Archivi degli autori 
-
L’Italia perde miliardi nei paradisi fiscali dell’ipocrita Ue
Mentre Di Maio si appresta a vantare grandiosi “risparmi” tagliando i parlamentari (in concreto, lo 0,007% della spesa pubblica) uno studio condotto da ricercatori americani e danesi – segnalato sulla rivista “StartMag” – consente di quantificare il peso del mancato gettito tributario da parte delle multinazionali che spostano i loro profitti verso i paradisi fiscali. In particolare, segnala “Voci dall’Estero”, la scheda sull’Italia mostra come in questa gara all’occultamento dei profitti «il nostro paese perda 7,5 miliardi di gettito tributario, di cui la grande maggioranza a favore dei paradisi fiscali che indisturbati si annidano all’interno dell’Unione Europea». In pole position, l’Olanda sempre ligia al rigore “tedesco” contro l’Italia e naturalmente il Lussemburgo di Juncker. «In questo contesto, la crociata contro l’uso del contante per combattere l’evasione fiscale sembra quanto meno mancare completamente il bersaglio», scrive “Voci dall’Estero”, riferendosi alla campagna di propaganda del Conte-bis. I ricercatori dell’Università della California, di Berkeley e dell’Università di Copenaghen, nel complesso, stimano che ogni anno quasi il 40% dei profitti delle multinazionali (nel 2016 oltre 650 miliardi di dollari) vengano trasferiti in paradisi fiscali. «Questo spostamento riduce il gettito delle imposte sul reddito delle società di quasi 200 miliardi, ovvero il 10% della tassazione globale sulle società».I ricercatori hanno prodotto un database che mostra dove le aziende registrano i loro profitti a livello globale. «Sfruttando questi dati, gli autori hanno sviluppato una metodologia per stimare l’ammontare di profitti trasferiti in paradisi fiscali da società multinazionali», verificando anche «quanto ogni paese perda in profitti e entrate fiscali da tale spostamento».Le grandi multinazionali spostano i profitti nei paradisi fiscali per ridurre il peso globale delle imposte. Si prenda l’esempio di Google: nel 2017, Google Alphabet ha registrato ricavi per 23 miliardi di dollari nelle Bermuda, una piccola isola nell’Atlantico dove l’aliquota dell’imposta sul reddito delle società è pari a zero. Dallo studio è possibile vedere quali paesi attraggono e perdono profitti, in questo “gioco delle tre carte”. Si può verificare «la quantità di profitti spostati in paradisi fiscali e verso quali paradisi i profitti sono stati spostati». È inoltre possibile constatare «la perdita implicita del gettito d’imposta sul reddito delle società».Per i paradisi fiscali, gli esperti segnalano quanti profitti attirano dai paesi ad alta tassazione e qual è l’aliquota d’imposta effettiva sul reddito delle società. La perdita di profitto massima – spiegano gli strudiosi – si ha per i paesi dell’Unione Europea (almeno, quelli che non sono “paesi rifugio”). «Le multinazionali statunitensi spostano relativamente più profitti (circa il 60% dei loro profitti esteri) rispetto alle multinazionali di altri paesi (40% in media)». Gli azionisti delle multinazionali statunitensi sembrano quindi essere «i principali vincitori del trasferimento globale dei profitti». Inoltre, i governi dei paradisi fiscali «traggono notevoli benefici da questo fenomeno: tassando con aliquote basse (meno del 5%) la grande quantità di profitti potenziali che attraggono, sono in grado di generare più entrate fiscali, in proporzione al loro reddito nazionale, rispetto agli Stati Uniti e ai paesi europei (non paradisi fiscali) che hanno aliquote fiscali molto più elevate». Fino a poco tempo fa, aggiungono gli analisti, questa ricerca non sarebbe stata possibile, poiché le imprese di solito non rivelano pubblicamente i paesi in cui sono registrati i loro profitti.Inoltre, i dati dei conti economici nazionali non permettevano di studiare le società multinazionali separatamente dalle altre imprese. Ma negli ultimi anni gli istituti statistici della maggior parte dei paesi sviluppati del mondo (compresi i principali paradisi fiscali) hanno iniziato a pubblicare nuovi dati macroeconomici, noti come statistiche delle consociate estere. «Questi dati consentono di ottenere una visione completa di dove le società multinazionali registrano i loro profitti e in particolare di stimare l’ammontare degli utili registrati nei paradisi fiscali a livello globale». Per approfondire la nostra comprensione di questo problema, ammettono i ricercatori, «avremmo bisogno di altri dati, ancora più precisi». In particolare, «sarebbe auspicabile che tutti i paesi pubblicassero statistiche sulle consociate estere, e che tali statistiche fossero più ampie e includessero sempre informazioni sulle imposte versate».Mentre Di Maio si appresta a vantare grandiosi “risparmi” tagliando i parlamentari (in concreto, lo 0,007% della spesa pubblica) uno studio condotto da ricercatori americani e danesi – segnalato sulla rivista “StartMag” – consente di quantificare il peso del mancato gettito tributario da parte delle multinazionali che spostano i loro profitti verso i paradisi fiscali. In particolare, annota “Voci dall’Estero”, la scheda sull’Italia mostra come in questa gara all’occultamento dei profitti «il nostro paese perda 7,5 miliardi di gettito tributario, di cui la grande maggioranza a favore dei paradisi fiscali che indisturbati si annidano all’interno dell’Unione Europea». In pole position, l’Olanda sempre ligia al rigore “tedesco” contro l’Italia e naturalmente il Lussemburgo di Juncker. «In questo contesto, la crociata contro l’uso del contante per combattere l’evasione fiscale sembra quanto meno mancare completamente il bersaglio», scrive “Voci dall’Estero”, riferendosi alla campagna di propaganda del Conte-bis. I ricercatori dell’Università della California, di Berkeley e dell’Università di Copenaghen, nel complesso, stimano che ogni anno quasi il 40% dei profitti delle multinazionali (nel 2016 oltre 650 miliardi di dollari) vengano trasferiti in paradisi fiscali. «Questo spostamento riduce il gettito delle imposte sul reddito delle società di quasi 200 miliardi, ovvero il 10% della tassazione globale sulle società».
-
Feltri: io, Montanelli e Berlusconi. La verità mai confessata
Nel 1989 assunsi la direzione del settimanale “L’Europeo”. Volevo prendere come vice Scarpino, ma io non avrei potuto portarlo via a “Il Giornale” senza confrontarmi con il suo direttore. Allora incontrai Indro, manifestandogli questo mio desiderio. Montanelli acconsentì e il giornalista cosentino, stimato tanto da Indro, passò a “L’Europeo”. Già dopo due anni iniziai ad avvertire il desiderio di cambiare, fui preso dalla mia frenesia. Avevo portato il settimanale da 78.000 a 130.000 copie, ora volevo nuove sfide. Puntualissima arrivò la proposta di dirigere “L’Indipendente”, che versava in una grave crisi. Nel 1992 lo presi e lo rivoltai tutto. A “L’Europeo” rimase Scarpino, che dopo qualche mese andò a lavorare come caporedattore a “Rete4” con Emilio Fede. In quel periodo continuavo a sentire e a vedere ogni tanto Indro. Ricordo la sua Lancia Thema blu, con la quale dopo il nostro pranzo mi faceva accompagnare dall’autista ovunque avessi bisogno di recarmi. Non era una macchina di lusso, ed appariva anche un po’ consumata. Montanelli non era uno che badava alle frivolezze. Tuttavia, curava con precisione il suo aspetto, era sempre vestito bene, un po’ britannico, indossava camicie a quadri, dolcevita, e zoppicava perché era stato colpito dalle Brigate Rosse alle gambe. La sua gentilezza era addirittura estrema.
