sistema, che si chiamino Front National o con un altro nome, che a guidarle sia ancora Marine Le Pen od un’altra figura. Il pendolo ha ripreso il suo viaggio verso la dissoluzione economica dell’Unione Europea e, in ordine cronologico, sono tre le prossime tappe salienti: il precipitare della situazione italiana, complice anche la prossima instabilità politica; una nuova recessione globale che cova sotto le ceneri; il rialzo dei tassi da parte dalla Fed e/o della Bce. Come direbbero in Francia: nous avons perdu une bataille, on gagnera la guerre!(Federico Dezzani, estratto dal post “La Francia ha scelto il suo Matteo Renzi, e già sappiamo che fine farà”, dal blog di Dezzani dell’8 maggio 2017).Durante la campagna elettorale francese e nelle ore successive alla vittoria di Emmanuel Macron, i media nostrani hanno tessuto paragoni, molto innocenti, tra il candidato di “En Marche!” e l’ex-premier Matteo Renzi. Utilizziamo l’aggettivo “innocente” perché, ovviamente, ci si è guardati dall’evidenziare le incredibili analogie tra le carriere di due 39enni che, con stucchevole celerità, hanno scalato (o addirittura fondato) un partito, per poi essere catapultati nella stanza dei bottoni saltando a piè pari il classico cursus honorum della politica. Entrambi sponsorizzati da una grande banca d’affari (la Rothschild per Macron e la Jp Morgan per Renzi), entrambi aiutati da scandali giudiziari (il Penelopegate che affossa Fillon e “l’affare stadio” che spiana la strada di Renzi verso il Comune di Firenze), entrambi benedetti da Washington e dal “luogotenente” Angela Merkel, entrambi incensati dal milieu intellettuale-mediatico, entrambi aiutati dalla “fortuna” nella loro conquista del potere (la scissione tra socialisti e “France Insoumise” nel caso Macron, la defenestrazione tutta extra-parlamentare di Enrico Letta nel caso di Renzi).
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Caso Regeni, colpire l’Italia: l’Eni, ma anche Hacking Team
«Quella dell’Hacking Team è l’ennesima prova avuta in questi dodici mesi che l’omicidio Regeni non è la storia di un brutale interrogatorio della polizia finito in tragedia, ma un vero e proprio attacco all’Italia e al sistema-paese, condotto con efficienza americana e puntualità inglese». Federico Dezzani, analista geopolitico, mette a fuoco la singolare “sincronicità” fra l’atroce morte del giovane Giulio Regeni e l’ostracismo “atlantico” scattato contro un’assoluta eccellenza italiana, la società Hacking Team, partecipata della Regione Lombardia e un tempo fornitrice anche dell’Fbi. «Nelle settimane successive al ritrovamento del corpo di Regeni – ricorda Dezzani – il fuoco mediatico è diretto contro il “regime egiziano”, il “dittatore Al-Sisi” e i rapporti italo-egiziani, da interrompere tassativamente finché il Cairo non fornirà “la verità” sul caso». Per Dezzani, il povero Regeni (reclutato dall’università di Cambridge in una struttura contigua all’intelligence britannica) fu ucciso su ordine di Londra per sabotare l’asse strategico Roma-Cairo, dopo la scoperta da parte dell’Eni del più grande giacimento mediterraneo di gas nel mare egiziano. Ma, a quanto pare, nell’affare-Regeni andrebbe aggiunta anche l’azienda tecnologica milanese, colpita anch’essa per punire l’Italia.Il nome quell’azienda rimbalza spesso sulla stampa in quei giorni bollenti, a fianco dell’Eni, ricorda Dezzani nel suo blog: si tratta di Hacking Team, una piccola società informatica milanese. «Tra i clienti di Hacking Team c’era anche l’Egitto», scrive il “Corriere della Sera” il 9 febbraio 2016. «Amnesty: basta con l’hacking di Stato, denunciamolo», attacca a ruota la “Repubblica” citando la società. «L’ombra di Hacking Team sull’omicidio Regeni», insiste “La Stampa”. All’interno di quest’ultimo articolo, si legge: «Le tensioni con l’Egitto per l’uccisione di Giulio Regeni hanno lambito anche Hacking Team, l’azienda italiana che vende software di intrusione e sorveglianza a numerosi governi. Il 31 marzo infatti il ministero dello sviluppo economico (Mise) ha revocato con decorrenza immediata l’autorizzazione globale per l’esportazione che era stata concessa alla società milanese, dallo stesso Mise, circa un anno fa». La ragione del ripensamento? «Lo scontro (per alcuni troppo debole da parte italiana) tra il nostro paese e l’Egitto sul caso Regeni». L’Egitto sarebbe stato infatti un cliente di Hacking Team.Software di intrusione e sorveglianza, blocco con decorrenza immediata dell’autorizzazione ad esportare, contesto geopolitico difficile, contatti con l’Egitto nazionalista di Al-Sisi, misteriosi attacchi informatici che riversano in rete la lista dei clienti della società? «Si direbbe che questo piccolo produttore italiano di software, pur fatturando solo 40 milioni di euro rispetto ai 70 miliardi dell’Eni, non sia finito accidentalmente nella bufera Regeni», scrive Federico Dezzani. Secondo l’analista, «gli stessi attori coinvolti nell’operazione per danneggiare i rapporti italo-egiziani», tra i quali Dezzani include «il gruppo “L’Espresso”, Amnesty International, Human Rights Watch», cioè le Ong «dietro cui si nascondono le diplomazie e i servizi