Archivio del Tag ‘Agcom’
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Bavaglio Gentiloni: non avrete altro web che quello “amico”
Fine del web come l’abbiamo finora conosciuto, fine del libero accesso alle informazioni su blog e social media? «Benvenuti nell’Italia della sorveglianza di massa», averte Fulvio Sarzana sul “Fatto”, annunciando l’inquietante giro di vite deciso in sordina da Paolo Gentiloni con un decreto legge, “aggravato” da un emendamento del Pd (primo firmatario, Davide Baruffi). Procedura-sprint, come per i vaccini: e silenzio assordante della politica. Due le notizie, la fine della privacy e il filtro dell’Agcom sui contenuti “scomodi”, che diventeranno semplicemente irraggiungibili. «Un’amara sorpresa attende gli italiani», anuncia Sarzana: il Senato “impacchetta” in via definitiva una disposizione che «all’apparenza richiama l’esigenza di rispettare le norme europee», e la approva con un iter velocissimo per evitare la discussione parlamentare. «La prima norma dispone l’allungamento dei tempi di conservazione dei dati Internet e telefonici a sei anni, ed è stata già oggetto di aspre critiche, provenienti anche dallo stesso Garante della privacy italiano, Antonello Soro», spiega Sarzana. «La seconda norma assegna all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Agcom, il potere di intervenire in via cautelare sulle comunicazioni elettroniche dei cittadini italiani, al fine di impedire l’accesso agli stessi cittadini a contenuti presenti sul web».Le norme, fa notare il giornalista, non possono essere modificate: passeranno così come sono. «La scusa ufficiale è che non si possono procrastinare gli impegni europei». E cosa prevedono queste nuove normative, già approvate alla Camera? La prima impone ai provider italiani, «per ragioni di repressione di attività legate al terrorismo», di conservare i dati di tutti i cittadini, nel caso le autorità inquirenti decidessero di richiedere informazioni su quei dati. «In soldoni, gli operatori di Internet privati (ovvero chi ci dà accesso ad Internet, ci fa telefonare e ci consente di chattare) deterranno per sei anni (quindi per sempre, considerando che la norma entrerà in vigore da oggi) i dati di tutti gli italiani, a prescindere dalla effettiva commissione di un reato. Se poi si indaga su un reato, quei dati potranno essere richiesti ai provider». E di che dati stiamo parlando? «Di tutto ciò che abbiamo detto o fatto attraverso il telefono, le chat o Internet». E se i dati venissero “rubati” e rivenduti da un hacker? Qualcuno potrebbe “bucare” il profilo di un parlamentare, di un giornalista scomodo di un oppositore, e quindi scoprire a chi ha telefonato e quando, quali siti web ha visitato. «Altro che immunità: questo qualcuno avrà accesso a tutte le conversazioni telematiche».Si dirà: “Ma questo vale solo per il terrorismo”, e qui sta il secondo malinteso, continua Sarzana: «Il provider, infatti, deve comunque raccogliere i dati, senza sapere se e quando queste informazioni verranno richieste, né può sapere quest’ultimo il perché gli vengano richiesti i dati: l’operatore, infatti, se viene raggiunto da una richiesta non la può sindacare, né l’autorità di polizia può comunicare, per non pregiudicare le indagini, a un soggetto privato il motivo della richiesta». E se questa situazione è già di per sé owelliana, «la seconda norma è ancora più inquietante», scrive il giornalista del “Fatto”. «La proposta di legge sottrae ai giudici il compito di intervenire in via cautelare sui contenuti sul web», come invece «prevedono la nostra Costituzione e le nostre leggi, prima fra tutte la legge sul diritto d’autore». Come ha detto lo stesso Baruffi, «da oggi, con un regolamento dell’Agcom, in Italia si sperimenta la “notice and stay down” e le piattaforme dovranno rimuovere i contenuti illeciti e impedirne la riproposizione». Il famoso bavaglio, in automatico e per legge.