Archivio del Tag ‘Campidoglio’
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“Non fidatevi delle elezioni, comanda il Pontifex Maximus”
Fascismo e antifascismo: il ritorno della violenza politica in campagna elettorale? Diciamo che puzza un po’ di strategia della tensione. Io all’epoca vivevo negli ambienti che si occupavano di queste cose: conoscevo le persone che si occupavano di organizzarla, la strategia della tensione. Quindi sento puzza di bruciato (diciamo “di bruciaticcio”: certo non siamo a quelli livelli là). Però è come se qualcuno volesse dire: guardate che razza di disordini vengono fuori, teniamoci la tranquillità e non andiamo verso il nuovo, se no si scatenano delle forze strane. Io però non le vedo, le sorprese in arrivo. Come si fa a capire qual è il gioco dei grandi poteri? Lo si capisce dopo che l’hanno fatto, il gioco. Quali possono essere, le sorprese, in questo momento? La più grossa sorpresa sarebbe se il Pd rimanesse al potere – da solo, quantomeno. Un’ipotesi molto probabile è che facciano un bell’inciucione mascherato, mantenendo un personaggio come Gentiloni a capo di un “governo di responsabilità” per rispondere all’emergenza (altrimenti ecco “i mercati, lo spread”). E chi più dell’apparentemente mite Gentiloni potrebbe assicurarlo? Ma non è detto che sarà così, e secondo me non dipende tanto dal risultato elettorale. Io non mi fido, del risultato elettorale. Non mi sono mai fidato: brogli, broglietti…Impicci e imbrogli si facevano talmente bene al tempo del pentapartito, quando al ministero degli interni si lavorava con la penna, e figuriamoci adesso che si lavora coi computer. Quindi mi aspetto di tutto. Che invece di un inciucione, o del successo della destra, venga fuori il cosiddetto risultato a sorpresa dei 5 Stelle, potrebbe non essere per niente una sorpresa, dal punto di vista di certi poteri. Quali? Quelli che hanno costruito il 5 Stelle, ovviamente. E chi sono, questi poteri? Gli stessi che stanno dietro a Renzi, dietro alla Bonino. Gli stessi gruppi che, per dominare gli elettori, gli creano contenitori apparentemente diversi (ma che in realtà sono gli stessi). Il problema è un altro, e mi dà un po’ di sospetto: per quale motivo è stato fatto questo enorme sforzo, negli ultimi mesi, per accreditare un Di Maio? E’ un democristiano, non è un 5 Stelle originario. E lo si è fatto diventare sempre più democristiano, con tinte massonico-reazionarie molto vicine alla finanza, alla Trilateral. Ho visto la nomina di Fioramonti come possibile ministro dello sviluppo economico: un uomo che ha lavorato per Rockefeller, per i Rothschild, che scrive su un sito vicino a Soros. C’è un avvicinamento forte alla Chiesa, all’Europa, alla Nato. Che sorpresa sarebbe, un successo di Di Maio? Ci ritroveremmo – travestiti da grillini – sempre gli stessi poteri. Nell’inconsapevolezza di tutti.Il paese è stato diviso in guelfi e ghibellini, la gente si illude che ci sia qualcosa di nuovo, e invece siamo ai tempi di Garibaldi e del Gattopardo. Le manovre dei grandi poteri, uno se le può immaginare, ma il risultato lo vede dopo. Noi non sappiamo se ci sono già delle “truppe” disposte ad allearsi coi 5 Stelle, per esempio, però certi poteri le possono muovere. Oppure: che ne sappiamo se non è già pronto un inciucio? O se invece la manovra sarà di tipo “trumpiano”, cioè: “Rimettiamo Berlusconi in sella”? Questo lo sapremo solo dopo. Una cosa è certa: è tutta la stessa banda, divisa in un paio di “piramidi”, ma sono sempre quelli. Berlusconi “ridicolo”? Però è funzionale. Una parte degli elettori, è vero, è colpita dalla sua goffaggine. Ma non faceva ridere anche Mussolini, se non fosse stato una maschera tragica? Com’è possibile che gli italiani dessero credito a uno che si presentava così, che parlava in quel modo? Eppure è successo. Una parte degli italiani dorme di brutto e si fa prendere da strane passioni, ma queste sono le condizioni della psiche dai popoli: da una parte quelli che usano una psiche più arretrata ed egoica, come quella della destra, ma ancora peggio – secondo me – sono quelli che adoperano i buoni sentimenti delle persone, inventandosi sempre nuovi contenitori