Archivio del Tag ‘Bot’
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Debito positivo, cioè consumi, per tornare sostenibili
Se la politica capisse cos’è veramente il debito pubblico, nessuno in Italia, così come in alcun paese europeo oggi, parlerebbe di crisi. Ma poiché la politica non sa (e in alcuni casi non vuole) capirlo, tocca a noi cittadini e imprenditori informarci, e salvarci di conseguenza. Sapete bene che il reale governo italiano risiede nelle istituzioni dell’Eurozona, che decidono tutto ciò che conta nelle nostre vite di cittadini e aziende. Costoro ci dicono da anni che il debito pubblico va sempre contenuto, perché è la causa di ogni possibile male economico. A tale scopo hanno imposto ai diciotto membri della zona euro le austerità, cioè tagli selvaggi a tutto ciò che è spesa dello Stato, il cosiddetto “risanamento” dei conti. Ma i risultati non ci sono, anzi: in nessuno dei diciotto si è vista una riduzione di debito, e peggio, le relative economie sono tutte in calo, includendo Belgio, Finlandia, Olanda e anche Germania, non solo noi “spendaccioni” del sud Europa, dati Eurostat alla mano. E allora ecco la domanda: cos’è che non funziona?E’ semplice. Primo punto: il debito pubblico non è pubblico. Quando uno Stato spende o emette un titolo, esso accredita conti correnti di cittadini e aziende (noi, il cosiddetto “pubblico”). Quella spesa è debito di Stato, ma è il credito di tutti gli altri, cioè noi, il “pubblico”. Non può essere contemporaneamente debito per tutti e due. Nessuno di noi dovrà ripagarlo. Nessuna impresa privata che lavora per lo Stato dovrà restituire quel fatturato, così come nessun risparmiatore dovrà ripagare i Bot che ha in portafoglio. Di nuovo: la spesa di Stato è debito del governo, ma credito per tutti noi. Secondo punto: il debito dello Stato può essere fruttuoso o, al contrario, dannoso per l’economia. Ed è qui l’errore catastrofico della politica di Bruxelles, cioè il condannare il debito di per sé, sempre, e sempre pretendere che esso venga ridotto. Innanzi tutto, ribadendo che il debito di Stato è il credito di cittadini e aziende, ridurlo significa automaticamente impoverirci. Poi, di nuovo, vanno distinti i due tipi di debito.Se lo Stato investe in un programma di piena occupazione, in infrastrutture e tecnologie per le imprese, in ricerca, se impone il costo del denaro a tasso quasi zero, o addirittura fa credito agevolato in settori vitali per le imprese e le famiglie, la ricchezza del paese cresce (il Pil), e parlo della ricchezza di cittadini e aziende. La crescita del Pil non solo rilancia i consumi e i fatturati, ma rientra sempre nelle “casse” dello Stato e finisce poi col mantenere il debito stabile. Questo è il debito positivo. Se, come invece pretendono le austerità di Bruxelles, viene impedito al governo di usare il debito in quel modo virtuoso, l’economia collassa, il Pil cala e in questo modo la proporzione del debito su Pil appare maggiorata.E peggio: il governo è poi costretto a spendere montagne di denaro per “tappare i buchi” causati proprio dalle austerità, come la cassa integrazione, come i salvataggi delle banche travolte dai prestiti emessi ma ora inesigibili, come l’aumento delle spese per la povertà sociale, e come le “punizioni” che i mercati c’infliggono alzandoci i tassi d’interesse proprio a causa della crisi innescata dalle austerità stesse. Questa è tutta spesa a debito negativo, perché non produce nulla, non aumenta né Pil né fatturati né redditi, e fa crescere precisamente il volume del debito. Un paradosso micidiale, che sta devastando le nostre vite, ma che la politica italiana, totalmente serva del potere europeo, non vuole capire, tanto meno rimediare. Esiste un debito di Stato non solo positivo, ma vitale per noi cittadini e aziende. Non possiamo farne senza, oggi.