Archivio del Tag ‘Lampedusa’
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Prima i migranti: così Pd e Leu suicideranno il Conte-bis
Se la sinistra è crollata nei consensi negli ultimi anni non è perché Renzi è antipatico, come vogliono far credere i suoi nemici nel Pd e quanti li sostengono. I dem sono precipitati perché nei sette anni in cui hanno governato si sono fatti travolgere dalla crisi economica e dall’invasione degli immigrati. Anziché provare a gestire le due questioni, la sinistra si è consegnata all’Europa, dalla quale si è fatta dirigere. Naturalmente, gli Stati Ue che contano, Germania e Francia, hanno pensato ai propri interessi e non ai nostri; quindi, da una parte hanno salvato le loro banche, lasciando fallire quelle italiane e girando il conto ai risparmiatori truffati, dall’altra ci hanno abbandonati nella gestione dei profughi, arrivando perfino a sospendere il Trattato di Schenghen affinché nessun migrante potesse uscire dal Bel Paese. Questo ha fatto sì che in Italia montasse un profondo risentimento verso le classi dirigenti della sinistra, genericamente ed erroneamente definito odio anti-casta. Era più semplicemente la sensazione di inadeguatezza e distanza dalla realtà che la sinistra ha ha suscitato nei cittadini, i quali hanno cominciato a realizzare che i governi dem avevano arricchito i ricchi e lasciato indietro tutti gli altri, dando in più la sensazione di occuparsi più dei poveri immigrati che dei poveri italiani, che intanto aumentavano.Le persone erano terrorizzate dalla crisi, dalla mancanza di lavoro e dall’enorme flusso di disperati dal mare e la sinistra provava a convincerle che gli immigrati fossero delle risorse e ci avrebbero salvato e che gli arrivi non fossero arginabili. Come a dire: meglio gli africani di voi. Inevitabilmente il 4 marzo 2018 gli elettori hanno punito il Pd votando M5S per bocciare la casta e tornare allo Stato assistenziale e Lega per fermare gli immigrati e avere meno tasse. Subito si è capito che i grillini non erano all’altezza del compito e pertanto i consensi si sono spostati su Salvini. Matteo ha avuto il merito di scegliere per sé il ministero dell’Interno e di imbroccare la politica migratoria, riducendo sbarchi e morti in mare, combattendo Ong e scafisti e dando la sensazione che al governo ci fosse finalmente qualcuno intenzionato a fermare gli ingressi di clandestini. Pd e Leu non hanno capito la lezione e per 14 mesi hanno insultato il leader leghista, dandogli del razzista, mentre l’89% degli italiani ne condivide la linea. Una volta tornata al governo nel modo in cui tutti sappiamo, la sinistra ha iniziato a ripetere gli errori che l’hanno affossata.Zingaretti, Veltroni, Bersani e Letta hanno dichiarato di voler aprire tutti i porti, introdurre lo ius soli e riavviare la macchina dell’accoglienza che piace alla Chiesa, alle Ong e alle cooperative che fanno affari con i migranti, nonché agli scafisti. A parole il Pd riconosce – e come potrebbe fare diversamente? – che la sua gestione dell’immigrazione è stata un fallimento. Però, anziché scusarsi e farsi umilmente da parte, la sinistra la rivendica nuovamente per sé, per di più con arroganza. L’effetto immediato è stato che la Lega, dopo un piccolo calo dovuto alla difficoltà di Salvini nello spiegare perché era uscito dal governo senza riuscire a ottenere nuove elezioni, è risalita nei sondaggi. Prevedibile: non c’è come lasciar governare M5S e Pd per suscitare nei più la nostalgia per il leader leghista. Delirante la proposta dell’ex premier Enrico Letta, quello che ha trasformato Lampedusa in un campo profughi a cielo aperto. Egli auspica di sottoscrivere, proprio sull’isola simbolo dell’abbandono dell’Italia da parte della Ue, un trattato europeo per la distribuzione degli arrivi.Il prode piddino non si preoccupa di arginare il flusso di arrivi, creare le condizioni perché gli africani non abbandonino e lascino morire il loro continente, che è grande tre volte l’Europa, e ospitare, come fanno tutte le nazioni civili, solo una quota selezionata di immigrati l’anno, quella necessaria all’economia degli Stati. No; lui è impegnato a lanciare un nuovo spot delle frontiere aperte a tutti i disgraziati del mondo: «Venite in Europa, in qualche modo vi distribuiamo tutti, un po’di qua, un po’di là». Enrico sta sereno dopo la sua pensata, ma lui ci è abituato. Noi no, e non vorremmo lasciare il posto a qualcun altro come ha fatto lui. Dopo anni di studi e lezioni a Parigi, Letta si sente non più pisano, ma international. Si è anche scagliato contro la Commissione per la Difesa dello stile di vita europeo, voluta dalla Von der Leyen. «Questo proprio no», ha twittato come fosse il demonio. Ma senza uno stile di vita, e quindi una cultura comune, l’Europa resterà sempre un’unione economica di Paesi sull’orlo del fallimento che si fanno concorrenza tra loro mentre il resto del mondo fa i soldi. Con il più forte che picchia il più debole. Imbevuti di multiculturalismo, Letta e il Pd queste cose non le capiscono più. Sognano un’Europa dalle frontiere ininterrottamente aperte e senza identità, dove tutti sono diversi e quindi uguali. Stanno facendo i conti senza l’oste: le persone non vogliono questo, e i primi a non votarli sono proprio gli extracomunitari riusciti a diventare cittadini.(Pietro Senaldi, “Pd e Leu si suicidano sui migranti”, da “Libero” del 14 settembre 2019).Se la sinistra è crollata nei consensi negli ultimi anni non è perché Renzi è antipatico, come vogliono far credere i suoi nemici nel Pd e quanti li sostengono. I dem sono precipitati perché nei sette anni in cui hanno governato si sono fatti travolgere dalla crisi economica e dall’invasione degli immigrati. Anziché provare a gestire le due questioni, la sinistra si è consegnata all’Europa, dalla quale si è fatta dirigere. Naturalmente, gli Stati Ue che contano, Germania e Francia, hanno pensato ai propri interessi e non ai nostri; quindi, da una parte hanno salvato le loro banche, lasciando fallire quelle italiane e girando il conto ai risparmiatori truffati, dall’altra ci hanno abbandonati nella gestione dei profughi, arrivando perfino a sospendere il Trattato di Schenghen affinché nessun migrante potesse uscire dal Bel Paese. Questo ha fatto sì che in Italia montasse un profondo risentimento verso le classi dirigenti della sinistra, genericamente ed erroneamente definito odio anti-casta. Era più semplicemente la sensazione di inadeguatezza e distanza dalla realtà che la sinistra ha ha suscitato nei cittadini, i quali hanno cominciato a realizzare che i governi dem avevano arricchito i ricchi e lasciato indietro tutti gli altri, dando in più la sensazione di occuparsi più dei poveri immigrati che dei poveri italiani, che intanto aumentavano.
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Donazione milionaria per Rackete, detestata dagli italiani
La vicenda Sea Watch è stata molto seguita dagli italiani: due su tre (il 63%) con molta attenzione, e il 29% ne ha almeno sentito parlare. Come nel caso della Diciotti, scrive Nando Pagnoncelli nel suo recente sondaggio per il “Corriere della Sera”, «gli italiani si confermano nettamente a favore della linea della fermezza che impedisca gli sbarchi sul territorio italiano dei migranti soccorsi in mare dalle navi delle organizzazioni umanitarie: il 59% si dichiara molto (34%) o abbastanza (25%) d’accordo, mentre il 29% è contrario. Dieci mesi fa i favorevoli erano pari al 61%». Una nettissima inversione di tendenza: «Il consenso alla linea salviniana non appare tanto dettato dalla preoccupazione che il nostro paese non sia più in grado di accogliere altri migranti (solo il 28% è di questo parere)», continua Pagnoncelli, «quanto piuttosto dall’esigenza di coinvolgere gli altri paesi europei nella gestione dei flussi (71%)». Il braccio di ferro, quindi, «è considerato l’unico modo possibile per costringere le altre nazioni europee a fare la propria parte, nella convinzione – largamente diffusa – che l’ Ue ci abbia lasciato soli».E la capitana della Sea Watch, Carola Rackete? «Ebbene, in questo derby tra capitani la maggioranza degli italiani (53%) sta con “il capitano” Salvini, mentre il 23% si schiera con la capitana Rackete, e uno su quattro (24%) non si pronuncia». La pensano diversamente vari politici europei, che dopo l’arresto della tedesca – al comando del vascello olandese – si sono affrettati ad esprimerle supporto, a cominciare dal ministro tedesco dello sviluppo, Gerd Müller. Nel frattempo, scrive il “Corriere del Ticino”, numerosi cittadini europei hanno risposto all’appello lanciato su YouTube dai presentatori televisivi tedeschi Jan Boehmermann e Klaas Heufer-Umlauf in un video di 15 minuti, pubblicato su tutti i social media. «L’obiettivo della colletta è il pagamento delle sanzioni che saranno inflitte a Rackete per aver forzato l’ingresso nel porto di Lampedusa, oltre che per le spese giudiziarie». E al momento – questa la vera notizia – la raccolta di fondi ha già superato il milione di euro: 735.000 euro provenienti dalla Germania e oltre 410.000 euro dalla pagina Facebook italiana dell’iniziativa.«Quanto avanzerà verrà usato dalla Ong per procurarsi una nuova nave in caso di sequestro o confisca del natante comandato da Rackete», continua il quotidiano svizzero, ricordando che il promotore dell’iniziativa, Jan Boehmermann, ha subito commentato su Twitter il successo raggiunto, dicendo che «non si tratta soltanto di denaro urgente, ma anche di un chiaro segnale per i responsabili politici e coloro che si occupano di salvare le vite dei migranti». Infatti, sulla pagina web creata appositamente per le donazioni, Heufer e Umlauf introducono l’iniziativa dicendo che «chi salva vite non è un criminale». E aggiungono: «In tutto il mondo, ma soprattutto nella nostra libera, democratica e aperta Europa». Sono gli stessi media, tedeschi, che assistettero impassibili alla spietata strage della Grecia, inflitta ad Atene dalla “libera, democratica e aperta Europa”, su pressione delle banche tedesche e francesi. Ma i bambini greci – morti negli ospedali per mancanza di medicine – evidentemente fanno meno compassione dei migranti assistiti a spese dell’Italia e protetti da Carola Rackete, la tedesca che gli italiani detestano.La vicenda Sea Watch è stata molto seguita dagli italiani: due su tre (il 63%) con molta attenzione, e il 29% ne ha almeno sentito parlare. Come nel caso della Diciotti, scrive Nando Pagnoncelli nel suo recente sondaggio per il “Corriere della Sera”, «gli italiani si confermano nettamente a favore della linea della fermezza che impedisca gli sbarchi sul territorio italiano dei migranti soccorsi in mare dalle navi delle organizzazioni umanitarie: il 59% si dichiara molto (34%) o abbastanza (25%) d’accordo, mentre il 29% è contrario. Dieci mesi fa i favorevoli erano pari al 61%». Una nettissima inversione di tendenza: «Il consenso alla linea salviniana non appare tanto dettato dalla preoccupazione che il nostro paese non sia più in grado di accogliere altri migranti (solo il 28% è di questo parere)», continua Pagnoncelli, «quanto piuttosto dall’esigenza di coinvolgere gli altri paesi europei nella gestione dei flussi (71%)». Il braccio di ferro, quindi, «è considerato l’unico modo possibile per costringere le altre nazioni europee a fare la propria parte, nella convinzione – largamente diffusa – che l’ Ue ci abbia lasciato soli».
