Archivio del Tag ‘Al Qaeda’
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Chi ci porta in guerra, e perché i giornali non lo rivelano
Mille cisterne di petrolio dell’Isis, dirette in Turchia, distrutte in pochi giorni dai caccia russi. Poi l’abbattimento del Sukhoi-24, col mitragliamento di uno dei piloti mentre scendeva col paracadute. E il ministro degli esteri turco che dice al collega russo Lavrov che i militari di Ankara, quei pasticcioni, non avevano capito che l’aereo sul confine turco-siriano fosse russo. Una farsa pericolosa, su cui Obama si è limitato a dire che “la Turchia ha il diritto di difendersi”, come se il bombardiere Su-24 stesse minacciando la sicurezza turca. Conseguenze? Imprevedibili. Secondo Pepe Escobar, Mosca potrebbe chiudere i rubinetti del gas (da cui la Turchia dipende), armare segretamente i separatisti curdi dell’Anatolia e, intanto, spedire gli “Spetznaz” – i temibili reparti speciali – in missione punitiva tra le montagne dove si annidano i guerriglieri turcomanni, quelli che hanno mitragliato il paracadutista compiendo un crimine di guerra particolarmente odioso, sanzionato dalla Convenzione di Ginevra del 1977. Il “colpo alla schiena” sferrato a Putin ci spinge verso una guerra più vasta?
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Made in Italy e Qatar: facciamo affari con chi finanzia l’Isis
«Non facciamo affari con paesi che finanziano l’Isis», così il premier Matteo Renzi ha liquidato l’argomento ad esplicita domanda, nel corso dell’intervista rilasciata a SkyTg24 mercoledì sera. Storiella, questa, che andrà ad aggiungersi alla collezione di bugie sesquipedali alle quali il premier ci ha abituato. Se è vero, infatti, che è da qualche tempo ormai riconosciuto a livello internazionale il ruolo principale dell’emirato del Qatar nel finanziamento del Daesh (Isis), non si vede all’orizzonte nessun provvedimento nei confronti del Qatar da parte dello Stato italiano. Le attività economiche dei qatarioti nel nostro paese sono diverse e seppure non raggiungano ancora la mole di investimenti già toccata in Francia, la dimensione degli affari tra Italia e Qatar, pubblica o privata che sia, sta diventando altrettanto importante. Sebbene non abbiano ancora comprato una squadra di calcio, come è capitato al Paris Saint-Germain, il fondo sovrano qatariota, la Qatar Holding Llc, ha buoni rapporti con imprenditori italiani e addirittura con il Fondo Strategico Italiano Spa (Fsi), società controllata dalla Cassa Depositi e Prestiti, cioè direttamente dallo ministero del Tesoro.La società, che fu fondata dall’ex ministro Giulio Tremonti nel 2011, venne ideata sul modello francese per difendere le aziende italiane che grazie alla crisi rischiavano spesso di venir acquistate da società straniere, come è accaduto alla Parmalat. Tuttavia sembra che finito il governo Berlusconi, lo scopo sia stato tutt’altro. L’Fsi nel 2013, nei mesi successivi ad una visita in Qatar dell’allora premier Mario Monti, ha costituito una joint venture con il fondo sovrano qatariota dando vita ad una società dedicata, si legge nel comunicato, squisitamente al made In Italy, denominata Iq Made in Italy Venture. La società, forte dei milioni del fondo sovrano è entrata (tanto per trarre un esempio delle sue attività) in società con un colosso della carne italiana, Cremonini, rilevando il 28,4% della Inalca, gruppo dell’imprenditore bolognese, che si occupa della distribuzione delle sue carni all’estero.Al di fuori degli affari con il ministero del Tesoro, il fondo sovrano qatariota ha rilevato all’inizio dell’anno per intero, passando dal 40% precedente al 100% attuale, la struttura di Porta Nuova a Milano, il complesso di grattacieli e palazzi, che era controllata dalla Hines srg (insieme ad altre società come Unicredit) dell’imprenditore Manfredi Catella. Siamo dunque all’ennesima fregatura di Renzi, a meno che non si voglia avere l’ardire di negare i coinvolgimenti dell’emirato nel finanziamento di gruppi radicali islamici, compresi i gruppi afferenti all’Isis. Non solo con il Qatar ci facciamo bellamente affari, ma consentiamo agli emiri di papparsi i nostri prodotti made In Italy, comprese le aziende dell’alta moda come Valentino, acquistata dagli Al-Thani nel 2012. Ma il Qatar ha compiuto negli anni una politica molto accorta, dove ha saputo da un lato proporsi come interlocutore di pace, lo ha fatto in Afghanistan, e lo ha fatto in Libano. E dall’altro ha cavalcato le primavere arabe, che se non erano piaciute ai sauditi, che hanno perso, a causa di queste ultime, alcune roccaforti come l’Egitto di Mubarak, hanno consentito ai qatarioti di fomentare più di tutti, i ribelli in Libia.Ma stranamente non se ne parla mai, né ne parlano i soliti analisti ed opinionisti che affollano le trasmissioni di approfondimento che si accalcano negli ultimi giorni. I soldi del Qatar fanno comodo a molti paesi europei, in primis la Francia. Sebbene ora sul campo degli imputati ci sta andando l’Arabia Saudita, chi è ben informato sa che i sauditi formalmente non hanno finanziato direttamente l’Is, ma semmai il fronte di al-Nusra. Ma è anche bene sapere come abbiamo spiegato anche sulle colonne di questa testata che il fronte di ribelli armato e definito a torto come moderato e l’Isis sono praticamente la stessa cosa. Se al-Nusra nasce da una cellula di Al-Qaida, l’Isis nasce dalla stesa radice dei movimenti wahabiti, ma questa è un altra storia. Ciò che importa è sapere che l’Italia non solo fa affari con il Qatar, ma vende armi ai sauditi tramite Finmeccanica, come ampiamente evidenziato in questi giorni e in tono polemico dagli esponenti del Cinque Stelle, così come il nostro vende la sua compagnia aerea di bandiera agli emirati arabi, altro Stato accusato di avere più di buoni rapporti con certe frange islamiste.Ma Renzi oltre a queste incongruenze non perde occasione di fare la solita propaganda di bassa lega. La totale assenza di dialogo con il Vaticano viene spacciata come un successo. Secondo il premier, infatti, al Papa non si poteva chiedere di rinviare il Giubileo, ma questa è implicitamente un’ammissione di debolezza. Di fatto Papa Francesco ha imposto un Giubileo non programmato in una città come Roma, che vive uno dei peggiori momenti della sua storia, non tanto per una questione di sicurezza, ma a livello amministrativo, sociale e politico. Nessuno vuole vietare alla Chiesa cattolica di compiere la propria missione, ma rimandare un evento così importante come il Giubileo e aspettare un momento politico più stabile dell’amministrazione della capitale, sarebbe stato saggio. E che il presidente del consiglio non abbia neanche provato a costruire un dialogo con il Vaticano sulla questione del Giubileo è abbastanza grave. Anche la promessa di aumentare la spesa pubblica per l’apparato di sicurezza in barba alla spending review, appare buttata lì per imbonire l’opinione pubblica.L’emergenza immigrazione ha messo a dura prova la capacità dello Stato italiano in generale di garantire sicurezza e giustizia ai propri cittadini. E sappiamo bene come il traffico di migranti serva a molte società vicine ai partiti per fare affari. Motivo per il quale, viste le condizioni della Polizia di Stato, piuttosto che rassicurarsi delle parole del premier, bisogna ringraziare qualcuno lassù che il nostro paese conti davvero così poco in questo periodo storico da risultare poco credibile, a nostro avviso, che vi possa essere una reale minaccia terroristica alle città italiane. Infine il premier ha dato merito all’intelligence italiana nell’aver dato una mano importante nell’individuazione di Jihadi John, cosa tutta da verificare, ammesso che uccidere uno che fa il boia sia così importante nella lotta all’islamismo e non invece il solito gossip di guerra buono per twitter e i telegiornali.Dunque soltanto in una cosa ci sentiamo di concordare con il leader del Pd: è inutile farsi prendere dall’isteria, l’Italia ha saputo già superare gravi minacce terroristiche, senza fare ricorso ad ulteriori restrizioni delle libertà personali, soprattutto in un’epoca nella quale siamo spiati da internet e tecnologie varie molto più di 30-40 anni fa, e spesso basterebbe un bambino un po’ pratico per conoscere vita morte e miracoli di una persona soltanto dal profilo Facebook. Ma è anche vero che dell’Italia del 2015 c’è poco da fidarsi, il disagio e il caos in cui vivono le nostre città da alcuni anni la dice lunga sulle possibilità di tenuta dello Stato italiano in caso di grave emergenza e destabilizzazione. Per il resto Renzi e Pd bocciati e menzogneri, come sempre.(Mirco Coppola, “Allarme terrorismo, le nuove menzogne di Renzi”, da “Opinione Pubblica” del 19 novembre 2015).«Non facciamo affari con paesi che finanziano l’Isis», così il premier Matteo Renzi ha liquidato l’argomento ad esplicita domanda, nel corso dell’intervista rilasciata a SkyTg24 mercoledì sera. Storiella, questa, che andrà ad aggiungersi alla collezione di bugie sesquipedali alle quali il premier ci ha abituato. Se è vero, infatti, che è da qualche tempo ormai riconosciuto a livello internazionale il ruolo principale dell’emirato del Qatar nel finanziamento del Daesh (Isis), non si vede all’orizzonte nessun provvedimento nei confronti del Qatar da parte dello Stato italiano. Le attività economiche dei qatarioti nel nostro paese sono diverse e seppure non raggiungano ancora la mole di investimenti già toccata in Francia, la dimensione degli affari tra Italia e Qatar, pubblica o privata che sia, sta diventando altrettanto importante. Sebbene non abbiano ancora comprato una squadra di calcio, come è capitato al Paris Saint-Germain, il fondo sovrano qatariota, la Qatar Holding Llc, ha buoni rapporti con imprenditori italiani e addirittura con il Fondo Strategico Italiano Spa (Fsi), società controllata dalla Cassa Depositi e Prestiti, cioè direttamente dallo ministero del Tesoro.
