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Patto franco-tedesco, Magaldi: minacciamoli di lasciare l’Ue
«Il governo gialloverde non fa paura a nessuno, in Europa: abbaia, ma non morde. Ecco perché l’oligarchia europea non ha alcun interesse a farlo cadere, men che meno per instaurare un esecutivo “tecnico” come quello di Monti, oggi improponibile all’elettorato italiano». Secondo Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, l’allarme lanciato da Gianfranco Carpeoro (Cottarelli al posto di Conte, in attesa di Draghi) ha un significato «sottilmente apotropaico», quello cioè di evocare un pericolo – l’ennesimo complotto – proprio allo scopo di scongiurarlo, “bruciandolo”. Per Magaldi, in fondo, la realtà è persino peggiore di quella tratteggiata da Carpeoro: perché «gli spaventapasseri Di Maio e Salvini non hanno nemmeno saputo approfittare della rivolta francese dei Gilet Gialli per pretendere, come avrebbero dovuto, il rispetto delle legittime istanze del governo italiano». Mazziati e cornuti, ma senza ammetterlo: «Bravi ad alzare la voce sui migranti e magari su Battisti, e invece zitti di fronte ai diktat della Commissione Europea», peraltro dominata da due paesi – Germania e Francia – che adesso, con lo scandaloso Trattato di Aquisgrana, «rifilano un ceffone plateale a tutti i cantori, anche italiani, della mitica Unione Europea, finora in realtà mai esistita e mai davvero nata».Chiamiamola Disunione Europea: è una cupola di oligarchi affaristi, impegnati a svuotare le nostre democrazie impoverendo i popoli. Di fronte a questo, «l’Italia dovrebbe minacciare di sospendere la vigenza dei trattati europei». Il dado è tratto, avverte Magaldi: ormai, i gruppi di potere (privatistici) che sostengono la Merkel e Macron hanno gettato la maschera. «Odiano a tal punto la democrazia, da stipulare un accordo smaccatamente egoistico, in danno degli altri paesi europei». Oltre all’incredibile “Consiglio dei ministri congiunto, franco-tedesco”, c’è anche «la barzelletta dei “due sederi” che si alternerebbero al seggio, attualmente solo francese, del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite». Parigi è disposta a cedere il 50% di quella poltrona a Berlino? «Curioso: da Francia e Germania, non una parola sul penoso stato in cui è ridotta l’Onu, ormai incapace di far rispettare i diritti umani nel mondo». Quanto alla Francia, «persino Di Maio, meglio tardi che mai, si è premurato di ricordare l’incredibile atteggiamento predatorio e neo-coloniale che i francesi impongono a 14 paesi africani, quelli da cui provengono molti dei migranti diretti in Italia, su cui poi il signor Macron si permette di fare lo spiritoso».Una denuncia che il presidente del Movimento Roosevelt anticipa in una video-chat su YouTube con Marco Moiso, ribadendola poi nel web-streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights”: l’Italia, semplicemente, non può accettare che una cricca di faccendieri oligopolisti decida – per giunta, parlando a nome del popolo tedesco e di quello francese – di prendere a calci i partner europei per tentare di ipotecare all’infinito il loro potere, finora affidato ai burattini Merkel e Macron. La verità è un’altra: la cancelliera è al tramonto, mentre l’Eliseo è assediato dalla rivolta di strada: 8 francesi su 10 voterebbero contro l’attuale presidente. E in queste condizioni i governi di Francia e Germania pensano di poter dichiarare guerra, impunemente, al resto d’Europa? I fatti potrebbero dar loro ragione, commenta Magaldi con amarezza, solo se il governo italiano continuasse la sua indecorosa manfrina: proclami altisonanti, per poi lasciarsi regolarmente umiliare. Sembra proprio che tutto sia cominciato il 27 maggio 2018, quando Lega e 5 Stelle hanno accettato di subire il “niet” di Mattarella sull’incarico a Paolo Savona come ministro dell’economia.Da lì in poi, gli oligarchi devono aver capito che il nascituro governo gialloverde si sarebbe rassegnato a ingoiare qualsiasi rospo, rinunciando alle grandi promesse della campagna elettorale: reddito di cittadinanza, Flat Tax, rottamazione della legge Fornero sulle pensioni. Per invertire la rotta e bocciare l’Europa del rigore serviva un deficit di almeno il 4%, capace di stimolare l’economia già nel 2019. Ma l’esecutivo Conte non è andato oltre la proposta del 2,4%, restando al di sotto della soglia (artificiosa, ideologica e dannosa) sancita dal famoso 3% di Maastricht. Salvo poi perdere definitivamente la faccia, facendosi limare un altro mezzo punto di deficit, sotto la minaccia della procedura d’infrazione. Risultato: accorciata ulteriormente la coperta, tutte le promesse gialloverdi sono evaporate. L’irrisorio reddito grillino appare condizionato da intricatissimi vincoli burocratici, mentre la riforma delle pensioni (quota 100) è ridotta a puro ecloplasma. E non s’è vista nessuna vera riduzione del carico fiscale. Anche per questo, dice Magaldi, i gialloverdi alzano il volume su questioni secondarie e irrilevanti, come l’arresto di Cesare Battisti, estradato solo perché in Brasile è salito al potere l’imbarazzante Bolsonaro.Un avviso a Salvini: non basta cambiare felpa, tutti i giorni, per nascondere la bancarotta politica del “governo del cambiamento”, che si sta rivelando una colossale presa in giro. «Che bisogno c’è di farlo cadere, un governo così docile? E’ perfetto, per lasciare tutto com’è». Con in più il vantaggio di dare agli italiani, per ora, l’illusione di un’inversione di rotta. «Ma attenzione: le cose possono cambiare in tempi rapidissimi». Se n’è accorto Matteo Renzi, «altro campione di chiacchiere», passato in pochi mesi dal 40% al ruolo di profugo politico. Anche per questo, sottolinea Magaldi, è necessario dare fiato a una nuova prospettiva, quella del “partito che serve all’Italia”, i cui promotori – tra cui Ilaria Bifarini, Nino Galloni e Antonio Maria Rinaldi – torneranno a riunirsi a Roma il 10 febbraio. Orizzonte: costruire un vero Piano-B per uscire dall’autismo dell’Europa degli oligarchi. Se ne parlerà anche a Londra il 30 marzo, in un forum sull’economia europea indetto dal Movimento Roosevelt, al quale parteciperanno personalità come Guido Grossi, già supermanager Bnl.E’ il momento di parlar chiaro, ribadisce Magaldi: oggi, l’Italia ha il dovere di convocare i partner europei – Francia e Germania in testa – per obbligarli a riscrivere le regole dell’Unione. Ovvero: una Costituzione democratica e un governo continentale finalmente eletto dal Parlamento Europeo, espressione diretta degli elettori. E quindi: una politica economica unitaria, la fine dello spread, il sostegno al debito mediante gli eurobond. Addio al Trattato di Maastricht e al suo ignobile 3%. O si disegna un New Deal, come invocato dallo stesso Savona nel suo discorso al Senato, o l’Europa è morta. E se Parigi e Berlino pensano di fare da sole, a maggior ragione: l’Italia le fermi. «Dica chiaramente, il nostro governo, che se la linea è quella del Trattato di Aquisgrana, il nostro paese sospende la vigenza di tutti i trattati europei». In questo modo, aggiunge Magaldi, l’Italia parlerebbe anche a nome degli altri partner Ue, esercitando un ruolo autorevole: «Un governo italiano realmente europeista, che denunciasse come anti-europeisti i difensori di questa Europa così com’è, dovrebbe dire a tutti gli altri partner che è giunta l’ora di sciogliere il patto».E questo, peraltro, «vorrebbe dire assumersi la leadership di un processo di riconversione democratica dell’Europa». Se invece Francia e Germania rifiutassero di ascoltare l’Italia, a quel punto «l’eventuale uscita dai trattati avrebbe ben altra legittimazione, anche internazionale». Certo, aggiunge Magaldi, lo schiaffo franco-tedesco deve bruciare soprattutto sulle guance «di tutti quegli imbecilli, anche italiani», che hanno fatto del mantra “ce lo chiede l’Europa” un dogma di fede, «credendo che il sogno europeo dovesse passare per l’imposizione di una governance post-democratica». Una sonora lezione anche per i velleitari “eroi” del nuovo sovranismo, ambigua bandiera «da sventolare in campagna elettorale, per poi ammainarla una volta al governo». Prendete Salvini: la sua ipotetica alleanza tra nazionalismi contava soprattutto su Ungheria e Polonia, «cioè proprio i due paesi che, per primi, hanno bocciato la manovra del governo Conte».Per Magaldi, in sostanza, «dobbiamo essere abili, e anche leali verso gli altri popoli europei». Illusorio rifugiarsi entro i confini nazionali: chi rimpiange l’Italia della lira, che stava certamente assai meglio di quella dell’euro, «dimentica sempre di ricordare che il nostro paese beneficiava innanzitutto del supporto internazionale degli Usa». Ovvero: «Con gli “assi” fondati sugli egoismi nazionali non si va da nessuna parte: fare da soli è impossibile, in un mondo sempre più interconnesso. E qualunque idea di una nazione isolata che possa resistere all’urto dei poteri globali è pura follia». L’alternativa? Semplice, in teoria: «Per contrastare le reti sovranazionali private, cementate da interessi inconfessabili, bisogna costruire reti sovranazionali pubbliche e finalmente democratiche». L’Italia di eri – fino a Monti, Letta, Renzi e Gentiloni – era «subalterna, imbelle e servile». Quella di oggi, gialloverde, preferisce «il piagnisteo velleitario, i proclami muscolari a cui poi non seguono i fatti». Serve un’altra Italia, «sovrana e democratica, orgogliosa di sé», capace di alzarsi in piedi e proporre la democrazia come modello imprescindibile, «non solo in Europa ma anche alle Nazioni Unite».«Il governo gialloverde non fa paura a nessuno, in Europa: abbaia, ma non morde. Ecco perché l’oligarchia europea non ha alcun interesse a farlo cadere, men che meno per instaurare un esecutivo “tecnico” come quello di Monti, oggi improponibile all’elettorato italiano». Secondo Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, l’allarme lanciato da Gianfranco Carpeoro (Cottarelli al posto di Conte, in attesa di Draghi) ha un significato «sottilmente apotropaico», quello cioè di evocare un pericolo – l’ennesimo complotto – proprio allo scopo di scongiurarlo, “bruciandolo”. Per Magaldi, in fondo, la realtà è persino peggiore di quella tratteggiata da Carpeoro: perché «gli spaventapasseri Di Maio e Salvini non hanno nemmeno saputo approfittare della rivolta francese dei Gilet Gialli per pretendere, come avrebbero dovuto, il rispetto delle legittime istanze del governo italiano». Mazziati e cornuti, ma senza ammetterlo: «Bravi ad alzare la voce sui migranti e magari su Battisti, e invece zitti di fronte ai diktat della Commissione Europea», peraltro dominata da due paesi – Germania e Francia – che adesso, con lo scandaloso Trattato di Aquisgrana, «rifilano un ceffone plateale a tutti i cantori, anche italiani, della mitica Unione Europea, finora in realtà mai esistita e mai davvero nata».
