Archivio del Tag ‘Canale di Sicilia’
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Gratteri: una vergogna quelle gabbie per i migranti in Libia
Al magistrato antimafia Nicola Gratteri, uomo simbolo del contrasto alla ‘ndrangheta calabrese, non va giù l’accordo stretto dall’Italia con il governo di Tripoli per fermare i flussi migratori lungo la rotta del Mediterraneo. «La strategia di Minniti non mi è piaciuta», dice il procuratore capo di Catanzaro, intervistato da “La7”, «perché non è da Stato civile e occidentale far costruire delle gabbie sulle coste della Libia per impedire che gli immigrati partano». E’ soltanto «un tappo», degradante e indegno, che non risolve certo il problema dell’esodo di popolazioni in fuga dalla guerra e dalla fame, tutti fenomeni innescati dall’economia occidentale e dalla sua geopolitica neo-coloniale. «Bisognerebbe andare in centro Africa, mandare i servizi segreti per capire chi organizza queste traversate nel deserto, e poi andare lì e costruire aziende agricole, ospedali, scuole e rendere il territorio vivibile», sostiene il giudice, chiarendo che – se si vuol sperare di porre un freno all’oceano dei migranti – è necessario investire in Africa per gli africani, non per gli occidentali. Solo a quel punto, «poi, è ovvio che bisogna creare dei flussi regolamentati per la libera circolazione di tutti gli uomini del mondo».Quello di Gratteri è un pensiero che sembra in via di estinzione, in un’Italia frastornata dal derby che oppone il solidarismo assistenziale delle Ong alla xenofobia elettoralistica degli “impresari della paura”, che speculano sulla criminalità migrante degli sbandati. Ma perché dare per scontato che milioni di persone debbano per forza lasciare le loro case? E’ sacrosanto il diritto di partire per inventarsi una vita diversa dall’altra parte del mondo, «purché però la partenza non sia un atto disperato, indotto dalla miseria o dalla guerra», sottolinea il saggista Gianfranco Carpeoro: difendiamo i diritti dei migranti trascurando però sempre il loro diritto principale, «che è innanzitutto quello di poter vivere una vita dignitosa a casa loro, senza per forza dover dolorosamente rinunciare al proprio paese». In altre parole: «Perché non ci chiediamo come mai questa gente è costretta a scappare? Perché non chiediamo ai nostri governi cosa hanno combinato, in quelle regioni del mondo?». Aiutarli a casa loro? L’Italia sarà in Niger con il proprio esercito, a presidiare un paese tra i 20 più poveri al mondo, ma ricchissimo dell’uranio che è da sempre “proprietà privata” della Francia, destinato ad alimentare le centrali nucleari transalpine.Soccorso occidentale? «No, grazie», rispose Thomas Sankara al vertice panafricano di Addis Abeba, pensando al genere di “aiuti” storicamente ricevuti dall’Africa: finanziamenti interessati e debito eterno, cioè schiavitù. «Teneteveli, i vostri soldi: non li vogliamo più», disse il giovane leader del Burkina Faso, assassinato nel 1987 tre mesi dopo quel coraggioso discorso, in cui chiedeva agli Stati africani di non pagare più il debito estero (la Russia di Putin ha appena condonato il suo, annullando gli oneri a carico dei paesi africani verso Mosca). E mentre la verità ufficiale tuttora nega che a uccidere Sankara sia stato l’attuale presidente del Burkina Faso, Blaise Compaorè, ricevuto all’Eliseo con tutti gli onori da François Mitterrand, l’Unione Europea si appresta a varare un Piano Marshall per l’Africa che, in cambio di infrastrutture, aggraverà il debito del continente nero, quasi sempre retto da dittature filo-occidentali come quella dell’Eritrea, i cui profughi (che sbarcano a Lampedusa) fuggono da un regime a cui l’Italia vende costosi armamenti.L’Africa però resta materia da campagna elettorale: Berlusconi evoca il pugno di ferro contro “mezzo milione di immigrati criminali”, mentre Massimo D’Alema sostiene che proprio ai migranti è affidato il futuro demografico di un paese come l’Italia, dove non ci si sposa più e non si fanno più figli (a causa della crisi economica indotta dall’euro e dal rigore