Archivio del Tag ‘Autostrade per l’Italia’
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Ponte Morandi, un anno di bugie rifilate a noi poveri cretini
La storia del ponte Morandi è anche la storia dei video che ne ritraggono il crollo. O meglio, la storia dei video che non lo ritraggono, perché fino a oggi – a un anno esatto di distanza – ancora non ci è stato concesso di vedere un solo video integrale del crollo che non apparisse in qualche modo manipolato. A questo punto ho la vaga sensazione che un video integrale del crollo non manipolato non lo vedremo mai. Abbiamo iniziato con questa “politica del mistero” pochi giorni dopo il crollo, quando il procuratore Cozzi ha dichiarato: «Ci sono stati dei problemi nelle videoregistrazioni della società autostrade. Non posso dire che ci siano materiali di grande rilevanza e utilità: il maltempo incideva sulla cattiva qualità delle immagini. La mancanza delle immagini vera e propria (o l’interruzione delle immagini) è dovuta, a quanto è dato di capire, a sconnessioni sulla rete, dovute al fenomeno sismico – al crollo, insomma: in poche parole, al blackout». Cominciavamo bene: erano passati pochi giorni, e già il procuratore metteva le mani avanti, dando la colpa a un ipotetico blackout. Scemenza colossale, fra l’altro: perché, se mai c’è stato un blackout, questo deve essere avvenuto dopo l’inizio del crollo, non prima – quindi le immagini dell’inizio del crollo devono esserci comunque: non è che prima arriva il blackout e poi il ponte crolla.Subito dopo è arrivato l’amministratore delegato di Atlantia, Castellucci, il quale dichiarava: «Non abbiamo gli elementi per poter capire quello che è successo, perché non ci sono immagini: l’unica telecamera a disposizione è andata in dissolvenza per l’eccezionale precipitazione». Nel “video della dissolvenza” che è stato rilasciato, si vede passare il famoso camioncino della Basko, quello che poi è rimasto fermo sul moncone del ponte per diversi giorni. Si vede il ponte che sta per crollare ma, guarda caso, appena il camion è passato il video va in dissolvenza. Nel frattempo qualcuno mette in rete lo screenshot del suo telefonino, nel quale si vede benissimo che c’era almeno un’altra telecamera che ha continuato a funzionare dopo il crollo. Ma le immagini di questa telecamera non ci verranno mai mostrate. A quel punto, giustamente, molti cominciano a domandarsi che cosa ci sia di così particolare, in quel video che non vogliono farci vedere. E comincia così a nascere la teoria del complotto.Anzi, per essere più precisi nascono due teorie del complotto: quella che dice che non ci vogliono mostrare i video perché il ponte in realtà è stato demolito con esplosivi, e l’altra (più soft, quella che ho sposato anch’io) che invece dice che non vogliono mostrarci il video perché vedere le immagini del crollo metterebbe in evidenza in modo palese l’incuria e la mancanza di manutenzione del ponte, e questo causerebbe una tale ondata di sdegno nella popolazione che chiederebbero tutti immediatamente la testa dei Benetton. La prima teoria, quella della demolizione intenzionale, si basa soprattutto sul famoso video “Oh mio Dio!”, nel quale si vede un forte bagliore alla base del ponte, a crollo già iniziato. La seconda teoria, invece, si basa su un semplice ragionamento: non ci vogliono mostrare il video del crollo perché danneggerebbero in modo irreparabile l’immagine di Autostrade e quindi dei Benetton. Non dimentichiamo che 5 Stelle avevano chiesto la revoca della concessione ad Autostrade, che valeva un bel po’ di miliardi, e quindi – in base alla seconda teoria – si cercava semplicemente di proteggere gli interessi dei potenti.Con il circolare sempre più insistente di questi dubbi, è chiaro che nell’ufficio del procuratore qualcuno si sia sentito in imbarazzo. Ed ecco che, miracolosamente, verso la fine di settembre dello scorso anno, esce la ripresa integrale di quello che era stato definito il “video della dissolvenza”. Magicamente ricompaiono i fotogrammi mancanti. E la ripresa non finisce più con il camioncino della Basko che passa, ma prosegue fino a quando il camioncino è già scomparso dietro la curva. Magia della politica, che cancella una dissolvenza e fa ricomparire i fotogrammi perduti… Resta comunque il fatto che, nel frattempo, la foschia è cresciuta rapidamente: per cui il crollo del ponte non si riesce a vedere in ogni caso.A qul punto, molti cominciano a domandarsi se non debbano esistere anche altri video, oltre a quelli di Autostrade, che abbiano ripreso il crollo. E siccome le telecamere installate nella zona erano moltissime, il procuratore Cozzi decide di fare una ammissione almeno parziale: esiste un video, dice, che mostra il crollo integrale, ma le immagini sono secretate. La spiegazione di Cozzi qual è? «Le immagini non le possiamo divulgare per motivi investigativi: se i vari testimoni oculari che stiamo sentendo le vedessero, rischierebbero di raccontarci una versione inquinata di come sono andate esattamente le cose». Altra scemenza colossale: perché, se tu hai il video originale, il testimone può raccontarti quello che vuole, ma non può certo cambiare le immagini di quello che si vede nei video. Però la gente si beve di tutto, i giornalisti si bevono di tutto, e quindi si va avanti senza che nessuno senta il bisogno di porre altre domande.A complicare ancora le cose arriva a quel punto un articolo del “New York Times” i cui giornalisti sostengono di aver visto il video del crollo integrale. In base a quanto visto dai giornalisti, il “York Times Pubblica” una ricostruzione in 3d del crollo, che però non risponde minimamente alle domande su cosa lo abbia causato. Le domande aumentano, i dubbi non svaniscono. E sembra quasi che, con il passare del tempo, coloro che detengono le immagini vogliono darci dei contentini: come per tenere buona l’opinione pubblica. Arriva infatti subito dopo un altro video famoso, che mostra sì il crollo del ponte, ma soltanto dal basso. Si vedono cadere le macerie dall’alto, ma anche qui il momento dell’inizio non si vede. La sensazione di presa in giro ormai è diffusa, e in rete continuano ad aumentare le richieste per vedere il video integrale che lo stesso Cozzi dice di avere.Anche noi, nel nostro piccolo, abbiamo lanciato una petizione che ha raccolto oltre 10.000 firme. Ma i mesi passano, e questo famoso video integrale del crollo non arriva mai. Tutto sembra scomparire nelle sabbie mobili di un’inchiesta di cui noi non sappiamo assolutamente niente. Noi cittadini siamo i coglioni che pagano i pedaggi, siamo quelli che muoiono sotto le macerie, ma a noi non è concesso di sapere perché dobbiamo crepare in quel modo. Facciamo un salto in avanti, al giorno della demolizione dei resti del ponte: parliamo cioè del 1° luglio di quest’anno, 2019 – proprio in coincidenza con la demolizione del ponte, curiosa coincidenza emotiva. Viene finalmente rilasciato il famoso video integrale detto anche “il video della Ferrometal”. Il problema è che basta dargli un’occhiata veloce per capire che anche questo video è stato fortemente manipolato. Numerando Infatti i fotogrammi, si vede come alcuni di essi durino svariati secondi, mentre altri siano in sequenza rapidissima fra di loro.Sono rallentamenti e accelerazioni che vanno ben oltre il tasso variabile delle telecamere di sicurezza. E quindi noi ci troviamo nuovamente di fronte ad un video che ha molto probabilmente di fotogrammi mancanti. L’unica conclusione valida che si può trarre da questo video è che il famoso lampo che si vedeva inizialmente nel video “Oh mio Dio!” qui si vede chiaramente che avviene lontano dal ponte, dietro i tetti dove passa la ferrovia. In altre parole, quel grande lampo era dovuto effettivamente a un corto circuito con le linee dell’alta tensione ferroviaria, come molti già avevano suggerito. Ma di più non possiamo dire. Siamo arrivati ad un anno esatto dal crollo del ponte Morandi, è l’unica cosa che possiamo affermare con certezza è che, per qualche motivo, non ci vogliono far vedere il crollo integrale. Perché?(Massimo Mazzucco, “Ponte Morandi, un anno di bugie”, video-editoriale pubblicato su “Luogo Comune” il 14 agosto 2019).La storia del ponte Morandi è anche la storia dei video che ne ritraggono il crollo. O meglio, la storia dei video che non lo ritraggono, perché fino a oggi – a un anno esatto di distanza – ancora non ci è stato concesso di vedere un solo video integrale del crollo che non apparisse in qualche modo manipolato. A questo punto ho la vaga sensazione che un video integrale del crollo non manipolato non lo vedremo mai. Abbiamo iniziato con questa “politica del mistero” pochi giorni dopo il crollo, quando il procuratore Cozzi ha dichiarato: «Ci sono stati dei problemi nelle videoregistrazioni della società autostrade. Non posso dire che ci siano materiali di grande rilevanza e utilità: il maltempo incideva sulla cattiva qualità delle immagini. La mancanza delle immagini vera e propria (o l’interruzione delle immagini) è dovuta, a quanto è dato di capire, a sconnessioni sulla rete, dovute al fenomeno sismico – al crollo, insomma: in poche parole, al blackout». Cominciavamo bene: erano passati pochi giorni, e già il procuratore metteva le mani avanti, dando la colpa a un ipotetico blackout. Scemenza colossale, fra l’altro: perché, se mai c’è stato un blackout, questo deve essere avvenuto dopo l’inizio del crollo, non prima – quindi le immagini dell’inizio del crollo devono esserci comunque: non è che prima arriva il blackout e poi il ponte crolla.
