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La Truffa dei Sei Giorni: così Israele eliminò l’Ataturk arabo
La Truffa dei Sei Giorni: «In realtà la guerra-lampo del 1967 durò appena 6 minuti, il tempo che impiegò l’aviazione israeliana per annientare quella egiziana, ancora a terra», senza che un solo aereo del Cairo avesse potuto decollare. E i famosi Sei Giorni? «Servirono solo a occupare e annettere territori non-israeliani, che da allora – con la sola eccezione del Sinai – fanno parte di Israele». Parola dello storico statunitense Norman Filkenstein, intervistato da Aaron Mate per l’emittente “The Real News” nel cinquantesimo anniversario della Guerra dei Sei Giorni, giugno 1967, evento fondante del mito vittimistico dell’autodifesa di Israele, paese “attaccato dagli arabi”. Un falso storico, accusa l’autore del bestseller “Palestine: Peace Not, Apartheid”, tradotto in 50 paesi. Fu Israele a provocare il conflitto, afferma Filkenstein: abbattè deliberatamente alcuni aerei siriani, ben sapendo che l’Egitto sarebbe stato costretto a schierarsi con la Siria, cui era legato da un patto di mutua assistenza. Obiettivo segreto di Tel Aviv: conquistare falcilmente territori, sapendo (da Cia e Mossad) che gli arabi non avrebbero potuto resistere. E soprattutto: demolire il leader politico egiziano Nasser, temutissimo come possibile “Ataturk arabo”, capace di guidare lo sviluppo laico del Medio Oriente, superando la storica arretratezza della regione.A partire dal 5 giugno del 1967, ricorda Filkenstein, Israele «ha catturato il Sinai egiziano, le alture del Golan siriano, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza. Con l’eccezione del Sinai, Israele controlla ancora tutti questi territori. Di fatto l’occupazione militare israeliana della Cisgiordania e di Gaza è la più lunga dei tempi moderni». La versione ufficiale del mainstream è quella ancora oggi rilanciata dal “New York Times”, che scrive: «Quest’anno segna mezzo secolo dalla guerra arabo-israeliana del 1967, nella quale Israele ha resistito vittoriosamente a una minaccia di annientamento da parte dei suoi vicini arabi». Tutto falso, replica lo storico: «E’ un grosso problema, è ciò che noi chiamiamo “falsificare la storia”». E spiega: sia la Cia che il Mossad – è documentato – sapevano perfettamente che gli eserciti arabi non avrebbero potuto resistere all’attacco di Israele, la cui unica preoccupazione era: come avrebbe reagito il presidente americano Lyndon Jonhson? «Nel 1957, dieci anni prima, gli Usa avevano agito con molta severità. Dwight Eisenhower aveva dato a Israele un ultimatum: uscite dal Sinai, o dovrete affrontare una forte reazione del governo degli Stati Uniti. Nel 1967 gli israeliani avevano paura che si ripetesse la situazione del 1957».Sicché, Tel Aviv mandò emissari a tastare il polso di Washington. Come il generale Meir Amit, capo del Mossad. La risposta degli Usa: nessun indizio che il presidente egiziano Abdel Gamal Nasser stesse per attaccare Israele. Nasser, disse Johnson, sa benissimo che, «se vi attacca, voi israeliani gli darete una batosta». Una valutazione Cia, identica a quella del Mossad. Tel Aviv sapeva perfettamente che non aveva nulla da temere, dall’Egitto. Il segretario alla difesa, Robert McNamara, fu ancora più preciso: disse a Israele che, in caso di guerra, avrebbe vinto in 7 giorni, 10 al massimo. Era vero: la guerra sarebbe terminata «non solo in 6 giorni, ma letteralmente in 6 minuti circa», afferma Filkenstein. «Nel momento in cui Israele ha lanciato il suo attacco-lampo e distrutto la flotta aerea egiziana, che era ancora al suolo, ha tolto tutti gli appoggi aerei alle truppe al suolo. Era finita. L’unica ragione per la quale questa guerra è durata sei giorni, è perché volevano impadronirsi dei territori. Era un’occupazione violenta delle terre». Come sono riusciti a coinvolegere l’Egitto, sapendo che mai Nasser – di sua iniziativa – avrebbe aperto le ostilità? Semplice: attaccando la Siria, alleata dell’Egitto. Fu lo stesso Moshe Dayan ad ammettere che, nell’aprile del 1967, Israele abbattè 6 aerei siriani, uno dei quali nel cielo sopra Damasco.Ammise Dayan, poi uomo-chiave del governo Begin a partire dal 1977: «Vi dirò perché noi avevamo tutti questi conflitti con la Siria. C’era una zona smilitarizzata tracciata dopo la guerra del 1948 tra la Siria e Israele. Almeno l’80% del tempo noi mandavamo dei bulldozer in questa zona smilitarizzata perché Israele era impegnata a occupare territori con la forza». Israele, quindi, cercava di impadronirsi di terre nella zona smilitarizzata. Racconta Filkenstein: «Mandava dei bulldozer, i siriani reagivano, e questo aumentava la tensione. Nel aprile 1967 questo è sfociato in un combattimento aereo tra siriani e israeliani. Dopodiché Israele ha cominciato a minacciare, verbalmente, di lanciare un attacco contro la Siria. La dichiarazione più celebre in quel momento la fece Yitzhak Rabin, ma numerosi responsabili israeliani minacciavano la Siria». Lo storico israeliano Ami Gluska, nel suo libro “L’esercito israeliano e le origini della guerra del 1967”, scrive: «La valutazione sovietica della metà di maggio 1967, che Israele stava per colpire la Siria, era giusta e ben fondata». C’erano voci attendibili, dunque, secondo le quali Israele avrebbe aggredito gli arabi. Gluska «conferma che gli israeliani avevano preso la decisione di attaccare».L’Egitto aveva un patto di difesa con la Siria: sapendo che era imminente un attacco israeliano aveva l’obbligo di andare in aiuto di Damasco. Per questo, Nasser ha schierato – a scopo dissuasivo – delle truppe egiziane nel Sinai, zona allora presidiata da una forza di pace dell’Onu, l’Unef. La United National Emergency Force divideva l’Egitto da Israele. Nasser ha chiesto a U Thant, segretario generale dell’Onu, di ritirarla. In forza della legge, U Thant era obbligato a ritirare quelle truppe. «Ma c’era una risposta molto semplice alla richiesta di Nasser: spostate le truppe dell’Onu sul versante israeliano», ricorda Filkenstein. «Nel 1957, quando era stata schierata l’Unef, si erano accordati per disporla sia sul lato egiziano della frontiera, sia sul lato israeliano. Così, nel 1967, quando Nasser ha detto: “Ritirate l’Unef dalla nostra parte”, tutto quello che Israele doveva dire era: “Bene, noi la riposizioniamo dalla nostra parte della frontiera”, sul versante israeliano. Ma non lo hanno fatto». Ragiona lo storico: «Se l’Unef avrebbe veramente potuto evitare un attacco egiziano, come suggerisce Israele quando dice che U Thant ha commesso un errore monumentale ritirando la forza dell’Onu, perché gli israeliani non l’hanno semplicemente schierata dall’altra parte della frontiera?». Ovvio: perché erano loro a volere la guerra.Altro piccolo casus belli: c’erano degli attacchi di guerriglia contro la frontiera israeliana lanciati dalla Giordania e dalla Siria, descritti nella storia ufficiale come una grande minaccia per la sicurezza di Israele. Si trattava di incursioni di commandos palestinesi, sostenuti principalmente dal regime siriano. «Ma come hanno riconosciuto anche gli ufficiali superiori israeliani – obietta Filkenstein – la ragione per la quale la Siria incoraggiava questi raid di commandos era l’occupazione delle terre nelle zone smilitarizzate da parte di Israele». Inoltre si trattava di «azioni coraggiose ma estremamente inefficaci», peraltro «compiute da persone che erano state private della loro patria nel 1948». In alre parole, quei palestinesi «erano dei rifugiati». Avverte lo storico: «Ricordatevi che era passato poco tempo tra il 1948 e il 1967, meno di una generazione». Ma, appunto, quegli attacchi erano poco più che simbolici. A confermarlo è uno dei capi dello spionaggio israeliano, Yehosafat Harkabi, che dopo il 1967 li ha descritto come «ben poco significativi, secondo tutti i metri di giudizio».L’altro incidente storico importante che viene citato er giustificare la guerra-lampo di Israele è la chiusura, da parte dell’Egitto, dello Stretto di Tiran, all’imbocco del Mar Rosso, strategico per accedere al porto israeliano di Eilat. Passaggio marittimo chiuso effettivamente da Nasser a metà maggio. «Israele adesso respira con un solo polmone», protestò il diplomatico Abba Eban, allora rappresentante israeliano all’Onu, poi ministro degli esteri. Era vero? Non proprio, osserva Filkenstein: intanto, Israele disponeva di riserve di petrolio che garantivano allo Stato ebraico un’autonomia di mesi. «Ma la cosa più importante è che non c’è stato un blocco. Nasser era un fanfarone: ha annunciato il blocco, lo ha applicato per ciò che si stima abitualmente essere due o tre giorni, poi ha cominciato a lasciar passare tranquillamente le navi israeliane. Non c’era blocco, il problema non era un blocco fisico effettivo, il problema era politico. E cioè che Nasser aveva sfidato pubblicamente Israele. La chiusura di un canale navigabile non è un attacco armato. Comunque la si guardi, Israele non aveva alcuna valida ragione».L’Egitto aveva reagito in modo prevedibile – con il blocco (solo simbolico) del Mar Rosso – per “difendere a distanza” la Siria attaccata un mese prima dall’aviazione israeliana, agevolando così la “regia occulta” della guerra, progettata unilateralmente da Tel Aviv, travestitasi da vittima. Domanda Aaron Mate: perché Israele ha preso delle misure così straordinarie per iniziare quella guerra e impadronirsi di così tanti territori? Risponde Norman Finkelstein: perché il vero incubo di Israele era il presidente egiziano Nasser. Un politico arabo laico, indipendente, autorevole. Fin dalla sua fondazione nel 1948, il leader fondatore di Israele, David Ben Gurion, «si è sempre preoccupato che potesse arrivare al potere nel mondo arabo quello che lui chiamava un Ataturk arabo. Cioè qualcuno come il personaggio turco Kemal Ataturk, che ha modernizzato la Turchia, ha introdotto la Turchia nel mondo moderno; Ben Gurion ha sempre avuto paura che una figura come Ataturk potesse emergere nel mondo arabo, e quindi il mondo arabo si sottraesse allo Stato di arretratezza e di dipendenza dall’Occidente e potesse diventare una potenza con la quale bisognava fare i conti nel mondo e nella regione». La paura del regime sionista si impersonificò nel 1952, quando emerse Nasser come leader della rivoluzione attraverso cui l’Egitto si liberò del dominio europeo post-coloniale.Nasser, continua Filkenstein, era una figura emblematica di quell’epoca «molto inebriante», chiamata “decolonizzazione”: «L’epoca del dopoguerra, dei non-allineati, del terzomondismo». Anti-imperialismo e decolonizzazione: leader come Nehru in India, Tito in Jugoslavia. E Nasser. «Non erano ufficialmente compresi nel blocco sovietico. Erano una terza forza. Non allineata». Più incline a rivolgersi al blocco sovietico perché «ufficialmente antimperialista», ma solo a scopo difensivo: nel 1956, quando Nasser aveva sbarrato il Canale di Suez per protestare contro la mancata concessione del maxi-prestito della Banca Mondiale (Usa) per costruire sul Nilo la Diga di Assuan che averebbe dato respiro all’agricoltura egiziana, francesi e inglesi sbarcarono in armi a Port Said minacciando di deporre Nasser. Intervenne direttamente l’Urss, rivolgendo un ultimatum agli eserciti europei, tacitamente avallato dagli Stati Uniti: se le truppe anglo-francesi non avessero lasciato il litorale egiziano, Mosca le avrebbe colpite con la bomba atomica. Questo consacrò Nasser come grande leader arabo, senza farne – per forza – un satellite dei russi. Inutile aggiungere che il crescente prestigio internazionale del carismatico leader egiziano faceva paura soprattutto a Israele: sembrava davvero arrivato “l’Atarurk arabo”, il modernizzatore paventato da Ben Gurion.«Israele era considerato non senza ragione, come una postazione occidentale nel mondo arabo, e veniva ugualmente interpretato come il tentativo di mantenere nell’arretratezza il mondo arabo», osserva Filkenstein. C’era dunque una sorta di conflitto e di contrapposizione tra Nasser e Israele. E questo ha dato il via, come viene documentato anche stavolta assai scrupolosamente non da Finkelstein ma da uno storico importante molto considerato, cioè Benny Morris. Nel libro “Le guerre di frontiera di Israele”, che parla del periodo tra il 1949 ed il 1956, Morris dimostra che «intorno al 1952-53 Ben Gurion e Moshe Dayan erano veramente determinati a provocare Nasser, a continuare a stuzzicarlo fino a che avessero un pretesto per distruggerlo: volevano sbarazzarsi di lui». Insistettero, in modo che a un certo punto il leader egiziano non potesse fare a meno di rispondere: «Sostanzialmente Nasser è stato preso in trappola». Per Morris, la stessa crisi di Suez del 1956 era nata da «un complotto ordito dagli israeliani per rovesciarlo, con il concorso degli inglesi e dei francesi», con i quali Israele collaborò invadendo il Sinai.Gli americani non si opposero alla ferma difesa di Nasser da parte dell’Urss. «Eisenhower pensava che non fosse ancora il momento adatto», per abbattere il “raiss” egiziano. «Ma anche gli americani sicuramente volevano sbarazzarsi di Nasser», aggiunge Filkenstein: «Lo vedevano tutti come una spina nel fianco». Sicché, la guerra-lampo del 1967 non sarebbe altro che «una ripetizione del 1956, con una differenza fondamentale: il sostegno americano». Alla Guerra dei Sei Giorni, infatti, «gli Stati Uniti non si sono opposti», restando «molto prudenti e cauti nelle loro dichiarazioni». Non hanno sostenuto apertamente la guerra di Israele, «perché era illegale». E gli Usa erano già impantanati nella tragedia del Vietnam, estremamente impopolare: «Non volevano impegnarsi anche nel sostegno a Israele, che sarebbe stato visto allo stesso modo come il colonialismo occidentale che tenta di prevalere sul Terzo Mondo, sul mondo non-allineato». Ma c’era un comune interesse strategico: eliminare Nasser. «Era un obiettivo a lungo termine, mantenere il mondo arabo nell’arretratezza. Mantenerlo in uno stato subordinato, primitivo».Perfettamente funzionali, in questo, il “falchi” israeliani come Ariel Sharon: «Dobbiamo attaccare adesso, perché altrimenti perdiamo la nostra capacità di dissuasione». Frase storica, rimasta – da allora – a fondamento della “dottrina” politico-militare di Israele, la propaganda vittimistica che ha giustificato massacri come quello della popolazione della Striscia di Gaza. «La “capacità di dissuasione” – traduce Filkenstein – significa: “la paura che di noi ha il mondo arabo”». La “colpa” di Nasser? «Risollevava il morale degli arabi, i quali non avevano più paura». E per gli israeliani la paura «è una carta molto forte, per tenere gli arabi al loro posto». A questo, ovviamente, si aggiunge la “necessità”, per Israele, di incrementare i propri territori a spese degli arabi. E in tutto questo, chiarisce lo storico, la religione non c’entra: «Bisogna ricordare che il movimento sionista era per la maggior parte secolare, per la grandissima parte ateo. Una larga parte si considerava socialista e comunista e non aveva nessun aggancio con la religione. Ma consideravano lo stesso di avere un titolo legale di proprietà sulla terra perché nel loro pensiero la Bibbia non era solo un documento religioso, era un documento storico». Una mentalità “secolare”, «profondamente radicata e fanatica». Al punto da falsificare la storia, inventare un’aggressione araba mai avvenuta e organizzare la Truffa dei Sei Giorni per metter fine alla carriera di Nasser, il temutissimo Ataturk arabo.La Truffa dei Sei Giorni: «In realtà la guerra-lampo del 1967 durò appena 6 minuti, il tempo che impiegò l’aviazione israeliana per annientare quella egiziana, ancora a terra», senza che un solo aereo del Cairo avesse potuto decollare. E i famosi Sei Giorni? «Servirono solo a occupare e annettere territori non-israeliani, che da allora – con la sola eccezione del Sinai – fanno parte di Israele». Parola dello storico statunitense Norman Finkestein, intervistato da Aaron Mate per l’emittente “The Real News” nel cinquantesimo anniversario della Guerra dei Sei Giorni, giugno 1967, evento fondante del mito vittimistico dell’autodifesa di Israele, paese “attaccato dagli arabi”. Un falso storico, accusa l’autore del bestseller “Palestine: Peace Not, Apartheid”, tradotto in 50 paesi. Fu Israele a provocare il conflitto, afferma Finkestein: abbattè deliberatamente alcuni aerei siriani, ben sapendo che l’Egitto sarebbe stato costretto a schierarsi con la Siria, cui era legato da un patto di mutua assistenza. Obiettivo segreto di Tel Aviv: conquistare falcilmente territori, sapendo (da Cia e Mossad) che gli arabi non avrebbero potuto resistere. E soprattutto: demolire il leader politico egiziano Nasser, temutissimo come possibile “Ataturk arabo”, capace di guidare lo sviluppo laico del Medio Oriente, superando la storica arretratezza della regione.
