Archivio del Tag ‘Bankitalia’
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In bikini per Tsipras, che ignora le cause dell’euro-lager
«Qualche giorno fa Paola Bacchiddu, responsabile per la comunicazione della lista “L’altra Europa con Tsipras” ha postato una propria foto in bikini, con il culo seminudo ben in evidenza in primo piano, accompagnata dal seguente commento: “Ciao è iniziata la campagna elettorale e io uso qualunque mezzo. Votate l’Altra Europa con Tsipras”». Un voto in cambio di un desiderio, scrive Rosanna Spadini: un voto in cambio di una proposta indecente? Vince «l’etica della modernità liquida», il monoteismo del marketing: non avrai altro mercato al di fuori di me, ricordati di santificare lo shopping, onora ogni mio desiderio, non uccidere la libidine dentro di te, ama il piacere tuo come te stesso. «Non si capisce a questo punto quale relazione ci possa essere tra il rigore moralistico laico degli tsiprioti, che per certi versi è dogmatico e reverenziale quanto quello cristiano, e la nuova morale postmoderna della società globalizzata, dominata dal neoliberismo sovranazionale planetario». Quale etica, nel tempo dell’assoluta mancanza di etica?Come può convivere l’etica del marketing con la lotta al mercato e al capitalismo? «Marxisti in crisi di identità? Marxisti dell’Illinois? (da una famosa scena del film “The Blues Brothers”, anche se là erano nazisti)», scrive la Spadini su “Come Don Chisciotte”. «Gli tsiprioti infatti sono quegli esseri che viaggiano sollevati a un palmo da terra (come Remedios la Bella di “Cent’anni di solitudine”), sono entità moralmente sovrannaturali, si spendono e si spandono per i diritti umani di tutta l’umanità, sono gli oracoli viventi dell’“unico dogma” che può salvare la pace, la libertà, la democrazia, sono i profeti dell’“unica verità socialista, marxista, comunista”. Quale complicità ci può essere tra i novelli Templari del marxismo, i monaci militanti della fratellanza universale e la subdola seduzione del mercato? Quale connivenza tra le loro esistenze votate all’ideale universalistico della distribuzione globale dei diritti e la sporcizia morale di chi seduce con una sveltina (per di più anale) in cambio di un voto?».Senza considerare, aggiunge Spadini, che spesso gli “tsiprioti” provengono dalle vaste e profonde gole di “Micromega”, frequentate da intellettuali che hanno attraversato gli anni tormentati del berlusconismo «ragionando sapientemente dei massimi sistemi dell’esistenza, senza che il loro nobile pensiero si traducesse mai in risoluzione pratica dei problemi sociali, confondendo spesso l’astrattezza della loro speculazione filosofica con l’astuta strategia politica di chi intercetta e decifra le esigenze del reale». Ecco perché gli “tsiprioti” sono andati in Grecia a cercarsi un loro degno rappresentante: «Perché in Italia non c’era nessun Zarathustra degno di fede, non c’era nessuno che potesse corrispondere ai loro criteri di selezione darwiniana della specie eletta degli ubermensch». Ma Tsipras e i suoi followers, a partire da Barbara Spinelli, «non sembrano capire che un’Europa federale e democratica dei popoli fratelli non è possibile se non uscendo da quel lager eurocratico che la sta devastando».Secondo Rosanna Spadini, «non ci può essere democrazia se non all’interno dello Stato-nazione, non ci può essere sovranità economica se non restaurando la collaborazione tra Tesoro e Bankitalia che è stata interrotta dal “divorzio” del 1981 (legge Ciampi-Andreatta), e non ci può essere benessere sociale se non recuperando la nostra indipendenza politica e democratica». Per di più, «questi monaci militanti della fratellanza globalizzata, che ha anche impedito in Italia la nascita di una coscienza nazionale, concezione da loro soavemente disprezzata, confusa con quella di nazionalismo (che è decisamente un’altra cosa), questi sacerdoti laici che celebrano quotidianamente il loro anacronistico rito liturgico, sono stati sempre la ruota di scorta dei poteri forti, “utili idioti” al servizio del sistema neoliberista, ottusi strumenti nelle mani del potere eurocratico, tribuni di strategie politiche del nulla, sempre e comunque perdenti, proprio perché connaturate amabilmente al potere costituito (vedi Laura Boldrini)».Non si rendono conto, aggiunge Spadini nella sua requisitoria, che l’Europa odierna sta vivendo uno dei momenti più tragici della propria storia: non potrà cambiare il proprio destino se non facendo una diagnosi precisa della cause che hanno provocato il disastro. E’ «un “golpe bianco” che viene da lontano, dal crollo del muro di Berlino del 1989, quando il sistema capitalistico-imperialistico-neoliberista rimasto unico ordine mondiale, si apprestò a dissolvere gli Stati-nazione, privandoli della loro sovranità politico-economica, per ricomporli in quell’orrido organismo sovranazionale, privo di identità e di cultura, che è appunto l’Unione Europea». Un “golpe bianco” che «si serve dell’euro come arma di distruzione di massa per imporre politiche di austerity che devastano l’economia e i diritti, una dittatura finanziaria che ha imposto i trattati-capestro, dal Trattato di Maastricht (1993) a quello di Lisbona (2007), quando al contrario i popoli di Francia e Olanda avevano ampiamente bocciato la Costituzione Europea».Il “nemico” da riconoscere «una dittatura finanziaria che ha poi aperto la strada all’inarrestabile corso dei tagli alla spesa pubblica (che invece statisticamente non oltrepassa la media dei paesi europei), al ciclo delle privatizzazioni, alla precarizzazione a vita del lavoro e alla devastazione del welfare, straordinaria conquista sociale delle lotte del Novecento, ma anche strategia funzionale all’antagonismo tra il benessere capitalistico dell’ovest europeo, opposto al malessere comunista del suo nemico storico, rappresentato dall’Urss, durante il periodo della guerra fredda». Pertanto, Tsipras e «i suoi gattopardeschi followers» vorrebbero rimuovere gli effetti disastrosi della dittatura eurocratica «senza toccarne le cause, rappresentate dall’euro e dai trattati». E questo, purtroppo o per fortuna, è ben più importante dell’ostentata esposizione delle terga della giovane portavoce in bikini.«Qualche giorno fa Paola Bacchiddu, responsabile per la comunicazione della lista “L’altra Europa con Tsipras” ha postato una propria foto in bikini, con il culo seminudo ben in evidenza in primo piano, accompagnata dal seguente commento: “Ciao è iniziata la campagna elettorale e io uso qualunque mezzo. Votate l’Altra Europa con Tsipras”». Un voto in cambio di un desiderio, scrive Rosanna Spadini: un voto in cambio di una proposta indecente? Vince «l’etica della modernità liquida», il monoteismo del marketing: non avrai altro mercato al di fuori di me, ricordati di santificare lo shopping, onora ogni mio desiderio, non uccidere la libidine dentro di te, ama il piacere tuo come te stesso. «Non si capisce a questo punto quale relazione ci possa essere tra il rigore moralistico laico degli tsiprioti, che per certi versi è dogmatico e reverenziale quanto quello cristiano, e la nuova morale postmoderna della società globalizzata, dominata dal neoliberismo sovranazionale planetario». Quale etica, nel tempo dell’assoluta mancanza di etica?
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L’oro alla patria: costretti a cedere i gioielli di famiglia
Grazie ad una miracolosa operazione di trasparenza sul giro d’affari dei “Compro Oro”, è stato svelato al Senato che gli italiani, nel biennio 2011-2012, hanno svenduto ai tanti negozietti appositi circa 300 tonnellate di oro e preziosi, per un totale di 14 miliardi di euro. Cifra enorme, equivalente alla finanziaria del 2013: «Le famiglie italiane si sono fatte una finanziaria da sole», commenta Debora Billi. «Io lo trovo assolutamente vergognoso. Trovo indegno di un paese civile (nota frase abusata dai politici in campagna elettorale) che i cittadini siano ridotti a vendersi l’oro in quantitativi industriali per riuscire a tirare avanti. E’ una cosa da vomito. In un certo senso, hanno dato l’oro alla patria. Hanno tirato la fine del mese da soli, mentre il loro paese era occupato a dirottare i soldi delle tasse verso gli interessi sul debito anziché provvedere a chi si trovava in difficoltà come sarebbe compito di una comunità. Chissà, forse “ce lo chiede l’Europa”».