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Al-Baghdadi alias Simon Elliot, sul web tra Jihad e Mossad
La tragedia di Parigi rappresenta un fatto di eccezionale gravità, perché ha coinvolto persone totalmente estranee ad ogni ideologizzazione e sorprese in un momento di vita quotidiana. Le vittime sacrificali di questo eccidio sommuovono la coscienza, la mettono in subbuglio, perché si tratta di qualcosa che la nostra ragione ci fa comprendere è accaduto in casa nostra. Non segue a questo pensiero una considerazione “buonista”, che aggravi la coscienza con il senso di colpa del non saper avvertire lo stesso dolore per quel che ogni giorno accade in Siria. Sarà eticamente importante, ma non è questo il punto che trasforma un sentimento in un pensiero politico. La soglia di trasformazione è data dal pensiero: cui prodest? a chi serve? chi ne trae vantaggio? E’ possibile trascurare il fatto che gli autori dell’attentato, di quest’ultimo del 13 novembre come di quello alla redazione di Charlie Hebdo del 7 gennaio sono stati realizzati da musulmani di seconda generazione, residenti in Francia e in Belgio. E’ del tutto inopportuno trarre facili conseguenze o proporre semplificazioni inadeguate.Tuttavia, chi scrive non può dimenticare di aver girato buona parte del Medio-Oriente e, per quanto l’età d’oro di un mondo musulmano che voleva in tutto e per tutto emulare il modello di vita occidentale si sia appannato dopo l’ingiusta operazione contro Saddam Hussein (accusato di avere armi chimiche, secondo un castello di accuse costruito ad arte da Dick Cheney e Valerie Plame per giustificare l’intervento militare a sostegno dei petrolieri voluto da Bush), tuttavia è indiscutibile che la stragrande maggioranza, per non dire pressochè la totalità di coloro che vivono nei paesi del Medio Oriente, null’altro vogliono che vivere tranquilli e in pace. Cos’ha fatto dunque l’Occidente nel momento in cui la Tunisia, l’Egitto, persino lo Yemen, con i movimenti della cosiddetta Primavera Araba, hanno chiesto democrazia e libertà? Nulla, proprio nulla. Niente. Anzi, no. L’Occidente ha colto l’opportunità di operare lo sfruttamento delle risorse del Medio Oriente in modo ancora più cinico.E’ evidente che l’Occidente non vuole la democrazia e l’emancipazione dei popoli che intende piuttosto dominare e sfruttare. I disordini all’interno di questi paesi permettono di attuare la più classica delle politiche di sfruttamento: divide et impera. I militari presidiano i giacimenti petroliferi, l’estrazione del greggio avviene pressoché gratuitamente. Le popolazioni sono messe le une contro le altre, e si guadagna anche dalla vendita delle armi. Si saccheggiano le fortezze. Si trafugano opere d’arte. Gli eserciti regolari fanno la loro parte. Al resto ci pensano le truppe mercenarie. Eccoci al punto. Le truppe mercenarie. Sotto il presidio di garanzia degli eserciti regolari, sono loro che fanno il lavoro sporco. Sono loro che scambiano armi per droga. Su questo genere di indagini, per esempio, sono morti Ilaria Alpi e Mauro Rostagno. Qualcuno ricorderà, spero. E non c’è bisogno di ricorrere a fonti “esotiche” o di estrema sinistra per sapere che, da quando le truppe occidentali sono stanziate in Afghanistan, la produzione di oppio è decuplicata: è “Time” a dichiararlo.L’establishment non fa più mistero delle sue nefandezze, le espone, con la certezza che la notizia, iperinflazionata, sarà notata solo da alcuni, senza giungere alla coscienza dell’opinione pubblica, della coscienza collettiva. Sapendo questo, risulta così sorprendente l’affermazione che Al-Qaida è stata una struttura sotto controllo Cia, i cui leader sono stati formati e addestrati proprio in questo contesto? E può sorprendere che la Cia sia sotto controllo da parte di forze occulte come la Pentalfa? E’ così impensabile che Bin Laden e Al-Baghdadi siano stati formati da questi ambienti? E, da ultimo, come attualmente circola la notizia sul web, che il sedicente califfo Al-Baghdadi non sia che un agente del Mossad, il cui vero nome è Simon Elliot? E’ tutto questo così incredibile? Oppure, come sempre, la realtà supera la fantasia?Prima di chiudere questo articolo, due considerazioni vanno svolte. La prima, avvertendo che quanto qui scritto non si adagia su un facile “complottismo”. Soprattutto, nessuno pensi che qui sia espressa una posizione antisemita e anti-israeliana. Al contrario, la posizione è certamente filo-israeliana: ma a favore di quell’Israele sognato da quegli intellettuali ebrei che già all’alba del riconoscimento di Israele come Sato nazionale, opponevano a questo preteso “trionfo del sionismo” la scelta di un “sionismo spirituale”, che rifiutava di immaginare il nuovo Israele come Stato nazionale proprio a causa di quel tremendo olocausto che i nazionalismi aveva fatto subire al popolo ebraico che dunque, invece che Stato nazionale, avrebbe dovuto essere un protettorato internazionale, sede ospitante di quel che avrebbe dovuto essere “un popolo di sacerdoti”, “luce per le nazioni”. Naturalmente, questa idea venne respinta dalla maggioranza.La seconda, che rattrista ancor più, è data dal fatto che il ventre molle del capitalismo imperialista si nutre sempre di più di giovani ignari delle conseguenze di quel che fanno, ragazzi come quelli che hanno commesso questi attentati non sono nemmeno consapevoli del fatto che stanno servendo interessi completamente lontani e distanti dai loro e da quelli del loro popolo che, anzi, proprio per quel che hanno fatto, subiranno nuove vessazioni. Il sistema dei siti web per adescare i cosiddetti “jihadisti” è controllato dalla propaganda militare dei servizi segreti occidentali, e si nutrono di loro, a loro insaputa. A noi restano leggi liberticide e l’ipocrisia della politica, che distilla l’odio tra le religioni e la divisione tra i popoli. Ad onta delle anime nobili che continuano a sognare il dialogo tra i popoli, l’educazione e l’istruzione universale come accesso alla vita spirituale di tutti e di ciascuno. Svegliamoci, è tempo.(Davide Crimi, “Occidente, petrolio, dominio, propaganda e altri inganni”, dal blog del “Movimento Roosevelt” del 21 novembre 2015).La tragedia di Parigi rappresenta un fatto di eccezionale gravità, perché ha coinvolto persone totalmente estranee ad ogni ideologizzazione e sorprese in un momento di vita quotidiana. Le vittime sacrificali di questo eccidio sommuovono la coscienza, la mettono in subbuglio, perché si tratta di qualcosa che la nostra ragione ci fa comprendere è accaduto in casa nostra. Non segue a questo pensiero una considerazione “buonista”, che aggravi la coscienza con il senso di colpa del non saper avvertire lo stesso dolore per quel che ogni giorno accade in Siria. Sarà eticamente importante, ma non è questo il punto che trasforma un sentimento in un pensiero politico. La soglia di trasformazione è data dal pensiero: cui prodest? a chi serve? chi ne trae vantaggio? E’ possibile trascurare il fatto che gli autori dell’attentato, di quest’ultimo del 13 novembre come di quello alla redazione di Charlie Hebdo del 7 gennaio sono stati realizzati da musulmani di seconda generazione, residenti in Francia e in Belgio. E’ del tutto inopportuno trarre facili conseguenze o proporre semplificazioni inadeguate.
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Chi pilota l’Isis ha il terrore che smettiamo di avere paura
«Non c’è un solo governo, al mondo, che non sia controllato da quei poteri»: per Fausto Carotenuto, già analista strategico-militare dei servizi segreti, è deprimente assistere alla farsa dei media mainstream, che si affannano a presentare “la mente”, “il basista” e “l’ottavo uomo” della strage di Parigi, come se si trattasse delle indagini per una normale rapina alle Poste. In compenso, su voci alternative come “Border Nights”, può capitare di avere – in appena un paio d’ore, grazie a semplici collegamenti Skype – informazioni e analisi di altissima qualità, capaci di superare centinaia di ore di infotainment e chilometri di carta stampata. E’ accaduto anche martedì 17 novembre, a quattro giorni dalla mattanza: ospiti della trasmissione, oltre a Carotenuto, un indagatore come Paolo Franceschetti (delitti rituali, Rosa Rossa, Mostro di Firenze), il regista Massimo Mazzucco (11 Settembre), Gioele Magaldi (“Massoni, società a responsabilità illimitata”) e un secondo massone, Gianfranco Carpeoro, esperto di codici simbolici: «Scordatevi qualsiasi altra pista, quello di Parigi è stato un attentato progettato da menti massoniche o para-massoniche e destinato innanzitutto ad altri massoni, i soli in grado di cogliere immediatamente il significato di quella data, 13 novembre».Non un giorno a caso, ma quello in cui – spiega Carpeoro – nel lontano 1307 un gruppo di Templari riuscì a lasciare Parigi sfuggendo alle persecuzioni ordinate da Filippo il Bello: quei Templari riapararono in Scozia, dove si unirono a logge massoniche, all’epoca ancora “operative”, professionali (dedite cioè alla costruzione di cattedrali) per poi dar vita, in seguito, alla massoneria moderna. Già avvocato, pubblicitario e scrittore, eminente studioso di linguaggio simbolico nonché ex “sovrano gran maestro” della massoneria italiana di rito scozzese, Carpeoro ha aderito al “Movimento Roosevelt” fondato da Magaldi per contribuire al “risveglio” della politica italiana in chiave anti-oligarchica. Su Parigi la pensa come Carotenuto e lo stesso Magaldi: è semplicemente impossibile, sul piano tecnico, che i commando di jihadisti in azione nella capitale francese abbiano potuto agire da soli, senza la copertura decisiva di settori “infedeli” delle forze di sicurezza. In più, Carpeoro ravvisa la possibile applicazione del modulo standard concepito dalla Cia per attuare la strategia della tensione, basato su tre direttrici simultanee: due attentati strategici (uno principale, l’altro di riserva) e un terzo obiettivo, tattico-diversivo, per sviare la polizia e centrare più facilmente il “bersaglio grosso”.Secondo questo copione, sistematicamente attuato, il presidente Hollande potrebbe esser stato addirittura all’oscuro del complotto, sostiene Carpeoro: probabilmente il “bersaglio grosso” doveva essere lui, insieme agli altri spettatori allo stadio. «Poteva essere una strage ben peggiore, con persone uccise dall’esplosivo e altre dal caos scatenato dal panico, sugli spalti. Ma qualcosa è andato storto, perché qualcuno ha intercettato i kamikaze fuori dallo stadio. Solo a qual punto, quindi, i terroristi potrebbero aver ricevuto l’ordine di sterminare il pubblico del teatro Bataclan. Le sparatorie nel centro di Parigi? Solo un diversivo per distogliere le forze di polizia, ignare dell’operazione in corso». Obiettivo comunque raggiunto grazie al Piano-B, la strage nel teatro: terrore diffuso, insicurezza, bisogno di protezione e quindi maggiore disponibilità ad accettare strette repressive e persino la prospettiva della guerra. Retroscena: «Bisogna capire con chi parlò Hollande nei giorni precedenti, tenendo conto che negli ultimi anni, si veda la Libia ma non solo, è stata sempre la Francia a dare il via ai grandi sconvolgimenti geopolitici». Qualcuno potrebbe aver proposto a Hollande di aprire le danze anche stavolta (un mese fa, il capo dell’Eliseo annunciò di voler bombardare l’Isis in Siria), in cambio di un allentamento della stretta di Bruxelles sulla finanza pubblica francese.Non a caso, il governo di Parigi ha risposto all’attentato con massicci blitz dell’aviazione in Siria accanto alla Russia, e ha annunciato che per questo motivo la Francia sforerà il tetto europeo per la spesa pubblica. Se Magaldi ricorda quanto già rivelato un anno fa nel suo libro esplosivo – il ruolo della superloggia segreta “Hathor Pentalpha” dietro alla strategia della tensione (internazionale) avviata con l’11 Settembre – un ex stratega dell’intelligence come Carotenuto, ora impegnato sul fronte opposto anche attraverso il network “Coscienze in rete”, non usa giri di parole: «Per distruggere l’Isis in tre settimane non serve neppure una bomba, basta chiudere i rubinetti: bloccare via terra, cielo e mare i rifornimenti che l’Isis riceve ogni giorno, come le centinaia di Tir che varcano regolarmente il confine turco». Finora si è lasciato fare? Inutile stupirsene: «Non esiste terrorismo, e nemmeno strapotere mafioso, senza una protezione diretta da parte dei vertici. Come dimostra la storia delle Br, a lungo “imprendibili” e poi liquidate, lo Stato è infinitamente più forte di qualsiasi avversario di quel genere: se gli attentati hanno successo, è solo perché qualcuno, dall’interno, ha collaborato coi terroristi».L’ultima cosa che manca, oggi, è la manovalanza: «Non si può pensare che milioni di persone si rassegnino ad avere fame per sempre», dice ancora Carpeoro: «Questo sistema economico, radicalmente ingiusto, alla lunga non può che produrre rivoluzioni». Proprio per questo, dice ancora l’ex “sovrano gran maestro” della massoneria non-allineata di Palazzo Vitelleschi, gli elementi più lucidi della super-massoneria interazionale anglosassone hanno iniziato a opporsi all’élite oligarchica. Magaldi conferma: proprio a loro, oltre che all’opinione pubblica europea, è rivolto il terrorismo di Parigi, concepito come monito nei confronti dell’élite democratica, «in fase di riorganizzazione dopo decenni di dominio da parte dell’ala neo-aristocratica