Archivio del Tag ‘appalti’
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Sicilia, futura Wall Street (ma la mafia non lo capisce)
La Mafia, se non fosse composta da qualche migliaio di culi di pecora col cervello del retto di una pecora, farebbe le seguenti cose: A) La Mafia capisce (intendo i giovani istruiti mafiosi, non quei cervelli prostate di capra che sono oggi i tradizionali capi) che la Sicilia è posizionata nel canale di intermediazione finanziaria più importante del mondo. Quella fra Africa e Occidente. Ci sono 2 colossali business del futuro, indiscutibilmente, roba di proporzioni tali da far impallidire il petrolio e i Mercati: l’Agroalimentare (destinato all’Occidente) che Cina, Arabia Saudita, Corea et al. stanno sviluppando in Africa con progetti agricoli delle dimensioni del Belgio, ipertecnologici, (ritorni finanziari di un minimo del 7% fino al 24%, di media, roba che non esiste una equity o un titolo in tutto il mondo che ti renda questi soldi); e i mega-progetti energetici come la Inga-3 del Congo, ma moltissimi altri del genere. La Cina e gli Usa ci si stanno buttando a capofitto, ma pensate al giorno in cui l’Europa si accorgerà che il futuro dei mega-soldi è nello sviluppo dell’Africa.Bene, la Sicilia dove sta? Proprio sulle soglie della più grande ricchezza del futuro, fra l’Africa e l’Occidente, al confine marittimo. Saranno decine di migliaia di aziende mondiali che nei prossimi 200 anni si accavalleranno disperatamente per arrivare nel business Africa. Ok, la Mafia la pianta di vivere di puzzette come prostitute, armi, droga e appalti da Topolino, e si mette la cravatta, manda i suoi alla Bocconi, e infine fa della Sicilia la Wall Street più importante del mondo. Cioè…. Fa banche! Fa servizi finanziari! Fa ponti finanziari fra l’Europa e il megabusiness dell’Africa. Cioè, la piantate di fare le puzze di capra a Roma coi puzzoni di Palazzo Chigi, e fate i veri soldi. Come dire… fate a Palermo o a Messina delle Goldman Sachs che invece di avere come Ceo Lloyd Blankfein e altri, hanno un tal Ciro Roccomanno, o una Rosanna Maniscalco. E pagate le vostre tasse, e date da lavorare a TUTTA LA SCILIA, e la Dia non vi rompe più i coglioni, e fate 30.000 (trentamila) volte i soldi che fate oggi coi vostri traffici di armi, puzze, pizzini, prostitute, barconi di disperati, e appalti dei Puffi. Lo capite o no, stolti mafiosi? E’ quello che fece la malavita inglese negli anni ‘50, passando dalla puzza di cui sopra alla City di Londra. La City, sapete cos’è?B) Investite nella bellezza della Sicilia. Per il turismo di tutto il mondo le Maldive diventerebbero un laghetto di pesca sportiva confronto alla Sicilia, che se abbellita, curata, attrezzata, sarebbe il Paradiso delle vacanze del Pianeta. E voi, coi vostri soldi puliti – senza prostitute, armi vendute a psicopatici in giro per il mondo, senza pizzo alle vedove, senza puzze di questo genere – investirete nella più bella isola del mondo. E il Roe (il “return on equities”) sarà 2.000 volte quello che avete oggi dalla puzza in cui sguazzate, senza avere la Dia, la polizia, e ogni sorta di scocciatura alle calcagna. Senza dare, come dovete fare adesso, alle griffe di moda internazionali 400 milioni di cui vi riciclano 200 e gli altri li buttate al cesso aprendo un megastore a Singapore (in cui non compra nessuno). Cara Mafia, sveglia. E’ tempo che i vostri rampolli mandino in pensione le prostate di capra di 70 anni che ancora vi governano e che facciate… BUSINESS. E Wall Street guarderà a Palermo o a Catania con un metro di lingua fuori dalla bocca.Non avete mai capito nulla, signori capi mandamento. I soldi, quelli tanti e veri e tranquilli, si fanno in finanza, con la faccia alla luce del sole, con tante bella fondazioni e ASSICURAZIONI (tipo Carisbo? o Monte dei Paschi? Unipol?) e con la sicurezza che né lo Stato né il pubblico, vi obiettino nulla. Anzi, con la certezza che, se le cose vi vanno male, lo Stato e la Bce interverranno per salvarvi il deretano. Con la certezza che l’Europa manderebbe a puttane centinaia di milioni di famiglie e aziende – CON UN BEL TRATTATO LEGALE – per salvarvi il deretano. Non so se voi, capi mandamento puzzoni, avete mai sentito parlare di Ltro per le banche o di Tremonti? Voi oggi ci smenate la paghetta, confronto a quello che Draghi farebbe per voi se diventaste banche, puliti, con la cravatta, come Unicredit? Intesa? Ubi? Lo sapete che alle banche Usa e Ue dal 2007 sono stati regalati 14.000 miliardi di dollari? Quanto fate voi, Camorra, Mafia, ‘Ndrangheta e altre puzze messe assieme all’anno? 100 miliardi? Dai, siete agli spiccioli del caffè, ma dai… Cristo, mafiosi, ma siete proprio idioti. Non avete capito un cazzo di soldi. Ma c’è un p.s. (Ps: Mafia, rimani quello che sei, perché come sei fai diecimila volte meno danni della finanza che ho descritto, e del Pd, di De Benedetti, di Saviano, di Benigni, o di Renzi – i paggi del Vero Potere qui da noi. Dammi un pizzo tutti i giorni, piuttosto che un Padoan o un Marco Buti).(Paolo Barnard, “Lettera alla Mafia: per favore, rimani Mafia”, dal blog di Barnard del 6 agosto 2014).La Mafia, se non fosse composta da qualche migliaio di culi di pecora col cervello del retto di una pecora, farebbe le seguenti cose: A) La Mafia capisce (intendo i giovani istruiti mafiosi, non quei cervelli prostate di capra che sono oggi i tradizionali capi) che la Sicilia è posizionata nel canale di intermediazione finanziaria più importante del mondo. Quella fra Africa e Occidente. Ci sono 2 colossali business del futuro, indiscutibilmente, roba di proporzioni tali da far impallidire il petrolio e i Mercati: l’Agroalimentare (destinato all’Occidente) che Cina, Arabia Saudita, Corea et al. stanno sviluppando in Africa con progetti agricoli delle dimensioni del Belgio, ipertecnologici, (ritorni finanziari di un minimo del 7% fino al 24%, di media, roba che non esiste una equity o un titolo in tutto il mondo che ti renda questi soldi); e i mega-progetti energetici come la Inga-3 del Congo, ma moltissimi altri del genere. La Cina e gli Usa ci si stanno buttando a capofitto, ma pensate al giorno in cui l’Europa si accorgerà che il futuro dei mega-soldi è nello sviluppo dell’Africa.
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Il pupazzo Renzi ci sta spedendo nell’inferno del Ttip
Così pochi giorni fa abbiamo udito le voci del ventriloquo uscire dalle bocche dei nostri governanti. L’ineffabile Renzi, colui che il più delle volte parla senza dire alcunché (è anche questa una capacità molto importante per i politici di oggi, ma bisogna dare a lui il merito di averla portata alle vette del sublime), stavolta, animato dal ventriloquo, ha detto qualcosa di concreto: che bisogna firmare subito il Ttip, il trattato internazionale di libero commercio tra Usa ed Europa. «E’ tutto a nostro vantaggio», ha detto il ventriloquo. «Sst!… Guerrino dorme, non risvegliamolo. Vorrei sbagliarmi, ma credo che ogni giorno di più dubita di non esistere, d’essere un’armatura piena di vento…» (Gesualdo Bufalino). Dice che venderemo più facilmente i nostri prosciutti e il nostro parmigiano agli americani. Finalmente. Allora ci metteremo tutti a produrre prosciutti e parmigiano, e cargo di prosciutti e parmigiano, e magari vino Chianti e Brunello partiranno per l’America, inondando le mense Usa e sostituendo hamburger, popcorn, cibi in scatola e in plastica di ogni genere e tipo.Continueremo a importare grano, riso, carne, verdure, sementi, piante da orto e da giardino, soia e mais e farine animali da far mangiare ai maiali per i prosciutti e alle vacche per il parmigiano, pesticidi con cui irrorare i già troppo estesi vigneti del Chianti e del Brunello, ecc ecc, e molte di queste cose continueremo ad importarle dagli Stati Uniti, come già facciamo. Con una piccola differenza, però, rispetto ad ora: non potremo più rifiutare nulla. Non potremo più escludere ormoni, Ogm, veleni di qualsiasi genere dal nostro commercio e consumo, non potremo nemmeno più essere avvertiti della loro presenza da un’etichetta (e nemmeno da un articolo pubblicato su un giornale) perché sarebbe “concorrenza sleale”, punita con gravi sanzioni pecuniarie, se non peggio. Diventerebbe illegale anche un’etichetta che specificasse “esente da Ogm”: sarebbe sempre concorrenza sleale. “Sleale”! Ma dov’è finito il significato delle parole?Il Ttip (trattato di libero commercio), libererebbe le multinazionali Usa (e non solo) da ogni limite e vincolo che oggi la nostra legislazione prevede, e che abbiamo conquistato a seguito di tante lotte, mobilitazioni, impegno e lavoro di associazioni, gruppi e gente varia. Libererebbe le multinazionali e incatenerebbe noi. Ogni passo avanti nel cammino della globalizzazione imperialista è un passo avanti nella sottomissione dei popoli. Mentre quelli che ci stanno rendendo schiavi sventolano la bandiera della Santa Democrazia ogni volta che devono dare l’assalto a qualche paese refrattario e recalcitrante al farsi “globalizzare”. Il Ttip è un piano con cui le grandi corporations vogliono accaparrarsi tutto l’accaparrabile, controllare tutto il commercio, imporre a tutti i loro prodotti. Viene discusso in segreto, tenendone all’oscuro, con la complicità dei governi, i popoli che ne saranno vittime.E’ un’altra rapina di risorse naturali ed economiche, aumenterà la povertà dei molti e la ricchezza dei dominatori del mondo, accelererà la distruzione della Terra e della nostra salute. Se verrà approvato. Intanto, non lasciamo che a berciare sia solo il ventriloquo attraverso le sue marionette: la maggior parte dei cittadini non ne ha mai sentito parlare, se non da Renzi & C. Informiamoci e informiamo, facciamo conoscere la verità e gli obiettivi di questo trattato commerciale. Tutti devono capire, tutti quelli che sanno e hanno capito devono informare coloro che “cadono dalle nuvole” ma che pesano, eccome, sul piatto della bilancia. Il Trattato prevede che le legislazioni dei singoli Stati si pieghino alle norme di libero scambio stabilite dalle multinazionali, pena gravi sanzioni commerciali e risarcimenti (alle multinazionali) degli Stati contravventori. O delle Regioni, o dei Comuni.Sicurezza alimentare, norme sulle sostanze tossiche, sanità, medicinali, energia, cultura, risorse naturali, formazione professionale, appalti pubblici… tutto verrebbe piegato e ridisegnato secondo gli interessi delle multinazionali. Sarebbero creati appositi tribunali internazionali per tutelarne gli interessi. I servizi pubblici diventerebbero merce di libero scambio. Stiamo parlando di scuole, ospedali, ferrovie, musei, opere pubbliche, foreste e terreni, energia elettrica. Tutto “liberamente scambiabile”! Tutto arraffabile, accaparrabile, rapinabile dalle grandi industrie Usa ed europee. Nella delegazione americana che sta conducendo le trattative ci sono più di seicento (600!) rappresentanti mandati dalle multinazionali. Seicento loro lacché, funzionari, mercenari: dopotutto, è una guerra, e quei seicento si batteranno fino all’ultimo: per loro è questione di vita o di morte. Cioè di carriera e prestigio o di fallimento, che è tutto ciò che concepiscono della vita.Le istruzioni per tutti i lacché, Usa ed europei, politici e non, sono: non far trapelare nulla, fino alla fine, di ciò che si discute. Chissà perché? A noi italiani almeno lo potrebbero dire, dato che il Ttip “è tutto a nostro vantaggio”. «Con le monete in una mano, un bel niente nell’altra, persuasero tutti, eccetto il bambino – già sapeva… che, qualsiasi mano avesse toccato delle due tese avanti, sarebbe stata sempre quella vuota» (R. S. Thomas). Peccato che il trattato simile di libero commercio fatto tra Usa e Messico non sia stato anche lui a tutto vantaggio dei contadini messicani, che hanno visto inondare il mercato interno di mais Usa geneticamente modificato e a prezzi stracciati e, oltre a non riuscire più a vendere il proprio prodotto, vengono denunciati e rovinati dalla Monsanto perché il loro mais è contaminato.(Sonia Savioli, “Ventriloqui, pupazzi e accordo commerciale Usa-Ue”, da “Il Cambiamento” del 26 giugno 2014).Così pochi giorni fa abbiamo udito le voci del ventriloquo uscire dalle bocche dei nostri governanti. L’ineffabile Renzi, colui che il più delle volte parla senza dire alcunché (è anche questa una capacità molto importante per i politici di oggi, ma bisogna dare a lui il merito di averla portata alle vette del sublime), stavolta, animato dal ventriloquo, ha detto qualcosa di concreto: che bisogna firmare subito il Ttip, il trattato internazionale di libero commercio tra Usa ed Europa. «E’ tutto a nostro vantaggio», ha detto il ventriloquo. «Sst!… Guerrino dorme, non risvegliamolo. Vorrei sbagliarmi, ma credo che ogni giorno di più dubita di non esistere, d’essere un’armatura piena di vento…» (Gesualdo Bufalino). Dice che venderemo più facilmente i nostri prosciutti e il nostro parmigiano agli americani. Finalmente. Allora ci metteremo tutti a produrre prosciutti e parmigiano, e cargo di prosciutti e parmigiano, e magari vino Chianti e Brunello partiranno per l’America, inondando le mense Usa e sostituendo hamburger, popcorn, cibi in scatola e in plastica di ogni genere e tipo.