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Unione Bancaria con frode: se falliscono, paghiamo noi
Vi hanno raccontato che con l’Unione Bancaria non saranno più i contribuenti, ma gli investitori, a pagare per i disastri degli istituti di credito? «Bieche menzogne», replica Paolo Barnard. «Quello che è veramente stato messo nero su bianco dai tecnocrati neofeudali di Bruxelles, e che viene imposto all’Italia prona e schiava come legge suprema, è questo: voi banche avete fatto disastri, e siete quasi tutte fallite (specialmente la Deutsche Bank), ma non lo diciamo a nessuno. Facciamo un patto: voi adesso obbedite a noi, i vostri nuovi Signori, e in cambio noi vi salviamo il deretano con soldi pubblici mentre raccontiamo a tutti che non è vero. Diremo a tutti che i soldi li metteranno gli investitori, ma non è vero. Per spacciare questa frode facciamo l’Unione Bancaria con una serie di regole false, che tanto nessuno ci capisce un cazzo. Quindi il patto è: noi siamo i vostri Signori e vi comandiamo, voi continuate a maciullare la massa dei cittadini-cani, ma noi ora siamo i Signori assoluti”». In altre parole: «Neofeudalesimo».«I signori neofeudali di quest’ennesimo crimine contro il diritto, la democrazia e contro noi persone», scrive Barnard nel suo blog, «sono la Commissione Ue nella persona del commissario al Mercato Unico, Michel Barnier, la Bce con Mario Draghi, le maggiori lobby bancarie del mondo come l’Institute of International Finance di Washington e la European Banking Federation, e il cancelliere tedesco Angela Merkel». Le regole sovranazionali adottate dall’unione bancaria hanno nomi astrusi. Il Single Rulebook? «Un insieme di regole per le banche, uguali per tutti i paesi Ue». Il Single Supervisory Mechanism: è quello del «super-poliziotto che controlla tutte le banche, cioè la Bce». Poi il Single Resolution Mechanism: «Il metodo comune di affrontare il fallimento di una grande banca europea per non far partire il contagio e il panico nei mercati». Quindi il Single Resolution Board, cioè «i tecnocrati incaricati di compiere gli atti concreti del punto 3». A seguire: Single Resolution Fund. Ovvero «un fondo europeo pagato dalle banche aderenti all’Unione Bancaria, di 55 miliardi di euro, che dovrebbe soccorrere il fallimento dell’eventuale banca». E infine il National Resolution Fund: «Un fondo simile, sempre pagato dalle banche, ma per i paesi Ue che non sono nell’Unione Bancaria».Secondo Barnard, «il punto politico e storico di maggior importanza di questa truffa di Unione Bancaria è che i governi nazionali vengono totalmente esautorati da qualsiasi possibilità di regolamentare le proprie banche e di gestire eventuali fallimenti nell’interesse pubblico, ridotti a chiedere il permesso per qualsiasi legislazione al Consiglio Europeo e alla Commissione Ue», quella dei super-tecnocrati non eletti. Di fatto, si delinea un quadro molto preoccupante, perché «le maggiori banche europee – tra cui Deutsche, Unicredit, Intesa, Ubi, Bnp Paribas, Credit Suisse – sono tutte tecnicamente fallite». Vuol dire che se veramente i regolamentatori andassero a esaminare il loro libri contabili, «scoprirebbero buchi visibili da Giove». Punto cruciale: «Una banca deve sempre avere un rapporto minimo fra il suo capitale di sicurezza e i prestiti che fa, ma in tutte le maggiori banche europee questo rapporto è tragicamente sballato, cioè le banche hanno troppo poco capitale e hanno emesso oceani di prestiti, di cui almeno un totale di 1.500 miliardi sono prestiti ormai marci, inesigibili, quindi buchi nei bilanci».Banche fallite, assicura Barnard. «I tecnocrati neofeudali europei sanno bene che la gente, almeno in teoria (mai in pratica, purtroppo) è esasperata all’idea che sui giornali si legga di miliardi dati per salvare le banche, vedi Mps in Italia, mentre – allo sfigato della strada – Renzi dà la gran cifra di 80 euro». Di qui «questa gran mossa teatrale dell’Unione Bancaria». Obiettivi: «Da una parte, illudere i cittadini che saranno le banche a pagare i buchi, ma dall’altra fare esattamente il contrario e salvare le banche con soldi nostri, banche che da oggi saranno le “cameriere dei Neofeudali”». In collaborazione con il “Corporate Europe Observatory” di Olivier Hoedman, Barnard dimostra quello che sostiene, smontando le asserzioni di Bruxelles, che chiama «menzogne». A cominciare dal Single Rulebook, le nuove regole: il capitale di sicurezza deve ammontare almeno all’8% dei prestiti erogati. Problema: «Deutsche Bank è a un misero 2,5% reale, Unicredit e Intesa sono alla canna del gas». L’8%, poi, è un cuscinetto debole: «Quando Lehman Brothers e Dexia fallirono avevano “ottimi” rapporti capitale-prestiti, rispettivamente l’11% e il 10%. Persino un falco delle banche come l’ex governatore della Fed Alan Greenspan aveva chiesto che dall’8% si passasse almeno al 14%». Conclusione: regole di tutela inefficaci, «persino patetiche». Domanda: ma allora perché non le fanno fallire, le banche decotte? Perché sono “troppo grandi per fallire”, troppo interconnesse tra loro («impossibile districare la spaventosa rete di intrecci finanziari che hanno messo in piedi» e troppo complesse da smontare e ripulire: solo per “bonificare” la Lehman «ci sono voluti 3 anni e mezzo, dopo che fu scoperto che era composta da 3.000 entità».Quanto al Single Supervisory Mechanism, cioè il ruolo del super poliziotto (la Bce) che dovrebbe spulciare i libri contabili di ogni banca, la mistificazione appare lampante: le mega-banche «hanno il privilegio di fare delle specie di auto-certificazioni dello stato di quei libri, ed è qui che casca l’asino». Inoltre «stanno facendo un trucco sporchissimo per far quadrare i libri, cioè il solito rapporto tra capitale e prestiti emessi: per far salire la percentuale del capitale sui prestiti, semplicemente si sbarazzano di tonnellate di prestiti emessi impacchettandoli in prodotti finanziari “tossici”, “marci”, e li vendono agli speculatori, che è esattamente ciò che ha causato il collasso finanziario mondiale del 2007». Poi, subito dopo, «riducono drammaticamente i nuovi prestiti che dovrebbero concedere». Risultato: «Le aziende e le famiglie restano a secco, senza soldi, e l’economia va a puttane». Problemi? Non per Francoforte: «La Bce su questo non sembra aver nulla da dire, Draghi se ne sta zitto: altro che supervisore». Inoltre, dato che la Bce persegue «una missione fanatica», cioè «mantenere l’euro in vita a tutti i costi», mai ammetterrebbe il collasso della Deutsche Bank. Piuttosto, «manterrà in vita un bubbone pestilenziale che continuerà a infettare banche su banche».Alla farsa vera e propria, continua Barnard, si arriva col Single Resolution Mechanism, cioè le modalità in base alle quali affrontare il fallimento di una banca. «La versione per il popolo-cane data dei Neofeudali suona grandiosa: per la prima volta, saranno gli investitori a smenarci il deretano per primi – non il pubblico, non gli Stati». Menzogne: le nuove regole stabiliscono che azionisti e creditori (quindi anche ordinari correntisti, cittadini, risparmiatori) saranno sì chiamati a perderci per primi se la banca va sott’acqua, ma solo fino all8% dei debiti della banca. Assurdo: «In qualsiasi normale procedura fallimentare, le perdite sono sempre molto superiori per gli investitori, come è giusto che sia». E non è finita: si prevede inoltre che le autorità tecnocratiche possano chiedere a una mega-banca di accollarsi il fallimento di una “sorella”, acquisendola. Come se Bnp Paribas assorbisse – ovviamente a prezzi stracciati, da asta fallimentare – una Unicredit fallita. «Ma questo non fa altro che peggiorare il problema di fondo di queste banche», che sono “too big to fail”, troppo interconnesse, troppo complesse da smontare.«E i tecnocrati incaricati di fare tutto il lavoro chi sono? Sono per caso legittimati da noi cittadini nell’interesse pubblico? No. Sono tizi incaricati dalla solita Bruxelles e di cui noi non sapremo mai nulla, anche se decideranno del nostro destino». Saranno loro, i soliti uomini-fantasma, a gestire il Single Resolution Fund e il National Resolution Fund, cioè i due fondi da cui si dovrebbe andare a pescare per salvare le mega-banche fallite, «dopo il ridicolo prelievo dagli investitori di cui sopra». Ma sono spiccioli. «Pensate che il primo fondo sarà di 55 miliardi, contro – come già detto – almeno 1.500 miliardi di buchi bancari a rischio in Ue». Il secondo fondo, continua Barnard, si otterrà tassando le banche dell’1% dei loro depositi. «Di nuovo: il resto del caffè a fronte del problema generale». E non solo: i due fondi «non saranno disponibili per almeno 10 anni». E nel frattempo se accade qualcosa chi ci mette i soldi? «Indovina indovinello? Ma gli Stati, ovviamente. E qui arriva la catastrofe finale: perché il fondo di salvezza finanziato dagli Stati che già esiste e che sarà quello in cui si andrà a pescare in questi 10 anni è il notorio Meccanismo Europeo di Stabilità, il famigerato Mes».Famigerato, perché è un fondo «creato con soldi che l’Italia (per la sua quota) deve prendere in prestito dai mercati a tassi micidiali, per cui poi Roma ci tassa a morte». E poi perché tecnocrati “neofeudali” che hanno creato il Mes «hanno scolpito sul marmo la seguente regola: chiunque attinga al Mes per qualsiasi motivo dovrà poi assoggettarsi alle austerità della chemio-tassazione e dell’economicidio che hanno già portato alla rovina nazionale». Tutto questo, naturalmente, è stato «firmato e ratificato dal Parlamento italiano». Ricapitolando: per salvare le banche che falliranno, l’Unione Bancaria «pescherà per pochi spiccioli dagli investitori, e poi per almeno 10 anni dalle tasche di cittadini e aziende per tutto il resto del colossale malloppo». Conseguenza: «Ci beccheremo altre orrende, mortali austerità». E c’è di peggio: «Neppure il Mes, coi suoi 500 miliardi di salvadanaio (nostri soldi spremuti con la chemio-tassazione) sarebbe sufficiente a salvare neppure un quarto di una banca come la Deutsche», aggiunge Barnard. Per cui, «gli Stati dovranno trovare altri soldi», e sempre «dal sangue dei nostri figli, che saranno servi della gleba nel terzo millennio».E’ l’ultimo, inevitabile “regalo” dell’euro: con moneta sovrana – spesa pubblica, deficit positivo – l’uscita dall’incubo sarebbe invece immediata. Fine della super-tassazione, del tracollo dell’economia, della devastazione sociale. «Non ci sarebbe bisogno di nessuna Unione Bancaria, né di regole astruse e truffe», perché «non esiste crisi finanziaria che una saggia spesa a deficit di un paese sovrano nella moneta non possa curare». L’Italia? «Torni alla sua sovranità monetaria, abbandoni questo mostro ributtante di Eurozona neofeudale, torni a regolamentare le sue banche», come fanno Giappone, Cina, Usa. «Torni a poter raddoppiare i bilanci della nostra Banca d’Italia dal giovedì mattina al giovedì a mezzogiorno con un colpo di tastiera di un computer, per nazionalizzare la nostre banche fallite di cui Roma diviene azionista con diritto di voto. Le salva, le ripulisce, e le rivende facendoci una grassa pluslvalenza». Non ci credete? E allora, conclude Barnard, chiedete a Washington o a Londra: «Dopo aver speso a deficit di Stato per salvare le loro banche senza nessuna Unione Bancaria truffa, il Tesoro Usa ha incassato profitti per 9 miliardi di dollari, quello inglese ha incassato 5 miliardi. La banca centrale americana ha incassato 24 miliardi di plusvalenze, la Banca d’Inghilterra 33 miliardi, tutti soldi pubblici ritornati a casa. Così dovrebbe fare Roma».Vi hanno raccontato che con l’Unione Bancaria non saranno più i contribuenti, ma gli investitori, a pagare per i disastri degli istituti di credito? «Bieche menzogne», replica Paolo Barnard. «Quello che è veramente stato messo nero su bianco dai tecnocrati neofeudali di Bruxelles, e che viene imposto all’Italia prona e schiava come legge suprema, è questo: voi banche avete fatto disastri, e siete quasi tutte fallite (specialmente la Deutsche Bank), ma non lo diciamo a nessuno. Facciamo un patto: voi adesso obbedite a noi, i vostri nuovi Signori, e in cambio noi vi salviamo il deretano con soldi pubblici mentre raccontiamo a tutti che non è vero. Diremo a tutti che i soldi li metteranno gli investitori, ma non è vero. Per spacciare questa frode facciamo l’Unione Bancaria con una serie di regole false, che tanto nessuno ci capisce un cazzo. Quindi il patto è: noi siamo i vostri Signori e vi comandiamo, voi continuate a maciullare la massa dei cittadini-cani, ma noi ora siamo i Signori assoluti”». In altre parole: «Neofeudalesimo».