e reazionaria del massimo potere». Proprio quei poteri, chiosa Carotenuto, hanno operato ininterrottamente nella medesima direzione, la guerra, a partire dall’11 Settembre: Iraq e Afghanistan, Somalia, Yemen, poi le «finte primavere arabe» che hanno destabilizzato paesi come Egitto e Tunisia, fino alla doppia carneficina della Libia e della Siria. «Identico l’obiettivo: creare il caos, e in quel caos fra crescere la manovalanza del terrore, ieri Al-Qaeda e oggi Isis». Movente: «Solo in condizioni di evidente emergenza l’opinione pubblica occidentale più accettare la guerra e, entro i propri confini, decisive restrizioni della libertà che consegnano ancora più potere ai soggetti dominanti».Per Carpeoro, dietro a tutto questo non c’è neppure una grande visione, sia pure distorta: «C’è solo brama di potere, di dominio: se il 50% dell’energia di cui ho bisogno proviene da uno di quei paesi, non posso tollerare che vi si instauri una democrazia», in grado di insediare un governo che cambi le carte in tavola e pretenda diritti. Forse, sotto questo aspetto, la strage di Parigi – che è un’esibizione minacciosa – può essere anche un segnale di debolezza: gli egemoni ricorrono alla legge della paura perché temono di perdere terreno? Per Carotenuto, non è neppure questione di geopolitica o banche: «Al-Qaeda e l’Isis sono soltanto strumenti. Il vero obiettivo è dominare la nostra mente, condizionandola in eterno per renderci inoffensivi e rassegnati». Guai a dare la caccia ai fantasmi, insiste Carpeoro: si rischia solo di credere alla fiaba dell’Uomo Nero, proprio come vorrebbero gli egemoni. «Il potere è uno schema», non una piramide: «Puoi abbattere il vertice, e il giorno dopo i peggiori leader sono sostituiti con altri, identici. Il problema siamo noi, che accettiamo un sistema senza valori, che prevede che qualcuno stia meglio se altri stanno peggio: dobbiamo svegliarci, rifiutare questo tipo di società». E’ possibile che il “risveglio” sia già partito, ai piani alti? Lo spaventoso massacro di Parigi ne sarebbe una conferma: l’élite stragista comincia ad avere paura, al punto da scatenare l’orrore in mondovisione?«Non c’è un solo governo, al mondo, che non sia controllato da quei poteri»: per Fausto Carotenuto, già analista strategico-militare dei servizi segreti, è deprimente assistere alla farsa dei media mainstream, che si affannano a presentare “la mente”, “il basista” e “l’ottavo uomo” della strage di Parigi, come se si trattasse delle indagini per una normale rapina alle Poste. In compenso, su voci alternative come “Border Nights”, può capitare di avere – in appena un paio d’ore, grazie a semplici collegamenti Skype – informazioni e analisi di altissima qualità, capaci di superare centinaia di ore di infotainment e chilometri di carta stampata. E’ accaduto anche martedì 17 novembre, a quattro giorni dalla mattanza: ospiti della trasmissione, oltre a Carotenuto, un indagatore come Paolo Franceschetti (delitti rituali, Rosa Rossa, Mostro di Firenze), il regista Massimo Mazzucco (11 Settembre), Gioele Magaldi (“Massoni, società a responsabilità illimitata”) e un secondo massone, Gianfranco Carpeoro, esperto di codici simbolici: «Scordatevi qualsiasi altra pista, quello di Parigi è stato un attentato progettato da menti massoniche o para-massoniche e destinato innanzitutto ad altri massoni, i soli in grado di cogliere immediatamente il significato di quella data, 13 novembre».
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Magaldi: dietro al terrore, menti massoniche e 007 traditori
«Le menti e le mani che hanno prima pianificato ed effettuato gli attentati a “Charlie Hebdo” e poi le terribili stragi di venerdì 13 novembre 2015 sono le stesse, identiche. E sono menti e mani che amano particolarmente le simbologie della tradizione esoterica e massonica occidentale… in modo impressionante», afferma Gioele Magaldi, segnalando una sinistra coincidenza storica: «Non ho ancora sentito nessuno, a livello di mainstream mediatico, ricordare che il venerdì 13 ottobre del 1307, proprio in Francia, il re Filippo il Bello ordinò l’arresto dei Templari. Da allora, quella data ha assunto una rilevanza fondamentale in determinati ambienti appunto esoterici e massonici, e persino nella produzione letteraria e filmografica». Autore del bestseller “Massoni. Società a responsabilità illimitata”, Magaldi ha denunciato già nel 2014 i piani criminali della superloggia “Hathor Pentalpha”, creata dai Bush reclutando anche leader come Blair, Sarkozy ed Erdogan per una sorta di strategia della tensione (mondiale) inaugurata l’11 Settembre con l’attacco alle Torri, che diede il via alla “guerra infinita”.«I tragici fatti di Parigi, sia del 7 gennaio che dello scorso 13 novembre 2015, sono anzitutto opera di coloro che hanno creato a tavolino prima Al Qaeda e poi l’Isis», insiste Magaldi, intervistato da Lorenzo Lamperti per “Affari Italiani”. «Chi ha voluto realizzare la strage di Parigi, facendola compiere proprio un venerdì 13, ha mandato un segnale preciso di natura infra-massonica». Magaldi, già “gran maestro” della loggia Monte Sion e poi leader del Grande Oriente Democratico, si riserva di spiegare in seguito di che “segnale infra-massonico” si tratti e perché, «al lume delle notizie riservate che mi sono pervenute», dice, «sia stato scelto egualmente l’autunno per questo attentato, ma non il mese di ottobre, bensì quello di novembre». Magaldi afferma di annoverare «diversi amici fraterni onesti e scrupolosi, tra i quadri e i dirigenti dei servizi d’intelligence (di diverse nazioni) operanti in Francia e in particolare a Parigi». Gli hanno “suggerito” che «senza una falla grossa come una casa nell’operato degli stessi servizi segreti occidentali e francesi (qualche agente infedele che, evidentemente, ha “collaborato” con i terroristi, tradendo con infamia i propri doveri e la propria dignità di uomo e di servitore dello Stato), quello che è accaduto venerdì 13 novembre non sarebbe mai potuto accadere».Troppo facile, il “lavoro” dei killer: «Ma stiamo scherzando? Terroristi che arrivano indisturbati a pochi passi da dove si muove il presidente della Repubblica e che vanno a fare il più atroce attentato in un locale che avrebbe dovuto essere scientificamente guardato a vista da servizi d’intelligence e sicurezza, in quanto già attenzionato in precedenza per possibili atti di terrorismo e violenza? Senza la connivenza di apparati deviati dell’intelligence militare e civile, tutto ciò non sarebbe stato assolutamente possibile». Puntuali, i riflessi politici dopo la strage: il procuratore nazionale Antimafia e Antiterrorismo, Franco Roberti, ha detto che “dobbiamo esser pronti a cedere una parte delle nostre libertà” di comunicazione. Un Patriot Act all’italiana? «Se Franco Roberti si è espresso cosi, il Movimento Roosevelt, entità politica metapartitica da me presieduta, chiederà ufficialmente le sue dimissioni», avverte Magaldi. Dimissioni «per manifesta incompatibilità ideologica con i principi e i fondamenti di quelle istituzioni democratiche e liberali che egli, con le strutture da lui guidate, dovrebbe difendere dalle minacce del terrorismo e della malavita organizzata».Magaldi ricorda che il massone progressista Benjamin Franklin, uno dei massimi padri della nascita della prima Repubblica costituzionale e democratica al mondo, gli Stati Uniti d’America, soleva affermare: «Chi è pronto a dar via le proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di temporanea sicurezza, non merita né la libertà né la sicurezza». E dire che la soluzione, quella vera, sarebbe a portata di mano: «Se solo si volesse (ma non si vuole, perché lo show del terrorismo hollywoodiano a cura dell’Isis fa comodo a molti), si dovrebbe procedere con un’azione militare poderosa, per via aerea ma soprattutto via terra, concertata tra tutte le maggiori potenze almeno nominalmente democratiche, preferibilmente sotto l’egida dell’Onu». Un’azione risoluta, «per spazzare via il cosiddetto Califfato dell’Isis dalla faccia della terra». Se solo si volesse, aggiunge Magaldi, in poco tempo i miliziani dell’Isis sarebbero travolti. «Solo che, per essere credibile, legittimato, giustificabile e ben accetto, al presente come per il futuro, un tale intervento militare, una volta conseguita la vittoria, dovrebbe essere seguito rapidamente e seriamente dalla costruzione di infrastrutture materiali e immateriali, culturali, istituzionali ed economiche».Se si vuole la pacificazione occorre un colossale investimento, quindi, per «trasformare quei territori martoriati medio-orientali (ora dominati dal Califfato) in società libere, democratiche, laiche, con un grande dispendio di risorse per aiutare la popolazione locale». Attenzione: «Non si tratta di fingere di “esportare la democrazia”, come volevano far credere all’opinione pubblica mondiale i farabutti massoni contro-iniziati che, tramite la superloggia sovranazionale Hathor-Pentalpha (si legga il primo volume della serie di “Massoni”, per capire di che si tratti), andarono a mettere a ferro e fuoco l’Iraq nei primi anni ‘2000 e altri territori in tempi successivi». Per Magaldi si tratta di costruirla davvero una vita democratica, libera, laica, pluralista e pacifica in quello che ora è l’habitat totalitario, integralista e ierocratico dell’Isis, ma anche nel resto del Medio Oriente. «E per farlo, occorre che i governi delle maggiori potenze democratiche mondiali collaborino con gli ambienti islamici più laici e moderati dell’area nord-africana e medio-orientale».C’è il rischio che ora, in Europa, prendano sempre più forza i populismi e gli estremismi, come Le Pen in Francia o Salvini in Italia? Falso allarme: «E’ uno spauracchio, questo della possibile avanzata dei movimenti populistici ed estremistici, agitato strumentalmente da coloro che poi, per far fronte a questa eventuale avanzata, propongono governi consociativi che, per loro natura, annullano la normale dialettica democratica tra forze politiche alternative». Governi consociativi come quello di Mario Monti, che poi favoriscono l’approvazione, quasi sempre con scarso dibattito politico-mediatico, di misure legislative contrarie all’interesse del popolo sovrano ma assai utili ad interessi privati sovranazionali e apolidi: «Si ricordi l’approvazione totalitaria e silenziata del funesto Fiscal Compact, ad opera del governo Monti, in Italia, e altri provvedimenti simili presi in tutta Europa». Magaldi non tifa certo per i populismi e gli estremismi, tanto più se di natura neo-nazionalistica, ma osserva che «i gruppi dirigenti di questi movimenti, solitamente, quando vanno al governo, si dimostrano del tutto docili e subalterni a quegli stessi poteri apolidi che di consueto si servono di maggioranze consociative e formalmente “moderate”».Magaldi punta il dito contro la regia occulta una certa massoneria internazionale, ma coi dovuti distinguo: «Non bisogna confondere il carattere cinico e apolide delle élites massoniche neoaristocratiche e reazionarie, cui mi sto riferendo, e che in alcuni loro segmenti sono responsabili dell’atroce strage di Parigi del 13 novembre scorso, dal positivo cosmopolitismo dei gruppi massonici progressisti, per i quali la patria non è la propria nazione, ma ogni luogo dove occorra combattere per la democrazia, la libertà e i valori racchiusi nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani approvata all’Onu il 10 dicembre 1948, grazie al “matrocinio” della libera muratrice Eleanor Roosevelt». Proprio nel nome dei Roosevelt, Eleanor e il marito Franklin Delano, promotore del New Deal che resuscitò l’America dalla Grande Depressione sulla base delle ricette macro-economiche di un altro massone, il grande economista John Maynard Keynes, ha dato vita al suo movimento italiano. Missione: democratizzare la politica, sfidando l’egemonia culturale dell’élite che terremota gli Stati con “armi di distruzione di massa” come l’austerity, basata sul taglio dell’investimento pubblico per dare mano libera all’oligarchia finanziaria. Dietro all’economia c’è un vertice politico occulto, insiste Magaldi, dominato da elementi massonici di stampo neo-feudale. E’ un disegno preciso, che avanza tra macerie e vittime. E va fermato nel solo modo possibile: con la democrazia.«Le menti e le mani che hanno prima pianificato ed effettuato gli attentati a “Charlie Hebdo” e poi le terribili stragi di venerdì 13 novembre 2015 sono le stesse, identiche. E sono menti e mani che amano particolarmente le simbologie della tradizione esoterica e massonica occidentale… in modo impressionante», afferma Gioele Magaldi, segnalando una sinistra coincidenza storica: «Non ho ancora sentito nessuno, a livello di mainstream mediatico, ricordare che il venerdì 13 ottobre del 1307, proprio in Francia, il re Filippo il Bello ordinò l’arresto dei Templari. Da allora, quella data ha assunto una rilevanza fondamentale in determinati ambienti appunto esoterici e massonici, e persino nella produzione letteraria e filmografica». Autore del bestseller “Massoni. Società a responsabilità illimitata”, Magaldi ha denunciato già nel 2014 i piani criminali della superloggia “Hathor Pentalpha”, creata dai Bush reclutando anche leader come Blair, Sarkozy ed Erdogan per una sorta di strategia della tensione (mondiale) inaugurata l’11 Settembre con l’attacco alle Torri, che diede il via alla “guerra infinita”.