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Carpeoro: Salvini e Rackete giocano nella stessa squadra
«Tra un po’ gli africani saranno un miliardo, milioni di loro alle prese col dramma della fame: secondo voi l’esodo lo si arresta chiudendo qualche porto? E secondo voi è una soluzione salvare 40 naufraghi imponendo all’Italia di accoglierli?». Domande che Gianfranco Carpeoro propone al pubblico del meeting annuale di “Border Nights”, ospitato il 30 giugno dall’associazione culturale veneta Salux Bellatrix, guidata da Francesca Salvador. Argomento bollente, su tutte le prime pagine, il derby tra il Capitano e la Capitana: da una parte Matteo Savini, dall’altra Carola Rackete, tedesca, figlia di un mercante d’armi e comandante della nave “Sea Watch” che ha forzato il blocco navale disposto a Lampedusa, scatenando il caso a livello europeo proprio mentre l’Ue ricatta l’Italia con la minaccia della procedura d’infrazione per eccesso di debito. Attenzione ai dettagli, raccomanda Carpeoro: «La Sea Watch è olandese, e l’Olanda è il paese che più preme per le sanzioni Ue contro l’Italia. L’Olanda – aggiunge Carpeoro – è la anche la fogna d’Europa, insieme a Lussemburgo e Liechtenstein: la legislazione fiscale olandese ha sottratto all’Italia fiumi di denaro, attirando grandi aziende italiane. E se l’Olanda è la fogna, Francia e Germania sono il pulsante dello sciacquone. Capite, adesso, che non c’è niente di casuale nella tempistica del caso?».Può sembrare paradossale, aggiunge Carpeoro, ma Salvini e la Capitana sono due facce della stessa medaglia: forse non se ne rendono conto, ma è come se giocassero nella stessa squadra. «Nessuno dei due propone una soluzione seria per il problema dei migranti, che è di portata enorme». Chiudere i porti e accogliere naufraghi «sono due non-soluzioni», assolutamente identiche nel risultato che ottengono, pari a zero. Di più: «Polarizzare lo scontro attorno a questi due personaggi mediatici serve a continuare così, cioè a non pensare». Conta chi la spunta, a prescindere dal risultato che servirebbe (una vera soluzione per l’Africa, depredata dal colonialismo neoliberista). Salvini e la Rackete, sostiene quindi Carpeoro, sono maschere utilissime al potere che sfrutta il continente nero. Il ministro arcigno, che vede solo la necessità di ridurre gli sbarchi (senza curarsi dell’origine del problema) è contrapposto solo in apparenza alla rivale di oggi, la comandante della “Sea Watch”, che pensa che per ripulire la cattiva coscienza dell’Europa basti salvare qualche decina di naufraghi (a spese dell’Italia, però: e in questo fa benissimo, Salvini, a far valere la sovranità della Penisola, specie se i maggiori azionisti dell’Ue continuano a scaricare solo su Roma il costo dell’assistenza dei disperati che sbarcano a Lampedusa).Salvini e la Capitana, aggiunge Carpeoro, ricordano “i capponi di Renzo”, di manzoniana memoria: si beccano come se fossero nemici mortali, ignorando che li aspetta la stessa pentola. Pedine di un gioco più grande, quello della politica “usa e getta”, destinata a durare lo spazio di un mattino. E’ legittimo contingentare gli ingressi degli stranieri e porre un freno all’immigrazione irregolare, «a patto però che la politica – nel frattempo – pensi anche a come progettare la società». Secondo Carpeoro, «un bravo governante dovrebbe avere un’idea precisa di come sarà l’Italia tra vent’anni, quindi anche mettendo in campo strategie per intervenire in modo costruttivo in Africa». Obiettivo: fare in modo che nessuno debba più imbarcarsi per i precari viaggi della speranza, gestiti da una filiera composta da opache finanziarie europee, scafisti e mafiosi africani, trafficanti di uomini e Ong tutt’altro che trasparenti, generosamente sovvenzionate dai campioni della stessa élite finanziaria che, razziando l’Africa, ha creato le premesse per l’esodo. Litigiare sui porti «serve essenzialmente a continuare a non pensare», premiando la politica-spot fatta solo di slogan contrapposti, «perfettamente funzionale al potere che ha inventato il consumismo e cancellato dall’Occidente la politica vera, capace di pensare e quindi di progettare soluzioni di ampio respiro, che ovviamente richiedono anni di impegno».«Tra un po’ gli africani saranno un miliardo, milioni di loro alle prese col dramma della fame: secondo voi l’esodo lo si arresta chiudendo qualche porto? E secondo voi è una soluzione salvare 40 naufraghi imponendo all’Italia di accoglierli?». Domande che il saggista Gianfranco Carpeoro propone al pubblico del meeting annuale di “Border Nights”, ospitato il 30 giugno dall’associazione culturale veneta Salux Bellatrix, guidata da Francesca Salvador. Argomento bollente, su tutte le prime pagine, il derby tra il Capitano e la Capitana: da una parte Matteo Savini, dall’altra Carola Rackete, tedesca, figlia di un mercante d’armi e comandante della nave “Sea Watch” che ha forzato il blocco navale disposto a Lampedusa, scatenando il caso a livello europeo proprio mentre l’Ue ricatta l’Italia con la minaccia della procedura d’infrazione per eccesso di debito. Attenzione ai dettagli, raccomanda Carpeoro: «La Sea Watch è olandese, e l’Olanda è il paese che più preme per le sanzioni Ue contro l’Italia. L’Olanda – aggiunge Carpeoro – è anche la fogna d’Europa, insieme a Lussemburgo e Liechtenstein: la legislazione fiscale olandese ha sottratto all’Italia fiumi di denaro, attirando grandi aziende italiane. E se l’Olanda è la fogna, Francia e Germania sono il pulsante dello sciacquone. Capite, adesso, che non c’è niente di casuale nella tempistica del caso?».
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Tasse, sicurezza, migranti: il sovranismo non è passeggero
Vi siete ripresi dall’overdose di video e di commenti, di analisi, tabelle e dichiarazioni? Proviamo a cambiare prospettiva, dopo una piccola notazione preventiva. Sono vistosi i vincitori, Salvini e Meloni, ma chi sono gli sconfitti, oltre i 5 Stelle? Direi soprattutto tre competitori extrapolitici: i magistrati in campagna elettorale, i media compatti contro Salvini e il bergoglismo da asporto. Le vittorie simboliche della Lega a Lampedusa, Riace e Capalbio lo sanciscono. Ma lasciamo stare i trionfanti, i crescenti, i caduti, i declinanti. Lasciamo stare gli eletti e i trombati, i nomi e i partiti, le analisi dei flussi e dei riflussi. Proviamo a salire di un piano, ponendoci sul piano degli orientamenti di fondo e chiedendoci non chi ha vinto ma cosa ha vinto. Come è cambiato il quadro politico e culturale? Si è delineata una grande, sostanziale divaricazione: emerge, come avevamo previsto, un bipolarismo di contenuti tra gli eredi della sinistra e gli eredi della destra. Da una parte è cresciuto un fronte che supera il 40 per cento dei consensi e che si definisce sovranista: rappresenta i temi della sicurezza, lo stop ai flussi migratori, la tutela della famiglia, la rivoluzione fiscale e le opere pubbliche, la difesa dei confini, della sovranità politica, popolare e nazionale.Dall’altro versante ritorna in campo la sinistra con posizioni esattamente opposte ai sovranisti in tema di Europa e di migranti, di bioetica e di sicurezza, di economia e di sovranità. È una forza di netta minoranza, che oscilla tra il 22 e il 28 per cento, se si considera l’intero versante sinistro, inclusa la Bonino, pur con forti insediamenti in alcune città e una vasta ramificazione nei gangli vitali della società e nelle élite: nella scuola e nella cultura, nella magistratura e nella stampa. Sul piano elettorale non è stata particolarmente significativa la rimonta elettorale del Pd. Essere all’opposizione di un governo diviso su tutto e attaccato massicciamente, agitare i mostri del passato, il nazismo e il razzismo, avere dalla propria parte i media e i poteri europei, vedere decomporsi il Movimento 5 Stelle, e vedere crescere “la destra” a un livello che non c’è mai stato, non mi pare un gran risultato per la sinistra. La polarizzazione intorno a Salvini avrebbe dovuto farla crescere molto di più. Ma al di là della contabilità elettorale, il Pd rappresenta un’area, un mondo, una posizione antagonista rispetto al fronte sovranista. Qual è il nemico ideologico del sovranismo? Sul piano negativo è l’antifascismo, sul piano “positivo” è l’ideologia dell’accoglienza. La sinistra in Italia oggi è attestata nella versione secolare del bergoglismo.Non trovano spazio e ruolo, invece, le forze che si pongono al di fuori di questa polarizzazione, dal centrifugo Movimento 5 Stelle al centrista ondivago Forza Italia. Il Movimento 5 Stelle ha funzionato come collettore del dissenso e raccoglitore dei malesseri e dei rancori popolari, ma non funziona come forza di governo e come catalizzatore di opinioni e programmi; non si inserisce con un suo orientamento sui temi decisivi del nostro presente. I grillini sono inconsistenti sul piano dei contenuti e perciò sono alleati con una forza che reputano di destra ma, per differenziarsi, si conformano al trend della sinistra. Lo schema vecchio-nuovo e sistema-antisistema funziona finché non sei al governo. Da parte sua, Berlusconi si è battuto come un leone ma ha confermato il suo declino; del resto non si può puntare su una ristampa anastatica di se stesso, in versione plastificata, e fingere di essere ancora al centro dell’universo, strizzando l’occhio ora al versante populista ora al versante opposto. Fino a ieri si poneva come garante dei sovranisti, oggi come argine contro i medesimi e si apre alla grosse koalition con la sinistra europea. E poi si chiede perché Salvini e Meloni (e tanti elettori) non si fidano di lui…I sovranisti sono cresciuti in mezza Europa, sono primo partito in Francia, in Inghilterra, in Ungheria, in Polonia e in Italia. Ma, come prevedevamo, saranno pure più influenti ma gli assetti europei di potere in sostanza non cambieranno, si estenderanno solo le alleanze. Dunque non ci sarà alcun terremoto a livello europeo. E in Italia? Anche qui non si prevedono terremoti politici ma scosse di assestamento, secondo quando annunciato dagli stessi protagonisti, a cominciare da Salvini. Il baricentro del governo passerà dai grillini ai leghisti e vedremo se questo sarà concretamente praticabile e se potrà perdurare. Non si intravede, per ora, una svolta come quella auspicata dalla Meloni. Accadrà solo se i 5 Stelle sceglieranno la via dell’opposizione, giubilando Di Maio. Insomma, il test europeo colpisce ma non stravolge gli assetti presenti né in Europa né in Italia.Cosa impedisce allora di ritenere che il grande successo della Lega sia passeggero, come è già accaduto in passato ad altri trionfatori delle elezioni europee? Una considerazione: l’onda sovranista tocca temi non passeggeri ma strutturali, destinati a durare nel tempo. E il sovranismo nostrano si collega a un quadro mondiale che va da Trump a Orban, passando per Marine Le Pen e tanti altri leader nazional-populisti vincenti nel mondo, dall’India al Brasile. Dunque saranno pure variabili gli umori dell’elettorato e saranno pure passeggeri i trionfi dei leader, come mostrano le parabole di Renzi, Di Maio, ecc.; ma quei temi, quegli orientamenti, quegli schieramenti delineati indicano tendenze marcate, destinate a durare. Il bipolarismo è rinato nella società civile prima che nella politica, e guai a chi finge di non vederlo. Si vedrà se i leader e le forze in campo saranno all’altezza di rappresentarlo oppure no.