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La verità sul debito italiano: siamo stati “rapinati” nel 1981
Spread e debito pubblico: fanno ormai parte delle nostre vite, ne sentiamo parlare continuamente, ossessivamente, tanto da preoccuparcene più della disoccupazione giovanile a livelli inverosimili e di una mancata crescita che ormai ci sta traghettando dalla crisi alla recessione. Eppure l’opinione pubblica ha talmente interiorizzato la narrazione mercato-centrica del mainstream che non sembra credere ad altro: siamo stati spendaccioni e irresponsabili (Piigs) e dobbiamo dunque espiare le nostre colpe con una giusta dose di rigore e disciplina. Dunque l’austerity è la giusta – nonché unica – strada da percorrere, così come vuole l’approccio dogmatico del modello economico neoliberista, il tatcheriano Tina, “there is no alternative”. Abbiamo un debito pubblico intorno al 130% del Pil, secondo in Ue solo a quello della Grecia, per cui meritiamo la condizione di sorvegliati speciali di Bruxelles e di essere dunque defraudati di una nostra politica fiscale autonoma (di quella monetaria siamo già stati privati). È la strada indicata dalla “virtuosa” Germania, esempio di disciplina e rispetto delle regole per noi italiani, così dissoluti e un anche un po’ scostumati. Ma quando si è creato il fardello del debito pubblico italiano? Tutto parte nel 1981, in cui accade un evento epocale, che fa da spartiacque nella storia della sovranità economica italiana: il famoso divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro.Con un atto quasi univoco, cioè una semplice missiva all’allora governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, Andreatta mette fine alla possibilità del governo di finanziare monetariamente il proprio disavanzo. Rimuovendo l’obbligo allora vigente da parte di Palazzo Koch di acquistare i titoli di Stato emessi sul mercato primario, la Banca d’Italia dismette il ruolo di prestatrice di ultima istanza. D’ora in poi, per finanziare la propria spesa pubblica, l’Italia deve attingere ai mercati finanziari privati, con la conseguente esplosione dei tassi d’interesse rispetto a quelli garantiti in precedenza. Ma non solo: viene rivisto il meccanismo di collocamento dei titoli di Stato, introducendo il cosiddetto “prezzo marginale d’asta”, che consente agli operatori finanziari di aggiudicarsi i titoli al prezzo più basso tra quelli offerti e, quindi, al tasso di interesse più alto. Ad esempio, se durante un’emissione di 50 miliardi di Btp, 40 vengono aggiudicati a un rendimento del 3%, mentre il restante al 5%, alla fine tutti i 50 miliardi saranno aggiudicati al 5%! Gli effetti sono tanto disastrosi quanto immediati: l’ammontare di debito, che nel 1981 era intorno al 58,5%, dopo soli tre anni raddoppia e nel 1994 arriva al 121% del Pil.Come riportato dallo stesso Andreatta alcuni anni dopo, questo stravolgimento strutturale era necessario per salvaguardare i rapporti tra Unione Europea e Italia, e per consentire al nostro paese di aderire allo Sme, ossia l’accordo precursore del sistema euro. Quando l’Italia fa il suo ingresso nell’euro non risponde ai parametri del debito pubblico richiesti da Maastricht, ma l’interesse politico e l’artefatto entusiasmo generale per la sua partecipazione hanno la meglio. Sarà la crisi del 2008 a far emergere tutti i limiti e la fallimentarietà di un’area valutaria non ottimale e insostenibile come l’Eurozona: l’Italia, come altri paesi, senza la possibilità di ricorrere alla svalutazione del cambio, non riesce a recuperare terreno. Il debito pubblico, che finora era rientrato in una fase discendente, passa dal 102,4% al 131,8% del 2017. Una crescita notevole, ma di gran lunga ridimensionata se paragonata all’incremento del debito pubblico di altri paesi dell’area euro, come Spagna, Portogallo e la stessa Francia.Nello stesso arco temporale, infatti, Madrid ha visto il suo debito pubblico schizzare dal 38,5% al 98,3%, il che significa un tasso incrementale di circa il 150%! La crisi non ha risparmiato neanche il vicino Portogallo, che è arrivato lo scorso anno a un livello del debito molto vicino al nostro (125,7%), partendo da un “contenuto” 71,7% del 2008. Eppure i due paesi iberici hanno sforato ripetute volte il famigerato vincolo del 3% – parametro tanto assiomatico quanto infondato – permettendo così all’economia di tornare a crescere, a differenza di quella italiana che si è incamminata nel percorso distruttivo dell’austerity. Situazione analoga per la Francia, con un valore del debito pubblico allo scoppiare della crisi inferiore del 70% e che oggi si aggira intorno al 100%, ma senza che ciò le abbia impedito di aumentare la spesa pubblica e il deficit di bilancio, assicurando in questo modo la crescita del Pil.Dunque, sintetizzando, il nostro famigerato debito pubblico è sì più elevato, ma è partito da una situazione di evidente svantaggio, ed è cresciuto in termini percentuali del tutto in linea con l’andamento degli altri paesi dell’euro a seguito della crisi; anzi, anche meno di altri, come abbiamo visto, e aggravato dalle politiche di austerity, i cui effetti deprimenti sull’economia sono conclamati. Rimane il problema dei tassi d’interesse (da cui il famigerato spread), da noi più elevati che altrove, proprio a causa delle modalità dei meccanismi di collocamento dei titoli di Stato introdotte a seguito dell’epocale divorzio tra i due istituti finanziari italiani. È stato stimato che in trent’anni abbiamo pagato la colossale cifra di 3mila miliardi di interessi sul debito pubblico! In queste circostanze a nulla valgono gli sforzi fiscali dell’Italia, che registra da quasi trent’anni avanzo primario, ossia quella situazione, del tutto antisociale, per cui lo Stato incassa più di quanto spende, esclusi gli interessi sul debito pubblico. Per onorare il costo del debito, ossia quell’assurda creazione del denaro dal denaro, vengono sottratte risorse finanziarie per servizi pubblici e sostegno alla popolazione in difficoltà. Dunque, una redistribuzione al contrario, dai cittadini ai mercati finanziari. Il tempo delle riforme è ormai improcrastinabile.(Ilaria Bifarini, “Tutta la verità sul debito pubblico, contro le menzogne di Bruxelles”, da “Il Primato Nazionale” del 10 gennaio 2019).Spread e debito pubblico: fanno ormai parte delle nostre vite, ne sentiamo parlare continuamente, ossessivamente, tanto da preoccuparcene più della disoccupazione giovanile a livelli inverosimili e di una mancata crescita che ormai ci sta traghettando dalla crisi alla recessione. Eppure l’opinione pubblica ha talmente interiorizzato la narrazione mercato-centrica del mainstream che non sembra credere ad altro: siamo stati spendaccioni e irresponsabili (Piigs) e dobbiamo dunque espiare le nostre colpe con una giusta dose di rigore e disciplina. Dunque l’austerity è la giusta – nonché unica – strada da percorrere, così come vuole l’approccio dogmatico del modello economico neoliberista, il tatcheriano Tina, “there is no alternative”. Abbiamo un debito pubblico intorno al 130% del Pil, secondo in Ue solo a quello della Grecia, per cui meritiamo la condizione di sorvegliati speciali di Bruxelles e di essere dunque defraudati di una nostra politica fiscale autonoma (di quella monetaria siamo già stati privati). È la strada indicata dalla “virtuosa” Germania, esempio di disciplina e rispetto delle regole per noi italiani, così dissoluti e un anche un po’ scostumati. Ma quando si è creato il fardello del debito pubblico italiano? Tutto parte nel 1981, in cui accade un evento epocale, che fa da spartiacque nella storia della sovranità economica italiana: il famoso divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro.
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Ue sleale con l’Italia, mentre alla Francia perdona il deficit
Lo stallo con i funzionari europei. Ministri che volano a Bruxelles per negoziare un accordo d’ultimo minuto. Grida di tradimento a casa. Oscuri avvertimenti di calamità economiche e di agitazione sociale. No, non è il serial della Brexit a Westminster ma la crisi europea che tutti sembrano avere dimenticato: il confronto tra Bruxelles e Roma sul bilancio italiano. A ottobre, la coalizione italiana di governo, compresa la Lega di estrema destra e il movimento populista Cinque Stelle (M5S) hanno presentato una bozza di bilancio con molte delle promesse elettorali dei partiti come il reddito di cittadinanza per i disoccupati e l’accantonamento di una precedente proposta di aumentare l’età pensionabile. Il bilancio avrebbe aumentato il deficit italiano al 2.4% del Pil, un tasso più alto di quello previsto dal governo precedente ma più basso del limite europeo del 3%. Ciononostante, in una mossa senza precedenti, la Commissione Europea ha bocciato il bilancio per la violazione della regola fiscale. La previsione di crescita di Roma, ha insistito, è fin troppo ottimista e il vero rapporto deficit-Pil aumenterebbe al 3%. L’Italia è stata minacciata di sanzioni.La settimana scorsa il governo a Roma ha ceduto stilando un bilancio più austero. Se sia sufficiente per placare la Commissione rimane ancora tutto da vedere. L’Italia taglia il bersaglio del deficit del 2019 al 2.04% per evitare le sanzioni Ue. La reale difficoltà dell’Italia deriva non tanto dal suo deficit annuo quanto dal suo debito, che ammonta adesso a 2.600 miliardi, circa il 133% del Pil, dietro solo alla Grecia, nell’Eurozona. Se l’Italia dovesse fare default, il fragile sistema finanziario europeo potrebbe cadere a pezzi. Così la Commissione vuole che Roma vada avanti per far quadrare i conti, e rapidamente. In Gran Bretagna, il perseguimento da parte dei Tories di una simile strategia ha squartato il tessuto sociale della nazione. In Italia, dove solo un terzo dei giovani ha un lavoro, e oltre 5 milioni di persone vivono in “povertà assoluta”, l’impatto potrebbe essere devastante. Lo stallo sul bilancio non è solo un argomento economico ma è un dibattito politico, che solleva interrogativi sulla democrazia. Bruxelles sta dicendo a Roma: «Non ci interessa il voto degli italiani. La democrazia importa meno delle nostre regole fiscali». Questo non è solo antidemocratico ma è anche politicamente pericoloso.La coalizione attuale al governo fa parte del prodotto della risposta europea all’ultima crisi del debito in Italia nel 2011. L’Ue chiese allora che il Parlamento italiano approvasse un pacchetto di misure altamente austere, imponendo quasi 60 miliardi di tagli. Il primo ministro Silvio Berlusconi dovette rassegnare le dimissioni per essere sostituito da un tecnocrate non eletto, Mario Monti, che vigilò sul programma di austerity. Venne poi rivelato che l’Ue aveva brigato per mesi per sostituire Berlusconi con Monti. Due anni dopo, quando si tennero le elezioni, la rabbia popolare sia per la sospensione delle procedure democratiche sia per le conseguenze dell’austerity condotte da Monti, respinsero il partito di Monti e fecero pregustare al Movimento 5 Stelle il suo primo successo elettorale. Cinque anni dopo, la rabbia pubblica (che proseguiva) propulsò il M5S e la destra anti-immigrati, la Lega, al potere alle elezioni di marzo scorso. Oggi la Lega è il partito più popolare in Italia. L’Ue sembra non avere imparato niente dalla storia.Il contrasto tra il trattamento europeo dell’Italia e quello della Francia è sintomatico. Fino all’anno scorso, la Francia aveva violato la regola del deficit ogni anno, dal 2008. Non è mai stata sanzionata. La capitolazione del presidente Emmanuel Macron davanti alle proteste dei Gilets Jaunes, promettendo di aumentare lo stipendio minimo e la defiscalizzazione degli aumenti delle pensioni minime, ha reso probabile lo sforamento della Francia della regola del 3% l’anno prossimo. Ai primi del 2003, la Corte europea di giustizia aveva sentenziato che i ministri delle finanze europee erano stati negligenti nel non penalizzare la Francia e la Germania per le violazioni delle regole dell’Eurozona. Quindici anni dopo, i colossi europei rimangono liberi di calpestare le regole mentre le nazioni più piccole (e meno piccole come l’Italia) devono sopportare penalità sociali. Il governo italiano ha varie politiche odiose, in particolare l’attacco brutale ai migranti da parte del ministro degli interni e leader della Lega, Matteo Salvini. Le politiche dei 5 Stelle, sebbene non siano così utopistiche, sono tuttavia tra le più progressiste della coalizione. E così quale è la reazione dell’Unione Europea? Accetta le politiche reazionarie in materia d’immigrazione ma non accetta alcun pacchetto di misure economiche per aiutare gli indigenti?(Kenan Malic, estratto da “Lo spietato trattamento europeo dell’Italia non fa che rafforzare il risentimento popolare”, articolo apparso sul “Guardian” il 16 dicembre 2018 e tradotto da Nicoletta Forcheri per “Scenari Economici”).Lo stallo con i funzionari europei. Ministri che volano a Bruxelles per negoziare un accordo d’ultimo minuto. Grida di tradimento a casa. Oscuri avvertimenti di calamità economiche e di agitazione sociale. No, non è il serial della Brexit a Westminster ma la crisi europea che tutti sembrano avere dimenticato: il confronto tra Bruxelles e Roma sul bilancio italiano. A ottobre, la coalizione italiana di governo, compresa la Lega di estrema destra e il movimento populista Cinque Stelle (M5S) hanno presentato una bozza di bilancio con molte delle promesse elettorali dei partiti come il reddito di cittadinanza per i disoccupati e l’accantonamento di una precedente proposta di aumentare l’età pensionabile. Il bilancio avrebbe aumentato il deficit italiano al 2.4% del Pil, un tasso più alto di quello previsto dal governo precedente ma più basso del limite europeo del 3%. Ciononostante, in una mossa senza precedenti, la Commissione Europea ha bocciato il bilancio per la violazione della regola fiscale. La previsione di crescita di Roma, ha insistito, è fin troppo ottimista e il vero rapporto deficit-Pil aumenterebbe al 3%. L’Italia è stata minacciata di sanzioni.
