Archivio del Tag ‘11 settembre’
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La rivoluzione della verità: Marcello Foa alla guida della Rai
Che succede, se diventa presidente della Rai l’uomo che più di ogni altro, in Italia, ha denunciato le malefatte quotidiane degli “stregoni della notizia”? E’ semplicemente favolosa, infatti, la nomina di Marcello Foa nel Cda di viale Mazzini, caldeggiata dalla Lega e appoggiata dai 5 Stelle. Gli “stregoni” ovviamente sono già al lavoro: da quelli de “L’Espresso”, querelato da Foa per aver insinuato che il grande giornalista possa aver avuto un misterioso ruolo nella presunta sparizione in Svizzera del “tesoro-fantasma” del Carroccio, all’Enrico Mentana che, a caldo, in prima serata al Tg de La7, ha presentato Foa – liberale, anticomunista e noto estimatore di Trump – come un intellettuale “non amico” degli Usa. Un benvenuto a colpi di “fake news”, dunque, per il giornalista italiano, allievo di Indro Montanelli, che dal suo blog sul “Giornale” ha additato senza esitazioni le notizie false spacciate regolarmente per vere dai media mainstream a reti unificate. Notizie pesanti: dalle armi chimiche in Siria (mai usate da Assad contro i civili) alla foto straziante del bambino messicano in lacrime, presentato come profugo separato ferocemente dai genitori per colpa del perfino Trump, pur essendo invece solo un piccolo attore, impegnato in una drammatica performance di protesta in Texas. Marcello Foa alla guida della Rai? L’impossibile, che diventa possibile: qualcuno finalmente comincerà a dire che “il re è nudo”, e lo farà dagli studi dal Tg1?Ha un che di destabilizzante e rivoluzionario, la decisione di Salvini e Di Maio. Obiettivo evidente: coprire le spalle al governo gialloverde, sottoposto al fuoco di sbarramento del sistema televisivo, pilotato dal vecchio establishment per il quale la verità è solo una variabile del copione. La nomina di Foa piomba come un ordigno nucleare su una palude maleodorante di telegiornali bugiardi e reticenti, di talkshow orwelliani infestati di testimonial unilaterali del calibro di Elsa Fornero e Carlo Cottarelli, presentati come marziani super-partes paracadutati, loro malgrado, fra le disgrazie “neo-sovraniste” dell’Italietta gialloverde. Lo stesso Mentana – piazzato da Craxi al Tg2 e poi approdato a Mediaset prima di finire a La7 – liquida con irridente sarcasmo i poveri fessi che ancora non credono alla versione ufficiale dell’11 Settembre, cioè la madre di tutte le “fake news” – la peggiore e più sanguinosa, la più gravida di orrori per il resto dell’umanità, letteralmente travolta da un quindicennio di guerre devastanti, organizzate da una propaganda che ha presentato il massone Osama Bin Laden, socio dei Bush e giù uomo Cia in Afghanistan, come una specie di cavernicolo anti-Usa. Da Al-Qaeda all’Isis, dall’Iraq alla Siria fino alla catena di spaventosi attentati “false flag” in Europa: mai un brandello di verità, da Mentana e soci, sulla strategia della tensione finto-islamista che ha indotto la Francia a sigillare col segreto di Stato (segreto militare) le indagini su Charlie Hebdo, dopo la “triangolazione delle armi” emersa a collegare il commando Isis ai servizi segreti.Dal 2001, il pubblico occidentale è stato sistematicamente inondato di menzogne e “fake news” di regime, propagandate dai governi, senza che i giornalisti delle principali testate abbiano opposto la minima resistenza civile, professionale e intellettuale. Se i reporter avessero fatto il loro lavoro, accusa un grande del giornalismo anglosassone come Seymour Hersh, Premio Pulitzer, non avremmo dovuto seppellire così tante vittime innocenti. Poi, negli ultimi anni, qualcosa è cambiato: non grazie ai giornalisti, ma malgrado loro. Gli inglesi hanno votato la Brexit e gli americani hanno eletto Trump nonostante i media fossero tutti schierati per il Remain e per la Clinton. Nel suo piccolo, l’Italia si è sbarazzata di Renzi con il referendum sulla riforma costituzionale, supportata a reti unificate da giornali e televisioni. Peggio ancora: contro il sistema mainstream ancora allineato al vecchio ordine politico (Obama e Merkel, Draghi e Mattarella) gli elettori italiani hanno scelto i 5 Stelle e la Lega, che infine hanno trovato il coraggio di un compromesso di governo. Fino al punto, oggi, di insediare alla guida della Rai un cavallo di razza come Foa, alle prese con una missione incredibile: rompere il muro di omertà mediatica, spezzare il coro delle finte notizie e cominciare a raccontare, finalmente, la verità.Che succede, se diventa presidente della Rai l’uomo che più di ogni altro, in Italia, ha denunciato le malefatte quotidiane degli “stregoni della notizia”? E’ semplicemente favolosa, infatti, la nomina di Marcello Foa nel Cda di viale Mazzini, caldeggiata dalla Lega e appoggiata dai 5 Stelle. Gli “stregoni” ovviamente sono già al lavoro: da quelli de “L’Espresso”, querelato da Foa per aver insinuato che il grande giornalista possa aver avuto un misterioso ruolo nella presunta sparizione in Svizzera del “tesoro-fantasma” del Carroccio, all’Enrico Mentana che, a caldo, in prima serata al Tg de La7, ha presentato Foa – liberale, anticomunista e noto estimatore di Trump – come un intellettuale “non amico” degli Usa. Un benvenuto a colpi di “fake news”, dunque, per il giornalista italiano, allievo di Indro Montanelli, che dal suo blog sul “Giornale” ha additato senza esitazioni le notizie false spacciate regolarmente per vere dai media mainstream a reti unificate. Notizie pesanti: dalle armi chimiche in Siria (mai usate da Assad contro i civili) alla foto straziante del bambino messicano in lacrime, presentato come profugo separato ferocemente dai genitori per colpa del perfido Trump, pur essendo invece solo un piccolo attore, impegnato in una drammatica performance di protesta in Texas. Marcello Foa alla guida della Rai? L’impossibile, che diventa possibile: qualcuno finalmente comincerà a dire che “il re è nudo”, e lo farà dagli studi dal Tg1?
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Mazzucco: Salvini e Cucchi, l’eroe Saviano e l’osceno Macron
«Come si dice, in francese, testa di cazzo?». Non trova altri termini, Massimo Mazzucco (men che meno diplomatici) per definire il villano, volgare bugiardo che oggi siede all’Eliseo, secondo cui in Italia non esiste una vera emergenza immigrazione. Se la consente, Mazzucco, questa informalità lessicale, per almeno due motivi: Emmanuel Macron è un triviale “vomitatore” di insulti, un anti-italiano coi fiocchi il cui sprezzante razzismo trasuda da ogni sua parola. E poi si può comunque usare un tono più che confidenziale data la platea del “Mazzucco Live”, la diretta web-streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Un pubblico decisamente informato, a cui non c’è bisogno di spiegare da quale pulpito provengano le odiose esternazioni xenofobe del ducetto francese, sciovinista quanto basta per farsi detestare da mezza Europa (e da più di mezza Francia, ormai) ma abbastanza ipocrita da dimenticare che a manganellare i migranti, respingendoli con inaudita ferocia, è stato innanzitutto il suo governo. Peggio: più che la Francia, Macron – che viene dalla finanza Rotchschild – rappresenta il peggio, in assoluto, di quanto si sia visto finora in Europa: la subdola dittatura del potere oligarchico, orchestrato dalla supermassoneria reazionaria in cui milita l’allievo presidenziale di Jacques Attali, grande architetto dell’euro-orrore a cui l’Italia sta cominciando a opporsi, in modo clamoroso.Il primo muro a crollare è proprio quello dell’ipocrisia, che arma la mano dei difensori del regime e dei loro pupazzi mediatici. Poi ovviamente si può scendere anche nel grottesco e nel genere comico, quando ad esempio l’ex eroe nazionale Roberto Saviano si erge ad avversario del feroce Salvini. Ma scusate, Saviano chi? Seriamente, si domanda Mazzucco: «Chi è Saviano? Ok, uno scrittore. Ha scritto qualche buon libro? Bene, ma non sarà certo l’unico. In realtà è al centro della scena, da anni, solo per via della scorta che lo protegge». Esibito come una Madonna Pellegrina, nell’ex Italia dei Renzi e dei Fabio Fazio, era diventato una specie di icona della lotta alla mafia? Ma mi faccia il piacere, protesta Mazzucco: «Se Saviano desse davvero fastidio alla mafia avrebbero già fatto saltare in aria in lui, la scorta e chi gliel’ha data». Una grande finzione, che ha fatto comodo a molti: al Saviano editoriale e televisivo, allo Stato che ha esibito la sua protezione e all’Ancien Régime finto-progressista a cui qualche eroe di cartone serviva a nascondere la propria sottomissiome totale ai superpoteri europeisti e privatizzatori, ai quali rispondere solo e sempre signorsì. La messa è finita, però: palla al centro. Tutto quello che sembrava vero, fino a ieri, ormai si rivela per quello che è: un bluff piuttosto mediocre.Se qualcuno ha le carte in regola per potersi qualificare come “scomodo”, è proprio Mazzucco: il suo documentario sulle cure alternative per il cancro ha superato su YouTube i 4 milioni di visualizzazioni. Sempre Mazzucco – tramesso anche da Canale 5 – è stato il primo, con “Inganno globale”, a smontare la versione ufficiale dell’11 Settembre. Saviano? Lasciamo perdere. Piuttosto, Mazzucco incalza lo stesso Salvini sul suo terreno d’elezione, l’ordine pubblico. Sul blog “Luogo Comune”, lo invita a sanzionare apertamente gli ufficiali che hanno inflitto un trasferimento punitivo al carabiniere Riccardo Casamassima, “colpevole” di aver denunciato i colleghi che nel 2009 massacrarono di botte Stefano Cucchi, causandone la morte. «Matteo Salvini – scrive Mazzucco – ha di fronte a sé la grande occasione per dimostrare che non è un fascistone manganellatore, come molti lo dipingono, ma che è invece uomo di grande integrità morale, che mette la legge e il diritto al di sopra ogni altra cosa». Il leader leghista ha sempre detto di stare “dalla parte delle forze dell’ordine”, precisando però che “se qualcuno sbaglia deve pagare fino in fondo”? Ecco: «In questo caso non hanno sbagliato solo i carabinieri che hanno pestato a morte Stefano Cucchi, ma hanno sbagliato anche coloro che hanno prima fatto pressioni per far tacere Casamassima, e che poi – come punizione per aver parlato – lo hanno demansionato con un trasferimento umiliante».Mazzucco si rivolge direttamente a quello che si sta rivelando l’uomo forte del governo Conte: «Salvini, fai sentire la tua voce», lo esorta Mazzucco. «Oggi sei il ministro degli interni, non sei solo il segretario della Lega. Facci sapere che sei una persona capace di far seguire in modo coerente alle parole i fatti, non solo sugli sbarchi dei migranti, ma su tutto quello che riguarda la società civile». Ancora silente sul caso Cucchi, in compenso Salvini si è espresso – a ruota libera – sull’obbligo vaccinale, imposto a milioni di famiglie da Beatrice Lorenzin e dal governo Renzi-Gentiloni dopo un anno di tam-tam mediatico basato sul falsi allarmi, come la ridicola emergenza-morbillo. Per l’ennesima volta, il capo della Lega ha scavalcato i 5 Stelle, spiazzando l’attuale ministro della sanità, la pentastellata Giulia Grillo, competente in materia. La Grillo si è mostrata prudente, sui vaccini. «Dato che ha sulle spalle l’incombenza dell’eventuale decreto per annullare le conseguenze della legge Lorenzin, ovvero l’esclusione da scuola per i bimbi non vaccinati – afferma Mazzucco – spero che il suo basso profilo sia una tattica, per poi raggiungere il risultato evitando che le si scateni addosso la bufera mediatica». Certo però che i 5 Stelle sembrano in affanno: Salvini ha messo in ombra sia Conte che Di Maio. «E’ ora che i 5 Stelle si sveglino – chiosa Mazzucco – e si sbrighino a riconquistare la visibilità corrispondente al 32,5% che hanno ottenuto alle elezioni».«Come si dice, in francese, testa di cazzo?». Non trova altri termini, Massimo Mazzucco (men che meno diplomatici) per definire il villano, volgare bugiardo che oggi siede all’Eliseo, secondo cui in Italia non esiste una vera emergenza immigrazione. Se la consente, Mazzucco, questa informalità lessicale, per almeno due motivi: Emmanuel Macron è un triviale “vomitatore” di insulti, un anti-italiano coi fiocchi il cui sprezzante razzismo trasuda da ogni sua parola. E poi si può comunque usare un tono più che confidenziale data la platea del “Mazzucco Live”, la diretta web-streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Un pubblico decisamente informato, a cui non c’è bisogno di spiegare da quale pulpito provengano le odiose esternazioni xenofobe del ducetto francese, sciovinista quanto basta per farsi detestare da mezza Europa (e da più di mezza Francia, ormai) ma abbastanza ipocrita da dimenticare che a manganellare i migranti, respingendoli con inaudita ferocia, è stato innanzitutto il suo governo. Peggio: più che la Francia, Macron – che viene dalla finanza Rotchschild – rappresenta il peggio, in assoluto, di quanto si sia visto finora in Europa: la subdola dittatura del potere oligarchico, orchestrato dalla supermassoneria reazionaria in cui milita l’allievo presidenziale di Jacques Attali, grande architetto dell’euro-orrore a cui l’Italia sta cominciando a opporsi, in modo clamoroso.