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Ci vogliono in guerra, l’Isis è solo manovalanza (di fiducia)
E adesso siamo davvero in guerra. «Tutta la vita politica europea sarà sconvolta per sempre», dice Giulietto Chiesa, secondo cui d’ora in avanti ogni disagio sociale sarà rubricato come problema di ordine pubblico: «La nostra vita diverrà un eterno passaggio attraverso un metal detector». Lo sanno bene i politici che balbettano di fronte alla strage di Parigi, che espone al ridicolo l’intero dispositivo francese della sicurezza: a dieci mesi dalla mattanza di “Charlie Hebdo”, non meno di 70-80 professionisti armati, alloggiati, organizzati e coordinati nella capitale transalpina hanno potuto mettere a segno 7 attacchi simultanei in pieno centro. «Vuol dire che è meglio che quelli della Suretè si diano al giardinaggio», scrive Aldo Giannuli. Possibile che gli uomini di Hollande si siano fatti sorprendere così? Peraltro, se si pensa che siamo a 14 anni dall’attentato alle Twin Towers, dopo tre guerre (Afghanistan, Iraq e Libia) e un mare di soldi spesi, «qui la disfatta non è solo dei francesi, ma di tutta l’intelligence occidentale». Puzza di bruciato? Se ne accorge persino il mainstream: Paolo Pagliaro, nella trasmissione “Otto e mezzo” condotta da Lilli Gruber su “La7”, ricorda che l’Isis è stato finanziato da Turchia e Arabia Saudita, ed equipaggiato dagli Usa. Il vicepresidente Joe Biden riconobbe, tempo fa, che le armi inviate ai “ribelli” anti-Assad erano “finite” tutte alle milizie jihadiste del “califfo” Abu Bakr Al-Baghdadi, l’uomo fotografato in Siria in compagnia del senatore John McCain.«La Russia, con il suo intervento in Siria, ha cambiato il quadro politico mondiale», osserva Giulietto Chiesa su “Megachip”. «Il piano di ridisegnare la mappa medio-orientale è fallito. Daesh è, di fatto, sconfitta là dov’è nata. Dunque i suoi manovratori spostano l’offensiva in Europa». Obiettivo chiarissimo: terrorizzare il vechio continente e costringerlo sotto l’ombrello americano. «A mettere a posto la Russia penserà Washington. Del resto l’Airbus abbattuto nel Sinai, in termini di sangue russo innocente, è equivalso al massacro parigino. E non ce ne eravamo accolti». Merkel e Hollande, i due leader che «stavano cambiando rotta per uscire dal cappio americano», sono avvertiti. E mentre i Renzi di tutta Europa non osano affrontare le telecamere non sapendo cosa dire, ci si domanda inevitabilmente chi siano i manovratori del potente e vastissimo gruppo di fuoco che ha potuto fare quello che voleva, nel pieno centro di Parigi. «L’Isis è creatura di una Spectre composta da pezzi di Occidente e petromonarchie del Golfo», annota Chiesa. «Qualcuno la guida, ed è molto potente, carico di denaro e di armi. Il fanatismo è la sua facciata. Ma non spiega la sua “intelligence”». Una traccia l’ha fornita un anno fa Gioele Magaldi col suo libro “Massoni”, edito da Chiarelettere: una delle 36 Ur-Lodges, vertice massonico del potere mondiale, avrebbe un debole per le stragi e la strategia della tensione. Si chiama “Hathor Pentalpha” e, secondo Magaldi, annovera tra i suoi leader il capo del centrodestra francese, Nicolas Sarkozy. Obiettivo strategico: annullare la democrazia, anche a colpi di attentati, per riconsegnare il potere all’élite più reazionaria, neo-feudale, neo-aristocratica.Sorta nel 1980 quando George Bush fu sconfitto da Reagan nella corsa alla Casa Bianca, la “loggia del sangue e della vendetta” avrebbe promosso l’apocalisse dell’11 Settembre, punto di partenza della “guerra infinita” che da allora sta destabilizzando il pianeta. Oltre ai Bush, dal vecchio George Herbert al figlio George Walker fino al fratello, Jeb Bush, tra gli alfieri della “Hathor” figurerebbero anche Tony Blair, l’uomo da cui nacque l’invenzione delle “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein, nonché un leader autoritario come il turco Ergogan, appena rieletto con un plebiscito da una Turchia abbondantemente terrorizzata con un’ondata di paurosi attentati molto simili a quello di Parigi. Nel nome “Hathor”, spiega Magaldi, c’è il richiamo diretto all’Isis: Hathor è l’altro nome della dea Iside, molto popolare nel milieu massonico, compreso quello dei “controiniziati” che userebbero a scopo di potere – e con sanguinario cinismo – la propria conoscenza esoterica, fatta anche di precisi riferimenti simbolici. Sempre su “Megachip”, Roberto Quaglia ricorda la passione di Christine Lagarde (Fmi) per la numerologia, e osserva che la strage parigina è avvenuta un venerdì 13, nell’11esimo mese dell’anno e nell’11esimo “arrondissement” di Parigi.La maggior parte delle vittime, quelle del teatro Bataclan, erano spettatori di un concerto di heavy metal, sul palco c’erano gli “Eagles of Death Metal”. «Due settimane prima, a Bucarest (nota una volta come “la piccola Parigi”), in una strage su scala minore oltre 50 ragazzi perivano nel rogo sviluppatosi durante un concerto heavy metal, evento che ha rapidamente portato alla caduta del governo rumeno e l’instaurazione di un governo “tecnico” più eurocratico che mai», aggiunge Quaglia. Frequentare concerti heavy metal sta iniziando a farsi pericoloso? «Ciò detto, buona Terza Guerra Mondiale a tutti». Secondo Quaglia, all’Isis «non bastava venire bombardata dalla Russia con bombe vere», tenendo conto che quelle sganciate dagli Usa erano, di fatto, rifornimenti. «L’Isis vuole che anche la Francia ora si faccia avanti per bombardarli e, possibilmente, che invii anche truppe di terra per combatterli meglio. Cosa c’è di strano? Ha già annunciato simili attentati pure a Roma, Londra e Washington». Evidente la strategia: coinvolgere l’Europa nell’opzione-guerra, quella su cui scommettono dal 2001, ininterrottamente, le “menti” dell’11 Settembre, capaci di “inventarsi” come nemico pubblico prima l’ex uomo Cia in Afghanistan, Osama Bin Laden, e ora il bieco “califfo”, capo di un’orda di tagliatori di teste, completamente indisturbati fino all’entrata in azione, in Siria, dei bombardieri di Putin.Non era già Bin Laden, continua Quaglia, a sperare che – 14 anni fa – l’Afghanistan venisse bombardato e l’Iraq invaso? «Dopotutto fu proprio questo che egli ottenne». La solite malelingue sostengono che Isis è stato creato dagli Stati Uniti? E pazienza «se fra le malelingue c’è il generale francese Vincent Desportes, cosa volete che ne sappia uno come lui?». E le foto di Al-Baghdadi con McCain? «A chi non capita, dopotutto, di trovarsi per sbaglio assieme a personaggi sgradevoli che passavano di lì per caso?», scrive Quaglia, con sarcasmo: «Potrebbe accadere ad ognuno di noi». Alla vigilia dell’attentato di Parigi il capo della Cia si sarebbe incontrato col responsabile dei servizi segreti francesi? «Probabilmente questa gente va insieme a bersi una birra più spesso di quanto pensiamo – e cosa c’è di male?». Come spesso accade in questi casi, aggiunge Quaglia, le informazioni della strage su Wikipedia sono apparse a velocità da record: «Pare che alcuni fatti (una dichiarazione di Hollande) siano stati riportati addirittura prima che accadessero. Ma a questi piccoli miracoli siamo ormai abituati: i più smaliziati ricorderanno la Bbc annunciare l’11 settembre 2001 il crollo del Wtc7 con 20 minuti di anticipo rispetto al fatto».E siamo anche abituati ad altre puntuali “coincidenze”: tutte le volte che i terroristi colpiscono, qualche esercitazione antiterrorismo è sempre in corso. Accadde a New York l’11 Settembre, a Londra il 7 luglio 2005. Stavolta, a Parigi, la polizia era accorsa in forze alla Gare de Lyon per un allarme bomba. «E sempre per un “allarme bomba” lo stesso giorno è stato fatto sgomberare anche l’albergo dove si trovava la squadra nazionale tedesca di calcio, in città per l’incontro serale con la Francia. Dite che è poco?». Quel giorno, infine, era in corso «anche un’esercitazione completa proprio per il caso di un multi-attacco, che coinvolgeva polizia e pompieri, esattamente come in tutti i casi più eclatanti di terrorismo che ci hanno propinato». Secondo Quaglia, è impossibile non leggere una precisa regia dietro tutti questi eventi. Tanto più vero oggi, dopo la recente decisione del governo Hollande di apporre il segreto di Stato alle indagini sulla strage di “Charlie Hebdo”: i magistrati avevano scoperto che le armi provenivano da una strana triangolazione tra Slovacchia, Belgio e servizi segreti francesi. Realtà occulta, spaventosa e “inaccettabile”, come quella disegnata da Gioele Magaldi? «E’ previsto che ve ne rendiate conto a puntate, così da non farci troppo caso», conclude Quaglia. «Avete mai sentito la ricetta di come vanno bollite le rane così che non saltino fuori dalla pentola?».E adesso siamo davvero in guerra. «Tutta la vita politica europea sarà sconvolta per sempre», dice Giulietto Chiesa, secondo cui d’ora in avanti ogni disagio sociale sarà rubricato come problema di ordine pubblico: «La nostra vita diverrà un eterno passaggio attraverso un metal detector». Lo sanno bene i politici che balbettano di fronte alla strage di Parigi, che espone al ridicolo l’intero dispositivo francese della sicurezza: a dieci mesi dalla mattanza di “Charlie Hebdo”, non meno di 70-80 professionisti armati, alloggiati, organizzati e coordinati nella capitale transalpina hanno potuto mettere a segno 7 attacchi simultanei in pieno centro. «Vuol dire che è meglio che quelli della Suretè si diano al giardinaggio», scrive Aldo Giannuli. Possibile che gli uomini di Hollande si siano fatti sorprendere così? Peraltro, se si pensa che siamo a 14 anni dall’attentato alle Twin Towers, dopo tre guerre (Afghanistan, Iraq e Libia) e un mare di soldi spesi, «qui la disfatta non è solo dei francesi, ma di tutta l’intelligence occidentale». Puzza di bruciato? Se ne accorge persino il mainstream: Paolo Pagliaro, nella trasmissione “Otto e mezzo” condotta da Lilli Gruber su “La7”, ricorda che l’Isis è stato finanziato da Turchia e Arabia Saudita, ed equipaggiato dagli Usa. Il vicepresidente Joe Biden riconobbe, tempo fa, che le armi inviate ai “ribelli” anti-Assad erano “finite” tutte alle milizie jihadiste del “califfo” Abu Bakr Al-Baghdadi, l’uomo fotografato in Siria in compagnia del senatore John McCain.