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Magaldi: noi massoni coi Gilet Gialli, mentre Roma dorme
La rivolta dei Gilet Gialli? Un clamoroso “assist” destinato proprio al governo italiano, l’unico che abbia finora contestato il rigore europeo da un’aula istituzionale. Chi si è opposto frontalmente ai gialloverdi, fin da subito? Lui, Emmanuel Macron. E proprio ora che il presidente francese barcolla, travolto dalla marea della protesta, l’Italia che fa? «Abbassa le orecchie, e accetta di farsi amputare il deficit che aveva orgogliosamente rivendicato, illudendo mezza Europa che proprio da Roma fosse cominciato il grande disgelo, la fine dello strapotere della tecnocrazia Ue». Ma se qualcuno pensa che i Gilet Gialli siano un fenomeno esclusivamente spontaneo, non sorretto da una precisa regia, si illude come chi pensa che l’attentato di Strasburgo non sia stato cinicamente pianificato, per aiutare Macron, da settori deviati dei servizi segreti francesi. «Secondo i loro piani doveva finire 1-1, con l’attentato destinato a sedare la protesta, pareggiando i conti. E invece è finita 2-0, la partita, perché tutti – tranne i media mainstream – hanno mangiato la foglia: una strage smaccatamente tempestiva, attuata all’indomani della “resa” di Macron ai Gilet Gialli e condotta nel solito modo, con il misterioso attentatore sbucato dal nulla e poi immancabilmente ucciso, prima che potesse essere interrogato».Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt ed esponente del circuito massonico progressista internazionale, rilancia le accuse anticipate da Gianfranco Carpeoro in web-streaming su YouTube” con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Vero, la strage dell’11 dicembre a Strasburgo è stata condotta da manovalanza pseudo-jihadista. Ma Cherif Chekatt, collegato alle brigate Al-Nusra asserragliate a Idlib in Siria sotto protezione francese, era solo l’ennesima, sciagurata pedina della famigerata “sovragestione” del peggior potere: quella che ha insanguinato l’Europa negli ultimi anni, con attentati “a orologeria” affidati a killer dell’Isis, filiazione diretta del network terroristico prima noto come Al-Qaeda ma sempre controllato da settori dell’intelligence Nato. Si tratta di servizi infiltrati dalla stessa supermassoneria neo-oligarchica che ha sfigurato il mondo, a partire dall’11 Settembre. Una guerra sporca, sotto falsa bandiera e nutrita di “fake news” governative: gli attentati “false flag” (che attaccano la folla inerme, mai i centri di potere) sono perfettamente simmetrici rispetto al marmoreo autoritarismo neo-feudale di Bruxelles, che ha confiscato democrazia e sovranità in Europa sulla base di dogmi ideologici come il rigore di bilancio imposto agli Stati.Contro questo diktat si era levato il governo gialloverde. E proprio per sostenere l’esecutivo italiano contro il suo maggiore nemico – afferma Magaldi – in Francia “qualcuno” ha promosso la sollevazione dei Gilet Gialli. Ma a Roma, anziché approfittarne, si sono lasciati spaventare dalla Commissione Europea. Sono esplosive, le dichiarazioni che Magaldi rilascia a Frabetti, nel colloquio online trasmesso su YouTube il 17 dicembre: ebbene sì, il circuito massonico progressista agisce dietro le quinte della protesta francese dei Gilet Gialli. «E’ vero», ammette Magaldi, «dovrei fare nomi e cognomi: sigle, associazioni». Ma, assicura, «non mancherò di metterli per iscritto, i nomi dei massoni sostenitori della rivolta francese». Per ora, il presidente del Movimento Roosevelt fa appello «alla sottigliezza di tutti». Come dire: aprite gli occhi, signori. Pensare che un paese come la Francia possa esser messo ko da una protesta di massa esclusivamente spontanea è davvero ingenuo, almeno quanto il credere che un giovane malavitoso, pluri-pregiudicato e sospettato di radicalismo islamista, possa davvero andarsene a spasso (armato) per il centro ultra-presidiato di Strasburgo, a due passi dal Parlamento Europeo, per poi fare comodamente una strage – 4 morti e 16 feriti – e quindi tornarsene a casa indisturbato, in taxi, senza che nessuno abbia vigilato sulla sua ignobile impresa.«Stavolta – dice Magaldi – il teatro mostra quello che c’è dietro il palcoscenico, nei camerini: il Re è sempre più nudo». Peccato che l’ultimo ad accorgersene sembra sia il governo italiano: non toccava proprio ai gialloverdi salire per primi sulle barricate francesi per rilanciare in Europa la sfida della democrazia contro l’oligarchia? E se qualcuno pensa che Magaldi vaneggi, quando intesta alla massoneria progressista un ruolo determinante, dietro le quinte dello scenario europeo in rivolta, si sbaglia di grosso. Magaldi non è solo l’autore del bestseller “Massoni”, che svela il ruolo occulto delle superlogge neo-oligarchiche nella globalizzazione neoliberista, fino alle estreme conseguenze del terrorismo “false flag”. Il presidente del Movimento Roosevelt è organico al circuito massonico progressista che a livello internazionale si oppone al dominio neo-feudale dell’élite finanziaria. E il primo a saperlo è proprio il governo italiano. Non a caso, racconta sempre Magaldi nello streaming su YouTube con Frabetti, alcuni esponenti della Lega lo hanno avvicinato, nei giorni scorsi, per chiedergli una sorta di intercessione: intervenire, a livello europeo, per aiutare l’Italia nella drammatica trattativa con Bruxelles. La risposta: ma non vedete quello che sta succedendo in Francia? Di cos’altro avete bisogno, per mandare a stendere gli spaventapasseri della Commissione Europea?Magaldi cita il rammarico di un amico come Aldo Storti, «uno degli animatori della scuola politica della Lega, che è forse lo strumento migliore grazie a cui la Lega è maturata negli ultimi anni». Scontenti, i leghisti, delle pesanti critiche mosse da Magaldi all’eccessiva timidezza della manovra gialloverde: «Nonostante i proclami altisonanti e le dichiarazioni virili, muscolari e sprezzanti – ribadisce il presidente del Movimento Roosevelt – alla fine il governo italiano ha abbassato le orecchie e adesso sta col fiato sospeso per paura che la manovra non venga approvata dall’Ue, cui ha purtroppo riconosciuto l’ultima parola». Di fatto quella del governo Conte «è una manovrina, nonostante tutti ripetano che contiene le misure innovative e rivoluzionarie annunciate: in realtà contiene poche cose, alcune anche interessanti, ma non la sfida ai paradigmi europei che gli elettori si aspettavano». Esponenti della maggioranza gialloverde chiedono più impegno, da parte della massoneria progressista, nel sostenere il governo Conte in sede politica europea e magari anche sul piano finanziario, contribuendo a spuntare l’arma di ricatto dello spread? Un po’ di franchezza a questo punto non guasterebbe: perché non essere trasparenti?Sarebbe stato meglio, sottolinea Magaldi, se questa richiesta di aiuto fosse stata formulata in modo esplicito. Invece il governo, in modo ipocrita, ha messo addirittura nel suo “contratto” l’incompatibilità tra massoneria e cariche istituzionali, senza neppure distinguere tra massoni neoaristocratici e massoni progressisti, salvo poi reclutare alcuni grembiulini (non dichiarati) in vari ministeri, come quello di Giovanni Tria. In realtà, ribadisce Magaldi, quell’aiuto c’è stato, eccome, anche se «di segno diverso, più intonato a questo modo di comportarsi alquanto sibillino, da parte di tutti – anche di quelli che chiedono aiuti ma non sono disposti a offrire una narrazione sincera, sul rapporto con la massoneria». Un soccorso pesantissimo, dunque, proprio dalla Francia: «Un aiuto tanto importante, ancorché raffinato, sottile e benignamente machiavellico, al punto da creare qualche difficoltà ai negoziatori europei». E l’Italia? Se c’era, dormiva. Lega e 5 Stelle non bastano? Anche per questo, probabilmente, Magaldi pensa – tra le altre cose – al progetto del “partito che serve all’Italia”, i cui promotori si incontreranno il 22 dicembre a Roma per mettere insieme un’agenda che, dal 2019, possa ispirare la costruzione di un progetto politico non disponibile a cedere alle mediazioni con l’Ue alle quali si è rassegnato il governo Conte.Se non altro, dal fronte francese arrivano soltanto ottime notizie: la “sovragestione” è in affanno, Macron alza bandiera bianca di fronte ai Gilet Gialli (annunciando che sforerà il 3% del deficit per alzare i salari) e le solite “manine” specializzate nella strategia della tensione non vanno oltre il sanguinoso autogoal di Strasburgo, dove tutti hanno capito che chi vigilava sulla sicurezza non poteva non sapere cosa stesse accadendo. «Non nascondiamoci dietro ai veli», insiste Magaldi: «Abbiamo rivisto il solito copione dell’attentatore misteriosamente sfuggito alle maglie della polizia e dei servizi, per poi allontanarsi in taxi e venire immancabilmente ucciso, ad evitare la possibilità di interrogatori». Aggiunge: «Questo bisogna dirlo, perché ormai il teatro è tragicamente farsesco». Ovvero: «Si immagina che si cerchi di prenderlo vivo, un killer dai contorni come al solito irrisolti. E infatti ci sono molti modi in cui le forze di sicurezza (polizia, antiterrorismo, servizi) possono braccare un uomo solo, metterlo in condizioni di non nuocere, arrestarlo e interrogarlo». Invece la sceneggiatura è ancora una volta la seguente: compare dal nulla «un lupo solitario, che poi naturalmente viene rivendicato come “soldato” dell’Isis, ma poi viene fatto fuori. E così la questione viene chiusa».Certo, magari «i complottisti le sparano grosse, perché non sanno bene di cosa parlano: vedono il complotto, ma non capiscono di che complotto si tratti». Però, aggiunge Magaldi, l’evento di Strasburgo «è riuscito male, stavolta è stato davvero grossolano – così come la tempistica, troppo smaccata – e quindi non avrà affetti su quello che sta accadendo in Francia e nel resto d’Europa». I servizi francesi? Pagine ingloriose: gli organi di sicurezza transalpini «hanno dato dimostrazione della loro efficienza anche sotto Hollande, con gli attentati di Parigi a due passi dal presidente stesso». Magaldi allude a «segmenti deviati, asserviti a interessi non istituzionali». Uno spettacolo increscioso: «Nessuno, sano di mente (se non il coro mediatico mainstream) avrebbe potuto ritenere “normale”, a suo tempo, quello che è stato fatto dai terroristi. E nessuno, sano di mente, penserebbe che un tizio come l’attentatore di Strasburgo possa davvero agire indisturbato, senza aiuti da parte di precisi settori delle forze di sicurezza». Ma stavolta, insiste ancora Magaldi, ai gestori dell’auto-terrorismo è andata male: otto francesi su dieci continuano a sostenere i Gilet Gialli, e non credono affatto che Cherif Chekat, a Strasburgo, abbia fatto tutto da solo. Meglio ancora: non credono neppure alle ultime promesse di Macron, e infatti continuano a protestare.Credevano che la rivolta finisse, in Europa, rimettendo in riga il ribelle governo gialloverde? Errore: il focolaio della protesta anti-establishment si è trasferito proprio nel paese il cui governo si era maggiormente distinto nel bacchettare l’Italia. E non è che l’inizio, dice Magaldi. A maggior ragione, c’è da mangiarsi le mani per la pavidità dell’esecutivo Conte: ha sbagliato un goal a porta vuota, sempre per restare nella metafora calcistica. Proprio così: il “governo del cambiamento” «si è messo nella condizione di non poter sfruttare (come andava sfruttato) quello che sta accadendo in Francia», accontentandosi di ricevere pacche sulle spalle dagli oligarchi Ue. «I signori dell’Europa ora dicono: va bene, vi concediamo questo 2,04% di deficit; fatevi pure le vostre cosine, tanto avete abbassato le penne e vi siete rimessi in riga, e questo è più importante di qualunque numero decimale, al di là delle dichiarazioni fokloristiche di Salvini». Il leader leghista giura che i numeri non gli interessano? Strano: «Proprio di numeri, invece, è andato a parlare il premier a Bruxelles. Si preoccupano tutti, dei numeri: tant’è che adesso l’Italia – da nazione che sembrava in procinto di sfidare il vigente paradigma tecnocratico dell’austerity – è una nazione che non osa nemmeno fare le cose che Macron è ora costretto a fare, sull’onda della protesta».Per Magaldi, la rivolta dei Gilet Gialli è «molto proficua, anche sul piano dell’immaginario collettivo – più ancora che su quello dei risultati che potrà ottenere, e più della confusione che regna tra chi mette in atto la protesta stessa». Quello che conta, riassume il presidente del Movimento Roosevelt, è che la contestazione francese «è animata anche da un’intenzione più profonda: ed è a questa che mi riferisco – precisa – quando parlo dei massoni democratici e progressisti». Circuiti che, sempre secondo Magaldi, «stanno dimostrando – in Europa – di agire nel back-office nella giusta direzione, che è quella che deve mettere in discussione il paradigma esistente e far tremare le poltrone di quelli che pensavano di poter guidare impunemente il carretto nella direzione da loro auspicata». Loro, i sovragestori dell’Unione: «Da parte di alcuni c’è una incapacità di gestire lo “strumento Macron”, e c’è anche l’incapacità di gestire questi attentati, nel tentativo di arginare il valore anzitutto simbolico, evocativo e ideologico della protesta dei Gilet Gialli». Come dire: governo gialloverde o meno, quelli che Magaldi chiama “fratelli progressisti” starebbero di fatto «riguadagnando terreno». Una previsione: «Giocheranno questa grande partita a scacchi con sapienza e lungimiranza». L’altra buona notizia? «Sul fronte opposto vedo molta confusione, molta ansia, molti errori». Qualcosa sta cambiando, insomma, in modo radicale. Ne prendano nota, i mancati “rivoluzionari” gialloverdi.La rivolta dei Gilet Gialli? Un clamoroso “assist” destinato proprio al governo italiano, l’unico che abbia finora contestato il rigore europeo da un’aula istituzionale. Chi si è opposto frontalmente ai gialloverdi, fin da subito? Lui, Emmanuel Macron. E proprio ora che il presidente francese barcolla, travolto dalla marea della protesta, l’Italia che fa? «Abbassa le orecchie, e accetta di farsi amputare il deficit che aveva orgogliosamente rivendicato, illudendo mezza Europa che proprio da Roma fosse cominciato il grande disgelo, la fine dello strapotere della tecnocrazia Ue». Ma se qualcuno pensa che i Gilet Gialli siano un fenomeno esclusivamente spontaneo, non sorretto da una precisa regia, si illude come chi pensa che l’attentato di Strasburgo non sia stato cinicamente pianificato, per aiutare Macron, da settori deviati dei servizi segreti francesi. «Secondo i loro piani doveva finire 1-1, con l’attentato destinato a sedare la protesta, pareggiando i conti. E invece è finita 2-0, la partita, perché tutti – tranne i media mainstream – hanno mangiato la foglia: una strage smaccatamente tempestiva, attuata all’indomani della “resa” di Macron ai Gilet Gialli e condotta nel solito modo, con il misterioso attentatore sbucato dal nulla e poi immancabilmente ucciso, prima che potesse essere interrogato».