per prenderle in giro.La sovragestione internazionale che si accanisce sull’Italia? Sfatiamo l’idea che noi saremmo pizza e mandolino. E’ quasi un understatement voluto, questo “non contare” dell’Italia, questo essere un paesetto poverello. Non è così. Il buon Steiner, che se ne intendeva, diceva: l’Italia, dal punto di vista della storia umana, traccia le strade. Come a dire: le cose cominciano in Italia. Basta guardare il Rinascimento, e prima ancora l’Impero Romano. Ed è ancora così. Noi sottostimiamo dei poteri, per esempio quelli all’interno della Chiesa cattolica. Sottostimiamo il potere di certi gruppi italiani. Tra i gruppi oscuri che dominano il mondo tutti pensano agli americani, agli inglesi, ai francesi… Se dovessi salire, direi che la direzione strategica transnazionale di tanti elementi di strategie oscure è in buona parte ancora a Roma – certo non nelle facce che noi conosciamo, che sono ridicole o miserande. So che è strano parlarne, sembrano fantasie quasi ufologiche, ma ci sono gruppi molto particolari, che in qualche modo derivano direttamente dall’Impero Romano.Una cosa ho imparato, in tanti anni: “Se lo conosci, non conta niente”. Se sai il nome di qualcuno, che è sui giornali, è una persona che non conta praticamente nulla: è solo un burattino messo lì dal potere per fare da specchietto per le allodole. Il livello di cui si parla di più, anche nella letteratura complottistica, è quello del Bilderberg, delle massonerie. Al massimo ci si spinge fino agli Illuminati: si vedono queste strane piramidi, di cui però mancano sempre i pezzi principali. Già a livello di massonerie e ordini religiosi ci sono gruppi che li infiltrano, e non sono noti. Ogni tanto emerge qualcuno, ma noi non sappiamo che fa parte di questi gruppi. Sono gruppi transnazionali, legati a ritualità di un certo tipo: hanno bisogno anche di supporti oscuri, non necessariamente “umani”, che però traspaiono anche da certi delitti rituali, che servono a tenere in piedi dei gruppi che non sono noti, eppure lavorano per creare forme-pensiero. Gli stessi gruppi, con le medesime caratteristiche di anonimato, erano presenti anche all’interno dell’Impero Romano. Nella storia romana c’è l’evidente traccia di fortissime ritualità: tutto era innanzitutto spirituale – e solo dopo materiale (economico, guerresco, politico, giudiziario). Tutto era dominato dal Campidoglio: la testa dell’impero era tutta templi, dominata dalla figura del Pontifex Maximus, che già allora aveva le scarpe rosse e, come simbolo, due chiavi incrociate. Ancora oggi, quel potere – non per forza incarnato dal Papa di turno – pretende di essere superiore ai poteri politici e finanziari.(Fausto Carotenuto, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti nella diretta web-radio “Border Nights” del 27 febbraio 2018. Già analista politico dei servizi segreti italiani e dell’intelligence Nato, Carotenuto è animatore del network “Coscienze in Rete” dedicato allo sviluppo spirituale. In chiave spiritualistica è anche il saggio “Il mistero della situazione internazionale”, pubblicato nel 2005 da Uno Editori).Fascismo e antifascismo: il ritorno della violenza politica in campagna elettorale? Diciamo che puzza un po’ di strategia della tensione. Io all’epoca vivevo negli ambienti che si occupavano di queste cose: conoscevo le persone che si occupavano di organizzarla, la strategia della tensione. Quindi sento puzza di bruciato (diciamo “di bruciaticcio”: certo non siamo a quelli livelli là). Però è come se qualcuno volesse dire: guardate che razza di disordini vengono fuori, teniamoci la tranquillità e non andiamo verso il nuovo, se no si scatenano delle forze strane. Io però non le vedo, le sorprese in arrivo. Come si fa a capire qual è il gioco dei grandi poteri? Lo si capisce dopo che l’hanno fatto, il gioco. Quali possono essere, le sorprese, in questo momento? La più grossa sorpresa sarebbe se il Pd rimanesse al potere – da solo, quantomeno. Un’ipotesi molto probabile è che facciano un bell’inciucione mascherato, mantenendo un personaggio come Gentiloni a capo di un “governo di responsabilità” per rispondere all’emergenza (altrimenti ecco “i mercati, lo spread”). E chi più dell’apparentemente mite Gentiloni potrebbe assicurarlo? Ma non è detto che sarà così, e secondo me non dipende tanto dal risultato elettorale. Io non mi fido, del risultato elettorale. Non mi sono mai fidato: brogli, broglietti…