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La rivoluzione di Paracelso, genio eretico della medicina
Uno dei ‘medici’ del Rinascimento con cui nessuno poté competere per fama e seguaci fu Paracelso: un nome che, per almeno un secolo, ebbe una forza esplosiva. I suoi discepoli furono numerosissimi, e per loro Paracelso fu il profeta di una nuova era. Paracelso mise in discussione la medicina accademica del tempo, tentando di rompere il monopolio della casta sociale che la professava. Dal Potere fu considerato un eretico ignorante, un ciarlatano, propugnatore di idee rivoluzionarie che minacciavano l’intera scienza medica e le sue onorevoli istituzioni. Paracelso sferrò un attacco frontale tanto contro la medicina ufficiale galenica, quanto contro le facoltà mediche delle università. E lo scontro fu assoluto, ideologico, sociale e anche religioso. Paracelso in realtà si chiamava Philip Theophrastus Bombast von Honenheim; era nato a Einsielde, vicino a Zurigo, nel 1493 o 1494. Il padre, membro illegittimo di una nobile famiglia sveva, era il medico locale. A nove anni, trasferitosi a Villach, in Austria, con tutta la famiglia, Paracelso iniziò a lavorare come apprendista nelle miniere d’argento di Hutenberg che appartenevano ai potentissimi banchieri Fugger di Augusta. In seguito, cresciuto, viaggiò molto studiando e praticando medicina in Italia, Olanda, Prussia, Polonia, Scandinavia e anche nel Levante.Nel 1526 fu imprigionato a Salisburgo per le sue aperte simpatie per la rivolta dei contadini, fuggì e riparò a Basilea dove riuscì a curare con successo dai suoi disturbi lo stampatore Johann Froben, editore di Erasmo, del quale diventò medico. Grazie a questa cerchia speciale di amicizie, Paracelso fu nominato Staadtphysicus, col titolo di professore di medicina e il diritto di tener lezione all’università. Ma all’udire le sue lezioni le autorità della facoltà di medicina inorridirono: Paracelso si rifiutava di rifarsi, nelle sue lezioni, alle autorità consolidate di Ippocrate, Galeno, Avicenna, annunciando che invece avrebbe basato le sue lezioni sulla propria esperienza, formatasi anche sulle malattie dei minatori e sulle ferite di guerra che egli aveva curato come chirurgo militare alle dipendenze della Repubblica di Venezia nel 1522. Le facoltà mediche del tempo prevedevano per il medico un curriculum di studi approvato e provvisto degli speciali dottorati. Il medico del tempo interpretava la scienza, che era filosofia medica, e il chirurgo o il farmacista erano considerati di grado inferiore, tanto che a loro non era richiesta formazione universitaria e conoscenza del latino.Chirurghi e farmacisti dovevano solamente eseguire gli ordini dei medici usciti dalle facoltà universitarie. Paracelso aveva ottenuto una laurea a Ferrara, per cui conosceva bene il curriculum di studi richiesto al medico dalle autorità. Tuttavia il suo insegnamento fu una sfida contro la gerarchia e il curriculum richiesto dalle istituzioni accademiche. Paracelso dissertava di medicina in volgare, nel suo dialetto svizzero tedesco. E il giorno di San Giovanni del 1527 buttò nel tradizionale falò di mezza estate il Canon di Avicenna, un testo sacro della facoltà di medicina. Purtroppo, subito dopo questo eclatante gesto, il suo protettore, l’editore Froben, morì. E un canonico della cattedrale, suo paziente, mise in discussione una sua parcella. Ad un tratto Paracelso si trovò contro Stato e Chiesa e dovette fuggire, ritornando ad una vita di vagabondaggio per il nord Europa. Nel suo vagabondaggio a volte fu accolto come un eroe, altre volte fu ridotto alla mendicità. Viveva comunque alla grande e beveva molto. Indossava abiti costosi e portava al suo fianco, sempre, una spada. Dormiva poco e trascorreva intere giornate alla sua fornace. Sfidava i contadini nel bere e vinceva, poi – apparentemente lucido – dettava le sue opere filosofiche. Morì a Strasburgo nel 1541 a quarantasette anni.Pochissime sue opere furono pubblicate durante la sua vita. Tra queste, un’opera sulla sifilide o “mal francese”, che contestava la cura ufficiale a base di legno guaiaco e mercurio liquido, fu proibita dal consiglio cittadino di Norimberga su ‘consiglio’ degli stessi Fugger, che all’epoca detenevano il lucroso monopolio del guaiaco. Paracelso scrisse molte opere e pare le avesse consegnate ai suoi discepoli viaggiando per l’Europa, per cui vennero alla luce solo dopo la sua morte. E su queste opere postume sorse il movimento paracelsiano. Certo il periodo più produttivo di Paracelso fu quello di Basilea. E in questa città il medico rivoluzionario lasciò le sue opere nelle mani di un giovane di nome Johannes Herbst, che autorizzò a diventare suo editore. Herbst fece carriera a Basilea e divenne il sommo stampatore degli studiosi della Riforma, ma non stampò mai i manoscritti di Paracelso, che così giacquero inediti fino a che Adam von Bodestein, un medico entrato a far parte della facoltà di medicina di Basilea nel 1538, figlio di un riformatore protestante e anche noto con il nome di Carlostadio, non li scoprì.Carlostadio, medico seguace della medicina galenica, medico personale dell’elettore palatino capo della famiglia Wittelsbach, colpito nel 1556 dalla febbre terzana che lo rese infermo per circa un anno, disperato, accettò di farsi curare da un medico paracelsiano, e nel giro di un mese si ritrovò guarito. Divenne così seguace di Paracelso e fu il primo a insegnarne la dottrina a Basilea. Fu ammonito dalle autorità universitarie e alla fine nel 1564 fu espulso dalla facoltà di medicina per aver pubblicato libri eretici e scandalosi, e per essere un seguace del falso insegnamento di Paracelso. Pur espulso, restò a Basilea e si batté con coraggio, pubblicando più di quaranta opere del suo maestro, divulgandone gli insegnamenti. Opere paracelsiane uscirono a dozzine nell’ultimo quarto del XVI secolo, apocrife. E alla fine del secolo, idee paracelsiane furono ascritte a immaginari alchimisti del XV secolo, rafforzando il credito di Paracelso collocandolo nel quadro di una rispettabile tradizione medievale.Inizialmente le opere di Paracelso ebbero larga diffusione soprattutto nel mondo di lingua tedesca. Dopo la sua morte alcune furono tradotte in latino. Certo l’uso della lingua tedesca da parte sua aveva avuto una precisa motivazione: rompere con la tradizione ufficiale e crearne una nuova, infrangendo il monopolio della medicina universitaria e istituzionale. Paracelso chiamò a raccolta gli artigiani della professione medica, i chirurghi e i farmacisti: un atto di sfida alle istituzioni pari a quello di Lutero e di altri riformatori protestanti in campo religioso. Paracelso è spesso stato descritto come il Lutero della medicina; e in effetti, protestantesimo e paracelsismo acquisirono nel tempo interessi comuni. A livello metafisico la medicina di Paracelso si rifaceva al platonismo ermetico del Rinascimento, e dunque la sua dottrina era essenzialmente antiaristotelica, a differenza di quella della medicina istituzionale. Paracelso riteneva Aristotele un pagano che aveva distorto e impregnato di materialismo la vera filosofia, che secondo la sua visione era neoplatonica ed ermetica.La sua teoria si fondava sulla cosmologia neoplatonica elaborata da Marsilio Ficino del macrocosmo e del microsomo. Il corpo e l’anima dell’uomo rispecchierebbero in miniatura il corpo e l’anima del mondo, e tra di loro esisterebbero corrispondenze e simpatie che il “magus” può comprendere e controllare. Sulla base delle sue esperienze di lavoro nelle miniere e nelle fornaci dei Fugger, e dallo studio degli alchimisti medievali, Paracelso teorizzò un macrocosmo chimicamente controllato, quasi un gigantesco crogiuolo, creato tramite un’operazione chimica, che aveva separato il puro dall’impuro. Per cui il microcosmo umano era a sua volta un sistema chimico che poteva essere alterato, corretto e curato mediante un trattamento chimico. Secondo Paracelso le malattie non erano uno squilibrio degli umori, come prevedeva la medicina galenica ufficiale, ma parassiti vivi impiantati nel corpo umano. I tre principi fondamentali della medicina paracelsiana erano lo zolfo, il mercurio e il sale. I veleni diventano elementi curativi a piccole dosi, e la ricerca assoluta era quella di un solvente universale.La medicina di Paracelso aveva anche un carattere profetico, messianico e rivoluzionario. Se l’inizio del mondo era stato un inizio chimico, anche la sua fine, la fine del mondo, poteva essere chimica. La profezia del ritorno di Elia prima dell’avvento del terribile giorno del Signore, e l’avvento dell’Anticristo, ripresa dal monaco calabrese Gioacchino da Fiore nel XII secolo e collocata all’inizio della terza e ultima età del mondo, fu ripresa da Paracelso e modificata. Paracelso affermò che Elia sarebbe apparso cinquantotto anni dopo la sua morte, e sarebbe apparso come ‘Elia l’artista’ cioè, nel linguaggio degli adepti, l’Alchimista. E come tale, Elia avrebbe rivelato tutti i segreti della chimica, mostrando come il ferro potesse essere trasformato in oro. Da qui poi sarebbe seguita un’ultima trasformazione del mondo: non una battaglia di Armageddon ma una separazione chimica, come era stato all’inizio del mondo.A livello pratico, a dispetto della teoria, la medicina paracelsiana ottenne buoni risultati usando farmaci chimici o minerali. Alla luce dei criteri medici moderni, il trattamento delle ferite dei medici paralcelsiani fu estremamente intelligente. Essi attribuirono grande importanza alle acque e ai bagni minerali, impiegando dosaggi medicinali moderati e semplici. Idearono narcotici e oppiacei per alleviare il dolore; il più famoso analgesico di Paracelso fu il laudanum (termine da lui inventato), usato fino all’Ottocento. Paracelso scoprì anche come preparare e usare l’etere. I medici paracelsiani in realtà ebbero un gran successo per la semplice ragione che i loro pazienti guarivano, o avevano l’impressione di guarire. I medici ortodossi rispondevano compilando liste e statistiche di quanti pazienti erano stati uccisi dai medici paracelsiani – dall’antimonio, ad esempio. Tuttavia dovettero alla fine ammettere gli effetti positivi pratici di laudano e, appunto, antimonio.La medicina paracelsiana fu teosofia neoplatonica, profezia messianica e medicina chimica, e la storia del movimento paracelsiano è la storia complicata e difficile della convivenza di questi tre aspetti. La medicina paracelsiana non poteva prescindere dalla teosofia e dalla profezia, per cui alla fine divenne una visione radicale che minacciava di sovvertire l’ideologia e le istituzioni canoniche del mondo medico, e non solo di quello. La dottrina di Paracelso scardinava il potere delle corporazioni mediche ufficiali, minacciando antichi diritti e privilegi acquisiti. Il paracelsismo, come il protestantesimo, fu una filosofia di rivolta contro l’ordine costituito. Paracelso fu avidamente studiato dal più grande dei maghi elisabettiani, John Dee. Con il Concilio di Trento, la Chiesa cattolica romana divenne meno tollerante verso il neoplatonismo, ribadendo l’ortodossia aristotelica e considerando il neoplatonismo una pericolosa filosofia irenica, mirante a riunire la cristianità sulla base di una erronea religione ‘naturale’. La Chiesa romana divenne il naturale alleato delle corporazioni mediche, proteggendone il monopolio. Per cui il movimento paracelsiano fu spinto gioco forza ad allearsi col protestantesimo.(Lara Pavanetto, “Paracelso: lo scontro rivoluzionario, filosofico e religioso con la medicina accademica, dal quale nacquero la medicina, la chimica e le scienze moderne. La storia è viva”, dal blog della Pavanetto del 9 luglio 2017).Uno dei ‘medici’ del Rinascimento con cui nessuno poté competere per fama e seguaci fu Paracelso: un nome che, per almeno un secolo, ebbe una forza esplosiva. I suoi discepoli furono numerosissimi, e per loro Paracelso fu il profeta di una nuova era. Paracelso mise in discussione la medicina accademica del tempo, tentando di rompere il monopolio della casta sociale che la professava. Dal Potere fu considerato un eretico ignorante, un ciarlatano, propugnatore di idee rivoluzionarie che minacciavano l’intera scienza medica e le sue onorevoli istituzioni. Paracelso sferrò un attacco frontale tanto contro la medicina ufficiale galenica, quanto contro le facoltà mediche delle università. E lo scontro fu assoluto, ideologico, sociale e anche religioso. Paracelso in realtà si chiamava Philip Theophrastus Bombast von Honenheim; era nato a Einsielde, vicino a Zurigo, nel 1493 o 1494. Il padre, membro illegittimo di una nobile famiglia sveva, era il medico locale. A nove anni, trasferitosi a Villach, in Austria, con tutta la famiglia, Paracelso iniziò a lavorare come apprendista nelle miniere d’argento di Hutenberg che appartenevano ai potentissimi banchieri Fugger di Augusta. In seguito, cresciuto, viaggiò molto studiando e praticando medicina in Italia, Olanda, Prussia, Polonia, Scandinavia e anche nel Levante.