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Bidone Gialloverde, elezioni-farsa: e ora gli oligarchi ridono
Ma non dovevano aprire il fuoco contro i padroni del rigore europeo? Quello almeno era l’impegno di Salvini, consapevole della necessità di liberarsi della camicia di forza di Bruxelles. Di Maio invece aveva spiccato un volo pindarico: avremo di tutto, aveva promesso, ma senza spiegare come, con che soldi. Frode, incapacità, destino cinico e baro? Semplice gatekeeping all’italiana? Presa per i fondelli dell’elettorato? Rivisto al ralenty, l’inglorioso tramonto gialloverde è sbrodolato di Nutella salviniana, caviale russo, vaniloquio grillino. Difficile capire chi l’abbia vinta, la gara al ribasso verso il nulla: il Salvini che a parole rivendicava la Flat Tax o il Di Maio che, aggiungendo chiacchiere a chiacchiere, elargiva il suo reddito di cittadinanza teoricamente quasi universale? Man bassa di voti, un anno fa: i leghisti al Nord, i grillini al Sud. Bifronte come Giano, il Bidone Gialloverde. Ci erano cascati, gli italiani? Eccome: l’estate scorsa, il “governo del cambiamento” volava sulle ali di un consenso mai visto, né in Italia né nel resto d’Europa.Parlavano da soli gli applausi rovesciati addosso a Salvini e Di Maio dal popolo di Genova sulle macerie del Viadotto Morandi, prima che si sapesse che i super-incassatori dei pedaggi italiani, da mungere attraverso Autostrade, non erano i Benetton ma i veri padroni di Atlantia, gli americani di BlackRock. E addio “nazionalizzazione” dannunziana dell’italica rete autostradale, infrastruttura strategica costruita grazie all’uso intelligente del debito pubblico. Poi, va da sé, “il seguito è una vergogna”, come cantava Edoardo Bennato. Il peccato originale? Il cedimento sul deficit, l’addio alla cassaforte: Paolo Savona che si defila, silurato da Mattarella per la gioia di Visco, Draghi e tutti gli altri euro-strozzini che in questi decenni hanno spolpato il Belpaese, facendolo a pezzi per svenderlo agli amici degli amici. Questo significava il “niet” della Commissione: non avrete i soldi per fare quello che avevate promesso. Reazioni: nessuna. Faremo tutto ugualmente, hanno detto (barando) i bidonisti gialloverdi, sapendo perfettamente che – da quel momento – il “governo del cambiamento” era finito, clinicamente morto.Potevano protestare, insorgere? Dovevano farlo: godevano della fiducia del paese. Un fatto che aveva del miracoloso, in sé, visto il curriculum dell’Italia. Prima l’attacco al cuore del sistema, con la Prima Repubblica messa in ginocchio per via giudiziaria di fronte alle forche caudine del Trattato di Maastricht. Poi l’avvento del finto bipolarismo tra Berlusconi e Prodi, tra le “cene eleganti” di Arcore e la presidenza della Commissione Europea, passando per la Goldman Sachs. Quindi la macelleria di Monti, l’anestesia del falso medico Renzi, il pallore dei maggiordomi Letta e Gentiloni. Un establishment esausto, ridotto a banchettare sui resti di industrie e banche largamente cedute a mani straniere, grazie a governi-fantoccio appaltati a piccoli yesman. Poi sono arrivati loro, i giustizieri. Due aziende distinte: quella grillina senza idee, ma con la fedina immacolata. L’altra, la ditta leghista, con trascorsi non esattamente esaltanti, ma rigenerata da una leadership teoricamente sovraneggiante.Da come s’erano messe le cose, in autunno, c’era da sperare che i biscazzieri gialloverdi facessero fronte comune, affondando il colpo – Davide contro Golia – in modo spettacolare, magari presentandosi uniti alle elezioni europee per spiegare che le ragioni dell’Italia non sono diverse da quelle degli altri paesi, se ci si mette dalla parte del popolo e contro l’élite abusiva, privata, che domina le istituzioni pubbliche. Ma niente da fare. I due sparring partner, il leghista e il grillino, non hanno fatto altro che allenare i muscoli dei campioni, gli oligarchi, che almeno su una cosa si erano sbagliati: per un attimo, avevano pensato che Salvini e Di Maio facessero sul serio. Poi, quando li hanno visti azzannarsi tra loro ogni giorno, hanno capito di che pasta fosse, il Bidone Gialloverde. Gli hanno rubato il portafoglio, e l’hanno passata liscia: anziché coi ladri, Salvini se l’è presa coi migranti africani e coi negozietti di cannabis light. Di Maio, al solito, l’ha superato in capacità acrobatica: prima ha lisciato il pelo ai Gilet Gialli massacrati fa Macron, poi s’è genuflesso di fronte alla socia tedesca di Macron, e infine ha contribuito in modo decisivo all’elezione di Ursula von der Leyen, candidata della Merkel alla guida della Commissione Ue.Ora il film è finito, ma l’alternativa è il vuoto. Sfidando il ridicolo, Matteo Salvini – armato di crocifisso – dopo aver azzoppato l’ex socio ora tenta di proporre se stesso come salvatore della patria, sperando che gli italiani abbiano la memoria così corta da non ricordare chi era, Salvini, un anno fa, cosa diceva, cosa prometteva e cosa non ha mai neppure lontanamente provato a fare, in questi lunghi mesi in cui, insieme all’altro sparring partner, ha perso in giro gli elettori. Crede davvero, il leghista, che fare da valletto (l’ennesimo) ai voraci squaletti del Tav gli possa valere grandiosi trionfi? Seriamente si illude che il 34% rimediato alle europee, tornata in cui ha votato solo un italiano su due, si possa trasformare in un’apoteosi, nelle elezioni anticipate che ora pretende? Matteo Renzi riuscì a cadere faccia terra dall’alto del suo 40%, e anche lui per un test elettorale non dovuto, personalmente imposto al paese. Storie sinistramente parallele, quelle dei due Matteo, nella bassa marea in cui la navicella italiana continua a languire, con le vele flosce, senza che sia in vista nessun alito di vento.La campagna elettorale prossima ventura – trita continuazione di quella in corso da mesi – vedrà i bidonisti ex gialloverdi recitare una farsa penosa e cattiva, da commedianti falliti. Ripeteranno sensazionali stupidaggini, tentando di convincere il pubblico che il problema è solo italiano – è tutta colpa di Di Maio, anzi di Salvini – come se Di Maio e Salvini avessero davvero potuto fare quello che volevano. Da loro sentiremo di tutto, tranne la verità. Il grottesco sta nel fatto che questi due signori si rivolgeranno agli italiani come se niente fosse, come se non sapessero quali poteri – nella migliore delle ipotesi – li hanno sabotati fin dall’inizio. Ma gli italiani oggi si interrogano anche sull’altra ipotesi, la peggiore: non sarà che quei poteri li hanno guidati da subito, a partire dall’esordio, prima gonfiandoli e poi sgonfiandoli, i simpatici bidonisti gialloverdi? Lega e 5 Stelle non si libereranno del marchio che ormai li squalifica: avevano impegnato l’onore dell’Italia, di fronte all’Europa, in una promessa di liberazione democratica. Se si maneggiano parole come giustizia, trasparenza e soprattutto sovranità, la gente rischia di prenderti sul serio. Quando poi scopre che era solo un bluff, ti presenta il conto. L’unica certezza, di fronte al cadavere del Bidone Gialloverde, è che la politica italiana è da ricostruire da zero. Con tanti saluti all’increscioso acrobata grillino e allo sceriffo balneare padano, travestito da poliziotto e illuminato dalla Madonna di Medjugorje.(Giorgio Cattaneo, “Bidone Gialloverde: ridono gli oligarchi ma non gli italiani, costretti a subire elezioni-farsa”, dal blog del Movimento Roosevelt del 10 agosto 2019).Ma non dovevano aprire il fuoco contro i padroni del rigore europeo? Quello almeno era l’impegno di Salvini, consapevole della necessità di liberarsi della camicia di forza di Bruxelles. Di Maio invece aveva spiccato un volo pindarico: avremo di tutto, aveva promesso, ma senza spiegare come, con che soldi. Frode, incapacità, destino cinico e baro? Semplice gatekeeping all’italiana? Presa per i fondelli dell’elettorato? Rivisto al ralenty, l’inglorioso tramonto gialloverde è sbrodolato di Nutella salviniana, caviale russo, vaniloquio grillino. Difficile capire chi l’abbia vinta, la gara al ribasso verso il nulla: il Salvini che a parole rivendicava la Flat Tax o il Di Maio che, aggiungendo chiacchiere a chiacchiere, elargiva il suo reddito di cittadinanza teoricamente quasi universale? Man bassa di voti, un anno fa: i leghisti al Nord, i grillini al Sud. Bifronte come Giano, il Bidone Gialloverde. Ci erano cascati, gli italiani? Eccome: l’estate scorsa, il “governo del cambiamento” volava sulle ali di un consenso mai visto, né in Italia né nel resto d’Europa.
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Torino-Lione, la Banda del Buco farà fallire le Fs italiane?
Vuoi vedere che il progetto Tav Torino-Lione, che nasce morto e votato al fallimento, servirà a indebitare le Ferrovie dello Stato per poi privatizzarle e magari svenderle proprio ai francesi? Un sospetto che Rosanna Spadini, su “Come Don Chisciotte”, argomenta con estrema precisione, esaminando la sconfortante opacità del super-affare (per pochissimi) che da un quarto di secolo incombe sulla valle di Susa, dietro al fantasma della ferrovia-doppione che ora sta mettendo in croce il governo gialloverde. Com’è noto, si vorrebbe creare un secondo corridoio ferroviario italo-francese, sempre in valle di Susa, nonostante sia pressoché semideserta, senza passeggeri né merci, l’attuale linea che già unisce Torino e Lione via Modane, attraverso il traforo del Fréjus. Finora è stato scavato solo il cunicolo esplorativo di Chiomonte: nemmeno un metro del futuro traforo. In origine, sarebbe stato il passante alpino del Corridio 5 Kiev-Lisbona, ora defunto. L’Ue ha ripiegato sull’assai meno ambizioso Corridoio Mediterraneo, facendo un altro buco nell’acqua: la linea Parigi-Barcellona è già archiviata come binario morto, e la società che ha costruito il tunnel sotto i Pirenei è appena fallita. Analogo destino potrebbe attendere i committenti statali del futuro traforo valsusino da 57 chilometri? Maxi-opera faraonica e surreale: se anche si scavasse il super-tunnel, la Francia comincerebbe a pensare alla nuova linea (binari) solo nel 2039.«Meglio di David Copperfield – scrive Spadini – il premier Conte ha fatto sparire i bandi per il Tav sotto gli occhi di tutti». Una sua lettera dice infatti di aver «ricevuto la conferma da parte di Telt del consenso a ridiscutere l’opera e a congelare i bandi». In altre parole, «un modo per rinviare il problema a dopo le elezioni europee, ma non una soluzione definitiva». Per Alberto Perino, storico portavoce dei NoTav, «Telt vince, Conte e i 5 Stelle perdono, Salvini gode». Il dibattito sul Tav segna l’inizio della campagna elettorale per Strasburgo, tra mille forzature e fake news. In realtà, osserva Spadini, «l’affare Tav è considerato irrinunciabile e vitale dal sistema che vive da decenni sulla spoliazione di soldi pubblici, perché può trasformarsi in un pozzo di San Patrizio inesauribile, che continuerà a foraggiare l’Alta Voracità delle classi dirigenti più avide della storia d’Italia». Da qui la battuta d’arresto «imposta dalla banda affaristica del Tav», con l’improvviso rischio di una crisi di governo. «Non è un caso che il Tav abbia la maggioranza di Salvini, Berlusconi, Meloni e di Zingaretti», dichiara Gianluigi Paragone: «Evidentemente quando c’è una grande torta, ci sono interessi da tutelare». Per ora, l’esecutivo s’è rifugiato in corner: «La via più di buon senso è quella di pubblicare i bandi con la “clausola della dissolvenza”, così come previsto dal diritto francese, che consente in qualsiasi momento di poterli revocare», spiega il sottosegretario alle infrastrutture, Armando Siri.Per il momento la strada della “dissolvenza” sembra essere l’unica soluzione indolore, scrive Rosanna Spadini, nel senso che i bandi francesi si terranno, e allo stesso tempo il governo prende tempo. Lo conferma Danilo Toninelli, quando sostiene che si può allo stesso tempo dire sì ai bandi e no al Tav. Il Cda di Telt resta comunque convocato, con l’ordine del giorno per il via libera ai bandi da 2,3 miliardi di euro per l’avvio del “tunnel di base”. Però la faccenda è ancor più complicata, annota Spadini su “Come Don Chisciotte”, perché la Telt (Tunnel Euralpin Lyon Turin) è un’azienda francese di proprietà al 50% dello Stato francese e al 50% delle Ferrovie dello Stato italiane con sede a Le Bourget-du-Lac, nel dipartimento della Savoia, in Francia, con lo scopo di progettare, realizzare e gestire la sezione transfrontaliera della futura linea ferroviaria Torino-Lione. Premessa: «Dal 24 maggio del 2011 le Ferrovie dello Stato sono diventate una Spa». Sono sempre un organismo di diritto pubblico, «però in forma di società per azioni». A marzo del 2016, l’accordo sulla distribuzione dei costi totali: 8,3 miliardi di euro (valore datato, risalente a una stima del 2012).Il nuovo super-tunnel, completamente inutile secondo la commissione tecnica presieduta dal professor Marco Ponti del Politecnico di Milano, dovrebbe quindi essere finanziato per il 40% dall’Unione Europea, per il 35% dall’Italia e per il restante il 25% dalla Francia. «Condizioni a dir poco disoneste per l’Italia, cui spetta il tratto minore». L’abbinamento è piuttosto curioso, fa notare Rosanna Spadini: «Se lo Stato francese non può mai fallire, Fs invece – essendo