«Ora, poiché il web è composto di milioni di informazioni che cambiano in nanosecondi e la maggior parte di questi dati sono all’estero – osserva Sarzana – non c’è modo di conoscere in anticipo la riproposizione dei contenuti che la norma vorrebbe censurare, se non con una tecnica di intercettazione di massa denominata Deep Packet Inspection». L’unico modo, insomma, di fare ciò che il governo sta per fare approvare, è di ordinare ai provider italiani di “seguire” i cittadini su Internet per vedere dove vanno, al fine poi di realizzare questo “impedimento” alla riproposizione, attraverso un meccanismo di analisi e raccolta di tutte le comunicazioni elettroniche dei cittadini che intendano recarsi su siti “dubbi”. «Questo, naturalmente, senza alcun controllo preventivo da parte di un magistrato». L’Agcom, infatti, non ha potere su operatori che non siano in Italia. «E’ per questo che, invece, in sede europea si sta discutendo in modo bilanciato di risolvere il problema alla fonte, dove nasce l’informazione, e non agendo sui cittadini presenti sul territorio nazionale». La cosa, ancorché contraria alle norme europee già approvate, ha fatto gridare allo scandalo le associazioni italiane di diritti civili, quelle internazionali, le associazioni di consumatori più sensibili e gli stessi operatori del web. «Riavvolgiamo dunque il nastro: grazie al Parlamento, i dati dei cittadini saranno raccolti in banche dati custodite dai provider per un tempo pressoché illimitato. L’autorità amministrativa, ovvero l’Agcom, avrà il potere di ordinare ai provider di “seguire” i cittadini italiani senza l’ordine di un magistrato».Fine del web come l’abbiamo finora conosciuto, fine del libero accesso alle informazioni su blog e social media? «Benvenuti nell’Italia della sorveglianza di massa», avverte l’avvocato Fulvio Sarzana sul “Fatto”, annunciando l’inquietante giro di vite deciso in sordina da Paolo Gentiloni con un decreto legge, “aggravato” da un emendamento del Pd (primo firmatario, Davide Baruffi). Procedura-sprint, come per i vaccini: e silenzio assordante della politica. Due le notizie, la fine della privacy e il filtro dell’Agcom sui contenuti “scomodi”, che diventeranno semplicemente irraggiungibili. «Un’amara sorpresa attende gli italiani», annuncia Sarzana: il Senato “impacchetta” in via definitiva una disposizione che «all’apparenza richiama l’esigenza di rispettare le norme europee», e la approva con un iter velocissimo per evitare la discussione parlamentare. «La prima norma dispone l’allungamento dei tempi di conservazione dei dati Internet e telefonici a sei anni, ed è stata già oggetto di aspre critiche, provenienti anche dallo stesso Garante della privacy italiano, Antonello Soro», spiega Sarzana. «La seconda norma assegna all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Agcom, il potere di intervenire in via cautelare sulle comunicazioni elettroniche dei cittadini italiani, al fine di impedire l’accesso agli stessi cittadini a contenuti presenti sul web».
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Gilioli: tutti i nemici della libertà di stampa (inclusi noi, pigri)
«Esistono molti modi diversi per bruciare un libro: e il mondo è pieno di gente che corre su e giù con i fiammiferi accesi» (Ray Bradbury). I nemici della libertà di stampa sono moltissimi, sapete? Molti di più di quanti ne conosca la nostra filosofia – o la nostra fede politica. I nemici della libertà di stampa sono i mafiosi, certo, ma a volte pure i magistrati, gli uomini in divisa e ogni tanto perfino quelli in tonaca porporata. I nemici della libertà di stampa sono quelli che vogliono imporre leggi speciali e diverse a seconda che un contenuto sia su carta o sul web. I nemici della libertà della stampa sono le corporation del web che censurano contenuti facendo prevalere le loro private e arbitrarie policy sulle Costituzioni delle democrazie. I nemici della libertà di stampa sono i paradisi fiscali che nascondono gelosamente patrimoni e reati, lontanissimi da ogni trasparenza, da ogni diritto di sapere la verità sui potenti del mondo. I nemici della libertà della stampa sono i politici di tutti i partiti – tutti, tutti, tutti – che telefonano ai direttori e agli editori. I nemici della libertà della stampa sono i politici che danno una notizia a un cronista oggi in cambio di un favore a lui o alla sua parte domani.I nemici della libertà di stampa sono i politici che vogliono un tribunale per decidere quali news sono fake e quali no, che questo tribunale sia l’Agcom o una giuria popolare. I nemici della libertà di stampa sono i politici, gli imprenditori e i potenti in genere che mandano le “diffide alla pubblicazione”, ogni giorno una diversa, se volete ci faccio una Treccani. I nemici della libertà di stampa sono i politici, gli imprenditori e i potenti in genere che minacciano, annunciano o fanno querele temerarie