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Ma la Terra era felice, quando ancora non esisteva il lavoro
Contrariamente a una idea diffusa ad arte dai centri di condizionamento dello spettacolo moderno, il lavoro non è una catastrofe naturale. È un male sociale, il cui falso rimedio, la disoccupazione, fa peggiorare il cattivo stato del paziente e talvolta lo finisce. Consideriamo per prima cosa le origini del lavoro. Si sa che in tutte le lingue il termine deriva da strumenti di tortura o che è sinonimo di sofferenza, sforzo estenuante, pena e afflizione. La Bibbia ne fa la punizione divina e i miti universali parlano di una età dell’oro originale, indenne dall’obbligo del lavoro. È proprio ciò che hanno confermato le serie ricerche sulla preistoria condotte da Marshall Sahlins. Il cacciatore-raccoglitore, prima dell’invenzione dell’agricoltura, delle classi e dello Stato, non lavorava; si dedicava alle libere attività dell’essere umano, che consistevano nel cacciare e raccogliere, mangiare, dormire, godere e viaggiare. Il lavoro inizia storicamente con il dominio di un uomo sul suo simile, di una classe su un’altra. Si tratta sempre di una classe improduttiva (preti e possidenti) che condanna al lavoro una classe produttrice e ne accaparra la produzione…Dominio e sfruttamento sono una sola ed unica cosa. Ciò che separa la libera attività dal massacrante lavoro consiste quindi nella accumulazione di frutti dell’attività di un individuo che si trova costretto a produrre per qualcuno estraneo alla sua produzione e che se ne appropria. Il lavoro crea ricchezza, ma quella altrui. Così il lavoro sanziona il passaggio della libertà originale alla schiavitù, che solo di recente ha fatto posto, per soddisfare le esigenze del commercio mondale (ormai chiamato globalizzazione), alla sua versione aggravata: il salario generalizzato. Già Nicolas Linguet, filosofo dei Lumi, vedeva nella schiavitù salariata un peggioramento dell’antica schiavitù. Il lavoro non è solo l’insicurezza sociale; è soprattutto il supplizio quotidiano dell’uomo abbrutito dalla ripetizione di compiti insipidi e alienanti. Lavorare è una debolezza, quando si può farne a meno e fare qualcosa di meglio: è quanto hanno sostenuto lungo tutta la storia le élite intellettuali che disprezzavano il lavoro.Le raffinate civiltà dell’India, della Cina e della Grecia antiche ponevano il lavoro al di sotto di tutto. Gli indigeni delle Antille preferivano, nel Rinascimento, cessare di riprodursi piuttosto che piegarsi al lavoro imposto dagli europei; e ancora oggi nello Sri Lanka si mutilano più volentieri al fine di mendicare piuttosto che subire l’obbligo del lavoro! Del resto, tutte le lingue possiedono dei detti che rimettono il lavoro al suo posto, l’ultimo: «Lavorano solo quelli che non sanno fare altro» dicono i portoghesi, mentre i russi assicurano che «lavorando si diventa più velocemente gobbi che ricchi»! Ai giorni nostri è la miseria generale, generata dal mondo capitalista della produzione forsennata, a curvare così sovranamente la schiena dello schiavo moderno sotto questo flagello laborioso. L’ozio rimane il sogno impossibile del proletario incatenato ad orari estenuanti, sventurato, su cui incombe la precarietà.Il paese più “sviluppato”, gli Usa, ha compiuto un passo in più nell’abiezione creando una classe numerosa di “working poor”: la massa di coloro che devono sgobbare duro per non morire di fame, senza poter sfuggire alla fame. Infine, il lavoro è diventato la causa di tutti i mali che affliggono la società spacciata per moderna e che si trova ad essere la più degradante di tutte quelle che si sono susseguite dalla comparsa dell’uomo sulla terra. È al lavoro, ormai non solo inutile ma nocivo, che si deve l’inquinamento universale del globo terrestre ad opera dei prodotti industriali, chimici, farmaceutici, nucleari, eccetera. L’avvelenamento generalizzato dovuto al lavoro forsennato degenerato in epidemie che si credevano scomparse e le malattie da prioni sono alcuni tristi esempi. La folle logica del profitto conduce «in modo naturale» alla pazzia in massa delle mucche altrettanto funestamente che all’estinzione delle specie animali e vegetali. Sono anche le ricadute del lavorio alienato a rendere l’acqua imbevibile e l’aria irrespirabile.In breve, non è l’ozio ad essere il padre di tutti i vizi, è il lavoro ad essere il padre di tutte le decadenze. Mens sana in corpore sano, l’antico adagio dei nostri avi che invocano uno spirito sano in un corpo sano non può concepirsi oggi senza fare appello alle virtù della pigrizia. È l’ozio che ormai occorre riabilitare in maniera urgente, contro coloro che ci derubano del nostro tempo, contro i vampiri che ci assassinano poco alla volta nel nome del mercato e dello Stato. Bisogna considerare l’ozio come una attività creatrice, alla stregua della passione della distruzione cara a Bakunin. Per l’irrimediabile nemico di un mondo che ci conduce alla morte con la miseria del lavoro e il lavoro della miseria, l’ozio serve nel vero senso della parola la qualità del tempo ritrovato, di un presente che mira a rivalorizzare i piaceri di una vita intensamente vissuta. Morte al lavoro. Facciamola finita con la noia di un mondo laborioso!(Attila Toukkour, “Il lavoro? Un male sociale che possiamo curare solo con l’ozio”, dal blog “La Schiavitù del Lavoro” del 21 giugno 2017, ripreso da “La Crepa nel Muro”).Contrariamente a una idea diffusa ad arte dai centri di condizionamento dello spettacolo moderno, il lavoro non è una catastrofe naturale. È un male sociale, il cui falso rimedio, la disoccupazione, fa peggiorare il cattivo stato del paziente e talvolta lo finisce. Consideriamo per prima cosa le origini del lavoro. Si sa che in tutte le lingue il termine deriva da strumenti di tortura o che è sinonimo di sofferenza, sforzo estenuante, pena e afflizione. La Bibbia ne fa la punizione divina e i miti universali parlano di una età dell’oro originale, indenne dall’obbligo del lavoro. È proprio ciò che hanno confermato le serie ricerche sulla preistoria condotte da Marshall Sahlins. Il cacciatore-raccoglitore, prima dell’invenzione dell’agricoltura, delle classi e dello Stato, non lavorava; si dedicava alle libere attività dell’essere umano, che consistevano nel cacciare e raccogliere, mangiare, dormire, godere e viaggiare. Il lavoro inizia storicamente con il dominio di un uomo sul suo simile, di una classe su un’altra. Si tratta sempre di una classe improduttiva (preti e possidenti) che condanna al lavoro una classe produttrice e ne accaparra la produzione…
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Armi a dittature in guerra: boom della morte made in Italy
Quasi 30 miliardi di dollari, pari a 70 milioni di euro al giorno. E’ la nuova spesa militare dell’Italia (media giornaliera) calcolata dal Sipri di Stoccolma, l’istituto internazionale di ricerche sulla pace: la spesa militare italiana è salita nel 2016 a 27,9 miliardi di dollari. «Un flusso irrefrenabile ma diventato normale, quasi ovvio», scrive Gianni Ballarini su “Nigrizia”, in un reportage ripreso da “Il Cambiamento”. Che osserva: cresce a dismisura il commercio internazionale delle armi italiane, grazie anche al pieno coinvolgimento collaborativo e interessato delle banche, «che mettono a disposizione dell’industria bellica servizi di intermediazione ben remunerati e conti correnti». Per “Nigrizia”, ormai, «l’industria militare è il pilastro del sistema paese», almeno secondo «ciò che pensa il governo». E i dati lo confermano: «Cresce la spesa e l’export di armamenti conosce un vero boom. Soprattutto verso i regimi della penisola arabica. Cala, invece, la vendita verso l’Africa». Le banche? «Sostengono il business, seppellendo ogni tentennamento etico».Solo poche fonti, tra cui il “Tirreno”, il “Manifesto” e “Italia Oggi”, hanno registrato – lo scorso 19 aprile – l’imbarco di armi e blindati, nel porto di Piombino, sulla nave Excellent, noleggiata dal ministero della difesa e battente bandiera maltese. «Dopo aver imbarcato un gran quantitativo di armamenti e aver effettuato uno scalo tecnico ad Augusta, s’è diretta a Gedda, in Arabia Saudita, attraversando il canale di Suez. Secondo l’autorità portuale di Piombino, quelle armi e quei blindati erano destinati a un corso di addestramento bellico di militari italiani nella penisola arabica. L’unico a protestare è stato Giulio Marcon, parlamentare civatiano di “Sinistra Italiana”: «L’Arabia Saudita è coinvolta in Yemen in una guerra sanguinosa, è sotto il banco d’accusa dall’Onu per la violazione dei diritti umani e ha sostenuto alcune fazioni terroristiche in Medioriente». Marcon ha chiesto, inutilmente, «l’immediato blocco del trasferimento delle armi nella penisola arabica», nonché «lo stop alle esercitazioni e a ogni vendita di armi all’Arabia Saudita». Ma nessuno ci ha fatto caso, sui media: ormai «la vendita di armi anche a paesi in conflitto è oramai sdoganata e non più avvolta da alcun tabù», annota “Nigrizia”.L’ultima relazione governativa sugli armamenti, aggiunge il “Cambiamento” citando “Nigrizia”, rivela come il Belpaese stia conoscendo una crescita esponenziale, soprattutto nell’export armato. Il valore è aumentato dell’85% rispetto al 2015, raggiungendo la cifra di 14,6 miliardi di euro. «Pesa la mega-vendita (oltre 7 miliardi di euro) di caccia Eurofighter Typhoon (28) al Kuwait: si tratta della più grande commessa mai ottenuta da Finmeccanica/Leonardo». Ma nei primi 11 posti della classifica delle nazioni destinatarie, aggiunge la rivista, troviamo Arabia Saudita (427,5 milioni), Qatar (341 milioni), Turchia (133,4 milioni) e Pakistan (97,2), «che fanno parte di coalizioni di guerra o che sono conosciuti come paesi fortemente repressivi». Nel “libro bianco per la sicurezza internazionale e la difesa”, cioè «la nuova Bibbia governativa», si legge come sia «essenziale che l’industria militare sia pilastro del sistema-paese, perché contribuisce al riequilibrio della bilancia commerciale». Per cui merita ogni sostegno possibile.In questo contesto, si distingue l’Africa: i 136 milioni di euro, valore delle licenze italiane di esportazione nel 2016, rappresentano il secondo dato più basso dal 2008. Peggio dell’anno scorso è stato solo il 2014. Il calo è stato del 43,4% (oltre 240 milioni di euro nel 2015), con un dato particolarmente negativo per il Nordafrica (-56%). Negli ultimi 5 anni il calo di export verso la sponda Sud del Mediterraneo è stato importante: si è passati dai 308,4 milioni del 2012 ai 38,5 dell’anno scorso (-87,5%). A colpire, in particolare, è la chiusura dei rubinetti con l’Algeria, uno dei paesi con cui lavoravano maggiormente le aziende belliche italiane. L’anno scorso hanno commerciato armi per 25,2 milioni di euro. Nel 2012 il dato sfiorava i 263 milioni di euro. Nell’Africa subsahariana spicca invece il dato dell’Angola, «non propriamente la culla della democrazia e della difesa dei diritti civili». Qui si è passati dai pochi spiccioli del 2015 (72.000 euro) agli 88,7 milioni di euro nel 2016, posizionando il paese al 13° posto della classifica dei paesi acquirenti.“Conti armati”, li chiama “Nigrizia”: «Accanto a un’industria bellica italiana in piena espansione, il 2016 ha segnato pure l’esplosione dei conti correnti armati. Gli istituti di credito, infatti, hanno definitivamente seppellito ogni tentennamento morale per rituffarsi a corpo morto sul business delle armi. In un solo anno il valore delle transazioni bancarie legate all’export definitivo di armamenti è passato dai 4 miliardi del 2015 ai 7,2 miliardi del 2016 (+80%), frutto di 14.134 segnalazioni, rispetto alle 12.456 dell’anno precedente. Un boom inarrestabile se si osserva la crescita rispetto a soli due anni fa: +179% (2,5 miliardi di euro, nel 2014)». A occupare il primo posto è il gruppo Unicredit, con oltre 2,1 miliardi di euro, pari a circa il 30% dell’ammontare complessivo movimentato per le sole esportazioni definitive, e con una crescita del 356% rispetto al 2015 (474 milioni di euro). Dopo Unicredit, compare il gruppo Deutsche Bank, con oltre un miliardo di euro. E al terzo posto c’è la britannica Barclays, con oltre 771 milioni di euro e con una crescita del 113,8% rispetto ai dati del 2015 (360,9 milioni).Sorprendente la performance della bresciana Banca Valsabbina: «In un anno le sue transazioni “armate” sono cresciute del 763,8% passando dai 42,7 milioni di euro del 2015, ai 369 milioni circa dell’anno scorso». Questo istituto – che ha sede a Vestone, piccola realtà della Comunità montana della Valle Sabbia, e la direzione generale a Brescia – evidentemente rappresenta un punto di riferimento per tutto il settore armiero della zona. «Sono i paesi mediorientali, in genere, a essere ottimi clienti delle banche, avendo fatto transitare sui conti bancari del Belpaese una massa enorme di denaro: quasi 4,3 miliardi di euro, pari al 59% del totale». Ma anche i paesi africani fanno un balzo in avanti, passando dai 300 milioni del 2015 ai quasi 320 milioni del 2016: è l’area subsahariana a incidere maggiormente, con una crescita del 153% (dai 42 milioni del 2015 ai 106,4 dell’anno scorso). Conclude “Nigrizia”: «Le banche armate, evidentemente, generano fiducia anche al di là del Mediterraneo».Quasi 30 miliardi di dollari, pari a 70 milioni di euro al giorno. E’ la nuova spesa militare dell’Italia (media giornaliera) calcolata dal Sipri di Stoccolma, l’istituto internazionale di ricerche sulla pace: la spesa militare italiana è salita nel 2016 a 27,9 miliardi di dollari. «Un flusso irrefrenabile ma diventato normale, quasi ovvio», scrive Gianni Ballarini su “Nigrizia”, in un reportage ripreso da “Il Cambiamento”. Che osserva: cresce a dismisura il commercio internazionale delle armi italiane, grazie anche al pieno coinvolgimento collaborativo e interessato delle banche, «che mettono a disposizione dell’industria bellica servizi di intermediazione ben remunerati e conti correnti». Per “Nigrizia”, ormai, «l’industria militare è il pilastro del sistema paese», almeno secondo «ciò che pensa il governo». E i dati lo confermano: «Cresce la spesa e l’export di armamenti conosce un vero boom. Soprattutto verso i regimi della penisola arabica. Cala, invece, la vendita verso l’Africa». Le banche? «Sostengono il business, seppellendo ogni tentennamento etico».
