Archivio del Tag ‘carne’
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La nutrizionista: scordatevi la carne, se volete star bene
Il report dell’Oms conferma quanto già era noto dal 2007, e cioè che il consumo di carne favorisce il cancro. Già otto anni fa, infatti, il Fondo mondiale per la ricerca sul cancro affermava che l’aumento del rischio del cancro al colon-retto era riconducibile al consumo di carni rosse e trasformate. E le indicazioni di abolire, eliminare, limitare erano già chiare da allora: “Limitare il consumo di carni rosse ed evitare il consumo di carni trasformate”. Certo è che ogni medico, specialista, nutrizionista può sostenere quello che vuole, ma queste raccomandazioni sono molto chiare e lo erano da tempo. Per esempio: fumare una sigaretta fa bene o male? C’è chi sosterrà che dieci sigarette fanno più male che una ma non per questo una sigaretta non fa male. Lo stesso vale per le carni trasformate, quelle non trasformate e per molti altri cibi. Bisogna stare attenti a tutti i cibi di origine animale: al latte; ai formaggi, soprattutto se stagionati; alle uova, correlate al rischio di tumore al seno, alle ovaie e alla prostata; al pesce, che comunque è carne ed è uno degli alimenti più inquinati di metalli pesanti come mercurio e piombo, ricchissimo di grassi saturi e colesterolo e, nel caso di pesce di allevamento, ricco di antibiotici promotori della crescita.E poi grande attenzione alla carne tutta in generale e, soprattutto, ai salumi. I cibi di origine animale fanno male e ormai di evidenze scientifiche a confermarlo ce ne sono in abbondanza. Poi che ci siano in ballo altri interessi è fuori discussione: quelli dell’industria della carne, ovviamente, che si è affrettata fin da subito a negare persino l’evidenza proveniente dall’Oms, ma anche quelli dell’economia italiana, del mercato, delle case farmaceutiche. Non si può lasciare che queste informazioni spaventino la popolazione, perché l’unico rischio che sta a cuore a certi settori è quello che calino i consumi, non certo quello per la salute umana. Per questo sia io che la Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana che molti colleghi esortiamo tutti i consumatori a informarsi per non assistere impotenti a questa nuova mistificazione, che vede ancora la salute sottomessa al profitto, esattamente come già accaduto per il fumo di sigaretta. Ci dicevano che bastava fumarla con il filtro, proprio come ci dicono che basta consumare carne italiana, e stare tranquilli… come se potesse fare differenza il dove la carne è prodotta.E’ imperativo non fidarsi delle rassicurazioni dei produttori, visto il loro palese conflitto di interessi, e occuparsi invece in prima persona della propria salute. Il problema non è la carne in sé ma il metodo di lavorazione? La cosa vera è che l’Europa e l’Italia sulla carne hanno controlli più stretti, più precisi e più efficaci. Per questo siamo maggiormente tutelati. Ma ciò non significa che, in Italia come altrove, la carne non sviluppi sostanze cancerogene dannose e, soprattutto, non significa che la frequenza di consumo, più che la provenienza, non siano incisive. E poi sfido qualsiasi consumatore di carne a vedere con certezza da dove la carne è arrivata, dove è stata prodotta o lavorata… C’è tantissima ignoranza, disinteresse e disinformazione in merito. Interessi economici, gola e abitudini alimentari scorrette delle persone credo che siano i fattori maggiori. Sicuramente la non voglia di prendere coscienza, di cambiare per se stessi, per la propria salute ma anche per la tutela degli animali e del pianeta. L’industria della carne e dei derivati è uno dei maggiori inquinanti in ambito ambientale.In tanti sostengono che è normale, invece, che sia così. Che l’uomo è da sempre onnivoro e che i nostri nonni sono arrivati a novant’anni grazie a questa alimentazione. Rispondo che non è assolutamente così. L’uomo nasce frugivoro, non onnivoro. Nasce raccoglitore di frutta, bacche, radici, ortaggi. La carne la mangiava quando riusciva a raggiungere, catturare e uccidere un animale. Quindi sicuramente non spesso e comunque con un grande dispendio calorico. Anche i nostri nonni mangiavano carne molto raramente e quella che mangiavano non era di certo prodotta come al giorno d’oggi. Un tempo l’animale era libero, si cibava di alimenti sani, non era costretto a vivere in allevamenti intensivi, a cibarsi artificialmente e ad essere imbottito di sostanze chimiche. Dopo la notizia dell’Oms cambierà qualcosa?Di certo questi dati hanno dato una bella scoccata all’industria della carne. Sempre più persone oggi, vuoi per paura o per maggiore consapevolezza, stanno iniziando a informarsi. Sempre più gente decide ogni giorno di intraprendere una dieta a base vegetale perché più sana, meno costosa, più etica o perché meno dannosa per l’ambiente. Ormai, per fortuna, i prodotti vegani sono ovunque e anche la ristorazione tradizionale si sta adeguando: stiamo facendo passi da gigante. Sono totalmente convinta che l’alimentazione del futuro sia quella a base vegetale. L’unica alimentazione in grado di migliorare lo stato di salute delle persone, del pianeta e degli animali è quella vegana.(Michela De Petris, dichiarazioni rilasciate a Elena Tioli per l’intervista “L’unico futuro possibile è quello senza carne”, pubblicata da “Il Cambiamento” il 13 novembre 2015. La dottoressa De Petris, specializzata nell’alimentazione terapeutica in oncologia, è membro della Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana e dell’Icea, Istituto per la Certificazione Etica e Ambientale. Già ricercatrice in studi di intervento alimentare presso l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, è stata docente di nutrizione clinica in diversi corsi in Lombardia).Il report dell’Oms conferma quanto già era noto dal 2007, e cioè che il consumo di carne favorisce il cancro. Già otto anni fa, infatti, il Fondo mondiale per la ricerca sul cancro affermava che l’aumento del rischio del cancro al colon-retto era riconducibile al consumo di carni rosse e trasformate. E le indicazioni di abolire, eliminare, limitare erano già chiare da allora: “Limitare il consumo di carni rosse ed evitare il consumo di carni trasformate”. Certo è che ogni medico, specialista, nutrizionista può sostenere quello che vuole, ma queste raccomandazioni sono molto chiare e lo erano da tempo. Per esempio: fumare una sigaretta fa bene o male? C’è chi sosterrà che dieci sigarette fanno più male che una ma non per questo una sigaretta non fa male. Lo stesso vale per le carni trasformate, quelle non trasformate e per molti altri cibi. Bisogna stare attenti a tutti i cibi di origine animale: al latte; ai formaggi, soprattutto se stagionati; alle uova, correlate al rischio di tumore al seno, alle ovaie e alla prostata; al pesce, che comunque è carne ed è uno degli alimenti più inquinati di metalli pesanti come mercurio e piombo, ricchissimo di grassi saturi e colesterolo e, nel caso di pesce di allevamento, ricco di antibiotici promotori della crescita.