-
Magaldi: ma il crocifisso a scuola è solo ciarpame fascista
Macché “radici cristiane”: chi vuole il crocifisso nelle scuole «non difende il cristianesimo, ma solo i patti di potere stipulati negli anni Venti da Mussolini per stabilire un’egemonia culturale clerico-fascista sulle nuove generazioni, agendo sulla scuola e sull’educazione». Il massone progressista Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, si schiera col neo-ministro dell’istruzione Lorenzo Fioramonti, che ha messo in dubbio l’opportunità di esporre i crocifissi nelle aule scolastiche. «In Francia, in Belgio e in Germania (con l’eccezione della Baviera) non c’è nessun crocifisso nelle scuole e nei tribunali», ricorda. «E’ una conferma della vera natura della cività occidentale, cui si deve la conquista storica della libertà di religione». Questa, da secoli, è la nostra vera identità: «Ciascuno è libero di professare anche collettivamente la propria fede, senza però che quest’ambito (privato) condizioni la sfera pubblica, che deve restare laica». In realtà, ricorda Magaldi, così era anche in Italia prima del fascismo: «Quella del crocifisso nei luoghi pubblici non è una tradizione secolare, ma un’innovazione introdotta da una legge fascista del 1924».Normativa anomala, quella dei Patti Lateranensi, poi entrata «vergognosamente» anche nella Costituzione del 1948, «grazie all’ipocrisia del leader comunista Togliatti», preoccupato di non allarmare il potere vaticano di allora. Il trascinarsi delle polemiche sull’uso e abuso del simbolo cristiano offre il destro a Magaldi, cattolico convinto, di mettere a fuoco il tema, fuor dagli equivoci, in una video-chat su YouTube con Marco Moiso, vicepresidente del Movimento Roosevelt. «Gli analfabeti di ritorno della nostra attuale classe politica, quelli che ogni giorno alimentano l’allarmismo gratuito sul presunto neofascismo di oggi, magari non sanno che, se difendono il crocifisso nelle scuole, non fanno che confermare una scelta imposta da Mussolini». Lo Stato laico e liberale pre-fascista, infatti, non prevedeva l’esposizione in aula del simbolo cristiano. Sicchè, «chi proclama di voler difendere la nostra identità culturale, in realtà dimostra di non conoscere né la nostra storia né la nostra tradizione».Tra gli ipocriti, Magaldi include anche il premier Giuseppe Conte: «Si dice pronto, da cattolico, a garantire “libertà di coscienza” ai medici messi di fronte al drammatico problema dell’eutanasia, eppure è lo stesso Conte che solo ieri rinfacciava a Salvini l’esibizione del crocifisso nei comizi e l’evocazione della “Vergine Maria”». I crocifissi nelle scuole e negli altri edifici pubblici «non appartengono alla tradizione cattolica», ribadisce Magaldi: «Sono stati imposti con leggi del 1924-28 come parte di quel connubio clerico-fascista che rappresenta uno dei momenti più bassi dei rapporti tra Stato e Chiesa in Italia». Massone progressista, Magaldi confessa di aver aderito al cattolicesimo in mondo consapevole, in età adulta. Un’adesione matura e pienamente libera: eppure, ricorda, «la libertà di religione è stata conculcata, per secoli, dalle stesse religioni», che perseguitavano i seguaci di altre fedi. «Non ce l’ha portata lo Spirito Santo, la libertà di culto: l’hanno garantita, semmai, le avanguardie laiche e massoniche che hanno costruito il mondo contemporaneo, che tutela culture diverse».Ecco perché oggi, per la festa di San Petronio, «ha fatto benissimo la curia di Bologna a predisporre, nel menù della popolare sagra gastronomica, anche agnolotti con ripieno a base di pollo, per chi avesse problemi con la carne di maiale». Anche di polemiche sugli agnolotti, infatti, si nutre il gossip politico del 2019. Non che sia scomparsa la mortadella, dai tortellini di San Petronio: la notizia (falsa) è stata veicolata da estremisti. Per Magaldi, «si è trattato di un fraintendimento velenoso e stupido, visto che il ripieno di maiale resterà largamente maggioritario, a Bologna». Gli agnolotti al pollo, semmai, potranno avvicinare alla festa cattolica anche altre culture. Magaldi punta il dito contro «l’ateismo devoto e il tradizionalismo integralista reazionario» di chi contesta l’arcivescovo bolognese Matteo Maria Zuppi, presto cardinale, «esemplare interprete del rinnovamento e delle aperture inclusive intraprese dalla Chiesa di Papa Francesco», nel solco tracciato da prelati come monsignor Vicenzo Paglia, in uno sguardo ecumenico anticipato dalla Comunità di Sant’Egidio e dal dialogo interreligioso intrapreso ad Assisi da un Papa come Wojtyla.«Sulla laicità dello Stato comunque non si scherza», sottolinea Magaldi, ricordando l’islamico Abe Smith che nel 2003 intentò una causa contro lo Stato per rimuovere i crocifissi dai luoghi pubblici. «Non lo faceva in modo laico, ma con una motivazione di parte, islamico-integralista: era offeso dalla presenza dei segni di una religione diversa dalla sua». In seno alla stessa Cei, oggi c’è chi cita il recente monito di un imam: «Non dovete togliere i crocifissi dalle scuole – avrebbe detto il religioso musulmano – perché questo significherebbe abdicare alla vostra tradizione». Appunto, replica Magaldi: «In quel mondo islamico, che non ha ancora conosciuto la laicità, la distinzione tra legge civile laica e legge religiosa (dove infatti la “sharìa” è una commistione teocratica) non ci si capacita di come si possa essere contemporaneamente cristiani e laici». La nostra identità sarebbe messa in pericolo da culture altre? «La nostra tradizione non sta nel fatto di essere cristiani o ebrei: la tradizione occidentale – insiste Magaldi – è quella che stabilisce la laicità dello Stato e la possibilità per tutte le religioni di esprimersi e di essere coltivare dai fedeli, distinguendo però sempre tra la sfera religiosa (che è privata) e la sfera civile e laica (che è pubblica)».E’ la democrazia, la sovranità del popolo, a caratterizzare la civiltà occidentale, ribadisce Magaldi. Cattolico, ma non ipocrita: «Il cristianesimo – riconosce – è stato anche compagno di strada del fascismo e di situazioni pre-moderne con visioni teocratiche della società che nulla hanno da invidiare alle attuali teocrazie islamiche». Dopo l’Illuminismo e le rivoluzioni liberali del Settecento, si è affermato un cristianesimo più aperto, «declinato anche da massoni», che stabilisce «l’importanza e la salvaguardia della religione e della libertà di coscienza, distinguendo l’ambito religioso da quello civile». Chi oggi fa le barricate per i crocifissi nelle aule «è gente che non conosce la storia: parla di tradizioni ma non conosce le proprie». In particolare, «non conosce il retaggio da cui veniamo, e non sa nemmeno perché oggi si può parlare di libertà». Vittorio Sgarbi difende il simbolo del Cristo, come “Dio che si fa uomo” e indica agli uomini la via per il loro riscatto? «Giusto, ma senza scordare che, storicamente, il cristianesimo ha usato il simbolo del Cristo anche per fare i roghi, le persecuzioni, le inquisizioni e le peggiori nefandezze», sottolinea Magaldi: «Negli anni Venti, i fascisti e i clericali dell’Oltretevere non hanno messo il croficisso nelle scuole per significare quello che dice Sgarbi, ma per stabilire un’egemonia politica sui giovani».Macché “radici cristiane”: chi vuole il crocifisso nelle scuole «non difende il cristianesimo, ma solo i patti di potere stipulati negli anni Venti da Mussolini per stabilire un’egemonia culturale clerico-fascista sulle nuove generazioni, agendo sulla scuola e sull’educazione». Il massone progressista Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, si schiera col neo-ministro dell’istruzione Lorenzo Fioramonti, che ha messo in dubbio l’opportunità di esporre i crocifissi nelle aule scolastiche. «In Francia, in Belgio e in Germania (con l’eccezione della Baviera) non c’è nessun crocifisso nelle scuole e nei tribunali», ricorda. «E’ una conferma della vera natura della civiltà occidentale, cui si deve la conquista storica della libertà di religione». Questa, da secoli, è la nostra vera identità: «Ciascuno è libero di professare anche collettivamente la propria fede, senza però che quest’ambito (privato) condizioni la sfera pubblica, che deve restare laica». In realtà, ricorda Magaldi, così era anche in Italia prima del fascismo: «Quella del crocifisso nei luoghi pubblici non è una tradizione secolare, ma un’innovazione introdotta da una legge fascista del 1924».
-
Giannini: alzare l’Iva è folle, meglio tassare i super-ricchi
Non so se vi siete resi conto dell’assurdità insita nel meccanismo delle clausole di salvaguardia dell’Iva: se un paese non ha i conti a posto significa che non è cresciuto abbastanza; e in quel caso che cosa non dovrebbe fare l’Unione Monetaria Europea? Fargli alzare l’Iva. Questa imposta, infatti, è una tassa recessiva perché comprime i consumi, che sono il fattore che genera crescita (Pil): se un paese cresce poco, aumentando l’Iva finisce per crescere ancora meno e l’anno successivo sarà messo ancor peggio. Che senso ha, quindi? Nessuno, al massimo quello di renderlo ancor meno competitivo. Visto che accenniamo alla competitività, da questo punto di vista è essenziale un tasso maggiore di meritocrazia nella pubblica amministrazione, visto che i dipendenti incapaci provocano disservizi che ci rendono una nazione scarsamente attrattiva per gli investimenti, una criticità che si affronta non nell’immediato. E se nell’immediato dovessimo rastrellare diversi miliardi?In questo caso è controproducente ridurre il potere di acquisto delle famiglie (dipendenti, piccole imprese) perché spendono i loro stipendi/profitti entro la fine del mese, mentre è auspicabile incidere una tantum su quei tesoretti che, anziché circolare e così generare consumi, Pil e occupazione, se ne stanno fermi nelle tasche di pochi, cioè fermi in banca. Perché, quando si parla di patrimoniali o di tasse, non si scomoda mai quel 10% di italiani che possiede circa la metà della ricchezza nazionale? Una patrimoniale una tantum su queste fascia non scandalizzerebbe nessuno. Questo 10% per caso finanzia i tentacoli di qualche partito importante? Trovo estremamente grave che l’attuale ministro dell’economia Gualtieri, a prescindere dal discorso delle clausole europee, avesse auspicato un aumento selettivo dell’Iva per scelta governativa (in aggiunta peraltro ai prossimi aumenti dei costi delle bollette). Per fortuna questo suo intento pare sia stato scongiurato.(Marco Giannini, “Qualsiasi aumento dell’Iva è uno scandalo”, intervento datato 1° ottobre 2019. Antropologo versiliese già vicino al Movimento 5 Stelle, nel 2015 Giannini ha pubblicato il saggio “Il neoliberismo che sterminò la mia generazione”, edito da Andromeda, contenente autorevoli prefazioni tra cui quella di Anna Maria Variato, economista dell’università di Bergamo. Il libro è stato citato tra gli altri da Alberto Mingardi, direttore dell’Istituto Bruno Leoni. «Mi hanno citato più i neoliberisti che i presunti keynesiani, troppo intenti a occupare spazi mediatici», dice l’autore, che nel 2017 è uscito dall’orbita grillina in polemica con il tentato trasloco del gruppo europarlamentare tra gli ultra-euristi dell’Alde, il gruppo di Guy Verhofstadt in cui militava Mario Monti. Giannini è stato tra i primi, nel 2013, a denunciare il legame tra banca d’affari Jp Morgan e lo stravolgimento della Costituzione italiana – Fiscal Compact, pareggio di bilancio – attuato proprio da Monti, Berlusconi e Bersani. «Destra e sinistra? Meglio “cittadini contro lobby”»).Non so se vi siete resi conto dell’assurdità insita nel meccanismo delle clausole di salvaguardia dell’Iva: se un paese non ha i conti a posto significa che non è cresciuto abbastanza; e in quel caso che cosa non dovrebbe fare l’Unione Monetaria Europea? Fargli alzare l’Iva. Questa imposta, infatti, è una tassa recessiva perché comprime i consumi, che sono il fattore che genera crescita (Pil): se un paese cresce poco, aumentando l’Iva finisce per crescere ancora meno e l’anno successivo sarà messo ancor peggio. Che senso ha, quindi? Nessuno, al massimo quello di renderlo ancor meno competitivo. Visto che accenniamo alla competitività, da questo punto di vista è essenziale un tasso maggiore di meritocrazia nella pubblica amministrazione, visto che i dipendenti incapaci provocano disservizi che ci rendono una nazione scarsamente attrattiva per gli investimenti, una criticità che si affronta non nell’immediato. E se nell’immediato dovessimo rastrellare diversi miliardi?