(Paolo Barnard, “Debito positivo e debito negativo, la differenza”, dal blog di Barnard del 17 luglio 2014).http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=889Se la politica capisse cos’è veramente il debito pubblico, nessuno in Italia, così come in alcun paese europeo oggi, parlerebbe di crisi. Ma poiché la politica non sa (e in alcuni casi non vuole) capirlo, tocca a noi cittadini e imprenditori informarci, e salvarci di conseguenza. Sapete bene che il reale governo italiano risiede nelle istituzioni dell’Eurozona, che decidono tutto ciò che conta nelle nostre vite di cittadini e aziende. Costoro ci dicono da anni che il debito pubblico va sempre contenuto, perché è la causa di ogni possibile male economico. A tale scopo hanno imposto ai diciotto membri della zona euro le austerità, cioè tagli selvaggi a tutto ciò che è spesa dello Stato, il cosiddetto “risanamento” dei conti. Ma i risultati non ci sono, anzi: in nessuno dei diciotto si è vista una riduzione di debito, e peggio, le relative economie sono tutte in calo, includendo Belgio, Finlandia, Olanda e anche Germania, non solo noi “spendaccioni” del sud Europa, dati Eurostat alla mano. E allora ecco la domanda: cos’è che non funziona?
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Prelievo forzoso dei risparmi in Borsa: la trappola Draghi
Mai nella storia, in nessun paese e in nessuna civiltà, il denaro è costato meno: giovedì 5 giugno Mario Draghi ha portato i tassi della Bce allo 0,15 per cento, praticamente zero; ha introdotto tassi negativi per i depositi bancari presso la Bce e ha annunciato nuovi prestiti a lungo termine per le banche, come pure acquisti di titoli e cartolarizzazioni. Inoltre, ha comunicato che la Bce non sterilizzerà più gli acquisti sul mercato secondario, il che significa aumento della liquidità nel sistema. Draghi stesso ha ammesso che la Bce ha raggiunto il limite del costo del denaro. Il passo successivo è quello di gettare soldi dall’elicottero, come promise il presidente della Federal Reserve Ben Bernanke in un famoso intervento. Il discorso della Bce, terra terra, è: dobbiamo agire contro il pericolo della deflazione – e quindi creare inflazione. È come muovere la coda del cane per agitarne il corpo.Draghi ha promesso che i prestiti alle banche (si parla di un primo colpo di 400 miliardi) saranno concessi solo a condizione che verranno impiegati per finanziare le imprese. Ma in realtà la liquidità sparata col “bazooka” serve a salvare le banche dal crac dietro l’angolo, denunciato dalla stessa Bce nell’ultimo rapporto sulla stabilità finanziaria (vedi “Persino la Bce ammette che sta arrivando il crac”). Il modello indicato da Draghi, quello del “funds for lending” della Banca d’Inghilterra, è miseramente fallito. I prestiti alle imprese sono diminuiti invece che aumentare. Draghi, che si è guadagnato il soprannome di “Hjalmario” dal suo predecessore Schacht, persegue un altro piano, di criminalità efferata: eliminando il costo del denaro, egli spinge i risparmiatori a investire in borsa, l’unico posto dove i soldi sono nominalmente remunerati, e dove verranno regolarmente “tosati” quando la borsa crollerà o quando i neoazionisti o obbligazionisti si accorgeranno di essere diventati parte del paniere globale del bail-in, o prelievo forzoso, per salvare le banche.Questo è l’allarme lanciato da Georg Fahrenschon, capo dell’Associazione delle Casse di Risparmio tedesche, in numerose interviste la scorsa settimana. Quando gli è stato chiesto se la politica della Bce costituisce un esproprio dei risparmi, Fahrenschon ha risposto: «Sì, molto chiaramente! Con questa politica di bassi tassi d’interesse della Bce, le famiglie tedesche perderanno circa quindici miliardi all’anno di rendita. Questo fa… circa duecento euro a testa». Di fronte alla prospettiva