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Made in Italy e Qatar: facciamo affari con chi finanzia l’Isis
«Non facciamo affari con paesi che finanziano l’Isis», così il premier Matteo Renzi ha liquidato l’argomento ad esplicita domanda, nel corso dell’intervista rilasciata a SkyTg24 mercoledì sera. Storiella, questa, che andrà ad aggiungersi alla collezione di bugie sesquipedali alle quali il premier ci ha abituato. Se è vero, infatti, che è da qualche tempo ormai riconosciuto a livello internazionale il ruolo principale dell’emirato del Qatar nel finanziamento del Daesh (Isis), non si vede all’orizzonte nessun provvedimento nei confronti del Qatar da parte dello Stato italiano. Le attività economiche dei qatarioti nel nostro paese sono diverse e seppure non raggiungano ancora la mole di investimenti già toccata in Francia, la dimensione degli affari tra Italia e Qatar, pubblica o privata che sia, sta diventando altrettanto importante. Sebbene non abbiano ancora comprato una squadra di calcio, come è capitato al Paris Saint-Germain, il fondo sovrano qatariota, la Qatar Holding Llc, ha buoni rapporti con imprenditori italiani e addirittura con il Fondo Strategico Italiano Spa (Fsi), società controllata dalla Cassa Depositi e Prestiti, cioè direttamente dallo ministero del Tesoro.La società, che fu fondata dall’ex ministro Giulio Tremonti nel 2011, venne ideata sul modello francese per difendere le aziende italiane che grazie alla crisi rischiavano spesso di venir acquistate da società straniere, come è accaduto alla Parmalat. Tuttavia sembra che finito il governo Berlusconi, lo scopo sia stato tutt’altro. L’Fsi nel 2013, nei mesi successivi ad una visita in Qatar dell’allora premier Mario Monti, ha costituito una joint venture con il fondo sovrano qatariota dando vita ad una società dedicata, si legge nel comunicato, squisitamente al made In Italy, denominata Iq Made in Italy Venture. La società, forte dei milioni del fondo sovrano è entrata (tanto per trarre un esempio delle sue attività) in società con un colosso della carne italiana, Cremonini, rilevando il 28,4% della Inalca, gruppo dell’imprenditore bolognese, che si occupa della distribuzione delle sue carni all’estero.Al di fuori degli affari con il ministero del Tesoro, il fondo sovrano qatariota ha rilevato all’inizio dell’anno per intero, passando dal 40% precedente al 100% attuale, la struttura di Porta Nuova a Milano, il complesso di grattacieli e palazzi, che era controllata dalla Hines srg (insieme ad altre società come Unicredit) dell’imprenditore Manfredi Catella. Siamo dunque all’ennesima fregatura di Renzi, a meno che non si voglia avere l’ardire di negare i coinvolgimenti dell’emirato nel finanziamento di gruppi radicali islamici, compresi i gruppi afferenti all’Isis. Non solo con il Qatar ci facciamo bellamente affari, ma consentiamo agli emiri di papparsi i nostri prodotti made In Italy, comprese le aziende dell’alta moda come Valentino, acquistata dagli Al-Thani nel 2012. Ma il Qatar ha compiuto negli anni una politica molto accorta, dove ha saputo da un lato proporsi come interlocutore di pace, lo ha fatto in Afghanistan, e lo ha fatto in Libano. E dall’altro ha cavalcato le primavere arabe, che se non erano piaciute ai sauditi, che hanno perso, a causa di queste ultime, alcune roccaforti come l’Egitto di Mubarak, hanno consentito ai qatarioti di fomentare più di tutti, i ribelli in Libia.Ma stranamente non se ne parla mai, né ne parlano i soliti analisti ed opinionisti che affollano le trasmissioni di approfondimento che si accalcano negli ultimi giorni. I soldi del Qatar fanno comodo a molti paesi europei, in primis la Francia. Sebbene ora sul campo degli imputati ci sta andando l’Arabia Saudita, chi è ben informato sa che i sauditi formalmente non hanno finanziato direttamente l’Is, ma semmai il fronte di al-Nusra. Ma è anche bene sapere come abbiamo spiegato anche sulle colonne di questa testata che il fronte di ribelli armato e definito a torto come moderato e l’Isis sono praticamente la stessa cosa. Se al-Nusra nasce da una cellula di Al-Qaida, l’Isis nasce dalla stesa radice dei movimenti wahabiti, ma questa è un altra storia. Ciò che importa è sapere che l’Italia non solo fa affari con il Qatar, ma vende armi ai sauditi tramite Finmeccanica, come ampiamente evidenziato in questi giorni e in tono polemico dagli esponenti del Cinque Stelle, così come il nostro vende la sua compagnia aerea di bandiera agli emirati arabi, altro Stato accusato di avere più di buoni rapporti con certe frange islamiste.Ma Renzi oltre a queste incongruenze non perde occasione di fare la solita propaganda di bassa lega. La totale assenza di dialogo con il Vaticano viene spacciata come un successo. Secondo il premier, infatti, al Papa non si poteva chiedere di rinviare il Giubileo, ma questa è implicitamente un’ammissione di debolezza. Di fatto Papa Francesco ha imposto un Giubileo non programmato in una città come Roma, che vive uno dei peggiori momenti della sua storia, non tanto per una questione di sicurezza, ma a livello amministrativo, sociale e politico. Nessuno vuole vietare alla Chiesa cattolica di compiere la propria missione, ma rimandare un evento così importante come il Giubileo e aspettare un momento politico più stabile dell’amministrazione della capitale, sarebbe stato saggio. E che il presidente del consiglio non abbia neanche provato a costruire un dialogo con il Vaticano sulla questione del Giubileo è abbastanza grave. Anche la promessa di aumentare la spesa pubblica per l’apparato di sicurezza in barba alla spending review, appare buttata lì per imbonire l’opinione pubblica.L’emergenza immigrazione ha messo a dura prova la capacità dello Stato italiano in generale di garantire sicurezza e giustizia ai propri cittadini. E sappiamo bene come il traffico di migranti serva a molte società vicine ai partiti per fare