Ue, cosa che D’Alema evita accuratamente di precisare). Nel frattempo restano loro, i sopravissuti alla pericolosa traversata del Canale di Sicilia, a bordo di carrette del mare il più delle volte recuperate in extremis dalla marina militare italiana. Senza una politica degna di questo nome, sottolinea Nicola Gratteri, non ci sarebbe da vantarsi se il flusso dei disperati dovesse calare: «Ogni sera sentiamo ai telegiornali che gli sbarchi sono diminuiti del 3, del 15, del 20%, ma mentre noi parliamo so che ci sono delle donne che vengono violentate o bambini che vengono bastonati a sangue». Le gabbie in Libia per rinchiuderli come animali? «Non sto tranquillo perché ne arrivano duemila in meno», aggiunge il magistrato, per il quale evidentemente la parola “umanità” ha ancora un senso universale, non negoziabile né trasformabile in spazzatura elettolare “di destra” o “di sinistra”.Al magistrato antimafia Nicola Gratteri, uomo simbolo del contrasto alla ‘ndrangheta calabrese, non va giù l’accordo stretto dall’Italia con il governo di Tripoli per fermare i flussi migratori lungo la rotta del Mediterraneo. «La strategia di Minniti non mi è piaciuta», dice il procuratore capo di Catanzaro, intervistato da “La7”, «perché non è da Stato civile e occidentale far costruire delle gabbie sulle coste della Libia per impedire che gli immigrati partano». E’ soltanto «un tappo», degradante e indegno, che non risolve certo il problema dell’esodo di popolazioni in fuga dalla guerra e dalla fame, tutti fenomeni innescati dall’economia occidentale e dalla sua geopolitica neo-coloniale. «Bisognerebbe andare in centro Africa, mandare i servizi segreti per capire chi organizza queste traversate nel deserto, e poi andare lì e costruire aziende agricole, ospedali, scuole e rendere il territorio vivibile», sostiene il giudice, chiarendo che – se si vuol sperare di porre un freno all’oceano dei migranti – è necessario investire in Africa per gli africani, non per gli occidentali. Solo a quel punto, «poi, è ovvio che bisogna creare dei flussi regolamentati per la libera circolazione di tutti gli uomini del mondo».
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“Migranti parassiti, peccato ne crepino ancora troppo pochi”
Laura: «Sai a che punto mi hanno portato questo governo, l’invasione e lo schifo di gente che arriva? Che quando sento notizie come 700 morti penso: meno male, 700 delinquenti parassiti in meno. Esasperazione ai limiti». E Diego: «Stiamo a pensare a 700 migranti che affogano in mare quando ci sono 50 milioni di italiani che affogano nella merda. Coglioni!». Chiosa Salvatore: «Sempre troppo pochi, spiace dirlo, ma si stessero in Africa a coltivarsi la terra così evitano di crepare annegati, ed evitassero di sfornare a livello industriale tutti ’sti marmocchi e cui non sono in grado di dare un tozzo di pane! Questa gente invece non vuole cambiare le brutte abitudini di vita. Noi con Salvini». A esprimersi così sono italiani, per lo più giovani: quello che “Mazzetta” ha messo insieme, esplorando Twitter, è «un campionario dei commenti più disgustosi alla grande carneficina del Canale di Sicilia», scrive Claudio Martini. Una catastrofe morale e sociale che rivela il vero motivo per cui, semplicemente, lo spettacolo della carneficina non avrà fine: sui migranti si scarica la paura della crisi, senza pietà. E nessun politico oserà cercare vere soluzioni.«Non mi interessa se affondano, basta che non entrino», scrive Marco. «Sempre troppo pochi», sintetizza Giorgio. Crepino pure in fondo al mare, non sono che «700 terroristi in pastura», ovvero «pappa per gli squali», «mangime per i pesci», chiariscono Lorenzo, Giulio e Sergio. «Peccato… così pochi», scrive Silvia. «Peccato che ci sono dei superstiti», dice Moreno. In fondo, sono «700 parassiti in meno da mantenere», aggiunge Franco: «Affondasse anche il Parlamento con tutto il governo e avremmo fatto bingo». Più ne muoiono e meglio è, sostiene Luca. Che aggiunge: «Questi crepano e io bevo felicemente un costoso vino per festeggiare. Olè!». Maria si preoccupa della