-
Sarà la Warren l’anti-Trump: è manipolabile dal Deep State
Anche se lo slogan di questo blog è “tracciamo scenari, non facciamo previsioni”, ogni tanto vale la pena provarci. Le rare volte che lo abbiamo fatto è andata bene, e dunque il rischio di fare una figuraccia vale la pena rischiarlo anche stavolta. E’ mia convinzione che il prossimo candidato del Partito Democratico alle presidenziali americani non sarà Joe Biden, ma Elizabeth Warren, nota femminista dell’altà società statunitense in grado di seppellire due mariti e di insegnare legge in diverse università americane, ma anche di passare alla storia come esperta di questioni finanziarie. Il motivo per il quale credo più nella Warren che in Biden molti di voi lo avranno intuito. In queste ore Joe Biden è stato incastrato in uno scandalo che ha travolto il figlio, e che sta travolgendo anche il principale (finora) candidato democratico. La ditta Biden and son’s l’avrebbe fatta davvero grossa, e val la pena riassumere il fattaccio in poche righe per chi non si fosse ancora affaticato a leggere i giornali. Il figlio del candidato democratico Joe, il giovane Hunter Biden, entrò nel consiglio d’amministrazione della Burisma Holdings, la principale compagnia ucraina di commercailizzazione del gas con uno stipendio di 50.000 dollari al mese (dico, 50.000 dollari).Il figlio di Biden venne scelto nonostante non parlasse la lingua e non avesse particolari esperienze nel campo energetico. Inoltre, pare che Biden senior abbia fatto pressione sugli ucraini per favorire indirettamente questo rapporto contrattuale del figlio. Insomma, con ’sto scandalo a mio avviso Biden è già fuori, e la nuova sfida a Trump verrà lanciata dalla Warren. Ma già mi fischiano le orecchie e immagino che molti diranno che la mia previsione ora la stanno facendo in tanti perchè la Warren, da outsider, è andata avanti nei sondaggi a scapito di Biden e del vecchio Sanders, e che tutti sanno oggi dell’Ucrainagate. Mi piace vincere facile? Ok, ma ad ogni buon conto, bene sarebbe capire perchè i media si stanno spostando verso la signora dell’Oklahoma. Oppure: perchè è capitata ’sta tegola sulla testa di Biden? E qui conviene tracciare uno scenario, ancora una volta, e non una previsione. Cosa sarebbe accaduto con Biden candidato ufficiale, vincitore su Trump e dunque presidente degli Stati Uniti d’America?Pochi in Italia sanno o ricordano che Biden è stato il vicepresidente sotto la presidenza Obama. In quell’occasione, Biden promosse il ritiro dall’Iraq e si oppose fermamente al blitz che portò all’uccisione di Bin Laden. Inoltre, Biden non fa parte del clan Clinton. Affermazione che non si può fare con tanta leggerezza, invece, per la Warren. La professoressa di giurisprudenza di Harvard, infatti, viene considerata molto più debole e controllabile di Biden. Dopo un primo sostegno a Sanders alle precedenti presidenziali, la Warren ha poi sostenuto Hillary Clinton in diversi comizi e per molto tempo si parlò nel 2016 di un suo possibile inserimento nel ‘ticket’ come candidata vicepresidente di Hillary. Il Deep State americano preferisce qualcuno che fa molto di testa sua, e che si è già opposto alla Cia nel caso Bin Laden, o un soggetto politico che possa replicare la linea guerrafondaia dei Clinton? Se i media si schierano massicciamente con lei, Trump potrebbe trovarsi in enormi difficoltà alle presidenziali del 2020 perchè avrà di fronte una clintoniana “presentabile” e non un simil-Trump di “centrosinistra” come Biden.(Massimo Bordin, “Sarà la Warren a sfidare Trump”, dal blog “Micidial” del 29 settembre 2019).Anche se lo slogan di questo blog è “tracciamo scenari, non facciamo previsioni”, ogni tanto vale la pena provarci. Le rare volte che lo abbiamo fatto è andata bene, e dunque il rischio di fare una figuraccia vale la pena rischiarlo anche stavolta. E’ mia convinzione che il prossimo candidato del Partito Democratico alle presidenziali americani non sarà Joe Biden, ma Elizabeth Warren, nota femminista dell’altà società statunitense in grado di seppellire due mariti e di insegnare legge in diverse università americane, ma anche di passare alla storia come esperta di questioni finanziarie. Il motivo per il quale credo più nella Warren che in Biden molti di voi lo avranno intuito. In queste ore Joe Biden è stato incastrato in uno scandalo che ha travolto il figlio, e che sta travolgendo anche il principale (finora) candidato democratico. La ditta Biden and son’s l’avrebbe fatta davvero grossa, e val la pena riassumere il fattaccio in poche righe per chi non si fosse ancora affaticato a leggere i giornali. Il figlio del candidato democratico Joe, il giovane Hunter Biden, entrò nel consiglio d’amministrazione della Burisma Holdings, la principale compagnia ucraina di commercailizzazione del gas con uno stipendio di 50.000 dollari al mese (dico, 50.000 dollari).
-
Ecco la vera Greta: accusò i potenti all’Onu già nel 1992
Mi chiamo Severn Suzuki e parlo a nome di Eco, l’organizzazione dei bambini per l’ambiente. Siamo un gruppo di ragazzini di 12 e 13 anni che cercano di cambiare le cose: Vanessa Settis, Morgan Geisler, Michelle Quaigg ed io. Abbiamo raccolto i soldi da sole per venire fin qui, a 5.000 miglia di distanza, per dire a voi adulti che dovete cambiare il modo di vivere. Nel venire qui oggi non ho nessuna intenzione nascosta. Combatto per il mio futuro. Perdere il mio futuro non è come perdere le elezioni o perdere un paio di punti sul mercato azionario. Sono qui per parlare a nome di tutte le generazioni future. Parlo a nome di tutti i bambini nel mondo che soffrono la fame e restano inascoltati. Parlo a nome degli innumerevoli animali che stanno morendo in tutto il pianeta perché non gli resta più spazio in cui andare. Oggi ho paura di uscire sotto il sole per i buchi nell’ozono. Ho paura a respirare l’aria perché non so quali composti chimici ci siano dentro. Andavo sempre a pesca con mio padre a Vancouver, la mia città, finché qualche anno fa abbiamo trovato un pesce pieno di tumori. E adesso si parla di animali e di piante che si stanno estinguendo ogni giorno, scomparendo per sempre.Nella mia vita ho sognato di vedere grandi mandrie di animali selvaggi, giungle e foreste pluviali piene di uccelli e di farfalle. Ma ora mi domando se mai esisteranno davvero, se mai i miei figli potranno vederle. Voi, quando avevate la mia età, dovevate preoccuparvi di queste cose? Tutto questo avviene sotto i nostri occhi, eppure noi ci comportiamo come se avessimo a disposizione tutto il tempo che vogliamo e tutte le soluzioni. Io sono solo una bambina e non ho tutte le soluzioni. Ma dovete rendervi conto che non le avete nemmeno voi. Non sapete come aggiustare i buchi nello strato di ozono. Non sapete come fare a riportare i salmoni in un torrente ormai morto. Non sapete come fare a riportare in vita un animale ormai estinto. E non potete far rinascere le foreste che crescevano dove ora c’è un deserto. Se non sapete come aggiustare qualcosa, per favore, smettete di romperla. A scuola, e persino all’asilo, ci insegnate come comportarsi nel mondo. Ci insegnate a non litigare con gli altri, a trovare sempre un accordo, a rispettare gli altri. A pulire dove sporchiamo, a non fare del male ad altre creature, a condividere a non essere avidi. E allora perché voi fate le cose che a noi dite di non fare?Non dimenticate il motivo per cui partecipate a queste conferenze e per chi lo state facendo: noi siamo i vostri stessi figli. Sta a voi decidere in quale tipo di mondo dovremmo crescere. I genitori dovrebbero poter guardare in faccia i propri figli, dicendo: andrà tutto bene, non è la fine del mondo e noi stiamo facendo del nostro meglio. Ma non credo che voi possiate dirci questo, ormai. Mi domando addirittura se noi siamo nella vostra lista di priorità. Mio padre mi dice sempre: tu sei quello che fai, non quello che dici. Ebbene, quello che voi fate mi fa piangere la notte. Voi adulti dite di amarci. Ma io vi lancio questa sfida: per favore, fate in modo che le vostre azioni riflettano le vostre parole. Grazie.(Severn Suzuki, dichiarazioni rilasciate all’età di 12 anni, nel lontano 1992, alla conferenza mondiale Onu sullo sviluppo e sull’ambiente. Il video l’ha ripescato Massimo Mazzucco, proponendolo in un montaggio su YouTube pubblicato sul blog “Luogo Comune” il 1° ottobre 2019. «Ventisette anni fa – dice Mazzucco – questa ragazzina canadese fece un discorso molto simile a quello fatto da Greta la settimana scorsa». Naturalmente, osserva Mazzucco, a quell’epoca non esistevano Internet e i social media, «per cui il discorso di Severn è rimasto praticamente sconosciuto, mentre quello di Greta ha avuto un’eco mondiale». Ma attenzione: «L’idea del discorso all’Onu a favore dell’ambiente, da parte di un bambino pulito e innocente, non è certo di oggi. E a questo punto, l’odore di manipolazione mediatica si fa sempre più insistente»).Mi chiamo Severn Suzuki e parlo a nome di Eco, l’organizzazione dei bambini per l’ambiente. Siamo un gruppo di ragazzini di 12 e 13 anni che cercano di cambiare le cose: Vanessa Settis, Morgan Geisler, Michelle Quaigg ed io. Abbiamo raccolto i soldi da sole per venire fin qui, a 5.000 miglia di distanza, per dire a voi adulti che dovete cambiare il modo di vivere. Nel venire qui oggi non ho nessuna intenzione nascosta. Combatto per il mio futuro. Perdere il mio futuro non è come perdere le elezioni o perdere un paio di punti sul mercato azionario. Sono qui per parlare a nome di tutte le generazioni future. Parlo a nome di tutti i bambini nel mondo che soffrono la fame e restano inascoltati. Parlo a nome degli innumerevoli animali che stanno morendo in tutto il pianeta perché non gli resta più spazio in cui andare. Oggi ho paura di uscire sotto il sole per i buchi nell’ozono. Ho paura a respirare l’aria perché non so quali composti chimici ci siano dentro. Andavo sempre a pesca con mio padre a Vancouver, la mia città, finché qualche anno fa abbiamo trovato un pesce pieno di tumori. E adesso si parla di animali e di piante che si stanno estinguendo ogni giorno, scomparendo per sempre.