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Renzi, atroce imbroglio: la faccia allegra della catastrofe
Quanti disoccupati produrrà la sciagurata privatizzazione della Fincantieri, che sinora proprio perché pubblica ha permesso all’Italia di essere competitiva nella costruzione delle grandi navi, assieme alla Germania? Vogliamo parlare della privatizzazione di Ilva, Telecom, Italtel e Alitalia, dei disastri che hanno prodotto in tutte le direzioni senza un centesimo di guadagno, anzi con gigantesche perdite, per lo Stato? Vogliamo parlare dello scandalo della Fiat delocalizzata e che fugge il fisco, con il governo muto e complice? Quanti nuovi disoccupati e precari produrrà la cosiddetta riforma della pubblica amministrazione che, dietro la misura demagogica del taglio dei permessi sindacali (che alla fine sarà un boomerang per i suoi autori perché rafforzerà chi lotta sul serio), dietro la propaganda attua il taglio lineare del personale e la deresponsabilizzazione pubblica nella catena degli appalti? E soprattutto quanti disoccupati produrrà la continuazione delle politiche di austerità che già ora hanno creato 7 milioni di senza lavoro?E non si venga a dire che gli 80 euro sono una rottura di questa politica. Chi fa credere questo è in totale malafede. Quell’assegno è stato concordato tra Renzi e Merkel per indorare la pillola del rigore alla vigilia delle elezioni, e verrà restituito con gli interessi, con le tasse i ticket e i tagli ulteriori alla spesa sociale. Però bisogna ammettere che l’operazione gattopardesca per il momento è riuscita. Durante i governi Monti e Letta si parlava sempre più di vincoli europei e di austerità. Ora non se ne parla più, le questioni economiche e sociali vengono dopo il calcio. Si parla di legge elettorale e di abolizione del Senato elettivo, di riforme di tutti i tipi, ma di austerità non si parla più, la si attua e basta. Gli scandali delle grandi opere non provocano più nessuna pubblica discussione sulla loro necessità, ma solo uno stanco ritorno delle campagne di moralizzazione ipocrita e inconcludente, con Renzi naturalmente alla loro testa. Anche Grillo pare esserci cascato in pieno… la crisi economica si risolve con le riforme… Ma va, son venti anni che i liberisti fanno questa propaganda e attuano questa politica e la crisi si aggrava sempre di più.Comunque con ben maggiore efficacia rispetto al suo ammiratore invidioso e frustrato, Berlusconi, Renzi può compiere un’opera di distrazione di massa. Naturalmente non c’è la fa da solo, con lui stanno tutti i poteri forti nazionali e internazionali e un sistema informativo vergognoso, che è saltato sul suo carro come quei giornalisti “embedded” che stavano in Iraq sui carri armati di Bush e raccontavano quelle menzogne che han fatto danno sino ad oggi. Qualcuno parla ancora di Fiscal Compact? Nel nuovo Pd di Renzi che vuol battere i pugni in Europa, qualcuno propone forse di abolire quella mostruosità unica che è il pareggio di bilancio costituzionale? Cameron, quando quella riforma fu approvata, disse che Keynes, cioè lo stato sociale, erano stati messi fuori legge. Nelle elezioni locali qualche candidato del Pd si è forse impegnato a mettere in discussione il patto di stabilità? No di certo, perché Renzi spinge a fare i primi della classe in Europa. Forse anche per questo il vertice europeo torinese è stato rinviato: vuoi mai che per colpa delle parole di qualche sconsiderato burocrate i temi dell’austerità potessero tornare di pubblico confronto?Bisogna depistare e nascondere, noi siamo la seconda cavia di Europa dopo la Grecia. Si mette in atto la stessa politica, ma con un metodo diverso, quello di Renzi. Che si paragona a Obama ma in realtà è un epigono di Blair, che ha distrutto in Gran Bretagna tutto ciò che aveva resistito alla signora Thatcher. Compreso il suo partito. Attenti, sostenitori esultanti e anestetizzati del Pd: alla fine sarà proprio il vostro partito a pagare la politica del suo leader. Intanto però si festeggia e le fragili e tremebonde opposizioni ufficiali di destra e sinistra si inchinano al regime. Berlusconi e la Lega son sempre più parte del gioco. La Cgil ha adottato come massima forma di protesta il borbottio, anche se riceve uno schiaffone al giorno. Grillo dialoga sulle riforme e la lista Tsipras ha già le prime scissioni verso il Pd. Il presidente del consiglio sta sbancando.Eppure, nonostante i clamorosi successi attuali, il progetto di Renzi è destinato a fallire per due ragioni di fondo. La prima è che la crisi economica si trasforma in stagnazione e continuerà così, senza nessuna luce in fondo al tunnel. D’altra parte la politica di Renzi non serve ad uscire dalla crisi, ma solo ad abituarci a convivere con essa. Dobbiamo accettare la disoccupazione di massa e la distruzione dello stato sociale, e imparare a sopravvivere arrangiandoci. Ci dobbiamo rassegnare alla ingiustizia e alla diseguaglianza, questo insegnano il Jobs Act o il feroce articolo 5 del decreto Lupi, che colpisce con crudeltà da Ottocento vittoriano i senza casa. Il punto non è la soluzione della crisi, impossibile con l’austerità, ma la passività sociale. È su questa che contano Renzi e la signora Merkel per andare avanti. Ed è su questo che falliranno.Certo ora sfiducia e rassegnazione sono massimi, mai in Italia si è fatto così tanto danno alle persone con così poche reazioni. Ma questa situazione finirà, il conflitto ripartirà e Renzi rischierà allora di apparire per come lo dipinge il suo unico oppositore televisivo, il comico Maurizio Crozza. La seconda ragione è che l’Europa della signora Merkel che ha benedetto Renzi ha rivelato tutta la sua subalternità e fragilità mondiale. Il governo ucraino con i suoi ministri nazifascisti ha rotto il disegno della Germania di portare l’Europa da essa dominata alla intesa cordiale con Putin e ad una maggiore autonomia dagli Stati Uniti. La nuova guerra, anzi la guerra mai finita in Iraq, rafforza la stessa spinta di fondo. Gli Usa hanno ripreso il controllo del blocco occidentale con la vecchia Nato e ancor di più lo faranno con il Ttip, il patto liberista tra le due sponde dell’Atlantico che vuole trasformare la Ue in appendice di Usa e Canada, mentre di fronte si delinea la nuova alleanza globale di Russia e Cina.Forse non ce ne siamo accorti nel teatrino della nostra politica, ma la globalizzazione è morta, si torna ai grandi schieramenti di potenze e un’Europa indebolita da anni di austerità viene assorbita nel vecchio impero americano. Povero Renzi, che c’entra la sua politica con tutto questo? Nulla, e ancora una volta il conto di un potere politico gattopardesco, che sta indietro rispetto alla realtà del mondo, lo pagheremo tutti noi. Bisogna augurarsi allora che il regime di Renzi non ci metta i venti anni di quello berlusconiano per farci scoprire tutti i suoi danni. Bisogna augurarselo e bisogna agire perché questo regime fallisca il prima possibile. Solo con la sconfitta di Renzi e del renzismo si ridà un futuro a questo paese.(Giorgio Cremaschi, estratto dall’intervento “Facciamo fallire il regime renziano”, da “Micromega” del 20 giugno 2014).Quanti disoccupati produrrà la sciagurata privatizzazione della Fincantieri, che sinora proprio perché pubblica ha permesso all’Italia di essere competitiva nella costruzione delle grandi navi, assieme alla Germania? Vogliamo parlare della privatizzazione di Ilva, Telecom, Italtel e Alitalia, dei disastri che hanno prodotto in tutte le direzioni senza un centesimo di guadagno, anzi con gigantesche perdite, per lo Stato? Vogliamo parlare dello scandalo della Fiat delocalizzata e che fugge il fisco, con il governo muto e complice? Quanti nuovi disoccupati e precari produrrà la cosiddetta riforma della pubblica amministrazione che, dietro la misura demagogica del taglio dei permessi sindacali (che alla fine sarà un boomerang per i suoi autori perché rafforzerà chi lotta sul serio), dietro la propaganda attua il taglio lineare del personale e la deresponsabilizzazione pubblica nella catena degli appalti? E soprattutto quanti disoccupati produrrà la continuazione delle politiche di austerità che già ora hanno creato 7 milioni di senza lavoro?