religione dei migranti annegati: «Speriamo siano tutti musulmani». E comunque, chiosa Claudio: «Pochi, sempre troppo pochi». Che dire, di fronte a questo? «In un mondo più giusto – scrive Martini, in un post ripreso da “Come Don Chisciotte” – queste persone andrebbero messe su un apposito barcone e lasciate alla deriva. Nel mondo in cui realmente viviamo, queste persone votano. Ed è proprio questa la ragione principale dell’impossibilità di risolvere il problema dell’immigrazione». L’apartheid, il segregazionismo Usa e i vari fascismi conobbero un sostegno di massa: «Così è anche per la mattanza dei migranti africani».Per risolvere il problema, avverte Martini, ci sono due vie, alternative tra loro. La prima è quella del blocco navale, «naturalmente sponsorizzata dai Nazisti dell’Illinois, ma anche da Renzi, il quale, ricordiamolo, è responsabile del passaggio da “Mare Nostrum” a “Triton”, ovvero del taglio dei due terzi delle risorse destinate al soccorso in mare dei migranti». Questa proposta, ovviamente, «non può aver alcun riflesso pratico finché non si è disposti a sparare sulle imbarcazioni dei migranti, per la banale ragione che quelli non si fermano». Occorrerebbe pertanto un pattugliamento costante (e costoso) delle coste libiche e tunisine, composto da unità pronte ad annientare le imbarcazioni che tentano di forzare il blocco. «Al decimo affondamento è presumibile che i migranti si scoraggino, e che smettano di tentare la fortuna sui barconi». Naturalmente, aggiunge Martini, questa via è del tutto impercorribile: «Nessun politico, militare o funzionario si assumerebbe mai la responsabilità di simili crimini contro l’umanità. Tali crimini sono però l’elemento che darebbe effettività al blocco navale. In ultima analisi, non ci sarà alcun blocco navale: chi ve ne parla spacciandolo per soluzione è un cialtrone e/o un ipocrita».L’altra soluzione è quella di approntare una linea di traghetti tra le coste libiche e un qualche porto siciliano. Questa proposta, «assai meno paradossale di quel che appare», è stata avanzata da alcuni studiosi seri del fenomeno, e implicherebbe numerosi vantaggi: impedirebbe le stragi, stroncherebbe le organizzazioni criminali (i migranti pagherebbero alla linea di traghetti il biglietto che ora pagano agli scafisti), farebbe risparmiare fior di quattrini alla marina militare, e permetterebbe un controllo preventivo, anche sotto il profilo sanitario, delle persone che intendono migrare in Italia. «In una battuta: se la Tirrenia avesse cominciato a fare questo tipo di operazioni dieci anni fa, oggi non avrebbe i conti in rosso, e si sarebbero salvate molte migliaia di vite umane». Questa soluzione, tuttavia, implica altre iniziative, di notevolissima portata. L’afflusso di immigrati andrebbe regolato, gestito, organizzato. Al netto dei richiedenti asilo, andrebbe preparato un programma di avviamento al lavoro, vincolato al buon comportamento del soggetto e dotato di un termine: ad esempio, si potrebbe prevedere di concedere all’immigrato una permanenza, e un impiego, della durata di 5 o 10 anni. Si tratterebbe pertanto di un programma di lavoro garantito. Il programma, tuttavia, non potrebbe includere solo gli immigrati, ma anche i cittadini italiani, pena un’intollerabile disparità di trattamento.Anche così facendo, comunque, occorrerebbe cercare di limitare i numeri degli arrivi. «Per farlo, sarebbe necessario prendere sul serio il leit-motiv di tutti gli xenofobi, aiutare gli stranieri a casa loro». Ma cosa può significare questa espressione? «Se vogliamo darvi un senso – scrive Martini – gli Stati europei dovrebbero investire alcune decine di miliardi di euro l’anno nell’indutrializzazione (possibilmente compatibile con l’ecosistema) dei paesi dell’Africa sub-sahariana. Gli impieghi sarebbero innumerevoli: dall’introduzione di metodi moderni e meccanizzati per l’irrigazione dei suoli, all’introduzione di reti di servizi efficienti negli agglomerati urbani, all’installazione di centrali di produzione di energia rinnovabile (si pensi al solare); il tutto realizzabile da una forza lavoro retribuibile in misura trascurabile (per gli standard occidentali, non per quelli sub-sahariani: si pensi a stipendi da 100 euro al mese in Mali)». Come è evidente, le soluzioni sarebbero molteplici, ma «il problema è che non sono praticabili». Chi mai potrebbe varare un piano così giusto e intelligente?