affari. Motivo per il quale, viste le condizioni della Polizia di Stato, piuttosto che rassicurarsi delle parole del premier, bisogna ringraziare qualcuno lassù che il nostro paese conti davvero così poco in questo periodo storico da risultare poco credibile, a nostro avviso, che vi possa essere una reale minaccia terroristica alle città italiane. Infine il premier ha dato merito all’intelligence italiana nell’aver dato una mano importante nell’individuazione di Jihadi John, cosa tutta da verificare, ammesso che uccidere uno che fa il boia sia così importante nella lotta all’islamismo e non invece il solito gossip di guerra buono per twitter e i telegiornali.Dunque soltanto in una cosa ci sentiamo di concordare con il leader del Pd: è inutile farsi prendere dall’isteria, l’Italia ha saputo già superare gravi minacce terroristiche, senza fare ricorso ad ulteriori restrizioni delle libertà personali, soprattutto in un’epoca nella quale siamo spiati da internet e tecnologie varie molto più di 30-40 anni fa, e spesso basterebbe un bambino un po’ pratico per conoscere vita morte e miracoli di una persona soltanto dal profilo Facebook. Ma è anche vero che dell’Italia del 2015 c’è poco da fidarsi, il disagio e il caos in cui vivono le nostre città da alcuni anni la dice lunga sulle possibilità di tenuta dello Stato italiano in caso di grave emergenza e destabilizzazione. Per il resto Renzi e Pd bocciati e menzogneri, come sempre.(Mirco Coppola, “Allarme terrorismo, le nuove menzogne di Renzi”, da “Opinione Pubblica” del 19 novembre 2015).«Non facciamo affari con paesi che finanziano l’Isis», così il premier Matteo Renzi ha liquidato l’argomento ad esplicita domanda, nel corso dell’intervista rilasciata a SkyTg24 mercoledì sera. Storiella, questa, che andrà ad aggiungersi alla collezione di bugie sesquipedali alle quali il premier ci ha abituato. Se è vero, infatti, che è da qualche tempo ormai riconosciuto a livello internazionale il ruolo principale dell’emirato del Qatar nel finanziamento del Daesh (Isis), non si vede all’orizzonte nessun provvedimento nei confronti del Qatar da parte dello Stato italiano. Le attività economiche dei qatarioti nel nostro paese sono diverse e seppure non raggiungano ancora la mole di investimenti già toccata in Francia, la dimensione degli affari tra Italia e Qatar, pubblica o privata che sia, sta diventando altrettanto importante. Sebbene non abbiano ancora comprato una squadra di calcio, come è capitato al Paris Saint-Germain, il fondo sovrano qatariota, la Qatar Holding Llc, ha buoni rapporti con imprenditori italiani e addirittura con il Fondo Strategico Italiano Spa (Fsi), società controllata dalla Cassa Depositi e Prestiti, cioè direttamente dallo ministero del Tesoro.
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Carne e cancro, di colpo l’ovvio fa notizia e dilaga sui media
L’oncologia – che considera il cancro un “male incurabile” – continua a somministrare dosi letali di chemioterapia, trascurando l’alimentazione dei pazienti? Normale, in un paese in cui si grida persino alla “truffa delle cure alternative”, canzonando chi ricorre (in genere, con ottimi risultati) a una dieta priva di proteine animali. Scontata, dunque, la bufera scatenata dalla “scoperta dell’acqua calda”, ufficializzata nientemeno che dall’Iarc, la branca dell’Oms che si occupa di ricerca sul cancro. Un rapporto redatto sulla base di oltre 800 studi precedenti sul legame tra alimetazione e tumore conferma quello che i terapeuti “alternativi” hanno sempre saputo: è pericoloso per la salute consumare carne, in particolare carni rosse (maiale e manzo, vitello, agnello, pecora, cavallo e capra). Peggio ancora gli insaccati e le carni grigliate. «La cosa tragicomica – afferma Paolo Franceschetti, autore di un blog sulle cure alternative contro il cancro – è che tuttora, negli ospedali, ai pazienti oncologici in trattamento vengono tranquillamente somministrate merendine confezionate e fette di prosciutto».Ora fa molto rumore lo studio dell’Oms, secondo cui, per ogni porzione di 50 grammi di carne al giorno, il rischio di cancro del colon-retto aumenta del 18%, così come per i tumori al pancreas e alla prostata. Nel mirino in particolare le “carni lavorate”, come i wurstel, equiparati – come sostanze cancerogene – a fumo, amianto, arsenico e benzene. Sotto accusa, secondo i tecnici Onu, la trasformazione “attraverso processi di salatura, polimerizzazione, fermentazione, affumicatura”, oppure le carni “sottoposte ad altri processi per aumentare il sapore o migliorare la conservazione”. Massima prudenza, avverte l’Oms, con gli hot dog, prosciutti e salsicce, nonché la carne in scatola e le salse a base di carne. Il rischio di sviluppare cancro all’intestino a causa del consumo di carne “processata” aumenta in proporzione al quantitativo consumato, avverte il dottor Kurt Straif, capo dello Iarc Monographs Programme. Il più celebre oncologo italiano, il professor Umberto Veronesi, da decenni ha deciso di rinunciare alla carne: «Il mio consiglio da vegetariano – dice – è quello di eliminare del tutto il consumo di carne».Veronesi saluta come «un grande passo avanti» la “scoperta” della relazione fra alimentazione e tumori: «L’identificazione certa di una nuova sostanza come fattore cancerogeno è sempre e comunque una buona notizia in sé, perchè aggiunge conoscenza e migliora la prevenzione». La raccomandazione per un regime alimentare “vegano” non è però presente nel protocollo ufficiale anti-cancro del ministero della sanità italiano, la cui attuale titolare, Beatrice Lorenzin, ora si limita a consigliare, in generale, la “dieta mediterranea”. Secondo le statistiche, il 9% degli italiani mangia carne rossa o insaccati tutti i giorni, e il 56% 3-4 volte a settimana. Il tumore più diffuso in Italia è proprio quello al colon-retto, con quasi 55.000 diagnosi nel 2013. Salumi a parte, se sotto