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Mafia ad alta velocità, in val Susa l’indagine del Ros
«Via la mafia dalla val Susa», gridarono in coro i No-Tav asserragliati a Chiomonte il 27 giugno 2011, quando scorsero la ruspa dell’Italcoge di Ferdinando Lazzaro sfondare le barricate degli attivisti per consentire ai duemila agenti di sgomberare la “Libera Repubblica della Maddalena” e avviare il mini-tunnel geognostico, primo e unico cantiere finora aperto per la linea Tav Torino-Lione, considerata la grande opera più costosa della storia italiana nonché la più inutile d’Europa, visto il crollo del traffico Italia-Francia e la presenza in valle di Susa della ferrovia internazionale Torino-Modane ormai deserta, nonostante l’ammodernamento del traforo del Fréjus. Oggi, a tre anni di distanza, i No-Tav accolgono con sollievo la retata di arresti e denunce operata dai carabinieri del Ros su ordine della direzione distrettuale antimafia del Piemonte, tesa a stroncare l’infiltrazione della ‘ndrangheta nella maxi-torta dell’alta velocità. «Quella dei No-Tav è anche una lotta antimafia», ha ricordato Marco Revelli al maxi-processo torinese contro gli attivisti della valle di Susa, indagati anche per terrorismo dalla procura torinese guidata da Caselli, prima che la Cassazione stabilisse l’insussistenza di quel gravissimo reato.Contro gli inquirenti di Torino in questi mesi si erano levate voci molto autorevoli, tra cui quelle di alti magistrati a riposo, come Taselli, Pepino e Palombarini. «Contro di noi anche la folle accusa di terrorismo – hanno protestato i No-Tav – mentre nessuno indaga sull’ombra della ‘ndrangheta che incombe sul cantiere di Chiomonte». Errore: qualcuno indagava. E ha intercettato alcune aziende incaricate del movimento terra: «Prendiamo tutto noi», gongolavano i titolari delle imprese. Tra questi Giovanni Toro, secondo gli inquirenti esponente di spicco della ‘ndrina di San Giovanni Marchesato (Crotone), che proprio grazie a Lazzaro – la cui azienda oggi si chiama Italcostruzioni – avrebbe lavorato a Chiomonte aggirando le norme che impedivano l’accesso ai camion privi delle necessarie autorizzazioni. «Lo faccio attraverso la Prefettura, gli dico che dobbiamo asfaltare, è urgente», dice Lazzaro, intercettato dai Ros.Uno dei punti sotto esame riguarda l’asfaltatura delle piste destinate al pattugliamento della polizia, all’interno dell’area militarizzata del cantiere. «Il fatto che emerge, e che dovrebbe far riflettere sulla sicurezza del cantiere – scrive “L’Espresso” – è che gli investigatori non hanno trovato traccia di contratti registrati tra Toro, Italcostruzioni o Ltf», la società Lyon-Turin Ferroviaire che ha in appalto la costruzione dell’arteria. Il che vuol dire, secondo gli inquirenti, che l’azienda di Toro «ha lavorato sotto gli occhi dei militari che presidiavano il sito senza un pezzo di carta che certificasse la sua presenza». Sempre sull’“Espresso”, Giovanni Tizian ricostruisce le vicende alla base dell’indagine: «Inizialmente, la ditta di Lazzaro si chiama Italcoge. Con questa ottiene la commessa. Poi però Italcoge fallisce». Ma Lazzaro «continuava di fatto a occuparsi del cantiere avvalendosi proprio di Toro», scrive il giudice delle indagini preliminari che ha firmato le 900 pagine dell’ordinanza.L’imprenditore in pratica ha creato una nuova società, la Italcostruzioni, proseguendo senza problemi i lavori a Chiomonte: «Italcostruzioni acquisiva i mezzi, le autorizzazioni di legge nonché il subentro nel Consorzio Valsusa», che raccoglie gran parte delle aziende impegnate nel grande appalto pubblico. Ma c’è di più, aggiunge Tizian: Lazzaro negli atti è indicato come uno degli interlocutori principali di Rfi, Rete ferroviaria italiana, e Ltf. «Alcune conversazioni intercettate dimostravano sia l’influenza esercitata da Lazzaro in seno al Consorzio Valsusa, che di fatto considerava di sua proprietà, sia il ruolo di unico interlocutore della committente Ltf», scrivono i magistrati. «Prendiamo tutto noi, Nando», si sente in una delle intercettazioni. E Lazzaro conferma: «Prendiamo tutto noi». Tra gennaio e marzo 2012 poi il titolare di Italcostruzioni – per ora indagato per smaltimento illecito dei rifiuti di cantiere – cerca «di fare entrare Toro all’interno del Consorzio Valsusa». L’imprenditore calabrese che ha asfaltato le piste a Chiomonte, ora in carcere insieme a una ventina di persone, è invece indagato per concorso esterno con il clan crotonese.Ferdinando Lazzaro, dicono ora gli attivisti valsusini, è andato ripetutamente in televisione ad accusare i No-Tav degli incendi divampati presso aziende coinvolte nel cantiere: tesi avallata dai media, nonostante i roghi di tanti presidi No-Tav (i punti d’incontro del movimento, regolarmente dati alle fiamme). In prima fila, a incolpare i valsusini, i politici dell’establishment, dal senatore Pd Stefano Esposito al ministro Maurizio Lupi. Mai un accenno al problema-mafia in valle di Susa neppure dal ministro Alfano, recatosi in visita al cantiere di Chiomonte come l’ex sindaco torinese Sergio Chiamparino, ora presidente della Regione Piemonte, fattosi fotografare in campagna elettorale nel sito di cantiere che secondo gli inquirenti sarebbe stato realizzato con il contributo dell’imprenditoria mafiosa. «Le grandi opere come il Tav fanno gola alla mafia», avvertì il giallista Massimo Carlotto al “Valsusa FilmFest”, «perché sono un’occasione d’oro per riciclare denaro sporco». Nel suo “Libro nero dell’alta velocità”, Ferdinando Imposimato ricorda che buona parte della rete Tav italiana è stata costruita dalla mafia, grazie al sistema dei subappalti a cascata che rende incontrollabile la lievitazione dei prezzi.Di mafia in valle di Susa in realtà si parla da sempre, visto che il comprensorio turistico è dotato di importanti impianti invernali e ha ospitato grandi eventi, dai Mondiali di sci alle Olimpiadi. Storie di appalti sospetti, intimidazioni e sindacalisti minacciati fanno parte della letteratura giudiziaria della valle di Susa, fin dalle prime segnalazioni della Commissione Antimafia. A metà degli anni ‘90, su iniziativa della nuova magistratura antimafia creata dopo la morte di Falcone e Borsellino, fu disciolto per infiltrazioni mafiose il Consiglio comunale di Bardonecchia – primo caso, nel nord Italia. Sempre negli anni ‘90, affiorarono legami tra Susa e la ‘ndrangheta attraverso uno strano traffico di armi, centinaia di pistole cedute illegamente dalla locale armeria a una cosca calabrese “sotto gli occhi di settori dell’intelligence”, secondo gli inquirenti. Di mafia si è occupato a lungo il nuovo procuratore capo di Torino, Armando Spataro, succeduto a Gian Carlo Caselli, protagonista della dura repressione contro il movimento No-Tav, con un migliaio di cittadini denunciati, oltre 50 imputati al maxiprocesso celebrato nell’aula-bunker del carcere torinese delle Vallette e persino il rivio a giudizio dello scrittore Erri De Luca, “reo” di aver difeso lo strumento del “sabotaggio” come forma di resistenza civile contro la grande opera, che devasterebbe il territorio fino a renderlo inabitabile, mettendo in pericolo anche la salute data la presenza di amianto e uranio nel materiale di scavo.Spataro, che nel giorno del suo insediamento ha dichiarato di non gradire i giudici-superstar, si è occupato anche di terrorismo, denunciando l’opacità dei legami con alcuni settori dello Stato. Dopo aver condotto l’indagine sul rapimento illegale del mullah Abu Omar, sequestrato in Italia dal Sismi per ordine della Cia, il giudice è stato premiato per il saggio “Ne valeva la pena. Storie di terrorismi e mafie, di segreti di Stato e di giustizia offesa” (Laterza, 2010). Nucleo centrale della narrazione, è proprio la vicenda della “extraordinary rendition” del leader islamico catturato e poi torturato. L’opposizione del segreto di Stato, da parte dei governi Prodi e Berlusconi, è stata per Spataro «l’occasione per riflettere sui rapporti tra politica e magistratura e sulla violazione dei diritti umani con il pretesto della sicurezza». E’ ora l’ex magistrato di Mani Pulite a coordinare una procura, quella di Torino, impegnata nella repressione di centinaia di attivisti No-Tav, decisi a contrastare un’opera inutile, per la quale l’Europa ha appena dimezzato il già scarso contributo previsto, mentre la Francia riprenderà eventualmente in considerazione il progetto Torino-Lione solo dopo il 2013. Un’opera costosissima e ora anche inquinata dall’ombra della mafia, come anticipato dai documenti sequestrati ai No-Tav. «Bollati come terroristi che accumulavano materiale chissà per quale scopo criminale», chiosa Tizian su “L’Espresso”. «Oggi invece la storia sembra un po’ diversa: facevano lavoro di controinformazione».«Via la mafia dalla val Susa», gridarono in coro i No-Tav asserragliati a Chiomonte il 27 giugno 2011, quando scorsero la ruspa dell’Italcoge di Ferdinando Lazzaro sfondare le barricate degli attivisti per consentire ai duemila agenti di sgomberare la “Libera Repubblica della Maddalena” e avviare il mini-tunnel geognostico, primo e unico cantiere finora aperto per la linea Tav Torino-Lione, considerata la grande opera più costosa della storia italiana nonché la più inutile d’Europa, visto il crollo del traffico Italia-Francia e la presenza in valle di Susa della ferrovia internazionale Torino-Modane ormai deserta, nonostante l’ammodernamento del traforo del Fréjus. Oggi, a tre anni di distanza, i No-Tav accolgono con sollievo la retata di arresti e denunce operata dai carabinieri del Ros su ordine della direzione distrettuale antimafia del Piemonte, tesa a stroncare l’infiltrazione della ‘ndrangheta nella maxi-torta dell’alta velocità. «Quella dei No-Tav è anche una lotta antimafia», ha ricordato Marco Revelli al maxi-processo torinese contro gli attivisti della valle di Susa, indagati anche per terrorismo dalla procura torinese guidata da Caselli, prima che la Cassazione stabilisse l’insussistenza di quel gravissimo reato.