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Carotenuto: Iran-Israele, gli oligarchi della prossima guerra
La cattiva notizia? Vogliono trascinarci in guerra, provocando l’Iran. L’altra notizia è altrettanto deprimente: nessuno ha ragione, nessuno racconta tutta la verità. Già analista internazionale per conto dell’intelligence, Fausto Carotenuto offre una visione lucida sull’ennesimo, pericoloso smottamento geopolitico in Medio Oriente: Israele cerca la rissa col presunto nemico di turno, il regime degli ayatollah, confidando nell’appoggio della potente lobby ebraica americana e nel presidente Trump, che ha appena trasferito l’ambasciata statunitense a Gerusalemme, provocando la reazione dei palestinesi di Gaza guidati dagli sciiti di Hamas, vicini a Teheran. In più, Netanyahu ha esibito un dossier del Mossad che dimostra la progressione nucleare dell’Iran, preparando lo strappo della Casa Bianca, ritiratasi dall’accordo siglato da Obama. Tutto vero, dice Carotenuto in web-streaming per “Coscienze in Rete”, ma la realtà è un’altra. Non ci sono buoni e cattivi, ognuno recita la sua parte. E il film dell’orrore prosegue imperterrito, verso esiti particolarmente rischiosi, essenzialmente per un motivo: il rifiuto, da parte della destra reazionaria che oggi governa Israele, di fare la pace con i palestinesi. Cosa che metterebbe fine a tutte le altre guerre parallele già in corso, in cui ogni attore fa leva sull’alibi irrisolto della Palestina per alimentare il vortice artificioso della tensione.Ognuno ha una parte di ragione, ma nessuno la racconta giusta: la destra israeliana investe sulla paura ben sapendo che Israele «dispone di un territorio così piccolo che, in caso di guerra, potrebbe essere invaso in mezza giornata». Al tempo stesso, Tel Aviv – che denuncia il pericolo del nucleare iraniano – finge di non sapere di disporre di 230 testate atomiche: «Un potenziale pari almeno a quello della Francia e probabilmente della Gran Bretagna, tale da mettere Israele in grado di colpire anche le capitali europee, con missili o almeno con aerei». Sul fronte opposto, non è che l’Iran sia un modello tranquillizzante: «E’ un paese imperialista, fautore di un Islam ostile all’Occidente, e che persegue un suo cinico disegno di potenza regionale». La Russia? «In tanti vedono in Putin una sorta di pacificatore». Ma, al di là dell’effettivo ruolo di stabilizzazione attualmente svolto, il Cremlino «non fa altro che gli interessi della potenza russa». A sua volta, il fronte islamico è spaccato: e gli sciiti iraniani sono quelli che più si sono avvantaggiati dall’aggressione occidentale contro paesi sunniti come l’Iraq. Per l’Occidente, una sequenza di autogol a catena: oggi i soldati di Teheran combattono in Siria al fianco di Assad, il presidente che Obama voleva rovesciare. E in Siria si sono saldati con la potente milizia sciita di Hezbollah, proveniente dal Libano.Gli apprendisti stregoni che dopo l’11 Settembre hanno dato alle fiamme il Medio Oriente devastando l’intera regione, dall’Iraq alla Siria, dalla Libia allo Yemen, oggi vedono Israele accerchiato da nemici filo-iraniani. A sua volta, lo Stato ebraico enfatizza il pericolo per invocare come sempre il supporto degli Usa, senza il quale Tel Aviv non potrebbe disporre del temibile apparato militare che ne fa la principale potenza dell’area. Facile profeta, anni fa, il generale americano Wesley Clark: rivelò che i neocon firmatari del Pnac, il Piano per un Nuovo Secolo Americano, prima ancora del Duemila avevano messo nel mirino tutti i paesi – dall’Afghanistan alla Siria – poi effettivamente colpiti dalle guerre “per conto terzi” a cui stiamo assistendo, con strascichi grottechi che si estendono alla Somalia, dove miliziani filo-sauditi combattono contro guerriglieri armati dal rivale Qatar. Smisurate follie innescate dalla Cia e dal Mossad, che hanno regalato consenso e influenza territoriale proprio all’Iran, l’unico paese – della famosa lista nera – non ancora attaccato direttamente. Succederà a breve? Il rischio è concreto, ammette Carotenuto: ma in caso di guerra, aggiunge, Teheran si rivelerà un osso durissimo. E in ogni caso, prima o poi, avrà l’atomica: raggiungerà cioè una parità strategica con Israle, che già oggi potrebbe cancellare l’Iran a suon di bombe.Carotenuto invita a leggere la situazione evitando semplificazioni o, peggio, l’errore tipico delle tifoserie che parteggiano per gli ipotetici buoni contro gli altrettanto ipotetici cattivi. Si fa presto a dire “Israele”, “l’Iran”, “gli Usa”, come se in guerra fossero intere nazioni. Si tratta di élite pericolose, di oligarchie nascoste. La guerra la fanno davvero, ma il più delle volte sotto falsa bandiera – utilizzando il terrorismo – e comunque agitando retoriche patriottiche che non corrispondono mai alle vere intenzioni degli oligarchi che intessono trame dinamitarde, ogni giorno più pericolose. Da decenni il Medio Oriente petrolifero è la polveriera del mondo: possono cambiare gli attori e il copione può subire variazioni, ma la sostanza non cambia. L’uomo che volle fermare una volta per tutte questa follia – Yitzhak Rabin – fu assassinato nel ‘95 a Tel Aviv: non da palestinesi, ma da un estremista ebraico. Da allora, la situazione è preciptata: l’11 Settembre, le guerre “americane”, l’orrore dell’Isis e l’affermarsi della potenza iraniana, a sua volta – sostiene Carotenuto – controllata da un gruppo di potere “oscuro” che non finirà mai in televisione. Tutti si guardano in cagnesco, col dito sul grilletto. Il pericolo di un’esplosione cresce. Ma i popoli della regione non hanno mai avuto una sola occasione per parlarsi e chiarirsi, in modo trasparente. A dominare, più che mai, è il vecchio copione della guerra, fondato sulla menzogna di chi agita bandiere ma pensa soprattutto ai soldi, sapendo che in ogni caso il “vortice della tensione” è l’alimento perfetto per rendere eterna la logica aberrante del conflitto, che pare destinata a non finire mai. Fino a quando?La cattiva notizia? Vogliono trascinarci in guerra, provocando l’Iran. L’altra notizia è altrettanto deprimente: nessuno ha ragione, nessuno racconta tutta la verità. Già analista internazionale per conto dell’intelligence, Fausto Carotenuto offre una visione lucida sull’ennesimo, pericoloso smottamento geopolitico in Medio Oriente: Israele cerca la rissa col presunto nemico di turno, il regime degli ayatollah, confidando nell’appoggio della potente lobby ebraica americana e nel presidente Trump, che ha appena trasferito l’ambasciata statunitense a Gerusalemme, provocando la reazione dei palestinesi di Gaza guidati dagli sciiti di Hamas, vicini a Teheran. In più, Netanyahu ha esibito un dossier del Mossad che dimostra la progressione nucleare dell’Iran, preparando lo strappo della Casa Bianca, ritiratasi dall’accordo siglato da Obama. Tutto vero, dice Carotenuto in web-streaming per “Coscienze in Rete”, ma la realtà è un’altra. Non ci sono buoni e cattivi, ognuno recita la sua parte. E il film dell’orrore prosegue imperterrito, verso esiti particolarmente rischiosi, essenzialmente per un motivo: il rifiuto, da parte della destra reazionaria che oggi governa Israele, di fare la pace con i palestinesi. Cosa che metterebbe fine a tutte le altre guerre parallele già in corso, in cui ogni attore fa leva sull’alibi irrisolto della Palestina per alimentare il vortice artificioso della tensione.
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L’Occidente teme l’Iran sovrano: non riesce a sottometterlo
L’incontro tra Macron e Trump alla Casa Bianca – al quale seguirà quello con la cancelliera Merkel – ci ha consegnato più interrogativi che punti fermi sull’accordo nucleare con l’Iran del 2015. Trump non ha chiarito se il 12 maggio si ritirerà dall’intesa. Ma abbiamo una certezza: nelle guerre mediorientali l’Iran rimane il vero bersaglio degli Usa e dei suo alleati regionali, Israele e Arabia Saudita. «Fermare l’espansione di Teheran e della Mezzaluna sciita sulle coste del Mediterraneo siriano, in Libano e in Yemen», questo è il mantra che hanno ripetuto il presidente francese e quello americano che è esattamente quello che chiedono lo Stato ebraico e la monarchia wahabita. Ma l’Iran è davvero un nostro nemico? Si direbbe che siamo più noi occidentali e gli arabi il vero pericolo per la stabilità della regione. Il 22 settembre 1980 l’Iraq di Saddam Hussein attaccò l’Iran dell’Imam Khomeini, un anno dopo che lo Shah Reza Pahlevi era stato abbattuto dalla rivoluzione. Tutti pensavano che l’Iran, indebolito e senza “ombrello” americano, sarebbe crollato facilmente. Saddam Hussein venne appoggiato dalle monarchie del Golfo, che in otto anni di guerra versarono a Baghdad dai 50 ai 60 miliardi di dollari per vincere un conflitto che non cambiò di un millimetro la frontiera sullo Shatt el Arab.Baghdad era sostenuta anche dalla Russia, e le potenze occidentali, dalla Francia alla Gran Bretagna all’Italia, vendevano armi a tutto spiano agli iracheni. La guerra finì con Saddam Hussein indebitato fino al collo con gli sceicchi del Golfo e le banche occidentali, al punto che pur di far bottino nell’agosto del 1990 invase il Kuwait. L’Iran è stato accusato di essere uno stato sponsor del terrorismo: non c’è dubbio che in Libano negli anni Ottanta gli Hezbollah abbiano usato metodi di questo genere, ma sono anche un partito che siede in Parlamento e, al confronto, gli attentati provenienti dal mondo sunnita sono infinitamente di più di quelli di marca sciita. Anzi, sono stati proprio gli occidentali e i loro alleati arabi a incoraggiare il terrorismo facendo credere ai jihadisti che sarebbero intervenuti per eliminare Assad. La realtà è che Israele, gli Usa, i sauditi, non sono disposti ad accettare l’Iran come paese indipendente e sovrano che ha una grande influenza regionale regalata proprio dalle mosse dissennate dell’Occidente.Nel 2001, dopo l’11 Settembre e gli attentati di Al Qaeda (compiuti da terroristi sunniti e in gran parte sauditi), con la guerra in Afghanistan gli Usa e i loro alleati colpirono ai confini dell’Iran il regime dei talebani, da sempre ostile a Teheran. Nel 2003, facendo fuori Saddam, sono stati gli Usa a regalare l’Iraq all’influenza iraniana, come era del resto largamente prevedibile anche prima del conflitto. In Siria la guerra per procura contro Assad è stata diretta contro l’espansione iraniana pensando di disgregare il regime di Damasco in pochi mesi: un calcolo sbagliato che con l’intervento della Russia ha aperto una voragine nel cuore del Medio Oriente. E l’Isis? Gli Stati Uniti, dopo avere occupato l’Iraq per un decennio ed essersi poi ritirati, non hanno mosso un dito per fermare nel 2014 il Califfato che occupava Mosul, la seconda città del paese: sono stati i pasdaran iraniani guidati da Qassem Soleimani a riorganizzare per primi l’esercito di Baghdad allo sbando. In Yemen i sauditi bombardano da tre anni la popolazione civile e non sono riusciti a venire a capo della resistenza degli Houthi sciiti sostenuti da Teheran, ma che per anni hanno combattuto praticamente da soli quando qui tutti ignoravano un conflitto già cominciato a fine degli anni Duemila.L’Iran non fa paura soltanto per le sue armi o il suo arsenale nucleare. Israele ha duecento testate con navi e sottomarini che possono lanciare ordigni atomici, ha un superiorità bellica ben maggiore rispetto a quella degli iraniani. La stessa Arabia Saudita, il più importante acquirente di armi americane e francesi, ha un Pil che è il doppio di quello iraniano pur avendo meno di un terzo della popolazione: dovrebbe essere un paese temibile ed è invece incapace di vincere una guerra nel cortile di casa, neppure sotto la direzione degli americani. L’Iran fa paura perché è un paese indipendente, che non si è mai piegato alle direttive occidentali, con un regime assai discutibile ma in grado di preservare l’autonomia di uno Stato che ha comunque 2500 anni di storia. Non solo. La sua influenza linguistica e storica è molto ampia e dal cuore del Medio Oriente arriva fino all’Asia centrale: gli iraniani sono una cultura, non solo un regime.E’ questo che temono l’Occidente e i suoi alleati che vorrebbero sottometterlo. Siamo molto più tolleranti con i sauditi che nell’anno in cui hanno riaperto i cinema hanno eseguito una cinquantina di condanne a morte per le quali nessuno protesta. Per non parlare di Israele che vìola da decenni tutte le risoluzioni Onu, per altro adesso incoraggiato proprio da Trump: si è mai vista una volta che gli Usa non mettessero il veto al Consiglio di Sicurezza? C’è un doppio standard che avvelena da mezzo secolo la politica mediorientale. Ecco perché con l’Iran non si possono neppure fare affari: il paese dal 1979, anno della presa degli ostaggi nell’ambasciata Usa, è sottoposto a sanzioni e restrizioni. E anche oggi l’accordo sul nucleare non è stato rispettato: gli Usa continuano a tenere nel mirino del Tesoro le banche occidentali che concedono crediti a Teheran. In poche parole i primi a non rispettare gli accordi sono proprio gli americani. Ma non è certo una novità.(Alberto Negri, “Vi spiego perché l’America e tutto l’Occidente hanno tanta paura dell’Iran”, da “Tiscali Notizie” del 25 aprile 2018).L’incontro tra Macron e Trump alla Casa Bianca – al quale seguirà quello con la cancelliera Merkel – ci ha consegnato più interrogativi che punti fermi sull’accordo nucleare con l’Iran del 2015. Trump non ha chiarito se il 12 maggio si ritirerà dall’intesa. Ma abbiamo una certezza: nelle guerre mediorientali l’Iran rimane il vero bersaglio degli Usa e dei suo alleati regionali, Israele e Arabia Saudita. «Fermare l’espansione di Teheran e della Mezzaluna sciita sulle coste del Mediterraneo siriano, in Libano e in Yemen», questo è il mantra che hanno ripetuto il presidente francese e quello americano che è esattamente quello che chiedono lo Stato ebraico e la monarchia wahabita. Ma l’Iran è davvero un nostro nemico? Si direbbe che siamo più noi occidentali e gli arabi il vero pericolo per la stabilità della regione. Il 22 settembre 1980 l’Iraq di Saddam Hussein attaccò l’Iran dell’Imam Khomeini, un anno dopo che lo Shah Reza Pahlevi era stato abbattuto dalla rivoluzione. Tutti pensavano che l’Iran, indebolito e senza “ombrello” americano, sarebbe crollato facilmente. Saddam Hussein venne appoggiato dalle monarchie del Golfo, che in otto anni di guerra versarono a Baghdad dai 50 ai 60 miliardi di dollari per vincere un conflitto che non cambiò di un millimetro la frontiera sullo Shatt el Arab.