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Sveglia, sinistra: i nemici dell’Europa sono l’euro e l’Ue
La sinistra vorrebbe “un’altra Europa”, completamente rifondata? Errore: prima bisogna radere al suolo «l’attuale architettura dell’Unione Europea» e, letteralmente, «demolire i presupposti alla base dell’unione monetaria». Riformare i trattati vigenti? Missione impossibile, spiega Enrico Grazzini: per modificare il Trattato di Maastricht e lo statuto della Bce occorre l’unanimità del voto di tutti i 28 paesi Ue. A bloccare tutto basterebbe l’opposizione di un solo Stato, di un solo governo. «E’ più facile ripudiare o abolire i trattati che modificarli». L’Unione Europea, semplicemente, non è riformabile. E’ un non-Stato, un mostro giuridico che «opprime i popoli». Nient’altro che «una istituzione intergovernativa diretta dalla finanza e guidata da una sola nazione, la Germania», nonché «debolmente legittimata da un Parlamento senza potere», peraltro «eletto nel 2009 solo dal 43% dei cittadini europei». Ergo: impossibile fondare “l’Europa dei popoli” partendo da questa Unione Europea.«Oggi – scrive Grazzini su “Micromega” – bisogna avere il coraggio di affrontare dei punti di frattura con il governo di questa Ue che nessun cittadino europeo ha eletto, che toglie sovranità alle nazioni e schiaccia i popoli in difficoltà». I promotori della “Lista Tsipras” hanno scelto di non fidarsi più della socialdemocrazia europea, e in Italia del Pd, «che sono tra i promotori e complici di obbrobri ultraliberisti come il Fiscal Compact – cioè il taglio selvaggio della spesa pubblica in tempi di crisi – e il pareggio in bilancio in Costituzione». Anche il governo Renzi, dopo quelli di Letta e di Monti, «si fa garante del rispetto dei crescenti vincoli europei». Grazzini non ha dubbi: «Siamo già allo stremo, ma se seguiremo la politica della Ue e di Renzi faremo la fine della Grecia». E dal centrosinistra, solo e sempre propaganda: a parole, Martin Schulz è contro la disastrosa politica europea di intransigenza liberista, ma la Spd «ha finora promosso la deregolamentazione finanziaria e la famigerata politica autoritaria europea di disoccupazione e di immiserimento della Ue».La cieca politica di austerità dettata dalla Ue e dalla Troika (Bce, Fmi, Ue) sarà sempre più intrusiva, rigida e antisociale, continua Grazzini. «La Ue impone ai governi di tagliare il costo del lavoro e il welfare in nome della competitività. La sua politica è destinata a provocare crisi economiche e democratiche dei paesi sottoposti ai suoi diktat, o anche a provocare il crollo dell’euro (e quindi della Ue stessa)». Romano Prodi, già presidente della Commissione Europea e protagonista dello sciagurato ingresso dell’Italia nell’Eurozona, oggi ha preso atto della politica egemonica tedesca e propone di costruire un’alleanza alternativa tra Italia, Francia e Spagna e gli altri paesi del Sud Europa per contrastare «la folle (ma lucida) politica della Merkel». Soluzione impraticabile, avverte l’ex ministro dell’economia Fabrizio Saccomanni, intervistato dal “Corriere della Sera”: la Francia del socialista Hollande non accetterà mai di allearsi con noi, perché ha fatto della partnership con la Germania sull’euro il suo scudo (di latta) di fronte alla speculazione internazionale.Nulla all’orizzonte che preluda a qualcosa di diverso dal disastro nel quale stiamo sprofondando: «Ormai i bilanci dei paesi Ue vengono decisi non dai parlamenti e dai governi nazionali ma in maniera preventiva a Bruxelles, Francoforte e Berlino. E chi sgarra avrà delle sanzioni e poi verrà commissariato dalla Troika». Il disinvolto Renzi? «Magari otterrà qualche contentino da Bruxelles, ma il suo governo probabilmente cadrà proprio perché sarà costretto a trasmettere le politiche impopolari dettate dalla Ue», fatte di «lavoro sempre più precario, chiusura di aziende, disoccupazione dilagante ed eliminazione dei servizi sociali». Risultato: «Così dalla crisi non usciremo mai. E la crisi, soprattutto in Italia, potrebbe diventare irreversibile. La Grecia è vicina».Per rifondare l’Europa, dice Grazzini, occorre essere euroscettici. La sinistra respinge l’euroscetticismo come marchio infamante, denunciando le destre nazionaliste, xenofoba e neofasciste, il populismo nazionalista anti-europeo, senza vedere il vero pericolo, cioè l’autoritarismo dell’Ue e che fa a pezzi la nostra libertà, la nostra democrazia. «L’euroscetticismo ci riporta alla realtà», avverte Grazzini, citando uno dei maggiori storici marxisti, Eric Hobsbawn, fa poco scomparso, pessimista sul futuro europeo: «Penso che bisognerà abbandonare la speranza di trasformare l’Unione Europea in qualcosa di più di una semplice alleanza di Stati e di una zona di libero scambio». Troppo diversi gli interessi delle diverse aree, troppo liberista l’ideologia della Ue e troppo forte l’egemonia della Germania, ciecamente convinta «dell’austerità forzata e di questa architettura deflazionista e repressiva dell’euro perché sia possibile invertire facilmente la direzione di marcia».L’Europa unita, continua Grazzini, è importante se offre cooperazione, pace, democrazia e benessere dei popoli, non se genera povertà, disoccupazione, divisione e democrazie autoritarie e magari conflitti sanguinosi. «L’unione europea va, se possibile, salvaguardata nelle sue parti migliori, ma non adorata». Sicché, «occorre lottare per democratizzare la Ue e per dare al Parlamento Europeo il potere di fare proposte di legge», potere oggi affidato alla sola Commissione. La parola chiave, per uscire dal tunnel, si chiama sovranità. «E’ indispensabile rivalutare la sovranità nazionale, e quindi anche la sovranità monetaria», perché «solo recuperando la sovranità nazionale è possibile che i popoli possano difendersi dalle rigide politiche liberiste e neocoloniali della Ue e della Germania, e sperimentare nuovi modelli di sviluppo sostenibile. Solo così i governi europei potranno trovare delle forme efficaci di cooperazione per resistere alla speculazione finanziaria internazionale».Grazzini propone apertamente un’uscita concordata dall’euro, non-moneta palesemente insostenibile. «Bisognerebbe abolire il Trattato di Maastricht e concordare politicamente il ritorno alla sovranità monetaria degli Stati». Per prevenire la speculazione internazionale, la Ue e la Bce dovrebbero però anche creare e gestire, sulle orme di quanto proponeva Keynes a Bretton Woods, una moneta comune europea, l’Euro-Bancor, di fronte al dollaro e allo yen. «Purtroppo però gran parte (ma non tutta) della sinistra radicale ritiene che la questione della sovranità nazionale sia da demonizzare perché di destra. Eppure senza sovranità nazionale non ci può essere neppure un’ombra di democrazia».Senza moneta sovrana, resta solo questa Europa di oggi, «che schiaccia le nazioni» e le lascia in balia dello strapotere speculativo della finanza. «La sinistra – in particolare quella che si richiama al marxismo – dovrebbe ricordare le nozioni di imperialismo e di dominazione straniera, e dovrebbe sapere che le forze progressiste hanno sempre appoggiato e promosso le lotte di liberazione nazionale, in Sud America, in Africa e in tutti i paesi del mondo, di fronte all’oppressione straniera». Ora che più evolute forme di neocolonialismo economico minacciano per la prima volta anche i paesi europei, conclude Grazzini, sembra che una parte della sinistra afflitta da masochismo chieda “ancora più Europa”.La sinistra vorrebbe “un’altra Europa”, completamente rifondata? Errore: prima bisogna radere al suolo «l’attuale architettura dell’Unione Europea» e, letteralmente, «demolire i presupposti alla base dell’unione monetaria». Riformare i trattati vigenti? Missione impossibile, spiega Enrico Grazzini: per modificare il Trattato di Maastricht e lo statuto della Bce occorre l’unanimità del voto di tutti i 28 paesi Ue. A bloccare tutto basterebbe l’opposizione di un solo Stato, di un solo governo. «E’ più facile ripudiare o abolire i trattati che modificarli». L’Unione Europea, semplicemente, non è riformabile. E’ un non-Stato, un mostro giuridico che «opprime i popoli». Nient’altro che «una istituzione intergovernativa diretta dalla finanza e guidata da una sola nazione, la Germania», nonché «debolmente legittimata da un Parlamento senza potere», peraltro «eletto nel 2009 solo dal 43% dei cittadini europei». Ergo: impossibile fondare “l’Europa dei popoli” partendo da questa Unione Europea.