di perdere entrate sui depositi (attualmente remunerati allo 0,2%) e sulle polizze di assicurazione vita, le famiglie tedesche sposteranno i propri risparmi in borsa, dove i rialzi si susseguono quotidianamente, spinti dalla bolla. Il 5 giugno, dopo l’annuncio della Bce, il Dax ha oltrepassato la soglia dei diecimila punti, e ha chiuso la settimana a 9987,19, un record storico. Mario Draghi è esperto negli espropri: quando era direttore generale del Tesoro e capo del Comitato privatizzazioni, egli fu tra i principali artefici della manovra che portò milioni di famiglie italiane a uscire dai Bot e investire in borsa, dove nel crac della new economy (2001-2002) persero 216 miliardi di euro.(“Draghi fa alzare in volo gli elicotteri mentre prepara il prelievo forzoso”, intervento pubblicato da “Movisol” il 15 giugno 2014).Mai nella storia, in nessun paese e in nessuna civiltà, il denaro è costato meno: giovedì 5 giugno Mario Draghi ha portato i tassi della Bce allo 0,15 per cento, praticamente zero; ha introdotto tassi negativi per i depositi bancari presso la Bce e ha annunciato nuovi prestiti a lungo termine per le banche, come pure acquisti di titoli e cartolarizzazioni. Inoltre, ha comunicato che la Bce non sterilizzerà più gli acquisti sul mercato secondario, il che significa aumento della liquidità nel sistema. Draghi stesso ha ammesso che la Bce ha raggiunto il limite del costo del denaro. Il passo successivo è quello di gettare soldi dall’elicottero, come promise il presidente della Federal Reserve Ben Bernanke in un famoso intervento. Il discorso della Bce, terra terra, è: dobbiamo agire contro il pericolo della deflazione – e quindi creare inflazione. È come muovere la coda del cane per agitarne il corpo.
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Cremaschi: l’euro è stato creato per demolire la sinistra
A trenta anni dalla scomparsa di Enrico Berlinguer vorrei ricordare, tra le sue scelte scomode allora come oggi, la decisione del 1979 di rompere con i governi di unità nazionale dicendo no all’adesione dell’Italia allo Sme. Il trattato che definiva allora il cosiddetto serpente monetario era il primo passo verso la moneta unica. Il Pci decise di opporsi a quel trattato anche per uscire dalla disastrosa politica di unità nazionale con la Dc, ma le motivazioni usate contro la rigidità della moneta (e allora il liberismo veniva chiamato non a caso monetarismo) valgono ancora oggi. Nella Banca d’Italia era stata appena liquidata la gestione del governatore Baffi, che era stato arrestato insieme al direttore Sarcinelli, su mandato del giudice neofascista Aliprandi. Successivamente furono entrambi completamente scagionati e l’inchiesta su di loro si rivelò completamente falsa. Ma intanto la Banca d’Italia era stata decapitata e aveva cambiato completamente politica monetaria.Infatti la scelta distintiva del governatorato di Baffi era stata proprio la manovra sulla moneta. La lira veniva rivalutata rispetto al dollaro, in modo da rendere meno pesante la bolletta energetica, e svalutata rispetto al marco, per sostenere la produzione industriale. Baffi motivò esplicitamente queste scelte con la necessità di non svalutare i salari e fu l’unico governatore a non demonizzare la scala mobile e il sistema di protezione sociale. Lo Sme invece mise al centro della politica economica la rigidità monetaria, adottando quel liberismo che andava al governo in Gran Bretagna con Thatcher e negli Usa con Reagan. I nostri primi interpreti di quella svolta furono il governatore Ciampi e il ministro del Tesoro Andreatta. Che assieme decisero nel 1981 la separazione del Tesoro dalla Banca d’Italia, con il conseguente obbligo di vendere sul mercato i Bot per finanziare la spesa pubblica. E con l’attacco alla indicizzazione dei salari che ebbe il suo apice in quel