-
Zichichi: falso allarme, non siamo noi ad alterare il clima
Per circa 200 studiosi italiani, tra cui Antonino Zichichi, l’attuale riscaldamento globale non è causato dalle emissioni umane di CO2. E il clima sul nostro pianeta è cambiato più volte nel passato per ragioni naturali. Non la pensano così gli esperti reclutati dall’Onu nel gruppo intergovernativo Ipcc: nei prossimi anni, sostengono, si accentuerà l’innalzamento dei livelli del mare, che provocherà catastrofi sulle coste con milioni di persone sfollate. Secondo l’Ipcc, gli eventi climatici estremi colpiranno almeno una volta l’anno entro il 2050. Gli oceani vedranno un aumento senza precedenti della temperature e della acidificazione, un calo dell’ossigeno, ondate di calore sempre più forti e frequenti, piogge e cicloni devastanti e una costante diminuzione degli animali marini e dei coralli, che peraltro già sta avvenendo. Geologi, fisici e geofisici italiani hanno invece esposto le loro convinzioni – del tutto opposte – in una petizione sul riscaldamento globale antropico. L’appello è stato indirizzato ai presidenti della Repubblica, del Consiglio, della Camera e del Senato. Tra i primi firmatari, Zichichi e Renato Ricci, già presidente della Società Europea di Fisica. La petizione ha raccolto la firma di oltre 500 accademici in tutto il mondo e si è evoluta in una “European Declaration: There is no Climate Emergency”.A partire dal primo firmatario, il geofisico olandese Guus Berkhout, i 500 scienziati negano che sia in corso un’emergenza climatica. Il loro dossier – in controtendenza, rispetto all’allarme ecologista che fa capo al movimento che appoggia Greta Thunberg – verrà presentato a Oslo il 18 ottobre e, in contemporanea, in Italia al Senato. «I modelli matematici sui quali è fondata la congettura del riscaldamento globale antropico – sostengono i firmatari – si sono rivelati errati alla prova sperimentale: il riscaldamento del pianeta negli ultimi 20 anni è stato fino a cinque o sei volte inferiore a quanto previsto dai modelli». Quindi, concludono, la “congettura” del riscaldamento globale è falsa. Infine, posto che oltre l’85% del fabbisogno energetico è soddisfatto dai combustibili fossili come il petrolio e il carbone, concludono che la loro riduzione può essere «disastrosa per l’umanità». Non è d’accordo Roberto Battiston, docente di fisica all’università di Trento e già presidente dell’Esa, l’Agenzia Spaziale Italiana. Per Battiston parlano chiaro, purtroppo, i dati storici sull’aumento delle temperature: «In tutta la storia del clima – dice, interpellato da “Repubblica” – non c’è mai stata una variazione così rapida come ai giorni nostri».Secondo Battiston, durante le glaciazioni la temperatura variava di 1 grado ogni mille anni, mentre nell’ultimo secolo è salita di 0,8 gradi (cioè otto volte di più) e oggi sta salendo di 0,15-0,20 gradi ogni dieci anni, «ben 20 volte di più». Il tema è diventato scottante: dopo le polemiche che dividono la comunità scientifica, l’Accademia dei Lincei ha annullato il convegno che aveva organizzato sull’argomento per il 12 novembre per ascoltare la versione dei “negazionisti”. Tra questi Franco Battaglia, chimico dell’università di Modena, il geologo Umberto Crescenti (ex rettore dell’università di Chieti-Pescara), il geologo Enrico Miccadei, l’ex preside della facoltà di economia sempre all’università di Chieti-Pescara. Ancora: sarebbero intervenuti Alberto Prestininzi, geologo alla Sapienza di Roma, i geofisici Franco Prodi e Giuliano Panza (quest’ultimo accademico dei Lincei e dell’Accademia Nazionale delle Scienze) e Nicola Scafetta, professore di climatologia all’università di Napoli. I punti controversi sono innumerevoli: gli scienziati si dividono anche sulla portata delle variazioni climatiche in corso. Gli anti-allarmisti ricordano che la Terra ha sempre subito cataclismi anche devastanti, mentre le voci maninstream (il cartello Greta-Ipcc) sostengono – senza però dimostrarlo – che siano le emissioni umane ad alterare in clima in modo pericoloso, come se il pianeta non fosse sottoposto anche ai poderosi sbalzi dovuti ad esempio all’attività solare.Per circa 200 studiosi italiani, tra cui Antonino Zichichi, l’attuale riscaldamento globale non è causato dalle emissioni umane di CO2. E il clima sul nostro pianeta è cambiato più volte nel passato per ragioni naturali. Non la pensano così gli esperti reclutati dall’Onu nel gruppo intergovernativo Ipcc: nei prossimi anni, sostengono, si accentuerà l’innalzamento dei livelli del mare, che provocherà catastrofi sulle coste con milioni di persone sfollate. Secondo l’Ipcc, gli eventi climatici estremi colpiranno almeno una volta l’anno entro il 2050. Gli oceani vedranno un aumento senza precedenti della temperature e della acidificazione, un calo dell’ossigeno, ondate di calore sempre più forti e frequenti, piogge e cicloni devastanti e una costante diminuzione degli animali marini e dei coralli, che peraltro già sta avvenendo. Geologi, fisici e geofisici italiani hanno invece esposto le loro convinzioni – del tutto opposte – in una petizione sul riscaldamento globale antropico. L’appello è stato indirizzato ai presidenti della Repubblica, del Consiglio, della Camera e del Senato. Tra i primi firmatari, Zichichi e Renato Ricci, già presidente della Società Europea di Fisica. La petizione ha raccolto la firma di oltre 500 accademici in tutto il mondo e si è evoluta in una “European Declaration: There is no Climate Emergency”.
-
Il Fatto: povero Draghi, aveva le mani legate. Ora ci salverà
«Pensate se i vertici della Nasa aprissero alle teorie negazioniste dello sbarco sulla Luna. Oppure se un accademico di grido palesasse serie perplessità sulla condensa delle scie d’aeroplano. O ancora, se il presidente della Bce si interrogasse sulla opportunità di immettere moneta nelle tasche dei cittadini anziché nelle casse delle banche. Il mondo al contrario, giusto? Non è mica possibile. Tutti conosciamo bene il confine tra certe verità consolidate, e introiettate dalle masse, e il mare controverso e insidioso delle teorie “alternative”. Eppure, la terza che avete letto sopra è successa davvero». Così si esprime Francesco Carraro sul “Fatto Quotidiano”, commentando il discorso di congedo nel quale Super-Mario ha suggerito al suo successore, Christine Lagarde, di prendere in considerazione misure alternative come la Modern Money Theory o l’“helicopter money”. «Significa, né più né meno, immettere denaro nell’economia reale recapitandolo ai consumatori e alle imprese anziché al sistema bancario». Sembra eresia pura, certo: proposte sconcertanti, se a pronunciarle è un “sicario dell’economia” come Draghi, massimo artefice del rigore europeo. «Finché le avanza un cospirazionista», scrive Carraro, certe idee «è facile liquidarle come pattume, alla stessa stregua delle “scie chimiche” o del “finto allunaggio”».Forse, Carraro considera “cospirazionista” il generale Fabio Mini, alto ufficiale Nato e già a capo delle forze Kfor nei Balcani, che sul “pattume complottistico” delle scie chimiche afferma: i cittadini hanno diritto di sapere cosa siano, le istituzioni devono decidersi a dare finalmente risposte precise. Carraro ha già la risposta, beato lui, visto che le definisce “condensa delle scie d’aeroplano”? Quanto al “finto allunaggio”, probabilmente lo stesso Carraro non sa che i maggiori fotografi del mondo – da Oliviero Toscani a Peter Lindbergh – nel documentario “American Moon” di Massimo Mazzucco si dicono certi che siano state «realizzate evidentemente in studio, a terra» le immagini (foto e video) del presunto sbarco sulla Luna del 1969. Resta il fatto, come dice il collaboratore del “Fatto”, che se a sdoganare il ritorno alla disponibilità di moneta è «il massimo rappresentante di una istituzione come la Bce», questo produce «una dissonanza cognitiva», al punto che «la prima reazione è: non può essere vero». Secondo Carraro, invece, dovremmo «approfittare della circostanza per liberarci di un tabù», cominciando finalmente a «parlare senza pregiudizi» della moneta: «Se lo ha fatto Draghi, possiamo farlo anche noi, cominciando a porci una serie di domande interessanti». La più importante, però, Carraro sembra non porsela proprio. E cioè: perché Draghi propone di finanziare l’economia reale solo adesso, alla scadenza del suo mandato, quando non sarà più lui a poter prendere decisioni?Sempre Carraro ricorda che nel 2014, a una giornalista che gli chiedeva se la Bce potesse finire i soldi, rispose testualmente, con un sorriso imbarazzato: «Be’, tecnicamente no, non possono finire, i soldi». Quindi è vero, «abbiamo ampie risorse per fare fronte a tutte le emergenze». Quello che Carraro evita di ricordare è cosa ha fatto, Draghi, in tutti questi anni. Da direttore generale del Tesoro italiano salì sul panfilo Britannia, dove si decise la grande svendita del paese: dal suo ministero strategico, l’allora giovane funzionario gestì poi con la massima cura le maxi-privatizzazioni all’italiana, che posero le premesse per la crisi strutturale del paese. In cambio fu promosso alla Goldman Sachs, quindi a Bankitalia e infine alla Bce, poltronissima da cui Draghi ha gestito in modo spietato l’austerity inflitta all’Europa, cominciando dalla Grecia e poi dall’Italia sottoposta alla “cura” Monti, a esclusivo vantaggio dell’élite finanziaria neoliberista. Dov’era, Carraro, quando il potentissimo clan a cui appartiene Draghi mieteva vittime in tutta Europa e faceva salire alle stelle i profitti della speculazione, che “scommetteva” milioni, a comando, proprio sul