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Travaglio meglio di Mentana, anche se tace sulla geopolitica
«Ma come, il grande Travaglio ha bisogno di leggere le domande da un foglietto?». Memorabile, il Berlusca, nella storica ospitata del 2013 in cui accettò di metter piede nella tana del leone, vigilata da Santoro in tandem col direttore del “Fatto Quotidiano”, arcinemico del Cavaliere. «Resta comunque il miglior giornalista italiano, il polemista più efficace», lo applaude il berlusconiano Vittorio Feltri. Non la pensa così Paolo Barnard, co-fondatore di “Report” con la Gabanelli e ora scomparso dai radar (ha oscurato anche il suo blog, deluso dagli italiani). Barnard ha ripetutamente accusato proprio Travaglio: alza la voce coi nanerottoli della politica italiana – questa l’imputazione – fingendo di non sapere che non contano niente, di fronte ai veri padroni (finanziari) del vapore, che il Marco nazionale si guarda bene dall’insolentire. «Sta ben attento, Travaglio, a non superare quel Rubicone: per lui la politica internazionale è come se non esistesse», conferma Massimo Mazzucco, che però – come Feltri – apprezza il travaglismo: «Sempre meglio del giornalismo che oggi produce Mentana, che pure un tempo stimavo: a “La7” poteva essere il primo degli ultimi, invece ha preferito diventare l’ultimo in primi», accodandosi al coro del mainstream.Parole in libertà, che Mazzucco – documentarista “complottista”, autore del film “Inganno Globale” sull’11 Settembre trasmesso proprio da Mentana a “Matrix” su Canale 5 – offre a Fabio Frabetti in web-streaming su YouTube: dopo “Carpeoro Racconta”, in onda la domenica mattina, ora c’è anche “Mazzucco Live” il sabato ad arricchire il weekend di “Border Nights”, trasmissione web-radio di informazione indipendente (in diretta il martedì sera) che ormai annovera una media di 20.000 ascoltatori a settimana. Obiettivo: fornire al pubblico la voce di interlocutori poco presenti sul mainstream ma considerati autorevoli testimoni della confusa attualità in cui viviamo. «Non è mai andata così bene, per noi “alternativi”, da quando abbiamo a disposizione questo meraviglioso strumento di comunicazione che è il web: basta usarlo in modo intelligente, anziché perdere tempo a scrivere stupidaggini su Facebook». Così, una semplice chat via Skype può diventare interessante per riflettere sullo stato della nostra informazione: meglio Travaglio, comunque, insiste Mazzucco. E spiega: «E’ evidente che gli lasciano dire quello che vuole, sull’Italia, a patto che non si occupi di geopolitica. Se non altro, sull’Italia fa bene il suo mestiere, a differenza di Mentana», ormai completamente “embedded” rispetto al sistema.Se ne rammarica, Mazzucco: «Mentana è abile, ha ottime qualità». Ma è come se avesse smesso di usarle, abdicando al ruolo: «Penso sia anche in buona fede, per esempio sull’11 Settembre: crede davvero che quell’attentato sia stato troppo grosso perché si possa pensare a un complotto interno». Peccato, dice Mazzucco, perché in questo modo Mentana ha cessato di informarsi, e quindi di informare il suo pubblico: è stato ormai dimostrato, da ingegneri e fisici, che le Torri Gemelle sono cadute per demolizione controllata, non per l’impatto degli aerei. Peggio: nel fare di tutta l’erba un fascio, per comodità chiamato “fake news”, il direttore del telegiornale de “La7”, un tempo autonomo nei giudizi, ormai ragiona per categorie: quelli che credono al complotto dell’11 Settembre, alle scie chimiche, ai danni da vaccino. Risultato: nessuna informazione di qualità sulle Twin Towers, e neppure sulle scie degli aerei o sulle vaccinazioni obbligatorie. C’è da scoraggiarsi? Assolutamente no, giura Mazzucco: «Ho scoperto che il mio elettrauto calabrese non crede alla versione ufficiale sull’11 Settembre perché suo figlio lo informa consultando il web: non vi dico la faccia che ha fatto quando gli ho svelato che la fonte cui attinge il ragazzo sono io». Ottimismo: «Noi siamo tanti, siamo miliardi. Qualunque nostra azione, in termini di infomazione, ha un impatto. Lentamente, nonostante i Mentana, la verità si farà strada».«Ma come, il grande Travaglio ha bisogno di leggere le domande da un foglietto?». Memorabile, il Berlusca, nella storica ospitata del 2013 in cui accettò di metter piede nella tana del leone, vigilata da Santoro in tandem col direttore del “Fatto Quotidiano”, arcinemico del Cavaliere. «Resta comunque il miglior giornalista italiano, il polemista più efficace», lo applaude il berlusconiano Vittorio Feltri. Non la pensa così Paolo Barnard, co-fondatore di “Report” con la Gabanelli e ora scomparso dai radar (ha oscurato anche il suo blog, deluso dagli italiani). Barnard ha ripetutamente accusato proprio Travaglio: alza la voce coi nanerottoli della politica nostrana – questa l’imputazione – fingendo di non sapere che non contano niente, di fronte ai veri padroni (finanziari) del vapore, che il Marco nazionale si guarda bene dall’insolentire. «Sta ben attento, Travaglio, a non superare quel Rubicone: per lui la politica internazionale è come se non esistesse», conferma Massimo Mazzucco, che però – come Feltri – apprezza il travaglismo: «Sempre meglio del giornalismo che oggi produce Mentana, che pure un tempo stimavo: a “La7” poteva essere il primo degli ultimi, invece ha preferito diventare l’ultimo in primi», accodandosi al coro del mainstream.