(Marcello Veneziani, “Il sovranismo non è un fenomeno passeggero”, da “La Verità” del 29 maggio 2019; articolo ripreso dal blog di Veneziani).Vi siete ripresi dall’overdose di video e di commenti, di analisi, tabelle e dichiarazioni? Proviamo a cambiare prospettiva, dopo una piccola notazione preventiva. Sono vistosi i vincitori, Salvini e Meloni, ma chi sono gli sconfitti, oltre i 5 Stelle? Direi soprattutto tre competitori extrapolitici: i magistrati in campagna elettorale, i media compatti contro Salvini e il bergoglismo da asporto. Le vittorie simboliche della Lega a Lampedusa, Riace e Capalbio lo sanciscono. Ma lasciamo stare i trionfanti, i crescenti, i caduti, i declinanti. Lasciamo stare gli eletti e i trombati, i nomi e i partiti, le analisi dei flussi e dei riflussi. Proviamo a salire di un piano, ponendoci sul piano degli orientamenti di fondo e chiedendoci non chi ha vinto ma cosa ha vinto. Come è cambiato il quadro politico e culturale? Si è delineata una grande, sostanziale divaricazione: emerge, come avevamo previsto, un bipolarismo di contenuti tra gli eredi della sinistra e gli eredi della destra. Da una parte è cresciuto un fronte che supera il 40 per cento dei consensi e che si definisce sovranista: rappresenta i temi della sicurezza, lo stop ai flussi migratori, la tutela della famiglia, la rivoluzione fiscale e le opere pubbliche, la difesa dei confini, della sovranità politica, popolare e nazionale.
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Mazzucco: la droga dell’ignoranza, Salvini e la zia Cesarina
Ho visto Salvini, dalla Gruber, che lanciava la sua crociata contro “la droga”. Faceva quasi tenerezza, poverino, quando pronunciava la parola “droga”. Sembrava la mia zia Cesarina, che in dialetto milanese mi diceva: ehi, sta’ attento a andare in giro con quella gente, sono tutti drogati… Solo che mia zia Cesarina aveva 102 anni, quando me lo diceva, e non era mai uscita dal suo paesino di campagna, mentre Salvini è il ministro degli interni di una grande nazione moderna – e qualcosa in più dovrebbe saperla. Ma ovviamente lui fa finta di niente. Lui mescola tutto in un grande calderone con le parole droga, cannabis, Casamonica, guerra alla mafia, spacciatori… Lui fa tutto questo calderone, così non è costretto a fare nessuna distinzione. E allora la distinzione la facciamo noi, per lui. E chiariamo, per il nostro ministro un po’ pasticcione, alcune cose importanti. Primo: esistono droghe leggere e droghe pesanti; non puoi trattarle tutte allo stesso modo. L’eroina uccide, la cocaina uccide, le metanfetamine uccidono; la marijuana non uccide. La marijuana non ha mai ucciso nessuno da quando è stata scoperta, Salvini. Ti sfido a trovare un solo caso, nella storia, di morte per overdose di marijuana – uno – e io cancellerò questo video e ti chiederò scusa. Altrimenti, se non riesci a trovarlo, smettila di far finta che le droghe siano tutte uguali, e comincia a ragionare seriamente su questo argomento.Punto due: non è vero che la marijuana sia una droga di passaggio che ti porta inevitabilmente alle droghe più pesanti. Questo è un luogo comune, creato dalla propaganda americana degli anni ‘50, della quale apparentemente tu sei ancora vittima. Nuovamente: ti sfido a trovare una sola ricerca scientifica che dimostri come l’uso della marijuana porti automaticamente all’utilizzo di droghe pesanti, e io (nuovamente) cancellerò questo video e ti chiederò scusa. Ma tu quella ricerca non la troverai mai, perché – semplicemente – non esiste. In questo caso ti voglio dare io una mano, così non starai a sprecare troppo tempo. Ci sono state diverse ricerche scientifiche, sull’uso della marijuana, a partire dagli anni ‘40 del secolo scorso, fino ad oggi. E nessuna – ripeto, nessuna – ha mai confermato, in alcun modo, questa presunta pericolosità della marijuana. Ti faccio un breve elenco. La prima ricerca scientifica della storia, sulla marijuana, la fece il famoso sindaco di New York, Fiorello La Guardia, ancora negli anni ‘40. Commissionò una ricerca scientifica per verificare quali fossero veramente gli effetti della marijuana sull’individuo; 31 scienziati indipendenti lavorarono per oltre cinque anni, portando a termine quella che di fatto rimane la prima indagine scientifica conosciuta, sull’uso di marijuana.Pubblicato nel 1944, il Rapporto La Guardia presentava risultati sorprendenti: la marijuana, diceva, non provoca atteggiamenti aggressivi o antisociali, non causa un aumento del desiderio sessuale e non altera gli aspetti fondamentali della personalità. Poi, negli anni Sessanta, ci fu una famosa ricerca scientifica fatta dall’Università della California, a Palo Alto, per chiarire meglio quali fossero gli effetti della marijuana sull’individuo. I risultati furono di tutto, meno che terrificanti. Poi, negli anni Settanta arrivò Richard Nixon (che è sicuramente fra i tuoi eroi preferiti). Lui addirittura istituì una commissione scientifica apposita, sull’uso della marijuana, perché voleva scatenare una “guerra alla droga” basata su una solida documentazione scientifica. Ma anche a lui andò male: ancora una volta, i risultati furono del tutto opposti a quelli previsti. «Le raccomandazioni della commissione, nel suo primo rapporto – disse il presidente, Raymond Shafer – sono che non crediamo che l’uso personale, o il possesso personale, in casa propria, debbano essere bollati come un crimine. Le persone che vogliono fare questa esperienza – aggiunse – non vanno trattate come criminali, per quel particolare comportamento».Richard Bonnie è stato il co-direttore di quella commissione: «Divenne chiaro – disse – quanto poco si sapesse, sugli effetti di questa droga, e quanto scarse fossero le prove s supporto del suo presunto pericolo». Qualche anno dopo ci provarono in Inghilterra, ma anche lì il risultato fu identico. Una ricerca simile era stata affidata alla baronessa Wootton, una nota sociologa e criminologa, che aveva collaborato spesso con il governo inglese. I risultati furono molto simili a quelli della Commissione Nixon: «Il consumo prolungato di cannabis in dosi moderate – diceva il rapporto – non ha effetti dannosi: non vi sono prove che questa attività porti a crimini violenti, aggressioni o comportamenti antisociali, né che produca in una persona – altrimenti normale – stati di assuefazione o di psicosi che richiedano cure mediche». Hai capito, Salvini? Non troverai mai una ricerca scientifica che dica che la marijuana è pericolosa, semplicemente perché questa ricerca non esiste.Punto tre: i negozi di cannabis che ci sono oggi vendono cannabis legale, che è depotenziata (con un livello del Thc intorno allo 0,2%), quindi assolutamente senza effetti psicotropici per il fumatore. Se tu trovi qualche negozio di cannabis che vende illegalmente la droga sottobanco, lo fai chiudere e fai arrestare i proprietari; ma non chiudi un’intera categoria di negozi legali, con un florido business nascente – uno dei pochi che abbiamo oggi in Italia, fra l’altro – solo perché qualcuno vende qualcosa di illegale. Se trovi un bar che vende cocaina sottobanco cosa fai, arresti il proprietario o fai chiudere tutti i bar, da Bolzano fino all’isola di Lampedusa? Punto quattro: se sei davvero così impegnato a difendere la salute dei cittadini, allora comincia a occuparti di far proibire l’alcol e il tabacco. Lì sì che ci sono centinaia di migliaia di persone, ogni anno, che muoiono o si rovinano la salute, per l’alcol e il tabacco. Perché tu non fai niente, in quel caso? Se sei una persona coerente, che vuole veramente salvaguardare la salute dei suoi cittadini, allora comincia a combattere anche l’alcol e il tabacco, no?Punto cinque (forse il più importante di tutti): la guerra alla cannabis non è stata fatta per combattere “la droga”, ma è stata fatta perché im questo modo – colpendo la droga – si poteva colpire un intero mercato che, partendo dalla pianta di cannabis, produceva combustibili, alimentari, tessuti e medicinali – in modo da favorire la nascente industria petrolchimica. Senza questa lotta alla cannabis, portata a termine a metà del secolo scorso grazie alla demonizzazione della marijuana, l’industria del petrolchimico non avrebbe mai prevalso. E quindi oggi tu, combattendo la cannabis (che sta tornando), combatti una pianta che ha un potenziale enorme, per tutta una serie di prodotti industriali assolutamente sani, biodegradabili ed eco-sostenibili. Quindi pensaci bene, prima di tornare a combattere la cannabis, mettendola insieme alle droghe pesanti. Informati meglio, Salvini, prima di tornare a parlare di cose che non sai. Sei il ministro degli interni, dopotutto; non sei mia zia Cesarina.(Massimo Mazzucco, “Salvini, il vero drogato sei tu!”, video-editoriale su “Luogo Comune” il 9 maggio 2019. Le fonti sulle ricerche storiche inerenti la marijuana sono tratte dal documentario di Mazzucco “La vera storia della marijuana”, uscito nel 2010, oggi disponibile anche su YouTube oppure in formato dvd).Ho visto Salvini, dalla Gruber, che lanciava la sua crociata contro “la droga”. Faceva quasi tenerezza, poverino, quando pronunciava la parola “droga”. Sembrava la mia zia Cesarina, che in dialetto milanese mi diceva: ehi, sta’ attento a andare in giro con quella gente, sono tutti drogati… Solo che mia zia Cesarina aveva 102 anni, quando me lo diceva, e non era mai uscita dal suo paesino di campagna, mentre Salvini è il ministro degli interni di una grande nazione moderna – e qualcosa in più dovrebbe saperla. Ma ovviamente lui fa finta di niente. Lui mescola tutto in un grande calderone con le parole droga, cannabis, Casamonica, guerra alla mafia, spacciatori… Lui fa tutto questo calderone, così non è costretto a fare nessuna distinzione. E allora la distinzione la facciamo noi, per lui. E chiariamo, per il nostro ministro un po’ pasticcione, alcune cose importanti. Primo: esistono droghe leggere e droghe pesanti; non puoi trattarle tutte allo stesso modo. L’eroina uccide, la cocaina uccide, le metanfetamine uccidono; la marijuana non uccide. La marijuana non ha mai ucciso nessuno da quando è stata scoperta, Salvini. Ti sfido a trovare un solo caso, nella storia, di morte per overdose di marijuana – uno – e io cancellerò questo video e ti chiederò scusa. Altrimenti, se non riesci a trovarlo, smettila di far finta che le droghe siano tutte uguali, e comincia a ragionare seriamente su questo argomento.