collasso dei titoli di Stato che sarebbero finiti nel mirino della Troika?Tutto questo rende l’idea di come il giornale di Travaglio, il cui vice Stefano Feltri è sfilato nel 2019 sulla passerella del Bilderberg, informi i suoi lettori sulla crisi in corso: la visione del “Fatto” non si discosta dal pensiero unico che il neoliberismo mercantilista ha imposto a reti unificate come nuova religione, anche di fronte all’evidenza del ridicolo (memorabile la gaffe dei guru di Harvard, Kenneth Rogoff e Carmen Reinhardt, che provarono a vendere la teoria della cosiddetta “austerity espansiva” – più tagli, più cresci – sulla base di calcoli comicamente falsati da un banale errore di computo sul programma Excel, dov’erano stati caricati numeri semplicemente sbagliati). Sempre sulla versione online del quotidiano di Travaglio, Carraro segnala la sostanziale innocenza di Draghi, laddove – si legge – il super-banchiere «manifesta una sorta di impotenza genetica del suo board». Dice Draghi: «Mettere soldi nelle tasche dei cittadini è compito della politica fiscale, non della politica monetaria». Secondo Carraro, il motivo sarebbe anche di carattere giuridico, dal momento che la Bce «non crea propriamente denaro “dal nulla”», ma lo emette «solo grazie, e in virtù, di una piattaforma “sottostante” rappresentata da asset costituiti, per lo più, da titoli del debito pubblico». La banca centrale (peraltro espressione di gruppi bancari privati) “emette” liquidità elettronica «solo in cambio di una posta positiva costituita da un titolo».Quindi, sempre secondo Carraro, si tratta sempre e comunque «dell’antichissimo paradigma della moneta-debito di cui siamo psicologicamente “debitori” da secoli e da cui non riusciamo a liberarci». Qui però l’equivoco è colossale: se denominato in moneta sovrana (dollaro, rublo, sterlina), il debito pubblico è in realtà il credito dei cittadini, la loro ricchezza in termini di beni, servizi e infrastrutture, dunque posti di lavoro. Se invece – come nel caso dell’euro, unico al mondo – la moneta non è sovrana, gli Stati sono costretti a prenderla in prestito a caro prezzo, scaricando sui cittadini (in termini di tasse) l’intero onere finanziario. Non a caso, l’Italia è da anni in regime di avanzo primario: ai cittadini lo Stato chiede più soldi di quanti non ne spenda per loro. Una spirale senza uscita, che deprime l’economia declassando lo Stato al ruolo di arcigno esattore, peraltro sempre più povero. L’Eurozona così gestita, con la Bce che gestisce la moneta in modo privatistico, è il capolavoro mondiale dell’oligarchia post-democratica che ha svuotato la politica, trasformando le stesse elezioni in rito formalistico e senza conseguenze. Il potere è detenuto da quello che proprio Draghi definì “il pilota automatico”, dipingendolo come un meccanismo quasi metafisico. In realtà, il “pilota automatico” di Draghi (che ha nomi e cognomi) è servito finora a impoverire le popolazioni, delocalizzare il lavoro, svendere il patrimonio degli Stati.Secondo Carraro, il Draghi versione estate-autunno 2019 sarebbe «affascinato dall’idea», dalla possibilità di smentire se stesso e l’intera sua storia, restituendo la moneta al popolo. E infatti «confessa di non “potere” – più che di non “volere” – regalare soldi ai cittadini». Carraro gli crede: non scrive che Draghi “sostiene” di non poter farlo, assicura che “confessa” la sua ipotetica impotenza, che quindi è presentata come reale, certa. In pratica, l’oligarca Draghi sarebbe una sorta di filantropo, che ora «ha offerto un assist straordinario per una riflessione eccentrica, e fuori dagli schemi, ma interessante e proficua». Come invece sappiamo, questa “riflessione” tiene banco da oltre dieci anni quasi ovunque, tranne che sui media mainstream come il “Fatto”, secondo cui la Bce «ha le mani legate». Ma ora, grazie all’eroe Draghi, «forse è giunto il momento di rivedere i nostri sclerotici paradigmi», proclama Carraro, «anche a costo di “rileggere” con occhi nuovi, o addirittura di correggere, le leggi e i trattati, se necessario». Aggiunge, senza ridere, lo stesso Carraro: «Lo esigono i tempi, come ha sottolineato proprio Mario Draghi: “Tutte le innovazioni in politica monetaria devono essere esaminate, studiate e ponderate. Questi sono grandi cambiamenti del mondo in cui la politica monetaria funziona e non ne abbiamo discusso. Sono argomenti che potrebbero far parte di una futura revisione strategica”». Di Carraro, che sembra proprio un fan di Draghi, è impagabile anche la chiosa: «Se lo dice lui, fidiamoci. Osiamo».«Pensate se i vertici della Nasa aprissero alle teorie negazioniste dello sbarco sulla Luna. Oppure se un accademico di grido palesasse serie perplessità sulla condensa delle scie d’aeroplano. O ancora, se il presidente della Bce si interrogasse sulla opportunità di immettere moneta nelle tasche dei cittadini anziché nelle casse delle banche. Il mondo al contrario, giusto? Non è mica possibile. Tutti conosciamo bene il confine tra certe verità consolidate, e introiettate dalle masse, e il mare controverso e insidioso delle teorie “alternative”. Eppure, la terza che avete letto sopra è successa davvero». Così si esprime Francesco Carraro sul “Fatto Quotidiano”, commentando il discorso di congedo nel quale Super-Mario ha suggerito al suo successore, Christine Lagarde, di prendere in considerazione misure alternative come la Modern Money Theory o l’“helicopter money”. «Significa, né più né meno, immettere denaro nell’economia reale recapitandolo ai consumatori e alle imprese anziché al sistema bancario». Sembra eresia pura, certo: proposte sconcertanti, se a pronunciarle è un “sicario dell’economia” come Draghi, massimo artefice del rigore europeo. «Finché le avanza un cospirazionista», scrive Carraro, certe idee «è facile liquidarle come pattume, alla stessa stregua delle “scie chimiche” o del “finto allunaggio”».
-
La Gruber a Salvini: chi è intelligente la verità non la dice
«Nessun politico intelligente direbbe mai quello che pensa davvero: sarebbe un’ingenuità imperdonabile». A dirlo non è Giulio Andreotti, ma Lilli Gruber, che rinfaccia a Matteo Salvini la sua sincerità. Lo scontro va in onda a “Otto e mezzo”, su La7. Bersaglio, il capo della Lega. In studio, Massimo Franco del “Corriere della Sera” concede all’ex ministro dell’interno l’onore delle armi: almeno, ha costretto l’Europa ad affrontare in modo collegiale il problema dei migranti che sbarcano in Italia. La conduttrice – Dietlinde Gruber (Bolzano, classe 1957) – usa invece la clava: se rivendica la sincerità come virtù, Salvini è politicamente un cretino. La Lilli nazionale lo dice dall’alto della sua carriera: mezzobusto del Tg2 craxiano, poi parlamentare europea nel 2004 con l’Ulivo di Prodi, quindi mattatrice dell’intrattenimento giornalistico di Urbano Cairo e ospite fissa del Gruppo Bilderberg. Machiavelli docet: “golpe e lione”, ha da essere il principe – non allocco. E se invece il presunto ingenuo piacesse, nel 2019? Salvini ereditò la Lega di Bossi al 4%. In sei anni, l’ha portata al 34%: primo partito italiano alle europee, con consensi – stando ai sondaggi – che tendono al 40%. Questo, semmai, è veramente imperdonabile, per i fan del governicchio-horror abborracciato da Grillo e Renzi per evitare le elezioni anticipate e restituire l’Italia ai padroncini franco-tedeschi dell’Unione Europea.Salvini è l’unico politico che abbia sfidato Bruxelles, almeno a parole: sui migranti, le tasse, le pensioni. Un vero contestatore del rigore Ue. Andava espulso a tutti i costi dal governo, con la manovra di palazzo del Conte-bis varata dai due azionisti del nuovo carrozzone italiano, l’ex comico genovese e l’ex rottamatore fiorentino. La verità è sotto gli occhi di tutti, anche se Gruber e soci evitano di ricordarla: a Salvini, che è riuscito a pensionare 200.000 anziani con “Quota 100”, aggirando i vincoli-capestro dell’odiosa legge Fornero, l’establishment non ha perdonato l’intransigenza contro gli sbarchi facili, l’ostilità verso l’austerity di Bruxelles (deficit negato all’Italia) e soprattutto il progetto di riforma fiscale (Flat Tax) per abbattere la tassazione, far respirare le aziende e creare lavoro, risollevando il Pil. L’oscuro Giovanni Tria, piazzato al ministero dell’economia al posto di Paolo Savona, ha sistematicamente frenato Salvini, d’intesa con Conte. Il leader della Lega ha staccato la spina dal governo gialloverde quando ha capito che Conte e Tria l’avrebbero costretto a presentare agli elettori un risultato deludente, con la manovra d’autunno ancora una volta risicata e inefficace, attorcigliata sui bizantinismi dell’Iva e di altre pietose gabelle più o meno occulte. E allora vedetevela voi, ha concluso Salvini togliendo il disturbo (chiamatelo scemo).Ma non l’aveva capito, nei mesi precedenti, con che razza di imbroglioni s’era messo, il capo della Lega? «Mi fidavo di Di Maio e di Conte», ha detto alla Gruber. Apriti cielo: «Lei allora non sa valutare le persone che ha di fronte», le ha risposto – ruggendo – la conduttrice di “Otto e mezzo”. Più che giornalismo, pugilato. Puro linciaggio, in cui vale tutto: persino l’irrisione della festa leghista del Papeete. Per ragioni «di forma e stile», un ministro dell’interno non dovrebbe mostrarsi tra gli ombrelloni, per giunta in costume. «Mi scusi – si stupisce Salvini – ma lei come ci va, in spiaggia?». Lilli: «In costume, ma non quando sono ministro». Accipicchia. «Guardi», ribatte Salvini: «Quando tornerò ministro, e accadrà presto, le garantisco che tornerò in spiaggia in costume: si rassegni». Finita? Nemmeno