decreto Craxi di taglio della scala mobile, contro cui Enrico Berlinguer fece la sua ultima battaglia.In sintesi l’euro e la perdita formale della sovranità monetaria a favore della Bce sono il punto di arrivo, e non la partenza, di un sistema di accordi e decisioni che avevano un obiettivo dichiarato: rendere impossibili le politiche economiche keynesiane, imporre gli interessi della globalizzazione finanziaria e dei mercati come vincoli insuperabili per gli Stati. Il pareggio di bilancio in Costituzione, votato da noi anche dalla destra oggi anti-euro, è l’ultimo atto formale di tale politica trentennale. L’effetto euro sulle economie europee é stato duplice. Da un lato la moneta unica è stata lo strumento per istituzionalizzare ovunque le politiche liberiste. La Grecia é stata distrutta con il ricatto della sua espulsione dall’euro. Da noi lo slogan “lo vuole l’Europa” ha accompagnato ogni operazione di smantellamento dei diritti del lavoro e dello Stato sociale. Dall’altro lato la moneta unica forte ha finito per mettere alla pari economie che pari non erano, facendo della zona euro non un’area di crescita comune, bensì il campo di battaglia della competizione estrema.Di questo si è avvantaggiata profondamente l’economia tedesca, che con il governo socialdemocratico Schroeder all’inizio del duemila ha colpito duramente i diritti del lavoro, aprendo così la via all’era Merkel. La depressione salariale da sola non fa competitività, ma se si somma ad un sistema industriale forte che gode di una moneta particolarmente favorevole, allora la fa eccome. Perché l’euro desse risultati economici con un minimo di equilibrio ci sarebbe voluto un boom salariale in Germania. Invece sono nati a milioni i cosiddetti mini-job, lavori precari con paghe da pochi euro l’ora, per i quali dal Belgio son partite denunce alla Corte di Giustizia Europea a causa delle delocalizzazioni che hanno lì provocato. E questa politica continua oggi in primo luogo per opera della socialdemocrazia e della complicità sindacale. La legge sul salario minimo, vantata come un successo progressista, è in realtà una formalizzazione del dumping sociale. Stabilire che nel 2017 la paga minima in Germania sarà di 8,50 euro all’ora, quando ora in Francia è di 10, significa usare l’euro come arma di devastazione economica di massa.Ora i due partiti che guidano l’Unione Europea, la Germania e gli altri principali governi, Pse e Ppe, promettono un allentamento dei lacci delle politiche di austerità. Ma mentono sapendo di mentire perché in realtà il sistema euro, con i suoi trattati non rinegoziabili, da Maastricht al Fiscal Compact, non prevede alternative alle politiche liberiste. O salta o continua come sempre, e proprio di questa rigidità si fa forte la signora Merkel, che così ha spianato ogni debole ostacolo da parte della Spd. Tre anni fa una intervista di Giuliano Amato a Rossana Rossanda puntava sul ritorno al governo dei socialisti in Francia e Germania per farla finita con l’austerità. Non voglio infierire – certo il centrosinistra europeo è oramai una formazione social-liberale che ha ben poco della sinistra – ma la realtà è che il sistema europeo non è riformabile.Le tre misure più avanzate di cui si discute in campagna elettorale – condono di una parte del debito per i paesi del sud Europa, Eurobond, trasformazione della Bce in un istituto che dia i soldi direttamente agli Stati e non alle banche – non sono realizzabili senza cancellare, e non semplicemente aggiustare, i trattati che stanno a presidio dell’euro. E in ogni caso sarebbero impedite da qualsiasi governo tedesco. Chi sostiene queste misure dovrebbe aggiungere: o si fa questo, o salta la baracca perché così non si può andare avanti. Invece questo non viene detto, e così il sistema di potere economico finanziario che guida l’Europa capisce che non si fa sul serio. Il fondatore della Linke tedesca, Oskar Lafontaine, aveva proposto un piano europeo di smontaggio dell’euro, ma il suo stesso partito non ha avuto il coraggio di sostenerlo. E tutta la sinistra europea oggi esprime la stessa paura.