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A Strasburgo l’attentato salva-Macron, nei guai in Francia
«Ci risiamo. Puntuale come un orologio svizzero arriva l’attentato che distoglie dai veri problemi politici e sposta l’attenzione sul “terrorismo internazionale”». Massimo Mazzucco non ha dubbi: è davvero micidiale la “sincronicità” con la quale l’11 dicembre il giovane Cherif Chekatt, lasciato circolare liberamente in Francia nonostante le 27 condanne già rimediate in tre diversi paesi, avrebbe aperto il fuoco sulla folla a Strasburgo uccidendo 3 persone e ferendone 16, tra cui il giornalista italiano Antonio Megalizzi (gravissimo, in coma forse irreversibile). «Ormai – scrive Mazzucco, su “Luogo Comune” – la dinamica è talmente prevedibile che bisognerebbe quasi farne una regola: se un certo governo attraversa un periodo particolarmente difficile, state alla larga dai mercatini e dai luoghi affollati di quella nazione». Motivo: «La “cellula dormiente” di turno sarà pronta a risvegliarsi proprio in quelle occasioni». Pensate solo alla coincidenza, aggiunge Mazzucco: fino alla sera prima, tutti i telegiornali e le testate giornalistiche francesi parlavano solo di Macron, di come il suo discorso non fosse riuscito a placare i Gilet Gialli, e di come ormai la fine del suo governo apparisse scontata. Ma dall’indomani «tutto questo passa in secondo piano, perché ora ci dobbiamo occupare di Cherif Chekatt, l’uomo sospettato di aver sparato a Strasburgo e prontamente dato in pasto alla stampa mondiale dall’efficientissimo “Site” di Rita Katz, l’ex consulente del Mossad divenuta il megafono dell’Isis. «Davvero dobbiamo aggiungere altro?».Sembra un copione già scritto, aggiunge “Informare per Resistere”, eppure anche questa volta viene recitato come le altre. E una volta di più – come dopo Charlie Hebdo, Bataclan e tutti gli altri attentati firmati Isis in Europa – a reti unificate «sentiamo ripetere il mantra del terrorista islamico che dopo l’attentato si dà alla fuga». Non un terrorista qualunque, peraltro, ma il “solito” giovane islamista “radicalizzatosi” e ovviamente “attenzionato” dalla polizia. «Ci uniamo al dolore delle famiglie», aggiunge “Informare per Resistere”, che però rileva come siano «davvero strane» le tempistiche e la modalità dell’attentato, «che arriva puntualmente quando in Francia i Gilet Gialli incalzano il presidente Macron». I fatti sono sotto gli occhi di tutti: «Lo schema è sempre lo stesso, come quello di molti altri attentati: un presunto estremista islamico che poi sparisce nel nulla». Sul versante anti-complottista, “Fanpage” esibisce sconcerto per lo scetticismo degli stessi Gilet Gialli: «Secondo gli esponenti del movimento che da settimane sta inscenando proteste e manifestazioni in tutta la Francia, dietro all’attentato di Strasburgo ci sarebbe la regia del governo e del presidente Macron per distogliere lo sguardo dell’opinione pubblica francese dai disordini sociali delle ultime settimane».Su Facebook e Twitter, un saggio di quelle che “Fanpage” definisce «le folli teorie dei Gilet Gialli», di cui il sito pubblica estratti esemplari. Esempio: «Ecco, un piccolo attentato per mettere fine ai Gilet Gialli; molto forte questo Macron». Oppure: «Che caso, appena qualche giorno prima del quinto atto per calmare le pecore». E ancora: «E’ strano, non si sentiva più parlare di attentati, ma solo di noi Gilet Gialli e ora c’è stato un attentato a Strasburgo». Morale: «Non ci facciamo impressionare da questo attentato costruito dai servizi segreti». “Follie” dei Gilet Gialli o esaperazione dei francesi sopravvissuti alle mattanze degli anni scorsi, compiute da terroristi inutilmente “attenzionati dalla polizia” che si premuravano di lasciare sul posto il passaporto, prima di essere regolarmente freddati dai cecchini? Nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, il simbologo Gianfranco Carpeoro svela la regia supermassonica – non islamica – del “neoterrorismo” Isis in Europa, puntando il dito contro precisi settori dell’intelligence Nato. Schema classico: strategia della tensione. Tradotto: si “coltivano” potenziali kamikaze, a cui non necessariamente si racconta che fine faranno. Tecniche collaudate di terrorismo “false flag”, sotto falsa bandiera, infarcite di “fake news” diffuse dai grandi media per depistare l’opinione pubblica.Di recente, in morte di Bush padre, Gioele Magaldi (autore del bestseller “Massoni”, che illumina il potere occulto di 36 Ur-Lodges sovranazionali) ha ricordato il ruolo nefasto della superloggia “Hathor Pentalpha”, ritenuta coinvolta nell’incubazione dell’11 Settembre. Ipotesi: terrorismo di Stato condotto da frange illegali, le stesse che avrebbero “fabbricato” prima Al-Qaeda e poi l’Isis. Alla “Hathor”, sempre secondo Magaldi, era legato l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy. Lo stesso Magaldi non ha dubbi sulla cifra supermassonica di Macron, già banchiere Rothschild e pupillo del supermassone reazionario Jacques Attali, a suo tempo braccio destro di Mitterrand e ispiratore della conversione anti-progressista dell’Eliseo. Il giorno dell’ultimo attentato – martedì 11 – suona sinistro, nella simbologia massonica (l’11 può essere interpretato come “numero della morte”, come fu per l’11 Settembre a New York, data probabilmente non casuale – l’11 settembre del 1973 il massone Pinochet, in Cile, rovesciò con un golpe il massone progressista Allende). Inquietante la scelta della località dell’attentato – Strasburgo, sede francese del Parlamento Europeo – proprio mentre Macron, nel tentativo di sedare la rivolta dei Gilet Gialli, annuncia un deficit che potrebbe sforare il mitico 3% fissato, come limite invalicabile, dall’Unione Europea.«Ci risiamo. Puntuale come un orologio svizzero arriva l’attentato che distoglie dai veri problemi politici e sposta l’attenzione sul “terrorismo internazionale”». Massimo Mazzucco non ha dubbi: è davvero micidiale la “sincronicità” con la quale l’11 dicembre il giovane Cherif Chekatt, lasciato circolare liberamente in Francia nonostante le 27 condanne già rimediate in tre diversi paesi, avrebbe aperto il fuoco sulla folla a Strasburgo uccidendo 3 persone e ferendone 16, tra cui il giornalista italiano Antonio Megalizzi (gravissimo, in coma forse irreversibile). «Ormai – scrive Mazzucco, su “Luogo Comune” – la dinamica è talmente prevedibile che bisognerebbe quasi farne una regola: se un certo governo attraversa un periodo particolarmente difficile, state alla larga dai mercatini e dai luoghi affollati di quella nazione». Motivo: «La “cellula dormiente” di turno sarà pronta a risvegliarsi proprio in quelle occasioni». Pensate solo alla coincidenza, aggiunge Mazzucco: fino alla sera prima, tutti i telegiornali e le testate giornalistiche francesi parlavano solo di Macron, di come il suo discorso non fosse riuscito a placare i Gilet Gialli, e di come ormai la fine del suo governo apparisse scontata. Ma dall’indomani «tutto questo passa in secondo piano, perché ora ci dobbiamo occupare di Cherif Chekatt, l’uomo sospettato di aver sparato a Strasburgo e prontamente dato in pasto alla stampa mondiale dall’efficientissimo “Site” di Rita Katz», l’ex consulente del Mossad divenuta il megafono dell’Isis. «Davvero dobbiamo aggiungere altro?».