accusa sono le carni grigliate (che sviluppano idrocarburi) sono gli statunitensi, seguiti da australiani, francesi e tedeschi. In Italia ogni anno si calcola vengano consumate “solo” 24 milioni di grigliate all’anno.Il Codacons ha deciso di presentare un’istanza urgente al ministero della salute e un esposto al Pm di Torino Raffaele Guariniello, affinché siano valutate misure a tutela della salute. «L’Oms non lascia spazio a dubbi», sostiene il presidente, Carlo Rienzi. «Il principio di precauzione impone in questi casi l’adozione di misure anche drastiche», compresa eventualmente «la sospensione della vendita per quei prodotti che l’Oms certifica come cancerogeni». Per i produttori di carne, la tempesta mediatica può trasformarsi in catastrofe commerciale: secondo la Coldiretti, le carni italiane sono più sane perché magre, non trattate con ormoni e ottenute nel rispetto di rigidi disciplinari di produzione. «Hot dog, bacon e affumicati non fanno parte della tradizione italiana», sottolinea l’associazione degli agricoltori. Inoltre, da noi il consumo di carne (78 chili a testa) è molto al di sotto di quelli di paesi come gli Usa (125 chili a persona) o l’Australia (120 chili), ma anche dei cugini francesi (87 chili). Secondo Assocarni e Assica, l’associazione dei salumifici industriali, gli italiani mangiano in media due volte la settimana 100 grammi di carne rossa e solo 25 grammi al giorno di carne trasformata. «Un consumo che è meno della metà dei quantitativi individuati come potenzialmente a rischio cancerogeno».Carne e cancro? Anna Villarini, nutrizionista dell’Istituto Nazionale dei Tumori, non si scompone: «Lo sapevamo già dal 2007, ma c’erano studi precedenti: le carni conservate sono associate a tumore dello stomaco, sia per la presenza di conservanti che vengono aggiunti che si trasformano in cancerogeni all’interno dello stomaco, sia per la presenza eccessiva di sale che è un fattore di rischio». E aggiunge: «Le carni rosse, oltre che per la cottura, sono di per sé un fattore di rischio per il tumore del colon. Dovrebbero essere consumate veramente poco, e invece sono entrate in maniera preponderante sulle nostre tavole». Dieta alternativa per chi ha il cancro? Zero carne: solo frutta, verdura e cereali. Se ne occupa anche la “medicina oncologica integrata”, spiega il dottor Massimo Bonucci a “Panorana”. E ormai è una realtà in molti paesi, dove esistono persino ospedali con reparti interamente dedicati all’alimentazione anti-cancro.«A livello internazione la medicina integrata è una realtà», spiega il medico. «Negli Stati Uniti ci sono ben 52 università dove viene insegnata». Una strada «ormai percorsa e riconosciuta, così come in Giappone: l’efficacia di molte sostanze è avvalorata non solo da studi scientifici, ma anche da “trial” clinici molto importanti». All’estero, aggiunge Bonucci, la possibilità di avere benefici da un’alimentazione mirata (e da sostanze naturali) nella cura delle patologie oncologiche «non è messa in dubbio». Si parla di curcuma, artemisia e altre essenze, dotate di potenti principi attivi. Un guru della nutrizione “integralista” come Valdo Vaccaro raccomanda di consumare solo frutta e verdura, in caso di insorgenza tumorale. Ma negli ospedali italiani l’aspetto alimentare (fonte primaria del problema, a quanto pare) è completamente trascurato. Ai malati vengono somministrate chemioterapia e radioterapia. E magari una bella fetta di prosciutto.L’oncologia – che considera il cancro un “male incurabile” – continua a somministrare dosi letali di chemioterapia, trascurando l’alimentazione dei pazienti? Normale, in un paese in cui si grida persino alla “truffa delle cure alternative”, canzonando chi ricorre (in genere, con ottimi risultati) a una dieta priva di proteine animali. Scontata, dunque, la bufera scatenata dalla “scoperta dell’acqua calda”, ufficializzata nientemeno che dall’Iarc, la branca dell’Oms che si occupa di ricerca sul cancro. Un rapporto redatto sulla base di oltre 800 studi precedenti sul legame tra alimentazione e tumore conferma quello che i terapeuti “alternativi” hanno sempre saputo: è pericoloso per la salute consumare carne, in particolare carni rosse (maiale e manzo, vitello, agnello, pecora, cavallo e capra). Peggio ancora gli insaccati e le carni grigliate. «La cosa tragicomica – afferma Paolo Franceschetti, autore di un blog sulle cure alternative contro il cancro – è che tuttora, negli ospedali, ai pazienti oncologici in trattamento vengono tranquillamente somministrate merendine confezionate e fette di prosciutto».
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Fame e cannibalismo: così divoriamo i figli dei poveri
Nel mese di luglio 2008 si è svolto a Coney Island il campionato del mondo dei divoratori di hot dog. Il giovane statunitense Joey Chestnut ha battuto in finale il giapponese Takeru Kobayashi e ha superato tutti i precedenti record mondiali inghiottendo 66 hot dog in 12 minuti, mandando in delirio i più di 50.000 spettatori presenti in diretta all’impresa. Come premio, il campione ha ricevuto un buono di 250 dollari di acquisti in un centro commerciale e un anno intero di hot dog gratis presso la catena Nathan’s. Oggi, mentre scrivo queste righe, si celebra il campionato mondiale dei perditori di peso. Ogni secondo cinque persone si disputano la finale – un haitiano, un somalo, un ruandese, un congolese, un afgano – e i cinque ottengono la vittoria. Il premio è la morte. L’appetito di Joey Chestnut non è niente paragonato a quello che ha divorato – chiamiamoli così – René, Sohad, Randia, Sevére e Samia.Ogni 12 minuti la povertà uccide tramite la fame 3.600 tra uomini, donne e bambini in tutto il mondo. O, il che è lo stesso: per ogni 5 hot dog a Coney Island 300 essere umani muoiono di inedia in Africa. Nel 1876 il vicere dell’India, lord Lytton, organizzò a Delhi il banchetto più costoso e sontuoso della