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L’euro-pirla che offre alla Merkel lo scalpo degli italiani
Se scodinzoli di fronte al boia, c’è qualcosa che non torna. Tradotto da Matteo Salvini, Lega Nord: «A Berlino abbiamo assistito allo show di un euro-pirla. Renzi, amico della Germania e nemico dell’Italia. Solo un cretino può pensare che possiamo essere alleati». Infatti, «se la Merkel è contenta e gli fa gli auguri, vuol dire che ha capito che continua a guadagnarci: basti pensare che da quando siamo entrati nell’euro la Germania è cresciuta del 30% mentre l’Italia è calata del 20%». Cifre impietose, osservando gli indicatori-chiave, Pil e disoccupazione: l’Eurozona ha lanciato Berlino, massacrando l’Italia. Anche il neo-premier si genuflette: niente sforamento del 3%, rigorosa applicazione della mannaia del patto fiscale europeo. «Non battiamo ciglio quando ci viene detto che dovremo tirar fuori, da quest’anno, 50 miliardi l’anno per il Fiscal Compact, ma ci sembrano chissà quale elargizione gli 80 euro in busta paga per un quinto degli italiani», annota Debora Billi.«Eppure, a fare un piccolo conto – scrive la Billi nel suo blog – scopriamo che appena 10 milioni di persone riceveranno 1.000 euro a fine anno, mentre tutti i 50 milioni di cittadini i 1.000 dovranno pagarli proprio per il Fiscal Compact». Saldo negativo: «Conto paro per alcuni, meno 1.000 euro per tutti gli altri». Ma poco importa, aggiunge la blogger: «Tutti si affannano col mantra del “meglio che niente”, ovvero quell’elemosina dei potenti che da sempre tiene buono il popolino nei momenti di magra o di scontento. Che qualcuno regali soldi sembra ai più un miracolo, mentre il fatto che ci rapinino ogni giorno è ormai dato normale e acquisito. L’eccezione, si sa, fa notizia. Che gli 80 euro “facciano girare l’economia” poi è hard fantasy». Continua la Billi: «Alzi la mano chi non ha una multa arretrata, una cartella Equitalia, un aumento di tasse comunali o regionali o Tarsu o Taris o quel che l’è da pagare. Gli 80 euro torneranno nelle tasche dello Stato più veloci della luce, e pochi saranno quelli che riusciranno a spenderli al negozietto in affanno».Il succo? Stanno cercando di comprarci il voto: «Una vecchia usanza dei politici italiani, che credono da sempre di aver a che fare con dei pezzenti che si vendono per poche lire. Grazie per la stima, ragazzi. Se ci aggiungete due paia di calze e un sacco di carbone magari vi voto anch’io, che qua fa freddo e Putin è cattivo». Nel 1999, riassume Paolo Barnard, l’Italia era la quinta potenza mondiale, una delle maggiori economie d’Europa secondo “Standard & Poor’s”: «Esportavamo più della Germania e avevamo il Pil pro capite più alto d’Europa». Vent’anni dopo, eccoci tra i Piigs: «Siamo i “maiali d’Europa”, abbiamo il 23esimo reddito dell’Ocse, la disoccupazione maggiore da 40 anni». Ogni anno, il nostro Pil perde 800 miliardi, mentre «falliscono oltre 300.000 aziende all’anno e si suicidano più imprenditori che operai per la prima volta nella storia». Inontre, dal 1992 al 2012 l’Italia ha fatto avanzo primario. «Vuol dire che se dai conti dello Stato si tolgono le sue spese per pagare gli interessi sui titoli come i Btp o i Cct, lo Stato ha sempre incassato più tasse di quanto ci desse di denaro. Ci dava 100 e ci tassava 110. Così per 20 anni».E’ la catastrofe della finanza pubblica “privatizzata”, cioè affidata agli “investitori” internazionali che acquistato i titoli del debito pubblico da quando, nel 1981, Bankitalia divorziò dal Tesoro e cessò di essere il “bancomat del governo”, emettendo denaro a costo zero per finanziare i servizi. Poi, con l’euro, il colpo da ko: impossibilità di fare retromarcia, con lo Stato costretto a rivolgersi alle banche private, uniche destinatarie della non-moneta emessa dalla Bce. E quindi, per restare a galla, più tasse. «Se lo Stato spende 100 e tassa 80, al settore di cittadini e aziende rimane al netto 20», ragiona Barnard. «Se spende 100 e tassa 100, rimane 0, se spende 100 e tassa 120 – cioè se lo Stato fa l’avanzo primario – vuol dire che il settore privato deve andare in rosso di 20 ogni volta». Così per vent’anni.Ed ecco come s’è ridotto il settore privato italiano. Oggi, «quasi la metà dei titoli di Stato italiani sono in mani straniere, per cui quasi la metà di quel reddito se n’è andato via dall’Italia. Sono cifre enormi, miliardi su miliardi». Danni limitati, «se questa emorragia di denaro fosse stata giustamente compensata da maggiore spesa pubblica nell’interesse pubblico italiano». Invece, «montagne di denaro» sono volate per pagare interessi stranieri, mentre lo Stato «ci tassava per più di quello che ci dava, privandoci di miliardi su miliardi di spesa essenziale allo sviluppo della nazione». Ora siamo all’inevitabile: economia ko, mutui che saltano, banche che non concedono credito, super-tassazione e “spending review”, privatizzazioni, servizi pubblici in agonia. E’ in arrivo anche il Fiscal Compact, la maxi-tassa europea? Niente paura, Renzi assicura che pagheremo anche quello. Per la gioia della Merkel. Felice, finalmente, del programma di “riforme strutturali” (amputazione definitiva dello Stato, morte economica del paese) che Mario Monti ed Elsa Fornero non erano riusciti a completare.Se scodinzoli di fronte al boia, c’è qualcosa che non torna. Tradotto da Matteo Salvini, Lega Nord: «A Berlino abbiamo assistito allo show di un euro-pirla. Renzi, amico della Germania e nemico dell’Italia. Solo un cretino può pensare che possiamo essere alleati». Infatti, «se la Merkel è contenta e gli fa gli auguri, vuol dire che ha capito che continua a guadagnarci: basti pensare che da quando siamo entrati nell’euro la Germania è cresciuta del 30% mentre l’Italia è calata del 20%». Cifre impietose, osservando gli indicatori-chiave, Pil e disoccupazione: l’Eurozona ha lanciato Berlino, massacrando l’Italia. Anche il neo-premier si genuflette: niente sforamento del 3%, rigorosa applicazione della mannaia del patto fiscale europeo. «Non battiamo ciglio quando ci viene detto che dovremo tirar fuori, da quest’anno, 50 miliardi l’anno per il Fiscal Compact, ma ci sembrano chissà quale elargizione gli 80 euro in busta paga per un quinto degli italiani», annota Debora Billi.
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Non crea una banca pubblica? E io denuncio lo Stato
Per «dolosa omissione governativa», coperta da «combutta del silenzio tra mass media, istituzioni, politica», l’avvocato Marco Della Luna annuncia che, insieme a Loris Palmerini, sta lavorando alla redazione di una denuncia alla Corte dei Conti per “danno erariale”. Un buco colossale, da 80 miliardi di euro l’anno. E’ quanto lo Stato potrebbe “risparmiare”, tagliando di colpo il debito pubblico, semplicemente facendo ricorso all’articolo 123 del Tue, il Trattato di Maastricht, fondativo dell’Unione Europea. Il trattato, scrive Della Luna nel suo blog, «consente agli Stati dell’Eurozona di dotarsi di una banca statale e di usarla per finanziarsi presso la Bce ai tassi che questa pratica alle banche, cioè ora allo 0,25%». Risultato: «Lo Stato italiano potrebbe così risparmiare circa 80 miliardi l’anno». Perché nessuno si decide a imboccare questa strada? Germania e Francia già lo fanno, evitando di tassare a morte i cittadini e svendere il patrimonio nazionale a colpi di privatizzazioni.A far impennare i tassi di interesse, il deficit e l’indebitamento pubblico, scatenando il declassamento del nostro paese, ricorda Della Luna, è stata innanzitutto la scelta, già nel 1981, di rinunciare alla sovranità pubblica della Banca d’Italia, che garantiva lo Stato, costringendo in tal modo il governo a finanziare il proprio debito pubblico sui mercati finanziari speculativi internazionali. «Prima, il debito pubblico era sotto controllo. Da allora in poi, e sempre più, l’impennata dei rendimenti sta operando un massiccio trasferimento di redditi e asset, attraverso le tasse e i tassi, dalla popolazione generale e dal settore pubblico alla comunità bancaria-finanziaria sovrannazionale». L’Italia ha un forte avanzo primario. E il suo deficit, gonfiato dagli interessi passivi, è arrivato a 2.100 miliardi. Tutto questo serve solo a «“mungere” il lavoro e il risparmio degli italiani, anche attraverso un artificioso liquidity crunch che li costringe a svendere e a svendersi».Questo drammatico travaso, continua Della Luna, è aggravato in modo decisivo dal sistema dell’euro: la Bce ha infatti prestato migliaia di miliardi allo 0,50% non più allo Stato ma alle banche. Denaro col quale gli istituti di credito comprano Btp che rendono anche oltre il 4%. Se questa è la regola aberrante dell’Eurozona – privilegiare le banche e colpire lo Stato – è pur vero però che il Trattato di Maastricht concede una scappatoia: lo Stato può farsi prestare gli euro direttamente dalla Bce attraverso una banca pubblica, o di cui sia comunque azionista di maggioranza. Perché i governi non vogliono approfittarne, salvando le finanze pubbliche senza più imporre “sacrifici umani”, super-tasse e tagli ai servizi vitali? «Perché sono al servizio degli stessi beneficiari di questo travaso», si risponde Della Luna, secondo cui l’ormai lontano divorzio tra Tesoro e Bankitalia resta una tappa fondamentale, sulla via della soppressione della sovranità monetaria e quindi della democrazia, insieme a Maastricht, all’euro, al Fiscal Compact.Una tappa fondamentale «non solo per la destabilizzazione finanziaria permanente dell’Italia e il suo perpetuo sfruttamento», ma anche per «la sottomissione politica dell’Italia al potere e all’interesse finanziario: è il grande golpe iniziale, rispetto a cui quelli recenti e ripetuti di Napolitano sono solo sotto-golpe attuativi». Due analisti indipendenti come Giovanni Zibordi e Claudio Bertoni hanno ottenuto conferma dalla Bce: se solo volesse, l’Italia potrebbe ottenere denaro a interesse bassissimo dalla Banca Centrale Europea, tagliando il debito di decine di miliardi l’anno, proprio in base all’articolo 123 del Tue. Obiettivo teoricamente a portata di mano, ma secondo Della Luna in realtà non realizzabile, perché «va contro gli interessi e i poteri che hanno, con successo e profitto, realizzato quanto sopra, acquisendo il dominio delle istituzioni nazionali ed europee».Per «dolosa omissione governativa», coperta da «combutta del silenzio tra mass media, istituzioni, politica», l’avvocato Marco Della Luna annuncia che, insieme a Loris Palmerini, sta lavorando alla redazione di una denuncia alla Corte dei Conti per “danno erariale”. Un buco colossale, da 80 miliardi di euro l’anno. E’ quanto lo Stato potrebbe “risparmiare”, tagliando di colpo il debito pubblico, semplicemente facendo ricorso all’articolo 123 del Tue, il Trattato di Maastricht, fondativo dell’Unione Europea. Il trattato, scrive Della Luna nel suo blog, «consente agli Stati dell’Eurozona di dotarsi di una banca statale e di usarla per finanziarsi presso la Bce ai tassi che questa pratica alle banche, cioè ora allo 0,25%». Risultato: «Lo Stato italiano potrebbe così risparmiare circa 80 miliardi l’anno». Perché nessuno si decide a imboccare questa strada? Germania e Francia già lo fanno, evitando di tassare a morte i cittadini e svendere il patrimonio nazionale a colpi di privatizzazioni.