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Il vero motivo della morte di Carlo Giuliani al G8 di Genova
Non sparate a casaccio sulla polizia, si raccomanda Franco Gabrielli dalle pagine del “Manifesto”, ripercorrendo l’inferno del G8 di Genova rievocato dal “quotidiano comunista”, secondo cui «la credibilità della polizia è da ricostruire». A stretto giro, la risposta – durissima – del padre di Carlo Giuliani, affidata al blog “Contropiano” dopo che, scrive, il “Manifesto” ha rifiutato di pubblicargliela. La tesi del capo della polizia: c’erano anche i carabinieri, a Genova, insieme ad altri organi dello Stato; per questo non è giusto criminalizzare un’istituzione che, assicura Gabrielli, si è ampiamente emendata dai gravi errori commessi. Giuliano Giuliani concorda solo in parte: è oggi questore di Pesaro, scrive, il funzionario che a piazza Alimonda accusò un manifestante di aver ucciso suo figlio, «completando così l’indegna azione di un carabiniere che con una pietra ha spaccato la fronte di Carlo agonizzante». Paura e odio, furore, guerriglia: sotto i riflettori, per anni, gli attori di quella spaventosa pagina italiana, per la quale si è parlato di “sospensione della democrazia”. D’accordo, ma il movente? Perché trasformare Genova nel teatro di una carneficina? Lo spiega un ex dirigente della Nsa, Wayne Madsen. L’intelligence Usa, rivela, ha piegato le forze dell’ordine italiane a un disegno oscuro: quel sangue doveva servire a seppellire per sempre il movimento NoGlobal, di cui le multinazionali avevano il terrore, all’alba del nuovo millennio.Missione compiuta, si direbbe: dopo Seattle, Praga e altre fiammate, a Genova nel luglio del 2001 è stato letteralmente soppresso «il primo movimento di protesta, nella storia dell’Occidente, capace di mobilitarsi in modo disinteressato, cioè senza più difendere singole cause territoriali, nazionali o di categoria, ma schierandosi in modo permanente a tutela dei diritti dell’umanità, in ogni continente». Lasciata l’intelligence Usa (l’agenzia resa tristemente celebre dallo scandaloso “datagate” spionistico del governo Obama), Madsen è divenuto un fiero accusatore di un sistema manipolatorio che a Genova, dice, richiedeva un preciso tributo di sangue: la morte di Carlo Giuliani, la “macelleria messicana” dei ragazzi inermi nella scuola Diaz (col pretesto di bombe molotov introdotte dagli stessi agenti) e poi l’incubo delle torture inflitte ai “prigionieri” nella caserma di Bolzaneto. Tutta quella violenza barbarica sembra portare la stessa “firma” della mano segreta che, di lì a un paio di mesi, avrebbe pilotato l’immane attentato delle Torri Gemelle a New York, dando inizio alla “guerra infinita” contro il “terrorismo”. Un nome? Il massone “controiniziato” George W. Bush. Esponente, secondo Gioele Magaldi, della “Hathor Pentalpha”, definita “loggia del sangue e della vendetta”. La costola più nera e tenebrosa dell’élite globalista, formata da “signori della guerra” che «non hanno esitato a reclutare, tra i loro affiliati, prima Osama Bin Laden e poi Abu Bakr Al-Baghdadi».Da Al-Qaeda all’Isis, stesso copione (opaco) del terrore, scatenato contro civili, polizia e militari – ma non all’insaputa di precisi settori dell’intelligence. Prove? «Dispongo di 6.000 pagine di documenti», assicura Magaldi, autore del saggio “Massoni”. «Entro due anni certe carte verranno rese pubbliche», afferma Gianfranco Carpeoro, che ha firmato il volume “Dalla massoneria al terrorismo”, fornendo anche – insieme allo stesso Magaldi – un’accurata lettura della simbologia non certo islamica, ma “templare”, del recentissimo terrorismo targato Isis che ha insanguinato l’Europa a cominciare dalla Francia. Identico lo stile degli attentati: colpire nel mucchio, sparare sulla folla per terrorizzare tutti (e rendere accettabili le leggi d’emergenza, sul modello del Patriot Act statunitense disegnato per confiscare libertà e diritti). Genova? Una pietra miliare: il Rubicone varcato da un potere globalista “medievale”, neo-feudale, smisuratamente avido e bugiardo, estremamente feroce. Lo sostiene Madsen, intervistato da Franco Fracassi nel saggio “G8 Gate”. Una vera e propria confessione: «Mesi prima, per la tragica “riuscita” di quel G8 – dice – la Nsa mise a disposizione 1.500 funzionari, e a Genova (oltre alla polizia italiana) c’erano 700 agenti dell’Fbi».Nessuno lo sapeva, all’epoca, ma tutti videro lo stesso spettacolo: i reparti antisommossa si accanivano contro manifestanti inermi, ignorando deliberatamente i famosi “black bloc” spuntati dal nulla, liberi di devastare impunemente la città. I “neri” colpivano i loro obiettivi e poi si disperdevano rapidamente tra i vicoli. «E’ una tattica di guerriglia insegnata nelle scuole Nato: si chiama “swarming”», afferma – sempre nel libro di Fracassi – il generale dei paracadutisti Fabio Mini, già comandante della missione atlantica Kfor in Kosovo. «Esistono precise strutture – rivela Mini – in grado di far affluire in piena sicurezza centinaia di persone, da tutta Europa, senza il rischio di subire controlli alle frontiere, neppure dopo l’evento». Lo strascico del G8 di Genova è ancora fatto essenzialmente di rabbia e di dolore: le vittime denunciano omissioni e indulgenze, il nuovo capo della polizia (che ha preso le distanze da De Gennaro) giura che, oggi, simili episodi non potrebbero più ripetersi. Carlo Giuliani, intanto, a piazza Alimonda è morto. E la meccanica delle ricostruzioni difficilmente va oltre i dettagli del crimine. Una coltre di silenzio protegge ancora gli aspetti più decisivi: il movente e i mandanti.Per questo è importante la voce di un uomo come Madsen. «I mandanti sono le multinazionali – dice – che erano letteralmente terrorizzate dal crescente consenso di quei ragazzi: il movimento NoGlobal andava stroncato. E il loro uomo, Bush, ha semplicemente eseguito gli ordini». Com’era, il mondo, nel 2001? Stava molto meglio di adesso, secondo tutti gli indicatori. Archiviata la storica sfida con l’Urss, la guerra era praticamente assente. Anche per gli italiani, all’epoca, l’Unione Europea poteva sembrare un’istituzione amica. Si pagava ancora in lire: l’euro avrebbe iniziato a circolare solo l’anno seguente. In Afghanistan c’erano già i Talebani, ai quali si opponeva solo un leader laico e nazionalista come Ahmad Shah Massud: quando l’Alleanza del Nord entrò in azione, per prima cosa fu assassinato l’ingombrante Massud, autorevole interprete della sovranità afghana. Ucciso da un certo Hekmathyar, collegato ai servizi del Pakistan addestrati dalla Cia. «Il governo di Islamabad ha sostenuto Al-Qaeda in accordo con Bush», denunciò Benazir Bhutto, a sua volta assassinata nel 2007 per impedirle di vincere le elezioni e smascherare le trame che legavano Bush e Bin Laden al generale Musharraf, dittatore “americano” del Pakistan. Da anni, ormai, la “guerra infinita” era diventata la nuova normalità fondata su bombe e menzogne, fino all’attuale conflitto siriano.Un film dell’orrore, sostiene Madsen, grazie al quale nessuno si è più sognato di contestare frontalmente lo strapotere delle corporation e dell’oligarchia finanziaria, che in Europa è riuscita a ridurre alla fame un paese come la Grecia, senza più medicinali per i bambini, e a destituire con un golpe bianco il governo italiano democraticamente eletto. Si arrivò a insediare a Palazzo Chigi uno spettro come Mario Monti, cioè l’essere umano più lontano possibile dall’antropologia di una rockstar come Manu Chao, eroe del “social forum” che a Genova nel 2001 sognava una fratellanza universale capace di opporsi alle diseguaglianze create dalla rapina sistematica del mondo, quella che oggi spinge verso l’Europa milioni di migranti in fuga dalle loro economie sapientemente disastrate dal nostro apparato economico e politico, finanziario e militare. Un mondo migliore è possibile, recitava lo slogan dei ragazzi che guardavano al mito del “subcomandante” Marcos, esotico e mediatico custode di una biodiversità civile fondata sui diritti. Oggi, il dibattito pubblico è precipitato sotto terra, tra le rovine dell’Ue e della Bce: si parla al massimo di soldi, di Flat Tax e reddito di cittadinanza. Siamo caduti in basso? Il primo passo, sostiene Wayne Madsen, è stato il corpo esanime del militante che i grandi poteri economici, dai loro palazzi, volevano morto. E’ toccato a Carlo Giuliani. Forse, riletta così, può sembrare meno oscura la ragione (mostruosa) di quella fine così atroce.(Giorgio Cattaneo, “G8 Genova, il vero motivo della morte di Carlo Giuliani”, dal blog “Petali di Loto” del 17 aprile 2018).Non sparate a casaccio sulla polizia, si raccomanda Franco Gabrielli dalle pagine del “Manifesto”, ripercorrendo l’inferno del G8 di Genova rievocato dal “quotidiano comunista”, secondo cui «la credibilità della polizia è da ricostruire». A stretto giro, la risposta – durissima – del padre di Carlo Giuliani, affidata al blog “Contropiano” dopo che, scrive, il “Manifesto” ha rifiutato di pubblicargliela. La tesi del capo della polizia: c’erano anche i carabinieri, a Genova, insieme ad altri organi dello Stato; per questo non è giusto criminalizzare un’istituzione che, assicura Gabrielli, si è ampiamente emendata dai gravi errori commessi. Giuliano Giuliani concorda solo in parte: è oggi questore di Pesaro, scrive, il funzionario che a piazza Alimonda accusò un manifestante di aver ucciso suo figlio, «completando così l’indegna azione di un carabiniere che con una pietra ha spaccato la fronte di Carlo agonizzante». Paura e odio, furore, guerriglia: sotto i riflettori, per anni, gli attori di quella spaventosa pagina italiana, per la quale si è parlato di “sospensione della democrazia”. D’accordo, ma il movente? Perché trasformare Genova nel teatro di una carneficina? Lo spiega un ex dirigente della Nsa, Wayne Madsen. L’intelligence Usa, rivela, ha piegato le forze dell’ordine italiane a un disegno oscuro: quel sangue doveva servire a seppellire per sempre il movimento NoGlobal, di cui le multinazionali avevano il terrore, all’alba del nuovo millennio.
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Cacciari e Farinetti: Salvini e 5 Stelle insieme, senza illusioni
Signori, abbiamo scherzato: «Le promesse, con questa legge elettorale, non valgono niente: sono solo promozionali. E quindi non vale niente la campagna elettorale: è tutta demagogia». Parola di Oscar Farinetti, “vedovo” di Renzi come Massimo Cacciari ma rinfrancato dalla conversione dei 5 Stelle verso il negoziato: «Mi auguro che, alla fine, venga fuori un governo con 5 Stelle e Salvini», dice il filosofo, ospite di Lilli Gruber insieme al patron di Eataly. «In questo caso si crea una discontinuità: finalmente comincia un’altra storia». Se i due estimatori del renzismo “brindano” al neo-moderato Di Maio, le giravolte post-elettorali dei grillini angustiano i tifosi della prima ora come Massimo Mazzucco, intervistato a “Border Nights”, trasmissione web-radio in cui Paolo Franceschetti (avvocato e saggista) infierisce: «I 5 Stelle stanno dimostrando di essere quello che erano fin dall’inizio, un abile artificio del potere per drenare il dissenso». Mazzucco, autore di documentari-verità (cancro, 11 Settembre, Uomo sulla Luna), non concorda: «I 5 Stelle mi hanno deluso evitando di contrastare la legge Lorenzin sui vaccini, ma non credo ci sia premeditazione: è l’avvicinamento al potere che, inevitabilmente, ti costringe a fare i conti con realtà che nemmeno conoscevi».In pratica, dice Mazzucco, è come se qualcuno ti battesse una mano sulla spalla dicendoti: stai ben attento a quel che fai, potresti pentirtene. Al che, c’è il bivio: o ci si piega, per quieto vivere, oppure si trova il coraggio di andare fino in fondo, restando fedeli alle proprie idee, peraltro appena “vendute” agli elettori. Di Maio? E’ diventato flessibile: morbidissimo con l’Unione Europea, con gli Usa e con la Nato, e meno “amico” della Russia. Cosa che a Cacciari va benissimo. E poi, dice, è sbagliato parlare di traformismo: «Quando mai un partito ha continuato a dire, sic e simpliciter, quello che diceva in campagna elettorale? E’ chiaro che la campagna ha necessariamente un aspetto demagogico, di promesse». Farinetti spera che Mattarella convinca i partiti a fare una nuova legge elettorale sul modello francese, col ballottaggio tra i primi due partiti. «Con una legge elettorale a doppio turno come quella per eleggere i sindaci – dice – i partiti sarebbero costretti a dire quello che vogliono davvero, quello che veramente sentono di poter fare». E il Di Maio europeista? Ottima notizia, per Cacciari: certifica «il pieno riconoscimento del nostro destino europeo: o la democrazia si ripensa su scala continentale, o cesserà di funzionare». E questo cambiamento, nei 5 Stelle, «segna un discrimine netto rispetto ai fondamenti culturali della Lega».Per il filosofo, grillini e leghisti dovrebbero raggiungere un accordo di governo, segnando almeno «una discontinuità generazionale», sapendo però di essere incompatibili: «E alla lunga, questa incompatibilità strategica – come base sociale, come idee – verrà fuori». L’incremento elettorale dei 5 Stelle, ricorda Cacciari, viene dal Pd. In più, il 50% degli elettori grillini si dichiara “di sinistra” (solo il 20% si considera “di destra”). «Sul piano culturale – aggiunge – l’incompatibilità tra Lega e 5 Stelle è evidentissima, ma bisogna che maturi e che si esprima. Certo la loro sarebbe un’alleanza a termine: non è la prospettiva su cui si risolveranno i problemi del paese, che richiedono scelte drastiche». E il Pd? Il rischio è che decida di suicidarsi: «Se fa un congresso vero, rapidamente (prima dell’estate) ed elegge un nuovo segretario, allora può esserci un nuovo inizio. Ma se aprono adesso – come hanno intenzione di fare – una campagna elettorale tra 15-20 persone per fare le primarie in autunno, muoiono: scompaiono. E allora l’unica forza di centrosinistra, in questo paese, diventeranno i 5 Stelle». Al posto di Renzi e colleghi, Cacciari avrebbe fatto il contrario dell’Aventino: «Io auspicavo che il Pd, riconoscendo la vittoria dei 5 Stelle e ribadendo la sua estraneità al centrodestra nel suo insieme, dicesse: sono disposto a far partire un governo monocolore 5 Stelle, verificando poi di volta in volta i provvedimenti, da valutare singolarmente».Al reggente Maurizio Martina, Farinetti suggerisce di non sbattere la porta in faccia ai 5 Stelle, come invece fecero i grillini nel 2013 con Bersani: «Cercherei di capire se il loro reddito di cittadinanza è visto come misura strategica o solo d’emergenza, verso la creazione dell’unica prospettiva seria, cioè la creazione di posti di lavoro, specie al Sud, tenendo conto delle grandi vocazioni di questo paese». Utopia, riconoscono Farinetti e Cacciari: il Pd non sembra intenzionato ad aprire un vero dialogo, temendo di suicidarsi politicamente in caso di alleanza coi 5 Stelle. A loro volta, i grillini considerano un suicidio l’intesa con Berlusconi. E Salvini, infine, sa benissimo che rompere oggi col Cavaliere gli impedirebbe di continuare a dissaguare Forza Italia. Stallo assoluto? Non è detto. Il nodo è Berlusconi, dice Cacciari: basterebbe convincerlo che un governo Salvini-Di Maio sarebbe il male minore. Restando defilato per non imbarazzare i 5 Stelle, avrebbe ministri «tipo Cancellati» e garanzie precise sui suoi vastissimi interessi. L’alternativa? Non esiste: «In caso di elezioni anticipate, Berlusconi scompare. Gli conviene, un governo con Salvini e Di Maio». I grillini “annacquati”? Inevitabile, chiosa Farinetti: «Serve tempo, per vedere se c’è la possibilità di fare un meraviglioso compromesso. Non vedo l’ora – aggiunge – di vedere all’opera partiti che, giustamente, dall’opposizione portavano avanti teorie assolute: comprenderanno che l’unica cosa perfetta, in natura, è proprio il compromesso».Signori, abbiamo scherzato: «Le promesse, con questa legge elettorale, non valgono niente: sono solo promozionali. E quindi non vale niente la campagna elettorale: è tutta demagogia». Parola di Oscar Farinetti, “vedovo” di Renzi come Massimo Cacciari ma rinfrancato dalla conversione dei 5 Stelle verso il negoziato: «Mi auguro che, alla fine, venga fuori un governo con 5 Stelle e Salvini», dice il filosofo, ospite di Lilli Gruber insieme al patron di Eataly. «In questo caso si crea una discontinuità: finalmente comincia un’altra storia». Se i due estimatori del renzismo “brindano” al neo-moderato Di Maio, le giravolte post-elettorali dei grillini angustiano i tifosi della prima ora come Massimo Mazzucco, intervistato a “Border Nights”, trasmissione web-radio in cui Paolo Franceschetti (avvocato e saggista) infierisce: «I 5 Stelle stanno dimostrando di essere quello che erano fin dall’inizio, un abile artificio del potere per drenare il dissenso». Mazzucco, autore di documentari-verità (cancro, 11 Settembre, Uomo sulla Luna), non concorda: «I 5 Stelle mi hanno deluso evitando di contrastare la legge Lorenzin sui vaccini, ma non credo ci sia premeditazione: è l’avvicinamento al potere che, inevitabilmente, ti costringe a fare i conti con realtà che nemmeno conoscevi».