storia per festeggiare l’assunzione della regina Vittoria a Imperatrice coloniale. Per una settimana 68.000 invitati non smisero di mangiare e bere; in quella settimana, secondo i calcoli di un giornalista dell’epoca, morirono di fame 100.000 sudditi indiani nel quadro di una carestia senza precedenti che falciò almeno 30 milioni di vite e che fu provocata e aggravata dal “libero commercio” imposto dall’Inghilterra. Mentre i colonialisti inglesi mangiavano pernici e agnelli, i sopravvissuti indiani mangiavano i loro stessi figli.La fame, lo sapppiamo, dissolve tutti i legami sociali e impone il cannibalismo. Bisogna avere davvero molta fame per mangiarsi con le lacrime agli occhi il cadavere di un vicino, ma bisogna avere moltissima fame per divorare allegramente 66 hot dog in 12 minuti. Confesso che, ogni volta che penso alle carestie, non mi viene in mente il ventre gonfio di René o il seno vuoto di Samia, ma la voracità applaudita di Joey Chestnut, quale simbolo pubblicitario di un’economia che non può permettersi nemmeno di calmare gli appetiti di chi è sazio. Chestnut non è un cannibale, no, ma in un certo senso si alimenta del dimagrimento degli etiopi, dei tailandesi e degli egiziani: la terza parte del raccolto mondiale di cereali serve ad ingrassare gli animali che noi occidentali ci mangiamo (1 chilo di carne a persona al giorno gli statunitensi, più di ½ chilo gli europei) e basterebbe a dar da mangiare alla terza parte dei 1.000 milioni di persone che, secondo la Fao, patiscono la fame nel mondo.Esagerare è misurare l’incommensurabile, è rendere appprendibile l’irrapresentabile. Esageriamo: Chestnut è un cannibale. Davanti alle 500.000 persone che lo applaudivano si è mangiato René, Randia, Sevére e Samia e altri 3.595 uomini, donne e bambini. Neppure Bokassa dimostrò mai tanto appetito. A Chestnut si può chiedere che mangi meno e anche che si opponga al suo governo, ma in realtà anche lui è solo un’altra vittima della fame. C’è la fame di quelli che non hanno niente e c’è la fame di quelli che non hanno mai abbastanza; la fame di quelli che vogliono qualcosa e la fame di quelli che vogliono sempre di più: più carne, più petrolio, più automobili, più cellulari, più immagini, più giochi e – anche una moralità superiore. La relazione tra le due insoddisfazioni è un sistema globale. Vogliamo un uomo libero e abbiamo una fame libera.Confesso che ogni volta che penso alla fame non mi viene in mente lo scheletro di Sohad né gli immensi occhi febbricitanti di Sevère, ma l’esercito degli Usa in Iraq e l’allegria depredatoria del Carrefour. Esagerare è rimpicciolire l’illimitato, è ridurre lo smisurato a scala umana. Esageriamo: il cannibalismo è, non più obbligatorio, ma elegante. Alcune poche menti privilegiate (da governi e da multinazionali) dedicano ogni loro sforzo a trovare il modo perchè a tutto il mondo, da tutte le parti, manchi qualcosa; perchè i i bambini di Haiti e della Sierra Leone soffrano la fame e si disperino per questo e perchè i consumatori occidentali – dopo aver divorato boschi, fiumi, minerali e animali (con le loro immagini) – si ritrovino affamati e se ne rallegrino.Il capitalismo toglie ai paesi poveri le loro risorse e, allo stesso tempo, le forze per resistere; il capitalismo dà, a noi occidentali, le merci e, allo stesso tempo, la fame necessaria per inghiottirle senza fermarci; la fame diventa così, da un lato e dall’altro, la disgrazia oggettiva di Africa, Asia e America Latina e la felicità soggettiva di un’umanità culturalmente e materialmente insostenibile e condannata alla distruzione. Sì, la carestia dissolve tutti i legami sociali e impone il cannibalismo. La povertà relativa ravviva l’ingegno, inventa soluzioni collettive, improvvisa solidarietà e crea reti sociali di resistenza. Ma, sotto una certa soglia, quando la fame minaccia la sopravvivenza, le trame si disfano e rimangono solo impulsi atomizzati, solitari, animali: individui puri opposti tra loro. Solo in questo senso – biologico e quasi zoologico – si può dire che le nostre società occidentali sono “individualiste”.Qualche volta ho espresso la regola della soddisfazione antropologica con la seguente formula: “Poco è abbastanza, molto è già insufficiente”. Sotto il “poco” c’è la fame e sono impossibili la coscienza, la resistenza e la solidarietà; sopra l’“abbastanza” c’è più fame e sono impossibili anche la coscienza, la resistenza e la solidarietà. “Troppo” vuole sempre “di più”. Abbiamo già superato questo punto, a partire dal quale l’unica cosa che abbiamo – non auto, non carne, non case, non immagini – è fame; e la nostra voracità, come quella di Joey Chestnut, si sta mangiando – mentre scrivo queste righe – non solo Sania e Sohadi e Sevère, tanto annebbiati e lontani, ma anche i suoi stessi figli.(Santiago Alba Rico, “Fame e cannibalismo”, estratto dal libro “Il naufragio dell’uomo”, ripreso da “Come Don Chisciotte” il 27 agosto 2015. Alba Rico è uno scrittore, saggista e filosofo spagnolo).Nel mese di luglio 2008 si è svolto a Coney Island il campionato del mondo dei divoratori di hot dog. Il giovane statunitense Joey Chestnut ha battuto in finale il giapponese Takeru Kobayashi e ha superato tutti i precedenti record mondiali inghiottendo 66 hot dog in 12 minuti, mandando in delirio i più di 50.000 spettatori presenti in diretta all’impresa. Come premio, il campione ha ricevuto un buono di 250 dollari di acquisti in un centro commerciale e un anno intero di hot dog gratis presso la catena Nathan’s. Oggi, mentre scrivo queste righe, si celebra il campionato mondiale dei perditori di peso. Ogni secondo cinque persone si disputano la finale – un haitiano, un somalo, un ruandese, un congolese, un afgano – e i cinque ottengono la vittoria. Il premio è la morte. L’appetito di Joey Chestnut non è niente paragonato a quello che ha divorato – chiamiamoli così – René, Sohad, Randia, Sevére e Samia.