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Basta tasse: come trovare, gratis, 70 miliardi l’anno
Possiamo far ripartire l’economia risparmiando fino a 70 miliardi di euro l’anno. La soluzione è scritta nell’articolo 123 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. Il governo può creare una banca di proprietà statale che lo finanzi. Il sistema è semplice: la Bce crea il denaro e lo presta alla banca pubblica allo 0,25% e la banca pubblica lo presta allo Stato a tassi di interesse nettamente inferiori all’attuale 4%. Lo abbiamo chiesto all’Unione Europea e il 14 gennaio 2014 abbiamo ricevuto la risposta. Si può fare. Ecco i dettagli tecnici e la corrispondenza con la Bce. L’immagine che ognuno di noi ha dell’Italia è di un paese in cui “non ci sono soldi” e la spiegazione che ci viene fornita è che i governi da decenni spendono di più di quello che incassano, per cui l’accumulo dei deficit pubblici cronici ha creato un enorme debito rendendo necessaria l’austerità.In realtà, la causa dell’elevato debito pubblico, attualmente di 2.100 miliardi, sta nel fatto che negli ultimi trenta anni lo Stato italiano ha pagato più di 3.000 miliardi di interessi. La soluzione del problema è quindi ridurre il costo degli interessi sul debito ad un livello pari o inferiore all’inflazione, come accade in Gran Bretagna, Stati Uniti, Giappone, Cina o come si faceva anche in Italia fino al 1981. Il problema del debito pubblico non è, quindi, un problema di deficit eccessivi, ma di interessi eccessivi: ce lo dicono i dati. Basta notare che dal 1992-1993 le spese delle Stato in Italia sono sempre inferiori alle entrate e addirittura, se guardiamo alla situazione attuale nel mondo, l’Italia è oggi il paese in cui lo Stato ha il surplus di bilancio più alto! Il debito pubblico italiano è esploso di colpo tra il 1982 al 1993, quando la spesa per interessi passò da 35 a 156 miliardi (traslando le lire di allora in euro di oggi). Si può quindi sostenere che, a parità (presumibilmente) di sprechi e corruzione, il debito pubblico è raddoppiato in percentuale del Pil a causa della spesa per interessi.I deficit annui (differenza tra spese ed entrate) hanno oscillato intorno ad una media di 40 miliardi annui e in percentuale del Pil hanno oscillato dal 3% al 7%, ma la spesa per interessi è raddoppiata in quattro anni, dai 35 miliardi del 1980 ai 69,8 miliardi del 1984 e di nuovo è raddoppiata a 142 miliardi nel 1991 per toccare un picco a 157 miliardi nel 1992. Dal 1992 lo Stato italiano ha applicato politiche di austerità, cioè di aumento delle tasse, aumentando le sue entrate in modo da avere sempre un avanzo di bilancio (differenza tra spese ed entrate prima degli interessi). Nonostante più di venti anni di politiche di austerità, cioè di imposizione fiscale crescente iniziate con i governi Ciampi e Dini nei primi anni ’90, lo Stato non è poi più riuscito a ridurre il debito pubblico a causa della “rincorsa” degli interessi che si cumulavano. La ragione di questa esplosione di spesa per interessi è che nel 1981 è caduto l’obbligo della Banca d’Italia di comprare debito pubblico calmierandone gli interessi (e dal 1989 si è vietato formalmente, nel Trattato di Maastricht ogni finanziamento dello Stato da parte della sua banca centrale).La “Troika” (Ue, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario) e i governi Monti, Letta e ora Renzi, non menzionano mai, però, questo semplice fatto, che il debito pubblico si è cumulato a causa del fatto che lo Stato è stato costretto a finanziarsi sul mercato e quindi pagare interessi reali elevati, mentre prima usufruiva del finanziamento di Banca d’Italia che ne riduceva il costo ad un livello pari o inferiori all’inflazione e quindi il debito non si accumulava (in percentuale sul Pil). In aggiunta, come molti sanno, con l’euro circa metà dei Btp sono stati comprati da investitori esteri, per cui almeno metà degli interessi pagati sono usciti dalla nostra economia (a differenza di quanto avveniva fino a metà anni ’90). Detto in parole semplici, lo Stato italiano è stato obbligato a farsi prestare denaro a costi di interessi dettati dalle banche estere (diciamo dal mercato finanziario estero), quando invece avrebbe potuto continuare a farsi finanziare a costo zero dalla Banca d’Italia. Se quindi eliminiamo questo laccio finanziario che costringe all’austerità permanente, l’Italia potrebbe ridurre le tasse in modo sostanziale e tornare ad essere un paese con un’economia paragonabile agli altri paesi europei e non un caso quasi disperato di depressione economica come accade ora.La soluzione. Lo Stato italiano può invertire questo meccanismo e da subito. In apparenza non sembra possibile farlo senza uscire dall’euro e rompere i trattati europei perché l’Unione Europea ha vietato alla Banca Centrale Europea di finanziare l’acquisto diretto di titoli di Stato e l’unica azione che la Bce può fare è quella di creare denaro per prestarlo alle banche. E’ vero che la Bce ha anche comprato nel 2011-2012 titoli di Stato di paesi in difficoltà, ma come misura di emergenza e in misura molto limitata perché appunto è vincolata dai trattati europei (a differenza delle banche centrali dei paesi anglosassoni e asiatici). La Bce da quando è iniziata la crisi finanziaria nel 2008 ha però creato (“dal niente” e senza costi) circa 2,800 miliardi di euro e ha di recente fornito alle banche più di 1.000 miliardi ad un costo vicino a zero, usati da queste per comprare titoli di Stato a lunga durata come i Btp. In pratica le banche italiane hanno ricevuto prestiti ad un costo inferiore allo 0,5% con cui hanno comprato Btp che rendevano più del 4%.E’ evidente che se lo Stato potesse prendere a prestito dalla Bce lo stesso denaro che ha fornito alle banche a questo tasso, risparmierebbe decine di miliardi e del famoso “spread” non si sentirebbe più parlare, ma come sappiamo questa strada sembra sbarrata, oltre che dall’opposizione dei quattro paesi nordici, dai trattati europei che l’Italia ha firmato. In realtà il comma 2 dello stesso articolo 123 offre una scappatoia agli Stati dell’Eurozona, perché prevede che gli enti creditizi di proprietà pubblica possano anche loro ricevere finanziamenti dalla Bce. E poi niente impedisce che girino questi soldi allo Stato. Uno stato della Ue che controlli enti creditizi potrebbe farsi finanziare da loro i deficit, pagando un interesse vicino a quello che la Bce offre, cioè vicino allo zero e comunque non superiore all’inflazione. L’ideale sarebbe non continuare ad emettere Btp, ma utilizzare prestiti diretti, ad esempio a tre anni, che rispetto all’acquisto di Btp offrono il vantaggio che il loro valore a bilancio non oscilla di anno in anno a causa di andamenti di mercato e quindi elimina il problema degli attacchi speculativi sul Btp.Su un debito pubblico italiano attuale di circa 2.000 miliardi questo significa arrivare a pagare interessi per ad esempio 10-20 miliardi annui invece che gli oltre 80 miliardi attuali. Anche se occorre del tempo perchè man mano il debito a scadenza venga rifinanziato con prestiti diretti di banche pubbliche, in pratica l’effetto di “calmiere” sul mercato lo sentiresti da subito, perché il mercato finanziario si renderebbe conto che lo Stato italiano ha di nuovo accesso diretto alla liquidità. In pratica avresti un effetto calmieratore sul costo del debito simile a quello che ottengono in Giappone, Gran Bretagna, Stati Uniti con l’accesso diretto alla liquidità della loro banca centrale. La sostanza è che se il debito pubblico venisse man mano rifinanziato tramite prestiti diretti di banche pubbliche (che hanno accesso al finanziamento della Bce), il suo costo non verrebbe più determinato dal mercato finanziario. Si tornerebbe cioè alla situazione pre-1981, quando il costo del debito pubblico non era un problema perché era costantemente pari o inferiore all’inflazione.Va sottolineato che non ci sarebbe alcun rischio per le banche pubbliche, perché lo Stato italiano, al netto degli interessi, è un ottimo “pagatore”. Infatti lo Stato italiano sarebbe in attivo negli ultimi 20 anni di 500 miliardi di euro (sempre al netto degli interessi). E’ chiaro che è un ottimo cliente per qualsiasi banca e un banca pubblica può prestare senza fini di lucro, ad un costo che copra le sue spese amministrative. Senza contare che prestare allo Stato non è considerato nei regolamenti bancari europei un rischio che richiede di accantonare capitale e di conseguenza è possibile per le banche prestare 500 o 1.000 miliardi senza dover aumentare di un euro il loro capitale (cosa dimostrata dal programma di Draghi chiamato “Ltro” lanciato a fine 2012, in cui appunto le banche hanno comprato centinaia di miliardi di Btp senza accantonare alcun capitale addizionale).Esiste quindi la strada per lo Stato italiano per arrivare a risparmiare anche 70 miliardi di euro di interessi all’anno. Abbiamo voluto verificare questa possibilità, (applicata in Germania e Francia tramite due enti pubblici, rispettivamente Kfw e Bpi), contattando gli uffici dell’Unione Europea circa la fattibilità dell’utilizzo di banche pubbliche per finanziare lo Stato. La risposta ricevuta per email (a nome della Bce) è stata affermativa: «Il divieto di scoperto bancario e di altre forme di facilitazione creditizia in favore dei governi non si applicano agli enti creditizi di proprietà pubblica che, nel contesto dell’offerta di liquidità da parte delle banche centrali, devono ricevere dalle banche centrali nazionali e dalla Banca Centrale Europea lo stesso trattamento degli enti creditizi privati». Inoltre, in riferimento a banche pubbliche: «Gli istituti di credito possono liberamente prestare i soldi ai governi o comprare i loro titoli di Stato, nonché prestare soldi a qualsiasi cliente».E’ quindi possibile per lo Stato italiano nazionalizzare una banca, la quale acceda alla liquidità della Bce e finanzi il suo debito ad un tasso di interesse appena superiore a quello applicato dalla Bce stessa e in ogni caso sempre molto inferiore a quello di mercato, che va ricordato è attualmente superiore del 3% all’inflazione. Stiamo parlando qui di come “trovare” non due o tre miliardi con l’Imu o qualche privatizzazione o risparmiando sulla sanità, le scuole, le infrastrutture, ma risparmiando sugli interessi, sulla rendita che da decenni lo Stato italiano paga a investitori esteri, banche e anche a investitori italiani. Si tratta alla fine di scegliere tra rendita finanziaria o lavoro e imprese. La rendita finanziaria ha incassato in trenta anni dallo Stato, lo ricordiamo ancora, più di 3.000 miliardi di euro di interessi, mentre le imprese e i lavoratori italiani venivano schiacciati da una tassazione soffocante, giustificata con il peso del debito pubblico di 2.000 miliardi, creato dall’accumularsi di questi interessi.Gli italiani devono rendersi conto che non è vero che “non si può fare niente” contro il peso del debito pubblico e delle tasse a causa dei trattati firmati e delle posizioni degli altri governi all’interno delle istituzioni europee. In realtà, un governo italiano competente e che abbia a cuore gli interessi degli italiani invece che del “mercato finanziario” può muoversi anche all’interno dei trattati europei. Il nostro, oltre che un articolo, è anche un appello ai cittadini italiani che trovino convincenti i fatti che abbiamo esposto e diffondano, ovunque possano, questa soluzione pratica al problema del debito, allo scopo di mettere la parola fine alle politiche di austerità che stanno soffocando l’economia italiana.(Giovanni Zibordi e Claudio Bertoni, sintesi dell’intervento “Il debito pubblico è un problema di interessi, non di deficit eccessivi e si può risolvere”, ripreso dal blog di Marco Della Luna. L’intervento integrale include il carteggio intercorso con l’Unione Europea e la Bce. Analista finanziario, Giovanni Zibordi gestisce uno dei siti finanziari più noti in Italia, www.cobraf.com; Claudio Bertoni proviene dall’imprenditoria del settore equo-solidale).Possiamo far ripartire l’economia risparmiando fino a 70 miliardi di euro l’anno. La soluzione è scritta nell’articolo 123 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. Il governo può creare una banca di proprietà statale che lo finanzi. Il sistema è semplice: la Bce crea il denaro e lo presta alla banca pubblica allo 0,25% e la banca pubblica lo presta allo Stato a tassi di interesse nettamente inferiori all’attuale 4%. Lo abbiamo chiesto all’Unione Europea e il 14 gennaio 2014 abbiamo ricevuto la risposta. Si può fare. Ecco i dettagli tecnici e la corrispondenza con la Bce. L’immagine che ognuno di noi ha dell’Italia è di un paese in cui “non ci sono soldi” e la spiegazione che ci viene fornita è che i governi da decenni spendono di più di quello che incassano, per cui l’accumulo dei deficit pubblici cronici ha creato un enorme debito rendendo necessaria l’austerità.