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Blondet: Salvini Ebbasta si è smarrito tra Berlino e Israele
«Chi vuole pace, sostiene il diritto all’esistenza e alla sicurezza di Israele». E fin qui tutto bene (o quasi, visto che il binomio “pace” e “Israele” suona estremamente controverso). Ma il condottiero Matteo Salvini, in missione nello Stato ebraico (che ha appena riformato le sue leggi introducendo una norma “razziale” che pone gli ebrei al di sopra di chiunque altro), aggiunge, sul suo profilo Instagram: «Sono appena stato ai confini nord con il Libano, dove i terroristi di Hezbollah scavano tunnel e armano missili per attaccare il baluardo della democrazia in questa regione». I “terroristi” di Hezbollah? Replica Maurizio Blondet: non sa, Salvini, che Hezbollah «ha pagato un alto prezzo di sangue combattendo contro i terroristi veri, quelli dell’Isis, armati e addestrati e protetti da Israele e Usa? Non sa che sono alleati in Libano con i cristiani maroniti, e hanno difeso con le armi in pugno i cristiani d’Oriente, da tutti noi abbandonati? Non hanno spiegato, a Salvini, che proprio Hezbollah – insieme ai russi e agli iraniani – ha sostenuto la Siria, impedendo che cadesse nelle mani dei tagliagole jihadisti messi in campo, sottobanco, dall’intelligence occidentale con l’aiuto di Netanyahu e Erdogan, due notori campioni della democrazia e dalla pace nel mondo?«Non solo vicepremier, non solo ministro dell’interno». Adesso, scrive Blondet, Salvini «scavalca tutti e fa il ministro degli esteri. Insomma, fa tutto lui. E anche di più. Naturalmente raccogliendo enormi successi diplomatici». Blondet lo definisce il classico elefante nella cristalleria, che va a spasso in Israele «ignorando come gli israeliani lo abbiamo insultato sui giornali, dicendo che dovevano dichiararlo “persona non grata” perché neofascista, “populista, separatista, nazionalista”». E questo «lo dicono “loro”, unico stato razziale, a lui». “La visita di Salvini divide Israele”, scriveva l’Agi alla vigilia: «Il vicepremier incontrerà il premier Netanyahu ma non il presidente Rivlin (per motivi di agenda, spiega il portavoce). Il quotidiano di sinistra “Haaretz” lo dichiara “persona non gradita”». Perché la visita di Matteo Salvini in Israele sta facendo tanto discutere? Voci di protesta si alzano anche dai 5 Stelle, che sulla questione israelo-palestinese hanno posizioni ben diverse da quelle del leader della Lega.Già nel comizio di sabato, a Roma, secondo i media, Salvini si era proposto «come ministro per l’Europa e premier» indossando abiti non suoi annunciando di parlare «a nome di 60 milioni italiani», con questo obiettivo: «Datemi mandato per trattare con la Ue». Poi però ha proclamato che intende mettere in piedi «un nuovo asse Roma-Berlino», da opporre al morente asse franco-tedesco. «Se fosse cosciente dell’enormità di quel che dice – scrive Blondet – sarebbe sì fascista», ma invece «lui non sa». Aggiunge Blondet: «Per sua bocca, semplicemente, parla l’Italia di Sfera Ebbasta arrivata al governo. Quindi il commento giusto è quello di Osho: “Stavolta al Giappone non gli diciamo un cazzo”». Ma come, fino a ieri Salvini era per l’uscita dall’Ue e adesso vuole l’alleanza con la Germania, che ha messo ko l’Italia con l’austerity? Scrive l’analista Giovanni Zibordi: se il Piano-A era il 2,4% di deficit, il Piano-B sarebbe il 2%, al minimo accenno di contrarietà da parte di Bruxelles? «C’è caos totale sulla Brexit, le banche europee crollano in Borsa, Francia nel caos che ora sfonda l’austerità, recessione in arrivo… Gente con un minimo di competenza, a Roma, avrebbe dettato le condizioni alla Ue, infischiandosene della spread che è un bluff». Non pago, Salvini fa il messia in Israele. Chiosa Blondet: «Qualcuno è in grado di fermarlo, Sfesso Ebbasta? Sedarlo?».«Chi vuole pace, sostiene il diritto all’esistenza e alla sicurezza di Israele». E fin qui tutto bene (o quasi, visto che il binomio “pace” e “Israele” suona estremamente controverso). Ma il condottiero Matteo Salvini, in missione nello Stato ebraico (che ha appena riformato le sue leggi introducendo una norma “razziale” che pone gli ebrei al di sopra di chiunque altro), aggiunge, sul suo profilo Instagram: «Sono appena stato ai confini nord con il Libano, dove i terroristi di Hezbollah scavano tunnel e armano missili per attaccare il baluardo della democrazia in questa regione». I “terroristi” di Hezbollah? Replica Maurizio Blondet: non sa, Salvini, che Hezbollah «ha pagato un alto prezzo di sangue combattendo contro i terroristi veri, quelli dell’Isis, armati e addestrati e protetti da Israele e Usa? Non sa che sono alleati in Libano con i cristiani maroniti, e hanno difeso con le armi in pugno i cristiani d’Oriente, da tutti noi abbandonati? Non hanno spiegato, a Salvini, che proprio Hezbollah – insieme ai russi e agli iraniani – ha sostenuto la Siria, impedendo che cadesse nelle mani dei tagliagole jihadisti messi in campo, sottobanco, dall’intelligence occidentale con l’aiuto di Netanyahu e Erdogan, due notori campioni della democrazia e dalla pace nel mondo?
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Magaldi: se cedono sul deficit i gialloverdi perdono la faccia
Riscrivere, insieme, le regole del mondo. Ingenuo? Forse, ma necessario. “Se non così, come? E se non ora, quando?”, si potrebbe dire, parafrasando Primo Levi. E’ la premessa – implicita – da cui sembra muovere, sempre, l’analisi che dell’attualità politica offre Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere, 2014), libro-evento che svela la natura supermassonica del potere mondiale. Da presidente del Movimento Roosevelt, meta-partito che si propone di rigenerare la politica italiana partendo da una piattaforma realmente progressista, fondata sul ripristino della sovranità democratica, Magaldi guarda con attenzione al possibile cantiere rappresentato dal governo gialloverde. Ipotesi: ribaltare la narrazione mainstream, ai cui diktat ideologici «si sono appecoronati l’ex sedicente centrodestra e l’ex sedicente centrosinistra», entrambi proni alle direttive dell’élite finanziaria – in sintesi: smantellare l’industria italiana e privatizzare il paese consegnandolo a un oligopolio di grandi poteri economici finto-europeisti, che in realtà utilizzano l’Ue per i loro obiettivi privatistici. Contro questo establishment, almeno fino a ieri, si era levata la voce dei 5 Stelle, gradualmente sovrastata da quella di Salvini. E ora, dopo tanto abbaiare, il governo Conte si appresta a calare clamorosamente le brache rinunciando al pur misero 2,4% di deficit previsto per il 2019?
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Macron e Merkel: l’Italia “ribelle” sarà esclusa dai fondi Ue
La Disunione Europea getta la maschera: se l’Italia non rispetta il patto di stabilità, insieme alle regole europee sui conti pubblici, non avrà più diritto ai fondi dell’Unione Europea. È il ricatto che Emmanuel Macron e Angela Merkel stanno preparando, sintetizza Chiara Sarra sul “Giornale”: è infatti in arrivo all’Eurogruppo (riunione straordinaria a Bruxelles) un’ipotesi di piano congiunto franco-tedesco per creare un bilancio unico dell’Eurozona. Come rivelano il “Financial Times” e la stessa “Repubblica”, che ha avuto accesso alle bozze, la proposta del presidente francese e della cancelliera tedesca prevede che il bilancio, finanziato con i contributi dei singoli paesi e con una “tassa sulle transazioni finanziarie”, punti a «stimolare la crescita attraverso investimenti, ricerca e sviluppo, innovazione e capitale umano, cofinanziando la spesa pubblica». Ma soprattutto, aggiunge il “Giornale”, il documento prevede che siano i ministri delle finanze dell’Eurozona, anzichè la Commissione Europea, a progettare i programmi di investimento in settori come la ricerca, lo sviluppo e l’innovazione. Clausola: dovranno essere esclusi dall’accesso ai fondi Ue i paesi che non perseguono «politiche in sintonia con gli obblighi». In altre parole: se non rispetta le “regole europee”, l’Italia «può dire addio ai contributi finanziari».Le cifre del budget devono essere ancora discusse e trattate. In passato, il ministro francese Bruno Le Maire ha indicato la cifra di 20-25 miliardi di euro come «un buon punto di partenza». Si tratterebbe, in tal caso, di una cifra equivalente circa allo 0,2% del Pil dei 19 paesi. Inizialmente, Macron aveva però auspicato un budget pari a «diversi punti di Pil». Sembra una barzelletta, ma è la realtà. I due ideologi del patto contro l’Italia, a quanto pare, sono spaventati dal timido 2,4% di deficit per il 2019 strappato dal governo Conte nonostante l’opera di dissuasione a reti unificate (Draghi, Visco, Mattarella, Moscovici e il Fmi). Dettaglio: in Europa, Germania e Francia sonoi paesi con meno titoli per imporre regole di condotta, specie se ammantate di sospetto moralismo. La Germania, ricorda l’imprenditore italiano Andrea Zoffi, ha un debito pubblico reale ben lontano da quello dichiarato, fermo all’80% del Pil: i conti di Berlino sono molto più in rosso (addirittura il 287% del Pil) se si calcola l’immenso debito “sommerso” della Germania, non contabilizzato da Bruxelles. Quanto alla Francia, il panafricanista Mohamed Konare riassume: Parigi “drena” ogni anno ben 500 miliardi di euro a 14 ex colonie dell’Africa Sub-Sahariana. Una cifra enorme, pari al 20% del Pil francese, anche questa “bypassata” dai guardiani dell’Eurozona nonostante Parigi gestisca in proprio il franco Cfa, la moneta coloniale imposta all’Africa centro-occidentale.Per inciso, accusa Konare, i paesi dissanguati dalla Francia sono proprio quelli da cui proviene la marea di profughi economici diretti in Italia e respinti alla frontiera transalpina. In altre parole: non possono disporre della propria moneta, devono rinunciare al 50% delle loro risorse e, per gestire liberamente l’altra metà, devono prima ottenere il consenso di Parigi. Com’è possibile che una simile Francia possa far parte dell’Unione Europea? Presto detto: proprio la culla dell’europeismo neo-feudale fu utilizzata per ammortizzare l’exploit della Germania riunita dopo la caduta del Muro. La Francia impose l’introduzione di regole non democratiche (l’euro e il limite di spesa del 3% introdotto da Mitterrand) con l’obiettivo di frenare l’economia tedesca – vincolo che Berlino accettò, ottenendo in cambio la possibilità di agire a livello legislativo (austerity Ue) per neutralizzare il suo diretto concorrente industriale, l’Italia. Oggi, Francia e Germania tornano all’attacco del Belpaese in modo sfrontato, dopo che il governo Conte ha osato innalzare di qualche decimale il deficit 2019.Quel 2,4% è troppo poco, spiega Nino Galloni, per sperare in effetti visibili: il “moltiplicatore” della spesa pubblica (chi più spende meno spende, perché dall’anno seguente l’investimento frutterà 3-4 volte tanto, in termini di Pil) avrebbe bisogno in Italia di un deficit più robusto, almeno il 4-5%, per rilanciare l’economia. Ma quell’esiguo 2,4% basta e avanza a spaventare i padroni dell’Ue, che – a pochi mesi dalle elezioni europee – temono che “cattivo esempio” dell’Italia possa contagiare il resto d’Europa, spingendo altri paesi a rompere le righe e ribellarsi alla camicia di forza (ideologica) dei vincoli del rigore, che servono solo a deprimere l’economia e accelerare il trasferimento delle leve economiche in pochi, grandi gruppi, a spese del sistema nazionale delle aziende. Per contro, la mossa franco-tedesca avrà forse il pregio di aprire gli occhi ancora socchiusi, svelando la reale natura dell’attuale Unione Europea, priva di una Costituzione democratica e gestita da una Commissione autocratica, non eletta dal Parlamento Europeo. La scure sull’Italia agitata da Macron e Merkel è teoricamente una manna, dunque, per la prossima euro-campagna elettorale di Di Maio e in particolare di Salvini: additando il “nemico” esterno, verrà loro più facile giustificare i risultati, finora non esaltanti, del governo gialloverde.La Disunione Europea getta la maschera: se l’Italia non rispetta il patto di stabilità, insieme alle regole europee sui conti pubblici, non avrà più diritto ai fondi dell’Unione Europea. È il ricatto che Emmanuel Macron e Angela Merkel stanno preparando, sintetizza Chiara Sarra sul “Giornale”: è infatti in arrivo all’Eurogruppo (riunione straordinaria a Bruxelles) un’ipotesi di piano congiunto franco-tedesco per creare un bilancio unico dell’Eurozona. Come rivelano il “Financial Times” e la stessa “Repubblica”, che ha avuto accesso alle bozze, la proposta del presidente francese e della cancelliera tedesca prevede che il bilancio, finanziato con i contributi dei singoli paesi e con una “tassa sulle transazioni finanziarie”, punti a «stimolare la crescita attraverso investimenti, ricerca e sviluppo, innovazione e capitale umano, cofinanziando la spesa pubblica». Ma soprattutto, aggiunge il “Giornale”, il documento prevede che siano i ministri delle finanze dell’Eurozona, anzichè la Commissione Europea, a progettare i programmi di investimento in settori come la ricerca, lo sviluppo e l’innovazione. Clausola: dovranno essere esclusi dall’accesso ai fondi Ue i paesi che non perseguono «politiche in sintonia con gli obblighi». In altre parole: se non rispetta le “regole europee”, l’Italia «può dire addio ai contributi finanziari».