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Siria, la Russia oscura i radar Nato: Pentagono nel panico
L’intervento militare russo in Siria si è trasformato in una manifestazione di potenza che ribalta l’equilibrio strategico mondiale: l’esercito di Mosca ha “accecato” completamente gli Usa e la Nato, impedendo loro di osservare quello che sta accadendo sul terreno. Solo i russi e i siriani hanno la capacità di valutare la situazione sul campo, avverte Thierry Meyssan. Mosca e Damasco intendono sfruttare al massimo il loro vantaggio e quindi mantengono la segretezza delle loro operazioni. Sarebbero già stati uccisi almeno 5.000 jihadisti, fra cui molti capi di Ahrar al-Sham, di Al-Qaeda e dell’Isis, mentre almeno 10.000 mercenari sono fuggiti verso la Turchia, l’Iraq e la Giordania. L’esercito siriano e le milizie libanesi di Hezbollah hanno riconquistato il terreno senza attendere gli annunciati rinforzi iraniani. Il Pentagono è frastornato, «diviso tra coloro che cercano di minimizzare i fatti e di trovare una falla nel sistema russo e quelli che, al contrario, ritengono che gli Stati Uniti abbiano perso la loro superiorità in materia di guerra convenzionale e che avranno bisogno di molti anni per recuperarla».
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Segreto di Stato su Charlie Hebdo, killer armati dagli 007
I giudici non potranno indagare: il ministro degli interni francese, Cazeneuve, ha bloccato ogni ulteriore inchiesta sull’eccidio compiuto da Amedy Coulibaly, il 32enne nero che s’era asserragliato nel piccolo supermercato Hyper Casher di Porte de Vincennes, uccidendo cinque clienti e finendo crivellato dai colpi dei corpi speciali. Facendo valere – si noti – il segreto militare. Certamente ricordate. Era il 9 gennaio 2015; il 7, due terroristi, urlando “Allahu Akbar!”, avevano trucidato praticamente l’intera redazione del settimanale satirico “Charlie Hebdo”. Avevano agito da freddi professionisti: poi però nella Citroen che avevano abbandonato nel XIX Arrondissement scappando su un’altra vettura, uno dei due aveva dimenticato la carta d’identità; era il documento di Said Kouachi, il che aveva permesso di identificare senza alcun dubbio gli autori della strage con i fratelli Kouachi, Said e Chérif, già noti alla polizia come estremisti islamici. Mentre i due erano in fuga, Coulibaly si asserragliò deliberatamente nel supermercato kosher; perbacco, un attentato antisemita in piena Parigi!Tutte le tv del mondo si concentrarono davanti alle vetrine, e ripresero la tragica e spettacolare scena dell’uccisione di Coulibaly, cosa che per qualche ora fece dimenticare la fuga dei due fratelli Kouachi. Nessuno ha visto la loro morte, che ufficialmente è avvenuta dopo una sparatoria con gli agenti a Dammartin en Goele, a una settantina di chilometri dalla capitale, il 9, alla stessa ora del tardo pomeriggio in cui è stato ucciso, davanti alle tv, Coulibaly a Parigi. E’ stato lo stesso Hollande a ordinare che le due irruzioni avvenissero in contemporanea; dell’uccisione dei fratelli Koauchi è stato diffuso un video che mostra un bagliore nel buio: a gennaio, le cinque di sera è già notte. Ma torniamo a Coulibaly, il cui cadavere rimase per ore sul marciapiede. Era entrato in quell’Hyper Cocher armato di un mitra Skorpion, un fucile d’assalto Vz 58 (simile al Kalashnikov), due pistole Tokarev. Tutte armi di provenienza cecoslovacca. Armi da guerra, che in Francia non sono ovviamente in libera vendita. Dove se l’era procurate, Amedy?Era questa la domanda a cui stavano cercando risposte i giudici istruttori del tribunale di grande istanza di Lille: ed è sulla loro inchiesta che è calata la mannaia del segreto. Per ingiunzione del ministro dell’interno. Si cessi ogni ricerca: sécret défense. Perché è segreto “militare”? Perché i giudici erano troppo vicini alle verità nascoste dietro la tragedia di “Charlie Hebdo”, e al suo fondo che resta inspiegato. In breve – come già aveva rivelato a suo tempo il giornale di Calais “La Voix du Nord” sulla base di indiscrezioni degli inquirenti, quelle armi erano state fornite da «una rete costituita da forze dello Stato» che le comprava, attraverso intermediari pregiudicati ma collaborativi, per spedirle ai ribelli jihadisti in Siria. Forze dello Stato? Per la precisione, secondo il sito alternativo “Mediapart”, «poliziotti di Lille e uno dei loro informatori sono al centro del traffico d’armi con cui è stato armato Coulibaly… la loro posizione è abbastanza delicata da indurli a trincerarsi dietro il “sècret défense”»; il ministro Cazeneuve ha tolto quei suoi agenti dai guai, avallando la loro difesa: sì, ciò che hanno fatto è segreto. Militare.Praticamente,è ammissione che lo Stato è coinvolto nella selezione e nell’armamento di giovani francesi d’origine islamica da impiegare in Siria come terroristi. Si può indovinare che i fratelli Kouachi, e quasi certamente anche Coulibaly, erano stati arruolati di Parigi per andare in Siria. Come e perché siano stati invece dirottati, con quelle armi, a compiere la doppia strage di Parigi, è un mistero forse troppo profondo. Quel che hanno scoperto i giudici istruttori di Lille è però abbastanza. Pochi giorni dopo la strage, il 20 gennaio, «i dirigenti della Brigata penale della sotto-direzione anti-terrorismo” (Sdat; una specie di Digos), portano ai giudici la relazione tecnica sulle armi del delitto. Ma tacciono un fatto preciso: la loro provenienza. Eppure già dal 16 Europol aveva fornito allo Sdat le informazioni in suo possesso: le armi «sono state acquistate dall’azienda slovacca Agf Security da una ditta di Lille che fa capo a Claude Hermant».La ditta slovacca vende sul web armi da guerra decommissionate; Hermant è un confidente della polizia, mezzo agente e mezzo spia, di idee neofasciste. E non ha comprato solo le armi da fuoco usate da Coulibaly: dalla Agf ha acquistato 200 pezzi «poi rivenduti», e anche (ritengono i giudici) altre novanta fra pistole e mitragliatori d’assalto attraverso un intermediario belga di Charleroi. E’ evidente che queste armi da guerra non hanno potuto essere importate in Francia senza l’assenso delle cosiddette autorità di pubblica sicurezza. In specie, con la complicità dello Sdat. Quanto al contatto belga di Hermant, è risultato essere (anche lui) un detective di Charleroi; interrogato, ha detto che «Hermant era il mio cliente principale», che «mi comprava il 95% delle armi demilitarizzate provenienti dalla ditta slovacca Afg – decine e decine. Che cosa ne facesse in seguito, non lo so».La difesa di Hermant ha rigettato questa versione: le transazioni saranno state «al massimo quattro-sei». Qualcuna delle armi comprate da Hermant è stata usata per altri misteriosi delitti commessi lo stesso giorno della strage di “Charlie Hebdo”: una poliziotta uccisa a Montreux e il tentativo di omicidio di un “jogger” a Fontenay-aux-Roses. Entrambi i delitti sono stati dalla polizia attribuiti a Coulibaly, che ormai defunto non poteva smentirli. Ma il “jogger”, sopravvissuto, non ha mai riconosciuto nella foto di Coulibaly il suo aggressore («Non era un nero»), e ha invece additato un nordafricano, che ha visto per caso durante un reportage televisivo sull’Hyper Cacher: tale Amar Ramdani. Personaggio cruciale: Ramdani, rapinatore, ricercato internazionale per spaccio, aveva stretto amicizia con Coulibaly in carcere; s’era atteggiato ad islamista voglioso di violenza, gli aveva dato appoggio logistico (le armi?) e sarebbe stato lui a scortarlo fino al negozio kosher alla Porte de Vincennes; certamente il cellulare di Coulibaly e quello di Ramdani hanno occupato la stessa “cellula” il 6, 7 ed 8 gennaio.Il punto è che questo pregiudicato Ramdani, come hanno scoperto gli agenti che lo hanno pedinato, entrava e usciva quando voleva dal centro operativo dei “servizi” francesi, a Rosny-sous-Bois. Poi è risultato – o è stato asserito – che lì andava a trovare la sua amante: Emanuelle C. (il cognome è ignoto) che è una agente dei servizi, che aveva preso una sbandata per lui tanto da “convertirsi all’Islam” in segreto, tanto da “indossare il velo” quando usciva dall’ufficio: un tipico travestimento per un’agente che vuole infiltrarsi in ambienti islamici. E poi: come può un ricercato entrare nel “Forte” (così chiamano la centrale d’intelligence) senza mostrare un documento, senza avere un badge che ne legittimi l’accesso? Il peggio è che quando Ramdani (su indicazione del blogger) è stato arrestato, Emmanuelle ha cercato di accedere ai fascicoli dell’inchiesta Coulibaly.Un’altra donna fatale è quella che ha fatto innamorare Coulibaly e l’ha reso – oltreché pazzo d’amore – un islamista pronto a tutto: si chiama Hayat Boumedienne, indicata dai media come “la moglie” del terrorista ucciso. Molte le foto, diffuse dopo, dove i due sono insieme e si addestrano ad usare pistole – lei è in chador nero. Altre foto però la mostrano in bikini, incollata voluttuosamente a Coulibaly. Il giorno 9, quando il nero si asserraglia nel negozio ebraico, qualcuno spiega subito ai giornalisti che la fanatica islamista Hayat Boumedienne è lì con lui, nel negozio. Così passano le ore e nessuno la cerca. Hayat non è affatto nel negozio; ha preso comodamente il largo. Poi si farà viva coi familiari e darà la sua versione, ovviamente ripresa dai media: “Sono in Siria a combattere con lo Stato Islamico