una Spa – potrebbe fallire, soprattutto se si espone ad opere insostenibili e se nella sua galassia esistono soggetti privati che cercano di vampirizzarla, creando flussi finanziari distrattivi dall’interno». Esempio recentissimo: la Tp Ferro, società che ha gestito la ferrovia e il tunnel per la linea Parigi-Barcellona sotto i Pirenei, è stata costretta a portare i bilanci in tribunale nel 2015. «La linea è ampiamente sottoutilizzata: solamente 70 treni passeggeri e 32 merci a settimana, ben al di sotto delle previsioni. Il costo della sezione transfrontaliera fra Perpignan e Figueras, comprendente il traforo, è stato di 1,2 miliardi di euro, e ora il debito della Tp Ferro supera i 400 milioni. Il tratto di linea in questione fa parte del fantasioso Corridoio Mediterraneo, e la sua costruzione era stata finanziata dall’Unione Europea. Lo stesso corridoio della Torino-Lione, e la società ora in fallimento ci teneva a sottolinearlo».Attenzione: la sezione transfrontaliera della Torino-Lione «costa oltre sette volte la Figueras-Perpignan, ma nulla lascia intravedere un futuro più roseo per la linea francoitaliana rispetto a quella franco-spagnola». A maggior ragione se si considera che fra Italia e Francia «già esiste una ferrovia, che passa per la val Susa, in grado di trasportare le merci e su cui transitano regolarmente i Tgv». Linea anch’essa sottoutilizzata: spariti i passeggeri grazie ai voli low-cost, è crollato anche il traffico merci (né si prevede che possa risorgere: la direttrice dei trasporti mercantili è la Genova-Rotterdam). Nel frattempo, scrive Spadini, Fs è entrata in affari con quella stessa Francia che ha appena boicottato Fincantieri per impedirle di acquisire Stx France, ora Chantiers de l’Atlantique. Per la Torino-Lione, la società Fs Spa è ora la capo-holding. E’ nata nell’ambito delle famigerate privatizzazioni decise tra il ‘92 e il ‘93. Inoltre, nel caso della Torino-Lione «la concessione per l’esercizio del servizio ferroviario di trasporto pubblico ha una durata di 60 anni, quindi fino al 2053». La premiata ditta Prodi-D’Alema ha poi separato Trenitalia dalla gestione dell’infrastruttura Rfi Spa, «che ha appena svenduto tutto il commercio in franchising di Grandi Stazioni Spa ad una società franco-italiana con sede in Lussemburgo».Quindi Fs, che dovrebbe essere di Stato, «continua a svendere gioielli di famiglia, grandi patrimoni statali che invece dovrebbero essere inalienabili». Grandi Stazioni Spa, infatti, comprende le maggiori stazioni monumentali del paese, «già controllate da Fs ed Eurostazioni Spa, quest’ultima controllata dalle società di Caltagirone, Benetton, Pirelli e dalla Società “francese” delle Ferrovie, cedendo inoltre tutto il “retail” ad un privato, che sfrutterà una manodopera schiavizzata». Tutto questo, secondo Rosanna Spadini, «dovrebbe bastare per stracciare gli accordi e non procedere», con la Torino-Lione, «se volessimo mantenere pubbliche le nostre stazioni e la ferrovia, ed evitare un molto probabile fallimento, visto che tutta l’operazione Tav puzza anche di una squallida porcata per indebitare Fs e poi privatizzarla, magari svendendola proprio ai francesi». Non stupisce che la potente lobby del Tav abbia mobilitato anche i sindacati, «che ormai servono da cassa di risonanza della intramontabile casta dei vecchi partiti, che hanno dovuto ingoiare diversi rospi: legge spazzacorrotti, pene fino a 15 anni per il voto di scambio politico-mafioso, il reddito di cittadinanza e lo stop alla prescrizione, il taglio dei finanziamenti pubblici all’editoria».L’inutile Tav Torino-Lione come ultimo appiglio per i vecchi consorzi mangia-Italia? Le imprese coinvolte nel progetto della maxi-opera valsusina sono sempre le stesse, sottolinea Spadini. Ltf è la società madre, responsabile della realizzazione. Curriculum: «Paolo Comastri, direttore generale di Ltf, nel 2011 è stato condannato in primo grado per turbativa d’asta; oggetto: la gara per la direzione dei lavori per il tunnel esplorativo della Torino-Lione». Dettaglio: l’avvocato difensore di Comastri era Paola Severino, ministro della giustizia del governo Monti. Poi c’è l’intramontabile Cmc di Ravenna (Cooperativa Muratori e Cementisti): una coop rossa, quinta impresa di costruzioni italiana, al 96esimo posto nella classifica dei principali 225 “contractor” internazionali. La Cmc vanta un ex amministratore illustre, Pierluigi Bersani. «Si è aggiudicata l’incarico (affidato senza gara) di guidare un consorzio di imprese (Strabag Ag, Cogeis Spa, Bentini Spa e Geotecna Spa) per la realizzazione del cunicolo esplorativo a Chiomonte». Valore della fetta di appalto della Cmc, 96 milioni di euro. Convergenze parallele: da Bersani a Lunardi (Pietro, governo Berlusconi) attraverso la Rocksoil Spa, società di geoingegneria. Lunardi ha poi ceduto le azioni ai familiari, ottenuto il dicastero delle infrastrutture nel 2001, tenuto fino al 2006.Nel 2002, prosegue Rosanna Spadini, la Rocksoil ha ricevuto un incarico di consulenza dalla società francese Eiffage, che a sua volta era stata incaricata da Rfi (Rete Ferroviaria Italiana, di proprietà dello Stato) di progettare il tunnel per la Torino-Lione, oggi quotato 13 miliardi di euro. Lunardi si difese dall’accusa di conflitto d’interessi dicendo che la sua società lavorava «solo all’estero». Poi c’è Impregilo, la principale impresa di costruzioni italiana. È il general contractor del progetto Torino-Lione, nonché del progetto per l’altrettanto famigerato ponte sullo Stretto di Messina. Impregilo appartiene ad Agrofin (Gavio), ad Autostrade (Benetton) e a Immobiliare Lombarda (Ligresti). Argofin: marchio del gruppo Gavio. Marcellino Gavio è stato latitante negli anni 92-93, «ricercato per reati di corruzione legati alla costruzione dell’autostrada Milano-Genova», infine «prosciolto per prescrizione del reato». Autostrade: gruppo Benetton, noto in Italia per il disastro del viadotto Morandi a Genova e conosciuto anche all’estero «per lo sfruttamento dei lavoratori delle sue fabbriche di tessile in Asia e per aver sottratto quasi un milione di ettari di terra alle comunità Mapuche in Argentina e Cile». Infine, Immobiliare Lombarda (gruppo Ligresti). Salvatore Ligresti è stato condannato dopo l’inchiesta Tangentopoli, pattuendo una condanna a 4 anni e due mesi «dopo la quale è tornato tranquillamente alla sua attività di costruttore». Qualcuno può ancora chiedersi il perché delle mostruose pressioni sui 5 Stelle per dare il via libera ai miliardi dell’intile Torino-Lione?Vuoi vedere che il progetto Tav Torino-Lione, che nasce morto e votato al fallimento, servirà a indebitare le Ferrovie dello Stato per poi privatizzarle e magari svenderle proprio ai francesi? Un sospetto che Rosanna Spadini, su “Come Don Chisciotte”, argomenta con estrema precisione, esaminando la sconfortante opacità del super-affare (per pochissimi) che da un quarto di secolo incombe sulla valle di Susa, dietro al fantasma della ferrovia-doppione che ora sta mettendo in croce il governo gialloverde. Com’è noto, si vorrebbe creare un secondo corridoio ferroviario italo-francese, sempre in valle di Susa, nonostante sia pressoché semideserta, senza passeggeri né merci, l’attuale linea che già unisce Torino e Lione via Modane, attraverso il traforo del Fréjus. Finora è stato scavato solo il cunicolo esplorativo di Chiomonte: nemmeno un metro del futuro traforo. In origine, sarebbe stato il passante alpino del Corridoio 5 Kiev-Lisbona, ora defunto. L’Ue ha ripiegato sull’assai meno ambizioso Corridoio Mediterraneo, facendo un altro buco nell’acqua: la linea Parigi-Barcellona è già archiviata come binario morto, e la società che ha costruito il tunnel sotto i Pirenei è appena fallita. Analogo destino potrebbe attendere i committenti statali del futuro traforo valsusino da 57 chilometri? Maxi-opera faraonica e surreale: se anche si scavasse il super-tunnel, la Francia comincerebbe a pensare alla nuova linea (binari) solo nel 2039.
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Ponte Morandi, petizione: fateci vedere il video del crollo
Perché insistono nel non rendere pubblico il video integrale del crollo del viadotto Morandi? Dalla catastrofe di Genova sono passati più di tre mesi, osserva Massimo Mazzucco, e ancora non c’è la possibilità di visionare quelle drammatiche immagini. Quell’assurdo black-out informativo, sostiene Mazzucco in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, non fa che alimentare le più fantasiose “teorie del complotto”, dando fiato a chi ipotizza che, alla vigilia di ferragosto, il viadotto austradale genovese possa esser stato addirittura “sabotato”, magari con l’impiego di esplosivi. L’unico grande complotto in questione, dice Mazzucco, consiste semmai nell’aver regalato le autostrade italiane al gruppo Atlantia della famiglia Benetton, che ha intascato proventi miliardari senza provvedere a un’adeguata manutenzione. Se solo gli inquirenti mostrassero finalmente quel video, insiste Mazzucco in un post su “Luogo Comune”, l’impatto emotivo suscitato da quelle immagini renderebbe più complicato coinvolgere la società Autostrade per l’Italia nella ciclopica e ricchissima operazione di ricostruzione. Per questo, Mazzucco ha lanciato una petizione su “Change.org”, con raccolta di firme: fateci vedere il video integrale del crollo.Il 31 agosto 2018, si legge nel testo della petizione, il procuratore di Genova Francesco Cozzi ha dichiarato al “Fatto Quotidiano” di essere in possesso del video integrale del crollo del Ponte Morandi, ma di non poterlo mostrare al pubblico «per non influenzare eventuali resoconti dei testimoni oculari». Ora che si presume che le deposizioni di questi testimoni siano finite, recita la petizione, «chiediamo che il video venga mostrato pubblicamente nella sua interezza, senza tagli e senza manipolazioni di alcun tipo». Gli stessi cittadini che percorrono ogni giorno le nostre strade, e pagano il pedaggio ai caselli autostradali, «hanno pieno diritto di sapere esattamente come e perchè il ponte sia crollato». Tanto più, aggiunge Mazzucco, «hanno il diritto di conoscere la verità tutti i parenti delle vittime che quel giorno hanno perso la vita nel crollo del ponte». Aggiunge Mazzucco: «Mantenere il segreto su quelle immagini serve solo ad alimentare sospetti di vario tipo, che vanno dall’idea che si voglia in qualche modo favorire la società Autostrade, ritardando il più possibile la rivelazione “plastica” delle loro responsabilità oggettive, fino a vere e proprie “teorie del complotto”, che vogliono il ponte demolito intenzionalmente con uso di esplosivi».Conclude la petizione: «Si ritiene quindi, in qualunque caso, che sia interesse stesso delle nostre istituzioni il fare chiarezza al più presto su quanto accaduto quel giorno nella valle del Polcevera». Un’idea, comunque, Mazzucco se l’è fatta: dalle immagini finora circolate, si può notare il pietoso stato di manutenzione dell’infrastruttura collassata, con gli stralli d’acciaio “marciti” all’interno delle “camicie” di calcestruzzo. E’ stata la saldedine marina a erodere i tiranti del ponte? La colpa del disastro va dunque imputata all’insufficiente manitenzione? In un video su “Luogo Comune”, Mazzucco traccia un paragone impietoso con il Tacoma Bridge, crollato nel lontano 1940 nello Stato di Washington. Fu ripreso in diretta da una telecamera dell’epoca e diffuso in televisione. Niente immagini ufficiali, invece, dal viadotto Morandi – che pure era monitorato 24 ore su 24 da decine di sofisticate webcam. Nel frattempo, nelle ultime settimane è praticamente scomparsa, dai giornali, la famiglia Benetton. Gianfraco Carpeoro, altro ospite fisso delle dirette web-streaming di “Border Nights”, ricorda che, dietro ai Benetton (vicini ai Clinton e alla superloggia “Three Eyes”), in Atlantia è rappresentato un grande gruppo del massimo potere finanziario, con società britanniche, francesi e soprattutto statunitensi, incluso il maggior fondo d’investimento al mondo, BlackRock.Perché insistono nel non rendere pubblico il video integrale del crollo del viadotto Morandi? Dalla catastrofe di Genova sono passati più di tre mesi, osserva Massimo Mazzucco, e ancora non c’è la possibilità di visionare quelle drammatiche immagini. Quell’assurdo black-out informativo, sostiene Mazzucco in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, non fa che alimentare le più fantasiose “teorie del complotto”, dando fiato a chi ipotizza che, alla vigilia di ferragosto, il viadotto austradale genovese possa esser stato addirittura “sabotato”, magari con l’impiego di esplosivi. L’unico grande complotto in questione, dice Mazzucco, consiste semmai nell’aver regalato le autostrade italiane al gruppo Atlantia della famiglia Benetton, che ha intascato proventi miliardari senza provvedere a un’adeguata manutenzione. Se solo gli inquirenti mostrassero finalmente quel video, insiste Mazzucco in un post su “Luogo Comune”, l’impatto emotivo suscitato da quelle immagini renderebbe più complicato coinvolgere la società Autostrade per l’Italia nella ciclopica e ricchissima operazione di ricostruzione. Per questo, Mazzucco ha lanciato una petizione su “Change.org”, con raccolta di firme: fateci vedere il video integrale del crollo.