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Chi prende il comando, se il presidente americano muore
Cosa hanno in comune Andrew Cuomo e Dick Cheney, Ted Stevens ed Eric Holder, Bob Gates e Terrel Bell? Apparentemente nulla se non una profonda rivalità politica. Eppure tutti quanti rientrano in una categoria forse ai più sconosciuta, ma di importanza strategica per le dinamiche a stelle e strisce. Parliamo dei designated survivors, i sopravvissuti designati, detti anche i presidenti (mancati) per un giorno. Ossia, chi deve essere pronto a guidare il paese se tutti quelli che lo precedono nella linea di successione alla Casa Bianca vengono a mancare. Cosa accadrebbe infatti se si verificasse un cataclisma o un attentato nelle occasioni in cui il Commander in Chief e gli altri membri della linea di successione si trovano nel medesimo luogo, per esempio quando il Congresso è riunito in seduta comune? L’intera catena di comando americana verrebbe annientata, e il paese si troverebbe senza nessuna autorità riconosciuta. Per questo, dagli anni della guerra fredda, quando era forte il timore di un attacco nucleare, c’è la consuetudine di nominare i sopravvissuti designati, che vengono tenuti in un posto fisicamente lontano, sicuro e segreto, per mantenere ininterrotta la catena di comando in caso un evento catastrofico elimini tutti gli altri.La legge statunitense non prevede che altre persone oltre quelle della lista possano accedere al potere, e quindi nell’ipotesi di una catastrofe, deve esserci qualcuno che prenda in mano le redini della nazione. Quella dei sopravvissuti designati è una figura istituzionale negli Usa, che può essere rivestita solo da chi possiede i requisiti costituzionali per diventare presidente. Il prescelto entra in gioco in alcuni momenti particolarmente significativi dell’anno: per esempio, durante il discorso sullo Stato dell’Unione, il messaggio che l’inquilino della Casa Bianca legge annualmente alle Camere in seduta comune, e durante la cerimonia di insediamento del presidente. A levare i veli a questa categoria di politici è stata ancor prima delle cronache politiche delle cannoniere mediatiche Usa una serie televisiva americana chiamata appunto “Designated Survivor”, trasmessa dal 21 settembre 2016 dall’emittente “Abc”. Da poco è iniziata la seconda stagione, che va in onda anche in Italia su Netflix, dal 6 ottobre. La serie ha come protagonista Kiefer Sutherland nei panni di un membro di poco rilievo del gabinetto Usa, Tom Kirkman, segretario dello sviluppo urbano, che è stato scelto come sopravvissuto designato per il discorso sullo Stato dell’Unione.Kirkman sta seguendo l’appuntamento con la moglie Alex davanti al televisore, quando il Campidoglio viene fatto saltare in aria uccidendo il presidente, il vicepresidente e quasi tutti i membri del Congresso, dell’amministrazione e i giudici della Corte Suprema. E lui viene portato di fretta alla Casa Bianca per assumere le funzione di presidente. La consuetudine va avanti dal 1981, a partire dall’insediamento al 1600 di Pennsylvania Avenue di Ronald Reagan, 40esimo presidente degli Stati Uniti. Il primo sopravvissuto designato di cui si ha notizia è Terrel Bell, segretario dell’Istruzione, che il 18 febbraio fu tenuto in un luogo segreto durante il discorso presidenziale al Congresso in seduta comune. La maggior parte di loro sono sconosciuti ai più, ma scorrendo la lista si trova anche qualche nome noto, come l’attuale governatore dello Stato di New York Andrew Cuomo, che il 19 gennaio del 1999, durante il discorso sullo Stato dell’Unione dell’allora presidente Bill Clinton, fu scelto come designated survivor. Il democratico a quell’epoca ricopriva il ruolo di segretario dello sviluppo urbano. Sebbene nella realtà nessuno dei sopravvissuti designati abbia preso in mano le redini del paese, come avviene nella fiction, la figura ha assunto una maggiore rilevanza