contro Assad”. Lo Stato Islamico addirittura la intervista – il Califfo ha infatti anche una rivista patinata in francese, “Dar Islam” – e diffonde la sua versione. Lei si dichiara felice di vivere «in una terra dove vige la legge di Allah» e fa un elogio funebre del ‘marito’ Coulibaly (lo chiama Abu Baly al-Ifriki) che ha dato il buon esempio.Naturalmente, l’articolo è privo di foto della ragazza nella sua nuova incarnazione: sarebbe antislamico, perbacco. Il fatto è che addirittura l’Isis conferma la versione ufficiale. Poi, sono comparsi video in cui Coulibaly, ancor vivo, si dichiarava spontaneamente un seguace del Califfato. Una tv ebraica francese riuscirà ad intervistarlo mentre è asserragliato nel negozio: uno scoop. Come quelle immagini prese dal tetto che mostrano i due teroristi all’uscita dalla strage di “Charlie Hebdo”: immagini riprese, si disse, da un giornalista israeliano che si trovava per caso lì… versione poi cambiata. Facciamola breve. Insomma: qualcosa ci suggerisce una nostra versione, orribilmente complottista: il povero Coulibaly, reso scemo dal sesso la sua Hayat Boumedienne, che è una agente dei servizi, viene gestito da Ramdani, che lo arma con le armi fornite da Hermant per i servizi in gran quantità, perché solitamente destinate alla guerriglia in Siria (dove i francesi hanno una filiale di Al-Qaeda, fatta di militanti maghrebini nati in Francia); la fidanzata o moglie, e il Ramndani, lo convincono a compiere la grande impresa di alto valore mediatico.Il povero Coulibaly viene usato e sacrificato per qualche motivo, forse per distogliere l’attenzione dai fratelli Kouachi che in quelle ore sono in fuga? Per qualche altro motivo? In ogni caso, è abbastanza spiegabile come mai occorra seppellire questa sporca faccenda come “segreto di Stato”, segreto militare da sottrarre ai giudici. Chi vuole sviscerare tutti i particolari strani di questa vicenda, può – se sa il francese – consultare il sito “Panamza”. E’ una miniera di informazioni, risultato di indagini personali di un vero giornalista (che immagino non sia apprezzato dai media). Fra le altre, segnalo questa: fin dalle prime ore un importante giornale online americano, l’“International Business Time” (il terzo nel mondo fra i giornali economici sul web, per numero di contatti) dice: l’attentato di “Charlie” sembra una vendetta del Mossad contro la Francia. Un’ora dopo, il giornale online ritira il pezzo, e si scusa coi lettori.(Maurizio Blondet, “Su Charlie Hebdo piomba il segreto militare”, dal blog di Blondet del 12 ottobre 2015).I giudici non potranno indagare: il ministro degli interni francese, Cazeneuve, ha bloccato ogni ulteriore inchiesta sull’eccidio compiuto da Amedy Coulibaly, il 32enne nero che s’era asserragliato nel piccolo supermercato Hyper Casher di Porte de Vincennes, uccidendo cinque clienti e finendo crivellato dai colpi dei corpi speciali. Facendo valere – si noti – il segreto militare. Certamente ricordate. Era il 9 gennaio 2015; il 7, due terroristi, urlando “Allahu Akbar!”, avevano trucidato praticamente l’intera redazione del settimanale satirico “Charlie Hebdo”. Avevano agito da freddi professionisti: poi però nella Citroen che avevano abbandonato nel XIX Arrondissement scappando su un’altra vettura, uno dei due aveva dimenticato la carta d’identità; era il documento di Said Kouachi, il che aveva permesso di identificare senza alcun dubbio gli autori della strage con i fratelli Kouachi, Said e Chérif, già noti alla polizia come estremisti islamici. Mentre i due erano in fuga, Coulibaly si asserragliò deliberatamente nel supermercato kosher; perbacco, un attentato antisemita in piena Parigi!
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Gli Usa? Mai neppure tentato di colpire l’Isis: ecco le prove
Navigando su internet ho trovato un documento molto interessante, anche perché la fonte è insospettabile: il Council on Foreign Relations, ovvero il think tank di altissimo livello che forma le élites sia del partito democratico che di quello repubblicano destinate a governare il paese. Molti lo considerano, non a torto, il vero pensatoio della politica estera statunitense. Uno dei suoi ricercatori, Mikah Zenko, ha paragonato i bombardamenti degli americani nelle grandi missioni militari degli ultimi vent’anni con quelli in Siria. Vediamoli. Da quando un anno fa è stata lanciata la campagna militare contro l’Isis, il Pentagono ha sganciato 43 bombe al giorno, mentre in Irak nel 2003 ne lanciò 1.039, in Afghanistan 230, in Kosovo 364 e nel 1991 nella prima guerra addirittura 6.123. E ricordatevi la polemica di qualche mese fa, di cui ho dato conto su questo blog, quando i piloti statunitensi protestarono con il Pentagono per le regole di ingaggio a cui dovevano sottostare, regole così assurde e burocratiche che di fatto vanificavano la possibilità di colpire seriamente ed efficacemente le truppe del califfato islamico.Quando gli Usa fanno sul serio, la loro force de frappe è devastante per intensità e potenza; invece quando, come accade in Siria contro l’Isis, si limita a dei raid dimostrativi, significa che la vittoria finale non è la vera priorità e le operazioni hanno più che altro fini mediatici.Chi invece vuole vincere è Putin. E la differenza è evidente. Il Cremlino sta colpendo molto duramente i gruppi armati salafiti in Siria, persino con missili di lunga gittata. E che tali gruppi appartengano all’Isis o al Qaida o ad altre organizzazioni islamiche è francamente risibile: i ribelli armati moderati in Siria di fatto non esistono, sono tutti estremisti islamici della peggior risma. Sia chiaro: al sottoscritto non piacciono né le bombe americane né quelle russe e vorrei, come ha scritto Ron Paul, che nessun ordigno insanguinasse la Siria.Sun Tzu insegna che la guerra è la soluzione estrema, a cui bisogna ricorrere solo in casi estremi, e il fatto che si sia arrivato a tanto rappresenta una sconfitta per tutti i grandi paesi, a cominciare da quelli occidentali, dall’Arabia Saudita e dalla Turchia, responsabili per la destabilizzazione della regione. Ma una volta che è dichiarata va combattuta senza se e senza ma, soprattutto avendo ben chiari gli obiettivi: l’America dice di voler sconfiggere l’Isis ma la sua priorità è di far cadere Assad ovvero l’uomo che si oppone all’Isis. E non sembra per nulla preoccupata dalla conseguenza ultima delle sue manovre che è quella di consegnare al neocaliffato e/o ad Al Qaida l’area tra Siria e gran parte dell’Iraq, ovvero a un regime violento, settario, retrogrado; il peggio che si possa immaginare e ben lontano dai valori di democrazia, libertà, diritto che Washington difende e promuove in altre parti del mondo. Capire le logiche di questa America è davvero molto difficile.(Marcello Foa, “Ecco la prova che l’America non sta bombardando l’Isis”, dal blog di Foa su “Il Giornale” dell’8 ottobre 2015).Navigando su internet ho trovato un documento molto interessante, anche perché la fonte è insospettabile: il Council on Foreign Relations, ovvero il think tank di altissimo livello che forma le élites sia del partito democratico che di quello repubblicano destinate a governare il paese. Molti lo considerano, non a torto, il vero pensatoio della politica estera statunitense. Uno dei suoi ricercatori, Mikah Zenko, ha paragonato i bombardamenti degli americani nelle grandi missioni militari degli ultimi vent’anni con quelli in Siria. Vediamoli. Da quando un anno fa è stata lanciata la campagna militare contro l’Isis, il Pentagono ha sganciato 43 bombe al giorno, mentre in Irak nel 2003 ne lanciò 1.039, in Afghanistan 230, in Kosovo 364 e nel 1991 nella prima guerra addirittura 6.123. E ricordatevi la polemica di qualche mese fa, di cui ho dato conto su questo blog, quando i piloti statunitensi protestarono con il Pentagono per le regole di ingaggio a cui dovevano sottostare, regole così assurde e burocratiche che di fatto vanificavano la possibilità di colpire seriamente ed efficacemente le truppe del califfato islamico.
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Karzai ammette: Al-Qaeda? Mai esistita, era un’invenzione
L’ex presidente afghano Hamid Karzai, intervistato l’11 settembre 2015 da un giornalista di “Al Jazeera”, spazza via 14 anni di narrativa ufficiale occidentale dichiarando che Al-Qa’ida è una mera invenzione. Lo dice senza alcun tentennamento: «Per me è un’invenzione. Non ho mai ricevuto un solo rapporto da una qualunque fonte afghana su Al-Qa’ida o su quello che stessero facendo. Noi non li vediamo, non riusciamo a visualizzarli, per noi non esistono. Non ho mai ricevuto rapporti dalla nostra intelligence, o dalla nostra gente. Non ho mai avuto a che fare con loro». Il video con l’intervista (sottotitolato in italiano da “luogocomune” e ripreso da “Pandora Tv”) non è stato ancora citato con rilievo dai nostri grandi media. Eppure la notizia è importante. La traduciamo anche in un semplice concetto: gli enormi costi economici e umani dell’invasione dell’Afghanistan da 14 anni in qua sono imposti ai popoli sulla base di un pretesto inventato. Esattamente come fu per la guerra in Iraq. Ulteriore traduzione: si corre a cercare negli occhi degli altri popoli pagliuzze da chiamare “criminali di guerra”, mentre abbiamo travi conficcate nei nostri democratici occhi occidentali. Come definire altrimenti un Tony Blair?