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Bukovskij: l’Ue coniata con l’Urss, aspettatevi Kgb e Gulag
Nel 1992 ho avuto un accesso senza precedenti ai documenti del Politburo e del Comitato Centrale, documenti che sono stati classificati per 30 anni, e lo sono ancora oggi. Questi documenti dimostrano molto chiaramente che l’idea di trasformare il mercato comune europeo in uno Stato federale è stata concordata tra i partiti di sinistra dell’Europa e Mosca come un progetto congiunto che [il leader sovietico Mikhail] Gorbaciov nel 1988-89 chiamò la nostra “casa comune europea”. L’idea era molto semplice. È emersa per la prima volta nel 1985-86, quando i comunisti italiani visitarono Gorbaciov, seguiti dai socialdemocratici tedeschi. Tutti loro si lamentarono che i cambiamenti nel mondo, in particolare dopo che [il primo ministro britannico Margaret] Thatcher introdusse la privatizzazione e la liberalizzazione economica, stessero minacciando di eliminare le conquiste (come le definivano) di generazioni di socialisti e socialdemocratici, minacciando di annullarle completamente. Quindi l’unico modo per resistere a questo attacco del capitalismo selvaggio (come lo definivano) era cercare di introdurre contemporaneamente gli stessi obiettivi socialisti in tutti i paesi.Precedentemente, i partiti di sinistra e l’Unione Sovietica si erano molto opposti all’integrazione europea, perché la percepivano come un mezzo per bloccare i loro obiettivi socialisti. Dal 1985 in poi hanno completamente cambiato idea. I sovietici giunsero a un accordo con i partiti di sinistra e alla conclusione che, se avessero lavorato insieme, avrebbero potuto dirottare l’intero progetto europeo e ribaltarlo. Invece che in un mercato aperto, lo avrebbero trasformato in uno Stato federale. Secondo i documenti [segreti sovietici], il 1985-86 è il punto di svolta. Ho pubblicato la maggior parte di questi documenti. Potete trovarli anche su Internet. Ma le conversazioni che hanno avuto aprono veramente gli occhi. Per la prima volta si capisce che c’è una cospirazione – abbastanza comprensibile per loro, perché cercavano di salvarsi politicamente la pelle. A Est, i sovietici avevano bisogno di un cambiamento di relazioni con l’Europa, perché stavano entrando in una crisi strutturale protratta e profonda; a Occidente, i partiti di sinistra temevano di essere spazzati via e di perdere la loro influenza e il loro prestigio. Quindi era una cospirazione, apertamente fatta, concordata e elaborata da loro.Nel gennaio del 1989, per esempio, una delegazione della Commissione Trilaterale è venuta in visita a Gorbaciov. Ha incluso [l’ex primo ministro giapponese Yasuhiro] Nakasone, [l’ex presidente francese Valéry] Giscard d’Estaing, [il banchiere americano David] Rockefeller e [l’ex segretario di Stato americano Henry] Kissinger. Hanno avuto una bella conversazione dove hanno cercato di spiegare a Gorbaciov che la Russia sovietica doveva integrarsi nelle istituzioni finanziarie del mondo, come il Gatt, il Fmi e la Banca Mondiale. Nel mezzo della conversazione, Giscard d’Estaing prende improvvisamente la parola: «Signor presidente, non posso dirvi esattamente quando accadrà, probabilmente entro 15 anni, ma l’Europa diventerà uno Stato federale e dovete prepararvi a questo. Dovete lavorare con noi, e coi leader europei, e dovete essere preparati, su come reagireste, come permettereste agli altri paesi dell’Europa dell’Est di interagirvi o farne parte».Questo era il gennaio 1989, in un momento in cui il trattato di Maastricht [1992] non era nemmeno stato redatto. Come diavolo faceva Giscard d’Estaing a sapere cosa sarebbe avvenuto in 15 anni? E – sorpresa, sorpresa – come è diventato l’autore della Costituzione Europea [nel 2002-03]? Un’ottima domanda. Odora di cospirazione, vero? Fortunatamente per noi, la parte sovietica di questa cospirazione era crollata in precedenza e non raggiunse il punto in cui Mosca poteva influenzare il corso degli eventi. Ma l’idea originaria era quella di avere quella che chiamavano una convergenza, per cui l’Unione Sovietica si sarebbe addolcita diventando più socialdemocratica, mentre l’Europa occidentale sarebbe diventata socialdemocratica e socialista. Allora ci sarebbe stata la convergenza. Le strutture si sarebbero divute adattare tra loro. Ecco perché le strutture dell’Unione Europea sono state originariamente costruite allo scopo di adattarsi alla struttura sovietica. Ecco perché sono così simili nel funzionamento e nella struttura.Non è un caso che il Parlamento Europeo, ad esempio, mi ricordi il Soviet Supremo. Sembra il Soviet Supremo perché è stato progettato come il Soviet Supremo. Allo stesso modo, quando si guarda alla Commissione Europea, sembra il Politburo. Voglio dire, è esattamente il Politburo, salvo il fatto che la Commissione adesso ha 25 membri e il Politburo ha soltanto 13 o 15 membri. A parte questo, sono esattamente gli stessi, non devono rendere conto a nessuno, non sono eletti direttamente da nessuno. Quando si guarda a tutta questa bizzarra attività dell’Unione Europea con le sue 80.000 pagine di regolamenti, sembra il Gosplan. Noi eravamo abituati ad avere un’organizzazione che pianificava tutto nell’economia, fino all’ultimo dado e bullone, in anticipo per cinque anni. Esattamente la stessa cosa sta avvenendo nell’Ue. Quando si guarda al tipo di corruzione dell’Ue, è esattamente il tipo di corruzione sovietico, che procede dall’alto verso il basso piuttosto che dal basso verso l’alto.Se si passano in rassegna tutte le strutture e le caratteristiche di questo emergente mostro europeo, si noterà che assomiglia sempre di più all’Unione Sovietica. Naturalmente, è una versione più mite dell’Unione Sovietica. Per favore, non fraintendetemi. Non sto dicendo che ha i Gulag. Non ha nessun Kgb – non ancora – ma sto osservando molto attentamente ad esempio strutture come Europol. Ciò mi preoccupa molto, perché questa organizzazione probabilmente avrà poteri più grandi di quelli del Kgb. Avranno l’immunità diplomatica. Potete immaginare un Kgb con immunità diplomatica? Dovranno sorvegliarci su 32 tipi di reati – due dei quali sono particolarmente preoccupanti, uno è chiamato razzismo, l’altro è chiamato xenofobia. Nessun tribunale penale sulla terra definisce qualcosa del genere come un crimine [questo non è del tutto vero, perché il Belgio già procede in questo modo]. Quindi è un nuovo crimine, e siamo già stati avvertiti. Qualcuno nel governo britannico ci ha detto che coloro che si oppongono all’immigrazione incontrollata dal Terzo Mondo saranno considerati razzisti e quelli che si oppongono all’integrazione europea saranno considerati xenofobi. Penso che Patricia Hewitt lo abbia detto in pubblico.Di conseguenza, siamo stati avvertiti. Nel frattempo introducono sempre più ideologia. L’Unione Sovietica era uno Stato governato dall’ideologia. L’ideologia odierna dell’Unione Europea è socialdemocratica, statalistica, e una gran parte di essa è il politically correct. Osservo con molta attenzione come il politicamente corretto si diffonda e diventi un’ideologia oppressiva, per non parlare del fatto che vietano di fumare quasi ovunque. Guardate questa persecuzione delle persone come il pastore svedese che è stato perseguitato per diversi mesi perché ha detto che la Bibbia non approva l’omosessualità. La Francia ha approvato la stessa legge contro l’incitamento all’odio sui gay. La Gran Bretagna sta introducendo leggi contro l’incitamento all’odio nelle relazioni razziali e ora anche nelle questioni religiose, e così via. Quello che si osserva, preso in prospettiva, è l’introduzione sistematica di ideologia, che potrebbe essere successivamente fatta rispettare con misure oppressive. A quanto pare questo è l’intero scopo dell’Europol. Altrimenti perché ne abbiamo bisogno? L’Europol mi sembra molto sospetta. Osservo con molta attenzione chi viene perseguito per cosa e cosa sta succedendo, perché è un campo in cui sono un esperto. So come nascono i Gulag.Sembra che viviamo in un periodo di rapido, sistematico e molto consistente smantellamento della democrazia. Guarda questo disegno di legge per la riforma legislativa e normativa. Rende i ministri dei legislatori che possono introdurre nuove leggi senza preoccuparsi di dirlo al Parlamento né a nessun altro. La mia reazione immediata è: perché ci serve? La Gran Bretagna è sopravvissuta a due guerre mondiali, alla guerra con Napoleone, all’Armada spagnola, per non parlare della Guerra Fredda, quando ci veniva detto che in qualsiasi momento potevamo avere una guerra mondiale nucleare, senza necessità di introdurre questa legislazione, senza bisogno di sospendere le nostre libertà civili e introdurre poteri emergenziali. Perché ne abbiamo bisogno adesso? Questo può trasformare il vostro paese in una dittatura in pochissimo tempo. La situazione di oggi è veramente triste. I principali partiti politici sono stati completamente catturati dal nuovo progetto comunitario. Nessuno di loro vi si oppone veramente. Sono diventati molto corrotti. Chi difenderà le nostre libertà?Sembra che stiamo andando verso una specie di collasso, una sorta di crisi. L’esito più probabile è che ci sarà un collasso economico, in Europa, che a tempo debito dovrà accadere con questa crescita delle spese e delle tasse. L’incapacità di creare un ambiente competitivo, l’eccessiva regolamentazione dell’economia, la burocratizzazione, porterà al crollo economico. In particolare l’introduzione dell’euro è stata un’idea folle. La valuta non dovrebbe essere una questione politica. Non ne ho dubbi. Ci sarà un crollo dell’Unione Europea, quasi simile al modo in cui è collassata l’Unione Sovietica. Ma non dimenticate che quando queste cose crollano lasciano una tale devastazione che ci vuole una generazione per recuperare. Basta pensare che cosa accadrà se si tratterà di una crisi economica. Le recriminazioni tra le nazioni saranno enormi. Si potrebbe arrivare alla guerra.Guardate l’enorme numero di immigrati provenienti dai paesi del Terzo Mondo che ora vivono in Europa. Questa immigrazione è stata promossa dall’Unione Europea. Cosa succederà se c’è un crollo economico? Probabilmente avremo tanti conflitti etnici che la mente ne rimane sconvolta, come è avvenuto con la fine dell’Unione Sovietica. In nessun altro paese vi erano tensioni etniche come nell’Unione Sovietica, tranne probabilmente in Jugoslavia. Quindi è esattamente ciò che accadrà anche qui. Dobbiamo essere preparati a questo. Questo enorme edificio di burocrazia crollerà sulle nostre teste. Ecco perché, e sono molto sincero, quanto prima chiuderemo con l’Ue, meglio è. Quanto prima crolla, meno danni avrà fatto a noi e ad altri paesi. Ma dobbiamo essere rapidi, perché gli eurocrati stanno muovendosi molto velocemente. Sarà difficile sconfiggerli. Oggi è ancora semplice. Se oggi un milione di persone marcia a Bruxelles, questi personaggi scapperanno alle Bahamas.Se domani metà della popolazione britannica rifiuterà di pagare le proprie tasse, non accadrà nulla e nessuno andrà in prigione. Oggi puoi ancora farlo. Ma non so quale sarà la situazione domani, con un Europol completamente sviluppata, con personale preso da ex-funzionari della Stasi o della Securitate. Potrebbe succedere di tutto. Stiamo perdendo tempo. Dobbiamo sconfiggerli. Dobbiamo sederci e pensare, elaborare una strategia per ottenere il massimo effetto possibile nel modo più breve possibile. Altrimenti sarà troppo tardi. Quindi cosa dovrei dire? La mia conclusione non è ottimista. Finora, malgrado il fatto che in quasi tutti i paesi abbiamo delle forze anti-Ue, ciò non è sufficiente. Stiamo perdendo e stiamo sprecando tempo.(Vladimir Bukovskij, testo del discorso pronunciato a Bruxelles nel 2006 e ancora drammaticamente attuale, ripreso da “Voci dall’Estero”. Già dissidente politico in Urss, lo scrittore riparò in Gran Bretagna dopo la prigionia nei Gulag. Tra le sue opere “Una nuova malattia mentale in Urss, l’opposizione”, Etas Kompass, “Guida psichiatrica per dissidenti”, L’erba voglio, “Il vento va e poi ritorna”, Feltrinelli, “Urss, dall’utopia al disastro”, Spirali, e “Gli archivi segreti di Mosca”, Spirali).Nel 1992 ho avuto un accesso senza precedenti ai documenti del Politburo e del Comitato Centrale, documenti che sono stati classificati per 30 anni, e lo sono ancora oggi. Questi documenti dimostrano molto chiaramente che l’idea di trasformare il mercato comune europeo in uno Stato federale è stata concordata tra i partiti di sinistra dell’Europa e Mosca come un progetto congiunto che [il leader sovietico Mikhail] Gorbaciov nel 1988-89 chiamò la nostra “casa comune europea”. L’idea era molto semplice. È emersa per la prima volta nel 1985-86, quando i comunisti italiani visitarono Gorbaciov, seguiti dai socialdemocratici tedeschi. Tutti loro si lamentarono che i cambiamenti nel mondo, in particolare dopo che [il primo ministro britannico Margaret] Thatcher introdusse la privatizzazione e la liberalizzazione economica, stessero minacciando di eliminare le conquiste (come le definivano) di generazioni di socialisti e socialdemocratici, minacciando di annullarle completamente. Quindi l’unico modo per resistere a questo attacco del capitalismo selvaggio (come lo definivano) era cercare di introdurre contemporaneamente gli stessi obiettivi socialisti in tutti i paesi.
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Siamo un virus che devasta la Terra: chi ci deviò il genoma?
«Desidero condividere con te, Morpheus, una geniale intuizione che ho avuto, durante la mia missione qui. Mi è capitato mentre cercavo di classificare la vostra specie. Improvvisamente ho capito che voi non siete dei veri mammiferi: tutti i mammiferi di questo pianeta d’istinto sviluppano un naturale equilibrio con l’ambiente circostante, cosa che voi umani non fate. Vi insediate in una zona e vi moltiplicate, vi moltiplicate finché ogni risorsa naturale non si esaurisce. E l’unico modo in cui sapete sopravvivere è quello di spostarvi in un’altra zona ricca. C’è un altro organismo su questo pianeta che adotta lo stesso comportamento, e sai qual è? Il virus. Gli esseri umani sono un’infezione estesa, un cancro per questo pianeta: siete una piaga. E noi siamo la cura» (Agente Smith – Matrix). Perchè l’uomo non è in armonia con il cosmo? Il male è senza dubbio un fenomeno reale sperimentabile nel corso della storia umana. Ma allo stesso tempo è anche un mistero inspiegabile. Qual’è la sua origine? Se il cosmo e la natura umana fossero radicalmente malvagie, come si spiega la nostalgia del bene che abita il cuore umano, il rifiuto del male e dell’ingiustizia? D’altro canto, se il cosmo e l’uomo sono buoni, allora come si è giunti dunque a questa perversione?Spesso si giustifica il male come un’assenza di bene, ma a guardare bene le azioni dell’uomo nella storia, non possiamo limitarci a descrivere il male come una carenza di bene, ma come una vera e propria perversione, una perversione del senso dell’essere e dell’esistere. Il male degrada e violenta l’uomo. Esso lo pone in contraddizione con se stesso. Non è altro, dunque, che nonsenso e perversione. La gente se lo chiede: esiste un problema nella relazione tra l’uomo e l’uomo e tra l’uomo e il creato? Esiste una ferita nell’armonia cosmica che contraddistingue il creato e che l’uomo non è in grado di realizzare nel suo rapporto con la natura e con se stesso? Da più parti giungono segnali di un disagio profondo nel cuore umano, come se questo mondo non fosse il nostro. Non si comprende bene se siamo noi umani stranieri ad esso, vermi ingordi precipitati qui per caso, e perchè abbiamo ridotto questo pianeta, un giorno nostra culla accogliente, in un mondo ostile e minaccioso, tale da fargli assumere i nostri connotati di avidità distruttiva e di cinismo indifferente.L’uomo, da custode a predatore del creato. Forse bisogna andare all’inconoscibile giorno in cui l’uomo non avvertì più se stesso come natura, come figlio della terra. Da uomo della natura si scopri uomo nella natura, con niente simile a sé. Fu allora che si sentì padrone della Terra e non più custode, dominatore di tutto, per dimenticare l’orrore della sua fragilità e del suo destino di morte. Egli ridusse tutte le cose ad “oggetti” da tenere a bada e da sfruttare a suo piacimento. E’ così che nasce la cultura umana, la cultura tecnologica, del dominio e dello sfruttamento razionale, freddo, della natura. Per un po’ le cose vanno bene. La tecnica dà una mano allo spadroneggiare dell’uomo sulla terra, fino a quando il criterio che dirige ogni scelta sul pianeta non diventa l’economia. L’uomo-padrone arraffa quanto è economicamente utile e nel modo in cui è economicamente vantaggioso. Se serve, si devasta un territorio, lo si avvelena anche. Se serve, si cura un nemico o un operaio ferito. Se non serve, lo si lascia morire.La “new economy”, come oggi la si definisce, oltre a devastare la natura, schiaccia l’uomo, gli impedisce di vivere, a meno che non appartenga ad un ristretto numero di privilegiati. Perchè il creato è stato scippato a tutti ed è diventato proprietà di alcuni, con la complicità di chi ha definito diritto divino la proprietà privata. Così l’economia diventa incertezza quotidiana, guerra, annullamento dei diritti umani, menzogna, sovvertimento insensato della natura. Dobbiamo all’economia se oggi a presiedere uno Stato, molto spesso, non è un presidente ma la “banca”. La tecnica è il braccio armato dell’economia, una economia che annulla la dignità umana e che lo asserve all’avidità di pochi gruppi che influenzano la vita dell’intero pianeta. L’atomo gli fa vincere una guerra, ma inquina generazioni e generazioni. La biologia ci assiste nella fecondità umana, ma non è un suo problema se un giorno programmeremo, secondo le nostre esigenze, una generazione di atleti senza sentimenti, oppure soldati ottusi ed ubbidienti, oppure carne per il consumo sessuale. Gli organismi geneticamente modificati possono aumentare la produzione, ma la Monsanto si sente innocente se poi magari scopriremo che ci siamo