dopo gli attentati dell’11 settembre 2001.In momenti particolarmente difficili della storia americana, il designated survivor è addirittura il vicepresidente, così da assicurare al paese una leadership autorevole in caso di bisogno. Proprio ciò che accadde il 20 settembre 2001, nove giorni dopo gli attacchi alle Torri Gemelle e al Pentagono: durante il discorso al Congresso di George W. Bush è stato il numero due Dick Cheney a rivestire questo ruolo. Il leader dei falchi dell’amministrazione, che facevano capo alla corrente dei neocon, dopo l’11 settembre assunse direttamente la gestione della crisi in atto, e per motivi di sicurezza rimase per un periodo sempre fisicamente distante da Bush, alloggiando in una serie di località segrete. Per l’insediamento di Barack Obama nel 2009, invece, è stato scelto Robert Michael Gates, segretario della difesa durante l’era Bush, succeduto al dimissionario Donald Rumsfeld. Nel caso della transizione da un’amministrazione a un’altra, il sopravvissuto designato viene scelto all’interno del gabinetto uscente, visto che il neo eletto deve ancora formare il governo. Dopo la vittoria di Obama, però, fu tutto più semplice, visto che Gates ha accettato di rimanere nel medesimo ruolo anche con il 44esimo presidente sino al 2011, quando è arrivato Leon Panetta. Nell’era Trump i designated survivor sono stati due: il senatore dello Utah Orrin Hatch, scelto per il ruolo durante l’Inauguration Day del 20 gennaio scorso, e David Shulkin, segretario per gli affari dei veterani, sopravvissuto designato al discorso del tycoon al Congresso in seduta comune, il 28 febbraio scorso.(Valeria Robecco, “Gli uomini al comando se i leader Usa muoiono”, dal “Giornale” del 13 ottobre 2017).Cosa hanno in comune Andrew Cuomo e Dick Cheney, Ted Stevens ed Eric Holder, Bob Gates e Terrel Bell? Apparentemente nulla se non una profonda rivalità politica. Eppure tutti quanti rientrano in una categoria forse ai più sconosciuta, ma di importanza strategica per le dinamiche a stelle e strisce. Parliamo dei designated survivors, i sopravvissuti designati, detti anche i presidenti (mancati) per un giorno. Ossia, chi deve essere pronto a guidare il paese se tutti quelli che lo precedono nella linea di successione alla Casa Bianca vengono a mancare. Cosa accadrebbe infatti se si verificasse un cataclisma o un attentato nelle occasioni in cui il Commander in Chief e gli altri membri della linea di successione si trovano nel medesimo luogo, per esempio quando il Congresso è riunito in seduta comune? L’intera catena di comando americana verrebbe annientata, e il paese si troverebbe senza nessuna autorità riconosciuta. Per questo, dagli anni della guerra fredda, quando era forte il timore di un attacco nucleare, c’è la consuetudine di nominare i sopravvissuti designati, che vengono tenuti in un posto fisicamente lontano, sicuro e segreto, per mantenere ininterrotta la catena di comando in caso un evento catastrofico elimini tutti gli altri.
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La Raggi non può ribellarsi, a Grillo la lega un contratto
La Raggi non poteva essere eletta perché non ha alcuna autonomia politica rispetto a Grillo, Casaleggio e a M5S. Esiste un vizio di forma alla radice della formazione della giunta capitolina e l’arresto di Raffaele Marra non è il problema principale per il sindaco di Roma che ha le mani legate dal contratto firmato con Beppe Grillo e Casaleggio Associati. Proprio mentre impazza la bufera sulla squadra del Campidoglio ritorna alla ribalta la spinosissima questione del contratto stipulato dalla Raggi e da tutti gli eletti M5S alle elezioni amministrative di Roma. Monica Cirinnà, Pd, ha pubblicato sul suo sito l’originale del contratto firmato da tutti i consiglieri eletti in Campidoglio oltre che dalla stessa Raggi fornito dall’avvocato, Venerando Monello, che nel luglio scorso ha fatto ricorso alla magistratura. Per la Cirinnà quel contratto rappresenta un vulnus insanabile per la democrazia che di fatto avrebbe dovuto rendere ineleggibile l’attuale primo cittadino del Campidoglio.Il codice di comportamento imposto a tutti gli eletti del M5S a Roma è