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Magaldi: la montagna gialloverde ha partorito un topolino
Diciamola tutta: alla fine, la montagna gialloverde «ha partorito il classico topolino». Dove lo vedete, il sacrosanto taglio delle tasse promesso dalla Lega in campagna elettorale? E qualcuno sa che fine ha fatto, esattamente, il mitico reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia dei 5 Stelle per sostenere le fasce sociali più in affanno? Sembra arrivata l’ora del disincanto, per Gioele Magaldi, tenace difensore d’ufficio del governo Conte, pur privato di un uomo come Paolo Savona al dicastero dell’economia. E se si passa per la capitale, si scopre che il disincanto è letteralmente esploso, ma non da oggi: «E’ insensato che si festeggi Virginia Raggi per aver evitato una condanna penale, peraltro solo in primo grado, quando la giunta capitolina non ha mai neppure cominciato a occuparsi seriamente di Roma». La sindachessa pentastellata «ha disatteso tutte le aspettative di chi l’aveva votata, sperando in un cambio radicale nella governance della città». Ma poi, aggiunge il presidente del Movimento Roosevelt, scopri che – sul fronte opposto – il rimedio è peggiore del male. Vedasi il referendum (abortito) sull’Atac, promosso dai radicali: ancora una volta, si è tentato un assalto neoliberista per privatizzare un servizio pubblico, magnificando le immaginarie virtù del privato. «Come se non esistesse l’esempio dell’Atm di Milano, municipalizzata, indicata anche all’estero come modello perfetto di trasporto pubblico efficiente».Questa è l’Italia dell’autunno 2018, sintetizza Magaldi, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”: da un lato il “governo del cambiamento” riesce a cambiare ben poco, e dall’altro gli oppositori (partiti-zombie, media mainstream e vecchio establishment) continuano, in modo piuttosto penoso, a demonizzare Di Maio e in particolare Salvini, presentato come una specie di orco, un vero e proprio mostro di cinismo, a causa della sua politica muscolare nei confronti dell’immigrazione incontrollata. Bei sepolcri imbiancati, i detrattori di Salvini, «di manica larga con i migranti, ma pidocchiosi con gli italiani». Tradotto: «Va benissimo aiutare chi sbarca da paesi disastrosamente poveri, a patto però che non si lasci indietro quella fetta di popolazione italiana che fatica ad arrivare alla fine del mese». L’ideale? «Più soldi per tutti, in una sana prospettiva “rooseveltiana”, cioè post-keynesiana. Ma certo, bisogna espandere il deficit. E la cosa non piace, agli avversari del governo, sempre allineati ai diktat della sedicente Europa».Calcisticamente: il possesso palla è ancora al governo, ma tiri in porta non se ne vedono. E se i gialloverdi non entusiasmano, nella metà capo opposta è buio pesto. Zero idee, nessuna alternativa all’euro-catechismo della crisi. Che fare? Tanto per cominciare, investire con più coraggio su un sistema-paese che ha un disperato bisogno di interventi pubblici strategici, in ogni settore, incluso quello delle infrastrutture. I migranti? «Ottimo il Salvini che accusa l’Ue di scaricare il problema solo sull’Italia, peccato che poi i nostri partner continuino a far finta di niente». E a Salvini si può rimproverare qualcosa? «Certo: la mancanza, finora, di una “pars construens”. Va bene ripetere “aiutiamoli a casa loro”, gli africani, ma poi bisogna cominciare a farlo per davvero. Tanto più che una sorta di Piano Marshall per l’Africa darebbe un ruolo importante, all’Italia, anche in termini di leadership euro-mediterranea». L’immobilismo non aiuta. E anzi fa montare polemiche che poi sfociano anche nel complottismo di chi vede, nell’esodo incoraggiato da Soros, l’attuazione del meticciato forzoso vagheggiato dal massone reazionario Richard Coudenhove-Kalergi, precursore del dominio delle élite poi sfociato in questa Disunione Europea, «concepita come Sacro Romano Impero affidato alla manovalanza neo-feudale dei tecnocrati».Fantasmi a parte, Magaldi si richiama a un sano realismo: «L’accoglienza incontrollata di immigrati può mettere in difficoltà i lavoratori italiani, è ovvio. Quello che non è accettabile – dice – è che non si vogliano trovare soluzioni eque, in un mondo che non è mai stato così ricco». Insiste: «La fiaba della penuria è un’invenzione del neoliberismo: virtualmente, nella storia del pianeta, non c’è mai stata tanta disponibilità di risorse, grazie alle tecnologie di cui disponiamo. Ed è inammissibile – sottolinea il presidente del Movimento Roosevelt – che queste risorse vengano concentrate in poche mani, le stesse che poi ci raccontano la favola della scarsità, che serve per declinare le politiche artificiose dell’austerity». C’è un’intera narrazione, da smantellare. Ed è un lavoro che richiede lucidità, determinazione e una buona dose di fegato, assai più di quello finora dimostrato dal governo gialloverde con il suo “rivoluzionario” deficit al 2,4%, ben al di sotto del già inaccettabile tetto del 3% stabilito da Maastricht esclusivamente sulla base della fandonia neoliberista. Roma caput mundi, comunque, almeno a titolo di esempio negativo: fischiare la Raggi per l’ipotetico reato di falso, anziché per il fallimento politico della sua giunta, è come insultare Salvini per la guerra alle Ong anziché pretendere che il governo, finalmente, mandi a stendere con ben altro piglio il rigore Ue, in nome della sovranità democratica cui l’Italia ha diritto.Diciamola tutta: alla fine, la montagna gialloverde «ha partorito il classico topolino». Dove lo vedete, il sacrosanto taglio delle tasse promesso dalla Lega in campagna elettorale? E qualcuno sa che fine abbia fatto, esattamente, il mitico reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia dei 5 Stelle per sostenere le fasce sociali più in affanno? Sembra arrivata l’ora del disincanto, per Gioele Magaldi, tenace difensore d’ufficio del governo Conte, pur privato di un uomo come Paolo Savona al dicastero dell’economia. E se si passa per la capitale, si scopre che il disincanto è letteralmente esploso, ma non da oggi: «E’ insensato che si festeggi Virginia Raggi per aver evitato una condanna penale, peraltro solo in primo grado, quando la giunta capitolina non ha mai neppure cominciato a occuparsi seriamente di Roma». La sindachessa pentastellata «ha disatteso tutte le aspettative di chi l’aveva votata, sperando in un cambio radicale nella governance della città». Ma poi, aggiunge il presidente del Movimento Roosevelt, scopri che – sul fronte opposto – il rimedio è peggiore del male. Vedasi il referendum (abortito) sull’Atac, promosso dai radicali: ancora una volta, si è tentato un assalto neoliberista per privatizzare un servizio pubblico, magnificando le immaginarie virtù del privato. «Come se non esistesse l’esempio dell’Atm di Milano, municipalizzata, indicata anche all’estero come modello perfetto di trasporto pubblico efficiente».
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Zibordi: deficit, una tempesta-bluff per appena 8 miliardi
Passano gli anni ma in Italia quando un governo deve fare una manovra economica tutto gira sempre intorno al debito pubblico. La Ue e i “mercati” vogliono essere rassicurati che lo Stato pagherà le rate e gli interessi sui Cct, Bot e Btp e l’intero governo impiega mesi a decidere se fare un deficit del 2,4% piuttosto che dell’1,8% del Pil: una differenza dello 0,6% del Pil – cioè 8 miliardi, alla fine. Ma questa differenza di 8 miliardi richiede trattative di settimane, agita i talk show e i giornali e marca la differenza tra un governo “responsabile”, bene accetto alla Ue e ai “mercati” (1,6% di deficit) e uno “populista” che fa esplodere lo “spread” e avviato al default (2,4% di deficit). Se lasci perdere la retorica e ti metti a leggere tabelle e numeri, scrive il trader finanziario Giovanni Zibordi, ti rendi conto che non ha senso, sapendo che di solito si sfora sempre: la Ue voleva un 1,8% al massimo e Tria cercava di tenerlo a questa percentuale, pensando che poi alla fine a consuntivo si arrivava sul 2,2% o 2,4%. Con un Def che indica un 2,4% di deficit come “impegno”, si suppone invece che si arrivi, alla fine, ad un 2,8% di deficit. «Resta che è una differenza di 8 miliardi l’anno e sembra diventi la fine del mondo. E se fosse tutto un bluff?».Ci dicono che “l’Italia ha 2.350 miliardi di debito”, per cui basta ora poco per scivolare giù per la china: le percezioni del resto del mondo (Ue e “mercati”) sono negative, per cui questi poteri vanno accontentati e rassicurati, altrimenti Bruxelles “boccia” la manovra, le agenzie di rating “abbassano” l’Italia e il mercato “ci attacca”. «In pratica ti dicono che se, per la prima volta nella storia, lo Stato italiano non riduce il deficit a zero, ci sarà un patatrac. Ma se guardi la storia anche solo degli ultimi dieci anni – scrive Zibordi, sul blog “Cobraf” – vedi che con deficit maggiori e sempre intorno al 3% di media non è successo niente». Per scoprire che questo discorso non ha senso, Zibordi fa notare che anche se il debito pubblico è sui 2.350 miliardi, i titoli sul mercato sono molti meno (1.800 miliardi) e sono questi di cui preoccuparsi – tra parentesi, Bce e Bankitalia ne hanno comprati 360 miliardi (con soldi “stampati”). «Quindi il totale dei titoli di Stato di cui preoccuparsi è sui 1.500 miliardi». Parlare, come fanno quasi tutti, di “quasi 2.400 miliardi di debito pubblico”, è molto diverso che citare i 1.450 miliardi di titoli da rifinanziare sul mercato. «Supponiamo allora che il governo italiano ignori Ue e mercati e “tiri dritto”, come dice Salvini. Dopo un poco di caos iniziale probabilmente non succede niente di grave. Ha senso, tutta questa messinscena, per 8 miliardi di differenza? Il buon senso dice di no».Tutto quello che può fare l’Ue, scrive Zibordi, è imporre una multa di 3 miliardi. Una misura finora mai applicata, «nemmeno a Stati che hanno violato i limiti del 3% facendo deficit del 10% come Irlanda, Portogallo e Spagna». Per cui, se si colpisse l’Italia per via del suo 2,4%, la sanzione «verrebbe contestata dal governo italiano in sede legale». E le agenzie di rating? Se “abbassano” l’Italia danno la spinta ai mercati per vendere ancora i Btp? «Sicuro, ma ricordatevi che i mercati hanno fatto oscillare i Btp infinite volte, negli ultimi 25 anni, e alla fine lo Stato italiano ha sempre pagato tutto: ha pagato la bellezza di circa 3.000 miliardi di interessi dal 1990». La conseguenza della “turbolenza” dei mercati, aggiunge Zibordi, è che il rendimento può salire ancora, dal 3,3% attuale al 4% o forse anche di più, magari fino al 5%. Ma, tralasciando i titoli dei giornali, l’analista propone di ragionare sui numeri. In Germania, con l’inflazione al 2%, i titoli di Stato «rendono meno di zero, -0,5% sulle scadenze brevi e al massimo 0,4% sui decennali». Quindi, in sostanza, «hai il povero risparmiatore germanico che perde ogni anno 1% o 2% l’anno». In Italia con inflazione più bassa (1,2%, oggi), «il risparmiatore italico godrebbe di un guadagno del 3% al netto dell’inflazione se i Btp salissero oltre il 4% di rendimento». In pratica, «avresti che un tedesco perde sul 2% l’anno sui suoi soldi in titoli di Stato, e l’italiano che guadagna un 2 o 3% l’anno. Una differenza del 4 o 5% per noi».Ma il famoso rischio-Italia? Lo spettro del default? «Discorsi catastrofici simili sono stati fatti nel 2011, quando appunto il rendimento dei Btp salì al 5%». Risultato: chi comprò allora i Btp alla data di oggi, tra cedole e apprezzamento ha guadagnato oltre il 50% cumulativo. «Se vai più indietro, al 2008, negli ultimi dieci anni i Btp avevano resto un totale cumulativo del 70% fino a quando non sono arrivati Salvini e Di Maio. Adesso, anche conteggiando una perdita media intorno al 10% da maggio, il rendimento cumulativo resta intorno al 60%». Nel mondo di oggi, scrive Zibordi, tutto il reddito fisso sta facendo perdere soldi: da inizio anno, i bond globali hanno perso in media il 2%. «Oggi abbiamo i tassi di interesse più bassi della storia dell’umanità», sottolinea l’analista. Tutti i paesi importanti «pagano tra meno di zero e il 3% massimo» (gli Usa, l’Australia o la Cina). E quando pagano il 3%, come gli Usa, «poi hanno anche inflazione al 3%», per cui «il rendimento reale è sempre zero». Attenzione: «L’Italia in pratica è l’unico paese Ocse, ora, che paga rendimenti sui titoli di Stato superiori