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Lo Stato non è una famiglia: se risparmia, siamo rovinati
L’esposizione ripetuta a un’immagine o a un contenuto fa sì che l’individuo modifichi la propria percezione della realtà e interiorizzi il messaggio veicolato. E’ quello che gli psicologi chiamano “effetto priming”, e che pubblicitari ed esperti della comunicazione conoscono molto bene. Quanto più un messaggio viene ripetuto ed enfatizzato, magari attraverso la forma dello spot, tanto più esso risulterà familiare. Così può accadere che un concetto privo di veridicità, ma ripetuto con insistenza e in modo convincente, acquisisca il rango di verità. E’ quanto accaduto con la fake news economica del momento, tanto assurda quanto apparentemente efficace: il bilancio dello Stato sarebbe come quello di una famiglia. La ripetono all’unisono giornalisti, conduttori televisivi, economisti e qualunquisti. Così la gente comune, digiuna di economia e soprattutto in buona fede, ha interiorizzato un pensiero del tutto fuorviante. Secondo questa logica, quando un paese presenta un debito pubblico – dunque la normalità in un’economia moderna – dovrebbe assumere il comportamento di una brava e accorta casalinga: stringere la cinghia e tagliare le spese familiari. Così, come una donna morigerata risparmierà sul cibo, sul vestiario e, in condizioni di estrema ratio, alle cure sanitarie per sé, per il coniuge e per i figli, così lo Stato dovrebbe seguire il suo virtuoso esempio.Dunque, poiché la “famiglia” dello Stato è lo Stato stesso, ossia l’insieme dei cittadini che lo abitano, il suo territorio e le sue istituzioni, i tagli si ripercuoteranno sull’intera collettività. Per risparmiare occorre innanzitutto che contravvenga a quello che in un sistema socio-economico civile dovrebbe essere la sua funzione principale: tutelare chi non ha tutela, chi per nascita o per eventi sopravvenuti o condizioni particolari si trova in una situazione di evidente svantaggio. E qui gli esempi potrebbero essere infiniti, dal disoccupato all’invalido, alle vittime di disastri naturali. Potrebbe poi, in un’ottica di far quadrare il bilancio, ristrutturare la sanità pubblica in un’ottica mercatistica orientata al profitto, trasformando il paziente in un cliente. Continuare poi in un’opera di privatizzazione dei servizi pubblici e delle infrastrutture, facendoli gestire al mercato – considerato per antonomasia efficiente. A parte qualche piccola eccezione come successo a Genova. Così si potrebbe abbracciare un modello di scuola privata, in cui i genitori offriranno ai loro figli un livello di istruzione strettamente legato al proprio reddito. Ci sarebbe solo il piccolo inconveniente di bloccare l’ascensore sociale e rinstaurare il censo.Siccome non amo la retorica, mi fermo qui, ma gli esempi pratici per smontare l’assurda comparazione tra bilancio pubblico e familiare potrebbero andare avanti ancora a lungo. Lo Stato non è una famiglia perché esso ha come obiettivo il benessere e la tutela di tutti cittadini, non solo dei suoi figli come la famiglia, e opera su un orizzonte temporale di lungo periodo. Deve inoltre garantire il funzionamento delle istituzioni a garanzia del diritto e della democrazia. Infine, come dicono gli inglesi last but not least, da un punto di vista economico e contabile adottare la condotta della brava casalinga, che per uno Stato significa adottare l’austerity, vuol dire licenziare, rendere i servizi pubblici essenziali sempre più costosi, aumentare il livello di povertà, di disuguaglianza e disoccupazione. Così potrebbe accadere che la stessa virtuosa casalinga a causa dell’austerity debba rinunciare a curarsi o, addirittura, che suo marito perda il lavoro. Esiste infatti una relazione diretta, alquanto intuitiva, tra tagli dello Stato e diminuzione della ricchezza privata perché, per dirla con le parole del premio Nobel Krugman, «la tua spesa è il mio reddito». Potremmo dunque a ragion veduta ribaltare lo spot e affermare: «Il bilancio dello Stato è il contrario di quello della famiglia». Ma i pregiudizi si sa, una volta sedimentati sono difficili da scardinare.(Ilaria Bifarini, “Lo Stato è il contrario di una famiglia”, dal blog della Bifarini del 28 settembre 2018).L’esposizione ripetuta a un’immagine o a un contenuto fa sì che l’individuo modifichi la propria percezione della realtà e interiorizzi il messaggio veicolato. E’ quello che gli psicologi chiamano “effetto priming”, e che pubblicitari ed esperti della comunicazione conoscono molto bene. Quanto più un messaggio viene ripetuto ed enfatizzato, magari attraverso la forma dello spot, tanto più esso risulterà familiare. Così può accadere che un concetto privo di veridicità, ma ripetuto con insistenza e in modo convincente, acquisisca il rango di verità. E’ quanto accaduto con la fake news economica del momento, tanto assurda quanto apparentemente efficace: il bilancio dello Stato sarebbe come quello di una famiglia. La ripetono all’unisono giornalisti, conduttori televisivi, economisti e qualunquisti. Così la gente comune, digiuna di economia e soprattutto in buona fede, ha interiorizzato un pensiero del tutto fuorviante. Secondo questa logica, quando un paese presenta un debito pubblico – dunque la normalità in un’economia moderna – dovrebbe assumere il comportamento di una brava e accorta casalinga: stringere la cinghia e tagliare le spese familiari. Così, come una donna morigerata risparmierà sul cibo, sul vestiario e, in condizioni di estrema ratio, alle cure sanitarie per sé, per il coniuge e per i figli, così lo Stato dovrebbe seguire il suo virtuoso esempio.
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Morandi, Benetton, soldi: tragedia “annunciata dalle stelle”
Il viadotto Morandi? Quei due monconi danno al paesaggio una sensazione di guerra, e fanno intuire quale ferita sociale ed economica sia stata inferta alla città di Genova, già duramente provata dal passato recente. Utilizzando il mio ambito di ricerca, l’astrologia, per esaminare la vicenda del ponte crollato – che dava sempre la sensazione, percorrendolo, di una leggera instabilità – parto dal suo ideatore, l’ingegner Riccardo Morandi, nato di lunedì all’inizio del secolo scorso sotto il segno della Vergine – elemento Terra, che in genere favorisce questo tipo di professione. I Vergine sono portati al calcolo, alla precisione, e hanno una buona dose di senso pratico (come gli altri segni di Terra). Lui però era anche abbastanza visionario, per via di quel rapporto armonico del Sole (l’Io profondo) con Nettuno (fantasia, capacità evolutiva e di trasformazione). Infatti ha ideato e portato avanti dei progetti che poggiavano su un materiale allora all’avanguardia, il calcestruzzo armato pre-compresso, di cui ottenne il brevetto nel ‘48, e che allora pareva potesse rispondere alle esigenze di un paese in via di ricostruzione e ammodernamento, a costi inferiori rispetto ai materiali classici (la Vergine tende sempre a fare economia, è una sua caratteristica).Al momento della costruzione, terminata nel 1967, nessuno – a cominciare da lui – si era posto il problema della durabilità di questo materiale nuovo, esposto agli agenti atmosferici. Ma pare che, negli anni, questo pensiero lo abbia abbastanza tormentato. Fu portato a dare suggerimenti per la manutenzione, che a quanto pare non sono stati presi troppo in considerazione. Ma l’elemento principale della mia analisi è la nascita del ponte stesso. Infatti l’indagine astrologica è possibile non solamente sulle persone, ma su qualsiasi cosa (o animale) che nasca, in un dato momento, in un determinato punto della Terra, per il noto effetto analogico: se decifro i simboli celesti presenti in quella data ora, giorno, anno e luogo, ho il quadro delle caratteristiche di quanto sta nascendo, perché “come in alto, così in basso”. Quel ponte è stato inaugurato il 4 settembre 1967, alle ore 17,30. Ed era un lunedì: giorno tradizionalmente legato alla Luna, la quale – come si sa – è legata all’elemento Acqua. La prima cosa che colpisce, nel quadro astrale, è l’accumulo di buona parte dei pianeti in un settore che ha un significato ben preciso: morte e rinascita.Si tratta dell’Ottava Casa legata allo Scorpione, segno d’Acqua, mentre questi pianeti sono nel segno della Vergine. Il Sole (che rappresenta proprio la vita) e la Luna sono congiunti. La Luna si trova infatti nella fase di “luna nuova”, fiaccata e resa invisibile dal Sole: e questo aspetto abbassa le aspettative di vita. Invece di rinforzarsi a vicenda, questi due corpi celesti si ledono. Mercurio, Urano e Plutone sono tutti nel segno della Vergine, e tutti in contatto tra loro a farsi forza. Ma Urano può procurare incidenti ed errori tecnici, e tutti sono pur sempre in un settore che parla di morte (e anche di politica, perché sicuramente un’opera del genere non poteva nascere senza l’avvallo della politica del tempo). Poi si aggiunge Venere – un poco, come dire, la salute del ponte stesso. E’ sempre in Vergine, e con una posizione dissonante con Marte in Scorpione (che non promette bene, per la durata del ponte stesso). Il clamore suscitato, non solo in Italia, da questo ponte avveniristico, è ben descritto da due pianeti nel settore della fama, della visibilità; peccato che si tratti del solito Marte e di Nettuno in Scorpione. Sono pianeti poco favorevoli a una fama duratura e priva di pericoli.Se poi vogliamo proprio entrare nell’ambito specifico della durabilità, vediamo che Saturno – simbolo dello scheletro umano e quindi anche della struttura interna di questa costruzione – è isolato, e quindi senza alcun appoggio: non depone certo a favore di una lunga vita. Notizia da prendere con beneficio di inventario: pare siano stati fatti degli studi sull’impatto della Luna, che sappiamo avere da sempre degli effetti sulla Terra e soprattutto sulle acque, presenti anche nel corpo umano. Pare che la Luna abbia un effetto sulle costruzioni in cui è presente il cemento – che, non dimentichiamolo, si forma anche con l’acqua, anche se poi viene assorbita. Il ponte Morandi è nato di lunedì, con una Luna importante ma indebolita: per questo, il cemento ne sarebbe risultato indebolito? Lascio in sospeso la risposta: sono una ricercatrice, sempre alla ricerca di conferme. Questa comunque è la situazione natale del ponte, che resta sempre sullo sfondo. Ma poi i pianeti si muovono, seguendo le loro orbite regolari, e quindi prevedibili, creando rapporti armonici o dissonanti coi pianeti natali. E come erano messi, quel tragico martedì 14 agosto, alle ore 11,36?Erano molto significativi, anche se non necessariamente leggibili con quanto è realmente successo, dato che le previsioni sono l’aspetto meno facile (e sotto certi aspetti anche meno utile) nell’analisi astrologica, perché possono anche condizionare le persone. Ma comunque la capacità di previsione esiste, e questi transiti danno più di un indizio. Anzitutto il giorno, martedì, mi ha portato subito a cercare di vedere dove si trovava Marte, quel giorno: si trovava bene in evidenza, in primo piano. Marte è un pianeta dirompente, legato agli incidenti, ma era Venere (la salute di questo ponte) ad essere insidiata da due pianeti più pericolosi, in questi casi: si tratta di Saturno e Urano, entrambi portatori di incidenti e difficoltà anche quando, come in questo caso, si trovano in posizione armonica. Ho la sensazione che la tragedia avrebbe potuto essere molto, ma molto più grave, se si pensa che poteva anche passare un treno, sotto il ponte, e che il fatto che piovesse in quella maniera abbia limitato