segreti angloamericani», avrebbero «sfruttato la morte del giovane friulano per colpire anche una piccola ma scomoda realtà economica». Ma di cosa si occupa esattamente l’Hacking Team? E perché è finita nel mirino dell’establishment atlantico?Nata nel 2003, ricorda Dezzani, l’Hacking Team produce programmi per sorvegliare telefoni e computer, con una peculiarità che la rende pressoché unica a livello mondiale: anziché decifrare i dati criptati, li legge direttamente “in chiaro” sul supporto fisico, introducendo virus sugli apparecchi elettronici. «Partecipata anche dalla Regione Lombardia, l’Hacking Team non è però un nido di pirati informatici: tra i suoi clienti figurano soltanto governi e forze di sicurezza, anche di un certo calibro, se si considera che si annovera anche il Federal Bureau of Investigation». Essendo così ben introdotta negli apparati di sicurezza Nato, l’Hacking Team avrebbe dovuto dormire sonni tranquilli: la situazione, invece, si deteriora mese dopo mese a partire dal 2014, sino a culminare con l’accusa di essere complice del sequestro e l’uccisione di Regeni, con conseguente revoca dell’autorizzazione ad esportare. «Se la società milanese fosse stata “sensibile” agli inequivocabili messaggi che le erano lanciati, avrebbe dovuto da tempo capire di essere finita nei radar dei servizi angloamericani (gli stessi dell’“operazione Regeni”) e avrebbe dovuto notare come l’umore nei suoi confronti stesse velocemente cambiando».Siamo infatti nel febbraio 2014 quando Citizen Lab, un laboratorio interdisciplinare dell’università di Toronto specializzato in sicurezza delle telecomunicazioni e difesa dei diritti umani, accusa la società italiana di aver venduto un sofisticato sistema di monitoraggio di pc e telefoni a decine di paesi. Stati americani (Colombia, Panama e Messico), europei (Ungheria e Polonia), asiatici (Malesia, Thailandia, Corea del Sud). Ma anche a governi “autoritari” come quelli di Azerbaijan, Etiopia, Sudan Kazakhstan, Uzbekistan, Sudan. Nella lista figurano anche paesi “amici” ma non certo democratici come Marocco, Nigeria, Arabia Saudita, Oman, Emirati Arabi Uniti. Più la Turchia, imbarazzante “democratura” Nato, e lo stesso Egitto. «Che uso fanno, questi paesi di dubbia democraticità, dei programmi acquistati?», si domanda il Citizen Lab. Ovvio: li usano per sorvegliare «attivisti e difensori dei diritti umani», ossia lo stesso humus dove sono state coltivate le “rivoluzioni colorate” che hanno sconquassato il Medio Oriente nel 2011. Sono, per inciso, gli stessi ambienti “studiati” anche dai docenti di Cambridge del defunto Giulio Regeni.A distanza di un mese, continua Dezzani, nel marzo 2014 il rapporto canadese è prontamente ripreso da Privacy International, un’organizzazione non governativa inglese ruotante nell’orbita della London School of Economics. Privacy International prende carta e penna e scrive al Parlamento italiano: non solo, dicono gli inglesi, l’Hacking Team viola i diritti umani, ma riceve addirittura fondi pubblici dalla Regione Lombardia. Che lo Stato italiano intervenga subito, per «indagare e prendere provvedimenti per garantire che la sua attività invasiva e offensiva non sia esportata dall’Italia e utilizzata in violazione dei diritti umani». Già in questa fase, come accadrà due anni dopo col caso Regeni, entra in campo il gruppo “L’Espresso”: «Privacy International chiede chiarimenti al governo sull’attività di Hacking Team, una delle più importanti organizzazioni internazionali per la difesa della privacy chiama in causa il governo italiano». Per Dezzani, «è quasi una prova generale dell’attacco che, di lì a due anni, sarà sferrato contro la società milanese, arrivando a revocarle l’autorizzazione ad esportare, sull’onda dell’omicidio Regeni».Ma perché l’Hacking Team, un tempo cliente persino dell’Fbi, è diventata improvvisamente d’intralcio ai servizi angloamericani? Risposta: «E’ una società italiana, e il nostro paese non fa parte della ristretta cricca di spioni anglofoni nota come “Five Eyes”». L’Hacking Team è quindi “un’arma tecnologica” che per gli angloamericani sarebbe meglio inglobare o neutralizzare. Tanto più che «opera in un lucroso mercato dove esistono pochi altri concorrenti (inglesi, americani e israeliani)». E la storia dell’Olivetti, osserva Dezzani, «insegna che le eccellenze tecnologiche in un paese a sovranità limitata, come l’Italia, sono spesso uccise in fasce». Infine, i suoi programmi per la sorveglianza delle telecomunicazioni venduti a “governi autoritari” (Turchia, Nigeria, Uzbekistan, Kazakhstan, Egitto e Malesia) e impiegati per monitorare “dissidenti e attivisti”, di fatto «ostacolano le solite “rivoluzioni colorate” fomentate da George Soros, Mi6 e Cia». Nel 2015, l’assedio attorno ad Hacking Team si stringe: «Nel mese di luglio un attacco informatico in grande stile scardina le difese della società milanese e, svuotatone gli archivi, riversa su Wikileaks (la piattaforma usata dai diversi servizi segreti per lanciarsi fango a vicenda) 400 Gb di dati: clienti, fatture, email», racconta Dezzani.