all’inflazione!».Se dunque un paese come l’Italia, che ha un surplus estero del 2,5% del Pil e un enorme risparmio privato, offrisse rendimenti del 4-5%, di fatto «arriverebbero fondi da tutto il mondo». E pian piano anche i risparmiatori italiani che ora «stanno soffrendo perdite su tutti i loro fondi, gestioni e polizze che le banche hanno loro rifilato», capirebbero che i titoli di Stato sono estremamente più sicuri della cosiddetta “industria del risparmio gestito”. Tradotto: «Se stai perdendo un -3% medio su tutti i prodotti del risparmio gestito della banca, perché ti deve fare schifo un 2-3% dei titoli di Stato?». La manovra di Di Maio e Salvini? Può darsi che non faccia abbastanza per la crescita, «perché troppo infarcita di sussidi e trasferimenti e senza riduzione di tasse vere o investimenti», però – avverte Zibordi – è una manovra «che aumenta il deficit di soli 8 miliardi, alla fine». E tutto il polverone mediatico sul “disastro” in arrivo «è probabilmente il solito bluff del mondo finanziario, che sui titoli di Stato da decenni specula», cioè gioca al ribasso per poi comprare a poco prezzo, al fine di incassare «grasse cedole».La finanziaria del governo gialloverde «non fa molto per i giovani, le imprese e gli investimenti», ma resta «una manovra di entità modesta, che non scassa nessun bilancio pubblico». Salvini? Fa bene a dire che “tira dritto”, denunciando il bluff dell’Ue per ora. «Il difetto della manovra è invece che non sostiene abbastanza l’economia, la quale sta rallentando, e non contiene misure alternative. Ma in termini puramente finanziari c’è tanta retorica, da entrambe le parti, che copre una realtà modesta», insiste Zibordi. «La verità è che alla Ue odiano Salvini per via dell’immigrazione: se la stessa manovra l’avesse fatta il Pd ci sarebbe stata qualche discussione dietro le quinte e poi sarebbe passata con questo famoso 2,4% accampando qualche scusa. Dato che Salvini minaccia tutto l’impianto culturale e sociale della Ue, che punta all’immigrazione di massa dal terzo mondo in Europa, qualunque piccola deviazione dai “parametri” viene amplificata per cercare di indebolirlo». Di qui il terribile can can terribile contro il governo “spendaccione, irresponsabile, venezuelano”, mentre in realtà, se uno guarda i semplici numeri, scopre che la manovra è così modesta che non può portare a nessun default.«Se sfori dello 0,6% del Pil rispetto a quello che voleva la Ue, si parla di 8 miliardi», tutto qui. «E lo Stato non smetterà di pagare interessi, visto che incassa 760 miliardi di tasse». E a proposito di fisco: «La manovra non riduce neanche di 1 miliardo le tasse, alla fine». I soldi per ripagare i Btp, al governo, non mancano affatto: «Se il “mercato” vuole rendimenti più alti sulle nuove emissioni ora, bene… il governo spenderà 5, 6 o 7 miliardi in più l’anno prossimo per pagarli». Di questo però beneficia chi compra le nuove emissioni oggi, «perchè i soldi che lo Stato paga di interessi non si volatilizzano, finiscono in tasca a qualcuno: e l’importante, ora, sarebbe che fosse italiano». Meglio per il risparmiatore italico, scrive Zibordi, che i Bpt renderessero di più. «E’ messo molto peggio quello tedesco, che perde un -1 o -2% l’anno quando compra titoli di Stato». Il “collega” italiano invece intasca un 2% netto reale, che diventa 3% se sale lo spread. I bond italiani «battono i rendimenti (reali) di chiunque altro, nel mondo avanzato». E’ perchè sono molto rischiosi? «La nostra economia è deludente fin che vuoi in termini di crescita, ma è stabile, nel senso che rimane nell’euro e non da default, visto che lo Stato preferisce continuare a tassare i suoi cittadini per pagare gli interessi invece che tentare misure alternative».Passano gli anni ma in Italia quando un governo deve fare una manovra economica tutto gira sempre intorno al debito pubblico. La Ue e i “mercati” vogliono essere rassicurati che lo Stato pagherà le rate e gli interessi sui Cct, Bot e Btp e l’intero governo impiega mesi a decidere se fare un deficit del 2,4% piuttosto che dell’1,8% del Pil: una differenza dello 0,6% del Pil – cioè 8 miliardi, alla fine. Ma questa differenza di 8 miliardi richiede trattative di settimane, agita i talk show e i giornali e marca la differenza tra un governo “responsabile”, bene accetto alla Ue e ai “mercati” (1,6% di deficit) e uno “populista” che fa esplodere lo “spread” e avviato al default (2,4% di deficit). Se lasci perdere la retorica e ti metti a leggere tabelle e numeri, scrive il trader finanziario Giovanni Zibordi, ti rendi conto che non ha senso, sapendo che di solito si sfora sempre: la Ue voleva un 1,8% al massimo e Tria cercava di tenerlo a questa percentuale, pensando che poi alla fine a consuntivo si arrivava sul 2,2% o 2,4%. Con un Def che indica un 2,4% di deficit come “impegno”, si suppone invece che si arrivi, alla fine, ad un 2,8% di deficit. «Resta che è una differenza di 8 miliardi l’anno e sembra diventi la fine del mondo. E se fosse tutto un bluff?».
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L’Italia vera e quella (indecente) di Moody’s e Cottarelli
Ci sarebbe da ridere, non fosse per i brutti ceffi in circolazione e le loro cattive intenzioni verso il sistema-Italia, ancora solido nonostante l’impegno che gli eurocrati hanno profuso per azzopparlo. Prima comica: azzannano il timido governo gialloverde, che si è limitato al 2,4% di deficit (contro il 3% ammesso da Maastricht), neanche fosse un esecutivo rivoluzionario. Seconda comica: gli stregoni di Moody’s declassano l’Italia, regina del risparmio europeo, in combutta coi loro azionisti bancari, che speculeranno sul ribasso del rating. Terza comica: a strapparsi i capelli sono l’infimo Martina, candidato a guidare il Pd verso l’estinzione, e Antonio Tajani, «decadente e grottesco presidente del Parlamento Europeo, figura modestissima e nuovo frontman di Berlusconi per le prossime europee, anche lui impegnato a spiegarci che andiamo verso la rovina». A mettersi le mani nei capelli semmai, è Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt: costretto a vedere la televisione di Stato che strapaga l’oligarca Cottarelli perché ripeta, nel salotto di Fazio, che la visione economica del mondo è una sola: la sua. Il primo a denunciare «la presa per i fondelli a spese degli italiani» è stato Gianluigi Paragone: non è curioso che a spillare quattrini alla Rai sia proprio Cottarelli, cioè il massimo censore della spesa pubblica? «Quello sarebbe il primo spreco da tagliare», dice Magaldi, in web-streaming su YouTube.Stiamo vivendo agitazioni surreali, esordisce l’autore del bestseller “Massoni”, in collegamento con Fabio Frabetti di “Border Nights”. La storia delle “manine” che secondo Di Maio avrebbero manipolato il decreto fiscale? «Fa un po’ ridere i polli», così come il proditorio declassamento di Moody’s. «Siamo alla farsa finale: il sistema è talmente in crisi, e anche tremebondo, che mette in atto meccanismi spudorati, e quindi anche facilmente smascherabili». Le agenzie di rating? Non sono imparziali: «Sono aziende che perseguono profitto in pieno conflitto d’interessi, perché i loro azionisti hanno interessi di tipo speculativo e possono trarre vantaggio proprio dai declassamenti delle agenzie di cui detengono i pacchetti azionari. Possono cioè trarre profitto da quello che le agenzie di rating promettono o minacciano, e dal panico che il giudizio di queste agenzie può indurre». Questo, aggiunge Magaldi, è un sistema malato, al quale Moody’s dà un ulteriore colpo. «Da un lato la Bce non fa il suo mestiere di banca centrale e non garantisce il debito in titoli di Stato dell’Italia, come dovrebbe, per mantenere basso il famigerato spread. Dall’altro, le sedicenti istituzioni europee mandano i “pizzini” e disapprovano la manovra del governo, mostrando il loro cipiglio».Poi ci sono i pupazzi del teatrino italiano – i Martina, i Tajani – che suonano l’allarme. E quali sarebbero queste grandi e radicali manovre del governo Conte, che tanto preoccupano costoro? L’aver ipotizzato qualche spesa per lenire le condizioni di indigenza, senza neppure istituire un vero reddito di cittadinanza? Qualche spesa per migliorare la situazione fiscale? «Tutte cose che noi del Movimento Roosevelt salutiamo come un inizio, l’aurora di un possibile nuovo scenario, ma siamo sicuramente al di sotto delle proclamazioni solenni degli uni e degli altri», chiarisce Magaldi. «Dal punto di vista del governo c’è poco da strombazzare un New Deal, che non è ancora iniziato. Per contro, chi contesta il fatto che queste misure portino al 2,4% del rappoto deficit-Pil, ripete che, per questo motivo, il governo italiano andrebbe ricondotto alla ragione a forza di bastonate – attraverso le agenzie di rating, le dichiarazioni dei tecnocrati europei e le giaculatorie di questi personaggi decadenti del centrodestra e del centrosinistra. Mi sembra un teatro dell’assurdo, perché purtroppo non abbiamo ancora un governo che dichiari chiaramente di voler mettere in discussione, in quanto infondati scientificamente, i parametri di Maastricht, nei quali peraltro l’Italia rientra perfettamente».Perché non si ragiona mai sulla vera natura del debito pubblico, come ha fatto recentemente Guido Grossi anche su “ByoBlu”? Ci sono economisti, intellettuali e politici che offrono soluzioni concrete, già oggi, per gestire il debito pubblico così com’è. Ma poi, bisognerebbe inquadrare il debito per quello che è, ovvero «un elemento di economia spiegato male e utilizzato in modo improprio». Ma il governo gialloverde non ha messo seriamente in discussione i parametri di Maastricht, sul piano economico. E su quello politico, continua a giurare che non è vero, che vorrebbe “uscire dall’Europa”. «Ma il problema non è questo: bisognerebbe dire, invece, che in Europa non ci siamo mai entrati», sottolinea Magaldi. «Il governo dovrebbe dire: vogliamo una Costituzione Europea, politica». Di Maio, Salvini, Savona e gli altri insistono nel dire di voler restare nell’Eurozona, non mettendo in discussione neppure la valuta euro? «Bene, ma come vogliamo starci? Vogliamo restare in quest’Europa così com’è? In questa strana struttura sovranazionale senza Costituzione, senza meccanismi democratici e senza una vera partecipazione popolare alle decisioni più importanti?».Se finalmente il governo parlasse chiaro, pretendendo un’Europa democratica, allora sì che si potrebbe capire, «l’alzata di scudi da parte dei veri nemici del progetto dell’Europa unita, cioè quelli che oggi occupano indebitamente le maggiori poltrone delle istituzioni sedicenti europee». Se Lega e 5 Stelle dicessero che vogliono una Costituzione Europea, il loro «sarebbe un attacco al cuore del sistema, per renderlo più democratico». Vorrebbe dire «ridiscutere il concetto stesso di deficit, di debito pubblico, e “sforare” con percentuali ben più importanti, ma con spese in investimenti». Gli oppositori lo dicono in malafede, ma hanno ragione: nella manovra gialloverde non ci sono grandi spese in investimenti. «Ma lo si può capire: è solo l’inizio, al governo bisogna dare credito e fiducia, perché l’esecutivo Conte, quantomeno, sta cercando di fare qualcosina, laddove negli ultimi 25 anni non si è fatto nulla – o meglio, si è agito solo contro l’interesse del popolo italiano». Mancano investimenti adeguati, certo, come si è visto dopo il disastro di Genova. Ma il governo gialloverde è a metà strada fra il Paolo Savona che in Senato si appella al New Deal e il ministro Tria (scelta di ripiego, imposta dal Quirinale) che «non sa deve dar retta a Visco, a Draghi, a Mattarella, oppurre alla maggioranza che sostiene il governo di cui lui è parte».Per Magaldi «siamo, di nuovo, alla commedia dell’assurdo: si parla del nulla, il discorso politico è surreale». Quello economico, invece, è aggravato dal clamoroso declassamento di Moody’s, totalmente infondato: «L’Italia ha un grandissimo risparmio privato e ha dei “fondamentali” di economia eccellenti. L’Italia è un paese ricco, sotto molti aspetti: in Nord Europa ci sono paesi con i conti pubblici in apparenza migliori dei nostri, ma con un indebitamento privato molto più grave, quindi sono in una situazione più fragile». Perciò non si capisce (o meglio, si capisce anche troppo bene) perché Moody’s vada a declassare l’Italia. L’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt, suggerisce di creare un’agenzia di rating