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Giorgio Galli: magia, esoterismo e potere. La storia segreta
Il mago in politica? Conta, sì. Ma non ha l’ultima parola. Certo, esiste: anche se i giornali non ne parlano mai. E spesso, proprio con il mondo esoterico sono in contatto i servizi segreti. Lo rivela il professor Giorgio Galli, autorevole politologo, per lunghi anni docente all’università di Milano. Un monumento della cultura italiana contemporanea. Classe 1928, ha all’attivo quasi cento titoli: dal volume d’esordio sulla storia del Pci, risalente al ‘53, fino all’ultimo lavoro, “Il golpe invisibile” (Kaos, 2015), che spiega “come la borghesia finanziario-speculativa e i ceti burocratico-parassitari hanno saccheggiato l’Italia repubblicana fino a vanificare lo Stato di diritto”. Intervistato da Fabio Frabetti e Paolo Franceschetti a “Border Nights” sul ruolo dell’occultismo nella politica, il professore chiarisce: la deriva “magica” dell’esoterismo ha certamente condizionato importanti leader del passato, Hitler in primis. Ma poi il fenomeno si è attenuato. Perché parlarne, allora? Perché non ne parla mai nessuno, a livello di ufficialità, se non per liquidare l’argomento in modo sprezzante, come se il fenomeno non esistesse. Altrettanto sbagliato, secondo Galli, l’atteggiamento iper-complottista di chi considera onnipotenti le società iniziatiche, massoneria compresa: hanno il loro peso, senz’altro, ma non possono decidere tutto.La missione dello studioso: svelare retroscena occulti e, al tempo stesso, demifisticare – con l’occhio razionale dello storico – le tante mitologie connesse al presunto potere di grandi “maghi”, al fianco dei potenti della Terra. Nel mirino innnanzitutto il leader del nazismo. Un fenomeno al quale – tra Himmler e la società Thule – il professor Galli ha dedicato ben tre saggi. Il primo, “Hitler e il nazismo magico” (Rizzoli) risale al 2005. A seguire, “La svastica e le streghe”, una “intervista sul Terzo Reich, la magia e le culture rimosse dell’Occidente”, pubblicata da Hobby & Work nel 2009, quattro anni prima di “Hitler e la cultura occulta”, libro uscito nel 2013, pubblicato ancora da Bur-Rizzoli. Impossibile non notare il potere ipnotico che la retorica del dittatore esercitava su masse immense, durante le celebri adunate oceaniche del nazismo. Disponeva di tecniche occultistiche? «Intanto era nato a Braunau sull’Inn, paese che ha dato i natali a un numero di medium superiore alla norma: c’è chi ritiene che, in determinate zone della Terra, vi siano cariche magnetiche che conferiscano doti particolari, come quelle che caratterizzano i medium e i veggenti». Inoltre, aggiunge Galli, è noto che Hitler prese lezioni da Erik Jan Hanussen, famoso ipnotista austriaco che, «nei teatri, ipnotizzava gli spettatori, facendo creder loro che fossero reali fenomeni che erano solo immaginari».Lo stesso Hanussen, mago e illusionista, fu poi ucciso dai nazisti il 30 giugno del 1934 nella strage passata alla storia come la “notte dei lunghi coltelli”. Una buona occasione «per far sparire le tracce della formazione ipnotistica che Hitler aveva ricevuto». Ma una cosa è ammettere che Hitler credesse nell’occulto e si avvalesse di maghi come Hanussen, un’altra è pensare che il nazismo sia “esploso” in virtù della magia: «Mai, il nazismo, si sarebbe potuto affermare senza la sconfitta della Germania nel primo conflitto mondiale, senza la crisi del dopoguerra e senza la grande crisi del ‘29, tutti fenomeni che hanno determinato il destino del paese sino all’avvento del Terzo Reich». Quindi attenzione: «Io non sostengo che l’esoterismo sia la chiave interpretativa della storia», precisa Galli. «Dico che ne è una delle componenti (e non delle più importanti), che però è stata completamente trascurata». E’ chiaro che a partorire il nazismo è stata la crisi politica, sociale ed economica patita dalla Germania a partire dal 1914. «Le cause che gli storici hanno studiato permettono di capire la vicenda tedesca anche senza bisogno di studiare l’esoterismo. Però, appunto, c’è anche l’esoterismo: e ha avuto un ruolo importante nella formazione culturale di una parte dell’élite nazionalsocialista».La storia politica ed economica spiega tante cose, ribadisce Galli, ma «talvolta, in determinate circostanze, non spiega tutto». Secondo il gollista Maurice Schumann, gruppi esoterici presenti anche in Vaticano hanno influenzato la nascita della stessa Unione Europea: «E’ una componente sin qui trascurata, meno importante di altre, ma che va tenuta presente». Giorgio Galli ha scritto anche un’introduzione al recente saggio “Mussolini e gli Illuminati”, nel quale Enrico Montermini mette in luce il rapporto (rimasto in ombra) tra il fascismo e l’esoterismo, dal ruolo di Giuseppe Cambareri – il mago di tanti ufficiali dell’esercito mussoliniano – all’intervento della massoneria anglosassone agli esordi delle camicie nere, fino al drammatico epilogo di piazzale Loreto, «macabro sacrificio rituale per celebrare simbolicamente la caduta dell’ultimo Cesare». Magia e dittature, ma non solo: «Lo stesso Churchill, che era massone – racconta Galli – si consultò moltissimo con l’ambiente esoterico, prima di decidere l’atteggiamento da assumere con Hitler». Furono alcuni esoteristi a confermargli che occorreva opporsi strenuamente al Terzo Reich: impossibile conviverci, perché avrebbe trasformato l’Europa nel peggiore degli incubi.Esoterismo? «E’ una cultura che ha solide radici nella storia dell’Occidente», spiega Giorgio Galli al pubblico di “Border Nights”. «Bisogna risalire agli astrologi caldei, ai profeti ebraici, fino a personaggi molto recenti come René Guénon e Julius Evola». Si intitola “Occidente misterioso” un saggio del 1987, edito da Rizzoli, in cui Galli indaga tra “baccanti, gnostici, streghe”, ovvero “i vinti della storia e la loro eredità”. «E’ una corrente di pensiero che ha solide radici e si ripresenta anche in periodi di grande avanzamento scientifico». Per dire: erano esoteristi Cartesio e Newton. «Si tratta di una cultura che ha profonde radici nello sforzo umano verso la conoscenza: radici così solide che, dal ‘500 in poi, ha potuto resistere al grande avvento della rivolzione scientifica». Quella dell’esoterismo «è un tipo di conoscenza che prevede approcci diversi da quelli scientifico-razionali». Metodo analogico, pensiero simbolico. Com’è che i politici entrano in contatto col mondo esoterico? «Esistono gruppi e associazioni che mantengono viva questa tendenza». Secondo la cultura esoterica, aggiunge il professore, «sulla Terra sono esistite civiltà molto remote, in genere scomparse per catastrofi naturali: l’esempio più noto sono i riferimenti che Platone fa ad Atlantide».Giorgio Galli segnala un libro come “L’altra Europa”, nel quale l’autore – Paolo Rumor (figlio di Mariano, pluri-minustro Dc) – documenta «la convinzione che siano esistite civiltà terrestri delle quali sono rimaste tracce, e in cui affonderebbe le sue radici la politica che poi ha portato all’Unione Europea». Intorno all’anno Mille, dice Galli, in alcuni ambienti «era maturata quella convinzione», riguardo all’ancestrale discenza da civiltà estinte. E quindi «ci sarebbe un rapporto tra antichi assetti sociali e il progetto dell’Ue, che in realtà è nato molto prima di quanto si ritenga». Se qualcuno ha in mente solo Jean Monnet, la Cee e l’Unione Europea si sbaglia: «Documenti di Mariano Rumor – afferma il professore – dimostrano che questo progetto sarebbe maturato molto più in là nel tempo, in ambienti legati alla cultura esoterica e alla convinzione dell’esistenza di antiche civiltà scomparse, che avrebbero lasciato tracce nella nostra cultura». Sicché, periodicamente, «emergono piccoli cenacoli, che credono di essere gli eredi di un antico sapere». Gli approcci sono diversi, aggiunge Galli: «Alcune società esoteriche sono orientate verso la conoscenza: per loro, l’esoterismo è uno strumento del sapere. In altri gruppi, invece, si ritiene che possa anche essere uno strumento per il potere».Non ha molti segreti, per Giorgio Galli, la contaminazione esoterica della politica: ne parlava già nel 1995 in “Cromwell e Afrodite” (Kaos), o in libri come “La politica e i maghi, da Richelieu a Clinton”, pubblicato da Rizzoli nello stesso anno. Galli ha firmato studi sulla massoneria, su Fatima, sulla new age, sulle Torri Gemelle. Titoli accattivanti: “La venerabile trama”, del 2007 (Lindau), racconta “la vera storia di Licio Gelli e della P2”. In “Stelle rosse” (Alacran, 2007), mette a nudo “astrologia neo-illuminista a uso della sinistra”. Titoli espliciti: “Politica ed esoterismo alle soglie del 2000”, scritto con Rudy Stauder e pubblicato da Rizzoli nel 1992, e “Esoterismo e politica” (Rubbettino, 2010). E’ del 2004 il saggio “La magia e il potere”, ovvero “l’esoterismo nella politica occidentale”, edito da Lindau. Ma cos’è la magia? Solo superstizione? «E’ un approccio culturale che si è manifestato in una fase della storia umana», spiega il professore a “Border Nights”, rispondendo alle domande di “Maestro di Dietrologia”. «Non credo che esista una magia con un reale potere», aggiunge. «Credo però che sia una convinzione diffusa». L’esoterismo, dice, è anche questo: «La convinzione che, facendo determinate operazioni, o con certe liturgie, si possano ottenere determinati risultati. La cultura esoterica è legata a questa convinzione, che però non è la mia».I maghi, aggiunge Giorgio Galli, sono i rappresentanti di questo tipo di cultura: talvolta entrano in contatto col potere e talvolta no. «La rivoluzione scientifica ha reso meno sistematici quei rapporti: quelli che vengono chiamati Magi, astrologi e veggenti facevano parte normalmente del personale vicino al potere – a Roma e in Grecia, poi nelle corti medievali. Fino al ‘500-600 questi rapporti erano organici e continui, in seguito sono diventati più rari o soltanto occasionali». E i famosi maghi consultati da capi di Stato? «In alcuni casi – risponde Galli – ci sono società segrete che trasmettono questo tipo di cultura. Alcune – tedesche, francesi, inglesi – sono elencate in “Hitler e il nazismo magico”. Probabilmente ne esistono ancora, anche se adesso la loro influenza mi pare molto minore di quanto non fosse all’inizio del secolo scorso». Magia e potere, ma soprattutto stelle, oroscopi, tarocchi. «Quello che so – aggiunge Galli – è che molti politici, anche di rilievo, consultano abituamente astrologi e cartomanti: sono un aspetto popolare e diffuso di culture che hanno origini esoteriche, ma è anche un campo che si presta moltissimo alle truffe e alle manipolazioni».Da Roma, ha contattato il professore un gruppo di tradizione esoterica che si definisce “Evoliani a 5 Stelle”, dal nome di Evola. «Sono degli esoteristi di cultura evoliana, che si esprimono positivamente attorno al Movimento 5 Stelle», precisa Galli. Non che l’esoterismo sia del tutto estraneo, ad alcuni aspetti del mondo grillino: «Lo stesso cortometraggio di Gianroberto Casaleggio, “Gaia”, esprime una cultura che qualche rapporto con quella esoterica potrebbe averlo: è collegata con la cultura delle grandi catastrofi, che poi alla fine danno un risultato positivo». Ma quello dei 5 Stelle è un populismo destinato a trasformarsi nella vera avanguardia tecnocratica del neoliberismo globalista? Giorgio Galli lo esclude in modo categorico. «I 5 Stelle secondo me sono ancora in una fase magmatica, in cui convivono componenti dell’anticapitalismo di sinistra e componenti dell’anticapitalismo di destra. Penso che siano in una fase di trasformazione – conclude il politologo – ma non credo affatto che possano diventare i nuovi strumenti del grande capitale: rimarranno sempre un movimento indirizzato a cambiamenti che, nella loro cultura, ritengono positivi. Che poi riescano nel loro intento è un altro problema, ma non credo che si mettano al servizio del potere capitalistico».Il mago in politica? Conta, sì. Ma non ha l’ultima parola. Certo, esiste: anche se i giornali non ne parlano mai. E spesso, proprio con il mondo esoterico sono in contatto i servizi segreti. Lo rivela il professor Giorgio Galli, autorevole politologo, per lunghi anni docente all’università di Milano. Un monumento della cultura italiana contemporanea. Classe 1928, ha all’attivo quasi cento titoli: dal volume d’esordio sulla storia del Pci, risalente al ‘53, fino all’ultimo lavoro, “Il golpe invisibile” (Kaos, 2015), che spiega “come la borghesia finanziario-speculativa e i ceti burocratico-parassitari hanno saccheggiato l’Italia repubblicana fino a vanificare lo Stato di diritto”. Intervistato da Fabio Frabetti e Paolo Franceschetti a “Border Nights” sul ruolo dell’occultismo nella politica, il professore chiarisce: la deriva “magica” dell’esoterismo ha certamente condizionato importanti leader del passato, Hitler in primis. Ma poi il fenomeno si è attenuato. Perché parlarne, allora? Perché non ne parla mai nessuno, a livello di ufficialità, se non per liquidare l’argomento in modo sprezzante, come se il fenomeno non esistesse. Altrettanto sbagliato, secondo Galli, l’atteggiamento iper-complottista di chi considera onnipotenti le società iniziatiche, massoneria compresa: hanno il loro peso, senz’altro, ma non possono decidere tutto.