o infondate – più del 90 per cento delle querele intentate contro i giornalisti alla fine sono tali. I nemici della libertà di stampa sono i politici, gli imprenditori e i potenti in genere che minacciano, annunciano o fanno cause civili altrettanto temerarie o infondate, e per fermarli basterebbe imporre loro di pagare la cifra che hanno chiesto, se alla fine risulta che hanno torto. I nemici della libertà di stampa sono gli editori che non coprono legalmente chi scrive sui loro giornali, assunto o precario che sia. I nemici della libertà di stampa sono gli editori che non pagano i giornalisti e non si accorgono che così ammettono che i loro contenuti hanno valore zero, e poi pretendono di vendere dei contenuti che loro stessi reputano a valore zero.I nemici della libertà di stampa sono gli editori che hanno interessi fuori dall’editoria e usano i loro giornali per le proprie aziende. I nemici della libertà di stampa sono gli editori che nella loro veste di imprenditori individuano la soluzione politica o il partito politico più conveniente ai loro interessi e indirizzano la loro testata in quella direzione. I nemici della libertà di stampa sono gli inserzionisti che con la forza dei loro soldi ricattano e mettono a tacere ogni notizia a loro sgradita. I nemici della libertà di stampa sono i giornalisti che per carriera, timore, convenienza o reverenza si adeguano al potente di turno o semplicemente hanno paura ad andare contromano rispetto al loro ambiente. I nemici della libertà di stampa sono i giornalisti che di fronte a un dato di realtà contrario ai loro pregiudizi o alla loro visione delle cose, invece di rifletterci lo ignorano, lo sminuiscono, lo negano. I nemici della libertà di stampa sono i giornalisti che non frequentano autobus, bar, mercatini e marciapiedi ma salotti, corridoi damascati e poltrone in pelle di gente potente. I nemici della libertà di stampa sono i giornalisti che non si fanno domande, che non sono curiosi, che non sono autocritici, che sono pigri.I nemici della libertà di stampa sono i lettori (utenti, ascoltatori, spettatori etc) che non si fanno domande, che non sono curiosi, che non sono autocritici, che sono pigri. I nemici della libertà di stampa sono i lettori (utenti, ascoltatori, spettatori etc) che vanno sempre in cerca della conferma del proprio pregiudizio, e i giornalisti che glielo offrono su un piatto d’argento, in una spirale senza fine verso il peggio. I nemici della libertà di stampa siete voi che quando un’inchiesta giornalistica tocca un politico che odiate è oro colato, quando tocca un politico che amate invece è spazzatura, gossip, complotto e manovra. I nemici della libertà di stampa sono tutti quelli che – giornalisti, editori, lettori, utenti – si convincono di ciò che a loro conviene e così credono di aver salvato la buona fede, l’onestà intellettuale. I nemici della libertà sono questi e molti e moltissimi altri. Ognuno guardi a se stesso, e ai suoi amici piuttosto che ai suoi avversari, se la libertà di stampa gli è davvero più amica di ogni altra cosa.(Alessandro Gilioli, “I nemici della libertà di stampa”, da “L’Espresso” del 27 aprile 2017).«Esistono molti modi diversi per bruciare un libro: e il mondo è pieno di gente che corre su e giù con i fiammiferi accesi» (Ray Bradbury). I nemici della libertà di stampa sono moltissimi, sapete? Molti di più di quanti ne conosca la nostra filosofia – o la nostra fede politica. I nemici della libertà di stampa sono i mafiosi, certo, ma a volte pure i magistrati, gli uomini in divisa e ogni tanto perfino quelli in tonaca porporata. I nemici della libertà di stampa sono quelli che vogliono imporre leggi speciali e diverse a seconda che un contenuto sia su carta o sul web. I nemici della libertà della stampa sono le corporation del web che censurano contenuti facendo prevalere le loro private e arbitrarie policy sulle Costituzioni delle democrazie. I nemici della libertà di stampa sono i paradisi fiscali che nascondono gelosamente patrimoni e reati, lontanissimi da ogni trasparenza, da ogni diritto di sapere la verità sui potenti del mondo. I nemici della libertà della stampa sono i politici di tutti i partiti – tutti, tutti, tutti – che telefonano ai direttori e agli editori. I nemici della libertà della stampa sono i politici che danno una notizia a un cronista oggi in cambio di un favore a lui o alla sua parte domani.