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Salvate il soldato Trenta: quelle armi sono vitali per l’Italia
«Per favore, salvate il soldato Trenta. E spiegate a Di Maio che la ministra della difesa sta cercando di acquistare gli armamenti indispensabili per rendere credibile la presenza dell’Italia sulla scena euro-mediterranea». Parola di Roberto Hechich, specialista del Movimento Roosevelt in materia di geopolitica. Elisabetta Trenta? Un’ottima scelta, da parte dei 5 Stelle: è competente e proviene dal settore difesa. L’oggetto del contendere? Il bilancio stesso del ministero, che il vicepremier grillino vorrebbe far dimagrire in modo imprudente. Pomo della discordia, il finanziamento negato per l’acquisto di velivoli e sistemi d’arma: lo sviluppo del missile italiano Camm-Er e quello del drone P2hh della Piaggio, più l’acquisto di altri esemplari dell’elicottero Nh90. Se lo stop al drone Piaggio può essere giustificato (l’Italia è impegnata anche nel progetto-doppione EuroMale), secondo Hechich non così è per gli altri due progetti. Il Camm-Er, missile a corto-medio raggio, è un’arma contraerea e antimissile installata sulle navi, nei porti, negli aeroporti e avamposti all’estero e nei siti strategici, andando a sostituirne altri oramai obsolescenti sistemi Spada e Aspide. «Serve quindi per difendere le basi militari italiane dislocate all’estero, le navi italiane che transitano al largo di coste non sicure o che incrociano navi potenzialmente avversarie».Anche se la maggior parte dell’opinione pubblica e molti politici non se ne rendono conto, sostiene Hechich, la situazione nel Mediterraneo andrà incontro a un rapido degrado col pericolo di conflitti violenti: «Secondo alcune analisi, il rischio di venirne coinvolti varia tra il 5 e il 35%». Proprio in questi giorni è stata diffusa la notizia (non ancora confermata) della fornitura, da parte della Russia, di avanzatissimi missili Kalibr alle milizie libiche di Haftar. Si parla della costruzione di due basi russe nella zona, sotto la copertura di truppe mercenarie del Gruppo Wagner, russo. «I russi hanno smentito, ma una qualche forma di presenza di loro truppe, anche se non così consistente, pare essere confermata». Non è che ci si possa aspettare un attacco russo, «ma la proliferazione di queste armi tra gruppi non statali accresce notevolmente il rischio di un loro lancio, o di un più probabile ricatto di un lancio, e il rischio si accentua ancora di più se c’è la percezione che dall’altra parte non ci siano difese adeguate». Sempre secondo Hechich, il mancato acquisto dei Camm-Er «ci obbligherebbe prima o poi a comperare missili dalle caratteristiche simili tra i nostri concorrenti commerciali, cioè Francia, Regno Unito o Usa, con l’aggravante di incidere sulla bilancia commerciale e di non essere proprietari delle tecnologie, senza dimenticare l’impatto sui valori occupazionali e sul Pil».Sempre a parere dell’analista, il mancato acquisto dei nuovi missili andrebbe anche a incidere sulla possibilità italiana di affiancarsi ai britannici (il Camm-Er è una nostra variante di un missile anglo-italiano) per lo sviluppo del nuovo caccia da superiorità aerea Tempest, destinato a sostituire gli attuali Eurofighter Typhoon. «E visto che l’analogo programma franco-tedesco è blindato, ci costringerebbe ad avere un ruolo subalterno a questi due paesi, tagliandoci fuori da ogni sviluppo industriale tecnologicamente avanzato nel settore, con deleterie ricadute sulle nostre capacità tecnologiche, industriali e di sviluppo economico». Oltretutto, insiste Hechich, la programmazione della politica di difesa necessita di anni, per non dire decenni. Non si improvvisa, e non si riesce a crearla quando c’è un pericolo diretto e la necessità diventa impellente. Da non dimenticare poi le cifre: «L’unico modo attualmente per sostituire il Camm-Er con un missile dalle capacità similari, e parzialmente prodotto in casa, sarebbe quello di riprendere la produzione degli Aster 15. Peccato che questo missile costi il doppio e necessiti di spazio doppio rispetto al Camm-Er».Lo stesso Camm-Er costerebbe all’incirca 500 milioni di euro spalmati in dieci anni, mentre il reddito di cittadinanza (del tutto condivisibile, per Hechich) costa diversi miliardi di euro all’anno. «Il gioco vale la candela? Potrebbe nel futuro la nostra Marina ritrovarsi in difficoltà a causa del mancato sviluppo del Camm-Er o nessuno ci lancerebbe missili?». Sempre Hechich ricorda tre episodi avvenuti nel recente passato: nel 1986 il lancio (controverso) di missili libici verso Lampedusa, nel 2011 il lancio fuori bersaglio di un missile dalla costa libica verso la fregata italiana Bersagliere, e soprattutto l’abbattimento di un G222 in missione umanitaria sui cieli della Bosnia da parte di due missili di fabbricazione sovietica (forse lanciati da forze irregolari croato-bosniache) e la conseguente morte dei quattro membri dell’equipaggio, che sarebbe stata evitata «se fossero stati presenti sistemi di contromisure – non ancora installate, appunto, per problemi di bilancio».L’altro programma a partecipazione italiana che dovrebbe venir sospeso è quello dell’elicottero Nh90, soprattutto nella versione Sh, destinata alla Marina. Parte di questi elicotteri sarebbe dovuta essere consegnata nella versione anti-sommergibile. L’elicottero è uno dei migliori sistemi per difendersi dalle minacce sottomarine, oltre che un mezzo di salvataggio, soccorso e collegamento. La Marina, che aveva trascurato questo aspetto, sta cercando di correre ai ripari, ma le serve tempo. «La mancata consegna di questo mezzo non fa che accentuare questo gap, senza tener conto dei danni sul piano economico e sui livelli occupazionali». Per Hechich, c’è da sperare che il paventato blocco di ordini sia veramente solo temporaneo. «Oltretutto i supposti, immediati risparmi sarebbero in gran parte vanificati dalle penali previste sui contratti già deliberati». Per intanto Leonardo, uno dei principali costruttori dell’elicottero, sta perdendo in Borsa. «Quindi ben si spiegherebbero le lacrime di rabbia all’uscita della Trenta dalla riunione con Di Maio, come citano alcune fonti».Non è tutto: Hechich ricorda anche la questione degli F35, nonché i continui rinvii sulla decisione riguardo opere pubbliche e investimenti in vari settori industriali. Nel Def gli investimenti sono scarsi, e indiscrezioni di stampa «paventano una vendita di industrie pubbliche altamente strategiche, efficienti e renumerative, come Leonardo e Fincantieri». Si tratta di «aziende ad altissima tecnologia, che caratterizzano e rendono prestigioso il settore della grande industria italiana». Abbandonate dallo Stato, diverrebbero «facile preda degli appetiti fagocitatori francesi». Tutto questo, osserva Hechich, lascia più di qualche sospetto sulle reali capacità e competenze dell’attuale ministro dello sviluppo economico. Non erano i D’Alema a svendere aziende come Telecom, capaci di darci indipendenza strategica e tecnologica? «Curioso quindi che un governo detto “sovranista” adotti gli stessi metodi di governi “neoliberisti”, svendendo la nostra sovranità tecnologica in un settore strategico, uno dei pochissimi che ancora ci rimangono».Secondo il leghista Raffaele Volpi, sottosegretario alla difesa, il comparto industriale aerospaziale e della difesa fattura più di 14 miliardi di euro all’anno, pari allo 0,8% del nostro Pil. Tendenzialmente in crescita, è fonte di ricerca e innovazione. «Il settore della difesa – ricorda Volpi – dà occupazione ad oltre 44.000 persone, che salgono a più di 110.000 se si considerano anche indotto e altri impatti indiretti». Non solo: «Le aziende pagano tasse allo Stato per non meno di 4,5 miliardi; perciò, trattare le spese militari come uno spreco di risorse non ha senso». Tutto questo, aggiunge Volpi, senza considerare l’export. Dettaglio non trascurabile, poi, «la sicurezza che deriva al nostro paese dall’essere difeso e dal poter partecipare con credibilità e autorevolezza ad alleanze con altri Stati in una fase storica caratterizzata da diffusa instabilità e pericolo di conflitti». Ogni euro speso per i programmi industriali della difesa, sottolinea Hechich, porta un ritorno di un fattore di circa 2,5. Non è che l’inesperienza di Di Maio lo porti a sottovalutare questi aspetti? Per cui, conclude Hechic: «Vi prego, per chi ne ha la possibilità: salvate il soldato Trenta».«Per favore, salvate il soldato Trenta. E spiegate a Di Maio che la ministra della difesa sta cercando di acquistare gli armamenti indispensabili per rendere credibile la presenza dell’Italia sulla scena euro-mediterranea». Parola di Roberto Hechich, specialista del Movimento Roosevelt in materia di geopolitica. Elisabetta Trenta? Un’ottima scelta, da parte dei 5 Stelle: è competente e proviene dal settore difesa. L’oggetto del contendere? Il bilancio stesso del ministero, che il vicepremier grillino vorrebbe far dimagrire in modo imprudente. Pomo della discordia, il finanziamento negato per l’acquisto di velivoli e sistemi d’arma: lo sviluppo del missile italiano Camm-Er e quello del drone P2hh della Piaggio, più l’acquisto di altri esemplari dell’elicottero Nh90. Se lo stop al drone Piaggio può essere giustificato (l’Italia è impegnata anche nel progetto-doppione EuroMale), secondo Hechich non così è per gli altri due progetti. Il Camm-Er, missile a corto-medio raggio, è un’arma contraerea e antimissile installata sulle navi, nei porti, negli aeroporti e avamposti all’estero e nei siti strategici, andando a sostituirne altri oramai obsolescenti sistemi Spada e Aspide. «Serve quindi per difendere le basi militari italiane dislocate all’estero, le navi italiane che transitano al largo di coste non sicure o che incrociano navi potenzialmente avversarie».