il transito di veicoli, in un giorno tra l’altro di grande traffico. Proprio il fatto che Saturno e Urano formassero con Venere un aspetto armonico credo che abbia contribuito a limitare i danni: se non fosse stato armonico, molto probabilmente ci sarebbero stati guai peggiori.Comunque, l’Ottava Casa è anche simbolo di rinascita: è certo che il ponte rinascerà. E chi potrebbe esserne il nuovo padre? Forse Renzo Piano, che si è offerto fin da subito gratuitamente per via del suo legame con la città. Per una strana coincidenza, anche Renzo Piano è della Vergine. E non finisce qui, l’affinità con l’ingegner Morandi: anche in Renzo Piano, infatti, Nettuno (simbolo di fantasia) è unito al Sole; ma il Nettuno di Piano è in Vergine, e quindi è più prudente e tecnico del Nettuno di Morandi, che si trovava in Cancro (Acqua). Ne so qualcosa, perché ho anch’io Nettuno in Vergine (e Nettuno è un pianeta lento, e quindi generazionale). Ma le analogie con Morandi finiscono qui, perché Renzo Piano ha un tema molto più solido, strutturato e fortunato di quello di Morandi. Renzo Piano è nato a Genova da una famiglia di imprenditori edili e ben presto, dopo la laurea in architettura, ha fatto esperienza all’estero, collaborando fin da giovanissimo con uno dei massimi architetti mondiali e realizzando con lui l’originale Centre Pompidou a Parigi. In seguito ha collaborato con i maggiori architetti e ingegneri del mondo, realizzando opere famose che spaziano dai musei alla chiesa di Padre Pio a Monterotondo, fino al grattacielo più alto d’Europa, The Shard, a Londra, di straordinaria arditezza – più che un grattacielo, sembra un sogno fattosi realtà.Il suo stile non sembra appartenere a nessuna scuola corrente. Si basa su di una interazione tra aspetti tecnologici, pratici e anche poetici, che contraddistinguono le sue opere. Lui ha avuto un tringolo a stella, che è una grande potenza, tra il Sole (il suo Io profondo, la sua parte attiva) con Giove e Saturno (attivismo) in Capricorno, e Urano (lavoro e capacità pratica) in Toro. I tre segni di Terra sono uniti, e in posizione armonica, diventano un potente volano per capacità lavorativee pratiche. Ma lui ha anche degli aspetti generosi e delle punte idealistiche: con Venere in Leone (genersiotà) e Marte in Sagittario (che sempre effetti idealistici). Se si aggiunge la Luna (la sua parte femminile) nell’efficiente, ambizioso e costruttivo segno del Capricorno, ecco il quadro di una persona vincente, che è stata il grado di sviluppare al massimo le sue capacità iniziali. Certo, quando vedo una veda posizione del Sole con Giove (il pianeta che, oltre a un carattere fiducioso, dona sempre anche la quasi-certezza che la vita stessa offrirà delle opportunità di crescita e di successo) non mi meraviglia che una personi così incominci la sua vita col nascere nell’ambiente sociale giusto – meglio tra costruttori edili che nella famiglia dell’assassino della porta accanto – e faccia, nell’arco della sua vita, gli incontri giusti al momento giusto. Ben venga il suo ponte, dunque, anche se non è ancora certo che sarà lui a realizzarlo.Rispetto a questa vicenda c’è un aspetto che mi ha inquietato molto, come credo tanti italiani. Mi riferisco all’evidente mancanza di un’adeguata manutenzione del ponte stesso da parte della società che ne ha la gestione. Nel lontano 1999, la gestione della maggior parte delle autostrade italiane – detenuta dall’Iri e controllata dal ministero del Tesoro – venne data a quella che sarà poi costituita, nel 2002, come società Autostrade per l’Italia, che dal 2007 ha parte del gruppo Atlantia, il cui principale azionista è la veneta famiglia Benetton. Atlantia controlla la maggioranza dei 6.000 chilometri di autostrade italiane, costruite con investimenti pubblici (ossia con i soldi del cittadino italiano), e si è rivelata una gallina dalle uova d’oro. Nel’ultimo anno, a fronte di un fatturato di 3.600 miliardi, ha realizzato un utile di 998 milioni (il 19% in più dell’anno precedente). E quindi mi è scattata la curiosità di capire qualcosa, sul piano astrologico, di questa famiglia potentissima, sia economicamente che politicamente, che è partita da esordi difficili e poveri. Si tratta di quattro fratelli – Luciano, Giuliana, Gilberto e Carlo – rimasti orfani di padre nel 1945, ma pieni di iniziativa e di voglia di lavorare (come accadeva in molte famiglie, nel dopoguerra). Cominciano piano piano, con Giuliana che confeziona in casa maglioni colorati, che poi Luciano vende, mentre Gilberto tiene i conti e Carlo – un disegnatore – si occupa degli aspetti tecnici e produttivi. E da lì volano.Negozi in tutto il mondo, la prestigiosa sede in Veneto. Proprietari di mezza Patagonia, dove allevano le pecore per i loro prodotti (e dove, tra parentesi, hanno avuto un contenzioso con gli indigeni sfrattati). Poi: l’acquisizione di altri marchi, ma soprattutto la costruzione di una rete diffusa di interessi finanziari, lontanissimi dai maglioncini colorati che avevano costituito la loro prima fortuna. I fratelli più vecchi sono i gemelli Luciano e Giuliana, nati col Sole nel segno del Toro, con Urano (il pianeta del lavoro) pure in Toro, in posizione vincente per intraprendere un lavoro indipendente e creativo. E in effetti sono loro ad aprire la strada, con la prima confezione artigianale da parte di Giuliana di un maglioncino giallo, in un momento in cui non erano di moda i colori sgargianti, e l’intuizione di Luciano di commercializzare i prodotti. Segue Gilberto, il fratello di mezzo, con il Sole nel segno dei Gemelli: adattissimo a occuparsi di finanza, sotto un segno intelligente e abbastanza disinvolto – anche se, eticamente parlando, per muoversi in un ambito in cui non abbondano gli scrupoli. E anche in lui c’è una fortunata, vincente congiunzione tra Urano (pianeta del lavoro), Giove (fortuna e denaro) e Saturno (potere). L’ultimo era Carlo, nato col Sole nel segno del Capricorno congiunto a Giove (il che aiuta, a raggiungere degli obiettivi); è morto recentemente, mentre era in corso un passaggio di Saturno nel suo segno.Comunque, non a caso, i fratelli Benetton sono nati sotto tre segni di Terra (l’elemento che, più di altri, possiede tenacia e capacità lavorativa) e un segno di Aria (che suggerisce le capacità di muoversi nel volatile e difficile mondo della finanza). Che dire? Il successo e il potere raggiunto li hanno allontanati, come spesso succede, dal mondo delle persone comuni, quelli che hanno problemi con il mutuo e a raggiungere la fine del mese, inclusi gli sfollati di Genova che ora affrontano tutti i disagi del non avere più una casa – senza contare il dolore delle persone che hanno perso i loro cari. Ho passato gli ultimi trent’anni della mia vita a occuparmi di ricerca spirituale. Sono in contatto con guide spirituali, e ho una chiara visione di quella che dovrebbe essere l’impostazione corretta di una vita ben spesa – che è sempre lontana dall’egoismo, dall’avidità e dal volere sempre di più, incuranti degli altri. Il desiderio di rifarsi sugli altri per riscattarsi dalle sofferenze patite è molto umano e molto diffuso. E non è facile abbandonare questo modo di essere, perché sembra darci forza (se invece ti accosti al perdono, ti sembra una debolezza).In effetti il perdono non dovrebbe essere superficiale ma, anzi, dovrebbe essere il riconoscimento che, qui sulla Terra, siamo tutti compagni di viaggio e possiamo sbagliare; quindi non vale ergersi a giudici, perché siamo tutti passibili di fraintendimenti ed errori. Fatto nel modo giusto, il perdono è un segno di grande forza: certifica che tu hai raggiunto pace, tranquillità e forza interiore. Se uno si guarda attorno, però, vede un grande vociare… Alla mia età ho ormai una visione più distaccata, ma tutto questo comunque mi fa male: anche se con gli anni subentra una certa saggezza, questo spettacolo mi ferisce sempre. E quello che mi ferisce di più è l’egoismo, l’avidità. Mi chiedo: che bisogno c’è di accumulare fortune immense, che spesso i discendenti (meno saggi e meno preparati a lavorare) poi dissipano in poco tempo? E comunque: a che serve accumulare, procurando danni strada facendo? Perché è difficile accumulare fortune senza far danni attorno. Di solito, se lavori onestamente e senza buttarti in troppi campi, non riesci a raggiungere certe posizioni. Io me lo chiedo, perché vedo persone che sono prese da questa ansia di primeggiare sugli altri, e così perdono di vista tante cose, molto più importanti: la solidarietà, la compassione, un occhio per chi ha meno di te.(Germana Accorsi, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti durante la trasmissione web-radio “Border Nights” del 25 settembre 2018).Il viadotto Morandi? Quei due monconi danno al paesaggio una sensazione di guerra, e fanno intuire quale ferita sociale ed economica sia stata inferta alla città di Genova, già duramente provata dal passato recente. Utilizzando il mio ambito di ricerca, l’astrologia, per esaminare la vicenda del ponte crollato – che dava sempre la sensazione, percorrendolo, di una leggera instabilità – parto dal suo ideatore, l’ingegner Riccardo Morandi, nato di lunedì all’inizio del secolo scorso sotto il segno della Vergine – elemento Terra, che in genere favorisce questo tipo di professione. I Vergine sono portati al calcolo, alla precisione, e hanno una buona dose di senso pratico (come gli altri segni di Terra). Lui però era anche abbastanza visionario, per via di quel rapporto armonico del Sole (l’Io profondo) con Nettuno (fantasia, capacità evolutiva e di trasformazione). Infatti ha ideato e portato avanti dei progetti che poggiavano su un materiale allora all’avanguardia, il calcestruzzo armato pre-compresso, di cui ottenne il brevetto nel ‘48, e che allora pareva potesse rispondere alle esigenze di un paese in via di ricostruzione e ammodernamento, a costi inferiori rispetto ai materiali classici (la Vergine tende sempre a fare economia, è una sua caratteristica).
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Ecco i nomi dei massoni golpisti che hanno creato la crisi
Puoi chiamarli neoliberisti. Monopolisti. Privatizzatori. C’è chi li ha definiti, anche, golpisti bianchi. Ma sono essenzialmente massoni. Attenzione: le obbedienze nazionali non c’entrano. Si tratta di supermassoni in quota alle Ur-Lodes, le oscure superlogge sovranazionali. Precisamente: quelle di segno neo-aristocratico, che detestano la democrazia e confiscano il potere dei cittadini, rimettendolo nelle mani di un’élite pre-moderna, pre-sindacale, ultra-padronale. E’ così che hanno costruito il nuovo medioevo in cui viviamo, il neo-feudalesimo regolato dall’Ue e dalla sua Commissione di non-eletti. Giochi di specchi: laddove si parla di finanza e geopolitica, citando banche centrali e governi, si omette sempre di scoprire chi c’è dietro. Sempre gli stessi, sempre loro: un club ristrettissimo di padreterni, di “contro-iniziati” che si credono onnipotenti e autorizzati, come per diritto divino, a manipolare in eterno il popolo bue, ridotto a bestiame umano. Lo ricorda Patrizia Scanu, segretaria del Movimento Roosevelt, sodalizio fondato dal massone progressista Gioele Magaldi proprio con l’intento di smascherare l’attuale governance europea finto-democratica, dopo la clamorosa denuncia contenuta nel saggio “Massoni”, edito nel 2014 da Chiarelettere. Una rivelazione: dietro ai principali tornanti della nostra storia recente ci sono sempre gli stessi personaggi, i medesimi circoli occulti: grazie a loro, in fondo, poi in Italia crollano anche i viadotti autostradali.