avvelenati coi nostri soldi. Paradossale ma vero: l’economia non sa che farsene dell’uomo, non vuole la natura umana che in sé è collegata col tutto; vuole solo la propria autoconservazione. Cioè, in fondo, l’idolatria del dollaro e delle merci.Questa civiltà che ogni giorno, rispetto ad uomini e cose, si connota con il cinico usa e getta, non è ancora riuscita a farci dimenticare che se non siamo padroni della natura, tuttavia siamo ad essa inscindibilmente collegati, tanto che deturpare il creato è gesto autodistruttivo, e disprezzare l’uomo predispone ad assalire il creato. Una umanità senza sentimenti, puramente tecnica, non si accorge nemmeno della scomparsa di migliaia di specie animali e vegetali. Non prova nessuna nostalgia per una bellezza sprofondata nel nulla dopo millenni di cammino sulla terra. Dopo averne privato una parte consistente dell’umanità, abbiamo anche privato di diritti animali e piante. Questo discorso, nella logica occidentale viene presa per idiozia! Può una pianta, un animale avere dei diritti? Il punto è che sentendoci padroni di tutto, riconosciamo il diritto alla vita a chi vogliamo noi, secondo le convenienze. Si comincia a ridurre la pianta e l’animale ad oggetto, aprendo così la strada a vergognarci di quanto di animale c’è in noi! Fino a dire che anche certi umani sono sottouomini, privi di ogni dignità. E stabiliamo noi che deve vivere e chi deve morire.L’uomo è nato per distruggere? E’ biologicamente destinato alla distruttività? Quali dinamiche ostacolano o agevolano la possibilità di una società multiculturale? Con la fine della Guerra fredda, molti hanno sperato che si aprisse un’era di pace, in cui tanta parte delle risorse indirizzate a mantenere l’equilibrio del terrore potesse indirizzarsi finalmente al miglioramento delle condizioni di vita dell’umanità. Non è andata così. E’ solo cambiata la tipologia dei conflitti, con una diminuzione di quelli fra Stati, un aumento dei conflitti interni internazionalizzati, ossia di quelli che pur mantenendo l’epicentro all’interno di uno Stato finiscono per coinvolgere altre nazioni, e una prosecuzione inalterata degli altri conflitti interni, ma con potenziale coinvolgimento di un numero sempre superiore di persone, anche in relazione alla diffusione del terrorismo.E’ possibile guardare da una prospettiva scientifica a questo fenomeno? Può la scienza aiutare a chiarire i principali fattori che influenzano il rischio di conflitti e di violenze di massa? La domanda potrà apparire fuori luogo, o quanto meno fuori epoca, a chi ritiene che con l’Olocausto e la bomba atomica la scienza abbia “perso l’innocenza” e posto fine all’ultima delle “grandi narrazioni” che avevano permesso la coesione sociale e ispirato le utopie che si sono succedute nella storia dell’umanità, per aprire le porte a quella società post-moderna descritta da tanti sociologi, da Jean-François Lyotard a Zygmunt Bauman, che, divenuta “liquida” e priva di un senso di comunità, cerca di ritrovarlo attraverso la creazione di ghetti identitari più indifferenti che tolleranti verso gli altri e sempre pronti a entrarvi in conflitto.L’umanità è un virus per la Terra? Tutti noi potremmo essere meno umani di quanto pensiamo. Quantomeno è ciò che suggerisce una nuova ricerca, rivelando che il genoma umano è in parte un virus, per la precisione il Bornavirus, portatore di morte per cavalli e pecore. Sembra che 2 milioni di anni fa, questo virus abbia inserito parte del suo materiale genetico nel nostro Dna. La scoperta, pubblicata su “Nature” del 7 gennaio, dimostra come questi virus di tipo Rna possono comportarsi come i retrovirus (ad esempio Hiv) ed integrarsi stabilmente come ospiti dei nostri geni. Questo lavoro di ricerca potrebbe consentire di capirne molto di più sulla nostra evoluzione, rivelando come il mondo attuale sia anche il frutto del lavoro di un virus contenuto in ognuno di noi. «La conoscenza di noi stessi come specie è stata leggermente mal interpretata», afferma Robert Gifford, paleo-virologo presso l’Aaron Diamond Aids Research Center. Insomma non abbiamo tenuto conto che il Dna umano si evoluto anche grazie al contributo di batteri ed altri microrganismi e che le nostre difese immunitarie hanno fatto ricorso a quel materiale genetico per difendersi dalle infezioni. Sembra che fino all’8% del nostro genoma potrebbe ospitare materiale genetico dei virus.Nello studio, ricercatori giapponesi hanno trovato copie di un gene del Bornavirus inserite in almeno quattro zone diverse del nostro genoma. Ricerche condotte su altri mammiferi hanno rivelato la sua presenza in una vasta quantità di specie per milioni di anni. «Hanno fornito le prove di un reperto fossile con tracce del Bornavirus», afferma John Coffin, virologo alla Tufts University School of Medicine di Boston e coautore dello studio “Questo ci dice anche che l’evoluzione dei virus non è andata come pensavamo”. Nei risultati dello studio, i ricercatori guidati da Keizo Tomonaga della Osaka University, hanno scoperto che due geni umani sono molto simili al gene del Bornavirus. Gli scienziati sostengono che il questa “infezione preistorica” potrebbe essere una fonte di mutazione umana, specialmente nei nostri neuroni. A questo punto non si può che dare ragione all’Agente Smith di “Matrix” nella sua convinzione che soltanto un altro organismo sul pianeta si comporta come l’uomo: il virus.Quel misterioso salto evolutivo dell’Homo Erectus. Zecharia Sitchin in molti dei suoi libri afferma la teoria secondo la quale, in un passato molto remoto, un gruppo di viaggiatori extraterrestri provenienti dal pianeta Nibiru, chiamati Anunnaki, sarebbero scesi sulla Terra per sfruttare le risorse minerarie del nostro pianeta. Secondo Sitchin, avendo bisogno di manodopera per l’estrazione di minerali, gli Anunnaki pensarono di manipolare geneticamente la specie terrestre più simile a loro, innestandovi il proprio Dna: fu scelto un ominide, l’Homo Erectus. E’ possibile che questo intervento possa aver alterato il corso della naturale evoluzione umana? La nostra rapida evoluzione, incapace di armonizzarsi con i tempi e le regole della natura, potrebbe dipendere da questo? Nuovi ritrovamenti complicano il dibattito fra quanti ritengono che l’Homo Erectus abbia avuto origine in Africa orientale e quanti sostengono un’origine asiatica. Homo Erectus sarebbe stato in grado di fabbricare sofisticati utensili già 1,8 milioni anni fa, vale a dire almeno 300.000 anni prima di quanto si pensasse. Ad affermarlo è uno studio pubblicato su “Nature”, da un gruppo di paleoantropologi della Rutgers University e del Columbia University Lamont-Doherty Earth Observatory.Homo Erectus apparve circa 2 milioni di anni fa, andando a occupare vaste aree dell’Asia e dell’Africa. E proprio in Africa orientale si è ritenuto a lungo che si fosse evoluto, ma la scoperta nel 1990 di fossili altrettanto antichi in Georgia ha aperto la possibilità che esso abbia avuto origine in Asia. I nuovi reperti complicano ulteriormente la situazione in quanto gli strumenti trovati accanto ai fossili georgiani del sito di Dmanisi sono piccoli strumenti da taglio e raschiatori che mostrano caratteristiche piuttosto semplici simili a quelle della cultura di Olduvai, mentre fra quelli rinvenuti nella regione occidentale del Turkana, in Kenya, vi sono asce, picconi e altri strumenti innovativi che gli antropologi chiamano di tipo “acheuleano”, che permettevano di macellare e smembrare un animale per mangiarlo. Le abilità coinvolte nella produzione di uno strumento di questo tipo suggerisce fra l’altro che Homo Erectus fosse in grado di un pensiero “anticipatorio”.«Gli strumenti acheuleani rappresentano un grande salto tecnologico», ha osservato Dennis Kent, uno degli autori dello studio. «Perché Homo Erectus non avrebbe dovuto portare con sé questi strumenti con sé in Asia?». Gli strumenti analizzati provengono dal sito di Kokiselei, dove erano stati raccolti insieme a parte dei sedimenti immediatamente circostanti per poterne datare l’età. Parlando di salto tecnologico, vale la pena ricordare i misteriosi miti che narrano la nascita della civiltà e della tecnologia. Quasi tutte le culture umane raccontano di una divinità che nella notte dei tempi insegnò agli umani la fabbricazione di oggetti, l’agricoltura, le arti e le leggi civili. Basti pensare al mito greco di Prometeo che ruba il fuoco agli dei per consegnarlo agli uomini, oppure al dio dei Maya Quetzalcoatl, che agli albori della storia umana consegnò la sapienza agli uomini, ed infine, al racconto biblico del peccato originale nel quale l’uomo, sedotto da un serpente, esce dall’ordine cosmico per divenire “simile a Dio”.Gli antichi e misteriosi miti della “Colpa di Origine”. Quasi tutte le culture umane hanno miti che raccontano di una “colpa di origine”, di un evento antico che avrebbe “deviato” l’uomo dal suo percorso evolutivo naturale. Il più conosciuto è sicuramente quello raccontato dalla Bibbia e secondo l’interpretazione di un autore cristiano del III secolo, Ireneo di Lione, quello di Adamo è stato un peccato d’impazienza, un voler bruciare le tappe. Benchè già creato ad “immagine e somiglianza” di Dio, l’uomo cede alle lusinghe del serpente che gli promette di farlo diventare uguale a Dio. Ma chi è questo serpente? E’ possibile che antichi esseri extraterrestri abbiano modificato il genoma umano, intervenendo indebitamente sull’evoluzione naturale dell’umanità?(“Perché l’evoluzione umana è fuori dall’armonia del cosmo?”, dal blog “Il Navigatore Curioso”, 2017).«Desidero condividere con te, Morpheus, una geniale intuizione che ho avuto, durante la mia missione qui. Mi è capitato mentre cercavo di classificare la vostra specie. Improvvisamente ho capito che voi non siete dei veri mammiferi: tutti i mammiferi di questo pianeta d’istinto sviluppano un naturale equilibrio con l’ambiente circostante, cosa che voi umani non fate. Vi insediate in una zona e vi moltiplicate, vi moltiplicate finché ogni risorsa naturale non si esaurisce. E l’unico modo in cui sapete sopravvivere è quello di spostarvi in un’altra zona ricca. C’è un altro organismo su questo pianeta che adotta lo stesso comportamento, e sai qual è? Il virus. Gli esseri umani sono un’infezione estesa, un cancro per questo pianeta: siete una piaga. E noi siamo la cura» (Agente Smith – “Matrix”). Perchè l’uomo non è in armonia con il cosmo? Il male è senza dubbio un fenomeno reale sperimentabile nel corso della storia umana. Ma allo stesso tempo è anche un mistero inspiegabile. Qual’è la sua origine? Se il cosmo e la natura umana fossero radicalmente malvagie, come si spiega la nostalgia del bene che abita il cuore umano, il rifiuto del male e dell’ingiustizia? D’altro canto, se il cosmo e l’uomo sono buoni, allora come si è giunti dunque a questa perversione?
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Harry Potter all’Eliseo: partiti (e cittadini) non servono più
Nei salotti mainstream campeggia la figura del nuovo Harry Potter francese sbucato dal nulla, il maghetto dei miracoli elettorali scaturito come un sortilegio con un’unica missione, sbarrare la strada dell’Eliseo a Marine Le Pen per tamponare la falla apertasi nell’euro-sistema dopo la defezione della Gran Bretagna. Umoristi e politologi si cimentano in suggestivi paragoni tra Macron e Renzi, l’uno “senza partito” e l’altro con al seguito il riottoso Pd, come se in Europa i partiti dell’establishment avessero prodotto un leader degno di tale nome, negli ultimi trent’anni. Partiti – tutti – fanatizzati (fronte destro) o infiltrati (fronte sinistro) dall’unico vero potere rimasto in campo, quello – non elettivo, non democratico, non responsabile – del Big Business, multinazionali finanziarizzate, cupole bancarie, retrobottega supermassonici internazionali alle prese, dagli anni ‘80, con le ininterrotte alchimie globaliste, fondate su rivoluzioni invisibili ma inarrestabili: lavoro e consumi, stili di vita, nuove tecnologie e colossali speculazioni, manipolazioni mediatiche e terremoti geopolitici regolarmente pilotati, fino all’abominio (indicibile) dell’auto-terrorismo funzionale alla “guerra infinita” con la sua filiera dell’orrore, dai super-armamenti al subdolo super-spionaggio di massa inflitto agli ignari cittadini, tra email e smartphone.E’ la fotografia – inquietante – che ormai scattano, sul fronte web, gli analisti più critici e pessimisti, allarmati da quello che appare uno scenario quotidiano di guerra, alimentato da crisi continue (economiche, finanziarie, climatiche, demografiche) e devastazioni sempre più dirompenti, di cui l’esodo biblico dei migranti sembra solo la vetta di un iceberg che persino gli osservatori meglio documentati faticano a misurare per intero, data la sua imponderabile vastità, in continua evoluzione. Un terremoto costante, senza più argini da parte di alcuna istituzione: il diritto internazionale sembra un residuato archeologico, smarrito nel feroce caos quotidiano, tra proiezioni, statistiche e “fake news” televisive, dove nessuno sembra in grado allungare davvero lo sguardo nemmeno sul semestre seguente, nell’unica certezza che il potere – quello dei veri decisori – sia lontanissimo, irraggiungibile e neppure coeso, ma dilaniato al suo interno da scontri durissimi. Guerre segrete senza quartiere, di cui al pubblico, qualche volta, può arrivare soltanto l’eco. Nonostante questo, si recita – ancora – lo spettacolo delle elezioni, la democrazia rappresentativa, che sa ancora generare fenomeni di auto-ipnosi fino alla tifoseria, dalla Brexit al referendum italiano, dal voto per la Casa Bianca a quello per la presidenza francese.I soliti esperti si affrettano a dichiarare chiusa la partita, in Francia, con la scontata vittoria di Macron, mentre altri osservatori – come il direttore di “Limes”, Lucio Caracciolo – preferiscono la prudenza: messi insieme, i due candidati antisistema (Le Pen e Mélenchon) sono il “primo partito” francese, e non è detto che i grandi sconfitti del primo turno riescano a far convergere i loro voti sul “maghetto” dei Rothschild. Che cosa poi riuscirebbe davvero a fare la Le Pen, se eletta, non è dato immaginarlo. Se non altro, il suo Front National è un super-partito a tutto tondo, tradizionale, fatto di sezioni e votazioni congressuali. Un “luogo della democrazia” dove il consenso cresce per gradi, confrontando opzioni e programmi. Cioè esattamente quello che è andato scomparendo altrove, dall’ectoplasma post-politico del Pd renziano fino all’estremo esperimento “apartitico” di Macron, che celebra l’estinzione definitiva dell’entità-partito come ponte, teorico e pratico, tra il cittadino e l’istituzione. Sembra il compimento del Vangelo di Lewis Powell, 1971: svuotare la democrazia per demolire la sinistra dei diritti sociali, da cui l’azione della Trilaterale e i cantori della “crisi della democrazia”. Un piano inclinato, inesorabile: la Guerra del Golfo, e l’11 Settembre, il Medio Oriente trasformato in inferno per profughi. Fino alla follia della guerra con la Russia, subita da un’Europa letteralmente frastornata, messa in croce dall’Eurozona.Rassegnatevi: i partiti non servono, non serviranno più. E’ il messaggio che proviene dal mezzo successo francese di Macron. Mettetevi l’anima in pace: è finita per sempre l’epoca delle assemblee, dei delegati. E’ già nella spazzatura della storia, insieme ai sindacati. E in Italia, la presunta alternativa in campo – il Movimento 5 Stelle – è guidato da un leader che licenzia chiunque non gli piaccia. Non è mai stato celebrato un solo congresso. Le periodiche votazioni, che pure avvengono, si svolgono online. E chi partecipa può scegliere solo in base a un menù predefinito, a monte, da un vertice-fantasma che nessuno ha eletto. L’avatar Macron è il futuro che ci aspetta? Certamente sì, scommettono i più esasperati, se i cittadini non si decidono a riappropriarsi della loro sovranità essenziale, fondata sulla partecipazione. Gli strumenti di ieri sono tutti caduti, archiviati, rottamati. Per contro, cresce la frustrazione degli esclusi, che sospettano di essere ormai la grande maggioranza. Un vastissimo popolo, ancora immobile. Strattonato dalle crisi a testata multipla – lavoro, sicurezza – e intimidito ogni giorno da notizie spaventose, attentati, previsioni angoscianti. La scomparsa del futuro è ormai spacciata per normalità. Il calcio tiene ancora banco, più che mai. E nelle tabaccherie furoreggia il Superenalotto. C’è chi sostiene che i grandi decisori siano inquieti, che temano la rabbia dei delusi, elettoralmente espressa dai cosiddetti populismi. Ma basta fare un giro su Facebook, su WhatsApp, per scoprire che non ci sono rivoluzioni culturali in vista.Nei salotti mainstream campeggia la figura del nuovo Harry Potter francese sbucato dal nulla, il maghetto dei miracoli elettorali scaturito come un sortilegio con un’unica missione, sbarrare la strada dell’Eliseo a Marine Le Pen per tamponare la falla apertasi nell’euro-sistema dopo la defezione della Gran Bretagna. Umoristi e politologi si cimentano in suggestivi paragoni tra Macron e Renzi, l’uno “senza partito” e l’altro con al seguito il riottoso Pd, come se in Europa i partiti dell’establishment avessero prodotto un leader degno di tale nome, negli ultimi trent’anni. Partiti – tutti – fanatizzati (fronte destro) o infiltrati (fronte sinistro) dall’unico vero potere rimasto in campo, quello – non elettivo, non democratico, non responsabile – del Big Business, multinazionali finanziarizzate, cupole bancarie, retrobottega supermassonici internazionali alle prese, dagli anni ‘80, con le ininterrotte alchimie globaliste, fondate su rivoluzioni invisibili ma inarrestabili: lavoro e consumi, stili di vita, nuove tecnologie e colossali speculazioni, manipolazioni mediatiche e terremoti geopolitici regolarmente pilotati, fino all’abominio (indicibile) dell’auto-terrorismo, funzionale alla “guerra infinita” con la sua filiera dell’orrore, dai super-armamenti al subdolo super-spionaggio di massa inflitto agli ignari cittadini, tra email e smartphone.