«Wikileaks pubblica un milione di email aziendali rubate ad Hacking Team», scrive “Repubblica”, evidenziando le zone grigie dell’azienda, mentre la stampa inglese attacca ancora più pesantemente: «I documenti – scrive il “Guardian” – dimostrano che l’azienda ha venduto strumenti di spionaggio a regimi repressivi». Il battage della stampa insiste, infatti, sulla natura “autoritaria e repressiva” dei clienti della società milanese: Azerbaijan, Kazakhstan, Uzbekistan, Russia, Bahrein, Arabia Saudita «ed altri “regimi” che gli angloamericani rovescerebbero con piacere». Del caso si occupa anche il “Fatto Quotidiano”, che nell’aprile 2016 titola: «Hacking Team, revocata l’autorizzazione globale all’export del software spia: stop anche per l’Egitto dopo il caso Regeni». Al che, la società milanese vacilla. E per alcune settimane sembra che debba chiudere i battenti: poi, passata la tempesta mediatica, riprende la normale attività. «L’operazione con cui è ucciso Giulio Regeni ha, senza dubbio, come principali obbiettivi l’Eni e la politica estera tra Egitto e Libia, ma il fatto che anche l’Hacking Team fosse un fornitore del Cairo è prontamente sfruttato per revocare alla società l’autorizzazione ad esportare, così da chiuderle i mercati di sbocco, come auspicato da Londra e Washington», sintetizza Dezzani.«Quella dell’Hacking Team è l’ennesima prova avuta in questi dodici mesi che l’omicidio Regeni non è la storia di un brutale interrogatorio della polizia finito in tragedia, ma un vero e proprio attacco all’Italia e al sistema-paese, condotto con efficienza americana e puntualità inglese». Federico Dezzani, analista geopolitico, mette a fuoco la singolare “sincronicità” fra l’atroce morte del giovane Giulio Regeni e l’ostracismo “atlantico” scattato contro un’assoluta eccellenza italiana, la società Hacking Team, partecipata della Regione Lombardia e un tempo fornitrice anche dell’Fbi. «Nelle settimane successive al ritrovamento del corpo di Regeni – ricorda Dezzani – il fuoco mediatico è diretto contro il “regime egiziano”, il “dittatore Al-Sisi” e i rapporti italo-egiziani, da interrompere tassativamente finché il Cairo non fornirà “la verità” sul caso». Per Dezzani, il povero Regeni (reclutato dall’università di Cambridge in una struttura contigua all’intelligence britannica) fu ucciso su ordine di Londra per sabotare l’asse strategico Roma-Cairo, dopo la scoperta da parte dell’Eni del più grande giacimento mediterraneo di gas nel mare egiziano. Ma, a quanto pare, nell’affare-Regeni andrebbe aggiunta anche l’azienda tecnologica milanese, colpita anch’essa per punire l’Italia.
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Il vero segreto della magia è che funziona, ma guai a dirlo
Molte pratiche e abitudini sociali sono pratiche magiche, o derivate dalla magia, ma sono chiamate con altri nomi. La recitazione dei mantra buddhisti, operando una trasformazione interna ed esterna, è magia. La meditazione è magia. La psicanalisi, operando una trasformazione interna, per migliorare gli eventi esterni dell’individuo e renderlo più felice, è magia. La psichiatria, somministrando farmaci per alterare gli stati emotivi e mentali, fa né più né meno quello che faceva e fa tuttora l’alchimia; la psichiatria quindi è magia. L’invocazione dell’aiuto divino, ma anche l’invocazione dei santi o della Madonna, operando miracoli, è magia; e la stessa messa cattolica è un rito esoterico, non a caso molto simile ai riti praticati dalle società segrete. La preghiera è una forma di magia. Faccio ora due esempi pratici di come il mago ottenga risultati concreti sulla realtà circostante a lui.In un caso un mago-massone mi ha raccontato che con un rito (se non ricordo male il Picatrix) aveva scommesso il lunedì che avrebbe materializzato un pranzo di pesce per 20 persone per il fine settimana. Il venerdì è venuto il proprietario di un ristorante, a chiedergli come poteva restituirgli un favore che costui tempo fa gli aveva fatto; il giorno dopo le 20 persone hanno mangiato pesce al ristorante.Un altro mi ha raccontato che non fa un lavoro fisso; tempo fa aveva bisogno di una consistente somma di denaro perché era stato costretto a pagare dei lavori condominiali imprevisti. Dopo qualche giorno, un debitore che gli doveva del denaro e che lui non sperava più di rivedere, si è scusato del ritardo con cui aveva restituito il prestito e ci aggiunse per riconoscenza una somma in più tale da coprire tutto il debito. In uno scontro magico che avveniva tra Crowley e alcuni suoi avversari, un giorno arrivò un poliziotto a casa di Crowley a fare una perquisizione; questo era l’effetto del rito, secondo Crowley. Crowley reagi con altro rito, e al suo avversario – se non ricordo male – morirono tutti i cani. Questo è né più né meno quello che fanno i buddhisti aderenti alla scuola di Nichiren; recitano il Daimoku con delle finalità, e quando il risultato è raggiunto lo attribuiscono alla recitazione del Daimoku. Ed è sempre, né più né meno, quel che succede quando un devoto prega Padre Pio, San Gennaro o la Madonna.