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I ladri spolpano il paese e gli italiani credono a un bugiardo
Il Mose di Venezia, la ricostruzione dell’Aquila, l’Expo di Milano, il villaggio della Maddalena, il sistema Sesto (San Giovanni), gli scandali della protezione civile, le mangerie sulla sanità e sui rifiuti nel meridione e nel Lazio, le ruberie sulla Tav e le porcate nei consigli regionali di mezza Italia (tutti quelli su cui si indaga), gli sprechi nei palazzi siciliani: «Tutto questo mostra che gli apparati dei partiti politici e della burocrazia sono strutturalmente dediti a queste cose, che la politica e l’amministrazione vivono di questo». Accusa Marco Della Luna: «La partitocrazia equivale alla mafia: controllo del territorio, lavoro, istituzioni, spesa pubblica». Grazie all’apparato dei partiti, è inevitabile che da noi le opere pubbliche costino il doppio o il triplo. Ed è infantile sperare in qualche politico salvatore della patria: «Qualsiasi premier, qualsiasi statista politico poggia per il potere e per la fiducia in Parlamento su quegli apparati di partito e di burocrazia, che non lo appoggerebbero se egli impedisse i loro traffici».Affarismo generalizzato, sistemico. «Irrazionale è anche pensare che la magistratura di un cosiffatto paese possa risanare il sistema», scrive Della Luna nel suo blog. Il potere giudiziario può colpire singoli imbrogli, non il sistema. Prima di Tangentopoli, la giustizia non interveniva. «Si è mossa solo nel ’92 a seguito del Britannia Party, quando si trattò di arrivare ad altri scopi, soprattutto coprire operazioni di svendita del paese», la super-privatizzazione per la quale fu cooptato Mario Draghi. Dal “sistema”, inoltre, non sono esenti spezzoni della magistratura: dopo lo scandalo Mose, lo stesso Cacciari ha rivelato di aver a suo tempo «presentato un dossier su questo scandalo in una pubblica seduta della Corte dei Conti, senza raccogliere interesse». E un giudice di questa stesa Corte «ha denunciato di aver redatto un rapporto sulle mangerie del Mose già nel 2009, ma di essere stato semi-silenziato da un superiore». Piove sul bagnato: «Gli uomini della casta si riciclano sempre tra di loro, e smettono solo se muoiono». I “Compagni G” sono inarrestabili, «non li fermi con l’interdizione dalle attività pubbliche, ma solo rinchiudendoli a vita», perché «agiscono sott’acqua e non hanno bisogno di assumere cariche pubbliche».Finché vivranno questi uomini, circa 400.000 secondo il libro “La Casta” di Aldo Rizzo e Gian Antonio Stella e almeno un milione secondo altri, «l’Italia continuerà a declinare e non inizierà alcun risanamento». Mose, in fondo, fa rima con Vajont e con Tav: opere inutili, pericolose, inquinate. Idem per lo stillicidio dell’aumento indiscriminato della cementificazione, motivato con la riduzione delle piogge: le precipitazioni sono sì calate su base annua, ma si sono concentrate in periodi rischiosi, moltiplicando le alluvioni. Ma il cemento, si sa, fa comodo al “sistema”. Per non parlare del problema numero uno, la finanza pubblica “privatizzata” dai signori dell’euro. Perché non indagare penalmente anche lì, continua Della Luna, dal momento che l’Italia continua a non avvalersi dell’articolo 123 del Trattato di Maastricht che consente agli Stati di finanziarsi presso la Bce attraverso una banca pubblica? In quel modo, il nostro paese «pagherebbe interessi dello 0,25 o 0,15 % anziché del 5% sul debito pubblico, risparmiando 80 miliardi l’anno». Meglio invece «prelevare 57 miliardi con le tasse dagli italiani già colpiti dalla recessione solo per darle ai banchieri predoni francesi e tedeschi onde assicurare i loro profitti nei prestiti fraudolentemente da loro concessi a Grecia, Spagna e Portogallo».E ancora: «Perché non indagare i cancellieri europei che hanno premuto in tal senso, forse ricattando e limitando nella loro libertà le nostre istituzioni, appoggiati dai banchieri e dalle società di rating? Perché non aprire un fascicolo sull’imposizione all’Italia dell’euro, che si sapeva, tecnicamente, che avrebbe causato ciò che ha poi causato? Lo si era già visto con lo Sme, molti economisti di vaglia l’avevano predetto e gli effetti del blocco dei cambi erano descritti nei libri di testo». Già, perché non indagare? Il solo divorzio tra Stato e Banca d’Italia, nel 1981, ha raddoppiato in pochi mesi il rapporto tra debito pubblico e Pil, cessando la funzione di Bankitalia come “bancomat” del governo a costo zero, per favorire l’interesse speculativo della finanza privata. «La politica italiana degli ultimi decenni è piena di simili scelte distruttive per il paese e lucrative per determinati soggetti finanziari, in termini sia di denaro che di potere». Dunque, «perché non indagare se costituiscano crimini contro gli interessi nazionali? Alto tradimento? Attentato alla sovranità e indipendenza nazionali mediante violenza economico-finanziaria sulla popolazione e sull’economia del paese?». E cosa si scoprirebbe, «rovistando nei circuiti di compensazione bancaria semi-segreti» come Clearstream, Euroclear e Swift? Magari che «i nostri politici, ministri, altri statisti, oltre a prendere soldi dalle grandi imprese per i grandi appalti, hanno preso soldi o altre utilità da finanzieri o statisti stranieri per fare quelle operazioni disastrose per l’Italia».Forse, continua Della Luna, «agli italiani non interessa nulla di ciò che riguarda la sfera della legalità e della moralità, e accettano che i loro governanti siano sleali e traditori». Un nome a caso, Matteo Renzi: «Oggi riscuote successo e consenso un personaggio che ha pugnalato alle spalle il suo compagno di partito, allora premier, dicendoli di stare tranquillo, che non gli avrebbe tolto Palazzo Chigi. Un personaggio che ha violato la promessa fatta pochi giorni prima alla nazione, dicendo che non avrebbe accettato il premierato se non passando per le urne». Davvero ottime credenziali, per un moralizzatore: in qualsiasi altro paese, la sua carriera politica sarebbe finita. In Italia, invece, quei vizi capitali diventano virtù. Lo sanno bene «i poteri che lo hanno scelto», spianandogli la strada con tutta la potenza dei media mainstream. Sapevano che gli italiani ci sarebbero cascati, magari con l’aiutino degli 80 euro – carota per gonzi, immediatamente compensata con più tasse e meno servizi.Chi se ne importa se Renzi «non ha una strategia macroeconomica per rimediare», pazienza se «la disoccupazione, la domanda interna, gli investimenti, il debito pubblico continuano a peggiorare». Tutto ciò che il governo fa è «autofinanziarsi prendendo i soldi del risparmio degli italiani per ridistribuirli senza creare nuove fonti di reddito al paese». L’apparato del partito pigliatutto ha una storia analoga a quella degli altri partiti di potere: il Pd «non ha chiarito come i suoi uomini hanno gestito o lasciato gestire il Monte dei Paschi di Siena, saccheggiando di oltre 10 miliardi». Tutto ciò «non impedisce al novello statista di dichiarare, con la massima e più virginale serietà di espressione, che se fosse per lui condannerebbe per alto tradimento tutti i pubblici funzionari e amministratori che si lascino corrompere. Davvero il personaggio giusto, per ridare la moralità alla Repubblica!». In Italia, chi fa davvero sul serio resta isolato. Come il procuratore aggiunto di Venezia, Carlo Nordio, titolare dell’indagine sul Mose: quando nel 1997 scrisse il saggio “Giustizia” che metteva alla berlina il sistema Tangentopoli, permettendosi anche «alcune benevole e mitigatissime critiche alle lobbies dei suoi colleghi e ai parteggiamenti filocomunisti di certuni», secondo Della Luna l’Anm «attaccò il dottor Nordio con toni e contenuti molto preoccupanti, esagerati e sorprendentemente minacciosi per un paese in cui vige libertà di espressione». Avanti Renzi, dunque. Show must go on.Il Mose di Venezia, la ricostruzione dell’Aquila, l’Expo di Milano, il villaggio della Maddalena, il sistema Sesto (San Giovanni), gli scandali della protezione civile, le mangerie sulla sanità e sui rifiuti nel meridione e nel Lazio, le ruberie sulla Tav e le porcate nei consigli regionali di mezza Italia (tutti quelli su cui si indaga), gli sprechi nei palazzi siciliani: «Tutto questo mostra che gli apparati dei partiti politici e della burocrazia sono strutturalmente dediti a queste cose, che la politica e l’amministrazione vivono di questo». Accusa Marco Della Luna: «La partitocrazia equivale alla mafia: controllo del territorio, lavoro, istituzioni, spesa pubblica». Grazie all’apparato dei partiti, è inevitabile che da noi le opere pubbliche costino il doppio o il triplo. Ed è infantile sperare in qualche politico salvatore della patria: «Qualsiasi premier, qualsiasi statista politico poggia per il potere e per la fiducia in Parlamento su quegli apparati di partito e di burocrazia, che non lo appoggerebbero se egli impedisse i loro traffici».