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Mangiamo cadaveri, rinunciare alla carne è civiltà e salute
La domanda può sembrare assurda. Ovviamente, per essere mangiati, gli animali devono prima essere uccisi. Sappiamo tutti che dietro a una bistecca, c’è un animale morto. Tuttavia, per la maggior parte del tempo, facciamo dell’animale un elemento estrinseco alla carne. Ci crea sempre fastidio quando, a tavola, un vegetariano ci ricorda che il cosciotto d’agnello è innanzitutto una carogna. Questi moralizzatori! Così, spesso, abbiamo fatto finta di dimenticare. Dopotutto, bisogna mangiare carne per vivere! Questo è un alibi. La necessità della carne è il nostro pretesto. E poi, se si ammette che la carne non è, come è ovvio, necessaria, si potrà sempre dire che, poiché ci piace mangiarli e li mangiamo, il consumo di animali è giustificato di fatto. Il mio piacere di mangiare una bistecca vince, perché così ho deciso. Gli animali hanno solo bisogno di essere trattati bene. Uccisi con amore. Come è possibile conciliare l’amore che diciamo di provare per gli animali “domestici” (gatti, cani, ecc), con il massacro a cui partecipiamo dando il nostro denaro a coloro che “uccidono con amore”?Martin Gibert, che insegna etica e filosofia del diritto, nel suo ultimo saggio di recente pubblicazione, “Voir son steak comme un animal mort – Véganisme et psychologie morale” (“Vedere la sua bistecca come un animale morto – Veganismo e psicologia morale”) spiega questa ambiguità inerente alla natura umana attraverso il concetto di “dissonanza cognitiva” che si manifesta, in relazione alla carne, con il seguente sintomo: “noi amiamo gli animali ed amiamo mangiare i loro cadaveri”. L’immagine del cadavere, noi la temiamo; e questo, gli industriali lo hanno compreso perfettamente. È la ragione per la quale non troveremo mai sulle confezioni di dentifricio la scritta: “Contiene animali morti”; perché, presentati così, molti prodotti sarebbero molto meno vendibili. Allora, il problema si camuffa. In effetti, è in circostanze simili che, secondo Martin Gibert, interviene la “percezione morale”. Ma la percezione morale dei mangiatori di animali è piuttosto “confusa”, e infatti potrebbe succedere che un telespettatore che mangia solitamente bistecche, rimanga sconvolto dal fatto che un partecipante ad uno show televisivo uccida un maiale in diretta per nutrirsene definendo questa violenza “non necessaria”, e ignorando il fatto che non lo sia uccidere un animale in generale.Se uccidere degli animali non è necessario, perché si mangia ancora carne? La domanda è, secondo Martin Gibert, “Come si fa a non essere vegan?”. È vero, è difficile rimanere indifferenti alla sofferenza degli animali, dice Gibert: «Chi può vedere senza rabbrividire l’agonia di un bue o di un maiale?». Tuttavia, teniamo alla nostra bistecca. Ed è proprio in questa cornice contraddittoria che bisogna analizzare la psicologia dell’onnivoro. C’è, nei nostri rapporti agli animali, una continua contraddizione da superare. Possiamo, ad esempio, persuaderci che gli animali non soffrano veramente, o del fatto che abbiamo realmente bisogno delle proteine che, per credenza popolare, si dice siano contenute solo nei prodotti di origine animale ma, quando ci viene dimostrato il contrario, inneschiamo automaticamente un processo di rimozione della colpa. Sosteniamo in questi casi che “le cose non dipendono da noi” e che, anche se mangiamo animali, non siamo responsabili della loro uccisione. E, così ci piace dire, in nessun caso, smetteremo di mangiare carne perché sono i vegani che smettono di farlo, e i vegani sono una setta. Dire questo ci rassicura, perché i vegani costituiscono un campanello d’allame per la nostra “dissonanza cognitiva”.Rendere la realtà più digeribile: «Dovunque, si creano degli eufemismi per rendere la realtà più digeribile». Secondo Martin Gibert, riprendendo il termine coniato dalla psicologa americana Melanie Joy, «la maggior parte delle persone sono carniste». Dietro a questo neologismo, c’è «l’apparato ideologico che ha per funzione il soffocamento della dissonanza cognitiva». Il carnista fa appello a innumerevoli alibi per giustificare delle pratiche e mantiene la posizione che nell’immaginario collettivo è maggioritaria, secondo la quale non c’è niente di male ad abbattere degli animali se tutto questo è visto come naturale e necessario. Martin Gibert vede il carnismo come una “barriera ideologica che nasconde la realtà dello sfruttamento”. «L’allevamento industriale riguarda l’82% degli animali in Francia, eppure molto spesso si fa appello, per giustificare la pratica del mangiare animali, ad un ipotetico podere felice in cui gli animali sarebbero trattati bene. Ma la questione della necessità ritorna costantemente: perché porre fine alla vita di un animale privandolo di tutto ciò che avrebbe potuto vivere quando non è necessario? Si potrebbe dire, per esempio, che è legittimo uccidere il mio cane in modo “felice e umano” perché io voglio andare in vacanza? Perché sarebbe legittimo uccidere un maiale solo per mangiare un pezzo di salsiccia? Sicuramente non è la presunta “carne felice” la risposta a questi dubbi e il presunto concetto di necessità fa acqua da tutte le parti».Il veganismo come soluzione. Ma il problema della carne va oltre la questione legata all’uccisione e allo sfruttamento degli animali. Come giustamente ricorda Martin Gibert, anche la questione ambientale deve essere presa sul serio. Nonostante le ambizioni apparenti dei governi in materia di politica ambientale, il problema dell’influenza degli allevamenti di bestiame sull’ambiente è in gran parte nascosto. Questi sono responsabili del 14,5% delle emissioni di gas a effetto serra, secondo un rapporto della Fao pubblicato nel 2013; più che “tutti i mezzi di trasporto”. Perché il problema viene ignorato anche da coloro i quali pretendono di definirsi “ambientalisti”? Come si può giustificare questa disparità tra le nostre convinzioni e le nostre concrete abitudini? Basta fermarsi a mentire a se stessi.Se penso che gli animali non devono essere uccisi senza necessità, è perché credo che abbiano un interesse a perseguire la loro esistenza. Il consumo di carne non è compatibile con la presa in considerazione gli interessi degli animali e dei requisiti ambientali. L’imperativo è quello di eliminare la carne dalla nostra dieta.(Kavin Barralon, “Mangiamo animali morti?”, dalla versione francese dell’“Huffington Post” del 10 maggio 2015; la traduzione italiana è a cura di “Come Don Chisciotte”).La domanda può sembrare assurda. Ovviamente, per essere mangiati, gli animali devono prima essere uccisi. Sappiamo tutti che dietro a una bistecca, c’è un animale morto. Tuttavia, per la maggior parte del tempo, facciamo dell’animale un elemento estrinseco alla carne. Ci crea sempre fastidio quando, a tavola, un vegetariano ci ricorda che il cosciotto d’agnello è innanzitutto una carogna. Questi moralizzatori! Così, spesso, abbiamo fatto finta di dimenticare. Dopotutto, bisogna mangiare carne per vivere! Questo è un alibi. La necessità della carne è il nostro pretesto. E poi, se si ammette che la carne non è, come è ovvio, necessaria, si potrà sempre dire che, poiché ci piace mangiarli e li mangiamo, il consumo di animali è giustificato di fatto. Il mio piacere di mangiare una bistecca vince, perché così ho deciso. Gli animali hanno solo bisogno di essere trattati bene. Uccisi con amore. Come è possibile conciliare l’amore che diciamo di provare per gli animali “domestici” (gatti, cani, ecc), con il massacro a cui partecipiamo dando il nostro denaro a coloro che “uccidono con amore”?