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Questi complottisti a orologeria, che poi votano la Casellati
«Complottisti a orologeria: pensano che la passi sempre liscia, chi opera nell’ombra a spese degli altri. Ma l’arresto di Sarkozy li smentisce nel modo più clamoroso». Un pensiero in controluce, quello che Gianfranco Carpeoro offre all’idomani della caduta dell’ex capo dell’Eliseo: «Un evento che, lo ammetto, mi ha fatto veramente godere», confida il saggista e simbologo, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”: «Sarkozy è un politico pessimo, il peggior esempio di voltagabbana: ha chiesto soldi a Gheddafi e poi lo ha fatto assassinare, ha bombardato la Libia senza l’ok dell’Onu e inoltre ha fatto parte della “Hathor Pentalpha”, superloggia implicata nel terrorismo, a cominciare dal maxi-attentato dell’11 Settembre». Eppure, lo scudo della “Hathor” (fondata dai Bush) non è valso a proteggerlo. «Prendano nota, certi cospirazionisti nostrani che ragionano da orologiai: nel mondo, persino in quello dorato di Sarkozy, c’è anche l’imprevisto, la rovina». Il che non significa che, spesso, il complottismo non abbia ragione: «Un uomo come Eugenio Cefis, il capo dell’Eni dopo Mattei, è morto serenamente nel suo letto, a Montecarlo. In tanti la fanno franca, a quei livelli, dopo aver gestito il massimo potere. Poi però ci sono anche quelli come Licio Gelli, che è pur sempre stato arrestato (in Svizzera) e a cui è stata confiscata la casa, lingotti d’oro compresi».In altre parole: esistono, eccome, le grandi piramidi di potere – ma non garantiscono sempre l’impunità. Vale per Sarkozy, ma anche per Gelli, «che pure era legatissimo al generale Giuseppe Santovito, capo supremo dei servizi segreti italiani», all’epoca della strategia della tensione. Spesso il complotto esiste, ma se i complottisti prendono lucciole per lanterne – sostiene Carpeoro – i veri autori della cospirazione restano al sicuro, lontano dai riflettori. «Per esempio: nessuno ha mai meditato sul nome della P2, dove l’iniziale sta per “propaganda”. Discende da un intento iniziale, originario, della massoneria: dare lustro all’associazione, raggruppando in una loggia i “fratelli” particolarmente benemeriti, da esibire: grandi scienziati, intellettuali, banchieri, sindacalisti (come Luciano Lama, che era massone)». Ma le cose poi non sono andate secondo i piani: e nei guai è finita la P2, una loggia coperta. «Che senso ha chiamare “propaganda” una cellula segreta? E perché contrassegnarla col numero 2?». Carpeoro s’è dato la seguente risposta: «C’era già allora un’entità supeirore – la Loggia P1 – e il suo capo era proprio Cefis». Esiste ancora, la P1? «Certo, e gestisce i piani alti del potere. Lo fa in modo indisturbato: tanti complottisti stanno ancora a parlare della P2, mentre la magistratura ormai dà la caccia alla P6. Ecco perché la P1 resta dov’è, senza che nessuno la disturbi».Un errore ottico frequente, sempre lo stesso: puntare il bersaglio apparente, mancando quello giusto. Si ripercuote ovunque, anche in politica, dove al posto di Paolo Romani viene eletta presidente del Senato – coi voti dei grillini, per motivi tattici – una personalità come quella di Maria Elisabetta Alberti Casellati, anche lei di Forza Italia, vicinissima al Cavaliere. «I 5 Stelle hanno bocciato la candidatura di Romani per una vecchia storia di poco conto: permise alla figlia di usare il suo telefono, a spese dello Stato. Ma un’altra figlia – quella della Casellati – fu piazzata dalla madre in un ministero», ricorda Carpeoro. All’epoca, aggiunge, i grillini protestarono: assunzione fatta senza un concorso e senza che la candidata avesse i titoli necessari. «Ora invece i 5 Stelle tacciono: perché?». Attenzione: «Prima ancora del giudizio del tribunale, Romani provvide a pagare il conto delle chiamate della figlia», ammettendo la colpa e risarcendo lo Stato. «Dunque, cari grillini, cos’è più grave: qualche telefonata a Copenaghen o lo stipendio che ogni mese paghiamo tuttora alla figlia della neopresidente del Senato?».«Complottisti a orologeria: pensano che la passi sempre liscia, chi opera nell’ombra a spese degli altri. Ma l’arresto di Sarkozy li smentisce nel modo più clamoroso». Un pensiero in controluce, quello che Gianfranco Carpeoro offre all’indomani della caduta dell’ex capo dell’Eliseo: «Un evento che, lo ammetto, mi ha fatto veramente godere», confida il saggista e simbologo, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”: «Sarkozy è un politico pessimo, il peggior esempio di voltagabbana: ha chiesto soldi a Gheddafi e poi lo ha fatto assassinare, ha bombardato la Libia senza l’ok dell’Onu e inoltre ha fatto parte della “Hathor Pentalpha”, superloggia implicata nel terrorismo, a cominciare dal maxi-attentato dell’11 Settembre». Eppure, lo scudo della “Hathor” (fondata dai Bush) non è valso a proteggerlo. «Prendano nota, certi cospirazionisti nostrani che ragionano da orologiai: nel mondo, persino in quello dorato di Sarkozy, c’è anche l’imprevisto, la rovina». Il che non significa che, spesso, il complottismo non abbia ragione: «Un uomo come Eugenio Cefis, il capo dell’Eni dopo Mattei, è morto serenamente nel suo letto, a Montecarlo. In tanti la fanno franca, a quei livelli, dopo aver gestito il massimo potere. Poi però ci sono anche quelli come Licio Gelli, che è pur sempre stato arrestato (in Svizzera) e a cui è stata confiscata la casa, lingotti d’oro compresi».