per idea. La Gruber, scatenata, estrae dal cilindro la bassezza più clamorosa: «Comunque, dato che è finita l’estate, è contento che non dovrà più girare in mutande per le strade? Magari senza pancia… sa, per gli occhi delle donne». Salvini, sbigottito, se la ride: cos’altro replicare? E’ semmai la Gruber a restare senza parole, di fronte all’analisi tattica di Salvini. Aveva sottovalutato Conte? Certo, sì: «Ho sottovalutato la vanagloria, la voglia di poltrona di Conte. Quante volte aveva detto che, se il governo fosse finito, sarebbe tornato a fare l’avvocato?». Il governo è finito, ma lui è ancora lì: ha solo cambiato programma e compagni di viaggio.Velenosamente, la conduttrice è riuscita a dire a Salvini: «E’ stato lei a chiedere di essere ospitato, stasera». Vendetta legittima: mesi fa, in un comizio, il leghista s’era divertito a recitare il ruolo del martire, fingendo sofferenza per la serata che lo attendeva nello studio di “Otto e mezzo” («mi tocca andare dalla Gruber: simpatia, portami via»). Perché Salvini insiste per tornare da Lilli, dopo due mesi di assenza? Numeri: la signora del centrosinistra televisivo è la regina incontrastanata del “prime time”, con oltre 2 milioni di telespettatori a sera (e uno “share” che supera l’8%). E’ al pubblico della Gruber, che Salvini vuole continuare a parlare, specie ora che è passato dall’onnipresenza mediatica al limbo punitivo riservato a chi sta all’opposizione. Un ostracismo tanto più necessario, per tentare di proteggere il governo-fantasma del debolissimo professor-avvocato Conte, sostenuto da Renzi e Grillo, puntellato da Bruxelles (Gualteri, Gentiloni, Sassoli) e guardato a vista da Mattarella e da Bankitalia. Quando a far paura erano i grillini, toccò a loro l’esilio televisivo (peraltro, da essi stessi voluto e rivendicato per anni). Ma quando poi Di Maio e Di Battista divennero ospiti fissi di Lilli Gruber, tutti capirono che qualcosa era cambiato: almeno una parte dell’establishment puntava sui 5 Stelle come specchietti per allodole, nella speranza (come poi è stato) che “riportassero a casa” il bottino elettorale populista, accettando di diventare establishment a loro volta, o almeno docili esecutori.Con Salvini è diverso, sembrerebbe, a giudicare dal livore – non esattamente “british” – dell’anomala conduttrice di “Otto e mezzo”, cavallo di razza del post-giornalismo italiano che alle notizie preferisce lo spettacolo, il derby, la rissa. Specialità in cui Salvini resta un fuoriclasse, con una differenza: non fa il giornalista, ma il politico. Come in tribunale l’avvocato, rappresenta (legittimamente) una parte, la sua. Eppure – almeno, il 1° ottobre 2019, dalla Gruber – rivendica la sincerità come valore, dichiarando di essere pronto a perdonarsi eventualmente anche l’ingenuità – meglio essere onesti, piuttosto che bugiardi. «Io almeno sono fatto così», dice Salvini. E la cosa manda in bestia la sua antagonista, che in teoria (essendo una giornalista) dovrebbe avere a cuore proprio la verità. Per Lilli Gruber, invece, a quanto pare la sincerità politica è inammissibile: è indice di dabbenaggine, addirittura di imbecillità. Ma davvero? Ve lo vedete, Gandhi, negare di voler sfrattare gli inglesi dall’India? E Yitzhak Rabin si sarebbe mai espresso contro il diritto dei palestinesi di avere un proprio Stato? Ve lo figurate Nelson Mandela che giudica con indulgenza l’apartheid? Al netto dei tatticismi di prammatica, nei momenti che contano vince sempre la chiarezza. Certo non è il caso di scomodare grandi nomi, se in Italia il menù di giornata propone il match “Gruber contro Salvini”. Ma, sia pure in piccolo, il tema è centrale. Sicuri che il mitico italiano medio non la apprezzi, un po’ di sincerità, dopo tante frottole dispensate a reti unificate? Non sarebbe un bel passo in avanti se, a parte i politici, fossero almeno i giornalisti, ogni tanto, a dire almeno un po’ di verità?«Nessun politico intelligente direbbe mai quello che pensa davvero: sarebbe un’ingenuità imperdonabile». A dirlo non è Giulio Andreotti, ma Lilli Gruber, che rinfaccia a Matteo Salvini la sua sincerità. Lo scontro va in onda a “Otto e mezzo”, su La7. Bersaglio, il capo della Lega. In studio, Massimo Franco del “Corriere della Sera” concede all’ex ministro dell’interno l’onore delle armi: almeno, ha costretto l’Europa ad affrontare in modo collegiale il problema dei migranti che sbarcano in Italia. La conduttrice – Dietlinde Gruber (Bolzano, classe 1957) – usa invece la clava: se rivendica la sincerità come virtù, Salvini è politicamente un cretino. La Lilli nazionale lo dice dall’alto della sua carriera: mezzobusto del Tg2 craxiano, poi parlamentare europea nel 2004 con l’Ulivo di Prodi, quindi mattatrice dell’intrattenimento giornalistico di Urbano Cairo e ospite fissa del Gruppo Bilderberg. Machiavelli docet: “golpe e lione”, ha da essere il principe – non allocco. E se invece il presunto ingenuo piacesse, nel 2019? Salvini ereditò la Lega di Bossi al 4%. In sei anni, l’ha portata al 34%: primo partito italiano alle europee, con consensi – stando ai sondaggi – che tendono al 40%. Questo, semmai, è veramente imperdonabile, per i fan del governicchio-horror abborracciato da Grillo e Renzi per evitare le elezioni anticipate e restituire l’Italia ai padroncini franco-tedeschi dell’Unione Europea.
-
Magaldi: Di Maio neopiduista, taglia le Camere come Gelli
Con il taglio delle poltrone voluto da Di Maio (600 seggi in tutto, 400 alla Camera e 200 al Senato) il Belpaese diverrebbe il fanalino di coda, in Europa: quello con meno parlamentari in assoluto rispetto alla popolazione. Un’idea originale? Niente affatto: «Era scritta nero su bianco nel famigerato Piano di Rinascita Democratica redatto dalla Loggia P2 di Licio Gelli. Ed è strano che a caldeggiarlo, oggi, sia proprio il Movimento 5 Stelle, nato con l’intento dichiarato di ridare la parola ai cittadini». Lo afferma Gioele Magaldi, che nel libro “Massoni” (Chiarelettere, 2014) ha svelato la regia occulta di 36 superlogge nel retrobottega del potere mondiale. Spiega Magaldi: «L’iniziativa di Gelli era solo il riflesso casareccio dell’input partito dalla Ur-Lodge reazionaria “Three Eyes”, che affidò alla Commissione Trilaterale il compito di dare un segnale globale con il saggio “La crisi della democrazia”, uscito nel 1975 a firma di Samuel Huntington, Joji Watanuki e Michel Crozier». La tesi: di troppa democrazia si muore. «Curare l’eccesso di democrazia con dosi ancora maggiori di democrazia sarebbe come tentare di spegnere un incendio gettando benzina sul fuoco». Ergo: si facciano dimagrire i Parlamenti, per togliere punti di riferimento ai cittadini. «In questo, Di Maio si comporta come un neo-piduista», accusa Magaldi. Un sospetto: siamo di fronte a un caso palese di gatekeeping, dietro a tanto populismo inutilmente gridato?I numeri non depongono certo a favore di una riforma che, secondo i calcoli, comporterebbe per lo Stato un risparmio irrisorio: solo lo 0,007% della spesa pubblica. Già oggi, l’Italia è penultima in Europa per rappresentanza democratica: ha un solo parlamentare ogni centomila abitanti. Ben 23 paesi hanno più parlamentari, in relazione al numero dei cittadini. Con il piano del “neo-piduista” grillino, il Palazzo si allontanerebbe ancora di più. «Ho sempre difeso i 5 Stelle dall’accusa di gatekeeping», premette Magaldi: «Non ho mai creduto che il movimento fondato da Grillo e Casaleggio sia nato solo per depistare il dissenso, convogliando la protesta verso esiti innocui per il potere». Certo però che il risultato è lo stesso: i grillini hanno praticamente rinunciato a tutte le promesse di trasparenza sbandierate in campagna elettorale. Sono persino stati determinanti a Strasburgo nel far eleggere alla Commissione Europea la tedesca Ursula von der Leyen, emblema vivente del massimo rigore Ue. E ora, con l’ultra-demagogico taglio dei parlamentari (spacciato per riforma anti-casta) secondo Magaldi si apprestano a indebolire ulteriormente la democrazia italiana, già pesantemente condizionata dai diktat dell’eurocrazia che adesso vezzeggia Giuseppe Conte, docilissimo con Macron e la Merkel.E’ irriconoscibile, oggi, il Di Maio che agita il taglio dei parlamentari per tentare di far dimenticare agli elettori i clamorosi “tradimenti” a catena dei grillini: Tap e Tav, Ilva, Muos, vaccini, spese militari e trivelle in Adriatico. Un anno e mezzo fa, Di Maio evocava l’impeachment per Mattarella, che aveva impedito a Paolo Savona di accedere al ministero dell’economia. Motivo: il professore, già ministro con Ciampi (e assai temuto da Draghi) sarebbe stato “sgradito ai mercati”. Secondo il presidente della Repubblica, il parere degli “investitori” e dei “signori dello spread” contava ben più di quello degli elettori. Di fronte all’iniziale entusiasmo per il successo delle forze gialloverdi, provvide il tedesco Günther Oettinger a ribadire brutalmente il concetto: «Saranno i mercati a insegnare agli italiani come votare». Oggi, il cerchio si è chiuso: Grillo va a braccetto con Renzi, mentre il Conte-bis ha ricominciato a garantire piena sottomissione agli eurocrati. All’ormai quasi irrilevante Di Maio, contestato dalla fronda interna e “giubilato” al ministero degli esteri, resta la battaglia sulla riduzione dei seggi parlamentari: riforma peraltro già approvata anche dalla Lega, e ora appoggiata da Pd e renziani. Più che trame cospirative, Magaldi vede insipienza e catastrofica incapacità politica: piccole pedine, probabilmente inconsapevoli del grande disegno antidemocratico che le manovra.E’ mai possibile