È quello che insegna Louise Hay nei suoi libri come “Puoi cambiare la tua vita” (ripetendo molte volte una cosa e finendo per convincercene, arriveremo al risultato voluto), e il libro “The Secret” con la sua legge dell’attrazione. Più in generale, lo stesso problema della psicologia lo hanno tutte le scienze. Il problema è che oggi il fisico, il matematico, lo psicologo, l’astronomo, studiando a fondo un solo aspetto della realtà (che è invece sempre una e complessa) perde di vista l’unità del tutto. L’estrema specializzazione di queste materie ha fatto quindi perdere di vista l’insieme, diminuendo l’efficacia degli studi complessivi, che sono diventati aridi e spesso inutili e fini a se stessi. Soprattutto, la specializzazione e la frammentazione del sapere ha fatto perdere di vista la cosa più importante, la parte spirituale della realtà, trasformando la società in quello che possiamo constatare con i nostri occhi: una società materialista in cui gli individui hanno perso il senso di ciò che sono e di ciò che fanno.Tutte le dottrine esoteriche e magiche dicono, in sostanza, la stessa cosa: l’anima è la parte più importante dell’individuo, ed è immortale; e l’uomo deve cercare di uscire dalla sua condizione materiale per elevarsi a vette spirituali. Scrive Schuré che «tutte le tradizioni religiose ed esoteriche giungono a conclusioni identiche nella sostanza ma differenti nella forma, sulle verità fondamentali e finali, seguendo tutte lo stesso schema dell’iniziazione interiore e della meditazione». Nelle tradizioni spirituali sia antiche che moderne l’anima è sempre al centro dell’interesse. Nella società occidentale, invece, dell’anima non si parla più. L’ostacolo alla crescita dell’individuo e alla sua elevazione è venuto da due fronti che hanno sferrato un attacco combinato alla spiritualità: la Chiesa cattolica e la scienza.La Chiesa ha eseguito le seguenti operazioni: ha negato la dottrina della reincarnazione e l’anima, relegandola a un ruolo marginale e sostanzialmente inesistente (secondo la Chiesa l’anima è sì la parte più importante dell’essere umano, ma solo perché un giorno ci sarà il giudizio universale, in cui saremo giudicati per quello che abbiamo fatto in quest’unica vita; in tal modo si è quindi negato il concetto di anima come è inteso in tutte le tradizioni esoteriche, occidentali e orientali); ha messo al bando la magia e l’esoterismo; ha affermato che bisogna credere per fede, e non per esperienza diretta del divino, che si cerca assolutamente di bandire in tutti i modi. La scienza ha fatto la stessa cosa, ma con mezzi diversi: nega l’anima e Dio, spesso facendo passare chi è religioso per una persona primitiva, che è in cerca di sicurezze, al limite della superstizione; ha messo al bando la magia e l’esoterismo, elevando la scienza stessa a religione; si deride chi ha “fede”, contrapponendo la fede, cieca, superstiziosa e ignorante, alla scienza, progredita, moderna, civile. In realtà sostituendo alla “fede” in Dio, la fede nella sua inesistenza e la fede nella scienza.In sostanza, Chiesa cattolica e scienza sono state le due facce della stessa medaglia, apparentemente divise, ma in realtà unite da un fine comune: la distruzione dell’anima e dello spirito. Hanno inoltre inoltre fatto credere che chi è buddista, induista, mago, lo sia per “fede”, cioè per accettazione acritica e incondizionata a un qualcosa di divino, quando invece il buddista, l’induista, il mago, fanno ogni giorno esperienza del divino. Da questo punto di vista, la lotta secolare tra massoneria e Chiesa cattolica è stata anche (e lo è ancora) una lotta magica: la Chiesa ha cercato di impedire in tutti i modi la diffusione e lo sviluppo della magia in Occidente, la massoneria e i Rosacroce hanno cercato di introdurla e diffonderla. A portare prove del legame tra politica e esoterismo, tra movimenti politici della storia e influenze massoniche, rosacrociane, o di altri ordini occulti, ci hanno provato in molti. È stato quindi dimostrato che il regime nazista fu influenzato dall’esoterismo della Società Thule e che Aleister Crowley era consigliere segreto di Hitler; mentre Giuseppe Cambareri, altro esoterista, fu consigliere di Mussolini. È provato che tutti i presidenti Usa sono e sono stati massoni, e clamoroso fu quando Bush e Kerry dichiararono entrambi, in un’intervista congiunta, di appartenere alla stessa società segreta, la Skull and Bones; massoni e rosacrociani furono Mazzini, Garibaldi, Cavour (la cosiddetta carboneria altro non era che una filiazione della massoneria).Ma il limite di questi studi è di voler sempre rimanere agganciati a prove documentali e certe, quando invece il vero segreto, come dice giustamente Fausto Carotenuto in una recente intervista al mensile “X Times”, non viene mai messo per iscritto e può solo essere intuito. Non c’è in realtà bisogno di “prove” particolari per poter affermare che i personaggi più potenti dell’economia e della politica internazionale pratichino la magia. Infatti, considerando che i personaggi più importanti della storia dell’umanità sono stati e sono tutti massoni, delle due l’una: o la massoneria è un’immensa congrega di idioti dediti a giocare a rituali vetusti e demenziali e i personaggi più importanti dell’umanità erano e sono dei trogloditi superstiziosi, mentre noi, comuni