rintracciabile sul blog di Grillo ma la Cirinnà fa notare che l’originale firmato da lei pubblicato non è un semplice codice etico al quale attenersi ma un contratto vincolante. Documento dunque diverso da quello diffuso sul blog di Grillo «nella parte che contiene l’accettazione espressa da parte della Raggi di alcune clausole vessatorie tra le quali la penale di 150.000 euro», fa notare la Cirinnà. Non si tratta quindi, come sostengono Grillo e soci, «di un impegno di natura etica e non giuridica» ma, denuncia Cirinnà, «di un vero e proprio contratto». E su questo punto torna all’attacco anche lo sfidante sconfitto nella corsa al Campidoglio. Roberto Giachetti sottolinea come la Raggi sia costretta a lasciare «le scelte più importanti e strategiche ad un soggetto privato che nulla ha a che vedere con la comunità che l’ha eletta».Contro la Raggi anche il vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri, che ha chiesto alla Procura di Roma il sequestro del documento. «Si tratta di un atto illegale», denuncia Gasparri. Sotto accusa in particolare il passaggio del contratto che prevede come tutte «le proposte di atti di alta amministrazione e le questioni giuridicamente complesse» debbano essere «preventivamente sottoposte a parere tecnico-legale a cura dello staff coordinato dai garanti del Movimento 5 Stelle». Insomma non governa la Raggi ma Grillo e Casaleggio. Se il primo cittadino si ribella violando «le regole contenute nel codice» non può sfuggire alla sanzione prevista dall’ammontare «minimo di 150.000 euro». Firmato Virginia Raggi.(Francesca Angeli, “Ecco il vero contratto siglato dalla Raggi: “Sugli atti importanti va consultato Beppe”, da “Il Giornale” del 17 dicembre 2016).La Raggi non poteva essere eletta perché non ha alcuna autonomia politica rispetto a Grillo, Casaleggio e a M5S. Esiste un vizio di forma alla radice della formazione della giunta capitolina e l’arresto di Raffaele Marra non è il problema principale per il sindaco di Roma che ha le mani legate dal contratto firmato con Beppe Grillo e Casaleggio Associati. Proprio mentre impazza la bufera sulla squadra del Campidoglio ritorna alla ribalta la spinosissima questione del contratto stipulato dalla Raggi e da tutti gli eletti M5S alle elezioni amministrative di Roma. Monica Cirinnà, Pd, ha pubblicato sul suo sito l’originale del contratto firmato da tutti i consiglieri eletti in Campidoglio oltre che dalla stessa Raggi fornito dall’avvocato, Venerando Monello, che nel luglio scorso ha fatto ricorso alla magistratura. Per la Cirinnà quel contratto rappresenta un vulnus insanabile per la democrazia che di fatto avrebbe dovuto rendere ineleggibile l’attuale primo cittadino del Campidoglio.
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Macchina del fango, contro Trump la grande stampa Usa
Provate ad immaginare se i tre più importanti quotidiani italiani – “Corriere”, “Stampa” e “Repubblica” – decidessero tutti insieme di scatenare una campagna mediatica di discredito contro un singolo personaggio politico: persino i morti si accorgerebbero che c’è qualcosa di poco “giornalistico” in un’operazione del genere. Ebbene, è proprio quello che sta succedendo negli Stati Uniti in questi giorni: i tre più importanti quotidiani americani, e cioè il “New York Times”, il “Washington Post” e il “Los Angeles Times”, hanno deciso di sparare ad alzo zero contro Donald Trump. Già da tempo il “Los Angeles Times” usciva con articoli apertamente denigratori contro il magnate americano, definendolo ripetutamente un ciarlatano, un buffone senza credibilità, oppure addirittura una star da soap-opera. Adesso si sono aggiunti il “New York Times” e il “Washington Post”, che in un’azione chiaramente concertata stanno cercando di distruggere la credibilità dell’uomo che nell’arco di pochi mesi ha completamente stravolto le regole delle elezioni presidenziali.Il “Washington Post” ha pubblicato un paginone nel quale raccoglie tutte le presunte bugie e false affermazioni pronunciate da Trump negli ultimi mesi. Naturalmente, pur di aumentare il volume delle presunte “bugie”, il “Washington Post” non si fa scrupoli nell’elencare anche delle semplici