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“Élite satanista, mi han coinvolto nel ’sacrificio’ di bambini”
Sacrifici umani – vittime, i bambini – per poi ricattare a vita i partecipanti, membri della super-élite finanziaria internazionale. E’ il contenuto della scioccante video-intervista realizzata dalla giornalista olandese Irma Schiffers per il network indipendente “De Vrije Media Tv”. Nel filmato, pubblicato su YouTube, a vuotare il sacco è un uomo dall’aspetto giovanile, il connazionale Ronald Bernard, esperto in “psicologia della finanza”, settore che si occupa della “persuasione del cliente”. Decisamente scosso, Bernard, quando rievoca l’esperienza che sostiene di aver vissuto: si sarebbe rifiutato, all’ultimo istante, di abusare di minori, durante riti “satanici” organizzati da esponenti, insospettabili, del massimo potere. Gli occhi gli si riempiono di lacrime. «Bambini…», dice, a mezza voce. Sembra sconvolto, al ricordo. «Ti è stato chiesto di farlo?», gli domanda l’intervistatrice. «Sì, ma io non ho potuto». S’interrompe, non riesce quasi più a parlare. Poi si riprende: la sua coscienza, dice, si è come «scongelata», e allora ha detto di no. «Quando si entra così profondamente in queste cerchie – racconta – ti fanno firmare un contratto a vita: non devi divulgare i nomi delle imprese, delle organizzazioni o delle persone. Penso sia per questo che sono ancora in vita», sostiene Bernard, che infatti si guarda bene dal fare nomi.La sua lunghissima intervista, sottotitolata in francese e tradotta in italiano sul blog di Maurizo Blondet, illumina retroscena allucinanti come quelli esplorati dal romanzo “Nel nome di Ishmael”, per il quale l’autore – Giuseppe Genna – ricevette complimenti da Francesco Cossiga, che al telefono gli disse: «Bravo, Genna. Vedo che ha capito come funziona, quel sistema». La trama del romanzo “svela” un’organizzazione segreta, Ishmael, dietro cui si celano i vertici del potere planetario: economia, finanza, politica, militari, servizi segreti. Il loro “metodo”? Assassinare leader scomodi, facendo precedere l’attentato dal sistematico ritrovamento del cadavere di un bambino, a volte anche neonato, orribilmente abusato e “sacrificato”. «La maggior parte di quelle persone – dice oggi l’olandese Bernard – aderisce a una religione speciale», che lui chiama “luciferina”. Nel 2016, fece scalpore – in Svizzera – la sconcertante performance “artistica”, musicale e multimediale, messa in scena per l’inaugurazione del traforo ferroviario del Gottardo: una coreografia spettacolare, con decine di figuranti dall’aspetto sub-umano, ridotti a schiavi, in adorazione di un dio-caprone. Il tutto, sotto lo sguardo impassibile delle massime autorità europee.«Io ero in contatto con questi circoli, queste reti», racconta Bernard alla Schiffers. «Per me non erano che clienti», spiega. «Quindi ho frequentato dei posti chiamati “Chiesa di Satana”», ma solo «come visitatore: un invitato, lasciato in disparte». E quelli? «Facevano le loro “sante messe” con donne nude e alcolici». All’epoca, continua l’olandese, «tutto questo semplicemente mi ha divertito». Niente di serio, insomma. Ma poi, un giorno, Bernard racconta di esser stato «invitato, all’estero, a partecipare a dei sacrifici». E qui l’uomo comincia a crollare: parla di bambini, dichiara di esserne rimasto sconvolto. Fra interruzioni, imbarazzi e commozione, lascia capire di essersi rifiutato di partecipare a qualcosa di abominevole. «Dopo questo, ho cominciato lentamente a crollare». Eppure, dice, quello era il mondo nel quale si era trovato: «Così ho iniziato a rifiutare incarichi professionali: non potevo più eseguirli». Il suo rifiuto, dice, l’ha messo in pericolo: «Questo ha fatto di me una minaccia – per loro, ovviamente. Non riuscivo più a funzionare in modo ottimale, vacillavo, rifiutavo alcuni compiti. Non avevo partecipato…».Lo scopo di quei riti tenebrosi? «E’ di tenere tutti in pugno, col ricatto. Devi poter essere soggetto al ricatto. E lo fanno attraverso i bambini. Questo mi ha sconvolto», scandisce Ronald Bernard, tra le lacrime. «Purtroppo – aggiunge – la verità è che ciò avviene nel mondo intero, e da migliaia di anni». Il finanziere olandese cita la Bibbia e parla di Satana, aggiungendo di aver studiato teologia «per dare un senso a tutto questo», dopo esser stato un “numero uno” in tutt’altro campo, quello della “psicologia delle masse” applicata al business: «Ero capace di manipolare le situazioni a mio vantaggio». L’intervistatrice evoca il Tavistock Institute, il controllo mentale, progetti Cia come l’Mk-Ultra. Bernard annuisce: «Sì, esattamente, ma questo fa parte del mio lavoro». E spiega: «Quando fate transazioni, dovete anche manipolare i media; dovete manipolare molte cose, perché niente può essere lasciato al caso. Tutto è falsato. Ci si abitua a vedere la gente come un gregge di pecore. Usate qualche cane da pastore per mandarle dove volete voi. E francamente, vedo che questo continua dappertutto. La gente non capisce di essere manipolata, è completamente assorbita in un meccanismo di sopravvivenza – e questo è programmato. E scoprite com’è facile, manipolare le masse in una direzione, quando a tirare i fili siete voi».Puro cinismo, nel super-vertice evocato dal “pentito” Bernard: in quei circoli esclusivi, dice, «noi le persone le mastichiamo: sono solo un prodotto, spazzatura». E così tutto il resto: «La natura, il pianeta, tutto può bruciare, tutto per noi può essere distrutto: sono solo parassiti inutili. Servono solo a farci crescere, a farci raggiungere i nostri obiettivi». I super-malvagi, secondo Bernard, agiscono per odio puro, in purezza ascetica e fanatica: odio per il genere umano, la natura, la “creazione”. Devastazioni orrende, a ogni livello – dal “sacrificio” di minori a quello, economico, di interi popoli – compiute come fossero “offerte votive” per la contro-divinità a cui questa oligarchia sarebbe devota. «Sono pochi quelli che non sottovalutano la gravità di tutto questo», insiste Bernard. «Perché questa è una forza annientatrice, che odia l’umanità. Odia la creazione, odia la vita. E farà di tutto per distruggerci completamente. E il loro modo per farlo è dividere l’umanità: “divide et impera” è la loro verità». Bernard denuncia il largo impiego dei servizi segreti, per produrre terrorismo e guerre allo scopo di «creare una quantità di sofferenza e miseria in questo mondo».Traffico di droga, di armi e anche di esseri umani: sono metodi, dice ancora Bernard, attraverso i quali si implementano i fondi neri delle strutture di intelligence incaricate di organizzare “l’inferno in Terra”. Dice: «L’intero mondo che crediamo di conoscere è una illusione». Quello che «ci vien fatto credere», aggiunge, è integralmente falso. Lui sostiene di averlo scoperto grazie al tiopo di lavoro che ha svolto. «Tutto è finanziato», insiste, alludendo per esempio all’Isis. «C’è tutto un mondo invisibile», dice Bernard, che ammette di aver da poco “scoperto” i Protocolli dei Savi di Sion, storico falso documentale, fabbricato per alimentare l’antisemitismo. Un capolavoro di manipolazione, fabbricato in Russia dall’Okhrana, la polizia segreta zarista, e pubblicato nel 1903. Dopo oltre un secolo, Ronald Bernard lo trova interessante: «Se lo studi e lo capisci, è come leggere il giornale della vita quotidiana». Ma, a parte le anticaglie del razzismo europeo pre-hitleriano, il finanziere olandese che denuncia i “riti satanici” dell’élite, col “sacrificio dei bambini”, appare sinceramente scosso e allarmato: «La gente non si difende, non si oppone. Non capisce cos’è davvero la realtà». Ancora, cita il Satana della Bibbia, ormai demistificato dall’esegesi: nell’Antico Testamento, il “satàn” era un ruolo sociale, quello dell’oppositore giudiziale, nel caso di controversie. Questo però non toglie che, ai piani alti del potere, si possa credere che esista davvero, il “principe del male”: cui magari “sacrificare” innocenti?Sacrifici umani – vittime, i bambini – per poi ricattare a vita i partecipanti, membri della super-élite finanziaria internazionale. E’ il contenuto della scioccante video-intervista realizzata dalla giornalista olandese Irma Schiffers per il network indipendente “De Vrije Media Tv”. Nel filmato, pubblicato su YouTube, a vuotare il sacco è un uomo dall’aspetto giovanile, il connazionale Ronald Bernard, esperto in “psicologia della finanza”, settore che si occupa della “persuasione del cliente”. Decisamente scosso, Bernard, quando rievoca l’esperienza che sostiene di aver vissuto: si sarebbe rifiutato, all’ultimo istante, di abusare di minori, durante riti “satanici” organizzati da esponenti, insospettabili, del massimo potere. Gli occhi gli si riempiono di lacrime. «Bambini…», dice, a mezza voce. Sembra sconvolto, al ricordo. «Ti è stato chiesto di farlo?», gli domanda l’intervistatrice. «Sì, ma io non ho potuto». S’interrompe, non riesce quasi più a parlare. Poi si riprende: la sua coscienza, dice, si è come «scongelata», e allora ha detto di no. «Quando si entra così profondamente in queste cerchie – racconta – ti fanno firmare un contratto a vita: non devi divulgare i nomi delle imprese, delle organizzazioni o delle persone. Penso sia per questo che sono ancora in vita», sostiene Bernard, che infatti si guarda bene dal fare nomi.
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La Rowling: solo il fallimento ci insegna il potere della vita
Ho deciso di parlare dei vantaggi del fallimento. E voglio esaltare l’importanza fondamentale dell’immaginazione. Mezza vita fa, quando avevo 21 anni, ero convinta che l’unica cosa che avrei voluto fare era scrivere romanzi. Tuttavia, i miei genitori, entrambi provenienti da un ambiente povero (nessuno di loro era stato all’università) pensavano che la mia immaginazione iperattiva fosse solo un hobby divertente, che mai avrebbe pagato un’ipoteca o assicurato una pensione. Ora so che l’ironia colpisce con la forza di un’incudine, come nei cartoni animati. Così, i miei speravano che avrei preso una laurea professionale, mentre io volevo studiare la letteratura inglese. Fu raggiunto un compromesso, che poi non ha soddisfatto nessuno. Non ricordo di aver mai detto ai miei che stavo studiano i classici: l’avrebbero scoperto solo il giorno della laurea. Di tutte le materie pratiche di questo pianeta, non sarebbe stato facile trovarne una meno utile della mitologia greca. Chiarisco, tra parentesi, che non biasimo i miei: c’è una data di scadenza, entro la quale i genitori possono guidarti nella direzione sbagliata, ma dal momento in cui sei abbastanza grande per prendere il timone, la responsabilità è tua. Inoltre, non posso criticarli per aver sperato che non avrei mai sperimentato la povertà. Erano stati poveri, e lo sono stata anch’io. E sono d’accordo con loro: la povertà non è un’esperienza che nobiliti.