mortali razionali e amanti del pensiero scientifico, siamo dei geni, oppure tali personaggi conoscevano e praticavano la magia, e hanno (e sanno) qualcosa che noi non sappiamo; e allora alla magia e all’esoterismo va riservato un posto ben diverso rispetto a quello che gli viene riservato in genere.Occorre anche considerare che la massoneria conta tra i suoi iscritti oltre 50.000 persone, e queste persone non sono studenti, disoccupati, barboni o nullafacenti, ma sono avvocati, magistrati, commercialisti, architetti, politici, medici, imprenditori, insomma la classe dirigente del paese. Tanto per fare un esempio, ai vertici intermedi della Rosa Rossa non c’era solo il magistrato Piero Luigi Vigna, ora defunto, ma c’è tuttora un magistrato che firma molti articoli esoterici e che leggo spesso su riviste e libri di esoterismo. Insomma, se è vero, per le cose che abbiamo detto in precedenza, che la massoneria è un’immensa organizzazione magica, di livello mondiale, ciò equivale a dire che la magia è molto più diffusa di quanto si creda, solo che la si chiama con nomi diversi. Beninteso… la maggior parte dei massoni non ha la minima idea del significato dei riti, non studia quasi nulla, e non capisce il perché di ciò che fa; così come la maggior parte dei cattolici non ha mai letto il Vangelo e la maggior parte dei buddhisti non ha mai letto un qualsiasi sutra per intero.La maggior parte dei massoni non sa nulla di massoneria, essendosi affiliata per carrierismo, per avere favori, o semplicemente perché in certi ambienti così fan tutti. Come accade in tutte le organizzazioni, solo una minoranza si rende davvero conto di ciò che fa e ne è consapevole. Ma questo non toglie che – lo ripeto – abbiamo oltre 50.000 persone della classe dirigente italiana, affiliate a un’organizzazione magico-esoterica; il che imporrebbe agli scettici, ai materialisti, e ai fideisti della scienza, di farsi venire qualche dubbio rispetto alle certezze granitiche che nutrono. Del resto, come abbiamo ampiamente dimostrato in altri articoli, simboli massonici o esoterici (e quindi magici) sono dappertutto; la moneta da un dollaro (con la piramide massonica e la frase “novus ordo seclorum”), la moneta da uno e due euro (con le sei linee, sei stelle e ancora sei linee presenti su tutte le monete, cioè il 666) e le dodici stelle a cinque punte (la donna che venne dal mare con una corona di dodici stelle dell’Apocalisse), i simboli dei partiti, le costruzioni (penso ad esempio alla sede del Parlamento Europeo, la cui strana e incomprensibile forma è in realtà copiata pari pari dalla struttura della Torre di Babele); Berlusconi ha costruito le sue ville secondo precisi criteri esoterici, come ha dimostrato “L’Espresso” in un articolo tempo fa e come ha spiegato Gioele Magaldi nel sito del Grande Oriente Democratico.Questa gente, insomma, perde il suo tempo a disseminare ovunque simboli massonici, esoterici e magici. E ancora una volta delle due l’una: o questi sono dei perditempo, o forse nel loro agire c’è un significato più profondo che sfugge alla maggioranza della gente. Parlando di prove, non credo inoltre che esistano (come invece diceva Gabriella Carlizzi) dei manoscritti cifrati e segreti per decodificare il linguaggio delle società segrete, perché se esistessero prima o poi potrebbero venire distrutti o scoperti, e non sarebbe possibile mantenere una segretezza assoluta per secoli; soprattutto non sarebbe possibile che uno stesso segreto iniziatico possa essere detenuto da persone che stanno anche a distanza di migliaia di chilometri le une dalle altre e che spesso hanno necessità di comunicare in tempo reale e senza limiti fisici. Sicuramente esistono testi magici che sono stati tenuti segreti per secoli e che ora vengono spesso ristampati (le edizioni Rebis in particolare negli ultimi anni hanno pubblicato testi interessantissimi, come – almeno per i miei fini – i testi di Arthur Edward Waite; mentre Venexia editrice pubblica i testi della Fortune e di Regardie).Sicuramente esisteranno testi, anche molto importanti, tenuti segreti alle masse. Ma i veri libri importanti, a mio parere, sono sotto gli occhi di tutti: la Bibbia (compresi gli apocrifi), i Vangeli (compresi gli apocrifi e gnostici), la Divina Commedia e altri libri sacri. Avendo le chiavi per interpretare questi libri, si ha la chiave della conoscenza esoterica. Ecco – ad esempio – il motivo per cui la massoneria festeggia San Giovanni (“Ci sono due chiese oggi: la Chiesa cattolica, di Pietro, e quella massonica, di Giovanni”, dice il Gran Maestro Di Bernardo in un’intervista a Ferruccio Pinotti), i Rosacroce hanno come figura di riferimento più importante San Giovanni, e la stessa Rosa Rossa fa sempre riferimento a San Giovanni. Nel Vangelo di Giovanni è infatti contenuta la parte più importante del messaggio esoterico di Cristo, che è riassumibile nelle sue due frasi: “voi siete dèi” e “conoscete la verità e la verità vi renderà liberi”, il che, poi, è lo stesso messaggio che c’è nella Genesi: Dio creò l’uomo a sua immagine somiglianza. E tale messaggio (che si può tradurre così: con la tua volontà, tu crei la tua realtà) è