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Latouche: l’economia, una religione che distrugge la felicità
Considerare il Pil non ha molto senso: è funzionale solo a logica capitalista, l’ossessione della misura fa parte dell’economicizzazione. Il nostro obiettivo deve essere vivere bene, non meglio. Per anni abbiamo pensato proprio che la crescita permettesse di risolvere più o meno tutti i conflitti sociali, anche grazie a stipendi sempre più elevati. E in effetti abbiamo vissuto un trentennio d’oro, tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e l’inizio degli anni Settanta. Un periodo caratterizzato da crescita economica e trasformazioni sociali di un’intensità senza precedenti. Poi è iniziata la fase successiva, quella dell’accumulazione continua, anche senza crescita. Una guerra vera, tutti contro tutti. Sì, un conflitto che ci vede contrapposti gli uni agli altri per accumulare il più possibile, il più rapidamente possibile. E’ una guerra contro la natura, perché non ci accorgiamo che in questo modo distruggiamo più rapidamente il pianeta. Stiamo facendo la guerra agli uomini. Anche un bambino capirebbe quello che politici ed economisti fingono di non vedere: per definizione, una crescita infinita è assurda, in un pianeta finito, ma non lo capiremo finché non lo avremo distrutto.Per fare la pace dobbiamo abbandonarci all’abbondanza frugale, accontentarci. Dobbiamo imparare a ricostruire i rapporti sociali. E’ evidente che un certo livello di concorrenza porti beneficio a consumatori, ma deve portarlo a consumatori che siano anche cittadini. La concorrenza non deve distruggere il tessuto sociale. Il livello di competitività dovrebbe ricalcare quello delle città italiane del Rinascimento, quando le sfide era sui miglioramenti della vita. Adesso invece siamo schiavi del marketing e della pubblicità che hanno l’obiettivo di creare bisogni che non abbiamo, rendendoci infelici. Invece non capiamo che potremmo vivere serenamente con tutto quello che abbiamo. Basti pensare che il 40% del cibo prodotto va direttamente nella spazzatura: scade senza che nessuno lo comperi. La globalizzazione estremizza la concorrenza, perché superando i confini azzera i limiti imposti dallo Stato sociale e diventa distruttiva. Sapersi accontentare è una forma di ricchezza: non si tratta di rinunciare, ma semplicemente di non dare alla moneta più dell’importanza che ha realmente.Dalla concorrenza, i consumatori possono trarre benefici effimeri: in cambio di prezzi più bassi, ottengono salari sempre più bassi. Penso al tessuto industriale italiano distrutto dalla concorrenza cinese e poi agli stessi contadini cinesi messi in crisi dall’agricoltura occidentale. Stiamo assistendo a una guerra. Non possiamo illuderci che la concorrenza sia davvero libera e leale, non lo sarà mai: ci sono leggi fiscali e sociali. E per i piccoli non c’è la possibilità di controbilanciare i poteri. Siamo di fronte a una violenza incontrollata. Il Ttip, il trattato di libero scambio da Stati Uniti ed Europa, sarebbe solo l’ultima catastrofe: il libero scambio è il protezionismo dei predatori. Come si fa la pace? Dobbiamo decolonizzare la nostra mente dall’invenzione dell’economia. Dobbiamo ricordare come siamo stati economicizzati. Abbiamo iniziato noi occidentali, fin dai tempi di Aristotele, creando una religione che distrugge le felicità. Dobbiamo essere noi, adesso, a invertire la rotta. Il progetto economico, capitalista, è nato nel Medioevo, ma la sua forza è esplosa con la rivoluzione industriale e la capacità di fare denaro con il denaro.Eppure lo stesso Aristotele aveva capito che così si sarebbe distrutta la società. Ci sono voluti secoli per cancellare la società pre-economica, ci vorranno secoli per tornare indietro. Preferisco definirmi filosofo, anche se nasco come economista, perché ho perso la fede nell’economia. Ho capito che si tratta di una menzogna. L’ho capito in Laos, dove la gente vive felice senza avere una vera economia perché quella serve solo a distruggere l’equilibrio. E’ una religione occidentale che ci rende infelici. Ai vertici della politica gli economisti sono molti. Io mi sono allontanato dalla politica politicante, anche perché il progetto della decrescita non è politico, ma sociale. Per avere successo ha bisogno soprattutto di un movimento dal basso come quello neozapatista in Chiapas che poi si è diffuso anche in Ecuador e in Bolivia. Ma ci sono esempi anche in Europa: “Syriza” in Grecia e “Podemos” in Spagna si avvicinano alla strada. L’Expo? Non mi interessa. Non è una vera esposizione dei produttori, è una fiera per le multinazionali come CocaCola. Mi sarebbe piaciuto se l’avesse fatto il mio amico Carlo Petrini. Si poteva fare un evento come Terra Madre: vado sempre a Torino al Salone del Gusto, ma questo no, non mi interessa. E’ il trionfo della globalizzazione, non si parla della produzione. E poi non si parla di alimentazione: noi, per esempio, mangiamo troppa carne. Troppa, e di cattiva qualità.(Serge Latouche, dichiarazioni rilasciate a Giuliano Balestreri per l’intervista “L’economia ha fallito, il capitalismo è guerra, la globalizzazione violenza”, pubblicata da “Repubblica” il 10 maggio 2015).Considerare il Pil non ha molto senso: è funzionale solo a logica capitalista, l’ossessione della misura fa parte dell’economicizzazione. Il nostro obiettivo deve essere vivere bene, non meglio. Per anni abbiamo pensato proprio che la crescita permettesse di risolvere più o meno tutti i conflitti sociali, anche grazie a stipendi sempre più elevati. E in effetti abbiamo vissuto un trentennio d’oro, tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e l’inizio degli anni Settanta. Un periodo caratterizzato da crescita economica e trasformazioni sociali di un’intensità senza precedenti. Poi è iniziata la fase successiva, quella dell’accumulazione continua, anche senza crescita. Una guerra vera, tutti contro tutti. Sì, un conflitto che ci vede contrapposti gli uni agli altri per accumulare il più possibile, il più rapidamente possibile. E’ una guerra contro la natura, perché non ci accorgiamo che in questo modo distruggiamo più rapidamente il pianeta. Stiamo facendo la guerra agli uomini. Anche un bambino capirebbe quello che politici ed economisti fingono di non vedere: per definizione, una crescita infinita è assurda, in un pianeta finito, ma non lo capiremo finché non lo avremo distrutto.