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I leader Ue sono marci: tangenti da 120 miliardi l’anno
L’Europa è malata. Quanto gravemente è questione non sempre facile da giudicare. Ma tra i sintomi ce ne sono tre di cospicui, e interrelati. Il primo, e più familiare, è la svolta degenerativa della democrazia in tutto il continente, di cui la struttura della Ue è a un tempo la causa e la conseguenza. Lo stampo oligarchico delle sue scelte costituzionali, a suo tempo concepite come impalcatura di una sovranità popolare a venire di scala sovranazionale, nel tempo si è costantemente rafforzato. I referendum sono regolarmente sovvertiti se intralciano la volontà dei governanti. Gli elettori le cui idee sono disdegnate dalle élite rigettano i governi che nominalmente li rappresentano, l’affluenza alle urne cala di elezione in elezione. Burocrati che non sono mai stati eletti controllano i bilanci dei parlamenti nazionali espropriati del potere di spesa. All’involuzione generalizzata si è accompagnata una corruzione pervasiva della classe politica, argomento su cui le scienze politiche, parecchio loquaci a proposito di quello che nel linguaggio dei contabili è definito il deficit democratico dell’Unione, solitamente tacciono.Le forme di tale corruzione devono ancora trovare una tassonomia sistematica. C’è la corruzione pre-elettorale: il finanziamento di persone e partiti da fonti illegali – o legali – contro la promessa, esplicita o tacita, di futuri favori. C’è la corruzione post-elettorale: l’uso delle cariche per ottenere fondi mediante malversazioni sulle entrate o mazzette sui contratti. C’è l’acquisto di voci o voti nei parlamenti. C’è il furto puro e semplice dalle casse pubbliche. C’è la falsificazione di credenziali per vantaggi politici. C’è l’arricchimento dalla carica pubblica dopo l’evento, così come durante o prima di esso. Il panorama di questa malavita è impressionante. Un affresco di esso potrebbe cominciare con Helmut Kohl, governante della Germania per sedici anni, che accumulò due milioni di marchi di fondi neri da donatori illegali i cui nomi, quando fu denunciato, rifiutò di rivelare per timore che venissero alla luce i favori che aveva fatto loro. Oltre il Reno, Jacques Chirac, presidente della Repubblica Francese per dodici anni, fu condannato per appropriazione di fondi pubblici, abuso di ufficio e conflitti d’interesse, una volta caduta l’immunità. Nessuno dei due ha subito pene. Questi erano due dei più potenti politici dell’epoca in Europa.In Germania il governo di Gerhard Schroeder garantì un prestito da un miliardo di euro alla Gazprom per la costruzione di un gasdotto sul baltico poche settimane prima che egli si dimettesse da cancelliere e andasse a libro paga della Gazprom con uno stipendio maggiore di quello che aveva ricevuto governando il paese. Dopo la sua partenza, Angela Merkel ha visto due presidenti della repubblica, uno dietro l’altro, costretti a dimettersi da screditati: Horst Koehler, ex capo del Fmi, per aver spiegato che il contingente della Bundeswehr in Afghanistan stava proteggendo interessi commerciali tedeschi; e Christian Wulff, ex capo cristiano-democratico della Bassa Sassonia, per un prestito discutibile ricevuto da un affarista amico per la sua casa. Due ministri eminenti, uno della difesa e l’altro dell’istruzione, hanno dovuto andarsene quando sono stati privati dei loro dottorati – una credenziale importante per una carriera politica nella Repubblica Federale – per violazione dei diritti di proprietà intellettuale. Quando il secondo, Annette Schavan, un’intima amica della Merkel (che aveva manifestato piena fiducia in lei) era ancora in carica, il “Bild Zeitung” ha osservato che avere un ministro dell’istruzione che aveva falsificato le sue ricerche era come avere un ministro delle finanze con un conto segreto in Svizzera.In Francia il ministro socialista del bilancio, il chirurgo plastico Jérôme Cahuzac, la cui direttiva era di difendere la probità e l’equità fiscale, è stato scoperto detenere qualcosa tra i 600.000 e i 15 milioni di euro in depositi segreti in Svizzera e a Singapore. Nicolas Sarkozy, nel frattempo, è accusato da testimoni concordi di aver ricevuto circa 20 milioni di dollari da Gheddafi per la campagna elettorale che lo portò alla presidenza. Christine Lagarde, il suo ministro delle finanze, che oggi dirige il Fmi, è sotto inchiesta per il suo ruolo nella concessione di 420 milioni di dollari di ‘risarcimento’ a Bernard Tapie, un ben noto truffatore con un passato in carcere, negli ultimi tempi amico di Sarkozy. Contiguità disinvolta con la criminalità è bipartisan. François Hollande, attuale presidente della repubblica, usava come pied-à-terre per gli incontri con la sua amante un appartamento della donna di un gangster corso, ucciso l’anno scorso in una sparatoria sull’isola.In Gran Bretagna, circa nello stesso periodo, l’ex premier Blair consigliava a Rebekah Brooks, che rischiava il carcere per cinque accuse di cospirazione criminale («Sii forte e prendi pastiglie per dormire. Passerà») e la sollecitava a «pubblicare un rapporto in stile Hutton», come aveva fatto lui per sterilizzare qualsiasi parte il suo governo potesse aver avuto nella morte di una fonte interna che aveva fatto rivelazioni sulla sua guerra in Iraq: un’invasione dalla quale ha poi proseguito a raccogliere – naturalmente per la sua Fondazione Faith – mance e contratti assortiti in giro per il mondo, considerevoli fondi in contanti da una compagnia petrolifera della Corea del Sud gestita da un delinquente condannato con interessi in Iraq e presso la dinastia feudale del Kuwait. Quali ricompense possa essersi guadagnato più a est resta da vedere («I progressi del Kazakistan sono splendidi. Comunque, signor Presidente, lei ha toccato nuovi vertici nel suo messaggio alla nazione». Alla lettera.).In patria, in uno scambio di favori a proposito dei quali ha mentito compuntamente al Parlamento, le sue mani sono state unte da un milione di sterline versate alle casse del partito dal magnate delle corse automobilistiche Bernie Ecclestone, attualmente sotto giudizio in Baviera per tangenti al ritmo di 33 milioni di euro. Nella cultura del New Labour, figure di spicco della cerchia di Blair, ministri di gabinetto un tempo – Byers, Hoon, Hewitt – non sono stati in grado di offrirsi in vendita al successore. Negli stessi anni, indipendentemente dal partito, la Camera dei Comuni è stata denunciata come un pozzo nero di meschine malversazioni di denaro dei contribuenti. In Irlanda, contemporaneamente, il leader del Fianna Fàil, Bertie Ahern, avendo canalizzato più di 400.000 euro di pagamenti non spiegati prima di diventare “taioseach”, si è votato lo stipendio più elevato di qualsiasi premier in Europa – 310.000 euro, più persino del presidente degli Stati Uniti – un anno prima di doversene andare con disonore per assoluta disonestà.In Spagna l’attuale primo ministro, Mariano Rajoy, alla guida di un governo di destra, è stato colto con le mani nel sacco mentre riceveva mazzette per contratti di costruzione e di altro genere per un totale di un quarto di milione di euro nel giro di un decennio, passategli da Luis Bàrcenas. Tesoriere del suo partito per vent’anni, Bàrcenas è oggi sotto arresto per aver accumulato un tesoro di 48 milioni di euro in conti svizzeri non dichiarati. I libri mastri, compilati a mano, contenenti i dettagli dei suoi versamenti a Rajoy e ad altri notabili del Partito del Popolo – tra cui Rodrigo Rato, altro ex capo del Fmi – sono apparsi in facsimile in abbondanza sulla stampa spagnola. Una volta scoppiato lo scandalo Rajoy ha inviato a Bàrcenas un messaggio con parole virtualmente identiche a quelle di Blair alla Brooks: «Luis, io capisco. Resta forte. Ti chiamerò domani. Un abbraccio». Pur con uno scandalo in cui l’85% del pubblico spagnolo ritiene che egli menta, resta incollato alla poltrona nel Palazzo della Moncloa.In Grecia, Akis Thochatzopoulos, del Pasok – ministro, in successione, dell’interno, della difesa e dello sviluppo – in un’occasione arrivato a un soffio dalla guida della socialdemocrazia greca, è stato meno fortunato: condannato l’autunno scorso a vent’anni di carcere per una formidabile carriera di estorsioni e di riciclaggi di denaro sporco. Oltre il mare Tayyip Erdogan, a lungo celebrato dai media e dall’establishment intellettuale dell’Europa come il più grande statista democratico della Turchia, la cui condotta ha virtualmente dato al paese il titolo di membro onorario della Ue ante diem, ha dimostrato di essere meritevole di essere incluso nei ranghi della dirigenza europea in un altro modo: in una conversazione registrata in cui dava al figlio istruzioni su dove nascondere decine di milioni in contanti, in un’altra in cui alzava il prezzo di una robusta tangente su un contratto di costruzioni. Tre ministri del governo sono caduti dopo scoperte analoghe, prima che Erdogan purgasse le forze della polizia e della magistratura per assicurarsi che non si spingessero oltre.Mentre egli faceva questo la Commissione Europea ha pubblicato il suo primo rapporto ufficiale sulla corruzione nell’Unione, la cui dimensione il commissario autore del rapporto l’ha descritta come “mozzafiato”: secondo una stima prudente, costa alla Ue quanto l’intero bilancio dell’Unione, circa 120 miliardi l’anno, ma la cifra reale è «probabilmente molto più alta». Prudentemente il rapporto si è occupato solo degli stati membri. La stessa Ue, la cui intera Commissione fu costretta in tempi non lontani a dimettersi screditata, è stata esclusa (la Commissione Santer fu costretta a dimettersi nel 1999 per accuse di corruzione contro alcuni suoi membri). Diffuso in un’Unione che si presenta come tutore morale del mondo, l’inquinamento del potere ad opera del denaro e della frode deriva dallo svuotamento di sostanza o dalla caduta del coinvolgimento nella democrazia. Le élite, liberate sia da una reale divisione in alto sia da un significativo dovere di rispondere in basso, possono permettersi di arricchirsi alla follia e impunite. La denuncia cessa di contare molto, poiché l’impunità diviene la regola. Come i banchieri, i politici di spicco non finiscono in carcere.Ma la corruzione non è solo una funzione del declino dell’ordine politico. E’ anche, ovviamente, un sintomo del regime economico che si è impossessato dell’Europa a partire dagli anni ’80. In un universo neoliberista dove i mercati sono il metro del valore, il denaro diventa, più platealmente che mai, la misura di tutte le cose. Se ospedali, scuole e carceri possono essere privatizzati a fini di profitto delle imprese, perché non anche le cariche politiche? Oltre alla ricaduta culturale del neoliberismo, tuttavia, vi è l’impatto del sistema socio-economico, la terza e, nell’esperienza del popolo, di gran lunga più acuta delle malarie che affliggono l’Europa. Che la crisi economica scatenate in occidente nel 2008 sia stata il risultato di decenni di liberalizzazioni nel settore finanziario e di espansione del credito lo ammettono, più o meno, i loro stessi architetti; si veda Alan Greenspan. Collegate oltre Atlantico, le banche e le attività immobiliari europee erano già coinvolte nel disastro tanto quanto le loro omologhe statunitensi. Nella Ue, tuttavia, questa crisi generale è stata aggravata da un altro fattore peculiare dell’Unione, le distorsioni create dalla moneta unica imposta a economie nazionali molto diverse tra loro, spingendo le più vulnerabili di esse sull’orlo della bancarotta quando sono state colpite dalla crisi generale.(Perry Anderson, estratto dall’intervento “Il disastro italiano”, pubblicato da “Sinistra in rete” il 29 maggio 2014).L’Europa è malata. Quanto gravemente è questione non sempre facile da giudicare. Ma tra i sintomi ce ne sono tre di cospicui, e interrelati. Il primo, e più familiare, è la svolta degenerativa della democrazia in tutto il continente, di cui la struttura della Ue è a un tempo la causa e la conseguenza. Lo stampo oligarchico delle sue scelte costituzionali, a suo tempo concepite come impalcatura di una sovranità popolare a venire di scala sovranazionale, nel tempo si è costantemente rafforzato. I referendum sono regolarmente sovvertiti se intralciano la volontà dei governanti. Gli elettori le cui idee sono disdegnate dalle élite rigettano i governi che nominalmente li rappresentano, l’affluenza alle urne cala di elezione in elezione. Burocrati che non sono mai stati eletti controllano i bilanci dei parlamenti nazionali espropriati del potere di spesa. All’involuzione generalizzata si è accompagnata una corruzione pervasiva della classe politica, argomento su cui le scienze politiche, parecchio loquaci a proposito di quello che nel linguaggio dei contabili è definito il deficit democratico dell’Unione, solitamente tacciono.