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Madsen: Gladio, terroristi “islamici” per spaventare l’Europa
Strani attentati alle ambasciate, presunti terroristi intercettati sui treni, killer “impazziti” che fanno stragi e poi vengono puntualmente giustiziati dalla polizia. Tutto questo ha un nome preciso: Gladio. Secondo Wayne Madsen, ex funzionario della Nsa, la storica rete “Stay Behind” che la Nato utilizzò per la strategia della tensione in Europa non è mai stata smantellata. E oggi torna utilissima, per intimidire gli europei schiacciati dalla crisi: anziché cercare soluzioni di rottura – politiche, economiche, internazionali – dovremmo restare incollati agli attuali leader, approvando decisioni sempre più autoritarie, “suggerite” dagli Usa, anche di fronte alla crisi dei migranti che agisce come detonatore della recessione economica, mentre il Medio Oriente è in fiamme e qualcuno, al Pentagono, sogna una guerra con la Russia. Già dirigente della struttura spionistica da cui fuggì anche Edward Snowden, scatenando lo scandalo “Datagate” (tutti i leader occidentali monitorati e intercettati), Madsen fu il primo, dopo l’11 Settembre, a evocare il fantasma di Gladio mettendo in collegamento il G8 di Genova con l’attentato alle Torri: due eventi di sangue, figli della stessa matrice, il terrorismo di Stato.Oggi, Madsen denuncia il carattere opaco di troppi recenti attentati, dalla Francia alla Turchia, proprio mentre il quadro internazionale si fa sempre più pericoloso e instabile grazie all’azione “coperta” di Washington, che dopo aver devastato l’Iraq ha innescato la primavera araba, rovesciato Gheddafi scatenando il caos in Libia e infine armato i jihadisti in Siria dando origine al fenomeno Isis, da cui il grande esodo di profughi che sta assediando l’Italia e il resto d’Europa. In un dettagliato report su “Strategic Culture”, ripreso da “Come Don Chisciotte”, Madsen analizza le troppe “coincidenze” degli ultimi attentati che hanno scosso l’opinione pubblica europea. «La recente sparatoria al consolato americano di Istanbul da parte di due donne, secondo il governo turco membri di un gruppo terroristico di estrema sinistra, il “Revolutionary People’s Liberation Army-Front” (Dhkp-C), così come l’incidente sospetto sul treno ad alta velocità “Thalys” diretto a Parigi da Amsterdam, per Madsen indicano che le operazioni “false flag” condotte dalla rete Stay Behind della Cia dell’epoca della guerra fredda, conosciuta come Gladio, siano di nuovo pienamente operative.Si ritiene che il Dhkp-C sia responsabile di un attentato suicida all’ambasciata americana di Ankara nel 2013, che causò la morte di un agente della sicurezza turca. In quell’attacco, un sito web chiamato “The People’s Cry”, presumibilmente gestito dal Dhkp-C, rivendicò il ruolo di uno dei suoi membri, Ecevit Sanli, come esecutore dell’attentato suicida all’ambasciata, finito con la morte dello stesso Sanli e della guardia turca. Per l’ex analista dell’intelligence Usa, c’è puzza di bruciato: «Il problema generale riguardo alla dichiarazione del coinvolgimento del Dhkp-C è stato un video postato dal “The People’s Cry” e scoperto dal “Site”, un gruppo legato al Mossad israeliano, con base a Washington, noto per aver distribuito ai media discutibili video e comunicati attribuiti ad “Al Qaeda”, “Is”, ed altri presunti gruppi terroristici islamici». Il presunto ritorno del Dhkp-C, continua Madsen, ha fornito al governo turco una copertura per colpire i guerriglieri curdi nella Turchia orientale e insinuare una mentalità da “Stato sotto assedio” nella mente dei votanti turchi, proprio mentre la nazione si avvia verso un’altra elezione nazionale che vedrà opporsi il governo filo-islamico del presidente Recep Tayyip Erdogan all’opposizione laica.Poi c’è il caso del marocchino Ayoub El Khazzani, accusato di essere salito a Bruxelles sul treno diretto a Parigi con l’intenzione di sterminare i passeggeri. Khazzani, che aveva con sé un Ak-47 e altre armi, in una borsa che ha detto di aver “trovato “ in un parco di Bruxelles, è stato sopraffatto da tre americani e un inglese. Due degli americani che hanno aiutato a bloccare Khazzani sono militari statunitensi, il pilota dell’Air Force Spencer Stone e la guardia nazionle dell’Oregon Alek Skarlatos. Il cittadino di nazionalità inglese è Chris Norman, nato in Uganda e residente nel sud della Francia. Si ritiene che Khazzani, nativo di Tetouan in Marocco, al pari degli altri numerosi presunti terroristi in Francia, abbia viaggiato molto all’estero prima di commettere l’attacco terroristico. Fino al 2014 era residente in Spagna, poi si è trasferito in Francia per lavorare per la società di telefonia mobile “Lycamobile”. Si dice che Khazzani «si sarebbe radicalizzato in una moschea di Algeciras, di fronte al territorio inglese di Gibilterra, dove l’intelligence inglese mantiene uno stretto controllo sui territori spagnoli circostanti, inclusa Algeciras». A giugno, si ritiene che l’uomo stesse combattendo a fianco dei guerriglieri dello Stato Islamico in Siria, per poi spostarsi ad Antiochia in Turchia e a Tirana, in Albania.La storia di Khazzani, scrive Madsen, è quasi uguale a quella di Mahdi Nemmouche, il franco-algerino ritenuto responsabile per l’attacco al Museo Ebraico di Bruxelles. Prima, anche Nemmouche avrebbe combattuto con l’Isis in Siria (e avrebbe trascorso del tempo in Inghilterra). Dopo l’attacco al museo di Bruxelles, Nemmouche è salito su un autobus notturno per Marsiglia. Un controllo doganale ha scoperto la sua sacca, contenente un Kalashnikov, un revolver e proiettili. Arrestato dalla polizia francese, Nemmouche ha dichiarato di aver trovato le armi in una macchina parcheggiata a Bruxelles e di averle rubate per poi venderle sul mercato nero a Marsiglia. Khazzani sostiene che voleva usare le armi trovate in un parco di Bruxelles (un Ak-47, una pistola Luger, un taglierino, mezzo litro di benzina e nove caricatori) per derubare i passeggeri del treno “Thalys”, così da comprarsi del cibo, in quanto era senza un soldo e senza casa. «Sia Khazzani che Nemmouche – continua Madsen – erano ben noti alle forze dell’ordine francesi ed europee come potenziali minacce, eppure non è stato fatto nulla per sorvegliare le loro attività».Prima dell’attacco al treno, Khazzani era l’oggetto di una “Fiche S” della polizia francese: un dossier trasmesso a varie forze di polizia europee, per chiedere che il soggetto venisse posto sotto stretta sorveglianza. Inoltre, la polizia spagnola aveva il Dna di Khazzani in archivio. E ancora, prima dell’attacco sul treno, «dossier completi su Khazzani erano in possesso non solo della polizia spagnola, ma anche di quella tedesca e belga, così come di quella francese». Una storia simile a quella di altri attentatori. Il primo fu Mohamed Merah, il franco-algerino che nel 2012 uccise sette persone nella regione di Tolosa, inclusi tre bambini di una scuola ebraica. Lo imitarono Said e Cherif Kouachi, i fratelli franco-algerini che quest’anno hanno attaccato a Parigi la redazione di “Charlie Hebdo”. Anche loro erano oggetto di una “Fiche S” e di altri dossier delle forze dell’ordine francesi. Idem per il caso del franco-maliano-senegalese Amedy Coulibaly, che ha attaccato il supermarket ebraico Hyper-Cacher a Parigi durante l’attacco a “Charlie Hebdo”: pure lui era noto alla polizia e all’intelligence francesi.In altre parole, nessuno dei nuovi presunti terroristi europei viene dal nulla: la polizia li controlla strettamente, fino al momento in cui entrano in azione per riempire le cronache. E non solo in Francia: «Anche i files della polizia e dei servizi segreti danesi hanno restituito il nome del presunto attentatore omicida della sinagoga centrale di Copenhagen e del Festival del Cinema danese, Omar Alhamid Alhussein, un danese di origini palestinesi». Di fatto, «un criminale schedato per violenza, che era stato rilasciato da una prigione danese appena due settimane prima dell’attacco alla singoga». Scontato, anche qui, il finale: «La polizia danese ha sparato e ucciso Alhussein dopo il suo presunto doppio attacco». Quanto al treno “Thalys”, quello dell’attacco “sventato”, stava transitando nella regione di Oignies nell’alta Piccardia in Francia, quando Khazzani è stato bloccato dai passeggeri. Attenzione allora al ministro degli interni francese, Bernard Cazeneuve: «Ha subito suggerito che Khazzani fosse un membro di un gruppo islamista radicale». Non ha perso tempo, il ministro, e si è recato immediatamente a Copenhagen subito dopo gli attacchi alla sinagoga e al festival. «Si dice che Cazeneuve fosse sotto inchiesta, da parte del 45enne commissario di polizia francese Helric Fredou, vicecomandante della polizia giudiziaria di Limoges, per legami con Jeannette Bougrab».La Bougrab, continua Madsen, era la cosiddetta “fidanzata” del redattore ucciso di “Charlie Hebdo” Stephane Charbonnier, “Charb” per i colleghi. La donna sosteneva di essere la fidanzata di Charb, che sarebbe stato il padre di sua figlia. Si dice inoltre che Fredou si sarebbe suicidato al culmine dell’indagine sui legami tra Bougrab e Cazeneuve. «Fredou si sarebbe sparato alla testa in preda allo sconforto dopo aver incontrato la famiglia di una delle vittime degli attentati francesi». Tuttavia, aggiunge Madsen, la famiglia e gli amici di Fredou hanno scartato la possibilità di una presunta depressione del commissario. «Inoltre, essi hanno sottolineato il fatto che Fredou aveva scoperto importanti indizi sugli attentati terroristici, cosa che lo aveva messo in rotta con Cazeneuve». Secondo notizie francesi, Fredou sospettava del ministro fin dai suoi giorni di commissario alla polizia di Cherbourg, località di cui Cazeneuve era stato sindaco. In quel periodo, Fredou «aveva per la prima volta scoperto l’esistenza dei legami di Cazeneuve con il Mossad, della sua relazione con la Bougrab e con la sua congrega di sobillatori anti-musulmani».Madsen non ha dubbi, è certo di riconoscere i sintomi del male oscuro: «La ricomparsa di Gladio sulla scena politica europea è la risposta alla crescente ostilità all’Unione Europea e all’austerità dettata dai banchieri centrali europei». E accusa: «I corporazionisti e i fascisti che hanno portato l’Europa al fallimento stanno ora usando le loro risorse mediatiche per trasformare la minaccia favorita degli ultimi vent’anni, il terrorismo islamico, in una minaccia composita di terroristi islamici che collaborano con una rete internazionale di anarchici». Secondo l’ex stratega dell’intelligence statunitense, «in Grecia, Italia, Turchia e Spagna ci sono segnali che il cambio di paradigma da terrorismo islamico ad anarchismo di sinistra sia già in corso, con attentati altamente sospetti e probabilmente di coperura presso ambasciate e altre strutture». Madsen è convinto che «i media faranno comparire sempre più storie fabbricate per collegare “anarchici” e “jihadisti”».Dopo l’incidente del treno “Thalys” a Bruxelles, Cazeneuve e «il suo amico anti-musulmano e