identico, sia per chi opera con animo puro, sia per chi vuole utilizzare questi strumenti per il male.Magia bianca e magia nera, infatti, si servono degli stessi strumenti; è solo il fine che è diverso, come dicono chiaramente Dion Fortune e Israel Regardie. Il grande segreto della magia è quindi il valore della forza di volontà, e la scoperta che tutto ciò che capita nella nostra vita è attirati dai nostri pensieri. Ne consegue che modificando i nostri pensieri può cambiare la nostra vita. Nell’antichità si riteneva che questo segreto non potesse essere dato alle masse o a chiunque lo volesse conoscere, per evitare che se ne potesse fare un uso distorto. I Pitagorici dicevano che dare il segreto a chiunque avrebbe comportato che il depresso/pessimista avrebbe utilizzato questa conoscenza per autoflagellarsi e accusarsi e sentirsi in colpa di tutte le disgrazie capitate alla gente intorno a lui; il malvagio se ne sarebbe servito per far del male; e la persona troppo limitata non avrebbe retto alla rivelazione, finendo per perdere il senno. Nel medioevo i Rosacroce e i Templari detenevano questo e altri segreti ma non potevano rivelarlo, perché sarebbero stati perseguitati dalla Chiesa cattolica.Oggi però, piano piano, questo concetto sta iniziando a farsi strada (a partire dai libri di esoterismo, sempre più diffusi, per passare dai libri new age – il cui contenuto è identico a ciò che già scrivevano Plotino qualche millennio fa e Cornelio Agrippa qualche secolo fa – fino ai recenti libri come “The Secret”, il cui titolo non casuale non è altro che una volgarizzazione di alcuni segreti che sono stati sempre propri delle scienze magiche ed esoteriche). Ciò che la cultura moderna e occidentale ha voluto nasconderci e cerca tutt’oggi di nascondere, insomma, è l’importanza della forza di volontà e tutto ciò che costituisce una tecnica per migliorare se stessi. La società occidentale cerca di distruggere sistematicamente la volontà dell’individuo, impedendogli di pensare, riflettere, migliorare. Tutto il sistema in cui viviamo è un complesso apparato volto a impedire lo sviluppo delle facoltà latenti in ogni uomo. A questo risultato si arriva con una serie di mezzi. Anzitutto facendo lavorare ogni individuo otto ore al giorno e anche più, ci si assicura che la persona non abbia tempo per evolversi, dovendo pensare soprattutto a mantenersi.I cibi sempre peggiori, la pubblicità insistente solo sul materialismo, la completa estromissione dai media, dai film, dai telefilm, dagli spettacoli e dall’informazione in genere, di tutto ciò che è spirituale, produce l’effetto visibile a tutti: l’annichilimento delle persone, l’azzeramento delle volontà, una società di infelici, persone che non conoscono il senso della vita, che sono depresse, che hanno paura di tutto (della bocciatura, della morte propria e altrui, di essere lasciati dal partner, del proprio datore di lavoro cui si sottomettono come schiavi per paura di perdere il lavoro, di parlare in pubblico, di perdere i loro soldi, la loro casa, la loro auto) e che sono schiave docili del sistema e i cui svaghi principali sono il calcio o la discoteca, due delle cose più inutili che la mente umana abbia prodotto.Per evitare poi che la gente si avvicini alla discipline esoteriche (e quindi migliori se stessa, approfondendo il senso della vita e della morte), il sistema provvede ad effettuare le seguenti operazioni: la magia viene presentata come una cosa da operetta, i cui testimonial principali sono Otelma, Silvan e Vanna Marchi; alcuni programmi e approfondimenti insistono molto sui maghi ciarlatani che propinano filtri d’amore a pagamento, presentando la gente che si rivolge ai maghi come dei superstiziosi ignoranti; nelle trasmissioni, sui giornali, nelle opere storiche, scientifiche e letterarie, viene volutamente omesso qualsiasi riferimento esoterico e qualsiasi riferimento ai problemi dell’anima e dello spirito; nei testi di storia viene omesso qualsiasi riferimento alla massoneria e ai Rosacroce, e alla loro importanza nella storia dell’umanità; di Dante ci insegnano che scelse San Bernardo come guida in Paradiso perché era devoto alla Madonna, e i Fedeli d’Amore ci vengono presentati come una manica di imbecilli che passavano il loro tempo a scrivere sonetti demenziali a donne angelicate che poi cornificavano nella loro vita privata.E ancora: lo Yoga e le tradizioni orientali sono presentati come una sorta di fuffa new age praticata da fricchettoni con i capelli lunghi e che fumano canne (vedi ad esempio il personaggio di Verdone nel film “Un sacco bello”), oppure persone svitate e svampite senza aggancio con la realtà (il personaggio di Dharma nel telefilm “Dharma e Greg”); in casi estremi poi si arriva addirittura a dire che lo Yoga e le discipline orientali sono “sataniche”, come fanno Padre Amorth e altri cattolici fondamentalisti; in linea di massima però chi pratica discipline come la meditazione viene sempre presentato come un disadattato che fugge dalla realtà, mentre la persona “adattata” e di successo, ben agganciata alla realtà, è ovviamente quello che viaggia vestito in giacca e cravatta sulla sua