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Rettighieri, all’Expo l’uomo del cantiere Tav alla Cmc
Cmc è impegnata a Chiomonte nel maxi-appalto più contestato d’Italia, quello per il tunnel geognostico della Torino-Lione. E a Milano, dopo gli arresti per lo scandalo dell’Expo, potrebbe arrivare proprio l’ex direttore di Ltf, la società del Tav.«In attesa che l’inchiesta sull’Expo continui e abbia nuovi risvolti – scrive Fabio Tanzilli su “Valsusa Oggi” – il governo Renzi avrebbe già deciso a chi assegnare il ruolo di direttore: nientemeno che all’ex direttore di Ltf, Marco Rettighieri. Lo stesso che ha seguito, tra le varie cose, il cantiere Tav della Maddalena». Nelle carte giudiziarie del Tribunale di Milano, che descrivono in maniera dettagliata lo scandalo dell’Expo e le motivazioni «che hanno portato agli arresti eccellenti di una banda di politici, dirigenti, faccendieri e imprenditori» per la gestione irregolare degli appalti pubblici, viene citata più volte anche la famosa Cmc, attiva anche in valle di Susa. «L’aspetto interessante – aggiunge Tanzilli – riguarda soprattutto il ruolo che avrebbe Primo Greganti, fino a ieri tesserato del Pd a Torino, e il suo rapporto con la Cmc». Già nel 2013 la Cmc chiese a Greganti informazioni sul padiglione Cina. «Trent’anni fa l’avevo portata io la Cmc a Shangai», si sarebbe vantato Greganti, che – secondo gli inquirenti – avrebbe ottenuto contratti fittizi di consulenza, per giustificare le elargizioni di denaro in cambio della sua diplomazia affaristica pro-Cmc.Il nome della potente cooperativa rossa, aggiunge Tanzilli, ricorre nelle pagine dell’ordinanza del Tribunale anche per un altro episodio, la preoccupazione dei personaggi dello scandalo Expo per un problema giudiziario che ha coinvolto la Cmc a Molfetta: l’arresto del procuratore speciale della cooperativa nel cantiere pugliese, dopo che si è scoperta la truffa riguardante il “cantiere fantasma” del porto. «Nelle chiacchierate della banda dell’Expo, è in particolar modo Maltauro (l’imprenditore vicentino arrestato che sarebbe a capo del gruppo delle turbative d’asta) a definire quello della Cmc un problema pesante e serio». E qui ricompare il nome di Greganti, «che avrebbe avuto il ruolo di “soccorritore”, pronto a tranquillizzare gli animi e ad escogitare qualcosa per risolvere il problema e tutelare la Cmc». Secondo Gad Lerner, personaggi come il presidente della Cmc, Matteucci, «lasciano bene intendere chi tenga il coltelllo dalla parte del manico anche nel rapporto con i dirigenti dei partiti della sinistra». Illegalità o no, chiosa il sito “NoTav.info”, il fatto che colpisce è «l’intreccio di potere tra i soliti noti e i partiti, che – come avvoltoi – decidono le grandi opere e i grandi eventi per spolpare più denaro pubblico possibile».Marco Rettighieri, dirigente di Italferr, sostituisce Angelo Paris, responsabile dell’Expo di Milano, arrestato per la devastante tangentopoli attorno al grande evento mondiale. Notizia: Rettighieri è stato direttore di Ltf, la società della Torino-Lione, che per l’unico cantiere finora aperto – quello del tunnel geognostico di Chiomonte – ha ingaggiato proprio la Cmc di Ravenna, ora nell’occhio del ciclone per il ruolo strategico che a Milano avrebbe affidato a Primo Greganti, secondo gli inquirenti pagato con consulenze fittizie per giustificare le elargizioni di denaro in cambio del suo impegno “diplomatico” a favore della potente cooperativa rossa di Ravenna. «A una decina di giorni dall’arresto di Primo Greganti – complimenti per la tempestività – il presidente della Cmc di Ravenna in una intervista a “La Repubblica” ammette che fra la sua cooperativa e il faccendiere Primo Greganti era vigente un contratto di consulenza», osserva Gad Lerner nel suo blog.
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Voto europeo inutile, non ci sono alternative al regime
«Chi vota avvelena anche te, digli di smettere». Antonio De Martini è fra quanti rivendicano il diritto all’astensione come gesto politico legittimo e significativo, in assenza di democrazia reale. «Non c’è italiano che abbia fino ad oggi avuto il coraggio di ammettere quel che tutti sanno, ossia che la Repubblica ha cessato di esistere trent’anni or sono, che siamo in un regime senza alternative da almeno vent’anni, e che il regime sta diventando monopartitico e consociativo da almeno tre anni». La verità? «Non sanno come uscirne: non c’è un solo personaggio, rispettabile», disposto ad ammettere che «questa è la caricatura di una democrazia, il fantasma di una repubblica, la parodia di uno Stato». Il solo movimento di opposizione? «La magistratura che continua a fare il suo dovere, con le note eccezioni». Che ci sia «una continuità transpartitica e criminale in questo regime – un fil rouge – è stato dimostrato dai recentissimi arresti di Milano per corruzione, in pubblici appalti i cui protagonisti sono gli stessi della tornata di Tangentopoli 1992 (un nome imposto alla stampa per sdrammatizzare i reati)».In un intervento sul “Corriere della Collera”, ripreso da “Come Don Chisciotte”, De Martini accusa il presidente Napolitano, ricordando che all’epoca di Mani Pulite era a capo della corrente “migliorista” del Pci, quella «più colpita dalla Tangentopoli 1992», che affondò la dirigenza milanese del partito, capitanata da Barbara Pollastrini e Gianni Cervetti. Oggi, di fronte allo scandalo Expo, il capo dello Stato «usa il suo supremo magistero per rassicurare i cittadini che l’incidente non avrà conseguenze sull’afflusso degli elettori alle elezioni europee». Protesta De Martini: da Napolitano «non una parola sul reato, sulla mancanza di distinzioni politiche tra i ladri e non una parola sui ricettatori che sono impegnati nelle elezioni europee, non una parola per chiedere di rivedere i meccanismi di controllo. Non una promessa di giustizia». Uno scenario che denota «miseria morale e umana» e fotografa la «meschina preoccupazione» della casta politica, al timone dell’Italia che affonda dopo aver ceduto la sua sovranità ai “signori dello spread”, i padroni dei mercati finanziari.«Ormai – continua De Martini – le elezioni europee sono state scelte come elemento di disinformazione principale per distrarre gli elettori e come pretesto per condurre una campagna contro il movimento di Beppe Grillo», in cui peraltro De Martini non nutre fiducia: «La sua irrilevanza a livello europeo apparirà evidente dopo il risultato: anche se ottenesse tutti i seggi a disposizione dell’Italia (73), verrebbe annegato tra i rappresentanti degli altri 27 paesi che costituiscono l’Unione (750)». Marine Le Pen? Annunciata come grande moralizzatrice, secondo “Le Monde Diplomatique” non ha mai superato l’8% a livello nazionale. A monte, pesa la grande menzogna sulle elezioni europee, strombazzata da uno slogan pubblicitario martellante: “Scegli tu chi guiderà l’Europa”. «Niente di più falso», replica De Martini. «La tenzone tra Juncker e Schultz è falsa come un biglietto da tre euro. Il presidente della Ue non viene scelto dal Parlamento, bensì dal Consiglio, il quale può benissimo – l’ha già fatto – non tenere conto del risultato elettorale nella scelta del presidente».Mentre in tutta Europa «le elezioni europee vengono viste come un evento secondario, caratterizzato da una affluenza decrescente che non influisce sulla politica nazionale», in Italia invece si dice il contrario. Secondo De Martini, parlano i numeri: in Francia l’astensionismo è crescente dal 2009 in poi ed è previsto che aumenti ancora. In Italia, dal 14% di astensioni dal voto del 1976 siamo passati al 50 % delle scorse elezioni, per non parlare del 52% raggiunto alle elezioni siciliane. In Spagna, aggiunge il blogger, la crisi «non favorirà certo l’affluenza al voto», mentre l’Inghilterra l’anno prossimo «farà un referendum per andarsene dalla Ue», e nel frattempo «Romania e Bulgaria sono in stato di allarme per l’Ucraina». Da noi, aggiunge De Martini, le elezioni vengono richieste a furor di popolo solo alle comunali di Roma, perché il sindaco Marino «ha rifiutato di accettare il piano-mazzette proposto dalla sua maggioranza e pretende che nessuno rubi». Sicché esiste «una concordia da larghe intese per sostituirlo al più presto», tenendo conto che nella coalizione c’è anche «il principale quotidiano cittadino, di proprietà di un gruppo che avrebbe in appalto la costruzione del metrò su cui il sindaco ha avuto la pretesa di indagare».Per De Martini, «il risultato delle elezioni europee – previa martellante campagna statale per la partecipazione e previa elargizione di 80 euro al popolino – serve a consentire che l’esperienza governativa di Matteo Renzi e compagnia possa definirsi democratica almeno nella versione rosé, utile a non incuriosire troppo qualche legalitario residuo». Secondo il “Corriere della Collera”, la scelta non esiste: «Berlusconi e Renzi sono tanto simili da sembrare padre e figlio», mentre un successo di Grillo non basterebbe a dare uno scossone al sistema. «La pura verità è che l’astensione dal voto è il solo strumento democratico utile da usare da parte dei cittadini che non vogliano ricorrere alla violenza per ristabilire la legalità e attirare l’attenzione del mondo». Votare alle europee? «Serve solo a legittimare cambiamenti di quote nella ripartizione del bottino». E se poi il dibattito si allarga ora anche agli euroscettici, il remie Ue «se ne avvantaggerebbe, e avrebbe la pretesa di rappresentare tutti, anche i contrari», acquisendo più forza nell’imporre «i suoi dogmi di austerity».«Chi vota avvelena anche te, digli di smettere». Antonio De Martini è fra quanti rivendicano il diritto all’astensione come gesto politico legittimo e significativo, in assenza di democrazia reale. «Non c’è italiano che abbia fino ad oggi avuto il coraggio di ammettere quel che tutti sanno, ossia che la Repubblica ha cessato di esistere trent’anni or sono, che siamo in un regime senza alternative da almeno vent’anni, e che il regime sta diventando monopartitico e consociativo da almeno tre anni». La verità? «Non sanno come uscirne: non c’è un solo personaggio, rispettabile», disposto ad ammettere che «questa è la caricatura di una democrazia, il fantasma di una repubblica, la parodia di uno Stato». Il solo movimento di opposizione? «La magistratura che continua a fare il suo dovere, con le note eccezioni». Che ci sia «una continuità transpartitica e criminale in questo regime – un fil rouge – è stato dimostrato dai recentissimi arresti di Milano per corruzione, in pubblici appalti i cui protagonisti sono gli stessi della tornata di Tangentopoli 1992 (un nome imposto alla stampa per sdrammatizzare i reati)».