«La Lega Nord, e tutti i partiti consimili, sarebbero favorevoli a che l’Europa investisse alcuni decimali del suo Pil nei paesi da cui provengono gli immigrati? La risposta è prevedibile: un rotondo no. “Aiutarli a casa loro” va bene come slogan per evitare di affrontare il problema, non come soluzione pratica». La verità, conclude Martini, è che possiamo inventarci tutte le soluzioni più variopinte, ma «verranno tutte invariabilmente affondate dal feroce egoismo dei commentatori di cui sopra, che sono massa elettorale per soddisfare la quale si prodigano Salvini e Renzi, Berlusconi e Grillo (e Sarkozy, Merkel, Farage, Le Pen, Cameron, Rutte)». Non è una questione che si possa «pensare di affrontare gratis, senza concedere qualcosa, senza fare alcun sacrificio (ampiamente ripagato nel lungo termine)». Impossibile risolvere nulla, senza «mettere tra le premesse del problema la necessità di rispettare la dignità dei migranti, anche a costo di togliervi il principio della conservazione del quattrino con ogni mezzo». E quindi tanti saluti e arrivederci, «al prossimo affondamento».Laura: «Sai a che punto mi hanno portato questo governo, l’invasione e lo schifo di gente che arriva? Che quando sento notizie come 700 morti penso: meno male, 700 delinquenti parassiti in meno. Esasperazione ai limiti». E Diego: «Stiamo a pensare a 700 migranti che affogano in mare quando ci sono 50 milioni di italiani che affogano nella merda. Coglioni!». Chiosa Salvatore: «Sempre troppo pochi, spiace dirlo, ma si stessero in Africa a coltivarsi la terra così evitano di crepare annegati, ed evitassero di sfornare a livello industriale tutti ’sti marmocchi a cui non sono in grado di dare un tozzo di pane! Questa gente invece non vuole cambiare le brutte abitudini di vita. Noi con Salvini». A esprimersi così sono italiani, per lo più giovani: quello che “Mazzetta” ha messo insieme, esplorando Twitter, è «un campionario dei commenti più disgustosi alla grande carneficina del Canale di Sicilia», scrive Claudio Martini. Una catastrofe morale e sociale che rivela il vero motivo per cui, semplicemente, lo spettacolo della carneficina non avrà fine: sui migranti si scarica la paura della crisi, senza pietà. E nessun politico oserà cercare vere soluzioni.
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Mare Nostrum, affari loro: migranti, li vuole l’Europa
«Mare Nostrum è una costosa coreografia che sta andando in scena per gestire l’invasione controllata e pianificata che l’establishment sovranazioanale europeo ha ideato per consentire la sostenibilità economica e finanziaria di pensioni e debito pubblico», senza dimenticare «i profitti delle multinazionali dei consumi di massa». Lo sostiene Eugenio Benetazzo, secondo cui «in Europa servono 11 milioni di clandestini entro il 2020». Si tratta in fondo di «nuovi consumatori e lavoratori», naturalmente sottopagati, che «consentiranno di compensare gli effetti negativi di un progressivo invecchiamento della popolazione europea e di un crollo della natalità». Per Benetazzo, non è il caso di parlare di cospirazionismo o complottismo, ma di una vera e propria exit strategy: l’Europa, che finora ha sempre voluto «controllare e commissariare tutto quello di cui aveva paura», o che «doveva essere gestito per l’interesse di qualcuno», è sostanzialmente «rimasta alla finestra, lasciando agli italiani il compito di gestire il tutto», cioè la pressione migratoria dal Sud.Questo, aggiunge Benetazzo nel suo blog, è il principale indizio che fa capire come «quanto sta accadendo non solo va benissimo, ma anzi deve continuare», perché «lasciare il tutto nelle mani degli italiani è la soluzione ideale», secondo Bruxelles, indifferente all’onere rappresentato dalla vigilanza e dal