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“Progressisti” alle europee: Laura Boldrini, una garanzia
«Le prossime elezioni europee saranno una sfida tra due visioni del mondo. Che ne dite, se per sfidare la destra, i partiti progressisti rinunciassero ai propri simboli per dare vita a una lista unitaria nel segno dell’apertura e dell’innovazione?». Lei, Laura Boldrini, ha già pronto l’hashtag: #ListaUnitariaEuropea. A vederla così, l’ex presidente della Camera – politicamente defunta da tempo, e ora miracolosamente riportata in vita solo grazie al provvidenziale attivismo dell’Uomo Nero, cioè Matteo Salvini – fa venire in mente, ai progressisti (quelli veri, lontani anni luce dal Pd e dai suoi cespugli già appassiti) che in fondo è proprio vero, le prossime elezioni europee saranno realmente “una sfida tra due visioni del mondo”. E se sarà in campo anche lei, Laura Boldrini, per i progressisti sarà facilissimo scegliere: non certo tra “la destra” e “la sinistra”, categorie tragicamente archiviate dal pensiero unico della Seconda Repubblica, ma – appunto – tra oligarchia e democrazia, privatizzazioni e welfare, autoritarismo economico e diritti sociali, Disunione Europea e sovranità nazionale (non solo italiana, anche degli altri paesi europei che dovevano essere partner, e invece sono diventati spietati concorrenti grazie al feroce mercantilismo dell’establishment, che si rifugia sempre – per coprire i propri misfatti – nel cosmetico “politically correct” di cui è campionessa la signora Boldrini).Per un progressista italiano – un sincero democratico – avere di fronte Laura Boldrini alle prossime elezioni europee sarebbe magnifico: un perfetto replay del funesto referendum costato la vita, politicamente, a Matteo Renzi, altro campione (scorrettissimo) del “politicamente corretto”. Che ghiotta occasione, per milioni di elettori: se molti di loro non saranno ancora pienamente convinti dall’ibrida alleanza gialloverde, a chiarir loro le idee provvederebbe all’istante Laura Boldrini, icona perfetta di tutto quello che in Italia ha smesso di funzionare – ma nel modo più subdolo, cioè evitando di farlo sapere agli italiani. L’erosione dei diritti del lavoro, la flessibilità del precariato, i tagli sanguinosi al welfare e alle pensioni, i ticket della sanità privatizzata. E in generale, tutto il paese regalato – a fette, a trance, a tonnellate – a imprenditori affamati di profitto, a capitali franco-tedeschi, a consorterie paramassoniche di origine atlantica che poi magari evitano di spendere soldi nella manutenzione dei beni ottenuti in omaggio, fino al punto da lasciar crollare – con morti e feriti – anche i viadotti autostradali. Chi c’era, a Palazzo Chigi, mentre tutto questo accadeva? Romano Prodi, Massimo D’Alema, Giuliano Amato. Un’ombra di autocritica, dal centrosinistra? Non pervenuta. In compenso, riecco Laura Boldrini.Resuscita, la Boldrini – e con lei Martina e i gregari del Pd e dintorni, comparse di cui si stenta a ricordare i nomi – solo grazie al furore mediatico che si abbatte su Salvini, il quale insiste nel bloccare gli sbarchi dei migranti per mettere in difficoltà gli strozzini europei dell’Italia, per niente sicuro che il suo governo gialloverde riesca, in autunno, a disobbedire all’eterno diktat di Bruxelles riuscendo a finanziare almeno in parte la riduzione delle tasse, la riforma della legge Fornero, l’istituzione dello sbandierato reddito di cittadinanza. Tutte cose che suonano estremamente democratiche, persino “di sinistra” per usare l’obsoleto lessico boldriniano, visto che si tratterebbe che lasciare più soldi in tasca agli italiani. Ma appunto, non se ne parla: deve morire (sotto l’accusa di xenofobia) il primo governo che lavora per gli italiani, non a caso temuto e detestato dai poteri che tifano per Laura Boldrini e contro il popolo italiano. Che dire, ad esempio, del campione dei diritti umani Emmanuel Macron, devoto amico di Papa Bergoglio? E che dire del venerabile Günther Oettinger, secondo cui saranno “i mercati” a insegnare agli italiani come votare? A proposito: è stato proprio Oettinger a proporre a Strasburgo il disegno di legge che avrebbe imbavagliato il web, pochi mesi dopo la martellante campagna finanziata dalla stessa Boldrini contro le “fake news” della Rete. Che ticket formidabile, Boldrini-Oettinger: un invito a nozze, per gli elettori progressisti impegnati a scegliere, nella primavera 2019, tra “due visioni del mondo”.Così come oggi Laura Boldrini non esisterebbe neppure più, senza Matteo Salvini, è una vera fortuna che l’ex presidente della Camera sia ancora in campo, in vista delle prossime europee: la sua candidatura avrà il potere, prodigioso, di motivare gli incerti. Tutto diventerà lampante: gli elettori avranno un’occasione d’oro per bocciare sonoramente, una volta per tutte, partiti e politicanti sedicenti progressisti, che hanno letteralmente assassinato ogni residua istanza progressista in Italia, ogni barlume di residuale democrazia. Sono gli infidi maggiordomi del rigore, i sacerdoti dell’austerity, i cavalieri del Fiscal Compact. Sono i farisaici notai del pareggio di bilancio inflitto all’Italia come una micidiale piaga biblica, da cui il paese non si è ancora ripreso – né potrà farlo, come noto, senza una robusta, radicale, rivoluzionaria sterzata. Una mareggiata, a livello europeo, con centinaia di milioni di elettori disposti a inviare a Bruxelles l’ultimo avvertimento: o si straccia il Trattato di Maastricht, che affida ai banchieri della Bce il governo del continente, o l’Europa salta per aria. Servirà un plebiscito, come quello che mandò a casa Renzi. E quindi servirà – più che mai – Laura Boldrini, a ricordare agli italiani come votare, per mandare finalmente a casa tutti gli Oettinger, i ladri, i bari e i professori del “politically correct” che ancora fanno la morale all’Italia, dopo averla razziata e affondata per conto dei soliti, potenti padroni stranieri.«Le prossime elezioni europee saranno una sfida tra due visioni del mondo. Che ne dite, se per sfidare la destra, i partiti progressisti rinunciassero ai propri simboli per dare vita a una lista unitaria nel segno dell’apertura e dell’innovazione?». Lei, Laura Boldrini, ha già pronto l’hashtag: #ListaUnitariaEuropea. A vederla così, l’ex presidente della Camera – politicamente defunta da tempo, e ora miracolosamente riportata in vita solo grazie al provvidenziale attivismo dell’Uomo Nero, cioè Matteo Salvini – fa venire in mente, ai progressisti (quelli veri, lontani anni luce dal Pd e dai suoi cespugli già appassiti) che in fondo è proprio vero, le prossime elezioni europee saranno realmente “una sfida tra due visioni del mondo”. E se sarà in campo anche lei, Laura Boldrini, per i progressisti sarà facilissimo scegliere: non certo tra “la destra” e “la sinistra”, categorie tragicamente archiviate dal pensiero unico della Seconda Repubblica, ma – appunto – tra oligarchia e democrazia, privatizzazioni e welfare, autoritarismo economico e diritti sociali, Disunione Europea e sovranità nazionale (non solo italiana, anche degli altri paesi europei che dovevano essere partner, e invece sono diventati spietati concorrenti grazie al feroce mercantilismo dell’establishment, che si rifugia sempre – per coprire i propri misfatti – nel cosmetico “politically correct” di cui è campionessa la signora Boldrini).
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Genova e i complottisti che non vedono l’agguato all’Italia
E’ già stata programmata la prossima aggressione americana alla Siria? Se lo domanda “The Saker”, pensando all’imperialismo yankee oggi più che mai ostile all’Iran, mentre a Washington l’impeccabile Barack Obama e l’assai meno impeccabile George W. Bush piangono la dipartita del vecchio leone John McMcain, presentato come eroe di guerra – quella del Vietnam, però (non quella siriana, dove celebri fotografie immortalano lo stesso McCain, dalle parti di Damasco, a colloquio con un’illustre congrega di tagliagole, tra cui l’oscuro Abu Bakr Al-Baghdadi, nome d’arte del futuro capo-macelleria del sedicente Isis). Si fa presto a dire “l’America”, quando è palese che neppure un americano su cento ha idea di come siano andate davvero le cose, in Siria, cioè nel paese dei bombardamenti immaginari con gas nervino sulla popolazione inerme, disposti dal feroce regime di Assad sul quale proprio l’elegantissimo Obama stava per scatenare l’Armageddon missilistico. Lo schema è classico, ormai datato ma sempre formidabile: la fanfara mediatica suona la sua canzone, che poi a casa – davanti al televisore – fischiettano tutti. E quelli che si rifiutano (non più così pochi, ormai) spesso cadono nel tranello del festival opposto, che poi è l’altra faccia della stessa medaglia. Complottismo militante: caccia al Colpevole Unico, al reprobo di turno. Uno sport che, secondo Gianfranco Carpeoro, finisce sempre per assolvere il solo, vero responsabile: il sistema.Lo spiega benissimo anche uno specialista come Massimo Mazzucco, in diretta web-streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights”, addentrandosi nel presunto giallo del viadotto Morandi a Genova, che si vocifera sia stato segretamente minato per scatenare la strage di ferragosto. L’ingegnere veneto che rilancia la testi del complotto, adombrando l’ipotesi dell’attentato, ordito magari per colpire Autostrade per l’Italia, che ormai è un gestore internazionale di infrastrutture viarie? Sfortunatamente, quel tecnico è stato ingaggiato proprio da Atlantia, la società dei Benetton: cioè i soggetti che più trarrebbero vantaggio dall’accreditare il sospetto dell’ipotetico attentato, visto che metterebbe in ombra le loro eventuali responsabilità sul mancato controllo della sicurezza del ponte genovese. Piuttosto, dice Mazzucco nella sua attenta ricostruzione, l’unica cosa che non torna è la decisione degli inquirenti di non rendere pubblici alcuni filmati-chiave sul crollo. Forse rivelano indizi sulla grave incuria che, alla fine, ha determinato il collasso del viadotto? Quelle immagini, si dice, restano riservate per non condizionare i testimoni oculari che gli inquirenti devono ancora ascoltare. Ma non ha senso, protesta Mazzucco: se già si dispone di immagini incontrovertibili, infatti, a cosa serve il racconto (fatalmente frammentario e impreciso) di semplici testimoni? Ovvero: qualcuno sta esercitando pressioni “mostruose”, sui magistrati di Genova, per tentare di nascondere le evidenze dell’omessa manutenzione dell’infrastruttura?Citando il saggio “Massoni” di Gioele Magaldi, e attingendo al proprio patrimonio personale di contatti e informazioni, l’avvocato e saggista Carpeoro, autore di scomode pagine sul terrorismo targato Isis ma in realtà “fatto in casa” da servizi segreti agli ordini dei peggiori network supermassonici, sul caso genovese è illuminante: non scordate, dice, che i Benetton fanno parte di una cerchia paramassonica internazionale vicina ai Clinton e a Obama. Un club più che esclusivo, dominato dalla celeberrima superloggia “Three Eyes”, a lungo ispirata dai massimi strateghi del potere politico statunitense, a cominciare da Kissinger. Non solo: nella composizione azionaria di Atlantia figura anche il maggiore “hedge fund” del pianeta, quel BlackRock a cui – a proposito di privatizzazioni “ad personam” – il giovane Matteo Renzi regalò una bella fetta di Poste Italiane, azienda in ottima salute che fruttava allo Stato, ogni anno, quasi mezzo miliardo di euro. Il patron di BlackRock, cioè la star della finanza americana Larry Fink, secondo Magaldi avrebbe gravitato nell’orbita di un’altra Ur-Lodge, quasi “sorella” della “Three Eyes” ma se possile molto peggiore, avendo reclutato tra i suoi affiliati un certo Osama Bin Laden (l’autore del film “11 Settembre”) e lo stesso Al-Baghdadi (aiuto-regista dell’ultimo kolossal horror, quello siglato Isis).Che crolli un ponte in Italia o franino grattacieli negli Usa – minati, quelli sì – il risultato è lo stesso: l’uomo della strada ci rimette la pelle, oltre che un sacco di soldi, mentre i responsabili non pagano mai, prevedibilmente protetti da tonnellate di menzogne, depistaggi e insabbiamenti. Colpa loro, si domanda Carpeoro, o piuttosto di un sistema incapace di giustizia? L’avvocato ricorre a un esempio: «E’ stata sgominata, la mafia, dopo l’arresto di Riina? Ma no, c’era Provenzano. Preso anche lui, ecco Matteo Messina Denaro. Il giorno che arrestassero pure quello, qualcuno dubita che, nel giro di una notte, i boss troverebbero un nuovo capo?». Beninteso: spesso i criminali poi finiscono, giustamente, in galera. Ma il potere giudiziario non è in grado di fare davvero giustizia: può solo limitare i danni. Infatti, per statuto, interviene soltanto a cose fatte, quando cioè il reato è già stato commesso. Perché il sistema cambi, nel senso della vera giustizia, è necessario che, a monte, certi reati non si commettano più. Solo così sarebbe possibile evitare disastri, stragi, truffe e rapine colossali. Migliorare il sistema, dunque. Già, ma come?Missione impossibile, se restiamo quasi sempre al buio: troppo spesso, infatti, non disponiamo delle informazioni-chiave. Nessuno sa, davvero, ciò che sta accadendo. A proposito: quanti italiani sapevano che le loro autostrade, pagate con provvidenziale debito pubblico strategico negli anni d’oro, erano state interamente privatizzate? Quanti sapevano che la famiglia Benetton è poco più che il paravento italiano di un mega-affare, essenzialmente internazionale, pensato lontano dall’Italia e dato in gestione, per la sua esecuzione formale, a Massimo D’Alema? E dov’erano, gli elettori italiani, mentre tutto questo accadeva? Tutti a fare il tifo: pro o contro il Cavaliere di Arcore, “domato” da Romano Prodi e poi, appunto, da D’Alema. Idem i giornalisti italiani: tutti presi anche loro dall’insignificante derby politico, anziché dall’anomalia – sostanziale – che consiste nel regalare a colossi privati un pezzo di paese come la rete autostradale, che oggi frutta profitti per 6 miliardi di euro all’anno, cioè 12.000 miliardi di lire. La scusa, storica? C’era il debito pubblico da “risanare”.Era la fiaba degli italiani spreconi e spendaccioni, che ha fatto la fortuna politica di personaggi come Antonio Di Pietro. Poi è arrivato il Risanatore, quello vero: Mario Monti, paracadutato a Palazzo Chigi da Mario Draghi e Giorgio Napolitano. E tutti hanno cominciato a capire cosa indendono, uomini come quelli, con la parola “risanamento”. In un attimo l’Italia ha visto crollare il Pil, ha perso il 25% del suo potenziale industriale e ha accusato la peggior crisi dal dopoguerra, con una disoccupazione record. Ora qualcuno ha imparato che il debito pubblico, per definizione, non è da “risanare” come quello di una famiglia o di un’azienda, perché lo Stato (se è sovrano nella moneta) non deve restituire a nessuno il denaro emesso direttamente dal governo, attraverso la banca centrale. In tanti, ormai, sanno che dal 1980 – prima ancora dell’euro – la banca centrale ha cessato di emettere denaro in modo illimitato, a disposizione del governo: è da allora, infatti, che il debito pubblico è diventato una tragedia nazionale (fino a trasformarsi, con l’euro, in un dramma internazionale).Chi ha messo il dito nella piaga, durante l’ultima campagna elettorale? Matteo Salvini. Chi ha candidato, al Senato? Alberto Bagnai, eminente economista di scuola sovranista. E dov’è, adesso, Salvini? Nel mirino: tutti i poteri forti (stampa, finanza, industria) gli sparano addosso, col pretesto della sua ruvida intransigenza sui migranti. Gli spara addosso Macron, a capo di un paese che ogni anno, in virtù dell’eredità coloniale, “rapina” 500 miliardi di euro a 14 paesi africani. E a Salvini spara a man salva persino l’ormai disperato Pd, cioè il partito che – fin che è vissuto – non ha fatto altro che eseguire gli ordini dei poteri forti, così come il decano D’Alema all’epoca dei maxi-regali, le autostrade poi lasciate crollare, fino al novello Renzi, il “regalatore” di Poste Italiane. Tutta colpa del Pd, dunque, come suggerisce il tifo odierno che vede nel governo gialloverde la prima, vera speranza, per un paese dominato per 25 anni da poteri stranieri? Stando al ragionamento di Carpeoro su Cosa Nostra, la risposta è scontata: puoi anche sanzionare un manovale del crimine, persino un boss, ma dai guai non esci fino a quando vivi in un sistema che prevede l’impunità sostanziale per certi reati.La parte dal cattivo travestito da buono – ormai si sa – è toccata, storicamente, al centrosinistra. Ovvio: mai l’elettorato di sinistra avrebbe tollerato le stesse leggi, se a promulgarle fosse stato Berlusconi. Non hanno fatto una piega, i sindacati, quando invece a contrarre i diritti del lavoro è stato il centrosinistra. Ma, tralasciando gli attori in commedia, sarebbe cambiato qualcosa che se questa storia fosse stata recitata da tutt’altro cast? Dov’è il problema, negli attori o piuttosto nel copione? E’ irrilevante che oggi gli zombie del Pd fingano ancora di esistere: e sanno che, se non fosse comparso il provvidenziale “mostro” Salvini, non saprebbero neppure cosa dire, di fronte alle telecamere. Intanto i ponti crollano, insieme al resto del paese. E c’è chi pensa agli immancabili, fantomatici bombaroli, come se non bastasse lo spettacolo dell’auto-sabotaggio realizzato da un intero paese, a cui i maghi dell’informazione hanno raccontato, indisturbati, che tutto va bene, e che il padrone ha sempre ragione. Quello, semmai, era il vero complotto. E sta venendo alla luce oggi, lentamente, attraverso l’inaudita violenza verbale che l’establishment riserva all’attuale governo: il primo, dopo 25 anni, non partorito direttamente dal potere “complottista”. L’unico governo, per ora, largamente sostenuto dagli elettori.E’ già stata programmata la prossima aggressione americana alla Siria? Se lo domanda “The Saker”, pensando all’imperialismo yankee oggi più che mai ostile all’Iran, mentre a Washington l’impeccabile Barack Obama e l’assai meno impeccabile George W. Bush piangono la dipartita del vecchio leone John McMcain, presentato come eroe di guerra – quella del Vietnam, però (non quella siriana, dove celebri fotografie immortalano lo stesso McCain, dalle parti di Damasco, a colloquio con un’illustre congrega di tagliagole, tra cui l’oscuro Abu Bakr Al-Baghdadi, nome d’arte del futuro capo della premiata macelleria mediorientale, il sedicente Isis). Si fa presto a dire “l’America”, quando è palese che neppure un americano su cento ha idea di come siano andate davvero le cose, in Siria, cioè nel paese dei bombardamenti immaginari con gas nervino sulla popolazione inerme, disposti dal feroce regime di Assad sul quale proprio l’elegantissimo Obama stava per scatenare l’Armageddon missilistico. Lo schema è classico, ormai datato ma sempre formidabile: la fanfara mediatica suona la sua canzone, che poi a casa – davanti al televisore – fischiettano tutti. E quelli che si rifiutano (non più così pochi, ormai) spesso cadono nel tranello del festival opposto, che poi è l’altra faccia della stessa medaglia. Complottismo militante: caccia al Colpevole Unico, al reprobo di turno. Uno sport che, secondo Gianfranco Carpeoro, finisce sempre per assolvere il solo, vero responsabile: il sistema.