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Ma Cantone sarà solo contro la lobby dei partiti ladri
Beati i popoli che non hanno bisogno di eroi. Gli italiani – purtroppo – ne hanno un bisogno che sconfina ormai nella dipendenza. L’ultimo è di oggi, 12 maggio, si chiama Raffaele Cantone, è il coraggioso magistrato del tribunale di Napoli recentemente nominato presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione e che adesso viene chiamato a salvare l’Expo 2015 di Milano! «Cancellare l’esposizione mondiale sarebbe come ammettere che l’illegalità ha vinto», ha dichiarato al quotidiano partenopeo “Il Mattino”, che lo ha intervistato per l’occasione; e la lobby delle grandi opere – già confortata ieri dal premier – ha immediatamente tirato un sospiro di sollievo. Che tuttavia deve essersi leggermente strozzato in gola alla lettura della parole – pesanti come macigni – aggiunte forse a “beneficio” di chi ha tentato di minimizzare il ruolo dei partiti in quello che appare solo come l’ultimo degli scandali di una tangentopoli ormai cronica: «La politica tarda a liberarsi da un diffuso malcostume».«Non so se si tratta di un fallimento politico. Di certo in questi anni si è sbagliato a non lavorare abbastanza sulla prevenzione. Si è clamorosamente abbassato il livello di guardia di fronte a certi fenomeni». Un atteggiamento che, secondo l’ex magistrato, «è anche il frutto di un’opinione pubblica spesso distratta», che «su alcuni temi si è rivelata eccessivamente ondeggiante». Perché, se a fronte di alcuni episodi «c’è stata grandissima attenzione, finanche con rigurgiti di moralismo, in altri si è stati del tutto incapaci di indignazione». Il virgolettato è copiato integralmente dall’intervista e, in assenza di smentite, va preso per buono. E non finisce qui: pur avendo smesso la toga, quel che segue sembrerebbe quasi l’istruttoria di una indagine in cui si analizzano analogie e differenze col passato, remoto o prossimo che sia: «Tangentopoli non ci ha insegnato nulla. Tornano alla ribalta personaggi già condannati: il peggio poteva essere scongiurato e i partiti hanno grandi responsabilità perché non hanno saputo attrezzarsi con delle regole chiare di finanziamento trasparente. La trasparenza – sottolinea – è l’anticorpo più potente nei confronti del malaffare».E quasi a voler tirare le orecchie al governo per la sua proposta (poi precipitosamente ritirata) con cui proprio alla vigilia degli arresti si proclamava di voler “slegare la crescita” dai lacci e laccioli della burocrazia, Cantone aggiunge che il controllo pubblico non è sinonimo di ritardi e inefficienze, anzi: «Si può tranquillamente mettere in campo una rete di controlli efficace, intelligente, agile e non burocratica, purché ci sia davvero trasparenza». Per cancellare ogni possibilità di equivoco circa la severità del suo giudizio, l’ex magistrato sottolinea poi che «personaggi già condannati per corruzione sono arrivati a ritagliarsi un ruolo, non di diritto ma di fatto, per incidere nuovamente nell’assegnazione e nella gestione degli appalti», arrivando senza nessun ostacolo a ricandidarsi e farsi eleggere (come nel caso di Gianstefano Frigerio, Pdl), nonostante la precedente condanna per corruzione. Cosa avvenuta sfacciatamente e nel disinteresse generale, il che rappresenta la sostanza della anomalia italiana.Una anomalia peggiorata, se possibile rispetto al 1992 (l’anno della prima tangentopoli) perché «lo scenario è indubbiamente cambiato: oggi esistono gruppi di potere o di pressione del tutto autonomi dalla politica, ovvero che rispondono ai partiti ma piuttosto ne influenzano l’attività politica». Cosa aggiungere dalla mia comoda poltroncina seduto davanti al monitor? Che Milano ha già avuto un eroe, come ebbi modo di ricordare in uno dei miei primi interventi su queste pagine virtuali: si chiamava Giorgio Ambrosoli, ebbe il “torto” di voler andare fino in fondo nell’incarico che gli era stato assegnato di liquidatore del Banco Ambrosiano del banchiere di Cosa Nostra Michele Sindona, sodale dei partiti e delle lobby finanziarie dell’epoca… Se Cantone è scaramantico farà bene a svolgere i riti propiziatori del caso, ma mi (e soprattutto gli) auguro che i riflettori accesi sulla vicenda odierna siano tali da illuminare a giorno la scena che fu lasciata all’epoca completamente al buio dai responsabili della tutela della incolumità di chi si assume incarichi così delicati. Al punto che addirittura i funerali della vittima avvennero nel “disinteresse generale” che il neo commissario denuncia in un altro brano della sua intervista…Oltre agli auguri di buon lavoro che ogni cittadino gli deve, anche nel proprio interesse di contribuente, voglio tuttavia e un po’ a malincuore concludere con una nota di sincero scetticismo: Cantone, come molti suoi colleghi, ha studiato migliaia di pagine, dal diritto romano a quello internazionale e commerciale, per poter svolgere al meglio la sua professione e meritarsi la riconoscenza di tutte le persone oneste e di buona volontà (quelle cui sembra alludere quando fa riferimento alla necessità di indignazione). Ma, avendo come tutti una sola vita a disposizione, non può aver avuto una esperienza di trentatsei anni nel mondo delle grandi opere come è capitato in sorte al sottoscritto… Che riteneva (come ritiene) eroica l’azione di moralizzazione della vita pubblica che pochi coraggiosi magistrati svolgono in una paese che spesso sembra più una infida palude che un’oasi bucolica. E per questo ci si è anche provato – nel limite delle proprie capacità e conoscenze – di inviar loro degli esposti su quel che pareva fosse una caratteristica costante di questo particolare mondo: le tangenti.Inutile dire che la cosa servì, temo, solo ma farmi considerare, “nell’ambiente”, come “uno che sputava nel piatto dove mangiava” (espressione molto in uso in ogni corporazione “che si rispetti”). E proprio perché ho questo passato “certificabile” alle spalle mi permetto di sostenere con convinzione – pur sperando vivamente di sbagliarmi – che le grandi opere, alle lobby che le promuovono, le progettano, le appaltano e poi le gestiscono (generalmente attraverso il famigerato istituto della concessione) servono soprattutto per rubare denaro pubblico. A volte (non sempre, ma solo quando non sono inutili) servono anche ai cittadini. Ma facendogli pagare più volte il conto: con il lievitare spropositato dei costi (sempre a carico pubblico e “a debito”, checché si prometta), con gli interessi bancari, col pedaggio permanente (a fronte dei trent’anni di durata massima generalmente stabilita); e infine con i costi folli delle manutenzioni straordinarie, dovute quasi sempre alla scarsa qualità dei materiali impiegati, che però vengono fatturati per buoni.Un meccanismo che rende la “forbice” tra costi reali e soldi pubblici erogati talmente ampia che si possono accontentare tutti: dai partiti, alle banche, alla ‘ndrangheta al “cartello delle imprese”. Per questo ritroviamo tesserato al Pd di Renzi (e tardivamente sospeso) Primo Greganti, il compagno-G della prima tangentopoli che tanti meriti guadagnò, in quel partito che si chiamava ancora Pds, nel tacere sulla famosa valigia piena di soldi del Gruppo Gavio. Un pesante fardello di quasi un miliardo – c’era ancora la lira – che doveva tornare al mittente per il tramite di un altro compagno, che vive e marcia assieme a noi e proprio a Milano: quel Filippo Penati che consentì ai manager di Tortona l’affare delle azioni dell’autostrada Milano-Serravalle, in cambio di un aiutino nel tentativo di scalata all’Antonveneta della Unipol di un altro “compagno”, Giovanni Consorte, quello a cui ancora un “compagno”, quel Piero Fassino che De Benedetti vorrebbe presidente della nostra (ma non della sua) Repubblica, chiese: «Abbiamo una banca?».Difficile pensare che un uomo solo – per quanto coraggioso e determinato – possa venire a capo di un sistema. Difficile credere che possa farlo senza l’aiuto, se non di tutti i cittadini, di quella parte di opinione pubblica che non intende smettere di indignarsi. Buon lavoro, Cantone. E se vuole, conti su di noi. Ma soprattutto, non conti sulla collaborazione che non potrà che essere di facciata di chi crede (o vuol far credere) che a governare partiti e un intero paese siano quelli che vengono eletti nelle primarie – o, per ben che vada, alle politiche – e non quelli che ne costituiscono, da sempre, le cupole.(Claudio Giorno, “Alla Scala-Expo di Milano va in scena l’Eroica di… Cantone”, dal blog di Giorno del 12 maggio 2014).Beati i popoli che non hanno bisogno di eroi. Gli italiani – purtroppo – ne hanno un bisogno che sconfina ormai nella dipendenza. L’ultimo è di oggi, 12 maggio, si chiama Raffaele Cantone, è il coraggioso magistrato del tribunale di Napoli recentemente nominato presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione e che adesso viene chiamato a salvare l’Expo 2015 di Milano! «Cancellare l’esposizione mondiale sarebbe come ammettere che l’illegalità ha vinto», ha dichiarato al quotidiano partenopeo “Il Mattino”, che lo ha intervistato per l’occasione; e la lobby delle grandi opere – già confortata ieri dal premier – ha immediatamente tirato un sospiro di sollievo. Che tuttavia deve essersi leggermente strozzato in gola alla lettura della parole – pesanti come macigni – aggiunte forse a “beneficio” di chi ha tentato di minimizzare il ruolo dei partiti in quello che appare solo come l’ultimo degli scandali di una tangentopoli ormai cronica: «La politica tarda a liberarsi da un diffuso malcostume».
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Barnard: Ttip, ricatto finale. Ora siamo davvero finiti
Se fino a ieri una multinazionale americana poteva chiedere a Washington di denunciare un singolo governo europeo per i “mancati profitti” provocati da una legge che tutela il lavoro, l’ambiente, la salute o la sicurezza alimentare, con l’entrata in vigore del Ttip siamo alla fase-2 della globalizzazione, quella terminale: saranno le mega-aziende a denunciare direttamente i nostri governi, e lo faranno presso tribunali speciali, off shore, gestiti da avvocati d’affari che ai governi potranno infliggere sanzioni così salate da scoraggiare in partenza qualsiasi forma di resistenza a tutela di cittadini, aziende e lavoratori. “Merito” dell’oligarchia che si è messa in moto, «la solita lobby d’élite finanziaria e grande industriale», cioè «i mastini del Vero Potere», quelli che «non si fermano mai». Proprio lei, la super-lobby, secondo Paolo Barnard «ha fatto quello che doveva fare: vincere». Si chiama S2B, acronimo dell’inglese “Seattle to Bruxelles Network”. «Ci trovate: J.P. Morgan, Chevron, Bnp Paribas, Microsoft, Uniliver, Philip Morris, Glaxo, Ford, Shell, Monsanto, Goldman Sachs… devo continuare?».Barnard, il primo in Italia a segnalare in televisione gli abusi della mondializzazione selvaggia con servizi come “I globalizzatori” trasmessi da “Report”, oggi parla di «un orribile risveglio, che suona così: noi non molliamo mai, noi siamo infermabili, non sentiamo fatica, coscienza, rimorso, pietà, e alla fine vinciamo sempre. Firmato: il Vero Potere». La «nuova offensiva» chiamata Transatlantic Trade and Investment Partnership o Trattato Transaltantico «è micidiale, potenzialmente devastante come mai prima per l’esistenza stessa di democrazia e interesse pubblico». Nel 1999, all’epoca delle primissime denunce sui pericoli della globalizzazione, «intesa proprio come sistema di accordi segreti e potentissimi creato da una élite di capitalisti per ricacciare indietro decenni di progressi democratici a favore del pubblico, nelle aree dei commerci, della finanza e dei servizi», il “mostro” si muoveva, mastodontico, nella stanze di Ginevra del Wto.In pratica, il Trattato di Marrakech del Wto «stabiliva regole di potere superiore alle leggi degli Stati aderenti che, ad esempio, avrebbero potuto limitare qualsiasi intervento della politica in campo economico e finanziario se esso avesse rappresentato una barriera al Libero Commercio, al Libero Profitto, ai diritti delle Corporations». Ad esempio: «Se una multinazionale americana riteneva che le leggi italiane le impedissero di vendere in Italia un suo prodotto contenente una plastica per noi tossica, poteva chiedere al governo Usa di