Bmw. E poi si omette accuratamente di dire che Dante Alighieri, Leonardo da Vinci, Mozart, Beethoven, Bacone (che pare fosse colui che effettivamente scrisse le opere di Shakespeare), erano Rosacroce, quindi maghi ed esoteristi, come lo erano Mazzini, Cavour e altri meno nobili personaggi, per evitare che la gente si faccia domande. Possiamo quindi dire che il grande segreto della magia è che essa funziona, e che chi detiene il potere nella nostra società ha fatto credere alla gente che essa non solo non funzioni, ma sia una scienza da ciarlatani, da persone superstiziose e arretrate, e che una persona, per essere evoluta, debba fare riferimento alla “scienza” e solo alla scienza. Un altro segreto è che i personaggi politici, da Borghezio ad Andreotti, Berlusconi o Monti, la utilizzano come strumento quotidiano, mentre a noi ci propinano al massimo il mago Otelma e Silvan.(Paolo Franceschetti, estratto da “La magia. Cos’è, perché funziona, e per quale motivo i politici la usano in segreto”, dal blog di Franceschetti del 18 novembre 2012).Molte pratiche e abitudini sociali sono pratiche magiche, o derivate dalla magia, ma sono chiamate con altri nomi. La recitazione dei mantra buddhisti, operando una trasformazione interna ed esterna, è magia. La meditazione è magia. La psicanalisi, operando una trasformazione interna, per migliorare gli eventi esterni dell’individuo e renderlo più felice, è magia. La psichiatria, somministrando farmaci per alterare gli stati emotivi e mentali, fa né più né meno quello che faceva e fa tuttora l’alchimia; la psichiatria quindi è magia. L’invocazione dell’aiuto divino, ma anche l’invocazione dei santi o della Madonna, operando miracoli, è magia; e la stessa messa cattolica è un rito esoterico, non a caso molto simile ai riti praticati dalle società segrete. La preghiera è una forma di magia. Faccio ora due esempi pratici di come il mago ottenga risultati concreti sulla realtà circostante a lui.
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Pasolini profetizzò gli orrori di oggi: chi l’ha ucciso?
Nell’aprile di quest’anno il Vaticano, che aveva a suo tempo perseguitato Pasolini e ne aveva appoggiato una condanna per blasfemia, ha definito il suo capolavoro, “Il Vangelo secondo San Matteo”, «il miglior film mai realizzato su Gesù Cristo». Questa espressione della fede radicale di Pasolini dipinge Gesù come un rivoluzionario “Messia rosso”, secondo la dottrina francescana della santa povertà, che ha una parziale influenza sull’attuale pontefice Francesco. Ma l’attenzione ossessiva per la sua morte è meno spiegabile: nel 2010 l’ex sindaco di Roma e leader del Partito Democratico di centro-sinistra Walter Veltroni chiese che il caso venisse riaperto sulla base di un insieme di strane circostanze convergenti e politicamente rilevanti. Pasolini venne ucciso il giorno dopo il suo ritorno da Stoccolma, dove aveva incontrato Ingmar Bergman e altri dell’avanguardia cinematografica svedese, e aveva rilasciato un’esplosiva intervista al settimanale “L’Espresso”, in cui aveva esplicitato il suo argomento preferito: «Ritengo che il consumismo sia una forma di fascismo peggiore delle versioni classiche».La visione di Pasolini di un nuovo totalitarismo, in cui l’ipermaterialismo distrugge la cultura italiana, può essere considerata un’acuta previsione di ciò che è avvenuto in tutto il mondo nell’era di Internet. Ma la sua critica era stata, per molti mesi prima dell’assassinio, più specifica. Aveva accusato la televisione di esercitare un’influenza estremamente pericolosa, prevedendo con grande anticipo l’emergere e la presa del potere di un soggetto come il magnate mediatico e primo ministro Silvio Berlusconi. Ancor più nello specifico, aveva scritto una serie di articoli per il “Corriere della Sera” di denuncia della dirigenza del partito al potere, la Democrazia Cristiana, come pervasa dall’influenza della mafia, prefigurando gli scandali della cosiddetta Tangentopoli di 15 anni dopo, quando un’intera classe politica venne messa agli arresti nei primi anni ’90. Nei suoi articoli, Pasolini affermava che la dirigenza democristiana doveva essere processata non solo per corruzione, ma per associazione con il terrorismo neofascista, come le bombe sui treni e i fatti di Milano.Un ulteriore elemento agghiacciante: quelli erano i cosiddetti “anni di piombo” in Italia, culminati nella bomba alla stazione di Bologna cinque anni dopo la morte di Pasolini, per mano di neofascisti in collaborazione coi servizi segreti, che uccise 82 persone. Io ero uno studente nella turbolenta Firenze del 1973, dove ritornai da allora ogni anno, e militante in un’organizzazione radicale chiamata Lotta Continua; e ricordo bene che il giornale “Lotta Continua” riceveva contributi da Pasolini, benché il suo rapporto con i movimenti radicali nati nel 1968 fosse ambiguo. Lui si identificava con i poliziotti contro gli studenti che manifestavano, perché, diceva, loro erano “figli dei poveri” attaccati dai borghesi “figli di papà”. Sta di fatto che al momento dell’omicidio nel 1975, le persone vicine a Pasolini videro la mano del potere dietro al suo assassinio. Non sarebbe