che chiunque esordisca con propositi rivoluzionari poi finisca sempre per annacquare le proprie idee, fino agli esiti decisamente incresciosi dei grillini? E non è tutto: a insospettire Magaldi è anche la generosa visibilità offerta dai media mainstream al filosofo torinese Diego Fusaro e alla sua iniziativa politica, “Vox Italia”, che promuove il comunista Gramsci e al tempo stesso l’ideologo fascista Gentile. «Un rossobrunismo sostanzialmente fasciocomunista», che propone «l’uscita dall’euro e dall’Unione Europea», riesumando anche i “valori” dell’antico tradizionalismo provinciale (Dio, patria e famiglia). «Fusaro – dice Magaldi, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” – è l’antagonista perfetto per l’eurocrazia: stravagante e ampolloso, Fusaro è divertente e soprattutto innocuo, dato che avanza proposte irrealizzabili». Non è un caso, aggiunge Magaldi, che i grandi media non diano spazio al Movimento Roosevelt, da lui fondato e presieduto: «Cosa potrebbero rispondere, i signori dell’Ue e i loro partner mediatici, di fronte a richieste ragionevoli ma scomode come le nostre? Esempio: una Costituzione Europea finalmente democratica, bilanci flessibili (con investimenti non più computati nei deficit) e una Bce pronta a emettere eurobond per sostenere l’economia reale e cancellare lo spettro dello spread».Non si corrono pericoli, invece, con il rassicurante “sovranismo rossobruno” di Fusaro, «chiamato spesso in televisione a fare da sparring partner ai politici e ai giornalisti del circo mainstream». Non solo: «Noto che anche Claudio Messora, animatore di “ByoBlu”, si sta spendendo massicciamente per “Vox Italia”, divenendone quasi il megafono». In questi anni, “ByoBlu” ha ospitato regolarmente voci alternative, svolgendo un ottimo servizio di informazione e ospitando ripetutamente lo stesso Magaldi. «Poi, su di noi è sceso il silenzio», insiste il presidente del Movimento Roosevelt, quasi evocando una sorta di ostracismo “suggerito” dall’alto. «Sono interrogativi che mi pongo, in attesa di risposte», precisa. Messora, peraltro, aveva aderito al Movimento 5 Stelle, svolgendo anche la funzione di comunicatore parlamentare. «Non vorrei che, svanita l’esperienza gialloverde, qualcuno avesse deciso di puntare proprio su “Vox Italia” per sostituire, in qualche modo, il populismo dei 5 Stelle, ormai sbiadito». L’interrogativo di Magaldi lascia aperta la possibilità che lo stesso (benemerito) video-blog di Messora possa trasformarsi, a sua volta, in uno strumento di gatekeeping. Sovragestione? Tanta improvvisa enfasi su Fusaro – che ha possibilità pari a zero di impensierire il potere che domina l’Italia – non può che lasciare perplessi, almeno secondo il presidente del Movimento Roosevelt.Con il taglio delle poltrone voluto da Di Maio (600 seggi in tutto, 400 alla Camera e 200 al Senato) il Belpaese diverrebbe il fanalino di coda, in Europa: quello con meno parlamentari in assoluto rispetto alla popolazione. Un’idea originale? Niente affatto: «Era scritta nero su bianco nel famigerato Piano di Rinascita Democratica redatto dalla Loggia P2 di Licio Gelli. Ed è strano che a caldeggiarlo, oggi, sia proprio il Movimento 5 Stelle, nato con l’intento dichiarato di ridare la parola ai cittadini». Lo afferma Gioele Magaldi, che nel libro “Massoni” (Chiarelettere, 2014) ha svelato la regia occulta di 36 superlogge nel retrobottega del potere mondiale. Spiega Magaldi: «L’iniziativa di Gelli era solo il riflesso casareccio dell’input partito dalla Ur-Lodge reazionaria “Three Eyes”, che affidò alla Commissione Trilaterale il compito di dare un segnale globale con il saggio “La crisi della democrazia”», uscito nel 1975 a firma di Samuel Huntington, Joji Watanuki e Michel Crozier. La tesi: di troppa democrazia si muore. «Curare l’eccesso di democrazia con dosi ancora maggiori di democrazia sarebbe come tentare di spegnere un incendio gettando benzina sul fuoco». Ergo: si facciano dimagrire i Parlamenti, per togliere punti di riferimento ai cittadini. «In questo, Di Maio si comporta come un neo-piduista», accusa Magaldi. Un sospetto: siamo di fronte a un caso palese di gatekeeping, dietro a tanto populismo inutilmente gridato?
-
Strage di poliziotti e carabinieri, 44 suicidi negli ultimi mesi
Né mafia né criminalità comune. La prima causa di morte violenta tra le forze di polizia è il suicidio. Strisciante e imprevedibile, la belva dell’anima azzanna nel silenzio e non molla la presa. Dall’inizio dell’anno sono 44 gli appartenenti alle forze dell’ordine che si sono tolti la vita. Per lo più con l’arma di ordinanza. «Un morto a settimana. È un dato impressionate che dovrebbe indurre i vertici delle varie amministrazioni a riflettere. Non cerchiamo colpevoli, ma antidoti. Se non iniziamo a interrogarci sul fenomeno, rischiamo di piangere altri morti», dice Roberto Loiacono, della Funzione Pubblica della Cgil di Torino. Un dibattito organizzato presso la Camera del lavoro di Torino, rivolto agli operatori del settore, ha delineato un quadro inquietante. E sono soprattutto i dati raccolti a livello nazionale dall’associazione Cerchio Blu, che da anni si occupa di sostegno psicologico per le forze di polizia, a rappresentare la gravità del fenomeno. L’86% di chi si toglie la vita, tra carabinieri, polizia, finanza, penitenziaria e polizie locali, lo fa utilizzando la pistola d’ordinanza. La maggiore concentrazione di casi si registra nel Nord: 42% contro il 31,4% di eventi avvenuti nel Sud e nelle isole.La fascia di età “a rischio” va dai 45 e ai 64 anni, che racchiude il 58,13% di suicidi. Segue la fascia tra i 25 e i 44 anni, con il 34,48%. I picchi si sono registrati tra i 43 e 44 anni, e tra 52 e i 49 anni. Il 30,7 % lo ha fatto in un luogo privato, il 27,9% sul posto di posto di lavoro. Il 31% dei casi in estate, il 24% inverno. «Il problema va affrontato con estrema cautela perché i casi sono in aumento», spiega Graziano Lori, presidente dell’associazione Cerchio Blu: «Ci sono paesi, come la Francia, dove la situazione è addirittura più drammatica della nostra». Nel 2014 i suicidi erano stati 43; 34 nel 2015 e nel 2016; 28 nel 2017 e 29 nel 2018. Le polizie locali o municipali, ex vigili urbani, registrano il più alto tasso di suicidi femminili: il 52,6%. I corpi di polizia locale accolgono il 36% di donne in divisa, percentuale più alta rispetto alle altre forze dell’ ordine. A livello nazionale ci sono stati 5 episodi, di cui 2 in un arco temporale di 5 mesi nella sola provincia di Torino.«Spesso i comandanti o i funzionari apicali – spiega Emiliano Bezzon, comandante della polizia municipale di Torino – affrontano il problema da un punto di vista di puro rispetto delle norme per evitare ripercussioni sul piano della responsabilità. Non basta togliere l’arma d’ordinanza quando si manifesta un disagio. Io la vedo diversamente. Bisogna andare al di là della semplice gestione del personale. Bisogna prendersi cura delle persone, occuparsi delle criticità individuali». Quali sono i fattori che incidono di più? I contesti lavorativi o le dinamiche personali? Il fenomeno è seguito da un osservatorio nazionale ma i correttivi «andrebbero affrontati con maggior coraggio dalle amministrazioni centrali, che invece preferiscono nascondere il problema», dicono i sindacati. «Tra le valutazioni del rischio lavorativo non è compresa quella dello stress correlato», afferma Nicola Rossiello, segretario regionale del Silp Cgil della polizia e coordinatore nazionale sicurezza sul lavoro. «Dobbiamo obbligare le nostre amministrazioni a confrontarsi con la tragicità del fenomeno. A discutere apertamente dei rischi psicosociali che affliggono tutti gli operatori di polizia, qualunque sia la loro divisa».(Massimiliano Peggio, “Il suicidio è la prima causa di morte violenta tra le forze dell’ordine”, da “La Stampa” del 28 settembre 2019; articolo ripreso da “Dagospia”. Secondo l’avvocato Paolo Franceschetti, indagatore di molti misteri italiani, è sospetta l’altissima percentuale di suicidi tra le forze dell’ordine: i fatti di sangue spesso colpiscono agenti in buona salute psicofisica, senza la minima avvisaglia di depressione. Secondo Franceschetti, è possibile che in alcuni casi i “suicidi”, specie tra ispettori di polizia e sottufficiali dei carabinieri e della Guardia di Finanza, siano in realtà omicidi mascherati).Né mafia né criminalità comune. La prima causa di morte violenta tra le forze di polizia è il suicidio. Strisciante e imprevedibile, la belva dell’anima azzanna nel silenzio e non molla la presa. Dall’inizio dell’anno sono 44 gli appartenenti alle forze dell’ordine che si sono tolti la vita. Per lo più con l’arma di ordinanza. «Un morto a settimana. È un dato impressionate che dovrebbe indurre i vertici delle varie amministrazioni a riflettere. Non cerchiamo colpevoli, ma antidoti. Se non iniziamo a interrogarci sul fenomeno, rischiamo di piangere altri morti», dice Roberto Loiacono, della Funzione Pubblica della Cgil di Torino. Un dibattito organizzato presso la Camera del lavoro di Torino, rivolto agli operatori del settore, ha delineato un quadro inquietante. E sono soprattutto i dati raccolti a livello nazionale dall’associazione Cerchio Blu, che da anni si occupa di sostegno psicologico per le forze di polizia, a rappresentare la gravità del fenomeno. L’86% di chi si toglie la vita, tra carabinieri, polizia, finanza, penitenziaria e polizie locali, lo fa utilizzando la pistola d’ordinanza. La maggiore concentrazione di casi si registra nel Nord: 42% contro il 31,4% di eventi avvenuti nel Sud e nelle isole.