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La Gruber al Bilderberg, Mazzucco: davvero ve ne stupite?
Ma davvero abbiamo bisogno di leggere che Lilli Gruber partecipa al salotto del Bilderberg per scoprire che la sua attendibilità è condizionata? Non ci arriviamo, da soli, a supporre che la Gruber parli regolarmente con qualcuno – non necessariamente il famigerato Bilderberg – prima di decidere cosa raccontarci, che tipo di contenuti somministrarci e quale genere di ospiti propinarci, invariabilmente, ogni sera? Insomma: va bene tutto, ma ormai siamo piuttosto grandicelli per fare i nostri ragionamenti, al di là del solito gossip complottistico e decisamente naif, pronto a scatenarsi non appena l’ombra del “diavolo” compare all’orizzonte. E’ lo sfogo, in apparenza semiserio ma in realtà serissimo, che Massimo Mazzucco affida agli ascoltatori di Fabio Frabetti, animatore di “Border Nights” e della diretta web-streaming “Mazzucco Live”, il sabato pomeriggio su YouTube. Un’occasione per riflettere su aspetti inesplorati del giornalismo, inclusi i risvolti recentissimi dell’attualità politica. «Salvini? E’ partito bene: impeccabile la sua denuncia dell’atteggiamento di Malta. Perché mai le navi-soccorso che passano davanti all’isola non vi sbarcano mai i migranti raccolti in mare, preferendo dirottarli in Italia?». Lo svelò un leader dell’opposizione maltese, Simon Busuttil: il governo Renzi sottoscrisse un patto segreto, in base al quale Malta smista su Lampedusa i naufraghi, e in cambio concede all’Italia il permesso di effettuare trivellazioni petrolifere.Nulla che, ovviamente, possa sperare di perforare il muro di gomma della cosiddetta informazione televisiva, nonostante il ruolo anche istituzionale del politico maltese – europarlamentare dal 2013. Ma appunto: qualcuno si aspetta, davvero, che Lilli Gruber e soci si mettano, di punto in bianco, a raccontare qualcosa che assomigli alla verità? Certo che no, rispondono ormai 3 italiani su 4: secondo l’ultimo sondaggio targato Pew Research, l’Italia è il paese europeo con meno fiducia, in assoluto, nei propri media mainstream, cartacei e radiotelevisivi. I soloni di “Repubblica” e del “Corriere”? Possono, appunto, continuare a pontificare a reti unificate nei salotti come quelli della Gruber, ma il prestigio dei loro giornali è in caduta libera, così come loro vendite. Secondo i ricercatori statistici, ormai l’Italia “gialloverde” la verità se la cerca altrove: il 50% del campione ammette di informarsi direttamente sul web, se vuol tentare di capire cosa sta succedendo nel paese e nel resto del mondo. Un italiano su due – come confermato platealmente dal risultato elettorale – sa benissimo che non può più fidarsi della “fabbrica delle fake news” denunciata magistralmente da Marcello Foa, nel saggio “Gli stregoni della notizia” che smaschera le bufale “vendute”, una dopo l’altra, dai grandi media.La Gruber al Bilderberg? Siamo seri, sottolinea Mazzucco: se il più malfamato club finanziario del mondo pubblica le liste degli invitati e pure l’ordine del giorno per il summit di Torino, significa che poi tanto segreto non è. «Esistono, le vere società segrete? Certamente. E in quanto tali, appunto, agiscono nella massima segretezza: non c’è caso che possiamo venire a sapere quello che combinano». Ma attenzione, avverte Mazzucco: «Il fatto che qualcuno provi a cambiare il mondo segretamente, non significa che poi ci riesca». Il nuovo ordine mondiale? Un progetto in pieno corso, ma non lineare: ci sono complotti, provocazioni, forzature. Ma non è un’unica piramide: anche ai vertici, ci sono spaccature profonde. «E poi esistono contropoteri, popoli, elezioni. Nel nostro piccolo ci siamo anche noi, che – facendo informazione – possiamo fare la nostra parte per limitare i danni provocati dalla manipolazione». La tesi della “massoneria buona” opposta a quella “cattiva”? «Perfettamente coerente con la divisione fondamentale dell’umanità: da una parte chi vuol tenere tutto per sé, e dall’altra chi tende, per indole e per cultura, a essere più generoso e democratico». L’importante, dice Mazzucco, è non dimentare mai che la storia non procede per linee rette. E comunque, nella storia, ci siamo anche noi.Ma davvero abbiamo bisogno di leggere che Lilli Gruber partecipa al salotto del Bilderberg per scoprire che la sua attendibilità è condizionata? Non ci arriviamo, da soli, a supporre che la Gruber parli regolarmente con qualcuno – non necessariamente il famigerato Bilderberg – prima di decidere cosa raccontarci, che tipo di contenuti somministrarci e quale genere di ospiti propinarci, invariabilmente, ogni sera? Insomma: va bene tutto, ma ormai siamo piuttosto grandicelli per fare i nostri ragionamenti, al di là del solito gossip complottistico e decisamente naif, pronto a scatenarsi non appena l’ombra del “diavolo” compare all’orizzonte. E’ lo sfogo, in apparenza semiserio ma in realtà serissimo, che Massimo Mazzucco affida agli ascoltatori di Fabio Frabetti, animatore di “Border Nights” e della diretta web-streaming “Mazzucco Live”, il sabato pomeriggio su YouTube. Un’occasione per riflettere su aspetti inesplorati del giornalismo, inclusi i risvolti recentissimi dell’attualità politica. «Salvini? E’ partito bene: impeccabile la sua denuncia dell’atteggiamento di Malta. Perché mai le navi-soccorso che passano davanti all’isola non vi sbarcano mai i migranti raccolti in mare, preferendo dirottarli in Italia?». Lo svelò un leader dell’opposizione maltese, Simon Busuttil: il governo Renzi sottoscrisse un patto segreto, in base al quale Malta smista su Lampedusa i naufraghi, e in cambio concede all’Italia il permesso di effettuare trivellazioni petrolifere.