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Vedrete, Renzicchio riuscirà a farci rimpiangere Letta
Bando alle ciance sul premier più giovane e sul governo più rosa della storia italiana. Chissenefrega della propaganda: il governo Letta vantava il record dell’età media più bassa, infatti è durato meno di una gravidanza. Fino a oggi avevamo concesso a Matteo Renzi – come sempre facciamo, senza preconcetti – il sacrosanto diritto di fare le sue scelte prima di essere giudicato. Ora che le ha fatte possiamo tranquillamente dire che il suo governicchio è un Letta-bis, cioè un Napolitano-ter che potrebbe addirittura riuscire nell’ardua impresa di far rimpiangere quelli che l’hanno preceduto. Già la lista con cui è entrato al Quirinale presentava poche novità vere, anzi una sola: quella del magistrato antimafia Nicola Gratteri alla Giustizia. Quella che ne è uscita dopo due ore e mezza di cancellature a opera di Napolitano è un brodino di pollo lesso che delude anche le più tiepide aspettative di svolta.E il fatto che la scure di Sua Maestà si sia abbattuta proprio su Gratteri la dice lunga sul livello di non detto dei patti inconfessabili che Renzi ha voluto o dovuto stringere col partito trasversale del Gattopardo. Se il premier fosse quello che dice di essere, avrebbe dovuto tener duro su Gratteri o mandare tutto a monte. Invece s’è democristianamente genuflesso a baciare la pantofola e ha nominato il ragionier Orlando, ultimamente parcheggiato all’Ambiente («Orlando chi?», avrebbe detto Renzi qualche giorno fa), rinunciando a dare una sterzata alla Giustizia. Complimenti vivissimi a lui e a Giorgio Napolitano, che si conferma il peggior presidente della storia repubblicana: se Scalfaro nel ‘94 usò il potere di nominare i ministri per sbarrare la strada a Previti, lui l’ha usato per fermare un pm competente, efficiente, onesto ed estraneo alle correnti. E non per un’allergia congenita ai Guardasigilli togati: nel 2011 firmò l’incredibile nomina del magistrato forzista Nitto Palma, amico di B. e di Cosentino.Il veto è proprio ad personam contro Gratteri, che la Giustizia minacciava di farla funzionare sul serio, senza più indulti, amnistie, svuota carceri e leggi vergogna. Davvero troppo per lo Stato che tratta con la mafia e per il suo capo. Accettando senza batter ciglio i veti del Colle, della Bce e di Bankitalia, Renzicchio si candida al ruolo di rottamatore autorottamato. Poteva tentare una svolta, costi quel che costi: s’è prontamente fatto fagocitare dalla “palude” che rinfacciava a Letta. Voleva essere il primo premier della Terza Repubblica: sarà il terzo premier a sovranità limitata, circondato da un accrocco di partitocrati di nuova generazione che non danno alcuna garanzia di esser meglio degli antenati. Con due sole eccezioni: il ministro dell’Economia Padoan, finto tecnico che rassicura le autorità europee e mastica politica da una vita, infatti era consigliere di D’Alema (Renzi voleva Delrio, poi anche lì ha alzato bandiera bianca); e l’addetta allo Sviluppo Federica Guidi, che ha soprattutto il merito di essere una turbo berlusconiana e la figlia di papà Guidalberto.Alfano, che Renzi voleva cacciare dal Viminale per l’affare Shalabayeva, resta a pie’ fermo al Viminale. Lupi, che persino il renziano De Luca accusava di farsi gli affari suoi alle Infrastrutture, rimane imbullonato dov’è. Un altro formidabile conflitto d’interessi porta con sé Giuliano Poletti, ras delle coop rosse, al Lavoro. Notevole anche la Pinotti, genovese come Finmeccanica, alla Difesa. La catastrofe Lorenzin farà altri danni alla Salute. Il multiuso Franceschini passa dai Rapporti col Parlamento alla Cultura. La Giannini, segretaria di quel che resta di Scelta civica, va all’Istruzione. Il cerchietto magico renziano si aggiudica gli Esteri con la Mogherini, le Riforme con la Boschi, la Pubblica amministrazione con la Madia (avete capito bene: Madia). Un po’ di fumo negli occhi con la sindaca antimafia Lanzetta alle Regioni, poi due figuranti come Martina all’Agricoltura e il casiniano Galletti che, essendo commercialista, va all’Ambiente. “Ora mi gioco la faccia”, ha detto Renzi. Già fatto.(Marco Travaglio, “Il Renzicchio”, da “Il Fatto Quotidiano” del 22 febbraio 2014, ripreso da “Micromega”).Bando alle ciance sul premier più giovane e sul governo più rosa della storia italiana. Chissenefrega della propaganda: il governo Letta vantava il record dell’età media più bassa, infatti è durato meno di una gravidanza. Fino a oggi avevamo concesso a Matteo Renzi – come sempre facciamo, senza preconcetti – il sacrosanto diritto di fare le sue scelte prima di essere giudicato. Ora che le ha fatte possiamo tranquillamente dire che il suo governicchio è un Letta-bis, cioè un Napolitano-ter che potrebbe addirittura riuscire nell’ardua impresa di far rimpiangere quelli che l’hanno preceduto. Già la lista con cui è entrato al Quirinale presentava poche novità vere, anzi una sola: quella del magistrato antimafia Nicola Gratteri alla Giustizia. Quella che ne è uscita dopo due ore e mezza di cancellature a opera di Napolitano è un brodino di pollo lesso che delude anche le più tiepide aspettative di svolta.
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Il blitz contro di noi, per il quale hanno scelto Renzi
Ora la lista la conosciamo si può fare qualche previsione. Il primo 50% dei ministeri è “senza portafoglio”, così come il restante 50%. Il portafoglio ce l’ha solo chi comanda, ovvero Piercarlo “il dolore è efficace” Padoan, che non ha neanche giurato subito assieme agli altri ministri. È rimasto in Australia, dove stava lavorando al G20 per l’Ocse, caso mai qualcuno non avesse chiaro quali siano le priorità. Giurerà più tardi con comodo, quando deciderà lui. Comunque tutto questo è coreografia, quello che conta è che Padoan è lì per fare quello che lui sa che deve esser fatto, come dicono anche Rehn e Visco (e Draghi).Cosa accadrà ora? La pressione fiscale probabilmente è arrivata al limite, non si può spremere oltre. Certamente c’è da mettere in conto che preparino una qualche forma di patrimoniale, ma il bersaglio grosso ora dovrebbe essere la legislazione del lavoro.Questo è un punto fondamentale, perchè disarticolare completamente i brandelli di diritto del lavoro residui realizzerà uno scenario che anche nel caso di evoluzioni future ora imprevedibili renderà disponibili per molti anni grossi volumi di mano d’opera a buon mercato utilizzabile quasi senza vincoli, con dei costi molto più convenienti anche rispetto alla schiavitù, come spiegava qui “Gz” qualche giorno fa. C’è da aspettarsi qualcosa di simile a un blitz, un po’ come hanno fatto per l’operazione BdI. Renzi non ha nemici interni e ha le spalle coperte dalla cosca finanziaria internazionale e dai media (ogni giorno intervistano Davide Serra su quotidiani o radio, stamattina su Radio1 alle 7.30, ad esempio). Non appena si è ripreso dal brutto quarto d’ora che ha passato, lo stesso Bersani ha rilasciato un’intervista in cui raccomanda a tutti di votare la fiducia al governo, per sgombrare il campo da equivoci. Sa che mettersi di traverso è pericoloso, vedendo come “loro” hanno condotto la “guerra dei sei giorni”: hanno fatto a pezzi Letta e messo in un angolo Napolitano (che sembrava un semidio fino a un mese fa) senza il minimo tentennamento.L’“operazione Friedman” ha come obiettivo dichiarato quello di obbligare l’Italia a “fare le riforme”, e in Italia si appoggia a grossi pezzi di Confindustria che lavorano per l’export e hanno necessità di poter pagare salari da Cina in modo finalmente legale qui in Italia. Questo distruggerà ancora di più il mercato interno ma è un problema nostro, non loro.Nel proteggere l’operazione hanno un ruolo chiave i militanti Pd. Quelli rimasti, ormai, sono dei fedelissimi che difendono il Verbo delle riforme strutturali fino alla morte, e come Gondrano lavorano sodo per difendere il progetto, contro ogni evidenza di devastazione in corso in Europa e in Italia. Questo non è uno scherzo ma è un sistema ottimamente organizzato che eredita il modello leninista, presidia il territorio con centinaia di sedi in tutta Italia e si mobilita come un piccolo esercito che si muove compatto ed efficace quando necessario.Fingono malessere e scrupoli di coscienza, ogni tanto, ma poi rientrano nei ranghi, e silenzio. Qui è il grande succcesso del principio per cui “il partito epurandosi si rafforza”: quanto minore è la partecipazione complessiva al voto, tanto più aumenta il peso relativo e l’efficacia, sullo scenario, di questa minoranza organizzata. Per chi vuole contrastare il progetto totalitario dell’Eurozona c’è molto da imparare di fronte alla disciplina marziale con cui si muovono i pretoriani eurofili; il punto principale è che nel momento cruciale non si scannano tra loro, ma si chiudono come una falange oplitica. Non è politica nè economia: è strategia militare.(Daniele Basciu, “Il blitz”, da “EconoMmt” del 24 febbraio 2014).Ora la lista la conosciamo si può fare qualche previsione. Il primo 50% dei ministeri è “senza portafoglio”, così come il restante 50%. Il portafoglio ce l’ha solo chi comanda, ovvero Piercarlo “il dolore è efficace” Padoan, che non ha neanche giurato subito assieme agli altri ministri. È rimasto in Australia, dove stava lavorando al G20 per l’Ocse, caso mai qualcuno non avesse chiaro quali siano le priorità. Giurerà più tardi con comodo, quando deciderà lui. Comunque tutto questo è coreografia, quello che conta è che Padoan è lì per fare quello che lui sa che deve esser fatto, come dicono anche Rehn e Visco (e Draghi). Cosa accadrà ora? La pressione fiscale probabilmente è arrivata al limite, non si può spremere oltre. Certamente c’è da mettere in conto che preparino una qualche forma di patrimoniale, ma il bersaglio grosso ora dovrebbe essere la legislazione del lavoro.