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Che sollievo, scoprire la dinamite nel viadotto di Genova
Che meraviglia, se il viadotto Morandi fosse stato davvero abbattuto, magari da terroristi, con una bella carica esplosiva. Staremmo tutti più tranquilli – tutti o, comunque, i tantissimi di noi che, ormai, hanno sempre bisogno di immaginare un complotto, per ridurre tutti i problemi all’azione di un nemico: il comodissimo Uomo Nero, unico colpevole delle nostre sciagure. Fabbricare ogni volta un nemico, dice Gianfranco Carpeoro, fa molto comodo, al potere: ci aiuta infatti a non vedere mai la verità. E cioè che l’unico, vero “nemico” che ci minaccia, purtroppo, è lo stesso sistema nel quale viviamo: sempre meno equo e democratico, sempre meno accettabile, responsabile e sostenibile. Non capire che è ora di finirla con la “supercazzola” dell’ipotesi-bomba, per tentare di spiegare il disastro di Genova, significa non voler vedere che è tutta l’Italia che sta ormai crollando: «Crollano i ponti, crollano le chiese, crollano le scuole: è già successo, e magari tra un po’ crollerà un altro istituto scolastico, ammazzando un altro po’ di bambini», dichiara Carpeoro, in web-streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Cosa aspettiamo a dedurre che, così, non si può andare avanti? Quando finirà di crollare anche il lavoro, finalmente, capiremo che l’Italia è un paese nel quale è sempre più difficile vivere, se non invertiamo radicalmente la rotta».Tanti gli interrogativi sulla catastrofe di Genova, da parte del pubblico della diretta “Carpeoro Racconta” del 1° settembre: molti insistono – ancora – sulla evidente presenza di “bagliori” poco prima del drammatico schianto, preceduto da un rombo chiaramente udibile. Clamorose le dichiarazioni dell’ingegnere padovano Enzo Siviero, già docente universitario a Venezia: a “Reteveneta” ha detto che le modalità del crollo lasciano aperta, almeno al 50%, la possibilità (teorica) di un attentato. Ipotesi che la magistratura di Genova liquida con le parole del procuratore Francesco Cozzi: «Puro delirio». Già, ma la storia delle immagini scomparse causa “guasto” delle webcam di Autostrade per l’Italia? Carpeoro taglia corto: «Non sono un tecnico e non mi intendo di ponti – premette – ma sono certo che gli inquirenti siano in possesso di tutte le immagini inerenti il crollo, peraltro riproposte continuamente anche in televisione». Bagliori? «Appunto: la presenza di un bagliore non significa automaticamente “esplosione”». Il botto? Idem: «Ogni crollo è preceduto da un cedimento, da un collasso strutturale evidentemente anche rumoroso. In ogni caso: di che siamo parlando? La magistratura è al lavoro, sta indagando. Scoprirà quello che è successo. Tenendo conto del fatto, ormai accertato, che non sono state rinvenute tracce di esplosivo: e le esplosioni ne lasciano sempre».Massone, esoterista, studioso di simbologia e autore di “Summa Symbolica”, opera in più volumi sul significato dei simboli che ci circondano e che il più delle volte subiamo passivamente, non sapendoli “leggere”, Carpeoro – esponente del Movimento Roosevelt presieduto da Gioele Magaldi – invita spesso il suo pubblico a stare in guardia, rispetto al “pensiero magico” di cui è imbevuta la società, e del quale il potere si serve sempre per depistarci, ogni volta, dal vero obiettivo. «Seriamente: riguardo a Genova, l’unico vero beneficiario teorico dell’ipotesi complottista chi sarebbe? Lei, la società autostradale oggi sotto accusa: sarebbe comodissimo, per Autostrade, potersi assolvere grazie all’ombra di un attentato. Ma evidentemente non c’è il minimo presupposto per poter sfruttare questa possibilità». Si parla di ponti, dopotutto: «E’ ormai appurato che le attuali infrastrutture hanno una durata media di cinquant’anni: dopodiché occorre mettervi mano, pena il rischio che vengano meno gli standard di sicurezza. Ed è quello che, in tutta Italia, non sta più succedendo: per questo crollano ponti, viadotti, scuole e persino le chiese antiche, che avrebbero a loro volta bisogno di frequenti interventi di restauro e consolidamento».Il vero complotto, dice Carpeoro, è consistito nell’aver “regalato” la nostra rete autostradale, all’epoca delle privatizzazioni “allegre” varate dal centrosinistra, con il patrimonio nazionale elargito a imprenditori “amici”, non vincolati a rigorosi obblighi. Il dramma di Genova? «Dovuto, evidentemente, a incuria criminosa». Da parte dei Benetton? Attenzione, avverte sempre Carpeoro: nel gruppo Atlantia, che controlla Autostrade, sono presenti grandi poteri internazionali, anche massonici: dalla superloggia neoliberista “Three Eyes”, «cui fa riferimento l’ambiente paramassonico frequentato dai Benetton, notoriamente finanziatori dei Clinton», all’altra famigerata superloggia ultra-reazionaria, la “Hathor Pentalpha” fondata dai Bush, a cui – secondo Magaldi – è collegato Larry Fink, il patron dell’immenso fondo d’investimento BlackRock, azionista di Atlantia. Non sarà facile togliere a questa gente la gallina dalle uova d’oro rappresentata dalle autostrade italiane: «Vedrete che arriverà una telefonata dall’America e la concessione non verrà affatto revocata, o magari si farà un’altra gara, aperta allo stesso gruppo».Questa è la sostanza, ribadisce Carpeoro, e le leggende sulla demolizione controllata del viadotto genovese – con fantomatiche cariche esplosive – servono proprio a non vedere la tragica realtà dei fatti: è sempre l’Uomo Nero a far sparire la verità, mettendo al riparo – ancora una volta – il sistema, che è marcio. In questo caso, l’esasperazione complottistica rischia di lasciae in ombra uno scandalo storico e colossale, come quello delle privatizzazioni-omaggio fatte sulla pelle degli italiani. Siamo infatti prigionieri di un paese che (grazie all’euro e al rigore imposto da Bruxelles) sta letteralmente crollando, non potendo più ricorrere alla spesa pubblica. Non bastassero i censori della Commissione Europea è pronta la minaccia dello spread alle prime avvisaglie di aumento del debito, teoricamente pubblico ma ormai di fatto privatizzato anche quello, essendo denominato in euro anziché in moneta sovrana. Magari la colpa fosse dell’Uomo Nero, in questo caso travestito da bombarolo: sarebbe un sollievo, scoprire che la colpa è di un unico delinquente. «In realtà, a questo ci ha portato l’evoluzione spirituale degli ultimi anni», ripete Carpeoro: «Ci serve sempre un nemico immaginario, che in fondo è rassicurante. Fa molta più paura scoprire che l’unico vero nemico è proprio il sistema».Che meraviglia, se il viadotto Morandi fosse stato davvero abbattuto, magari da terroristi, con una bella carica esplosiva. Staremmo tutti più tranquilli – tutti o, comunque, i tantissimi di noi che, ormai, hanno sempre bisogno di immaginare un complotto, per ridurre tutti i problemi all’azione di un nemico: il provvidenziale Uomo Nero, unico colpevole delle nostre sciagure. Fabbricare ogni volta un nemico, dice Gianfranco Carpeoro, fa molto comodo, al potere: ci aiuta infatti a non vedere mai la verità. E cioè che l’unico, vero “nemico” che ci minaccia, purtroppo, è lo stesso sistema nel quale viviamo: sempre meno equo e democratico, sempre meno accettabile, responsabile e sostenibile. Non capire che è ora di finirla con la “supercazzola” dell’ipotesi-bomba, per tentare di spiegare il disastro di Genova, significa non voler vedere che è tutta l’Italia che sta ormai crollando: «Crollano i ponti, crollano le chiese, crollano le scuole: è già successo, e magari tra un po’ crollerà un altro istituto scolastico, ammazzando un altro po’ di bambini», dichiara Carpeoro, in web-streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Cosa aspettiamo a dedurre che, così, non si può andare avanti? Quando finirà di crollare anche il lavoro, finalmente, capiremo che l’Italia è un paese nel quale è sempre più difficile vivere, se non invertiamo radicalmente la rotta».