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I cannibali di Pamela e la fine (meritata) della razza bianca
Noi, “bianchi”, ci stiamo estinguendo. E ce lo meritiamo. Parola dell’avvocato Marco Della Luna, impietoso critico del sistema neoliberista, bancario e finanziario. Stiamo sparendo, lo dicono i numeri: «La razza bianca si sta estinguendo per denatalità, anche nella sua principale riserva, la Russia». Sembra che abbia maturato «un certo disincanto verso la vita e fosche aspettative circa il futuro». E all’interno dell’estinzione della razza bianca «sta avvenendo una seconda estinzione, forse più grave: l’estinzione della civiltà occidentale, creazione peculiare di una parte della razza bianca (diciamo essenzialmente dell’area greca, italica, franco-germanica e britannica)». Per Della Luna, la nostra «è l’unica civiltà che abbia concepito e in parte realizzato un pensiero scientifico, una filosofia razionale, le idee di democrazia, di Stato di diritto, di eguaglianza, di diritti individuali dell’uomo». Questa civiltà «sta estinguendosi per un generale imbarbarimento edonista e consumista» nonché «per il declino dei suoi capisaldi, per l’effetto della globalizzazione e della finanziarizzazione della società», senza contare «la pesante immigrazione di massa da aree culturali immensamente distanti e con caratteri generalmente opposti». Nella prospettiva dell’estinzione della nostra civiltà, «la minaccia della catastrofe ecologica ci angoscerà meno, appunto perché non colpirà gente simile a noi».Tutelare la “razza bianca” di fronte alla sua incombente estinzione? «Io la penso diversamente», dice Della Luna, secondo cui il mondo «sta diventando una fogna avvelenata senza via d’uscita», tiranneggiato da «una dominazione tecnologico-finanziaria disumana», al punto che, ormai, «estinguersi è un privilegio, è una liberazione, è un diritto che rivendichiamo». Meglio «lasciare questo mondo guastato all’avanzata di genti che lo accettano, anzi se lo vogliono proprio prendere, nonostante sia ridotto così». Provocazione inaccettabile, ovviamente, per chi ha figli. Una cosa, Della Luna, la pretende: «Essere lasciati estinguere in pace e con decoro, senza pressioni e intrusioni violente». Un caso atroce? Quello di Pamela Mastropietro, la ragazza uccisa e smembrata a Macerata. «Era stata irretita da alcuni nigeriani, membri della potente mafia tribale nigeriana». Una mafia che «spaccia droga, prostituzione e altro», e che «opera alla luce del sole e indisturbata nelle nostre città». Il che, sostiene l’avvocato, «implica che essa dispone di complicità opportunamente comperate negli apparati dello Stato italiano, il medesimo che va a imbarcare i migranti sotto le coste libiche». E il fatto che la criminalità migrante, specie africana, venga sostanzialmente tollerata, sempre secondo Della Luna, lascia supporre che le sue attività in Italia (droga, prostituzione, traffico di organi) «siano materia oggetto di accordi a livello politico nazionale», addirittura, «appoggiati dai capi dell’immigrazionismo organizzato, sia imprenditoriali, che politici, che religiosi».Il cadavere di Pamela, si apprende, è stato «dissezionato con grande perizia tecnica». Ma gli organi, «rilevanti per i sacrifici umani e per il pasto cannibalico rituale», non sono stati ritrovati. Forse perché la gente non si inquieti troppo? «Questi riti fanno parte del background culturale di quelle tribù nigeriane, in cui magia nera e affiliazione mafiosa e potere politico sono tutt’uno», continua Della Luna. Intanto, a Macerata si tengono manifestazioni in favore del meticciato, e l’Onu «rende noto il suo piano per la sostituzione del poco prolifico popolo italiano con il massiccio impianto di africani». Gli italiani però non sarebbero più così favorevoli all’idea del “melting”: «Sono divenuti in maggioranza afroscettici, oltreché euroscettici». Uno scenario da apocalisse? Della Luna l’aveva prefigurato nel saggio “Le chiavi del potere”, pubblicato nel 2003. Scriveva: per impedirgli di sentirsi libero di controllare il potere politico e il denaro pubblico, si costringe il cittadino a vivere nell’insicurezza, «attivamente importando criminalità soprattutto da paesi extracomunitari, e non reprimendola, anzi incoraggiandola quando criminali o facinorosi si impossessano di interi quartieri o spadroneggiano in ampie zone geografiche, sotto gli occhi di tutti, espropriandoci del nostro territorio, mentre le istituzioni non intervengono nemmeno su denuncia dei cittadini».«Si vuole che questi ultimi capiscano chiaramente che non sono cittadini, ma qualcosa di meno», sottolinea Della Luna. La legge scritta esiste, ma gli italiani «non possono pretendere che chi ha il potere la faccia osservare». E’ come se si dicesse: “Noi vi riduciamo a un livello di dignità e diritti inferiori a quelli degli immigrati clandestini”. «Il principale problema politico nella globalizzazione, da parte del potere, è produrre e governare le masse di consumisti-lavoratori imbecilli richieste dall’economia e dal bisogno di consenso», si legge ne “Le chiavi del potere”. «Il genere umano è ridotto a mera componente del ciclo produttivo del profitto. I popoli che non si prestano più al buon funzionamento del ciclo, anche per scarsa prolificità e troppa criticità – ossia noi – vengono rimpiazzati con invasioni di immigranti e neutralizzati con l’assistenzialismo, la droga e il rimbecillimento televisivo, in modo che non si accorgano e non si oppongano». Buonismo, cioè eutanasia di massa? «Guardate le nuove generazioni: in larga parte menomate da un’educazione narcisizzante, che non insegna il governo dei propri impulsi quindi non forma all’indipendenza e all’applicazione; instupidite dalla televisione, dalla discoteca, da un uso dilagante di droghe; esistenzialmente fragilissime; istruite da una scuola penosamente inadeguata; giovani pieni di esigenze, schizzinosi, delicati, incapaci di sostenere privazioni e frustrazioni».I giovani italiani «devono competere con immigrati che in larga parte sono spinti da fortissima motivazione ad affermarsi, sono disposti a sacrifici e disagi, capaci di rinunce e disciplina, ma anche di violenza – la quale fa spesso parte della loro storia di vita e di adattamento sin dalla nascita. Sono capaci di fare e sopportare cose che i nostri neanche si sognano, e fanno figli a non finire». Se si lascia che questa competizione dilaghi, scriveva Della Luna 15 anni fa, «possiamo considerarci già sopraffatti, sconfitti e scacciati». Il problema? «Non è la nostra superiorità, bensì la nostra inferiorità». Rammolliti dalla società dei consumi: «Le esigenze del capitale e la ricerca del consenso hanno richiesto la coltivazione di personalità deboli e dipendenti dal consumismo, poco disposti alla rinuncia e al sacrificio. Hanno plasmato così i popoli dell’Occidente. Ma ora, popoli così plasmati non rendono più, non vanno più bene. Hanno troppe pretese ecologiche, sindacali, assistenziali; non si riproducono; contestano; non comperano più come prima. Vanno rimpiazzati: dentro gli altri!». Mettere in dubbio il dovere di accoglienza? «E’ immorale e fascista». Secondo Della Luna, «l’etologia, confermando la storia, ci avverte che l’uomo, una volta sciolto il suo legame col territorio, perde l’attitudine a difendersi e diventa remissivo, facilmente dominabile».Noi, “bianchi”, ci stiamo estinguendo. E ce lo meritiamo. Parola dell’avvocato Marco Della Luna, impietoso critico del sistema neoliberista, bancario e finanziario. Stiamo sparendo, lo dicono i numeri: «La razza bianca si sta estinguendo per denatalità, anche nella sua principale riserva, la Russia». Sembra che abbia maturato «un certo disincanto verso la vita e fosche aspettative circa il futuro». E all’interno dell’estinzione della razza bianca «sta avvenendo una seconda estinzione, forse più grave: l’estinzione della civiltà occidentale, creazione peculiare di una parte della razza bianca (diciamo essenzialmente dell’area greca, italica, franco-germanica e britannica)». Per Della Luna, la nostra «è l’unica civiltà che abbia concepito e in parte realizzato un pensiero scientifico, una filosofia razionale, le idee di democrazia, di Stato di diritto, di eguaglianza, di diritti individuali dell’uomo». Questa civiltà «sta estinguendosi per un generale imbarbarimento edonista e consumista» nonché «per il declino dei suoi capisaldi, per l’effetto della globalizzazione e della finanziarizzazione della società», senza contare «la pesante immigrazione di massa da aree culturali immensamente distanti e con caratteri generalmente opposti». Nella prospettiva dell’estinzione della nostra civiltà, «la minaccia della catastrofe ecologica ci angoscerà meno, appunto perché non colpirà gente simile a noi».
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Gli Usa: con Craxi l’Italia era un paese rispettato e sovrano
A 18 anni dalla morte di Bettino Craxi, ricordare una delle più importanti figure politiche del dopoguerra può essere utile per cogliere la parabola di un paese un tempo protagonista della scena internazionale, e metterlo a confronto con la sua irrilevanza politica nel contesto attuale. Se prima era impensabile che l’Italia craxiana rimanesse fuori dalla porta dei consessi internazionali che contano, oggi purtroppo questo è una amara realtà. Per capire come veniva considerata l’Italia prima del suo declino sulla scena internazionale è interessante vedere cosa ne pensava il suo storico alleato, gli Usa, in un documento – analizzato in passato da ricercatori e storici di Craxi – del Dipartimento di Stato Usa intitolato “Il fattore Craxi nella politica estera italiana”, nel quale Washington si sofferma ad analizzare l’appiglio del tutto peculiare di Bettino Craxi nella conduzione delle relazioni internazionali dell’Italia. Sono i diplomatici americani stessi di stanza all’ambasciata Usa in Italia, a rendersi conto della personalità forte dell’ex segretario socialista. Un atteggiamento che dapprima sorprende gli americani, abituati più ai modi pacati e misurati dei predecessori di Craxi a Palazzo Chigi. Il suo stile, nel documento, viene definito «determinato e diretto», tanto da portarlo occasionalmente «fuori dai margini».Washington guarda con curiosità ma anche con preoccupazione a questo nuovo interlocutore italiano, il quale non sembra temere lo scontro con lo storico alleato. L’amicizia e il rapporto con gli Usa non sono mai in discussione, ma non si respira affatto un’aria di sudditanza nei confronti degli americani. Al contrario Craxi durante la sua esperienza a Palazzo Chigi dal 1983 al 1987, ha delineato chiaramente i confini dei rapporti bilaterali tra i due paesi. In nessun momento, l’amicizia Italia-Usa andava nella direzione di piegare gli interessi nazionali ad esclusivo vantaggio di quelli del partner statunitense. Sigonella è solamente l’apogeo di uno tra i momenti più importanti di Craxi a Palazzo Chigi, e segna un chiaro trionfo geopolitico italiano che non mancò di suscitare un certo scalpore negli ambienti internazionali. Quando il segretario socialista arriva a schierare nella drammatica notte del 10 ottobre 1985 i carabinieri contro i Navy Seals che nella base di Sigonella volevano prendere in custodia i terroristi dell’Achille Lauro, nonostante la competenza giurisdizionale sui loro reati fosse chiaramente italiana, gli americani capiscono che il primo ministro italiano fa sul serio.Lo stesso Dipartimento di Stato Usa nel documento non può fare a meno di riconoscere che in quella circostanza, Craxi uscì chiaramente come pieno «difensore della sovranità nazionale» da quella delicata crisi diplomatica tra i due paesi, tanto che Washington si sofferma a ripensare «l’attività militare nell’area». Gli Usa, più semplicemente, si rendono conto che l’Italia non è una dépendance dove possono prendersi la libertà di intervenire senza consultare i padroni di casa. Ma non è questo l’unico momento di una politica estera tesa, dal principio alla fine, alla difesa della sovranità nazionale. Sigonella non è un episodio estemporaneo frutto di un’esplosione di orgoglio nazionale poi sopito successivamente. Solamente l’anno dopo, l’Italia si trova nel bel mezzo di un’altra crisi diplomatica ancora una volta con il suo alleato di riferimento, gli Usa, e la Libia. Il 14 aprile 1986 gli Stati Uniti bombardano la residenza di Gheddafi, il quale risponde il giorno dopo con un fallito attacco missilistico contro l’isola di Lampedusa. Craxi è furente con il suo alleato per quella decisione unilaterale di attaccare la Libia e non manca di esternarlo pubblicamente agli americani. Anche in questa circostanza, si legge nell’analisi, Washington stessa non può fare altro che prendere atto che l’Italia sotto la conduzione craxiana rivendica il suo spazio di indipendenza e sovranità, e non è disposta a sacrificare i suoi rapporti con altre potenze in nome del rapporto privilegiato con gli Stati Uniti.Il “fattore Craxi” di cui parlano gli americani si può identificare proprio con il principio guida imprescindibile che ha accompagnato tutta l’originale esperienza di Bettino Craxi al governo, ovvero la protezione degli interessi italiani prima di ogni cosa. L’Italia non veniva umiliata dalle potenze estere proprio perché dotata di una classe dirigente che mai avrebbe permesso che il paese avesse subito affronti pari a quelli che sta subendo attualmente nei contesti europei ed internazionali. La rotta della sovranità nazionale è stata smarrita, sostituita da una volontà di asservimento di una mediocre classe dirigente genuflessa ai desiderata delle potenze estere pur di raggiungere i propri scopi personali. L’europeismo era la cifra politica di Craxi in politica estera, ma non era certamente una religione come quella attuale alla quale è impossibile opporsi “perché non c’è alternativa”. Fu proprio lui stesso dall’esilio di Hammamet negli ultimi anni della sua vita ad intuire la deriva che avrebbe portato il cieco rispetto di quei parametri di Maastricht, divenuti un tabù intoccabile che nessun premier osa rimettere in discussione. «L’Italia è un grande paese», disse Craxi, e deve far valere i suoi diritti in Europa. Quanti politici di oggi hanno il suo attaccamento alla patria? La riconquista della sovranità passa per la maturazione di una classe dirigente con una coscienza nazionale e un amor patrio. Bettino Craxi aveva tutto questo. Ecco perché va ricordato.(Cesare Sacchetti, “Il fattore Craxi, Bettino visto dagli americani”, da “La Cruna dell’Ago” del 18 gennaio 2018).A 18 anni dalla morte di Bettino Craxi, ricordare una delle più importanti figure politiche del dopoguerra può essere utile per cogliere la parabola di un paese un tempo protagonista della scena internazionale, e metterlo a confronto con la sua irrilevanza politica nel contesto attuale. Se prima era impensabile che l’Italia craxiana rimanesse fuori dalla porta dei consessi internazionali che contano, oggi purtroppo questo è una amara realtà. Per capire come veniva considerata l’Italia prima del suo declino sulla scena internazionale è interessante vedere cosa ne pensava il suo storico alleato, gli Usa, in un documento – analizzato in passato da ricercatori e storici di Craxi – del Dipartimento di Stato Usa intitolato “Il fattore Craxi nella politica estera italiana”, nel quale Washington si sofferma ad analizzare l’appiglio del tutto peculiare di Bettino Craxi nella conduzione delle relazioni internazionali dell’Italia. Sono i diplomatici americani stessi di stanza all’ambasciata Usa in Italia, a rendersi conto della personalità forte dell’ex segretario socialista. Un atteggiamento che dapprima sorprende gli americani, abituati più ai modi pacati e misurati dei predecessori di Craxi a Palazzo Chigi. Il suo stile, nel documento, viene definito «determinato e diretto», tanto da portarlo occasionalmente «fuori dai margini».