controllo militare del Mediterraneo, di cui si fa carico l’Italia – da sola – con le costose missioni quotidiane di pattugliamento e assistenza, a cura della marina militare. Benetazzo insiste sulla teoria della pianificazione dell“invasione”: molti dei disperati alla deriva sui barconi pagano anche 5.000 euro per attraversare il Sahara e poi il Canale di Sicilia, mentre «se solo avessero un passaporto, potrebbero atterrare a Roma con un volo di prima classe spendendo meno della metà». Dettaglio: le ondate di boat-people provengono dal Nord Africa della “primavera araba” e da paesi devastati dalla guerra, come la Siria e la Somalia, o da terre come l’Eritrea dove l’Italia supporta una feroce dittatura da cui i giovani fuggono. La grande falla, in ogni caso, è proprio il Maghreb, una volta caduto il regime-gendarme di Gheddafi per mano americana e anglo-francese.«Tutti rimpiangono i vari leader/dittatori che prima governavano i rispettivi paesi», scrive Benetazzo. «Più di tutti si rimpiange Gheddafi, l’uomo che agli inizi degli anni Ottanta aveva intenzione di creare gli Stati Uniti d’Africa, coalizzando e guidando tutti le nazioni del continente, per evitare di subire lo strapotere delle economie occidentali: per questo faceva paura, non perchè era un dittatore ma perchè il suo carisma e leadership potevano portare ad un cambio di svolta epocale per l’Africa e le loro genti». Piano andato in fumo, come si sa, per il fermo ostruzionismo “imperiale” degli Usa, oltre che per «l’egocentricità» di troppi leader africani, dall’ugandese Idi Amin Dada allo stesso Colonnello libico. «Purtroppo – chiosa Benetazzo – con la sua morte sono iniziati i problemi per il Mediterraneo: il controllo che aveva sulla Libia e sulle sue coste rappresentava la miglior garanzia di stabilità sociale per tutti le popolazioni del Mediterraneo». Ora l’invasione non ha più freni, e ricade interamente sull’Italia – come previsto fin dall’inizio, secondo Benetazzo, che accusa direttamente gli strateghi dell’oligarchia europea insediata a Bruxelles.«Mare Nostrum è una costosa coreografia che sta andando in scena per gestire l’invasione controllata e pianificata che l’establishment sovranazioanale europeo ha ideato per consentire la sostenibilità economica e finanziaria di pensioni e debito pubblico», senza dimenticare «i profitti delle multinazionali dei consumi di massa». Lo sostiene Eugenio Benetazzo, secondo cui «in Europa servono 11 milioni di clandestini entro il 2020». Si tratta in fondo di «nuovi consumatori e lavoratori», naturalmente sottopagati, che «consentiranno di compensare gli effetti negativi di un progressivo invecchiamento della popolazione europea e di un crollo della natalità». Per Benetazzo, non è il caso di parlare di cospirazionismo o complottismo, ma di una vera e propria exit strategy: l’Europa, che finora ha sempre voluto «controllare e commissariare tutto quello di cui aveva paura», o che «doveva essere gestito per l’interesse di qualcuno», è sostanzialmente «rimasta alla finestra, lasciando agli italiani il compito di gestire il tutto», cioè la pressione migratoria dal Sud.
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Migranti: diritti e traghetti sicuri, o non siamo più umani
Traghetti. La prima cosa che ci vuole sono traghetti sicuri verso porti accoglienti. Quand’anche i politici non possano dirlo apertamente, è questa la prima ovvia necessità se si vuole evitare che il Canale di Sicilia si trasformi in una nuova Fossa delle Marianne. Quel tratto di mare non è di per sé insidioso per la navigazione; diventa tale quando lo solcano barche malconce e stipate all’inverosimile. Peggio dei vagoni merci diretti a Auschwitz esattamente settant’anni fa, se proprio vogliamo fare il calcolo del numero di persone ammucchiate in una superficie più o meno analoga. La differenza è che ad Auschwitz ci si andava deportati a morire, contro la propria volontà. Mentre sulle carrette del mare le persone si imbarcano volontariamente, pagando cifre con cui sugli aerei si viaggia in business class, nella speranza di vivere.