denunciare Roma al tribunale del Wto, per ottenere l’abolizione della legge italiana», ritenuta “una barriera” al libero sviluppo del loro business. Stessa storia in caso di gare d’appalto per un servizio pubblico: «Qualsiasi mega-corporation mondiale dei servizi poteva reclamare lo stesso diritto a partecipare di un’azienda locale, quando magari il Comune avrebbe preferito dar lavoro e reddito a italiani locali».Col Trattato di Marrakech, sovranazionale e quindi sovrastante le leggi dei singoli Stati, «l’ignorante politica del mondo occidentale aveva firmato e ratificato regole micidiali tutte a favore delle mega-corporations e tutte a sfavore di qualsiasi intervento politico nazionale o anche locale per proteggere i lavoratori, le famiglie, le aziende nazionali, le cooperative, i Comuni», ricorda Barnard. «L’Italia ratificò Marrakech con un solo politico – uno solo! – che l’avesse letto, fra Camera e Senato». Segretamente, cioè «sotto il naso disattento di milioni di cittadini», questo sistema «ha fatto danni immensi alle economie nazionali ma soprattutto ai distretti piccolo-medi industriali italiani che ci fecero ricchi dopo la II guerra mondiale, con valanghe di fallimenti e licenziati a cascata», dice Barnard. «Danni anche ai diritti dei cittadini alla tutela della salute, per non parlare dell’orrore inflitto al Terzo Mondo». C’era però ancora una clausola: la multinazione di turno avrebbe dovuto chiedere al governo Usa di fare causa al governo italiano presso il tribunale del Wto, non poteva agire direttamente. Ora, l’ostacolo è stato superato. Le multinazionali avranno pieni poteri: il loro imperio sovrasterà la sovranità democratica degli Stati.Obiettivo dichiarato: “armonizzare” le regole del commercio e della finanza fra Usa e Ue, liberalizzando gli scambi ed eliminando le barriere all’interno dell’area di libero scambio Usa-Ue, dove avviene «almeno un terzo degli scambi globali». Dalle stime della stessa Commissione Europea, aggiunge Barnard, si deduce che alle promesse del Ttip non crede neppure Bruxelles: secondo il commissario europeo al commercio, Karel de Gught, l’impatto dell’accordo sul Pil europeo è di appena lo 0,01%. Già il “meno peggio” del Ttip, per Barnard, è «una tragica porcheria», in tre atti. Primo: «In Europa verranno imposte le miserrime regole di protezione dell’ambiente e dei consumatori degli Usa, e in America verrà imposta la miserrima regolamentazione della finanza che abbiamo noi europei. Quindi una gara al ribasso ovunque». Secondo: Il Ttip propone la totale liberalizzazione del settore dei servizi pubblici – sanità, asili e scuole, assistenza anziani, trasporti, acqua potabile. Terzo: fine di quel che resta dei diritti sindacali europei.Risultato: «I lavoratori italiani, che già oggi con la bastardata dell’euro devono vedersela con una deflazione dei redditi da incubo, domani saranno anche in gara a tagliarsi i diritti del lavoro per competere con i lavoratori Usa, dove licenziare è più facile che fare un peto. Tutto questo – sottolinea Barnard – per il solito infame motivo che dipendiamo tutti dagli “investitori” per avere economia, e gli “investitori” investono quasi sempre dove i diritti sono minori». Tutto questo ci prepara (si fa per dire) al “peggio” del Ttip, ovvero: le mega-aziende denunciano direttamente gli Stati, e lo fanno presso tribuinali speciali, fuori dalla giurisdizione nazionale. «Significa che abbiamo centinaia di multinazionali che possono aggredire con cause costosissime il nostro paese (gli studi legali per questo tipo di affari prendono parcelle da 3.000 euro al giorno per ciascun avvocato e sono in media una quindicina, per tempi biblici, e moltiplicateli per una pioggia di cause infinita) senza limiti di sorta, imponendoci spese di Stato rovinose, e di fronte alle quali un governo finisce quasi sempre per cedere e cambiare la legislazione d’interesse pubblico».Il ricatto è micidiale, insiste Barnard, perché «con il dogma economico neoclassico (vedi Eurozona) non è più lo Stato che può intervenire con la sua spesa a dar lavoro, reddito e protezione a cittadini e aziende: oggi quel “pane” a tutti ce lo danno i “mercati”, cioè quelle corporations di beni e finanza». Per cui, ecco la minaccia: «Se perdono le cause ritireranno gli investimenti (il pane) dalle nostre tavole nazionali e noi siamo fottuti». Per Barnard, «già a questo stadio un governo finisce per cedere, ma c’è di peggio». E cioè: nei futuri tribunali internazionali, per gli Stati europei sarà praticamente impossibile difendersi. «In tutti gli aspetti del vivere – governati, o anche solo lambiti dai commerci di beni e servizi – il Ttip può divenire letale per famiglie, cittadini, piccole medie aziende, democrazia e Stato stesso. Ancora un’altra mazzata catastrofica all’idea di Mondo Migliore che tanti di noi sognavano o sognano per i propri bambini. Noi che sappiamo queste cose, noi che capiamo cosa fa e come si comporta il Vero Potere, noi che Renzi, i tagli Irpef, le europee, Grillo, Confindustria e i sindacati sappiamo essere fuffa, zero, nulla in grado di proteggerci da nulla. Good luck».Se fino a ieri una multinazionale americana poteva chiedere a Washington di denunciare un singolo governo europeo per i “mancati profitti” provocati da una legge che tutela il lavoro, l’ambiente, la salute o la sicurezza alimentare, con l’entrata in vigore del Ttip siamo alla fase-2 della globalizzazione, quella terminale: saranno le mega-aziende a denunciare direttamente i nostri governi, e lo faranno presso tribunali speciali, off shore, gestiti da avvocati d’affari che ai governi potranno infliggere sanzioni così salate da scoraggiare in partenza qualsiasi forma di resistenza a tutela di cittadini, aziende e lavoratori. “Merito” dell’oligarchia che si è messa in moto, «la solita lobby d’élite finanziaria e grande industriale», cioè «i mastini del Vero Potere», quelli che «non si fermano mai». Proprio lei, la super-lobby, secondo Paolo Barnard «ha fatto quello che doveva fare: vincere». Si chiama S2B, acronimo dell’inglese “Seattle to Bruxelles Network”. «Ci trovate: J.P. Morgan, Chevron, Bnp Paribas, Microsoft, Uniliver, Philip Morris, Glaxo, Ford, Shell, Monsanto, Goldman Sachs… devo continuare?».
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Polizia violenta? L’Italia può ringraziare i suoi politici
«Quel poliziotto è un cretino, va punito», dice il capo della polizia, Alessandro Pansa, commentando l’immagine dell’agente in borghese che calpesta una ragazza a terra, alla manifestazione dei movimenti per la casa il 12 aprile a Roma. «E’ terribile, gli agenti non possono picchiare così», rincara la dose Filippo Bubbico, viceministro dell’interno. Altri invece difendono gli agenti: impossibile criminalizzare poliziotti bersagliati dal lancio di bottiglie e bulloni, biglie e sampietrini. «Non sono contro la polizia, ne ho solo paura». Parola di Alfred Hitchcock. «E se lo diceva lui, riconosciuto maestro del brivido, qualcosa vorrà pur dire», scrive Rossella Guadagnini. «Possiamo fidarci della polizia e di quella italiana in particolare?». Taglia corto il criminologo Francesco Carrer: «Ogni paese ha la polizia che si merita, la polizia che è stato capace di darsi: il che sarà democratico, ma garantisce risultati prevedibili».Censura e condiscendenza, rabbia e difesa corporativa, sconcerto e meraviglia: sono le emozioni che, dopo gli ultimi scontri di piazza, hanno scosso l’opinione pubblica stavolta in prima fila per via dei filmati resi pubblici, scrive Guadagnini su “Micromega”. «Le immagini nitide ed esplicite sono passate e ripassate in tv, in rete, sui social network», e la foto-shock dei ragazzi schiacciati per terra «ha fatto il giro del mondo». Le “cose” si sono viste, eccome: «I pestaggi, la violenza, l’intimidazione, la forza, la rabbia, la paura». Per Luigi Manconi, presidente della Commissione parlamentare sui diritti umani, «sono troppe le illegalità commesse negli ultimi 15 anni da militari chiamati a gestire l’ordine pubblico». Lo dicono i nomi di Giuliani, Uva, Sandri, Cucchi, Aldrovandi e Shalabayeva. «Raccontano una storia fatta di sopraffazioni e violenze ingiustificate a opera di chi è chiamato a difenderci», scrive la Guadagnini. «Una storia di abusi coperti da falsità e bugie nel tentativo di nascondere e proteggere i veri colpevoli».Indossare una divisa non significa essere autorizzati a travestirsi da giustizieri armati. «La polizia ha sempre funzionato come termometro della democrazia», spiega Marco Preve, autore di un saggio appena uscito per “Chiarelettere”, intitolato “Il partito della Polizia”. «Più è presente in una società, meno quella società è libera e democratica». Nessuno Stato può fare a meno della polizia, ammette Preve, perché ad essa sono affidati l’ordine pubblico, la difesa della proprietà privata, l’incolumità delle persone. Dunque, «il sacrificio di una piccola porzione di libertà individuale vale la pena se, in cambio, tutti si sentono più sicuri. A patto che, attraverso le istituzioni, la società sia in grado di controllare l’operato dei poliziotti e riesca a intervenire laddove emergano degli abusi. Nessun abuso, infatti, può essere commesso contro cittadini inermi. Se non è così – aggiunge Preve – i responsabili devono saltare, ma in Italia ciò non è avvenuto. E continua a non avvenire, dai tempi delle torture alle Br fino alle morti di Cucchi, Aldrovandi, Uva e molti altri: la polizia non garantisce la sicurezza, la politica non sorveglia, la stampa non sempre denuncia, la magistratura non sempre indaga».Il perché questa anomalia lo rivela Filippo Bertolami, vicequestore e sindacalista di polizia. «Negli ultimi anni si è assistito al paradosso di un sistema capace da un lato di coprire e premiare i colpevoli di violenze e insabbiamenti, dall’altro di punire chi ha “osato” mettersi di traverso». Imputati, condannati, premiati: a vincere è la paura, riassume Rossella Guadagnini. Il “partito della polizia” è «troppo forte», conta su «troppe protezioni politiche a destra e a sinistra», ricorda Preve, «da Berlusconi a Prodi, da Violante a Renzi». De Gennaro, capo della polizia al G8 di Genova? «E’ diventato presidente di Finmeccanica e i suoi collaboratori non si toccano. Troppe onorificenze, troppe amicizie, anche tra i media. Intanto le auto rimangono senza benzina e gli agenti continuano ad avere stipendi da fame, mentre vengono assegnati appalti miliardari».Il “partito della polizia” è anche un partito degli affari: «Se non c’è una cultura del diritto in chi orienta il pensiero collettivo – sostiene il criminologo Francesco Carrer – mi chiedo come possa nascere in un corpo di polizia i cui vertici sono più attenti ai desiderata dei politici che alle esigenze di chi è in prima linea». Un ragionamento che, volenti o nolenti, secondo Guadagnini non fa una piega. Per Preve, i gruppi che hanno controllato e controllano i vertici del Dipartimento della pubblica sicurezza «hanno potuto permettersi, o consentire ai loro fedelissimi, comportamenti al di sopra delle regole e delle istituzioni». E questo, precisa Preve, nonostante una “base” «sicuramente non collusa, in molti casi insofferente e addirittura vittima di questa gestione». Il giornalista fissa un discrimine: tutto questo è potuto accadere a partire dal 21 luglio 2001, la notte della “macelleria messicana” della scuola Diaz.«Quel poliziotto è un cretino, va punito», dice il capo della polizia, Alessandro Pansa, commentando l’immagine dell’agente in borghese che calpesta una ragazza a terra, alla manifestazione dei movimenti per la casa il 12 aprile a Roma. «E’ terribile, gli agenti non possono picchiare così», rincara la dose Filippo Bubbico, viceministro dell’interno. Altri invece difendono gli agenti: impossibile criminalizzare poliziotti bersagliati dal lancio di bottiglie e bulloni, biglie e sampietrini. «Non sono contro la polizia, ne ho solo paura»: parola di Alfred Hitchcock. «E se lo diceva lui, riconosciuto maestro del brivido, qualcosa vorrà pur dire», scrive Rossella Guadagnini. «Possiamo fidarci della polizia e di quella italiana in particolare?». Taglia corto il criminologo Francesco Carrer: «Ogni paese ha la polizia che si merita, quella che è stato capace di darsi: il che sarà democratico, ma garantisce risultati prevedibili».