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Gratteri: una vergogna quelle gabbie per i migranti in Libia
Al magistrato antimafia Nicola Gratteri, uomo simbolo del contrasto alla ‘ndrangheta calabrese, non va giù l’accordo stretto dall’Italia con il governo di Tripoli per fermare i flussi migratori lungo la rotta del Mediterraneo. «La strategia di Minniti non mi è piaciuta», dice il procuratore capo di Catanzaro, intervistato da “La7”, «perché non è da Stato civile e occidentale far costruire delle gabbie sulle coste della Libia per impedire che gli immigrati partano». E’ soltanto «un tappo», degradante e indegno, che non risolve certo il problema dell’esodo di popolazioni in fuga dalla guerra e dalla fame, tutti fenomeni innescati dall’economia occidentale e dalla sua geopolitica neo-coloniale. «Bisognerebbe andare in centro Africa, mandare i servizi segreti per capire chi organizza queste traversate nel deserto, e poi andare lì e costruire aziende agricole, ospedali, scuole e rendere il territorio vivibile», sostiene il giudice, chiarendo che – se si vuol sperare di porre un freno all’oceano dei migranti – è necessario investire in Africa per gli africani, non per gli occidentali. Solo a quel punto, «poi, è ovvio che bisogna creare dei flussi regolamentati per la libera circolazione di tutti gli uomini del mondo».Quello di Gratteri è un pensiero che sembra in via di estinzione, in un’Italia frastornata dal derby che oppone il solidarismo assistenziale delle Ong alla xenofobia elettoralistica degli “impresari della paura”, che speculano sulla criminalità migrante degli sbandati. Ma perché dare per scontato che milioni di persone debbano per forza lasciare le loro case? E’ sacrosanto il diritto di partire per inventarsi una vita diversa dall’altra parte del mondo, «purché però la partenza non sia un atto disperato, indotto dalla miseria o dalla guerra», sottolinea il saggista Gianfranco Carpeoro: difendiamo i diritti dei migranti trascurando però sempre il loro diritto principale, «che è innanzitutto quello di poter vivere una vita dignitosa a casa loro, senza per forza dover dolorosamente rinunciare al proprio paese». In altre parole: «Perché non ci chiediamo come mai questa gente è costretta a scappare? Perché non chiediamo ai nostri governi cosa hanno combinato, in quelle regioni del mondo?». Aiutarli a casa loro? L’Italia sarà in Niger con il proprio esercito, a presidiare un paese tra i 20 più poveri al mondo, ma ricchissimo dell’uranio che è da sempre “proprietà privata” della Francia, destinato ad alimentare le centrali nucleari transalpine.Soccorso occidentale? «No, grazie», rispose Thomas Sankara al vertice panafricano di Addis Abeba, pensando al genere di “aiuti” storicamente ricevuti dall’Africa: finanziamenti interessati e debito eterno, cioè schiavitù. «Teneteveli, i vostri soldi: non li vogliamo più», disse il giovane leader del Burkina Faso, assassinato nel 1987 tre mesi dopo quel coraggioso discorso, in cui chiedeva agli Stati africani di non pagare più il debito estero (la Russia di Putin ha appena condonato il suo, annullando gli oneri a carico dei paesi africani verso Mosca). E mentre la verità ufficiale tuttora nega che a uccidere Sankara sia stato l’attuale presidente del Burkina Faso, Blaise Compaorè, ricevuto all’Eliseo con tutti gli onori da François Mitterrand, l’Unione Europea si appresta a varare un Piano Marshall per l’Africa che, in cambio di infrastrutture, aggraverà il debito del continente nero, quasi sempre retto da dittature filo-occidentali come quella dell’Eritrea, i cui profughi (che sbarcano a Lampedusa) fuggono da un regime a cui l’Italia vende costosi armamenti.L’Africa però resta materia da campagna elettorale: Berlusconi evoca il pugno di ferro contro “mezzo milione di immigrati criminali”, mentre Massimo D’Alema sostiene che proprio ai migranti è affidato il futuro demografico di un paese come l’Italia, dove non ci si sposa più e non si fanno più figli (a causa della crisi economica indotta dall’euro e dal rigore Ue, cosa che D’Alema evita accuratamente di precisare). Nel frattempo restano loro, i sopravissuti alla pericolosa traversata del Canale di Sicilia, a bordo di carrette del mare il più delle volte recuperate in extremis dalla marina militare italiana. Senza una politica degna di questo nome, sottolinea Nicola Gratteri, non ci sarebbe da vantarsi se il flusso dei disperati dovesse calare: «Ogni sera sentiamo ai telegiornali che gli sbarchi sono diminuiti del 3, del 15, del 20%, ma mentre noi parliamo so che ci sono delle donne che vengono violentate o bambini che vengono bastonati a sangue». Le gabbie in Libia per rinchiuderli come animali? «Non sto tranquillo perché ne arrivano duemila in meno», aggiunge il magistrato, per il quale evidentemente la parola “umanità” ha ancora un senso universale, non negoziabile né trasformabile in spazzatura elettolare “di destra” o “di sinistra”.Al magistrato antimafia Nicola Gratteri, uomo simbolo del contrasto alla ‘ndrangheta calabrese, non va giù l’accordo stretto dall’Italia con il governo di Tripoli per fermare i flussi migratori lungo la rotta del Mediterraneo. «La strategia di Minniti non mi è piaciuta», dice il procuratore capo di Catanzaro, intervistato da “La7”, «perché non è da Stato civile e occidentale far costruire delle gabbie sulle coste della Libia per impedire che gli immigrati partano». E’ soltanto «un tappo», degradante e indegno, che non risolve certo il problema dell’esodo di popolazioni in fuga dalla guerra e dalla fame, tutti fenomeni innescati dall’economia occidentale e dalla sua geopolitica neo-coloniale. «Bisognerebbe andare in centro Africa, mandare i servizi segreti per capire chi organizza queste traversate nel deserto, e poi andare lì e costruire aziende agricole, ospedali, scuole e rendere il territorio vivibile», sostiene il giudice, chiarendo che – se si vuol sperare di porre un freno all’oceano dei migranti – è necessario investire in Africa per gli africani, non per gli occidentali. Solo a quel punto, «poi, è ovvio che bisogna creare dei flussi regolamentati per la libera circolazione di tutti gli uomini del mondo».