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Freccero: perché i giornalisti non tollerano chi protesta
La Tav viene presentata dalla stampa come un problema di ordine pubblico, di devianza e addirittura di terrorismo. La domanda da porsi sarebbe: perché la Tav entra in agenda solo come un problema di ordine pubblico? E ancora: perché la stampa ha perso il suo ruolo storico di strumento critico – pensate a tutti quei film che hanno immortalato attraverso l’immaginario hollywoodiano la stampa come controsistema – per diventare oggi completamente asservita al potere dominante? La risposta che si da solitamente è che la stampa è alla dipendenza della casta politica e ne segue i diktat. Bene, non solo. Meglio: il giornalismo rappresenta a sua volta una casta: c’è una casta che muove in qualche modo le fila come un burattinaio, le fila che muovono l’opinione pubblica sono i giornalisti asserviti al potere. E se il problema fosse più complesso? Se anziché essere persuasori occulti i giornalisti fossero in buona fede persuasi (sottolineo persuasi) dal pensiero unico?Preso atto che naturalmente l’agenda dei media influenza l’opinione pubblica, la domanda da porsi è: in base a quali principi si costruisce questa agenda, quali sono gli elementi che hanno indotto la stampa a cambiare radicalmente la sua funzione da giornalismo d’inchiesta e critica sociale a difesa del consenso? Queste sono le domande da porsi. Bene. La cosa più interessante è che pensiamo alla parola “dissenso”. E qui iniziamo un ragionamento. Negli anni delle lotte per i diritti civili, la parola dissenso era sinonimo di democrazia. Oggi invece è piuttosto sinonimo di: devianza, delinquenza, terrorismo. Il movimento No Tav esprime il dissenso delle popolazioni coinvolte rispetto al progetto approvato a livello centrale: pertanto è un caso di “insubordinazione”, è fuori dalla maggioranza. Ritengo che il caso No Tav non sia un caso singolo, ma un format, che si replica in tutti i casi di minoranze che si oppongono all’ordine del discorso quantitativo della nostra epoca.Noi viviamo attualmente le contraddizioni di vivere con una Costituzione formalmente basata sul principio illuministico di difesa delle minoranze ma cerchiamo di applicarla in modo contrario (è questo il tema della discussione politica di oggi) affinché la maggioranza possa esercitare quella che è di fatto una dittatura. Per vedere come questo format si può estendere prendiamo il caso del Parlamento. La dialettica parlamentare nasce per permettere anche alle minoranze di esporre le proprie idee e partecipare alla costruzione della legge. Piglio l’esempio della Boldrini: intervistata da Fabio Fazio sul decreto Imu-Bankitalia (scandaloso) la Boldrini ha giustificato la “ghigliottina” dicendo che era suo dovere, in veste di presidente della Camera, troncare il dibattito parlamentare per permettere alla maggioranza (sottolineo “permettere alla maggioranza”) di governo di legiferare. Interessante.Dunque il Parlamento va esautorato, le leggi sono un prodotto dell’esecutivo in quanto appoggiato dalla maggioranza, e le minoranze sono di per sé qualcosa di illegale, che dev’essere in qualche modo ricondotto al volere dei più. Ecco questo format che si ripete anche nella situazione della Boldrini. Io, guardate, è dagli anni ’80 che mi occupo di maggioranza e sono stato forse il primo a segnalare in qualche modo, partendo dall’analisi dell’audience televisiva, come l’uso continuo del sondaggio avesse a poco a poco sostituito a livello sociale la ricerca del sapere foucoltiano o della verità in generale. E se tutte le scelte – anche politiche e morali – avvengono su base quantitativa, non è più possibile esprimere dissenso, è chiaro. Abolito il concetto di verità da parte del pensiero debole (altra cosa molto importante) non esiste più alcun elemento valido per opporsi ai valori della maggioranza.Ecco che a tutto ciò si è poi aggiunto in qualche modo, dopo l’11 Settembre, un clima – come posso dire – di guerra permanente, che giustifica in qualche modo un permanente stato di eccezione. Ecco, questa qua è l’altra cosa fondamentale, e sottolineo “stato di eccezione” che a sua volta giustifica il superamento di qualsiasi garanzia democratica. Ricordo un programma di Santoro, “Servizio Pubblico”, che mesi fa ha intervistato due No-Tav come “terroriste” in quanto così presentate dalla stampa e dalla forza pubblica. Erano due ragazze giovanissime, simpatiche, belle, tranquille. Ma questo cosa vuol dire: che oggi che il semplice dissenso è sinonimo di terrorismo. Questa è una cosa che sta passando tranquillamente: chi si difende perché aggredito, anche se vede in parte riconosciute le sue ragioni, viene comunque presentato come dalla parte del torto perché (orrore!) ha operato in modo violento opponendosi all’ordine della maggioranza. La violenza è tollerata solo nel senso della forza pubblica.Altro elemento fondamentale: dopo l’11 Settembre, in America, sono state sdoganate la tortura, Guantanamo e tutte le forme di guerra. Apro questo inciso perché un altro elemento che ha lavorato nel nostro inconscio, quella violenza che genera orrore e in qualche modo raccapriccio se messa in opera da parte dissenziente, viene vissuta come buona e giusta qualora sia un’emanazione del potere costituito. In “24”, la serie americana, Jack Bauer combatte il terrorismo con la violenza e la tortura, e scene di punizione corporale. Bene, in Italia la polizia (già col G8 si era entrati in uno stato di eccezione che ricordo molto bene, e prima ancora che a Genova anche a Napoli) può picchiare, usare lacrimogeni pur di contenere comunque ogni e qualsiasi forma di dissenso, anche il più pacifico ed innocuo. E’ il dissenso in sé ad essere considerato criminale perché rallenta il raggiungimento degli obiettivi della maggioranza. E il pensiero critico, che è stato il mito della mia giovinezza, della nostra generazione, appare ormai come elemento di disturbo. In vent’anni di berlusconismo, la scuola è diventata una fabbrica per replicare il pensiero unico. Solo un valore ottiene riconoscimento: l’obbedienza al conformismo vigente. E questo vale in particolare per il giornalismo.(Carlo Freccero, “No Tav e media”, estratti dell’intervento pronunciato il 18 febbraio 2014 al Circolo dei Lettori di Torino, ripreso dal sito No-Tav “Controsservatorio Valsusa”).La Tav viene presentata dalla stampa come un problema di ordine pubblico, di devianza e addirittura di terrorismo. La domanda da porsi sarebbe: perché la Tav entra in agenda solo come un problema di ordine pubblico? E ancora: perché la stampa ha perso il suo ruolo storico di strumento critico – pensate a tutti quei film che hanno immortalato attraverso l’immaginario hollywoodiano la stampa come controsistema – per diventare oggi completamente asservita al potere dominante? La risposta che si da solitamente è che la stampa è alla dipendenza della casta politica e ne segue i diktat. Bene, non solo. Meglio: il giornalismo rappresenta a sua volta una casta: c’è una casta che muove in qualche modo le fila come un burattinaio, le fila che muovono l’opinione pubblica sono i giornalisti asserviti al potere. E se il problema fosse più complesso? Se anziché essere persuasori occulti i giornalisti fossero in buona fede persuasi (sottolineo persuasi) dal pensiero unico? -
La Germania sta spolpando le nostre migliori aziende
«Si chiama Spirale della Deflazione Economica Imposta. Ne ho scritto per la prima volta 4 anni fa ne “Il Più Grande Crimine”», ricorda Paolo Barnard. «Dissi che la Germania e la Francia avevano progettato la distruzione dei paesi industrializzati del sud Europa con l’adozione dell’euro, in particolare dell’Italia, perché era la Piccola Media Impresa italiana che aveva stroncato quella tedesca, al punto che nel 2000, prima dell’euro, l’Italia era il maggior produttore e la Germania l’ultimo (dati Banca d’Italia)». Oggi lo scenario si è ribaltato, puntualmente. E le imprese tedesche vengono a fare shopping da noi, perché «in quel comparto industriale abbiamo il miglior sapere al mondo». E, grazie alla trappola dell’euro, che ha «deprezzato l’economia italiana a livello albanese», i tedeschi comprano le aziende italiane a prezzi stracciati. Lo conferma un recente report del “Financial Times”: «Le piccole medie imprese tedesche si sono gettate in un’abbuffata trans-alpina, rendendole le più attraenti acquirenti straniere in Europa di aziende italiane».«Aziende della base industriale del Mittelstand tedesco ottengono accesso al sapere tecnologico di aziende italiane in difficoltà, mentre in alcuni casi spostano i loro quartieri generali oltr’alpe», scrive il quotidiano finanziario il 27 gennaio, sottolineando l’importanza del “sapere tecnologico italiano”. «Le aziende tedesche stanno afferrando opportunità d’espansione mentre la recessione sospinge verso il basso il prezzo degli affari nel sud Europa in difficoltà». Per Barnard, è esattamente «la Spirale della Deflazione Economica Imposta, per comprarci con due soldi» grazie alle restrizioni promosse dal sistema Ue-Bce. Marcel Fratzscher, direttore dell’istituto economico tedesco Diw, ammette che il terreno di caccia del business tedesco è soprattutto l’area in crisi, dove i tedeschi possono “aiutare” le piccole e medie aziende italiane, che «spesso faticano a ottenere credito». Ovvio: «A noi la Germania ha proibito di avere una “banca pubblica” come la tedesca Kfw», protesta Barnard. Una banca che, «barando sui deficit di Stato tedeschi, ha versato miliardi in crediti alle aziende tedesche».