di respiro europeo, che – partendo dall’Italia – guardi le cose con occhi diversi, e valuti quindi la solidità di entità pubbliche e private con altri parametri. Mossa indispensabile, conferma Magaldi, «per evitare di essere ricattati da masnadieri in costante conflitto d’interessi». E dall’altro, aggiunge, bisogna creare un’agenzia che si preoccupi di valutare il sistema economico-sociale in base all’effettiva qualità della vita, oltre il semplice Pil.Lo disse Bob Kennedy già nel 1968, «pagando con la vita il suo tentativo di rappresentare la speranza di un’evoluzione diversa dell’Occidente e del mondo». Il Pil non può essere l’unico metro di misura delle nostre vite. Anche dal punto di vista meramente economico, aggiunge Magaldi, il solo Pil non funziona: «Questi numeri non raccontano davvero la prosperità e la ricchezza dell’Italia, pur con tutti i suoi limiti e tutta la decadenza che in questi anni è stata rovesciata sul nostro sistema. Si è tentato di deindustrializzarlo e impoverirlo, ma non ci si è riusciti: perché l’Italia è un grande paese, con capacità industriali e commerciali, grande attitudine al risparmio privato». L’Italia non può essere impunemente declassata, come giustamente rilevato dalla stessa magistratura di Trani, intervenuta in passato contro alcune agenzie di rating, in occasione del famigerato “golpe bianco” attuato con l’avvento del governo Monti: «Forse, oggi – ipotizza Magaldi – proprio la magistratura dovrebbe rimettersi in moto, analizzando le molte opacità di questo giudizio di Moody’s».Quanto al presunto sabotaggio del documento fiscale indicato da Di Maio, secondo Magaldi si può parlare anche di “manine” «ascrivibili a filiere massoniche neo-aristocratiche, e perciò contro-iniziatiche, come quelle che hanno demonizzato Rocco Casalino», scelto dai 5 Stelle come portavoce del premier. Volevano incastrarlo con il celebre fuori-onda nel quale prometteva sfracelli contro i sabotatori nascosti nei ministeri? «Intanto è riuscito nell’intento di denunciare i tecnici del ministero dell’economia che “remano contro”, e il fenomeno non riguarda certo solo quel dicastero». Se in Italia ci fossero ancora veri giornalisti, dice Magaldi, una bella inchiesta svelerebbe che nei ministeri e negli apparati burocratici circolano da decenni sempre le stesse persone: si ritiene abbiano competenze imprescindibili, galleggiano da un governo all’altro (centrodestra o centrosinistra non importa) e si sono riciclati anche con questo governo gialloverde. «Credo sia giunto il momento di un bel cambio: non è vero che questi siano professionisti insostituibili, credo occorra puntare su una rigenerazione della scuola della pubblica amministrazione, anche nell’individuazione di nuovi parametri».L’orizzonte è vasto: «Dobbiamo cambiare i termini di insegnamento dell’economia e della finanza, che in questi decenni hanno creato dei mostri», sostiene Magaldi. Spesso, «quelli che hanno studiato economia l’hanno fatto come asini, istruiti da altri asini, grazie a qualche “padrone degli asini” che, a monte, scientemente, ha voluto questa “asinità” diffusa». Seriamente: «L’economia dovrebbe essere un sapere critico, dialogico, scientifico e perciò aperto al confronto critico, e invece è stata insegnata come una sorta di catechismo, con dei principi di fede da seguire». Non mancano le ribellioni anche famose, contro il “lavaggio del cervello” subito in università anche prestigiose: lo conferma un caso come quello dell’economista Ilaria Bifarini, “bocconiana redenta”, mostrando (dal di dentro) tutte le storture della narrazione economica neoliberista. «Discorso che vale anche per capi di gabinetto, dirigenti e consulenti: una casta di mandarini riciclati e inamovibili, che obbediscono a chi – come loro – abita stanze del potere non sottoposte al vaglio delle elezioni». Ha ragione Casalino: c’è da fare un bel repulisti. «E a proposito: non scordiamo quello che abbiamo appreso su Carlo Cottarelli, personaggio appartenente ai peggiori circuiti della contro-iniziazione massonica neo-aristocratica».Cottarelli viene dal Fmi, potente istituito che ha contribuito alla catastrofe della Grecia. Come giustamente fatto notare da Gianluigi Paragone, proprio Cottarelli incarna un madornale paradosso: «Un signore che da anni invoca “spending review”, revisione della spesa e grandi tagli, oggi per le sue comparsate televisive (dove sciorina le sue personalissime idee, intonate all’austerity montiana più becera) è strapagato con moltissimo denaro pubblico. Sono cose vergognose». Spreco di denaro pubblico, insiste Magaldi, è riempire di soldi il neoliberista Cottarelli per parlare per 40 minuti, senza un regolare contraddittorio con un economista post-keynesiano: giornalismo (e servizio pubblico) imporrebbero di ascoltare due voci distinte e contrapposte, peraltro non remunerate, ma presenti in televisione a titolo gratuito. «Ci sono personaggi italiani che avrebbero tante cose da dire, e che non vengono mai interpellati, dai media. E gli altri, che hanno tutto lo spazio per dire la loro, sono pure strapagati. Anche questo fa parte del teatro dell’assurdo che stiamo vivendo: il nostro è un paese che ha perso il senso del ridicolo. Ecco perché dobbiamo lavorare, tutti, per far ritrovare il senso della decenza».La realtà, aggiunge Magaldi, è che va ripensato l’intero sistema, partendo proprio dall’economia. «Forse è arrivato il momento storico in cui si può immaginare l’emissione di una moneta non “a debito”, cioè non ottenuta attraverso l’oferta di titoli di Stato. Forse dobbiamo pensare anche a monete complementari. Soprattutto: come di tutte le cose, in una società aperta, democratica e pluralistica, dobbiamo immaginare di poter parlare laicamente anche della moneta e dell’economia». Non è possibile, aggiunge Magaldi, che l’economia sia diventata una fede, «con sacerdoti che comminano scomuniche, lanciano anatemi e condannano al rogo». E’ inaccettabile l’impossibilità di essere eretici: anche perché «il mondo contemporaneo, scientifico e progressista, liberale, che tanti accigliati difensori vorrebbero difendere dalla “barbarie” dei populisti, è un mondo libero, democratico e pluralista fondato proprio sul libero confronto tra le diverse posizioni». E invece oggi «abbiamo questa surreale situazione, per cui da un lato si denunciano le pulsioni autoritarie, xenofobe, razziste e fascistoidi dei populisti, dei barbari che assaltano l’Olimpo della democrazia italiana, della convivenza pacifica tra le nazioni garantita dalle isitituzioni europee, e dall’altro questi signori sono fideisti, devoti a visioni monolitiche e indiscutibili».Non ammettono, gli oligarchi, che le loro convinzioni siano sottoposte alla discussione pubblica, «come non fu ammesso alla discussione il grande tema dell’introduzione del pareggio di bilancio nella Costituzione», che ha consentito a Mattarella di “difendere” una Carta costituzionale gravemente lesionata, rispetto al dettato democratico del 1948. Sul fronte opposto, intanto, il leghista Giancarlo Giorgetti sostiene che il futuro sia del sovranismo populista? «Sbaglia, Giorgetti, se l’ha detto davvero, perché questo – replica Magaldi – consente agli avversari di spacciare per reale il presunto assalto alla democrazia, alle istituzioni liberali, all’equilibrio faticosamente raggiunto da una società avanzata». Molto meglio «stanare gli autori di questa immensa ipocrisia: qui non è questione di sovranismo o di populismo, qui è questione di sovranità del popolo, di democrazia sostanziale». Per il presidente del Movimento Roosevelt «bisogna che sia chiaro c’è una incongruenza grande come una casa, nell’atteggiamento dell’Europa che guarda all’Italia in modo arcigno: da un lato si rivendica la difesa della tenuta democratica di fronte all’assalto populista xenofobo, e dall’altro al popolo bue (trattato in modo veramente demagogico e manipolatorio) si propinano delle fedi, cioè l’esatto contrario di ciò che ha costruito le democrazie».I moderni regimi democratici, aggiunge Magaldi, con l’occhio dello storico, sono stati edificati «con metodo massonico, dunque progressista», basandosi cioè «sul dubbio critico e sulla messa in discussione dei dogmi». Uno su tutti: il dogma per il quale «il potere venisse da Dio e fosse amministrato da monarchi, da aristocrazie laiche per diritto di sangue e da aristocrazie ecclesiastiche per diritto d’ispirazione divina». Questi dogmi, sottolinea Magadi, hanno regnato per secoli: «E con questi dogmi, per secoli, i molti hanno asservito i pochi». Quello massonico, continua Magaldi, è stato un metodo di liberazione, di democrazia e di parlamentarizzazione della vita politica: «Ha creato quelle Costituzioni di cui avremmo bisogno in Europa, dove invece è stato istituito un sistema neo-feudale, non c’è Costituzione: ci sono altrettanti vassalli, valvassori, valvassini e cavalieri, che difendono una sorta di impero collegiale, oggi in mano a oligarchie apolidi e sovranazionali, le quali trattano il popolo come una massa di neo-sudditi». Queste cose bisogna pur iniziale a discuterle: «Io andrei volentieri a spiegarle in televisione, ovviamente gratis, insieme a tanti altri: non ho verità in tasca – precisa Magaldi – ma vorrei che ci fosse un confronto critico tra diverse visioni del mondo». Invece paghiamo, profumatamente, Cottarelli e soci: «Sacerdoti, che ci vengono a fare le loro prediche». E hanno a disposizione tutti i pulpiti, «offerti dai pennivendoli di regime, davvero spregevoli alla vista e all’udito, che infestano i media mainstream di questo paese».Ci sarebbe da ridere, non fosse per i brutti ceffi in circolazione e le loro cattive intenzioni verso il sistema-Italia, ancora solido nonostante l’impegno che gli eurocrati hanno profuso per azzopparlo. Prima comica: azzannano il timido governo gialloverde, che si è limitato al 2,4% di deficit (contro il 3% ammesso da Maastricht), neanche fosse un esecutivo rivoluzionario. Seconda comica: gli stregoni di Moody’s declassano l’Italia, regina del risparmio europeo, in combutta coi loro azionisti bancari, che speculeranno sul ribasso del rating. Terza comica: a strapparsi i capelli sono l’infimo Martina, candidato a guidare il Pd verso l’estinzione, e Antonio Tajani, «decadente e grottesco presidente del Parlamento Europeo, figura modestissima e nuovo frontman di Berlusconi per le prossime europee, anche lui impegnato a spiegarci che andiamo verso la rovina». A mettersi le mani nei capelli, semmai, è Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt: costretto a vedere la televisione di Stato che strapaga l’oligarca Cottarelli perché ripeta, nel salotto di Fazio, che la visione economica del mondo è una sola: la sua. Il primo a denunciare «la presa per i fondelli a spese degli italiani» è stato Gianluigi Paragone: non è curioso che a spillare quattrini alla Rai sia proprio Cottarelli, cioè il massimo censore della spesa pubblica? «Quello sarebbe il primo spreco da tagliare», dice Magaldi, in web-streaming su YouTube.
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Perché Di Maio spacca il governo mentre l’Ue ci bombarda?
La situazione è grave, ma non seria. Ricorda da vicinissimo quella che ispirò il noto aforisma di Flaiano, modellato su misura per la politica bizantina, a doppio fondo, della Prima Repubblica. Ricapitolando: Di Maio prima congeda il decreto fiscale “leghista” in Consiglio dei ministri, poi cambia idea e s’inventa che il documento sarebbe stato manipolato durante il viaggio verso il Quirinale. Salvini s’infuria, sapendo che le cose non stanno affatto così. E il governo rischia di spezzarsi in due, proprio nel momento più difficile, cioè l’attesissimo braccio di ferro con Bruxelles. Uno scontro annunciato da due super-nemici dell’Italia, il francese Macron che “trasloca” migranti oltre il Monginevro e spedisce addirittura i suoi soldati a fermare cittadini italiani sul suolo italiano, e il tedesco Oettinger (quello secondo cui saranno “i mercati” a insegnare agli italiani come votare) che anticipa il roboante “niet” della Commissione, affidato a Moscovici: impossibile tollerare il Def con quel 2,4% di deficit previsto per il 2019. In pratica: il governo italiano, figlio di regolari elezioni, deve subire l’affronto di un potere “alieno”. Ma, anziché fare quadrato contro gli oligarchi di Bruxelles, Berlino e Francoforte, si mette a litigare al proprio interno, proprio adesso.