socialista di destra, il primo ministro francese Manuel Valls», stanno richiedendo controlli di tipo aeroportuale alle stazioni ferroviarie europee. «Il fine è dare all’Unione Europea un maggiore controllo politico e sociale sulle popolazioni del continente». Madsen fa notare che l’avanzata di gruppi “anarchici” fino a ieri sconosciuti sta avvenendo negli stessi paesi in cui le operazioni di Gladio erano più ampie: Italia, Turchia e Grecia. «L’Italia era il centro focale per l’“Organizzazione Gladio”, la filiale italiana delle operazioni terroristiche paneuropee gestite dalla Cia». In Turchia, Gladio era conosciuta come “Ergenekon”, e in Grecia come “Operazione Sheepskin”. «Finché Gladio sarà di nuovo attiva in Europa – avverte Madsen – i popoli del continente dovranno avere paura, molta paura».Strani attentati alle ambasciate, presunti terroristi intercettati sui treni, killer “impazziti” che fanno stragi e poi vengono puntualmente giustiziati dalla polizia. Tutto questo ha un nome preciso: Gladio. Secondo Wayne Madsen, ex funzionario della Nsa, la storica rete “Stay Behind” che la Nato utilizzò per la strategia della tensione in Europa non è mai stata smantellata. E oggi torna utilissima, per intimidire gli europei schiacciati dalla crisi: anziché cercare soluzioni di rottura – politiche, economiche, internazionali – dovremmo restare incollati agli attuali leader, approvando decisioni sempre più autoritarie, “suggerite” dagli Usa, anche di fronte alla crisi dei migranti che agisce come detonatore della recessione economica, mentre il Medio Oriente è in fiamme e qualcuno, al Pentagono, sogna una guerra con la Russia. Già dirigente della struttura spionistica da cui fuggì anche Edward Snowden, scatenando lo scandalo “Datagate” (tutti i leader occidentali monitorati e intercettati), Madsen fu il primo, dopo l’11 Settembre, a evocare il fantasma di Gladio mettendo in collegamento il G8 di Genova con l’attentato alle Torri: due eventi di sangue, figli della stessa matrice, il terrorismo di Stato. -
Sbriciolare la Siria, con missili Usa e mercenari jihadisti
«Quand’è che un cambio di regime non è un cambio di regime? Quando il regime di turno resta al potere ma perde la sua capacità di governare effettivamente. Ed è questo l’obiettivo della politica estera Usa in Siria, impedire al presidente Bashar Al Assad di governare il paese senza necessità di rimuoverlo fisicamente dall’ incarico». Lo afferma un osservatore internazione come Mike Whitney. «L’idea è semplice: scatenare “jihadisti” appoggiati dietro le quinte per catturare e tenere in scacco vasti territori del paese, in modo che il governo centrale non sia in effettivo controllo del suo paese. E’così che l’amministrazione Obama vorrebbe chiudere l’affare Assad, rendendolo irrilevante». La strategia è spiegata nel dettaglio in uno scritto del Brookings Institute a firma Michael O’Hanlon intitolato: “Decostruire la Siria: una nuova strategia per la più complessa tra le guerre americane”. «L’unico modo realistico di procedere da qui in avanti – afferma O’Hanlon – sarebbe in effetti un piano per decostruire efficacemente la Siria».La comunità internazionale, scrive l’analista Usa, dovrebbe «lavorare a creare sacche» fuori dal controllo di Damasco, per poi «espanderle nel tempo». Letteralmente: «Forze americane, saudite, turche, britanniche, giordane e di altri Stati arabi agirebbero da costante supporto, non soltanto via aria, ma anche mediante l’uso di forze speciali di terra quando necessario», al fianco degli “elementi moderati” sul terreno (“moderati” come quelli che fecero uso di armi chimiche per poi incolpare della strage il regime). «Questo approccio – continua O’Hanlon – consentirebbe di trarre vantaggio dagli ampi spazi aperti desertici siriani che consentirebbero la creazione di zone cuscinetto che si potrebbero tenere sotto costante controllo per riconoscere in tempo ogni possibile segno di attacco nemico». L’obiettivo intermedio, aggiunge lo stratega del Brookings Insitute, sarebbe «una Siria confederale, costituita da varie zone largamente autonome», cioè sottoposte a una forza occidentale «che addestri e equipaggi ulteriori reclute, in modo che le zone possano essere stabilizzate ed eventualmente espanse».«Non è questa la strategia di fondo che vediamo in gioco in Siria già adesso?», si domanda Whitney in un post su “Counterpunch” tradotto da “Come Don Chisciotte”. «E’il caso di notare come O’Hanlon non considera mai neanche un attimo le implicazioni morali di cancellare una nazione sovrana, di uccidere decine di migliaia di civili e di sradicarne altrettanti dalle loro dimore. Questo genere di cose sono semplicemente indifferenti per gli esperti che concepiscono queste strategie imperiali. E’ solo altra farina da macinare». Whitney fa notare inoltre che l’autore dello studio si riferisce a “zone cuscinetto” e “zone sicure”, ovvero «i medesimi termini che sono stati usati ripetutamente nell’ambito dell’accordo Usa-Turchia sull’uso da parte degli americani della base aerea di Incirlik». La Turchia ha chiesto agli Usa di assistere nella creazione di queste “zone sicure” lungo il confine Nord della Siria, in modo che fungano da “santuari” per l’addestramento delle cosiddette forze moderate da impiegare nella “guerra contro l’Isis”. Questo è il piano di O’Hanlon per frammentare lo Stato in milioni di enclaves disconnesse tra loro, «ognuna retta da un manipolo di mercenari armati, affiliati ad Al Qaeda o signori della guerra locali».«Ecco il sogno di Obama di una “Siria liberata”, uno Stato fallito precipatato nell’anarchia con una bella spruzzata di basi americane sopra, così che si potranno arraffare ed estrarne tutte le risorse senza impedimenti», aggiunge Whitney. «Quello che Obama vuole evitare a tutti i costi è un altro imbarazzante flop come l’Iraq, dove la rimozione di Saddam ha lasciato un vuoto di potere e una sensazione di insicurezza che ha portato a violenta e protratta rivolta che è costata cara agli Usa in termini di sangue, finanze e credibilità internazionale». Ecco la strategia oggi è diversa: «Gli obiettivi non sono mai cambiati, cambiano solo i metodi». Il piano, ammete lo stesso O’Hanlon, «non sarebbe diretto soltanto contro l’Isil, ma in parte anche contro Assad, senza mirare a rovesciarlo direttamente, ma piuttosto a negargli ogni possibilità di tornare a governare i territori su cui potrebbe aspirare a riottenere il controllo». Le “zone autonome” sarebbero “liberate” «con l’esplicito intendere che non torneranno mai sotto controllo di Assad o eventuale successore». E attenzione: «Se Assad continuasse a rifiutare di accordarsi per l’esilio, prima o poi si ritroverebbe vicino a costanti minacce al suo potere, se non alla sua persona».Tutto questo, conclude Whitney, significa che «la Siria è designata come laboratorio per la gran strategia per i cambi di regime di O’Hanlon, una strategia nella quale Assad figura come porcellino d’India da esperimenti numero uno». E’ lo stesso O’Hanlon a spiegare che questo piano «scoraggerebbe chi possa pensare che Washington si accontenti di tollerare il governo Assad in quanto male minore». In pratica, per come la vede O’Hanlon, la Casa Bianca dovrebbe «abbandonare la pretesa di stare combattendo l’Isis e ammettere esplicitamente che l’imperativo è “Assad deve sparire”», chiarisce Whitney. Secondo O’Hanlon, «questo aiuterebbe a sistemare le cose con altri membri della coalizione che hanno dubbi rispetto alle reali intenzioni di Washington». L’uomo del Brookings Institute parla chiaro: «Squadre di supporto multilaterali, divise in forze speciali di terra e unità di difesa aerea devono essere sempre pronte al dispiegamento nelle diverse parti della Siria ogni volta che le forze di opposizione riescano a conquistare e mantenere nuove postazioni sicure. Questa chiaramente sarebbe la parte più delicata, e il dispiegare squadroni sarebbe sempre pericoloso. Non bisognerebbe mai ordinare missioni in fretta e furia, ma farlo in maniera ponderata, tuttavia è parte indispensabile dello sforzo».Traduzione di Whitney: «Stivali americani marceranno sul suolo della Siria, possiamo scommetterci. Va benissimo fare il miglior uso della carne da cannone jihadista per condurre la carica e indebolire il nemico, poi al momento giusto basta mandare la prima squadra e si è chiuso l’affare. Questo vuol dire invio di forze speciali, “no fly zone” su tutta la Siria, basi militari sul campo e una bella campagna di propaganda per continuare a convincere la “sheeple” (sheep+people, popolazione gregge) che per difendere la sicurezza nazionale Usa occorre necessariamente distruggere la Siria». Tutto questo, aggiunge Whitney, diventerà chiaro nella “fase due” della guerra, che è sul punto di intensificarsi. Per O’Hanlon, nonostante i rischi, il livello di coinvolgimento militare diretto degli Usa «non sarebbe particolarmente più sostanziale di quello che è stato necessario in Afghanistan durante l’ultimo anno».Per cui, «sarebbe auspicabile che il presidente Obama non guardasse alla questione come un problema da lasciare in eredità al successore, ma piuttosto come una crisi urgente che richiede tutta la sua attenzione e la definizione di una nuova strategia al più presto». Ed ecco dunque il piano per «fare a pezzi la Siria, precipitarla in una crisi umanitaria anche peggiore di quella in cui già si trova e fare crollare Assad senza dover andare in prima persona a rimuoverlo dall’ufficio», scrive Whitney. «Un bel po’ di massacro e distruzione», in un mini-saggio di appena 1.100 parole. «Complimenti all’autore per le doti di sintesi. A noi non resta che domandarci se questi cervelloni stretegici pensano mai a quanto dolore comportano le loro grandi strategie, se gliene freghi almeno qualcosa delle conseguenze». Il piano, peraltro, sembra già in marcia. Subito dopo l’accordo con l’Iran, Obama ha promosso la “no fly zone” sul Kurdistan siriano: prima mossa dell’atroce risiko di cui parla O’Hanlon.«Quand’è che un cambio di regime non è un cambio di regime? Quando il regime di turno resta al potere ma perde la sua capacità di governare effettivamente. Ed è questo l’obiettivo della politica estera Usa in Siria, impedire al presidente Bashar Al Assad di governare il paese senza necessità di rimuoverlo fisicamente dall’ incarico». Lo afferma un osservatore internazione come Mike Whitney. «L’idea è semplice: scatenare “jihadisti” appoggiati dietro le quinte per catturare e tenere in scacco vasti territori del paese, in modo che il governo centrale non sia in effettivo controllo del suo paese. E’così che l’amministrazione Obama vorrebbe chiudere l’affare Assad, rendendolo irrilevante». La strategia è spiegata nel dettaglio in uno scritto del Brookings Institute a firma Michael O’Hanlon intitolato: “Decostruire la Siria: una nuova strategia per la più complessa tra le guerre americane”. «L’unico modo realistico di procedere da qui in avanti – afferma O’Hanlon – sarebbe in effetti un piano per decostruire efficacemente la Siria».