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I morti di Lampedusa e la festa dei politici mascalzoni
Nel Canale di Sicilia centinaia di migranti «sono morti affogati dalla legge Bossi-Fini e da una classe politica di mascalzoni», accusa Franco “Bifo” Berardi. Coincidenze: Lampedusa precipita l’Italia nel lutto proprio mentre «Letta, Alfano e Napolitano festeggiano la sconfitta di Berlusconi». Ma quei politici dimenticando un particolare: «Il programma con cui Berlusconi venne sulla scena politica nel 1993 si è integralmente realizzato». Il Cavaliere «voleva che dopo Tangentopoli i democristiani continuassero a governare» e, non trovando un “moderato” capace di realizzare il suo progetto, se ne dovette occupare personalmente. Missione compiuta: vent’anni dopo, sulla scena politica sono rimasti solo democristiani. «Ma soprattutto l’uomo di Mediaset e della P2 voleva distruggere la forza dei lavoratori, ridurre i salari alla metà e costringere i lavoratori a sottomettersi al ricatto infinito della precarietà».Obiettivo pienamente raggiunto, sostiene Berardi su “Micromega”, «grazie ai governi di centrosinistra e a quelli di centrodestra che si sono succeduti in perfetta coerenza e continuità». L’analista traccia un drammatrico parallelo tra Lampedusa e il resto d’Italia: «Nel Canale di Sicilia c’è una fossa comune nella quale per sempre giacciono migliaia di uomini, donne e bambini che le guerre armate dalla follia economica e religiosa cacciano dalle loro case a cercare lavoro e a trovare morte», mentre nelle varie regioni della penisola «decine di migliaia di migranti soffrono in campi di concentramento nazisti inventati dai democratici Turco e Napolitano e rinforzati dai non meno democratici Bossi e Fini con l’istigazione all’omicidio che si chiama “respingimento”». La caduta del Cavaliere sfidato da Alfano? «Un giorno di festa per una classe politica di mascalzoni e di servi».Per Berardi, gli inaffondabili esponenti del Palazzo «festeggiano la ritrovata forza di governo che permetterà loro di distruggere definitivamente la società italiana e di generalizzare a tutta la forza lavoro il decreto schiavista firmato per i lavoratori dell’Expo, che prevede l’imposizione di lavoro gratuito. Festeggiano l’unità che permetterà loro di eseguire i dettati degli speculatori che hanno sottomesso il progetto europeo agli interessi delle grandi banche, e passo passo stanno conducendo l’Europa verso la guerra civile». Intanto, dalle acque di Lampedusa si ripescano cadaveri, che finiscono dentro buste di plastica azzurra. «Quanti altri migranti devono uccidere ancora gli assassini in festa – conclude Berardi – prima che qualcuno cancelli l’infamia della loro legge?Nel Canale di Sicilia centinaia di migranti «sono morti affogati dalla legge Bossi-Fini e da una classe politica di mascalzoni», accusa Franco “Bifo” Berardi. Coincidenze: Lampedusa precipita l’Italia nel lutto proprio mentre «Letta, Alfano e Napolitano festeggiano la sconfitta di Berlusconi». Ma quei politici dimenticando un particolare: «Il programma con cui Berlusconi venne sulla scena politica nel 1993 si è integralmente realizzato». Il Cavaliere «voleva che dopo Tangentopoli i democristiani continuassero a governare» e, non trovando un “moderato” capace di realizzare il suo progetto, se ne dovette occupare personalmente. Missione compiuta: vent’anni dopo, sulla scena politica sono rimasti solo democristiani. «Ma soprattutto l’uomo di Mediaset e della P2 voleva distruggere la forza dei lavoratori, ridurre i salari alla metà e costringere i lavoratori a sottomettersi al ricatto infinito della precarietà».
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Strage di naufraghi, violata la legge del mare
Sono arrivati in cinque. Erano ischeletriti, cotti dal sole che martella, in agosto, sul canale di Sicilia. Ma il barcone, era grande: ce ne stipano ottanta, i trafficanti in Libia, di migranti, su barche così. Affastellati uno sull’altro come bidoni, schiena a schiena, gli ultimi seduti sui bordi, i piedi che penzolano sull’acqua. E dunque quel barcone vuoto, con cinque naufraghi appena, è stato il segno della tragedia. Laggiù a 12 miglia da Lampedusa, ai margini estremi dell’Europa, un relitto di fantasmi. Cinque vivi e forse più di settanta morti, in venti giorni di peregrinazione cieca nel Mediterraneo.