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Il Grande Fratello sa tutto di noi, soprattutto grazie a noi
Facebook avrebbe “passato” a Cambridge Analytica 51 milioni di profili. Destinazione, la campagna pro-Brexit e quella pro-Trump, consentendo ai persuasori di mirare con precisione, fino a centrare in modo selettivo il target desiderato: appelli politici per convincere utenti già “schedati” dal social network, presentati (a loro insaputa) come “clienti” teoricamente disponibili, in base alle loro preferenze: idee espresse nei commenti, tipologia dei consumi dichiarati. Da qui la mappatura virtuale del “cliente”: se so cosa ti piace oggi, il mio sistema deduce al volo ciò che ti piacerà domani. Si grida allo scandalo: Steve Bannon, l’ex guru di Trump, è uno stregone della manipolazione. «Non lo faremo più», promette Zuckerberg. Scandalo? Bannon fa il suo mestiere: portare voti ai politici per cui lavora. Anche Zuckerberg fa il suo mestiere: vendere al marketing i profili degli utenti, che sono ormai 2 miliardi di persone, in tutto il mondo. Rivelazioni: il potente algoritmo messo in campo da Cambridge Analytica permette di “scannerizzare” all’istante, incrociando dati, anche le intenzioni degli ignari utenti, scoprendo in anticipo chi voterà per chi. Ma né Bannon né Zuckerberg hanno mai estorto alcunché: la fornitura dei dati-chiave è volontaria, da parte degli utenti.Gli utenti di Facebook, poi, sanno benissimo (o dovrebbero sapere) che non sono proprietari dei contenuti delle loro “pagine”: dal punto di vista legale, in base al diritto editoriale, tutto ciò che viene pubblicato – parole e pensieri, immagini e video – non appartiene in nessun caso a loro, ma solo a Facebook. In quanto editore unico e senza vincoli, il social network è liberissimo di rimovere i contenuti quando vuole, senza neppure l’obbligo di lasciarne una copia, privata, a disposizione dell’utente. Quasi un terzo dell’umanità ormai utilizza Facebook, affidando alla piattaforma social la rappresentazione pubblica – più o meno realistica – della propria identità personale. Facebook offre una vasta gamma di servizi – a costo zero per l’utente, ma remunerati in altro modo: è ovvio che faccia gola, al marketing, la più grande banca dati del pianeta. Perché stupirsene? Se si fa una qualsiasi richiesta a Google, il motore di ricerca la registra, classificando subito l’utente e proponendogli – sotto forma di proposta pubblicitaria – merce analoga a quella già cercata. Anche Google “sa” chi siamo e cosa ci piace. Anche Google svolge un servizio gratuito per l’utente. Un servizio prezioso, ormai imprescindibile, e remunerato altrimenti, cioè mettendo il profilo psicologico del potenziale cliente a disposizione del mercato.Con l’avvento degli smartphone, oggi il sistema sa anche – sempre – dove siamo. Attraverso i social, le chat, le email, il sistema sa cosa pensiamo, dove andiamo, chi incontriamo. Anni fa, fece scalpore la rivelazione – esternata dal solo Marcello Foa – del capo dei servizi segreti svizzeri: spiegò che ogni parola in uscita dai nostri computer finisce in due immensi archivi, dislocati a Londra e a Washington. Il Grande Fratello è in ascolto, certo: ma qualcuno può davvero stupirsene? Smentendo il vittimismo complottistico, un osservatore atipico come Paolo Franceschetti (avvocato, autore si studi scomodi sui misteri italiani) offre la seguente riflessione: perché ci illudiamo che in passato la situazione del “popolo” fosse migliore? Fino a ieri non ci voleva molto per rischiare il carcere, bastava mancare di rispetto al sovrano (e l’altro ieri peggio ancora, si finiva sul rogo per il solo fatto di aver manifestato idee difformi dal dogma vigente). Oggi, al contrario, si assiste a una diffusione di opinioni quale mai s’era vista, in migliaia di anni. Circolazione istantanea di idee, libera e planetaria. Osservata e spiata? Vietato meravigliarsene.Quanto a Facebook, parla da sola la sua data di nascita. Serviva un sistema per raccogliere dati e schedare milioni di persone, in modo da trarre d’impaccio l’intelligence Usa, in enorme imbarazzo dopo la storica débacle dell’11 Settembre. Zuckerberg ha offerto la soluzione più brillante, a costo zero per lo Stato: sarebbero stati direttamente i cittadini a raccontare tutto di sé – chi sono, dove vivono, in cosa credono, che amici hanno. Facebook ha raccolto milioni di confidenze, che oggi sono diventate miliardi. Ma non le ha carpite: gli sono state offerte spontaneamente. Il sistema ha solo creato uno spazio (pubblico) per esprimerle e condividerle. Uno spazio che prima non esisteva, e di cui gli Zuckerberg del pianeta avevano intuito il bisogno, la necessità percepita. Parlare, raccontarsi: prima dell’avvento dell’email (non secoli fa: si parla della vigilia del Duemila) le persone avevano smesso di scriversi lettere. Hanno ricominciato a scrivere proprio grazie alla posta elettronica. Milioni di persone hanno ristabilito contatti epistolari frequenti, recuperando anche il gusto della scrittura. Facebook e gli altri social media completano l’offerta, realizzando un diario digitale personale ma condivisibile, arricchito da segnalazioni e link, veicolando in questo modo l’altra grande fonte recente di idee e informazioni: i blog.Nella sua ricostruzione della storia del Cristianesimo, formulata da un punto di vista ruvidamente anticlericale, un’autrice come Laura Fezia sostiene che il “format” cristiano sia stato inoculato come un virus nell’imperialismo romano, per corroderlo dall’interno fino a farlo crollare. Tradotto: se non riesci a battere il nemico in campo aperto, ti conviene infiltrarlo. E’ nemico, oggi, il web? E’ sicuramente padrone: compra, vende, orienta, controlla, manipola. Non è un amico disinteressato: se l’ha fatto credere, bluffava. Ma spesso (quasi sempre) è un alleato di cui non si può fare a meno. E’ un orizzonte sistemico, nel quale vivere, e in cui – come in ogni altra cosa – convivono due modi di intendere e volere. Il bene e il male? Dipende sempre dal punto di vista: il male della gazzella coincide con il bene dei cuccioli della leonessa. Sarà anche una savana, il web, ma non è senza padroni: è anzi un giardino zoologico severamente protetto e custodito dai grandi proprietari dell’infrastruttura strategica, da cui ormai dipende il pianeta, che è diventato infinitamente e istantaneamente manipolabile. Sono infatti tramontate le fiabe ingenue sull’innocenza della Rete, utilizzate anche in Italia a fini politici. Ma la Rete resta, e – con i suoi limiti – è ancora disposizione: per ospitare idee, magari, oltre che immagini delle vacanze e piatti “stellati”, fotografati al ristorante.Facebook avrebbe “passato” a Cambridge Analytica 51 milioni di profili. Destinazione, la campagna pro-Brexit e quella pro-Trump, consentendo ai persuasori di mirare con precisione, fino a centrare in modo selettivo il target desiderato: appelli politici per convincere utenti già “schedati” dal social network, presentati (a loro insaputa) come “clienti” teoricamente disponibili, in base alle loro preferenze: idee espresse nei commenti, tipologia dei consumi dichiarati. Da qui la mappatura virtuale del “cliente”: se so cosa ti piace oggi, il mio sistema deduce al volo ciò che ti piacerà domani. Si grida allo scandalo: Steve Bannon, l’ex guru di Trump, è uno stregone della manipolazione. «Non lo faremo più», promette Zuckerberg. Scandalo? Bannon fa il suo mestiere: portare voti ai politici per cui lavora. Anche Zuckerberg fa il suo mestiere: vendere al marketing i profili degli utenti, che sono ormai 2 miliardi di persone, in tutto il mondo. Rivelazioni: il potente algoritmo messo in campo da Cambridge Analytica permette di “scannerizzare” all’istante, incrociando dati, anche le intenzioni degli ignari utenti, scoprendo in anticipo chi voterà per chi. Ma né Bannon né Zuckerberg hanno mai estorto alcunché: la fornitura dei dati-chiave è volontaria, da parte degli utenti.
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Sarkozy e la Hathor Pentalpha, superloggia del terrorismo
La lapidazione pubblica di un politico di rango non ha mai un’unica paternità: di solito sono tante le nubi che, a un certo punto, si trasformano in tempesta. E per un ex presidente della Francia, cioè di una delle cinque potenze atomiche con diritto di veto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, il solo fatto di essere trattenuto in stato di fermo in una stazione di polizia, alla stregua di un criminale comune, costituisce l’atto d’inizio – il più eclatante – di una vera e propria demolizione a reti unificate. I giornali parlano di vendetta a distanza da parte degli ex fedelissimi di Gheddafi: prima di essere assassinato “su ordine dei servizi francesi”, il raiss di Tripoli avrebbe finanziato sottobanco, in modo cospicuo, la campagna elettorale di Sarkozy per le presidenziali del 2007 (in cambio di cosa?). Gli italiani ricordano ancora l’irridente impudenza con cui l’allora capo dell’Eliseo, insieme ad Angela Merkel, seppellì in mondovisione il moribondo Berlusconi, incalzato da mille inchieste e travolto dallo scandalo delle “olgettine”. Un sinistro preludio, per l’Italia, all’austerity di lì a poco imposta con il diktat della Bce firmato Draghi e Trichet, corroborato dal crollo delle azioni Mediaset e dall’esplosione pilotata dallo spread. «Gli italiani sono dei bambinoni deficienti, non si sono nemmeno accorti che siamo stati noi a inviargli il “fratello” Mario Monti, il nostro uomo», con l’incarico di sabotare l’economia del Belpaese, precipitandolo nel baratro della crisi: legge Fornero, pareggio di bilancio in Costituzione.Lo dicono, nell’appendice del bestseller “Massoni” (edito da Chiarelettere a fine 2014), quattro pesi massimi della supermassoneria internazionale, protetti dall’anonimato ma «pronti a manifestarsi, nel caso qualcuno ne contestasse le affermazioni». Non ce n’è stato bisogno: Monti, Napolitano e gli altri si sono ben guardati dal chiedere all’autore del saggio, Gioele Magaldi, di rendere pubblica l’identità di quei quattro “vecchi saggi” del massimo potere in vena di rivelazioni. Accanto a un mediorientale e a un asiatico, a parlare sono uno statunitense (che ricorda da vicino lo stratega Zbigniew Brzezinski, da poco scomparso) e un francese, il cui identikit di eminenza grigia potrebbe benissimo corrispondere a quello di Jacques Attali, già plenipotenziario di Mitterrand e poi “padrino” e king-maker di Emmanuel Macron. La tesi del libro, assolutamente dirompente, è stata oscurata dai media mainstream: da decenni, il mondo sarebbe nelle mani di 36 Ur-Lodges, potentissime superlogge massoniche sovranazionali. Dopo l’iniziale dominio delle organizzazioni di ispirazione progressista, dall’era Roosevelt fino ai Kennedy, il potere sarebbe passato all’ala neo-conservatrice (Kissinger, Rockefeller, Rothschild) dopo il duplice omicidio di Bob Kennedy e del “fratello” Martin Luther King.A seguire: una guerra segreta senza risparmio di colpi – da un lato il Cile del massone Pinochet e la Grecia dei colonnelli, ma anche i ripetuti tentativi di golpe in Italia con la complicità della P2 di Gelli, e dall’altro la Rivoluzione dei Garofani in Portogallo scattata non a caso il 25 aprile (del ‘74). Poi, lo sciagurato patto “United Freemanson for Globalization” per spartirsi la torta mondiale sdoganando il neoliberismo. Con in più una scheggia impazzita: la Ur-Lodge “Hathor Pentalpha”, nella quale – secondo Magaldi – figura anche il nome di Sarkozy, accanto a quelli del turco Erdogan, protagonista degli odierni orrori in Medio Oriente, e del britannico Tony Blair, l’indimenticato inventore delle inesistenti “armi di distruzone di massa” di Saddam Hussein, ovvero “la madre di tutte le fake news”. Saddam e la guerra in Iraq, cioè Bush junior, dopo la prima Guerra del Golfo scatenata da Bush senior. Il Rubicone è stato varcato con l’opaco, devastante maxi-attentato dell’11 Settembre (e la conseguente invasione dell’Afghanistan, seguita dalle guerre in Iraq e in Libia, dalla “primavera araba”, dall’atroce conflitto in Siria).Terrorismo “false flag”, sotto falsa bandiera – da Al-Qaeda all’Isis – secondo un copione basato sulla più accurata disinformazione, fotografato alla perfezione dall’immagine di Colin Powell che, alle Nazioni Unite, agita una prova falsa come la celebre “fialetta di antrace” per raccontare che il regime di Baghdad sarebbe pronto a sterminare l’umanità. Non fu solo una drammatica sterzata politica imposta dai “neocon” Usa, sostiene Magaldi: la strategia della tensione internazionale, che produce guerre in Medio Oriente e leggi speciali negli Usa e in Europa per rispondere agli attentati “islamici”, corrisponde alla sanguinosa strategia della “Hathor Pentalpha”, la «loggia del sangue e della vendetta» creata da Bush (padre) dopo la bruciante sconfitta alle primarie repubblicane inflittagli nel 1980 da Ronald Reagan. In questo modo, Magaldi spiega anche i due attentati simmetrici che seguirono, nel 1981: qualcuno sparò a Reagan il 30 marzo, e – per rappresaglia – i sostenitori occulti di Reagan armarono la mano di Ali Agca, che il 13 maggio sparò a Papa Wojtyla, eletto al soglio pontificio con il determinante appoggio di Brzezinski, allora vicino a Bush. Due minacciosi avvertimenti, con firme opposte ma identico stile: né a Washington né a Roma si sparò per uccidere.Fantapolitica? Ne ha tutta l’aria: a patto di rassegnarsi all’idea che sia proprio la geopolitica a esser diventata “fanta”, rendendo possibile l’impensabile. «Dispongo di 6.000 pagine di documenti che comprovano quanto affermato nel mio libro», ribadisce Magaldi, a scanso di equivoci. Il problema? Nessuno, finora, gliene ha chiesto conto: meglio la congiura del silenzio, di fronte a pagine così sconcertanti e imbarazzanti. Le grandi scelte strategiche del pianeta – sottolinea l’autore – sono state messe a punto negli ultimi 30-40 anni da superlogge storicamente neo-aristocratiche come la “Three Eyes” e la “Compass Star-Rose”, insieme alla “Edmund Burke”, alla “Leviathan”, alla “White Eagle”. Sono loro a dominare ministeri, banche, università, istituzioni internazionali finanziarie “paramassoniche” come il Fmi e la Bce. Obiettivo: sdradicare Keynes dalla politica economica dell’Occidente: via il welfare e i diritti del lavoro, guerra alla sinistra sindacale, demonizzazione del debito pubblico, privatizzazione universale, fine dello Stato sociale come garante del benessere diffuso. Svuotare la democrazia, per restituire il potere all’oligarchia – finanza, industria, multinazionali – secondo un modello neo-feudale: solo un’élite “illuminata” ha il diritto di governare il popolo. E la tenebrosa “Hathor Pentalpha”?