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Tutti più poveri, grazie alle privatizzazioni imposte all’Italia
La tragedia di Genova ha contribuito a spostare l’agenda del dibattito pubblico sull’alternativa fra privatizzazione e nazionalizzazione. In premessa: nel caso italiano, appare difficile negare che le privatizzazioni abbiano prodotto più danni che benefici. Si sono realizzate essenzialmente attraverso la cessione di monopoli pubblici a monopoli privati, con conseguente aumento delle tariffe e, molto spesso, con peggioramento della qualità dei servizi erogati. A partire dagli anni Novanta si è assistito a un rilevante passo indietro dell’intervento pubblico in economica. Ovviamente si è trattato di un fenomeno globale, che, come spesso accade, l’Italia ha sperimentato più tardi (la prima ondata di privatizzazioni in Europa si ha nell’Inghilterra della signora Thatcher negli anni Ottanta) e, quando lo ha sperimentato, lo ha fatto con la massima accelerazione. Il ritiro dello Stato si registra in un notevole dimagrimento del settore pubblico italiano, in particolare per numero di addetti. L’intero settore pubblico italiano nelle due diverse ramificazioni è nei fatti il più sottodimensionato d’Europa.L’ultima rilevazione Ocse ci informa che, mentre nel nostro paese la pubblica amministrazione assorbe circa 3.400 lavoratori, in Francia e nel Regno Unito, paesi con una popolazione e un Pil pro-capite di entità simile alla nostra, se ne contano rispettivamente 6.200 e 5800. Negli Stati Uniti – paese tradizionalmente guardato come una vera economia di mercato – il numero di dipendenti pubblici è di circa il 25% superiore al nostro. Si può aggiungere che, in Italia, l’occupazione nel settore pubblico riguarda prevalentemente individui con elevata scolarizzazione. In più, la convinzione che i dipendenti pubblici siano ben retribuiti e godano di eccesso di protezioni è palesemente smentita sul piano empirico. L’Istat registra un aumento della retribuzione oraria netta del 21% su base annua per i lavoratori del settore privato, a fronte di incrementi pressoché nulli nel settore pubblico. E si calcola che la gran parte dei contratti a tempo determinato sono somministrati dalla pubblica amministrazione. Dunque, i dipendenti pubblici, in media, guadagnano meno dei loro colleghi del settore privato e sono più frequentemente assunti con contratti precari.Per quanto riguarda la produttività del lavoro nel settore pubblico, pure a fronte delle rilevanti difficoltà di misurazione, e pur volendo accettare la tesi che questa è più bassa rispetto al settore privato, occorre ricordare che l’operatore pubblico svolge, di norma, le proprie funzioni in quelle che William Baumol definiva “attività stagnanti”, ovvero attività nelle quali (si pensi ai servizi alla persona) risulta impossibile generare avanzamento tecnico e, dunque, incrementi di produttività. In tal senso, se anche si ritiene che il ‘merito’ del singolo lavoratore sia misurabile e che lo sia anche nei servizi nel settore pubblico, da ciò non si può immediatamente dedurre che questa conclusione discende dal basso rendimento degli occupati, potendo più realisticamente dipendere dalla bassa accumulazione di capitale. Si calcola anche che il tasso di assenteismo dei lavoratori del settore pubblico italiano è in linea con la media europea. I fautori delle privatizzazioni sostengono che l’operatore privato è sempre più efficiente dell’operatore pubblico. Lo Stato deve limitarsi a creare le condizioni necessarie affinché l’esercizio della libertà d’impresa avvenga nel rispetto delle norme e dei contratti vigenti.Nella fattispecie della società Autostrade, si propone (così Confindustria) l’istituzione di una commissione che esamini le concessioni e vigili sullo svolgimento del servizio. Non si ammette quello che si considera il ritorno ai “carrozzoni di Stato”. Per contro, i fautori delle nazionalizzazioni ritengono che possa essere solo lo Stato a svolgere funzioni di interesse generale e, nel caso della società Autostrade, propongono (in linea con il governo) la revoca della concessione. Quest’ultima posizione è condivisibile, se non altro per come è stato gestito il processo di privatizzazione in Italia, con una puntualizzazione, che riguarda la selezione dei nostri manager pubblici. Si tratta di una questione pressoché ignorata, ma rilevante. Su fonte ministero dell’economia e delle finanze, risulta che l’Italia ha pochi dirigenti pubblici, molto meno dei principali paesi europei. Risulta anche che sono mediamente più anziani. Soprattutto risulta assente una scuola di alta formazione, come esiste in altri paesi europei (si pensi al caso francese).Vi è di più. La lunga stagione delle privatizzazioni – durata almeno un ventennio in Italia, nella sostanziale assenza di voci critiche – coincise con la cosiddetta svolta neoliberista e con la convinzione che oltre a generare maggiore efficienza, la cessione di asset pubblici a privati fosse necessaria per aumentare il gettito fiscale e generare avanzi primari. Le privatizzazioni – intenzionalmente o meno – servivano anche ad accrescere le diseguaglianze distributive, sia per l’aumento delle tariffe, sia perché – e per conseguenza – l’accesso a servizi privati è più difficile per i percettori di redditi bassi. Si riteneva che l’aumento delle diseguaglianze fosse un motore di crescita attraverso i cosiddetti effetti di sgocciolamento: i ricchi, in quanto più produttivi (per ipotesi), contribuiscono maggiormente alla crescita economica, rendendo successivamente possibili misure di trasferimento a vantaggio dei più poveri. La redistribuzione a vantaggio dei più ricchi si è verificata, lo sgocciolamento no.La convinzione per la quale le privatizzazioni servono ad aumentare le entrate fiscali e a generare crescita è molto problematica e, nei fatti, sembra essere falsa. Ciò a ragione del fatto che, per definizione, esse implicano – come si è verificato in Italia – una riduzione delle dimensioni del settore pubblico. Come certificato dall’Inps, il primo effetto (ovvio e prevedibile) derivante dalla riduzione del numero di dipendenti pubblici è proprio la riduzione delle entrate fiscali. Il privato può più facilmente evadere o eludere. Il secondo (altrettanto prevedibile) risultato consiste nell’accentuazione della caduta della domanda interna, per il tramite dei minori consumi derivanti dalla decurtazione dei redditi nel pubblico impiego. Il terzo risultato è il peggioramento della qualità dei servizi offerti, come conseguenza (anch’essa ovvia) della riduzione del numero di occupati.(Guglielmo Forges Davanzati, “Alcuni effetti indesiderati delle privatizzazioni in Italia”, da “Megachip” del 21 agosto 2018).La tragedia di Genova ha contribuito a spostare l’agenda del dibattito pubblico sull’alternativa fra privatizzazione e nazionalizzazione. In premessa: nel caso italiano, appare difficile negare che le privatizzazioni abbiano prodotto più danni che benefici. Si sono realizzate essenzialmente attraverso la cessione di monopoli pubblici a monopoli privati, con conseguente aumento delle tariffe e, molto spesso, con peggioramento della qualità dei servizi erogati. A partire dagli anni Novanta si è assistito a un rilevante passo indietro dell’intervento pubblico in economica. Ovviamente si è trattato di un fenomeno globale, che, come spesso accade, l’Italia ha sperimentato più tardi (la prima ondata di privatizzazioni in Europa si ha nell’Inghilterra della signora Thatcher negli anni Ottanta) e, quando lo ha sperimentato, lo ha fatto con la massima accelerazione. Il ritiro dello Stato si registra in un notevole dimagrimento del settore pubblico italiano, in particolare per numero di addetti. L’intero settore pubblico italiano nelle due diverse ramificazioni è nei fatti il più sottodimensionato d’Europa.
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E le nostre sono anche le autostrade più care d’Europa
La tragedia del ponte Morandi di Genova sta portando alla luce uno dei più grandi scandali del nostro paese, quello legato ai contratti sulle concessioni autostradali a beneficio esclusivo di pochi gruppi industriali privati. Ma come funziona nel resto dell’Europa? Quello italiano è un caso unico: le nostre autostrade sono le più care d’Europa. In Germania, Olanda e Belgio le autostrade sono pubbliche e parzialmente gratuite. Dal primo luglio scorso la Germania ha deciso di inserire un pedaggio solo per i camion, che consentirà di investire entro il 2022 circa 7 miliardi di euro nelle infrastrutture stradali. Per inciso, il governo tedesco ha da poco risolto un contenzioso con alcune aziende a cui aveva dato l’appalto per l’inserimento dei pedaggi per i mezzi pesanti. Il ritardo di 16 mesi nella realizzazione dell’opera, rispetto a quanto previsto dal contratto, è costato alle società una multa di 3,2 miliardi di euro, denaro che è finito nelle casse dello Stato. Esattamente l’opposto di ciò che è accaduto in questi anni in Italia, dove Atlantia si è permessa per anni di non realizzare gli interventi previsti e assolutamente necessari, facendo cassa a scapito dei cittadini senza che lo Stato muovesse un dito. E ora, davanti alla devastazione e ai morti, ha ancora il coraggio di parlare di perdite per gli azionisti, contratti e penali, sostenuta in questa campagna scandalosa dal Partito Democratico e da Forza Italia.Ci sono poi altri paesi come Austria, Svizzera e Slovenia che hanno autostrade a pagamento, ma con prezzi decisamente più convenienti rispetto a quelli italiani. In Austria l’abbonamento alle autostrade costa 87,30 euro l’anno, in Svizzera 40 franchi (circa 38,12 euro), in Slovenia 110 euro. Con questi soldi in Italia si percorrono appena 1.200 chilometri.Regno Unito, Spagna e Francia hanno affidato la gestione delle reti a società private tramite contratti di concessione. A differenza dell’Italia, però, nessun segreto di Stato e soprattutto più gestori, dunque più concorrenza. Nel nostro paese il 70% delle concessioni per la rete autostradale se lo spartiscono da anni due gruppi: il gruppo Atlantia (Benetton) che con Autostrade per l’Italia gestisce oltre 3.000 chilometri, e il gruppo Gavio, che gestisce oltre 1.200 chilometri. Nei pochi paesi dove la concessione è in mano ai privati, inoltre, sono stati stipulati contratti fortemente vincolanti. Nello specifico, in Spagna il pagamento del pedaggio è previsto soltanto sul 20% della rete e viene definito dal ministero dei lavori pubblici. Nel Regno Unito il guadagno degli operatori viene vincolato alla qualità del servizio, al livello di sicurezza e alla capacità di gestire al meglio la circolazione.In Francia sono ben diciannove le società concessionarie, le quali – a fronte della riscossione dei pedaggi – devono assicurare “la costruzione, l’estensione, la manutenzione e il funzionamento della rete”. Ogni cinque anni o in caso di necessità vengono stipulati accordi di piano tra lo Stato e queste società per finanziare ulteriori investimenti inizialmente non previsti. Perché la gestione di un bene pubblico, come la rete autostradale, non deve e non può essere una rendita finanziaria. Chiunque lavori al servizio dello Stato – e dunque dei cittadini italiani – deve garantire una gestione etica di quel bene, ponendo in cima valori quali efficienza, trasparenza, legalità e sicurezza. Se i Benetton hanno potuto lucrare su un bene pubblico indisturbati, però, è perché un’intera classe politica ha offerto loro per anni una sponda politica. I precedenti governi – da Prodi a D’Alema, passando per Berlusconi e Renzi – hanno prima regalato ai Benetton e poi prorogato per periodi sempre più lunghi gran parte della rete autostradale nazionale, senza pretendere investimenti in manutenzione e una compartecipazione degli utili.Tra il 2008 e il 2016, secondo dati del ministero dei trasporti, mancano all’appello 1,5 miliardi di investimenti preventivati sulla rete autostradale, a fronte di un incremento dei pedaggi del 25% (lievitati addirittura del 65,9% dal 1999 al 2013). Insomma, meno investi più guadagni, a scapito della sicurezza. Ma non solo. Oltre a favorire guadagni miliardari, il contratto prevede che, in caso di decadimento della concessione per gravi inadempienze da parte del concessionario, quest’ultimo venga indennizzato di tutti i profitti che avrebbe conseguito per gli anni residui di concessione. In sostanza, un risarcimento per i danni provocati dallo stesso imprenditore negligente. La classica privatizzazione della vecchia politica collusa con le lobbies: del resto, se si può fare un favore a un amico, quest’ultimo poi ricambierà. E in questi casi abbiamo imparato che per certi personaggi le regole non contano, conta solo fare profitti con i soldi dei cittadini italiani (e anche sulla loro pelle). È questa la logica che ha spolpato questo paese negli ultimi trent’anni.(“Italia, le autostrade più care d’Europa. Eccome come funziona degli altri paesi Ue”, dal “Blog delle Stelle” del 24 agosto 2018).La tragedia del ponte Morandi di Genova sta portando alla luce uno dei più grandi scandali del nostro paese, quello legato ai contratti sulle concessioni autostradali a beneficio esclusivo di pochi gruppi industriali privati. Ma come funziona nel resto dell’Europa? Quello italiano è un caso unico: le nostre autostrade sono le più care d’Europa. In Germania, Olanda e Belgio le autostrade sono pubbliche e parzialmente gratuite. Dal primo luglio scorso la Germania ha deciso di inserire un pedaggio solo per i camion, che consentirà di investire entro il 2022 circa 7 miliardi di euro nelle infrastrutture stradali. Per inciso, il governo tedesco ha da poco risolto un contenzioso con alcune aziende a cui aveva dato l’appalto per l’inserimento dei pedaggi per i mezzi pesanti. Il ritardo di 16 mesi nella realizzazione dell’opera, rispetto a quanto previsto dal contratto, è costato alle società una multa di 3,2 miliardi di euro, denaro che è finito nelle casse dello Stato. Esattamente l’opposto di ciò che è accaduto in questi anni in Italia, dove Atlantia si è permessa per anni di non realizzare gli interventi previsti e assolutamente necessari, facendo cassa a scapito dei cittadini senza che lo Stato muovesse un dito. E ora, davanti alla devastazione e ai morti, ha ancora il coraggio di parlare di perdite per gli azionisti, contratti e penali, sostenuta in questa campagna scandalosa dal Partito Democratico e da Forza Italia.