opinioni di Donald Trump, che fa passare come “falsità” solo perché non sono supportate dai fatti (“unsupported claim”). Il “New York Times” è andato addirittura oltre, mettendo insieme una squadra di 20 giornalisti che sono stati incaricati di scavare nel passato di Trump, pur di far saltare fuori qualcosa di spiacevole sul suo conto. Ne è uscita una lista con dozzine di donne che sostengono di aver avuto con Trump un rapporto “ambiguo”, dove lui le avrebbe “usate” e contemporaneamente “denigrate” per il solo fatto di essere donne. Naturalmente, a nessuno del “New York Times” è venuto in mente che in certi casi possa essere la donna stessa a cercare questi rapporti “ambigui”, per ottenerne un chiaro vantaggio personale. Si chiama dare per avere. Berlusconi docet. Insomma, lo sbilanciamento contro Trump da parte delle testate più importanti è talmente evidente che porta a fare una riflessione: come mai in media di sistema temono così tanto un personaggio come Trump?Lo detestano semplicemente perchè è razzista e maschilista, o c’è sotto qualcosa di ben più grosso? (Di certo una presidenza Trump metterebbe un grosso freno alla politica imperialista espansionistica di Usa e Israele in Medio Oriente, tanto per dirne una). Ma la cosa più divertente è che i direttori di tutte queste testate si sono dimenticati di una cosa fondamentale: chi vota Donald Trump non legge certo né il “Los Angeles Times”, né il “New York Times” o il “Washington Post”. All’elettore razzista e xenofobo dell’Alabama non può fregar di meno di come Trump tratti le donne, e gliene frega ancor di meno del fatto che racconti bugie, visto che queste bugie coincidono regolarmente con quello che l’elettore repubblicano vuole sentirsi raccontare. Abbiamo quindi una totale spaccatura, sia a livello mediatico che a livello popolare, fra l’“intellighenzia” americana (localizzata sulle coste dell’Atlantico e del Pacifico) e il cuore profondo degli Stati Uniti, localizzato nel grande Mid-West, che ancora batte per veder sventolare in cima al Campidoglio la bandiera dei confederati. In America la Guerra Civile non è ancora finita. Quella di novembre sarà certamente una elezione che va ben oltre la semplice scelta fra un candidato democratico e uno repubblicano.(“Massimo Mazzucco, “La macchina del fango contro Donald Trump”, da “Luogo Comune” del 15 maggio 2016).Provate ad immaginare se i tre più importanti quotidiani italiani – “Corriere”, “Stampa” e “Repubblica” – decidessero tutti insieme di scatenare una campagna mediatica di discredito contro un singolo personaggio politico: persino i morti si accorgerebbero che c’è qualcosa di poco “giornalistico” in un’operazione del genere. Ebbene, è proprio quello che sta succedendo negli Stati Uniti in questi giorni: i tre più importanti quotidiani americani, e cioè il “New York Times”, il “Washington Post” e il “Los Angeles Times”, hanno deciso di sparare ad alzo zero contro Donald Trump. Già da tempo il “Los Angeles Times” usciva con articoli apertamente denigratori contro il magnate americano, definendolo ripetutamente un ciarlatano, un buffone senza credibilità, oppure addirittura una star da soap-opera. Adesso si sono aggiunti il “New York Times” e il “Washington Post”, che in un’azione chiaramente concertata stanno cercando di distruggere la credibilità dell’uomo che nell’arco di pochi mesi ha completamente stravolto le regole delle elezioni presidenziali.
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Marino piange, ma dov’era quando il Pd smontava l’Italia?
Pugnalato da 26 congiurati agli ordini di “un solo mandante”, Matteo Renzi. L’enfasi di Ignazio Marino che manifesta orripilato stupore per la sua vile defenestrazione assume toni di carattere lunare: a quale partito credeva di essere iscritto, l’ex sindaco della capitale? Dov’era, il senatore Marino, quando il Pd di Bersani votava senza fiatare la riforma Fornero e l’affondamento dell’Italia ad opera della Troika, per mano di Mario Monti? Fiscal Compact, pareggio di bilancio in Costituzione: Marino dov’era? A Palazzo Madama. Ma forse già pensava a come “cambiare Roma”, novello Che Guevara ma di stretta osservanza europeista e