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Bonnal: è un lager digitale. Vale tutto, tranne pensare
«Siamo tutti contenti di perdere il nostro tempo nella rete, di pescare qua e là dei pesci d’oro e delle informazioni, di perdere il tempo che avremmo potuto impiegare coltivando il nostro vero giardino. Ma come nel paese dei balocchi di Pinocchio, c’è un prezzo da pagare. Infatti si vive avvolti nella tela del ragno». Secondo Nicolas Bonnal, la Terra è ormai diventata una sorta di “campo di concentramento elettronico” monitorato su web. Lo scrittore francese cita la Bibbia, il libro di Giobbe: «L’empio si è costruito una casa simile alla tela di un ragno». Accusa: non ci sono più contadini, sono stati intrappolati dai trattati internazionali come il Gatt. «È Carl Schmitt a constatare come il guerrigliero o il resistente perdano tutto il potere dal momento che non è più terrestre ma tecnodipendente». Una resistenza è ancora possibile? «I progressi del totalitarismo elettronico attuale si basano sul web, che rafforza il potere mefitico dei veri cospiratori», accusa Bonnal, in un post su “Defensa” tradotto da “Come Don Chisciotte”. I cospiratori? «Sono le amministrazioni delle democrazie impopolari, le banche, i servizi segreti, la polizia parallela (non quella destinata a proteggervi), oggi diventati onnipresenti».Un analista indipendente come Michael Snyder ricorda che la polizia statunitense ha fermato dei cittadini di ritorno da un breve viaggio in Canada per controllare il contenuto, dopo averlo confiscato, del loro cellulare. «Questa polizia detiene tutti i doveri, tranne quello di poteggervi», scrive Bonnal. «È la polizia messa in piazza all’indomani degli attentati. Domandatevi innanzitutto a chi giova il terrorismo. Aboliscono il cash per ostacolare il terrorismo, e accusano i russi di hackerare le elezioni, avendo così una buona scusa per annullarle davvero». Il progresso tecnologico, continua Bonnal citando Guy Debord, ha permesso la creazione di un “presente informativo permanente” che annega tutta la verità «nell’idiota liquidità visiva». E’ un presente nel quale «la moda stessa, l’abbigliamento o la musica, si è fermata», perché «vuole dimenticare il passato e non sembra credere più in un avvenire». Questo “eterno presente” lo si ottiene «dall’incessante passaggio circolare dell’informazione, il ripetersi in un qualsiasi momento delle stesse inezie, annunciate appassionatamente come si trattasse di notizie importanti; mentre raramente passano, e per brevi momenti, le notizie veramente importanti, che riguardano ciò che cambia realmente».Autodistruzione programma del mondo? «Il problema è che, prima di autodistruggersi, questa macchina mondiale distruggerà noi: come lo scorpione di Orson Welles». Secondo Bonnal, «l’attuale Stato mondiale è ebbro della propria potenza e trasforma la Terra in un campo di concentramento elettronico: ovunque l’abolizione del cash, in Giappone per i suoi Giochi olimpici, a Taiwan, in India e in Europa. Controllo dell’oro e del denaro, controllo del vostro pensiero, censura dell’informazione grazie ai servili canali della disinformazione; tutto diventa possibile, per questo Stato Profondo che è anche uno Stato di superficie, uno Stato dello spettacolo (il presidente turco ha visitato i massoni, i rifugiati di Calais, i resistenti siriani, gli amici del Bilderberg) e una società di facciata. E il pubblico, come nella favola di Platone, se la gode». Anche le fondazioni di Bill Gates festeggiano, come scrive Lucien Cerise: «L’iniziativa comune di un Bill Gates e di un Rockefeller di creare sull’isola norvegese Svalbard una sorta di bunker “arca di Noè” contenente tutti i grani e le sementi del mondo è piuttosto inquietante. Perché lo fanno, cosa stanno combinando? Domande retoriche, il progetto è molto chiaro: si tratta di cominciare a privatizzare tutta la biosfera, cosa che permetterà di controllarla integralmente dopo averla distrutta. Siamo al cuore di Gestell e dell’ingegneria cibernetica, che condivide lo stesso orizzonte: l’automatizzazione completa del globo terrestre»Siamo arrivati ai televisori coreani Samsung «che rivelano i vostri pensieri e i vostri sussurri». Non li comprerete? «Ma “loro” potranno sempre inviare questa neopolizia, questa polizia parallela per controllare il vostro oro, il vostro giardino, il vostro consumo di acqua». Per Debord, la mondializzazione è stata facilitata dalla «pericolosa espansione tecnologica», che è sempre stata al servizio del potere. Lo conferma Paul Virilio. Oggi, “governo” è essenzialmente “controllo”: «La parola viene da rotula, che indica il rotolo, il cilindro in latino», scrive Bonnal. «È stato introdotto in Inghilterra dai terribili normanni conquistatori di Guglielmo. E serve, questo controllo a redigere il “Domesday book”, che calcola la ricchezza di questi poveri anglosassoni gallina per gallina, uovo per uovo». Il problema, per Bonnal è che «ci connettiamo, per lamentarci, invece di organizzarci nelle piazze: e il web, come vi suggerisce il suo nome, ci intrappola più facilmente nella rete. L’informatica ci blocca in casa invece di farci uscire». Poi, ovviamente, «ci sono cretini che scorrazzano per strada sopportando i quaranta gradi (li ho visti a Madrid) per correre dietro a un Pokémon».Non dimentichiamoci, aggiunge Bonnal, che i campioni della mondializzazione si considerano i pensatori globali. Neo-aristocratici, oligarchi. «Esagero? Pensate a come vi tratta il fisco. Pensate a come la polizia elettorale tratta il 96% dei francesi che non vogliono più il socialismo e cerca il proprio candidato con l’aiuto di un motore di ricerca. Guardate come vi tratta la polizia stradale. Pensate come la banca o l’aeroporto vi trattano. Guardate come vi trattano in Germania (in prigione) se siete contrari all’educazione della teoria gender per il vostro bambino. Pensate a come il tribunale vi tratterà se siete europei qui, americani laggiù». Questa civilizzazione, continua Bonnal, «è come il volo terrificante della GermanWings: è guidata da folli suicidi, non si può scendere in corsa e allora si schianterà in volo». Il giovane ribelle Étienne La Boétie, filosofo del ‘500, aveva le idee chiare: «Povera gente insensata, vi lasciate portar via sotto gli occhi tutti i vostri migliori guadagni, permettete che saccheggino i vostri campi, rubino nelle vostre case spogliandole dei vecchi mobili paterni! Vivete in condizione da non poter più vantare di possedere una cosa che sia vostra; e vi sembrerebbe addirittura di ricevere un gran favore se vi si lasciasse la metà dei vostri beni, delle vostre famiglie, delle vostre vite».Mentre noi «lavoriamo per pagare le imposte ai nostri super-Stati, profondi e superficiali», continua Bonnal, «abbiamo dimezzato il numero dei nostri bambini». E attenzione: «E’ la democrazia ad aver realizzato questo miracolo: il numero delle nascite si è dimezzata nella Germania dell’est postcomunisma e nella Spagna postfranchista. Fu Orson Welles a dichiarare in un’intervista che la Spagna tradizionale era stata distrutta dalla democrazia». Alexis de Tocqueville l’aveva chiamato «un potere immenso e tutelare», un potere «assoluto, particolareggiato, regolare, previdente e mite». Somiglierebbe all’autorità paterna, se solo avesse lo scopo di «preparare gli uomini alla virilità», e invece «cerca di fissarli irrevocabilmente all’infanzia: ama che i cittadini si divertano, purché non pensino che a divertirsi». Un potere che «lavora volentieri al loro benessere, ma vuole esserne l’unico agente e regolatore». Provvede alla loro sicurezza e ai loro bisogni, facilita i loro piaceri, «tratta i loro principali affari, dirige le loro industrie, regola le loro successioni, divide le loro eredità». A quel punto, «non potrebbe allora togliergli interamente la fatica di pensare e la pena di vivere? Così ogni giorno esso rende meno necessario e più raro l’uso del libero arbitrio, restringe l’azione della volontà e toglie a poco a poco a ogni cittadino perfino l’uso di se stesso».«Siamo tutti contenti di perdere il nostro tempo nella rete, di pescare qua e là dei pesci d’oro e delle informazioni, di perdere il tempo che avremmo potuto impiegare coltivando il nostro vero giardino. Ma come nel paese dei balocchi di Pinocchio, c’è un prezzo da pagare. Infatti si vive avvolti nella tela del ragno». Secondo Nicolas Bonnal, la Terra è ormai diventata una sorta di “campo di concentramento elettronico” monitorato su web. Lo scrittore francese cita la Bibbia, il libro di Giobbe: «L’empio si è costruito una casa simile alla tela di un ragno». Accusa: non ci sono più contadini, sono stati intrappolati dai trattati internazionali come il Gatt. «È Carl Schmitt a constatare come il guerrigliero o il resistente perdano tutto il potere dal momento che non è più terrestre ma tecnodipendente». Una resistenza è ancora possibile? «I progressi del totalitarismo elettronico attuale si basano sul web, che rafforza il potere mefitico dei veri cospiratori», accusa Bonnal, in un post su “Defensa” tradotto da “Come Don Chisciotte”. I cospiratori? «Sono le amministrazioni delle democrazie impopolari, le banche, i servizi segreti, la polizia parallela (non quella destinata a proteggervi), oggi diventati onnipresenti».
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Il Papa: leggete la Bibbia. E se scoprono che Dio lì non c’è?
Ah, se solo leggeste la Bibbia almeno quanto leggete i messaggi sul telefonino… Parola di Papa Francesco, sicuro che ai suoi fedeli farebbe bene leggere l’Antico Testamento. Lo ripete (da tutt’altro punto di vista) anche Mauro Biglino, le cui traduzioni – letterali, dall’ebraico antico, pubblicate da Uno Editori e da Mondadori – stanno smontando i dogmi basati sull’interpretazione monteistica delle “sacre scritture”. «Leggetela, la Bibbia», ripete Biglino, «e scoprirete che non parla affatto di Dio, di nessun Dio». Ovvero: in ebraico non esistono né la parola “Dio” né il concetto stesso di divinità. Nella Bibbia, spiega Biglino (autore di 17 traduzioni ufficiali della Bibbia per le Edizioni San Paolo), non compaiono testualmente neppure le parole “creazione”, “eternità”, “onnipotenza”, di cui invece sono piene le Bibbie tradotte (molto liberamente) nelle edizioni moderne. «Tutte “invenzioni” della teologia, basate su traduzioni scorrette, erronee o deliberamente false, per accreditare l’idea che la Bibbia parli di Dio». Il problema? «Spesso, chi raccomanda di leggere la Bibbia non l’ha mai letta, in ebraico. Chi la predica non la conosce affatto, nella versione originale. Altrimenti saprebbe che quel libro non parla mai di nessun Dio, ma solo di un “Elohim” chiamato Jahvè, presentato insime ad altri “Elohim”, suoi pari. E nessuno al mondo sa cosa significhi la parola “Elohim”, che la teologia – senza giustificarlo in alcun modo – traduce arbitrariamente con il termine “Dio”».La tesi di Biglino non è mai stata smentita da nessuno, neppure dagli importanti teologi convocati a Milano per un confronto aperto sulle Scritture, tra cui il rabbino capo della comunità ebraica di Torino, Ariel Di Porto, e monsignor Avondios (Dumitru Bica), arcivescovo milanese della Chiesa ortodossa. «Se avessimo certezza di Dio, Dio non sarebbe», ammette don Ermis Segatti, docente di storia del Cristianesimo alla facoltà teologica dell’Italia settentrionale. Nettissimo anche il biblista e pastore valdese Daniele Garrone, autore di dizionari di ebraico antico: «Nella Bibbia, se volete, c’è la fiducia che sia risuonata la parola di Dio». Tutto qui: «La fiducia, se volete». Ma non l’equazione “Jahvè uguale Dio”. Autore ultra-contestato dai “partigiani” del monoteismo biblico, Mauro Biglino è diventato un fenomeno editoriale, con decine di migliaia di titoli venduti, anche all’estero. Provocazioni? No: solo il gusto della ricerca libera, fondata sul dubbio. «Sulla Bibbia – precisa – non ho alcuna certezza. Non sono nemmeno sicuro che racconti la verità. Nessuno, del resto, può avere certezze: l’unica cosa sicura è che questa Bibbia non è l’originale. Il testo attuale è stato rimaneggiato, per l’ultima volta, dai biblisti ebrei Masoreti all’epoca di Carlomagno. Nessuno sa che in che lingua sia stata scritta, e da chi: la Bibbia è un libro senza fonti storiche, senza alcuna traccia della vera identità dei suoi numerosi autori».Lo stesso Biglino si guarda bene dal negare l’esistenza di Dio: «Non ho le certezze degli atei», chiarisce. «Semplicemente, non mi occupo dei mondi spirituali, perché non ne so nulla». Rivendica però il diritto di rileggere la Bibbia nel modo più semplice: alla lettera, in ebraico. «Non nego affatto la legittimità dell’interpretazione tradizionale, teologica, così come di tutte le altre, l’interpretazione allegorica, quella simbolica, quella esoterica. Chiedo però che la traduzione testuale abbia, almeno pari dignità». Biglino contesta i propagandisti clericali: «Pretendono di far dire alla Bibbia cose che quel libro non dice. Magari non conoscono la lingua in cui è stato scritto, eppure sostengono che – laddove ad esempio parla di guerra, cioè quasi ovunque – in realtà parli di pace, in modo allegorico. Ma perché mai gli autori biblici, in un mondo di analfabeti, avrebbero dovuto rifugiarsi nel linguaggio cifrato? La Bibbia in realtà è chiarissima: parla della ferrea dominazione di un “Elohim” chiamato Jahvè su una famiglia, quella di Giacobbe, senza mai neppure spiegare esattamente cosa fosse, un “Elohim”».Certo, per la Bibbia – alla lettera – Jahvè non è un Dio: degli “Elohim”, che erano tanti, la Scrittura dice che erano individui potenti ma in carne e ossa, col bisogno di mangiare, riposarsi, lavarsi. Jahvè è definito “maschio di guerra”, guerriero. La sua specialità? «Guerre di sterminio: genocidi, infanticidi, femminicidi». Biglino lo definisce «il più grande antisemita della storia, dato che le “guerre sante” di Jahvè, come quella contro i Madianiti, erano condotte dal gruppo di Giacobbe contro parenti prossimi, tutti discendenti di Abramo». Da Javhè, in ogni caso, mai un accento etico, men che meno metafisico o religioso: i suoi famosi “comandamenti” – non 10, ma oltre 600 – erano semplici regole per disciplinare una comunità piuttosto primitiva e violenta, organizzata in modo militare. «Leggetela davvero, la Bibbia», ripete Biglino: «Persino nella versione tradizionale, in italiano, vi accorgerete che non parla di Dio». E nemmeno di Gesù, aggiunge Biglino, citando l’ultima versione dell’Antico Testamento tradotta quest’anno dai vescovi tedeschi, che smonta «la falsa profezia dell’avvento del Messia», attribuita al libro di Isaia. La traduzione consueta, “la vergine partorirà”, è stata sostituita da quella letterale, “la ragazza è incinta”. Il testo non allude quindi “profeticamente” a Maria di Nazareth, ma una donna della tribù di Giuda. Quel “messia” già in arrivo, secoli prima di Cristo, avrebbe dovuto liberare i giudei dalla dominazione assiro-babilonese. Leggere la Bibbia? Sì, ma alla lettera. E le sorprese non finiscono mai.Ah, se solo leggeste la Bibbia almeno quanto leggete i messaggi sul telefonino… Parola di Papa Francesco, sicuro che ai suoi fedeli farebbe bene leggere l’Antico Testamento. Lo ripete (da tutt’altro punto di vista) anche Mauro Biglino, le cui traduzioni – letterali, dall’ebraico antico, pubblicate da Uno Editori e da Mondadori – stanno smontando i dogmi basati sull’interpretazione monteistica delle “sacre scritture”. «Leggetela, la Bibbia», ripete Biglino, «e scoprirete che non parla affatto di Dio, di nessun Dio». Ovvero: in ebraico non esistono né la parola “Dio” né il concetto stesso di divinità. Nella Bibbia, spiega Biglino (autore di 17 traduzioni ufficiali della Bibbia per le Edizioni San Paolo), non compaiono testualmente neppure le parole “creazione”, “eternità”, “onnipotenza”, di cui invece sono piene le Bibbie tradotte (molto liberamente) nelle edizioni moderne. «Tutte “invenzioni” della teologia, basate su traduzioni scorrette, erronee o deliberamente false, per accreditare l’idea che la Bibbia parli di Dio». Il problema? «Spesso, chi raccomanda di leggere la Bibbia non l’ha mai letta, in ebraico. Chi la predica non la conosce affatto, nella versione originale. Altrimenti saprebbe che quel libro non parla mai di nessun Dio, ma solo di un “Elohim” chiamato Jahvè, presentato insime ad altri “Elohim”, suoi pari. E nessuno al mondo sa cosa significhi la parola “Elohim”, che la teologia – senza giustificarlo in alcun modo – traduce arbitrariamente con il termine “Dio”».
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E se poi, un bel giorno, scopri che non era vero niente?