stato il primo caso: eminenti personaggi della sinistra furono spesso aggrediti o uccisi; la femminista Franca Rame, che avrebbe sposato l’artista anarchico Dario Fo, venne rapita da neofascisti appoggiati dai carabinieri.Membri della famiglia di Pasolini, il giro dei suoi amici, e gli scrittori Oriana Fallaci e Enzo Siciliano evidenziarono possibili motivi politici per l’assassinio e fornirono prove che contraddicevano la confessione di Pelosi, come un maglione verde ritrovato nella macchina che non apparteneva né a Pasolini né a Pelosi, e un’impronta insanguinata della mano di Pasolini sul tetto (c’era appena qualche macchia di sangue su Pelosi). Dei motociclisti ed un’altra macchina furono visti seguire l’Alfa Romeo. Nel gennaio 2001 uscì un articolo su “La Stampa”, che portava la teoria della cospirazione su un terreno pesante. Si trattava della morte, nel 1962, in un incidente aereo, di Enrico Mattei, presidente del gigante dell’energia Eni, su cui fu girato un famoso film da Francesco Rosi, con cui Pasolini aveva lavorato. L’autore dell’articolo, Filippo Ceccarelli – uno dei più esperti giornalisti politici italiani – citava le inchieste di un giudice, Vincenzo Calia, sugli intrighi politici interni ad Eni, che rivelarono che l’aereo era stato abbattuto. Il giudice Calia coinvolse il successore di Mattei, Eugenio Cefis, in connivenza con leaders politici. Il rapporto citava un giornalista, Mauro di Mauro, che aveva lavorato con Rosi per il film “L’affare Mattei”, che fu rapito e di cui si perse ogni traccia.Molto prima dell’indagine di Calia, pubblicata nel 2003, Pasolini aveva lavorato al volume “Petrolio”, pubblicato postumo, in cui si delineavano le figure, a malapena dissimulate, di Mattei e Cefis, e si mostrava a conoscenza di come lo scandalo Eni e l’assassinio conducessero al cuore del potere e della loggia massonica P2, di cui Cefis era membro fondatore. «Con 25 anni di anticipo», scrisse Ceccarelli, «lo scrittore Pasolini era consapevole dell’esito di una lunga indagine». Poi, nel 2005, si ruppero gli argini. Pelosi, intervistato in televisione, ritrattò la confessione, dichiarando che due fratelli e un altro uomo avevano ucciso Pasolini, chiamandolo “pervertito” e “sporco comunista”, mentre lo colpivano a morte. Disse che essi frequentavano la sede tiburtina del partito neofascista Msi. Tre anni dopo, Pelosi fece altri nomi in un saggio dal titolo “Profondo Nero”, pubblicato dall’editore radicale “Chiarelettere”, in cui rivelava connessioni con cellule fasciste ancor più estreme, legate ai servizi segreti, dicendo che non aveva osato parlare prima, a causa di minacce alla sua famiglia.Uno degli amici più stretti di Pasolini, l’aiuto regista Sergio Citti, uscì allo scoperto dicendo che le sue personali indagini avevano condotto a prove del tutto trascurate: dei pezzi di bastone insanguinati scaricati vicino al campo di calcio, e un testimone, ignorato dall’indagine ufficiale, che aveva visto cinque uomini tirare fuori Pasolini dalla macchina. Citti introdusse un nuovo argomento: il furto delle bobine dell’ultimo film di Pasolini, “Salò”, di cui aveva tentato di negoziare la restituzione. Venne fuori che la banda di ladri frequentava lo stesso bar del biliardo di Pelosi, e aveva contattato Pasolini l’ultimo giorno della sua vita per combinare un incontro. Un’altra ricerca dello scrittore Fulvio Abbate collegava gli assassini alla famosa banda criminale della Magliana, che operava nella periferia del litorale romano. Il caso è ormai chiuso, e c’è chi, nella cerchia di Pasolini come nella classe politica, preferisce così.(Ed Vulliamy, estratto da “Chi ha davvero ucciso Pier Paolo Pasolini?”, articolo pubblicato sul “Guardian” il 24 agosto 2014 e tradotto da “Come Don Chisciotte”, in occasione della presentazione a Venezia del film di Abel Ferrara, che ricostruisce la figura del grande intellettuale partendo dalla sua tragica e misteriosa fine, il 1° novembre 1975, nel corso di un’esecuzione in cui risultò dapprima coinvolto il giovane Giuseppe “Pino” Pelosi).Nell’aprile di quest’anno il Vaticano, che aveva a suo tempo perseguitato Pasolini e ne aveva appoggiato una condanna per blasfemia, ha definito il suo capolavoro, “Il Vangelo secondo San Matteo”, «il miglior film mai realizzato su Gesù Cristo». Questa espressione della fede radicale di Pasolini dipinge Gesù come un rivoluzionario “Messia rosso”, secondo la dottrina francescana della santa povertà, che ha una parziale influenza sull’attuale pontefice Francesco. Ma l’attenzione ossessiva per la sua morte è meno spiegabile: nel 2010 l’ex sindaco di Roma e leader del Partito Democratico di centro-sinistra Walter Veltroni chiese che il caso venisse riaperto sulla base di un insieme di strane circostanze convergenti e politicamente rilevanti. Pasolini venne ucciso il giorno dopo il suo ritorno da Stoccolma, dove aveva incontrato Ingmar Bergman e altri dell’avanguardia cinematografica svedese, e aveva rilasciato un’esplosiva intervista al settimanale “L’Espresso”, in cui aveva esplicitato il suo argomento preferito: «Ritengo che il consumismo sia una forma di fascismo peggiore delle versioni classiche».