È chiaro che dire no all’euro non basta se non si rimuove la politica economica liberista che ha portato alla sua costruzione, ma la fine della moneta unica è una condizione necessaria per poter ricostruire una politica economica e sociale fondata su eguaglianza e democrazia. È una condizione necessaria, ma non sufficiente; e proprio questa insufficienza avrebbe dovuto essere il campo d’azione di una vera sinistra. Come ho cercato di spiegare, l’euro non é tutto, ma è il simbolo monetario delle politiche liberiste e di austerità. La sinistra non doveva subire il ricatto psicologico di chi accusa di nazionalismo la rivendicazione della sovranità monetaria, mentre in realtà difende l’internazionalismo di banche e finanza. La sinistra non avrebbe dovuto avere il tabù dell’euro, ma anzi avrebbe dovuto fare della contestazione della moneta unica la leva per spingere in campo una critica popolare e di massa al liberismo.La sinistra doveva dire no all’euro dal suo punto di vista, e così questo punto di vista sarebbe tornato in campo nella crisi europea. Invece il campo è stato abbandonato e così il no all’euro è diventato vessillo delle destre autoritarie, xenofobe e neofasciste. Che ovviamente lo usano a loro modo e per i loro fini. Il risultato è che la politica europea è bloccata tra la continuazione delle politiche di austerità sotto le larghe intese Ppe-Pse e la contestazione degli euroscettici reazionari. E il sostegno Ue al governo ucraino infarcito di neonazisti, mostra che ci sono momenti e situazioni in cui questi due schieramenti possono trovare sintesi. Un’alternativa di sinistra a tutto questo si ricostruirà solo quando le sue forze sapranno proporre senza tabù la messa in discussione dei poteri e delle politiche dell’Europa reale, senza trastullarsi con una Europa ideale tanto ipocrita quanto inesistente.In Italia questo significa una sinistra che rompa davvero con il Pd e apra il confronto e il dialogo con il “Movimento 5 Stelle”, che avrà tanti limiti e contraddizioni, ma che finora ha anche il merito democratico di aver impedito un lepenismo di massa nel nostro paese. La prima cosa da proporre subito dopo le elezioni europee è un referendum costituzionale sui trattati e sull’euro, così come si fece già nel 1989. Lo chieda anche la sinistra che non vuol morire renziana. Aveva ragione Berlinguer a dire no allo Sme, e ha torto oggi la sinistra a non mettere in discussione quell’euro che è stato messo lì per distruggerla.(Giorgio Cremaschi, “Perché la sinistra deve dire no all’euro”, da “Micromega” del 14 maggio 2014).A trenta anni dalla scomparsa di Enrico Berlinguer vorrei ricordare, tra le sue scelte scomode allora come oggi, la decisione del 1979 di rompere con i governi di unità nazionale dicendo no all’adesione dell’Italia allo Sme. Il trattato che definiva allora il cosiddetto serpente monetario era il primo passo verso la moneta unica. Il Pci decise di opporsi a quel trattato anche per uscire dalla disastrosa politica di unità nazionale con la Dc, ma le motivazioni usate contro la rigidità della moneta (e allora il liberismo veniva chiamato non a caso monetarismo) valgono ancora oggi. Nella Banca d’Italia era stata appena liquidata la gestione del governatore Baffi, che era stato arrestato insieme al direttore Sarcinelli, su mandato del giudice neofascista Aliprandi. Successivamente furono entrambi completamente scagionati e l’inchiesta su di loro si rivelò completamente falsa. Ma intanto la Banca d’Italia era stata decapitata e aveva cambiato completamente politica monetaria.