«Semplicemente, la “Hathor” ha ritenuto che tutto questo non bastasse: il nuovo ordine antidemocratico andava imposto con la guerra e il terrorismo, a partire proprio dall’11 Settembre». Specchietto le allodole, il saudita Osama Bin Laden reclutato dalla Cia in Afghanistan negli anni ‘70, in funzione anti-sovietica. «Bin Laden fu iniziato alla “Three Eyes”: me lo confidò proprio l’uomo che lo affilò, Brzezinski». Lo stesso Brzezinski, aggiunge Magaldi, rimase deluso dalla scelta di Bin Laden di passare poi alla “Hathor Pentalpha”, la superloggia dei Bush. Simboli eloquenti: Hathor è uno dei nomi della dea egizia Iside, cara ai massoni, e il suo nome in inglese è, appunto, Isis. «Anche l’uomo che si fa chiamare Abu Bakr Al-Baghdadi, stranamente rilasciato nel 2009 dal campo di prigionia iracheno nel quale era detenuto, è stato affiliato alla “Hathor Pentalpha”». Al-Baghdadi, il presunto capo del sedicente Isis: organizzazione terroristica che, quando ha perso terreno in Siria sotto il colpi dell’offensiva militare russa, ha cominciato a colpire l’Europa. Charlie Hebdo e Bataclan, Bruxelles, la strage di Nizza. «Tutti attentati spaventosamente stragistici, “firmati” con una simbologia nacosta e nient’affatto islamica, ma saldamente ancorata alle date-simbolo del martirio dei Templari nel 1300».Ne parla nel saggio “Dalla massoneria al terrrorismo” (Revoluzione) l’esperto simbologo Gianfranco Carpeoro, massone come Magaldi, altrettanto critico rispetto al potente mileu “latomistico” globalizzato, pronto anche a fare l’uso più cinico e spregiudicato di vasti settori dei servizi segreti, ridotti a strumenti di una “sovragestione” pericolosa, che sottomette gli Stati (e i governi eletti) ai disegni di una ristretta oligarchia. «Tutto quel sangue, in Europa, è nato da una rottura all’interno dell’ala reazionaria dell’élite supermassonica», ha ripetuto Carpeoro, in trasmissioni web-streaming come quelle di “Border Nights”. Chi ha premuto sul tasto del neo-terrorismo interno – è la sua tesi – l’ha fatto per intimidire quegli elementi che, in seno all’oligarchia, si erano mostrati titubanti di fronte alla “linea dura”, quella delle stragi nelle piazze europee. «E’ in corso un’escalation, prepariamoci al peggio: in Europa potrebbe verificarsi un maxi-attentato come quello dell’11 Settembre». Previsione fortunatamente inesatta: «E’ vero», ammette Carpeoro, «le stragi sono cessate». Ma questo – spiega – dipende dal fatto che, “lassù”, si sono rimessi d’accordo su come agire, a cominciare proprio dalla Francia.Ieri, all’Eliseo c’era Hollande, un politico da intimidire (come socialista ma anche come supermassone “di sinistra”, esponente della Ur-Lodge progressista “Fraternité Verte”), a capo di un establihment incalzato dal “populismo” di Marine Le Pen. Poi invece le elezioni hanno incoronato Macron, «che a differenza di Hollande – sostiene Carpeoro – è espressione diretta di quei circoli, responsabili della “sovragestione”», fino a ieri anche terroristica, all’occorrenza. E’ lo stesso Macron che, a giorni alterni, fa l’amicone dell’Italia, promettendo a Gentiloni – in cambio di cospicue cessioni di italianità – di difendere il Belpaese dai “cattivi” tedeschi. E’ cronaca: soldati italiani spediti in Niger a far la guardia all’uranio per conto dei francesi, voci sul ridisegno delle acque territoriali a favore dei pescatori francesi, vistosa ascesa del management transalpino nel cuore del “made in Italy”. Con Gentiloni e Macron, sostiene Federico Dezzani, l’Italia si auto-declassa al rango di neo-colonia francese, nell’illusione di trovare riparo dal rigore imposto dall’ordoliberismo teutonico. Sta davvero succedendo qualcosa di strano, “lassù”, se un big come Sarkozy finisce sotto interrogatorio in un commissariato di Nanterre? Significa che la superloggia (già terrorista) “Hathor Pentalpha” è in discesa libera, nei piani alti della “sovragestione”? Inutile sperare in spiegazioni esaurienti: il mainstream si limiterà alle fonti giudiziarie sul caso Libiagate, mentre il pubblico assiste alla strana caduta di un ex superpotente come Sarkozy, in una Francia senza più attentati né stragi, dove l’oligarca Jacques Attali ha battezzato il nuovo regno di Macron, l’ex ragazzo prodigio della Banca Rothschild.La lapidazione pubblica di un politico di rango non ha mai un’unica paternità: di solito sono tante le nubi che, a un certo punto, si trasformano in tempesta. E per un ex presidente della Francia, cioè di una delle cinque potenze atomiche con diritto di veto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, il solo fatto di essere trattenuto in stato di fermo in una stazione di polizia, alla stregua di un criminale comune, costituisce l’atto d’inizio – il più eclatante – di una vera e propria demolizione a reti unificate. I giornali parlano di vendetta a distanza da parte degli ex fedelissimi di Gheddafi: prima di essere assassinato “su ordine dei servizi francesi”, il raiss di Tripoli avrebbe finanziato sottobanco, in modo cospicuo, la campagna elettorale di Sarkozy per le presidenziali del 2007 (in cambio di cosa?). Gli italiani ricordano ancora l’irridente impudenza con cui l’allora capo dell’Eliseo, insieme ad Angela Merkel, seppellì in mondovisione il moribondo Berlusconi, incalzato da mille inchieste e travolto dallo scandalo delle “olgettine”. Un sinistro preludio, per l’Italia, all’austerity di lì a poco imposta con il diktat della Bce firmato Draghi e Trichet, corroborato dal crollo delle azioni Mediaset e dall’esplosione pilotata dallo spread. «Gli italiani sono dei bambinoni deficienti, non si sono nemmeno accorti che siamo stati noi a inviargli il “fratello” Mario Monti, il nostro uomo», con l’incarico di sabotare l’economia del Belpaese, precipitandolo nel baratro della crisi: legge Fornero, pareggio di bilancio in Costituzione.
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Limonov: Putin obbedisce a 30 famiglie. Skripal? False flag
«Ma quali russi! Questo Skripal non contava niente, era in pensione da 14 anni, insegnava storia dell’intelligence ai ragazzini delle scuole russe. Putin è molto intelligente, che interesse aveva a farlo fuori? Può crederci solo quella vecchia scopa di Theresa May, quest’inglese volgare che si crede Churchill, batte in arroganza Trump e dimentica cosa fecero i sovietici per aiutare i suoi padri». Così lo scrittore russo Eduard Limonov, intervistato da Francesco Battistini per il “Corriere della Sera”. «Questi avvelenamenti sono una commedia», dice. «Una guerra di parole». L’ex spia Sergej Skripal, avvelenato in Inghilterra col gas nervino? La Russia non c’entra: «Si ricorda il Dottor No di James Bond? È stato un diabolico Dottor No a fare il lavoro», sostiene Limonov, facendo eco all’ex ambasciatore britannico Craig Murray, che sospetta del Mossad israeliano, in rotta con Mosca per l’impegno russo in Siria. Secondo Murray, il Cremlino non avrebbe mai potuto firmare il simile autogol, immediatamente colto come pretesto dal Regno Unito, che ha coinvolto Francia e Usa nella nuova guerra contro Putin a colpi di sanzioni. «Il mondo delle spie l’ho conosciuto in prigione», racconta Limonov al “Corriere”. «In cortile c’era un ufficio dell’Fsb, l’ex Kgb, e quando sono uscito e mi seguivano 12 agenti, li conoscevo tutti. Li ho ancora dietro, anche se vado al ristorante. Ho 75 anni: perché non mi lasciano in pace?».Il quotidiano milanese presenta Limonov, protagonista della premiatissima biografia dedicatagli da Emmanuel Carrère, come «scrittore e politico, bolscevico e nazionalista, playboy e gay, combattente nei Balcani e punk newyorkese». Rifiuta categoricamente l’idea che i servizi segreti di Mosca abbiano avuto un ruolo nel caso Srkipal. Di Putin, che detesta, dice: «Nella sua famiglia vivono a lungo, i suoi genitori sono arrivati a 90 anni. Ma voi europei siete ossessionati, pensate che Putin sia il motore di tutto». Della Russia, offre la seguente rappresentazione: «Il paese è governato da 30 famiglie, l’1% che possiede il 74% delle ricchezze. Peggio che in India». Il nuovo Zar «è solo il loro brillante portavoce, una delle torri del Cremlino. Non gestisce la baracca. Ha padroni che si chiamano Mikhail Fridman, fondatore di Alfa Group», colosso finanziario. E gli oppositori? «Tutti finti. Navalny è uno che stava nel board dell’Aeroflot, raccomandato dal banchiere Lebedev. L’ambiziosa Ksenia Sobchak è parente di Putin: le hanno dato la parte della liberale, ha voluto perdere in partenza dicendo subito che la Crimea va restituita all’Ucraina. E poi c’ è quel furbastro Grudinin che si fa passare per comunista: un idiota, predica il socialismo e possiede una società per azioni, fa il padrone capitalista».In ogni caso, «il caso Skripal è una messa in scena», insiste Limonov, in un’intervista all’Ansa ripresa dall’“Huffington Post”. «La Russia non avrebbe avuto nessun tornaconto ad ammazzarlo, anzi: se fosse stato davvero pericoloso, non lo avrebbero liberato per poi tentare di ammazzarlo. Col nervino si muore in pochi minuti, mentre lui invece è ancora vivo». La Russia, argomenta Limonov, era stata “depennata” nel 1991 dalla lista degli avversarsi, causando frustrazione: la caccia al “nemico”, benché inventato, è la spiegazione dell’isteria anti-russa che si sta scatenando. «Basta vedere la caccia alle streghe in corso oggi negli Usa, e il modo in cui la Russia viene vista in Occidente, in modo ripugnante. È davvero senza precedenti. Anche perché un tempo esisteva la diplomazia, oggi non più». Secondo Limonov, l’Occidente ha un’idea semplificata del sistema politico russo e, soprattutto, sopravvaluta il potere di Vladimir Putin. «Le decisioni – dice – non le prende lui da solo, ma in modo collettivo. Il paese – ribadisce – è governato da circa 30 famiglie. E Putin, più che uno zar, è il portavoce di questo gruppo». Il sistema politico russo, insiste Limonov, «non si esaurisce con Putin».Secondo Igor Sibaldi, filologo e scrittore di madre russa, non si riflette mai con attenzione su un dettaglio: «Nel Kgb, Putin non era un generale, ma solo un colonnello». Come dire: un leader, certo, ma obbligato a rendere conto del suo operato ad altri soggetti. Uomini che restano nell’ombra, all’interno dell’impianto di potere creato da Yurij Andropov addirittura alla fine degli anni ‘60, pensato già allora per tenere in piedi la Russia dopo l’eventuale collasso dell’Urss, ritenuto inevitabile prima ancora dell’era Breznev. Se oggi i russi non c’entrano con il caso Skripal, sono comunque nella bufera – non a caso, a pochi giorni dall’annuncio del 1° marzo in cui Putin ha presentato le nuovissime super-armi di Mosca, destinate a ristabilire la parità strategica con gli Usa. Uno schiaffo ai “signori della gerra” – che poi, secondo Gianfranco Carpeoro (autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”) sono anche i veri registi occulti delle stragi europee firmate Isis. «Il neo-terrorismo – afferma Carpeoro – è nato da una spaccatura all’interno della supermassoneria più reazionaria: a un certo punto, qualcuno ha cessato di appoggiare quel tipo di strategia della tensione internazionale». Carpeoro, su “Border Nights”, ha spesso dichiarato di temere un super-attentato, in Europa, stile 11 Settembre – che però non c’è stato. «Vero, e questo significa che si sono rimessi d’accordo su come agire, a livello di “sovragestione”». Basta stragi “false flag” in Europa. Meglio la guerra a Putin?«Ma quali russi! Questo Skripal non contava niente, era in pensione da 14 anni, insegnava storia dell’intelligence ai ragazzini delle scuole russe. Putin è molto intelligente, che interesse aveva a farlo fuori? Può crederci solo quella vecchia scopa di Theresa May, quest’inglese volgare che si crede Churchill, batte in arroganza Trump e dimentica cosa fecero i sovietici per aiutare i suoi padri». Così lo scrittore russo Eduard Limonov, intervistato da Francesco Battistini per il “Corriere della Sera”. «Questi avvelenamenti sono una commedia», dice. «Una guerra di parole». L’ex spia Sergej Skripal, avvelenato in Inghilterra col gas nervino? La Russia non c’entra: «Si ricorda il Dottor No di James Bond? È stato un diabolico Dottor No a fare il lavoro», sostiene Limonov, facendo eco all’ex ambasciatore britannico Craig Murray, che sospetta del Mossad israeliano, in rotta con Mosca per l’impegno russo in Siria. Secondo Murray, il Cremlino non avrebbe mai potuto firmare il simile autogol, immediatamente colto come pretesto dal Regno Unito, che ha coinvolto Francia e Usa nella nuova guerra contro Putin a colpi di sanzioni. «Il mondo delle spie l’ho conosciuto in prigione», racconta Limonov al “Corriere”. «In cortile c’era un ufficio dell’Fsb, l’ex Kgb, e quando sono uscito e mi seguivano 12 agenti, li conoscevo tutti. Li ho ancora dietro, anche se vado al ristorante. Ho 75 anni: perché non mi lasciano in pace?».