«Le acquisizioni – continua il “Financial Times – sono spesso descritte come accordi strategici, ma degli insider ci dicono che il linguaggio nasconde una serie di acquisizioni aggressive». Di fatto, è la “conquista” di aziende italiane, contro la volontà dei proprietari italiani costretti a vendere. «In alcuni casi gli accordi sono strutturati in modo che il marketing e il management sono esportati dall’Italia, spogliando l’azienda acquistata fino alle sue strutture produttive». Carlos Mack, di Lehel Invest Bayern, dice al “Financial Times” che la logica dietro al trasferimento delle sedi delle aziende italiane «è di avere sia i beni di valore che il marketing e il management in Germania, perché così si ha accesso più facile al credito bancario da banche non italiane». Sempre Mack dice che le aziende tedesche «non sono interessate al mercato italiano, ma solo al prodotto italiano». Ovvero, «sono interessate a vendere il prodotto italiano altrove». Per Barnard, è «la conferma che noi abbiamo le più straordinarie piccole medie imprese del mondo, e ora ci portano via i gioielli della nostra produzione».«A differenza delle aziende italiane – continua il “Financial Times” – le tedesche hanno poche difficoltà a trovare crediti». Una ricerca ha evidenziato che «le banche italiane lavorano bene con le succursali tedesche in Italia, facendogli credito, per proteggersi dai loro investimenti nelle aziende italiane in difficoltà». Ma come, non erano in difficoltà le nostre banche? «Perché prestano ai tedeschi e non a noi?». E’ un “trucco”, innescato dalla Deflazione Economica Imposta dall’euro: «Le nostre aziende affogano, quindi le banche italiane strangolano le aziende italiane perché sono in difficoltà, e arrivano i tedeschi a papparsi i nostri marchi di prestigio a 2 soldi, e le banche italiane ci fanno affari». Norbert Pudzich, direttore della Camera di Commercio Italo-Tedesca a Milano, dice che anche prima della recessione le aziende italiane avevano difficoltà a trovare crediti, perché ad esse manca lo stretto rapporto con le banche “di casa”, che invece le aziende tedesche del Mittelstand hanno. Infatti, osserva Barnard, la stessa Kfw «ha versato miliardi di euro di spesa pubblica sottobanco alle aziende tedesche, barando, mentre costringevano noi a rantolare senza un centesimo dal governo».«Tutto questo – conclude Barnard – io lo denunciai 4 anni fa, e mi davano del pazzo. Questa è la distruzione pianificata di una civiltà, quella italiana, delle nostre famiglie, dei nostri ragazzi. Questo è un crimine contro l’umanità, perché lo stesso accade in altri paesi europei. Questo è nazismo economico». I tedeschi? «Non cambieranno mai», sono «sterminatori nell’anima», andrebbero «commissariati dall’Onu per sempre». Barnard l’ha ripetuto in decine di conferenze, mostrando una slide dell’“Economist”: ora, con la nostra economia retrocessa a condizioni da terzo mondo «proprio a causa dell’Eurozona voluta da Germania e Francia», la Germania e altre potenze vengono a rastrellare aziende italiane pagandole quattro soldi. Tutto previsto: era un piano preciso. Se cessi di immettere denaro nel sistema, proibendo allo Stato di spendere, vince chi bara – in questo caso la Germania, in cu lo Stato finanzia (di nascosto) le aziende, creando un enorme vantaggio competitivo, completamente sleale. La politica italiana? Non pervenuta. E’ per questo che i “predatori” hanno campo libero. E il paese precipita.«Si chiama Spirale della Deflazione Economica Imposta. Ne ho scritto per la prima volta 4 anni fa ne “Il Più Grande Crimine”», ricorda Paolo Barnard. «Dissi che la Germania e la Francia avevano progettato la distruzione dei paesi industrializzati del sud Europa con l’adozione dell’euro, in particolare dell’Italia, perché era la Piccola Media Impresa italiana che aveva stroncato quella tedesca, al punto che nel 2000, prima dell’euro, l’Italia era il maggior produttore e la Germania l’ultimo (dati Banca d’Italia)». Oggi lo scenario si è ribaltato, puntualmente. E le imprese tedesche vengono a fare shopping da noi, perché «in quel comparto industriale abbiamo il miglior sapere al mondo». E, grazie alla trappola dell’euro, che ha «deprezzato l’economia italiana a livello albanese», i tedeschi comprano le aziende italiane a prezzi stracciati. Lo conferma un recente report del “Financial Times”: «Le piccole medie imprese tedesche si sono gettate in un’abbuffata trans-alpina, rendendole le più attraenti acquirenti straniere in Europa di aziende italiane».
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Foa: se Grillo regala un autogoal al club dei bugiardi
Circa un anno fa scrissi un post intitolato “Far fuori Berlusconi e poi Grillo”. Cos’è successo al Cav lo sappiamo, così come sappiamo cos’è destinato ad accadere quando la magistratura lo riterrà opportuno: arresti domiciliari o servizi sociali. Ora tocca a Grillo. Non per via giudiziaria, ma mediatica. Con il gentilissimo e inaspettato contributo dello stesso Movimento 5 Stelle. Mi spiego: esaurita la fase della protesta pacifica di piazza (Vaffaday) e della straordinaria mobilitazione via internet che ha consentito un risultato elettorale travolgente (chapeau a Casaleggio), il Movimento 5 Stelle avrebbe dovuto modificare la propria strategia, sdoppiandola: da un lato continuare a interpretare il (peraltro crescente) malumore del paese, dall’altro dosare attentamente le provocazioni e le sparate mediatiche al fine di proporsi sempre di più come forza credibile a autorevole.E’ quel che, ad esempio, sta facendo da anni in Gran Bretagna il leader anticonformista e antieuropeista Nigel Farage, di gran lunga superiore a Beppe Grillo per dialettica, conoscenza dei dossier, credibilità personale. L’esercizio è difficile ma obbligato. Chi non lo capisce è destinato se non all’autodistruzione perlomeno a farsi tanto male; come sta accadendo a Grillo e Casaleggio, che negli ultimi giorni sono stati protagonisti di un autentico disastro mediatico. Non entro nel merito della protesta contro il decreto Imu e Bankitalia, né della richiesta di impeachment di Napolitano, sacrosanta la prima, giustificatissima la seconda. Il mio punto di vista è del comunicatore che, per valutare l’impatto mediatico di ogni azione politica, si mette nei panni del cittadino comune, che non legge il blog di Grillo ma che da Grillo è tentato come molti italiani di destra e di sinistra.E che in queste ore ha assistito ai seguenti fatti in rapida successione: gazzarra su un decreto di cui non ha capito bene il senso perchè la materia è complicata (regalo a Bankitalia? E cosa c’entra Bankitalia con l’Imu?); rissa in Parlamento documentata dalle tv; insulti contro le deputatesse e schiaffi in commissione; libro bruciato; filmato provocatorio contro la Boldrini, incitamento allo stupro della stessa, battute inopportune e sessiste su Twitter da parte di rappresentanti ufficiali; accuse a Casaleggo di manipolare i deputati attraverso la Programmazione Neuro-Linguistica; attacco improvvido e assai sciocco di un personaggio pubblico, Rocco Casalino, che gli italiani conoscono più come partecipante al Grande Fratello che come (inverosimile) portavoce del Movimento, alla giornalista Daria Bignardi (che con le domande insistite sul padre fascista di Di Battista cercava visibilmente la provocazione).Risultato: all’italiano medio, moderato, che non segue quotidianamente la politica, ma il cui voto è decisivo in ogni elezione, resta una sensazione di disagio, di confusione, di diffidenza. Non capisce perché, non capisce come, ma matura l’impressione che il Movimento sia animato da esagitati, che lo stesso Grillo non riesce a controllare. In queste ore si è creato un frame collettivo molto pericoloso per il M5Stelle: nella mente di molti italiani ora è incorniciato come un Movimento disorganizzato, estremo, inaffidabile. Proprio il risultato a cui l’establishment mirava da circa un anno. E che, dopo tanti tentativi falliti, è stato ottenuto nel modo più soprendente: con l’amplificazione dei media ma essenzialmente per autocastrazione degli stessi grillini, per una volta incapaci di comunicare, di gestirsi, di maturare politicamente. Vittime di loro stessi e della superficialità di Grillo e Casaleggio. Gli altri partiti sentitamente ringraziano.(Marcello Foa, “Grillo, autocastrazione di un leader”, dal blog di Foa su “Il Giornale” del 4 febbraio 2014).Circa un anno fa scrissi un post intitolato “Far fuori Berlusconi e poi Grillo”. Cos’è successo al Cav lo sappiamo, così come sappiamo cos’è destinato ad accadere quando la magistratura lo riterrà opportuno: arresti domiciliari o servizi sociali. Ora tocca a Grillo. Non per via giudiziaria, ma mediatica. Con il gentilissimo e inaspettato contributo dello stesso Movimento 5 Stelle. Mi spiego: esaurita la fase della protesta pacifica di piazza (Vaffaday) e della straordinaria mobilitazione via internet che ha consentito un risultato elettorale travolgente (chapeau a Casaleggio), il Movimento 5 Stelle avrebbe dovuto modificare la propria strategia, sdoppiandola: da un lato continuare a interpretare il (peraltro crescente) malumore del paese, dall’altro dosare attentamente le provocazioni e le sparate mediatiche al fine di proporsi sempre di più come forza credibile a autorevole.