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Bagnai: cretini di sinistra, l’immigrazionismo è colonialismo
«Il nostro paese è stato distrutto da quelli che ci propongono come panacea i lavoratori altrui, dopo averci proposto come panacea la moneta altrui. E un paese distrutto, semplicemente, non ha risorse per aiutare nessuno». Parola di Alberto Bagnai, che sul blog “Goofynonics” rilancia un intervento già abbozzato anni fa, destinato ai suoi studenti della Sapienza, corso di laurea in “economia della cooperazione internazionale e dello sviluppo”. La tesi: “L’immigrazionismo è la fase suprema del colonialismo”. «Per motivi scellerati – premette l’economista – abbiamo mandato al potere gli immigrazionisti: quelli che, ideologicamente, vedono nella libera immigrazione in Italia la soluzione dei problemi del mondo, senza se e senza ma». I nostri aiuti allo sviluppo? Cronicamente insufficienti: «Lo sono sempre stati, proprio perché l’egemonia culturale e politica è stata esercitata dai neoliberisti (cioè dagli idoli degli iussolisti scemi – e anche di quelli furbi), i quali, come sappiamo, vogliono reprimere la spesa pubblica – qualsiasi spesa – sotto la fulgida egida del “non ci sono risorse”». E oggi il problema si è aggravato: parte delle risorse che potremmo dedicare all’emancipazione di quei popoli «viene dedicata al loro traghettamento», via Lampedusa. «Le risorse ci sarebbero sia per traghettare, che per emancipare», ma «la scelta di fare solo una di queste cose è una scelta politica».Una scelta, avverte Bagnai, nella quale «la sovranità popolare non è stata coinvolta, venendo completamente sovrastata da quella di organizzazioni ormai chiaramente individuabili come braccio operativo di un progetto esogeno al nostro paese». Naturalmente, aggiunge l’economista, «gli iussolisti scemi erano praticamente tutti europeisti». Eppure, aggiunge, «non ce n’era nemmeno uno che notasse come da questo dibattito l’Europa fosse totalmente assente». Di fatto, «per lo iussolista scemo l’Italia è merda», e comunque è “normale” che l’Europa sia inesistente, nella gestione del problema migranti. «C’è questa strana caratteristica dell’immigrazionismo, che più di essere un’ideologia è una religione (con tanto di pensiero magico)», scrive Bagnai. «In quanto religione, ha una sua terra promessa, che però è una e una sola: l’Italia – che fra l’altro è esattamente quella dove molti di quelli che arrivano non vorrebero restare». E chi se ne importa: «Ogni religione vuole sacrifici, e le vittime dell’immigrazionismo sono, naturalmente: gli immigrati». Del resto, «un processo così complesso non dovrebbe essere affidato alla carità pelosa di organizzazioni arroganti e non trasparenti, che tanta parte hanno avuto nel generare il traffico (e quindi le vittime)».Poi c’è un problema di fondo, strutturale: «L’immigrazionismo, con buona pace dei tanti razzisti che pure circolano e che non hanno la mia simpatia, altro non è, da parte delle ex potenze coloniali, che una fase ulteriore di appropriazione delle risorse delle ex colonie». Sostiene Bagnai: «Dopo averle depredate delle loro risorse naturali, le deprediamo delle loro risorse umane». C’è chi disprezza la qualità umana dei migranti? «Se pure quelle che vediamo per strada fossero solo braccia rubate all’agricoltura», secondo Bagnai «sarebbero, appunto, braccia rubate all’agricoltura di paesi nei quali l’autosufficienza alimentare non è un dato banale». La forza lavoro è una risorsa, è un fattore produttivo. «E la libera mobilità dei fattori produttivi è benefica e equilibrante solo nei modelli neoclassici, cioè nell’ossatura ideologica del liberismo oltranzista». Qui in Europa, abbiamo visto che «la mobilità del lavoro è particolarmente destabilizzante, perché tende ad amplificare il divario fra paese di provenienza e di destinazione». Nel modello neoclassico, aggiunge Bagnai, «ogni bracciante che parte dal Niger contribuisce a far aumentare il salario di quelli che restano. Nel mondo reale, contribuisce a impoverire il paese».Questa situazione, continua Bagnai, è la stessa che «i vescovi africani vedono e stigmatizzano, perché vale, su scala minore, quello che vale per noi». E cioè: «Anni e risorse spesi per istruire persone che poi vanno altrove, creando un danno al paese di origine. Ma questo, agli immigrazionisti non interessa». Cosa gliene importa, davvero, della vita in Burkina Faso o in Sierra Leone? «Ben contenti e soddisfatti di essere nati dalla parte giusta del mondo», in un preciso spettro ideologico, «a loro interessa solo che qualcuno venga qui a “pakarglilapensione”, perché così gli hanno detto che succederà i giornali dei padroni, cui loro, da buoni imbecilli di sinistra, credono, perché Gramsci per loro se va bene è un liceo, se va male una strada, e nella maggior parte dei casi non è niente». Infierisce, Bagnai: «Questa è la feccia con la quale dovremo ricostruire questo cazzo di paese, non so se è chiaro: una torma di imbecilli sottoproletarizzati da decenni di propaganda a reti unificate, pronti a sollevarsi (sotto l’egida di ogni e qualsiasi organizzazione imperialistica i loro caporioni gli propongano in base alle loro logiche elettoralistiche) per difendere progetti la cui matrice ultraliberista (quindi fallimentare e fascista) dovrebbe essere immediatamente leggibile da chiunque avesse delle minime basi di storia del pensiero, ma anche di mero buon senso».«Il nostro paese è stato distrutto da quelli che ci propongono come panacea i lavoratori altrui, dopo averci proposto come panacea la moneta altrui. E un paese distrutto, semplicemente, non ha risorse per aiutare nessuno». Parola di Alberto Bagnai, che sul blog “Goofynonics” rilancia un intervento già abbozzato anni fa, destinato ai suoi studenti della Sapienza, corso di laurea in “economia della cooperazione internazionale e dello sviluppo”. La tesi: “L’immigrazionismo è la fase suprema del colonialismo”. «Per motivi scellerati – premette l’economista – abbiamo mandato al potere gli immigrazionisti: quelli che, ideologicamente, vedono nella libera immigrazione in Italia la soluzione dei problemi del mondo, senza se e senza ma». I nostri aiuti allo sviluppo? Cronicamente insufficienti: «Lo sono sempre stati, proprio perché l’egemonia culturale e politica è stata esercitata dai neoliberisti (cioè dagli idoli degli iussolisti scemi – e anche di quelli furbi), i quali, come sappiamo, vogliono reprimere la spesa pubblica – qualsiasi spesa – sotto la fulgida egida del “non ci sono risorse”». E oggi il problema si è aggravato: parte delle risorse che potremmo dedicare all’emancipazione di quei popoli «viene dedicata al loro traghettamento», via Lampedusa. «Le risorse ci sarebbero sia per traghettare, che per emancipare», ma «la scelta di fare solo una di queste cose è una scelta politica».
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Secondo voi è “normale” dover scappare dal proprio paese?
«Già la Bibbia ci rivela la nostra natura errante, a cominciare da Abramo», diceva qualche anno fa Moni Ovadia, di fronte all’agitarsi bellicoso ed elettoralistico di più inquietanti “respingitori”, alcuni dei quali pronti – a parole – persino a sparare sui barconi dei naufraghi, carichi di donne e bambini. Che farci? «L’uomo è migrante per natura», ripete – anni dopo, in televisione – un altro esponente di prestigio della cultura italiana come Gabriele Lavia, di fronte al dilagare dell’esodo, oggi aggravato dalle ultime guerre. Solo in Grecia, languono 40.000 profughi da Siria, Iraq e Afghanistan, paesi dove i migranti li abbiamo “aiutati a casa loro” (a scappare a gambe levate). «Per carità, non voglio mettere la palla al piede a Marco Polo», premette Gianfranco Carpeoro: è sacrosanto che chiunque possa sempre decidere di cambiare aria, reinventandosi la vita dall’altra parte del mondo, «ma a patto che lo faccia per sua scelta, non per disperazione, inseguito dalla guerra e dalla fame». Perché altrimenti il buonismo è ipocrita: «Non scordiamoci che siamo stati noi a rendere impossibile vivere, nei paesi dai quali ora si scappa: per questo, quell’immigrazione è innanzitutto un vergogna, un’ingiustizia». Ma non se ne ricorda nessuno. Anzi: «La cosa più assurda è che ci abbiano ormai abituato all’idea che l’immigrazione sia un fatto perfettamente naturale, pacifico, fisiologico».Autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo” che rivela l’incubazione di matrice supermassonica del neo-terrorismo targato Isis, Gianfranco Carpeoro (che è appena tornato in libreria con “Il compasso, il fascio e la mitra”, un saggio sui retroscena massonici e vaticani all’origine del fascismo) torna a protestare contro la vulgata mainstream che impone l’accoglienza dei rifugiati in modo acritico, senza alcuna riflessione sulle vere cause di un esodo di massa così imponente e anomalo. Tanto per cominciare, premette Carpeoro – in diretta streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights” – evitiamo i trabocchetti della propaganda incrociata – per esempio, il tentativo di sminuire le intimidazioni come quella che gli skinheads veneti hanno rivolto all’associazione solidaristica “Como Senza Frontiere”, penetrando a forza negli uffici per leggere un proclama anti-migranti di fronte agli attivisti intimoriti, per lo più donne. «Quella è violenza privata», taglia corto Carpeoro, che ha alle spalle decenni di attività forense, come avvocato. «Ognuno a casa sua può dire quello che vuole, ma tu non puoi venire a casa mia a impormi quello che pensi, magari dopo aver forzato la porta: io ho tutto il diritto di cacciarti e denunciarti».Se da un lato le associazioni come quella comasca svolgono una funzione encomiabile di volontariato, dall’altra gli avvoltoi del “politically correct” ci speculano prontamente, fingendo di non sapere perché milioni di persone scappano dall’Africa e dal Medio Oriente: paesi rapinati e devastati dal colonialismo, affidati a corrotte dittature filo-occidentali e, all’occorrenza, bombardati e invasi, senza mai ripristinare condizioni di vita accettabili per i superstiti. Si ribella, Carpeoro, all’idea che sia considerato “normale” affrontare il Mediterraneo a bordo di barconi-colaborodo. «Al contrario – insiste – dovrebbe essere normale poter vivere dignitosamente a casa propria, innanzitutto: non è per niente normale essere costretti a fuggire». Ovviamente, sorvolare sul “movente” (la causa dell’esodo) rende invisibile il “colpevole”: i nostri governi, le nostre multinazionali. «Cosa devono pensare, di noi, gli africani? Sono morti come mosche per il virus Ebola, fino a quando non si è ammalato un occidentale: allora, magicamente, la cura si è trovata». Altra assurdità, la distinzione (un po’ nazista) tra tipologie di migranti: «Non capisco perché uno che muore di fame dovrebbe essere diverso da uno che muore a causa della guerra, o delle malattie». Molto più comodo, in fondo, rifugiarsi nel derby: migranti sì, migranti no. Lasciando indisturbato, come sempre, il sistema che provoca il terremoto al quale stiamo assistendo.«Già la Bibbia ci rivela la nostra natura errante, a cominciare da Abramo», diceva qualche anno fa Moni Ovadia, di fronte all’agitarsi bellicoso ed elettoralistico dei più inquietanti “respingitori”, alcuni dei quali pronti – a parole – persino a sparare sui barconi dei naufraghi, carichi di donne e bambini. Che farci? «L’uomo è migrante per natura», ripete – anni dopo, in televisione – un altro esponente di prestigio della cultura italiana come Gabriele Lavia, di fronte al dilagare dell’esodo, oggi aggravato dalle ultime guerre. Solo in Grecia, languono 40.000 profughi da Siria, Iraq e Afghanistan, paesi dove i migranti li abbiamo “aiutati a casa loro” (a scappare a gambe levate). «Per carità, non voglio mettere la palla al piede a Marco Polo», premette Gianfranco Carpeoro: è sacrosanto che chiunque possa sempre decidere di cambiare aria, reinventandosi la vita dall’altra parte del mondo, «ma a patto che lo faccia per sua scelta, non per disperazione, inseguito dalla guerra e dalla fame». Perché altrimenti il buonismo è ipocrita: «Non scordiamoci che siamo stati noi a rendere impossibile vivere, nei paesi dai quali ora si scappa: per questo, quell’immigrazione è innanzitutto un vergogna, un’ingiustizia». Ma non se ne ricorda nessuno. Anzi: «La cosa più assurda è che ci abbiano ormai abituato all’idea che l’immigrazione sia un fatto perfettamente naturale, pacifico, fisiologico».