ordoliberista, allineato al mainstream del pensiero unico per il quale la sciagura del paese non è l’Eurozona, come ormai tutti gli economisti riconoscono, ma ovviamente il debito pubblico, che in Italia fa rima con corruzione, mafia ed evasione fiscale, e fino a ieri anche col bieco Cavaliere (caduto in quale, infatti, i problemi del paese si sono tutti magicamente risolti: ripresa alle stelle, disoccupazione a zero, felicità di massa che invade le strade).La Marino-story tiene banco sui giornali e nei talk-show dove si parla di scontrini e Mafia Capitale, congiure del silenzio, il gelo del premier-padrone e la freddezza del Vaticano. La finanza locale perde i pezzi, sotto la scure della legge di stabilità, ma il sindaco-contro pensava comunque di “cambiare Roma” anche senza soldi, il denaro che lo Stato – in avanzo primario per ordine di Bruxelles – rifiuta di trasferire per i servizi, perché il welfare deve dimagrire, la spesa pubblica si deve tagliare, i buchi nelle strade possono diventare crateri senza che nessuno protesti davvero, nessuno indichi la radice del male, la fonte originaria del problema. Anche a questo può servire la Marino-story, condita con sushi e sashimi, traditori e lealisti, rinnegati e irriducibili. Uno come Marco Travaglio, ben lungi dall’avventurarsi in analisi storico-politiche, si limita a una constatazione notarile: il Pd ha impedito a Marino di dimettersi dopo lo scandalo Mafia Capitale e ora l’ha messo in croce per l’inezia di quattro scontrini al ristorante. Dov’è la coerenza? Conclusione: in questa farsa, dove nessuno esce a testa alta, al Nazzareno tocca la parte peggiore.Ma questi sono solo gli spiccioli. Dal 2011, l’anno di Monti, sono fallite centinaia di migliaia di imprese, mille al giorno solo nel 2012 secondo Unioncamere. Pil in picchiata e record storico di senza lavoro, disoccupazione giovanile mai vista prima nella storia della repubblica. Non è stato un incidente, riassume l’economista Nino Galloni: fu la Germania, in cambio della rinuncia al marco e dell’adesione all’euro, a pretendere dalla Francia (dal cui consenso dipendeva la riunificazione tedesca) che la concorrenza industriale del sistema-Italia venisse sabotata e liquidata. Così l’Italia è stata puntualmente declassata e deindustrializzata, con la complicità di Confindustria (meno lavoro, quindi compressione dei salari, fino all’attuale Jobs Act) e il supporto decisivo del centrosinistra privatizzatore (Prodi, Andreatta, D’Alema, Amato). E’ stato proprio il centrosinistra, sindacati compresi, a convincere il paese ad affrontare “sacrifici”, secondo lo schema della “svalutazione interna”, non potendosi più svalutare la moneta. Ignazio Marino, l’aspirante salvatore della capitale, è stato una delle tante comparse del film. Ora parla di tradimento, pensando al suo piccolo scranno in Campidoglio, senza accorgersi che i traditi sono gli italiani, a cui un’intera classe politica – oggi guidata dal Pd – ha semplicemente portato via il paese, svenduto pezzo su pezzo, secondo il piano prestabilito all’estero, molto lontano da Roma.Pugnalato da 26 congiurati agli ordini di “un solo mandante”, Matteo Renzi. L’enfasi di Ignazio Marino che manifesta orripilato stupore per la sua vile defenestrazione assume toni di carattere lunare: a quale partito credeva di essere iscritto, l’ex sindaco della capitale? Dov’era, il senatore Marino, quando il Pd di Bersani votava senza fiatare la riforma Fornero e l’affondamento dell’Italia ad opera della Troika, per mano di Mario Monti? Fiscal Compact, pareggio di bilancio in Costituzione: Marino dov’era? A Palazzo Madama. Ma forse già pensava a come “cambiare Roma”, novello Che Guevara ma di stretta osservanza europeista e ordoliberista, allineato al mainstream del pensiero unico per il quale la sciagura del paese non è l’Eurozona, come ormai tutti gli economisti riconoscono, ma ovviamente il debito pubblico, che in Italia fa rima con corruzione, mafia ed evasione fiscale, e fino a ieri anche col bieco Cavaliere (caduto in quale, infatti, i problemi del paese si sono tutti magicamente risolti: ripresa alle stelle, disoccupazione a zero, felicità di massa che invade le strade).