Perché l’oro è così importante? L’oro, non il ferro, l’argento, altri metalli. Perché si è scoperto che l’oro, incorruttibile, può isolare al 100% da radiazioni pericolose, provenienti da tecnologie avanzate. Lo affermano i controversi studiosi della cosiddetta paleo-astronautica, che si interrogano sul singolare interesse manifestato, per l’oro, da tutti gli “dèi” dell’antichità, chiamati Viracochas sulle Ande nel regno Inca, Túatha Dé Dànann in Irlanda, Elohim in Palestina, Annunaki in Mesopotamia, Theòi in Grecia, Vimana in India. E ancora: Kachinas in Arizona, Muxul nello Yucatan presso i Maya, Dogu in Giappone, Wakinyan in Nord America presso i Lakota Sioux, Nommo in Mali presso i Dogon. Una cosa è sicura: a un certo punto, nella storia, l’oro viene improvvisamente apprezzato e ricercato, estratto, lavorato, tesaurizzato, utilizzato come valore di scambio. Tutti quegli esseri appassionati all’oro, spesso chiamati Figli delle Stelle perché comparsi a bordo di formidabili mezzi volanti, raffigurati in sculture e altorilievi ancora oggi visibili un po’ in tutto il mondo, instaurarono dominazioni di tipo coloniale, imponendo sempre – alle popolazioni assoggettate – lo stesso “sacrificio” quotidiano: bruciare, per loro, il grasso (inizialmente dei neonati primogeniti, poi solo di agnelli) presente in prossimità di certi organi, fegato e reni.Grasso che, una volta bruciato, produce un fumo inebriante e “calmante”, come spiegano nella Bibbia i sudditi di Jahwè, uno degli Elohim dell’area palestinese, divenuto celebre attraverso il drammatico racconto biblico – Jahwè (o anche Jeohwà o Jihwì, a seconda delle vocalizzazioni convenzionali introdotte solo nel medioevo dai biblisti ebrei della scuola masoretica) era il dispotico, temutissimo padrone della famiglia di Giacobbe-Israele, poi successivamente trasformato, dalla teologia, addirittura in “Dio unico”. Nell’antica Roma, quello stesso grasso era chiamato “omentum”. Stesse disposizioni: era la parte “sacra”, cioè riservata esclusivamente agli “dèi”, perché fosse bruciata (quindi “sacrificata”) solo per loro, pena la morte dei trasgressori. Quel particolare grasso che sovrasta gli organi interni non è come l’adipe, provvisorio e accumulato con l’alimentazione, ma è un grasso stratificato fin dall’infanzia, addirittura dalla nascita. Se bruciato, confermano i chimici, produce un fumo che sprigiona molecole pressoché identiche a quelle delle endorfine, fortemente psicotrope, il cui odore ricorda il profumo appetitoso che si libera dal barbecue durante una grigliata.L’astronauta italiana Samantha Cristoforetti, di ritorno dallo spazio, ha dichiarato che, lassù, aleggia un odore di carne bruciata. Gli scienziati spiegano che quell’odore si diffonde, anche in un’astronave, man mano che si prolunga la missione, perché le condizioni ambientali all’interno del veicolo spaziale accelerano la morte di milioni di cellule epiteliali – morte che, appunto, produce quell’odore. Di recente, poi, ricercatori hanno scoperto che il vino rosso contiene una sostanza particolarissima, il resveratrolo, che protegge le ossa da svariate complicazioni, inclusa la “friabilità” che colpisce lo scheletro negli astronauti esposti a lunghi soggiorni orbitali. La Bibbia racconta che Jahwè beveva vino spesso e volentieri (fece impiantare una vigna a Noè, subito dopo lo sbarco dall’Arca), mentre i testi sumero-accadici riferiscono che gli Annunaki gradivano molto la birra. Elohim, Vimana e tutti gli altri: Figli delle Stelle? “Vimàn” era il nome di una compagnia aerea del Bangladesh, ricorda Mauro Biglino. “In India voliamo da tremila anni”, era uno slogan pubblicitario dell’Air India. El-Al è invece il nome della celebre compagnia israeliana.Se la tradizione rabbinica racchiusa nel Talmud ammette con assoluta tranquillità la presenza della manipolazione genetica nella Genesi – basta vedere come vennero al mondo Adamo ed Eva, disse il professor Safran, rabbino e docente universario di etica medica in Israele, all’epoca della clonazione della pecora Dolly – è davvero impossibile trascurare gli studi più recenti dei genetisti, che mettono in crisi l’evoluzionismo darwiniano: è come se fosse intervenuto qualcosa a “correggere” l’evoluzione, accelerandola – non solo per il Sapiens, ma anche per la pecora e la mucca, la patata, il grano. Cioè gli animali e i vegetali che popolavano il Gan Eden di cui parla la Bibbia, da cui i primi ibridi – Adamo ed Eva, appunto – furono allontanati preventivamente, prima cioè che potessero approfondire “le pratiche dell’albero della vita”, acquisendo cioè le medesime conoscenze, dunque il medesimo potere, dei loro “creatori”, gli Elohim, veri specialisti in genetica sperimentale, a quanto sembra.Emerge un’altra verità, dunque, sui cosiddetti “testi sacri”, da cui discende un impianto di pensiero – e di potere – almeno bimillenario. Non stupisce, quindi, il grande successo dei bestseller di Biglino, pubblicati anche da Mondadori, né l’entusiasmo delle centinaia di persone che affollano le sue frequentissime conferenze. Di Biglino si può apprezzare innanzitutto la correttezza, nella sua impostazione preliminare: non metto in discussione l’esistenza di Dio, ripete, perché non ho le certezze degli atei; mi limito a dimostrare che quella della Bibbia non è una divinità ma solo un Elohim, di cui la stessa Bibbia nomina almeno 20 “colleghi”, di equivalente status, senza peraltro mai spiegare il significato della parola Elohim, che nessuno al mondo conosce. Inoltre, nella Bibbia non sono presenti, mai, i concetti-chiave del monoteismo: creazione, eternità, immortalità, divinità. Il verbo tradotto con “creare” è Baraa, che significa dividere, separare (i cieli dalle acque, le acque dalle terre – Genesi). E della parola Olàm, ancora e sempre tradotta con “eternità”, e che in realtà significa “tempo molto lungo”, i dizionari raccomandano: non tradurla mai con il termine “eternità”.Lo scorso marzo, Biglino è stato protagonista, a Milano, di un importante confronto con eminenti teologi: un importante sacerdote e docente di teologia dell’università cattolica, un arcivescovo ortodosso, il rabbino capo della comunità ebraica di Torino e un insigne biblista, pastore valdese, co-autore di alcuni tra i più importanti dizionari di ebraico e aramaico antico. Nessuno ha messo in discussione le sue tesi. Tutti, al contrario, hanno ammesso che la Bibbia è stata ampiamente travisata. Ma lì si fermano: non denunciano, cioè, il fatto che venga ancora oggi regolarmente travisata. Dice Biglino: nel 95% dei casi, chi professa e propaga le grandi religioni monoteiste che si pretendono originate da quel libro (e quindi: Papi, vescovi, parroci, catechisti, pastori) non conosce neppure la lingua in cui quel libro è scritto. Pretende di “far dire” a quel libro determinate verità, per di più “sacre”, ma non conosce – alla lettera – il testo, nella lingua originaria. Senza contare, poi, che la Bibbia resta una raccolta (non uniforme) di testi di epoche diverse, tutti senza fonte: non è possibile risalire con certezza neppure a un autore; nessuno dei testi biblici ha una chiara paternità – tantomeno i libri più famosi e celebrati, come quello attribuito all’ipotetico profeta Isaia.Anche per questo, mezzo secolo fa, i biblisti ebraici hanno varato il “Bible Project” con il compito, entro 200 anni, di ricostruire una Bibbia più attendibile. L’unica certezza, dicono, è che la Bibbia di oggi – riveduta e corretta per l’ultima volta dai masoreti all’epoca di Carlomagno – non è l’originale. Inoltre mancano una decina di libri, pure citati qua e là: quei libri sono scomparsi. E le incongruenze sintattiche presenti nella versione masoretica dimostrano il grado di manipolazione cui quei testi sono stati sottoposti, nel corso dei secoli. Biglino dice: mi si rimprovera di offrire una lettura letterale del testo, anziché allegorica, simbologica, esoterica, teologica. Va bene, teniamo pure conto di tutte le interpretazioni possibili. Ma aggiunge: perché privarci della versione letterale, sia pure di un testo che sappiamo essere così pesantemente rimaneggiato? Non si sa neppure in che lingua fosse scritto, l’originale: all’epoca della prima stesura della Genesi, per esempio, la lingua ebraica non esisteva ancora. Dunque non sappiamo in che lingua fosse scritto, quel libro, né tantomeno come venissero pronunciate, le parole in esso contenute. Poi intervenne la traduzione in ebraico, ma con le sole consonanti; le vocali furono introdotte solo fra il VI e l’XVIII secolo dopo Cristo, quando appunto “Yhw” divenne finalmente “Jahwè” (ma aJahwènche “Jihwì” e “Jeohwah”).Nonostante tutto ciò, insiste Biglino, perché non provare a leggere il testo così com’è, dando per buona – per un attimo – l’idea che racconti fatti realmente accaduti? Si scoprirebbe, conclude, che la storia narrata – vera o falsa che sia – non è priva di coerenza. Ed è, tra l’altro, la fotocopia perfetta di molti altri libri antichi preesistenti, “sacri” e non, come la trilogia fondativa di un popolo geograficamente contiguo a quello ebraico, i sumero-babilonesi. Quei testi mesopotamici sono l’Atrahasis, l’Enuma Elish e l’Epopea di Gilgamesh. Raccontano tutti la stessa storia: e cioè l’arrivo (da cielo?) di individui potentissimi ma non onnipotenti, molto longevi ma non immortali, in possesso esclusivo di tecnologie fantascientifiche, decisi a colonizzare territori imponendo la loro legge (i comandamenti di Jahwè non sono 10, ma oltre 600) e stabilendo alleanze con singole tribù, in lotta perenne tra loro per la spartizione di piccoli territori. Il patto: voi lavorate per me (mi servite, mi nutrite, mi bruciate quel famoso grasso e mi obbedite in tutto) e io vi aiuto a conquistare “terre promesse”. Se disobbedite, vi stermino. Jahwè, è scritto nella Bibbia, arrivò a uccidere in massa 24.000 sudditi disobbedienti.Quello che Biglino contesta è che, nonostante le evidenze e le conferme provenienti dagli ambiti di studio più disparati (dall’esegesi ebraica all’autorevole École Biblique dei domenicani di Gerusalemme) le traduzioni erronee continuino a essere presenti nelle Bibbie attualmente stampate. In sintesi, il primo problema è Dio. Nella Bibbia, semplicemente, non c’è, dice Biglino. C’è Jahwè, che però è sempre in compagnia dei “colleghi” Milkòm, Kamòsh, e tanti altri. Viene tradotto con “Altissimo” il nome Eliòn, che invece è un individuo «chiaramente indicato come il capo degli Elohim: è scritto nel testo biblico che ne presiede un’assemblea, nientemeno». E addirittura è tradotto coi termini “eterno” e “onnipotente” il nome El Shaddai, letteralmente “signore della steppa”, cioè l’Elohim nel quale si imbatté Abramo. Allo stesso modo, altri termini vengono sempre tradotti in modo consapevolmente inappropriato e fuorviante: Kavod, per esempio. Il contesto biblico lo presenta come un’arma da guerra, un oggetto volante e pericoloso, dotato di armanenti micidiali. Viene tradotto: “gloria”. Così, il “Kavod di Jahwè” diventa la “gloria di Dio”.Quando appare, il Kavod solleva un gran vento, il Ruach – che viene tradotto “spirito”. Sotto il Kavod sono fissati 4 Cherubini. Mezzi meccanici volanti, secondo i rabbini: robot, monoposto. Per l’esegesi teologica cristiana, invece, i Cherubini sono “angeli”, così come gli altri “angeli”, incorporei e alati, che la Bibbia invece chiama Malachìm, presentandoli come individui in carne e ossa, di cui gli umani hanno paura – sono soldati, ufficiali degli Elohim, portaordini pericolosi, molesti, inquietanti. «L’angelo apparve alla vista di Gedeone, volando con leggerezza», e poi «scomparve», scrive la traduzione cristiana della Bibbia, che invece nell’originale, in ebraico, scrive che «il Malach» si fece vedere da Gedeone, e poi «se ne andà camminando». Pura invenzione, il volo, così come l’attraversamento miracoloso del Mar Rosso: «Nel testo c’è scritto che Mosè e i suoi attraversarono solo uno Yam Suf, un canneto. Nessun mare, tantomeno Rosso».Quanto agli “angeli”, più tardi, il fondatore del cristianesimo, Paolo di Tarso, raccomanda alle giovani donne di coprirsi il capo con il velo, se partecipano ad assemblee, e di farlo «a motivo degli angeli», poiché sono sessualmente eccitabili e poco raccomandabili, violenti. Biglino “corregge” anche l’interpretazione della comparsa dell’Arcangelo Gabriele, quello dell’Annunciazione: «Gabriele non è un nome proprio ma solo un termine comune, funzionale: deriva da Ghevèr-El, e essere “il Ghevèr di un El”, per di più “arcangelo”, significa essere un potente ufficiale di alto grado». Dallo studio condotto da Biglino appare evidente la fabbricazione artificiale di un culto, la cui radice viene attribuita a un libro debitamente leggendario, in quanto antico, scritto in una lingua sconosciuta ai più. Lo studioso contesta chi ritiene obbligatoria una lettura necessariamente cifrata: «Quando furono scritti, i testi biblici, a saper leggere e scrivere erano in pochissimi: che motivi avrebbero avuto per dover nascondere il loro racconto sotto il velo simbolico-allegorico?».La prima versione della Bibbia divulgata nel Mediterraneo oltre la Palestina, detta “Bibbia dei Settanta”, fu tradotta in greco ad Alessandria d’Egitto, secondo Biglino ricorrendo a una massiccia interpolazione interpretativa ispirata dal pensiero platonico, che – a differenza della Bibbia – contempla le nozioni filosofiche di trascendenza, divinità, creazione, eternità. Gli ebrei considerano la “Bibbia dei Settanta”, letteralmente, «una tragedia per l’umanità». Eppure, sottolinea lo stesso Biglino, è proprio quella Bibbia in greco ad aver poi originato quella in latino, che è alla base della teologia cattolica e quindi delle Bibbie in italiano per le famiglie. Il lavoro del ricercatore torinese non mette in crisi solo la teologia ufficiale su cui si basano le istituzioni religiose, ma anche l’esegesi alternativa fornita dall’esoterismo, acutamente suggestiva, fondata sulla lettura allegorica e simbolica del testo – lettura che, come quella cattolica, non mette mai in discussione la presenza della divinità nell’Antico Testamento. Diversa ancora l’interpretazione offerta dalla Cabala, che dal testo originario ricava essenzialmente relazioni, assai criptiche, tra valori numerico-simbolici, come se la Bibbia fosse in realtà una complessa trama numerica, velata dalla narrazione superficiale di eventi di per sé non così importanti quanto invece il tessuto ermetico sottostante.Certo è singolare la produzione, negli ultimi anni, di una tale quantità di informazioni, ormai di pubblico dominio, che riguardano in particolare l’interpretazione della storia antica, sacra e non, ma anche una radicale rilettura dell’approccio scientifico alla conoscenza, rivalutando sia i testi sacri, fondativi delle grandi religioni, sia l’opera di esoteristi particolarmente illuminanti – filosofi, medici, artisti, alchimisti, proto-scienziati – che tendono a fornire chiavi di interpretazione delle “leggi universali” i “leggi di natura” molto simili a quelle cui oggi pervengono i settori più avanzati della scienza stessa, a cominciare dalla fisica, dall’astrofisica, dalla geofisica, dalla meccanica quantistica, con le recenti indagini sulla reale consistenza della materia, in cui si suppone che il visibile e l’invisibile rispondano alle stesse leggi, essendo costituiti della medesima energia. Da qui le riflessioni sulla percezione del tempo e della vita stessa, sulla cosiddetta Energia Oscura, sulla Materia Bianca cerebrale di cui i neurologi ammettono di non sapere praticamente nulla.Fisici come Vittorio Marchi e Giuliana Conforto sostengono che la realtà sensibile non sia altro che rappresentazione, e che il nostro cervello non percepisca che il 2% di quanto ci circonda, sulla Terra – per non parlare dell’universo, di cui sappiamo ben poco, al di là del nostro minuscolo sistema solare. Un numero sempre maggiore di storici e antropologi sospetta che la storia sia interamente da riscrivere: a quanto pare non furono gli egizi a erigere le piramidi; quelle scoperte in Bosnia sono più antiche e più grandi di quelle dell’Egitto. Né tantomeno conosciamo la storia misteriosa dei Sumeri, che sorsero all’improvviso come civiltà già formata, in possesso di conoscenze evolute (architettura, agricoltura, scrittura). Forse, ipotizza Biglino sempre prendendo la Bibbia alla lettera, i Sumeri erano la discendenza di Caino, che – essendo cresciuto nel Gan Eden – era stato formato e istruito dagli Elohim.L’esegesi ebraica ritiene ormai in modo unanime che Abramo, storicamente, non sia mai esistito. Quantomeno, il personaggio biblico rispondente a quel nome era evidentemente un sumero, spinto dagli Elohim a vagare “lungi dalla casa di padre mio”, viaggiando fino in Palestina. Poi, i Sumeri scomparvero di colpo, in coincidenza con la distruzione delle città ribelli di Sodoma e Gomorra, operata dagli Elohim impiegando “l’arma dei terrore”, che sprigionò nell’atmosfera una nube letale – i venti dovettero sospingerla fino alla regione di Babilonia, dove è documentata la strage della popolazione (con sintomi da contaminazione nucleare) e la fuga precipitosa degli “dèi” locali, gli Annunaki, che presero il largo a bordo dei loro “carri celesti”, in tutto simili al Kavod di Jahwè.Perché l’oro è così importante? L’oro, non il ferro, l’argento, altri metalli. Forse perché si suppone che l’oro, incorruttibile, possa isolare al 100% da radiazioni pericolose, provenienti da tecnologie avanzate? Lo affermano i controversi studiosi della cosiddetta paleo-astronautica, che si interrogano sul singolare interesse manifestato, per l’oro, da tutti gli “dèi” dell’antichità, chiamati Viracochas sulle Ande nel regno Inca, Túatha Dé Dànann in Irlanda, Elohim in Palestina, Annunaki in Mesopotamia, Theòi in Grecia, mentre Vimana è il nome che in India designa le antiche, ipotetiche astronavi dei Veda. E ancora: i semi-dei “venuti dal cielo” prendono il nome di Kachinas in Arizona, Muxul nello Yucatan presso i Maya, Dogu in Giappone, Wakinyan in Nord America presso i Lakota Sioux, Nommo in Mali presso i Dogon. Una cosa è sicura: a un certo punto, nella storia, l’oro viene improvvisamente apprezzato e ricercato, estratto, lavorato, tesaurizzato, utilizzato come valore di scambio. Tutti quegli esseri appassionati all’oro, spesso chiamati Figli delle Stelle perché comparsi a bordo di formidabili mezzi volanti, raffigurati in sculture e altorilievi ancora oggi visibili in diverse parti del mondo, instaurarono dominazioni di tipo coloniale, imponendo sempre – alle popolazioni assoggettate – lo stesso “sacrificio” quotidiano: bruciare, per loro, il grasso (inizialmente dei neonati primogeniti, poi solo di agnelli) presente in prossimità di certi organi, fegato e reni.