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Mentana, Nuzzi, Cairo e Paragone con Davide Casaleggio
Davide Casaleggio, erede di Gianroberto alla guida dell’azienda omonima e soprattutto del M5S, esce dal silenzio ed appare in tv per la prima volta, a “Ottoemezzo” (“La7”). Una novità, e un cambio di strategia politica con la guida di Casaleggio jr. Che però, alla vigilia della kermesse dell’associazione intitolata al padre, nega investiture da numero uno del M5S: «Il capo politico è Grillo. Io ho supportato l’attività del Movimento, dai meetup fino a Rousseau. E continuo a farlo, gratuitamente, perché mi sembra un buon progetto. Non voglio sostituire mio padre, aiuto Beppe Grillo. Mi definisco un disciplinato amante del rischio, la politica la sto lasciando ad altri». Dice che il M5S sta lavorando a «nuovi modelli di selezione della classe dirigente», una necessità per il M5S visto che «è la prima forza politica in Italia» come aveva previsto quel «sognatore» del padre. Oltre al reddito di cittadinanza («Va finanziato con le pensioni d’oro»), alla Casaleggio Associati («Non si occupa del M5S, lo fa l’associazione Rousseau») e alla reticenza sulle preferenze politiche pre-M5S («Ho votato per diverse formazioni politiche, ma non dico quali»), Davide Casaleggio preferisce guardare al futuro. E, come il padre, lo fa con accenti visionari, se non apocalittici: «Chi non ha idee è destinato ad avere un salario cinese», spiega. «Dobbiamo cominciare a investire in innovazione». Renzi? «Non è credibile». I diktat di Grillo? «È un bene che ci sia la figura del garante».Il cambio di strategia si conferma anche nella scelta di affidare l’organizzazione della prima “Leopolda grillina” ad un’agenzia esterna, la Visverbi di Milano, ben introdotta nel sistema dei media, un tempo evitati come la peste dai grillini. Non più dunque la comunicazione fatta in casa, con i consigli dell’ex gieffino Rocco Casalino (che comunque ha fatto da preparatore atletico per la prima uscita tv di Casaleggio jr), ma un’agenzia di comunicazione vera e propria, che come mission aziendale ha «la gestione delle professionalità del giornalismo». La Visverbi appunto, guidata da Valentina Fontana (moglie di Gianluigi Nuzzi) e Barbara Castorina, che ha nel suo portafoglio diversi giornalisti-opinionisti influenti, tra cui Nuzzi, uno degli ospiti della kermesse della “Associazione Gianroberto Casaleggio” e co-intervistatore di Davide Casaleggio a “La7” insieme al sociologo Domenico De Masi, anche lui sul palco ad Ivrea (e anche lui secondo “L’Unità” cliente della Visverbi). Tanto che il Pd, col deptato della Vigilanza Sergio Boccadutri, annuncia un esposto all’Agcom sul «conflitto di interessi» per l’intervista a “La7” fatta «da un giornalista «che fa parte dell’agenzia Visverbi, la stessa che organizza l’evento M5S a Ivrea».Proprio con “La7” il M5S sembra aver creato un rapporto privilegiato. Non è un caso che il direttore del TgLa7, Enrico Mentana, sia uno dei moderatori del convegno di Casaleggio, e che “La7” sia spesso scelta dai pesi massimi del M5S per le uscite strategiche. Il patron di “La7”, Urbano Cairo (in prima fila a Milano per l’ultimo spettacolo di Grillo), è un editore abituato ad intercettare la pancia del paese, “La Gabbia” di Gianluigi Paragone (altro giornalista ospite domani del Casaleggio day) affronta temi che piacciono alla pancia M5S. Cairo, poi, è anche l’editore del “Corriere della Sera”, e proprio su quelle pagine è uscita la lettera di Casaleggio jr sul futuro del M5S. Il co-leader vuole l’elettorato moderato, e per questo obiettivo serve sia la carta stampata della buona borghesia, sia la tv. Come spiega la direttrice di Euromedia Research, Alessandra Ghisleri: «Nonostante l’enfasi sulla Rete, i grillini sanno bene che l’80% degli italiani si informa ancora tramite i media tradizionali. Una larga fetta di elettori sopra i 55 anni, particolarmente spaventata da quello che avvertono come un movimento eversivo, in televisione può essere intercettata, nella speranza di rassicurarla». Basta guerre all’«informazione di regime», meglio farseli amici.(Paolo Bracalini, “Non hai idee? Salario cinese”, da “Il Giornale” dell’8 aprile 2017).Davide Casaleggio, erede di Gianroberto alla guida dell’azienda omonima e soprattutto del M5S, esce dal silenzio ed appare in tv per la prima volta, a “Ottoemezzo” (“La7”). Una novità, e un cambio di strategia politica con la guida di Casaleggio jr. Che però, alla vigilia della kermesse dell’associazione intitolata al padre, nega investiture da numero uno del M5S: «Il capo politico è Grillo. Io ho supportato l’attività del Movimento, dai meetup fino a Rousseau. E continuo a farlo, gratuitamente, perché mi sembra un buon progetto. Non voglio sostituire mio padre, aiuto Beppe Grillo. Mi definisco un disciplinato amante del rischio, la politica la sto lasciando ad altri». Dice che il M5S sta lavorando a «nuovi modelli di selezione della classe dirigente», una necessità per il M5S visto che «è la prima forza politica in Italia» come aveva previsto quel «sognatore» del padre. Oltre al reddito di cittadinanza («Va finanziato con le pensioni d’oro»), alla Casaleggio Associati («Non si occupa del M5S, lo fa l’associazione Rousseau») e alla reticenza sulle preferenze politiche pre-M5S («Ho votato per diverse formazioni politiche, ma non dico quali»), Davide Casaleggio preferisce guardare al futuro. E, come il padre, lo fa con accenti visionari, se non apocalittici: «Chi non ha idee è destinato ad avere un salario cinese», spiega. «Dobbiamo cominciare a investire in innovazione». Renzi? «Non è credibile». I diktat di Grillo? «È un bene che ci sia la figura del garante».