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La Santa Corruzione nel Paese delle Meraviglie
Nel Paese delle Meraviglie, anche l’ottimismo può sfociare nel patologico, non solo il pessimismo. Il pessimismo diventa depressione, l’ottimismo magari si trasforma nell’euforia tossica del credulone che si esalta nel cibarsi delle spoglie del “mostro” di turno sbattuto in prima pagina, ma ignora che di pagine ce ne sono tante altre. Solo che quelle non gli vengono mostrate. Meglio ancora se il mostro è un personaggio importante, mettiamo il sindaco della capitale d’Italia. In tal modo un sistema marcio riesce nel duplice intento di ristrutturare la propria vacillante impalcatura, e di fare ciò col pieno consenso dei cittadini benché se ne ribaltino le scelte espresse alle urne. Sarebbe anche imbarazzante non porsi neanche un dubbio nel momento in cui all’improvviso tutti i centri di potere locali e nazionali, ivi compreso il partito aspirante (unico?) della nazione, col cappellaio matto in prima fila (indovina chi è), decidono all’unanimità che l’affaire-scontrini è storiella talmente inusitata da reclamare la testa dell’orrendo peccatore. Come se le “cene istituzionali” o presunte tali fossero abitudine esclusiva dell’eresiarca inquilino del Campidoglio.Saremo noi oltremodo scettici, ma una vicenda dai contorni così farseschi non può non farci sospettare che quello senza “amici degli amici” alla lunga fosse proprio l’antieroe condominiale in questione, piuttosto che i suoi inquisitori. I quali probabilmente continueranno a gozzovigliare sulle macerie dell’Urbe, magari con un palazzinaro o un uomo d’apparato in grado di garantire quella pax intrallazzista che con ogni evidenza lo sventurato non aveva la stoffa per garantire. Tutti tranne i pentastellati: loro lo fanno gratis, ça va sans dire. Anche se il loro democratico impegno per sbarazzarsi del turista per caso deve averli distratti da una vicenda come l’acquisizione di RCS da parte di Mondadori che la democrazia – almeno quella delle idee – la mette a repentaglio sul serio (dopotutto a distrarsi su questo sono state tutte le forze politiche e le testate, fra i pochissimi ad informarne i cittadini il rooseveltiano Sergio Di Cori Modigliani tramite il suo blog).Questo a prescindere dall’opinione che si ha in merito alle politiche, alle appartenenze, e a tutte quelle altre valutazioni che possono essere positive, negative, molto negative, ma rientrano comunque nel campo dell’opinabile. A meno che non si arrivi a credere che per ridurre una città come Roma nello stato impietoso in cui si trova siano sufficienti due miseri anni: in tal caso l’opinabile diventa tutto il reale, come in Alice nel Paese delle Meraviglie, con la differenza che dalla tana del Bianconiglio non se ne esce più.(Gianluca Lorefice, “La Santa Corruzione nel Paese delle Meraviglie”, dal blog del Movimento Roosevelt del 10 ottobre 2015).Nel Paese delle Meraviglie, anche l’ottimismo può sfociare nel patologico, non solo il pessimismo. Il pessimismo diventa depressione, l’ottimismo magari si trasforma nell’euforia tossica del credulone che si esalta nel cibarsi delle spoglie del “mostro” di turno sbattuto in prima pagina, ma ignora che di pagine ce ne sono tante altre. Solo che quelle non gli vengono mostrate. Meglio ancora se il mostro è un personaggio importante, mettiamo il sindaco della capitale d’Italia. In tal modo un sistema marcio riesce nel duplice intento di ristrutturare la propria vacillante impalcatura, e di fare ciò col pieno consenso dei cittadini benché se ne ribaltino le scelte espresse alle urne. Sarebbe anche imbarazzante non porsi neanche un dubbio nel momento in cui all’improvviso tutti i centri di potere locali e nazionali, ivi compreso il partito aspirante (unico?) della nazione, col cappellaio matto in prima fila (indovina chi è), decidono all’unanimità che l’affaire-scontrini è storiella talmente inusitata da reclamare la testa dell’orrendo peccatore. Come se le “cene istituzionali” o presunte tali fossero abitudine esclusiva dell’eresiarca inquilino del Campidoglio.
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Pena di morte, l’Italia: nuova risoluzione Onu
L’Italia ed altri Paesi stanno lavorando ad una nuova risoluzione contro la pena di morte da presentare all’assemblea generale delle Nazioni Unite. Lo ha detto il sottosegretario agli Esteri, Vincenzo Scotti, al quarto congresso internazionale dei ministri della giustizia promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, al Campidoglio, Roma. «L’Italia - ha detto Scotti – è convinta che le relazioni internazionali non siano solo una questione di cancellerie ma anche di sviluppo della società civile e di tutte le sensibilità religiose e culturali».
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Roma, il Comune si impegna a sostenere il Rialto
Una soluzione rapida e dignitosa per la sistemazione definitiva degli spazi del Rialto, centro indipendente di cultura contemporanea nel cuore della capitale. Lo ha promesso Antonio Lucarelli, capo staff del sindaco di Roma, Gianni Alemanno, che il 26 marzo ha incontrato i dirigenti del Rialto insieme all’assessore alla cultura Umberto Croppi e a svariati funzionari del Campidoglio. Obiettivo: superare le recenti difficoltà burocratiche e ripristinare al più presto la piena operatività di uno dei più importanti laboratori italiani di creatività giovanile.