-
L’astronauta Worden: siamo noi gli alieni, veniamo da lassù
«Siamo noi, gli alieni: da dove credete che veniamo?». Il colonnello Al Worden, astronauta dell’Apollo 15 e detentore di numerosi record, non ha atteso le clamorose ammissioni dell’Us Navy sugli Ufo per stupire il pubblico. Ci aveva pensato già nel settembre del 2017, rilasciando in televisione una dichiarazione pubblica «sconcertante e, come sempre, passata sotto il totale silenzio dei media internazionali», scrive l’antropologo Enrico Baccarini, documentarista della “Bbc” e direttore della rivista “Archeomisteri”. Appassionato studioso delle antiche civiltà indiane e autore di svariati saggi, Baccarini appartiene – come Graham Hancock – alla corrente di pensiero che rivaluta i testi dell’antichità: non libri “sacri”, ma cronistorie attendibili che narrano le avventure di quelli che, a tutti gli effetti, sembrano essere antichi astronauti. E ora ci si mette anche la Nasa, che ha editato il saggio “Archeology, Anthropology and Interstellar Communication”: secondo il curatore, Douglas Vakoch, è possibile che i nostri antenati abbiano scambiato per “divinità” quei misteriosi visitatori. Il primo a crederci è proprio un veterano dello spazio come Worden: secondo cui, addirittura, gli alieni saremmo noi. Tecnicamente: discendenti di antichi “profughi” cosmici.Alfred Merril Worden (nato Jackson, in Mississippi, il 7 febbraio 1932) è un celebre astronauta statunitense. Fu il pilota del modulo di comando per la missione lunare Apollo 15 nei mesi di luglio e agosto 1971, ricorda Baccarini sil suo sito. Proprio il colonnello Worden fu uno dei 19 astronauti scelti dalla Nasa nell’aprile 1966. Servì come membro dell’equipaggio di supporto della missione Apollo 9 e come pilota comandante del modulo di comando di riserva della missione Apollo 12. Pilotò anche il modulo di comando per l’Apollo 15, dal 26 luglio al 7 agosto 1971. I suoi compagni di volo furono David Scott, comandante del veicolo, e James Irwin, comandante del modulo lunare. Secondo la Nasa, l’Apollo 15 fu la quarta missione con equipaggio a metter piede sul suolo lunare e la prima ad esplorare il Ruscello di Hadley e i Monti Appennini, situati sul bordo sud-est del Mare Imbrium, spazio ora desertico del satellite naturale della Terrra. Per Baccarini, Warden è «una figura di tutto rispetto». Come ingegnere aeronautico e astronauta della Nasa, «ha vissuto una vita addentrandosi ad avere una mente razionale e scientifica, ma ancor più a vagliare e analizzare ogni informazione prima di “parlare”».Cos’ha detto, due anni fa, a proposito delle nostre origini? «Siamo noi gli alieni: pensiamo che sia qualcun altro, e invece siamo noi quelli che sono venuti da qualche altra parte». Quello che Warden evoca è una specie di esodo spaziale: partiti da chissà dove, dice, i nostri progenitori arrivarono sulla Terra perché qualcuno di loro doveva pur sopravvivere. «Sono saliti su un piccolo veicolo spaziale e sono venuti qui, sono atterrati e hanno iniziato la civiltà qui: questo è quello che credo». Insiste l’astronauta: «Se non mi credete, andate a prendere i libri sugli antichi Sumeri e vedete cosa avevano da dire al riguardo, ve lo diranno subito». L’allusione è alla sumerologia, resa popolare dai saggi divulgativi di Zecharia Sitchin: le tavolette mesopotamiche raccontano lo sbarco sulla Terra dei potenti Anunna, o Anunnaki, che poi ibridarono il loro Dna con quello degli ominidi, per dare origine all’homo sapiens. Nell’intervista, rilasciata a “Good Morning Britain” sulla rete inglese “Itv”, Worden sostiene apertamente che gli umani sono i discendenti da una razza extraterrestre legata agli antichi astronauti e che, per varie ragioni, si sono fermati nel nostro pianeta dando inizio alla nostra specie e detenendo un ruolo chiave nell’evoluzione della civiltà umana.In più, Worden consiglia di leggere gli antichi testi sumerici per avere una chiara idea di quanto detto. «Cosa poter aggiungere? Si tratta del delirio senile di un astronauta? Non pensiamo proprio», scrive Baccarini. «Anzi: riteniamo che queste affermazioni debbano essere prese con la giusta importanza che meritano». La teoria degli antichi astronauti, detta anche paleocontatto o paleoastronautica, è quell’insieme di teorie che ipotizzano un contatto tra civiltà extraterrestri e antiche civiltà umane, quali sumeri, egizi, popoli dell’India antica e civiltà precolombiane. Questa teoria, ricorda Baccarini, iniziò a diffondersi verso la fine degli anni ’50, quando giornalisti e studiosi di varie estrazioni iniziarono a ipotizzare che, nel remoto passato del nostro pianeta, una o più civiltà altamente progredite e provenienti dallo spazio esterno avessero interagito con noi, e forse in certi casi letteralmente “creato” la nostra specie. A distanza di quasi settant’anni – aggiunge Baccarini – questo campo di studi è riuscito a collezionare una serie di evidenze ed elementi tali da non lasciare altre possibilità interpretative, al riguardo.Le affermazioni di Al Worden non sono certamente le prime e non saranno le ultime: Baccarini ricorda quelle dell’astronauta Edgar Mitchell, scomparso nel 2016. Otto anni prima, in un’intervista radiofonica, aveva dichiarato: «Da ambienti militari e governativi sono venuto a conoscenza del fatto che il fenomeno Ufo è reale, che ci sono stati contatti tra esseri umani ed esseri extraterrestri, e che questi contatti sono tuttora in corso». Né Warden né Mitchell ci portano alla “pistola fumante” per confermare definitivamente questa costellazioni di tesi, ammette Baccarini. Ma, provenendo da fonti così autorevoli, queste affermazioni «non possono certamente essere prese sotto gamba». Peraltro, «risultano sintomatiche di una linea di pensiero che, di giorno in giorno, sembra acquisire sempre più fautori». Uno degli aspetti più interessanti investe anche la reinterpretazione delle testimonienze archeologiche: alcune figure umanoidi, inicise nella roccia, sembrano indossare tute e caschi. E’ possibile che antichi astronauti extraterrestri abbiano visitato il nostro pianeta in un remoto passato e ritenuti dai nostri antenati come divinità discese dal cielo? Secondo “Archeology, Anthropology and Interstellar Communication”, pubblicato dalla Nasa, l’antica arte rupestre potrebbe essere il segno delle loro visite passate.Alcuni dei capitoli più interessanti – segnala sempre Baccarini – trattano il tema della comunicazione extraterrestre nel passato. «In una sezione, ad esempio, il professor William Edmondson, dell’Università di Birmingham, considera la possibilità che alcune raffigurazioni di arte rupestre sulla Terra possano essere di origine extraterrestre». In realtà, aggiunge Edmondson, non abbiamo certezze: «Possiamo dire poco su ciò che significano queste raffigurazioni, sul perchè siano state incise nella roccia o su chi le abbia create». Addirittura, aggiunge il professore, «potrebbero essere state fatte degli alieni a tutti gli effetti». Come riporta il “Daily Mail”, la pubblicazione affronta una serie di argomenti con l’intervento di numerosi esperti, tra cui la prospettiva di vita su altri pianeti e gli strumenti attraverso i quali inviare o ricevere messaggi. Il curatore, Douglas Vakoch, da parte sua parla delle difficoltà che potrebbero sorgere a seguito di un primo contatto con una civiltà aliena: sa segnali radio, dice, «potremmo intuire l’esistenza di un’intelligenza, ma non potremmo capire cosa dico». E aggiunge: «Anche se rilevassimo una civiltà in uno dei sistemi stellari più vicini, i loro segnali dovrebbero attraversare migliaia di miliardi di chilometri, raggiungendo la Terra dopo molto tempo».Ma la speranza non è perduta: in tutto il libro, Vakoch e colleghi cercano di offrire soluzioni concrete che possano rivelarsi preziose per il futuro. «Per andare oltre la semplice individuazione di tale intelligenza, e avere qualche possibilità realistica di comprenderla, possiamo prendere esempio da ricercatori che affrontano sfide simili sulla Terra», continua Vakoch: «Come gli archeologi, che ricostruiscono la storia di civiltà del passato da informazioni frammentarie, così dovranno fare i ricercatori del Seti per comprendere civiltà lontane da noi, separate da vaste distese di spazio e tempo». Il Seti (Search for Extra-Terrestrial Intelligence) è un progetto finanziato dalla Nasa dal lontano 1971. Missione: rilevare la presenza di vita intelligente nello spazio oltre la Terra. A quanto pare sono stati fatti passi da gigante, in questa direzione, se è vero che l’astronauta Edgar Mitchell parla di contatti stabili e regolari con entità aliene. Nel suo libro, Vakoch (Nasa) resta sul vago, è vero. In compenso, Al Worden sostiene che i discendenti degli alieni siamo noi. Affermazioni destabilizzanti, ovviamente, fino a ieri sostanzialmente ignorate dai grandi media. Ora invece è il Pentagono a rifarsi avanti: per suggerirci – sia pure a piccole dosi – che tra noi e gli equipaggi degli Ufo c’è probabilmente una lunga storia, che forse sta per essere raccontata.«Siamo noi, gli alieni: da dove credete che veniamo?». Il colonnello Al Worden, astronauta dell’Apollo 15 e detentore di numerosi record, non ha atteso le clamorose ammissioni dell’Us Navy sugli Ufo per stupire il pubblico. Ci aveva pensato già nel settembre del 2017, rilasciando in televisione una dichiarazione pubblica «sconcertante e, come sempre, passata sotto il totale silenzio dei media internazionali», scrive l’antropologo Enrico Baccarini, documentarista della “Bbc” e direttore della rivista “Archeomisteri”. Appassionato studioso delle antiche civiltà indiane e autore di svariati saggi, Baccarini appartiene – come Graham Hancock – alla corrente di pensiero che rivaluta i testi dell’antichità: non libri “sacri”, ma cronistorie attendibili che narrano le avventure di quelli che, a tutti gli effetti, sembrano essere antichi astronauti. E ora ci si mette anche la Nasa, che ha editato il saggio “Archeology, Anthropology and Interstellar Communication”: secondo il curatore, Douglas Vakoch, è possibile che i nostri antenati abbiano scambiato per “divinità” quei misteriosi visitatori. Il primo a crederci è proprio un veterano dello spazio come Worden: secondo cui, addirittura, gli alieni saremmo noi. Tecnicamente: discendenti di antichi “profughi” cosmici.