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Colpo di mano, Juncker autorizza gli Ogm anche in Europa
Il grosso vantaggio dell’Ue per le lobby finanziarie e industriali è che è molto più facile influenzare un potere centrale che i singoli governi dei 28 paesi membri. Le istituzioni europee soffrono di una cattiva immagine presso i cittadini europei (vedi Eurobarometer: fiducia nell’Unione Europea al 37% in Ue, sfiducia maggioritaria in 14 paesi tra cui l’Italia). I centri di potere di Bruxelles e Francoforte sono visti come lontani dal popolo; controllati dalle lobby; indifferenti agli interessi e alle opinioni dei cittadini comuni; proni a quelli delle élite finanziarie; sbilanciati a favore dei grandi gruppi a scapito di piccoli produttori e aziende familiari o individuali. Questi cliché sono stati ancora una volta confermati questa settimana in maniera ‘eclatante’ (cit. Renzi). Il colpaccio di Juncker: ieri infatti la Commissione guidata dall’ineffabile Juncker, noto amico dei piccoli contribuenti e feroce avversario delle grandi multinazionali che tentano di eludere il fisco, ha autorizzato l’introduzione in tutta l’Ue di 19 Ogm, senza attendere il parere di Parlamento e Consiglio Europeo. L’autorizzazione vale 10 anni su tutto il territorio europeo e include gli Stati che si erano opposti.Ovviamente sui giornaloni nazionali non troverete grandi titoli. Sopire, troncare. Fonti riportate dal “Figaro” spiegano che il presidente Juncker era «ossessionato dalla quantità di richieste di autorizzazione di Ogm bloccate» (dagli Stati membri, ndr). Bravo Juncker, è noto che i cittadini europei si torturano ogni giorno sul problema degli Ogm bloccati. Ue batte Natura 2 a 0. Andiamo a vedere la lista degli Ogm autorizzati da Juncker: sui 19 approvati, 17 sono per l’alimentazione umana e animale e 2 riguardano specie di garofani. Ben 11 sono brevetti dell’americana Monsanto (soia, mais, colza e cotone), gli altri 8 sono prodotti della statunitense Dupont e dei gruppi tedeschi Bayer e Basf. Tutto indica un’attenzione speciale delle istituzioni europee per gli interessi delle multinazionali a danno della biodiversità e della libera scelta. Ricordiamo infatti che sementi non incluse in una lista della Ue sono vietate. Lista i cui criteri privilegiano le sementi industriali ed escludono varietà antiche e tradizionali.A riprova, associazioni senza fini di lucro che come Kokopelli promuovevano la biodiversità sono state punite con multe astronomiche e la cessazione dell’attività per aver diffuso semenze tradizionali secondo una sentenza della Corte Europea del 2012. Una sentenza che rovesciava la posizione dell’Avvocatura Generale della stessa Corte Europea, la quale stimava che «il divieto di commercializzazione di sementi (…) è non valido in quanto viola i principi di proporzionalità e di libera impresa secondo l’articolo 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, la libera circolazione delle merci secondo l’articolo 34 Tfue così come il principio di uguaglianza di trattamento secondo l’articolo 20 della detta carta». Dunque la Corte ribalta il parere dell’Avvocatura e vieta le sementi tradizionali. Il terreno è pronto per la mossa successiva. E qui interviene Juncker, che motu proprio autorizza gli Ogm su tutto il territorio europeo.Per salvare le apparenze i singoli Stati potrebbero in teoria vietare gli Ogm sul proprio territorio – ma solo se accettano la riforma proposta tre giorni fa (guarda caso) dalla stessa Commissione Juncker, che rende più facile l’importazione di Ogm in Europa e allo stesso tempo permette ai singoli Stati di vietarle. Divieti che però devono essere motivati in base a pericolo per salute e ambiente (rovesciando l’onere della prova sugli Stati!), sono sempre impugnabili (cfr. Tttip e le prerogative del suo Regulatory Council) e difficilmente applicabili in pratica, vista la libera circolazione delle merci e le ambiguità europee sull’etichettatura degli alimenti. Nulla impedirebbe di trovarci in tavola carne di maiale nutrito con soia transgenica in Germania o Polonia. Poiché le multinazionali hanno tempi lunghi e costi elevati per dimostrare che gli Ogm sono innocui (quando ci riescono), saranno gli Stati a dover dimostrare che sono nocivi, in barba al principio di cautela che dovrebbe regolare le questioni attinenti la salute e l’ambiente. In sintesi, la nostra stessa sovranità alimentare è messa in pericolo dalla Ue.Ma vediamo cosa pensano i cittadini europei degli Ogm. L’Eurobarometer n. 341 del 2010 (stranamente Eurobarometer non ha condotto nessun sondaggio sugli Ogm dopo il 2010) vede una schiacciante maggioranza di cittadini europei CONTRARIA agli alimenti geneticamente modificati. A pagina 18: «Un’elevata percentuale, 70%, ritiene che il cibo Gm (geneticamente modificati) sia innaturale. Il 61% degli europei conviene che i cibi Gm li mettono a disagio. Inoltre, il 61% degli europei è contrario allo sviluppo di alimenti Gm, il 59% non è d’accordo che i cibi Gm siano sicuri per la salute loro e della loro famiglia, e il 58% non è nemmeno d’accordo che gli alimenti Gm siano sicuri per le generazioni future». Come al solito, quindi: le istituzioni europee capitanate dall’ineffabile Juncker si fanno un baffo dell’opinione dei cittadini; la Commissione si dimostra sempre molto attenta agli interessi delle lobby di grandi industrie e banche; la Commissione può agire in maniera autoritaria e antidemocratica, se occorre; l’informazione “ufficiale” oscura queste gravi vicende; il nostro governo è totalmente supino ai diktat europei, se non promotore attivo delle strategie delle lobby (Renzi: «Il Ttip ha l’appoggio totale e incondizionato del governo Italiano»). Morale: dopo la sovranità monetaria l’Ue ci farà perdere la sovranità alimentare.(Ulrich Anders, “Colpaccio di Juncker: fine della sovranità alimentare, Ogm per tutti”, da “Scenari economici” del 25 aprile 2015).Il grosso vantaggio dell’Ue per le lobby finanziarie e industriali è che è molto più facile influenzare un potere centrale che i singoli governi dei 28 paesi membri. Le istituzioni europee soffrono di una cattiva immagine presso i cittadini europei (vedi Eurobarometer: fiducia nell’Unione Europea al 37% in Ue, sfiducia maggioritaria in 14 paesi tra cui l’Italia). I centri di potere di Bruxelles e Francoforte sono visti come lontani dal popolo; controllati dalle lobby; indifferenti agli interessi e alle opinioni dei cittadini comuni; proni a quelli delle élite finanziarie; sbilanciati a favore dei grandi gruppi a scapito di piccoli produttori e aziende familiari o individuali. Questi cliché sono stati ancora una volta confermati questa settimana in maniera ‘eclatante’ (cit. Renzi). Il colpaccio di Juncker: ieri infatti la Commissione guidata dall’ineffabile Juncker, noto amico dei piccoli contribuenti e feroce avversario delle grandi multinazionali che tentano di eludere il fisco, ha autorizzato l’introduzione in tutta l’Ue di 19 Ogm, senza attendere il parere di Parlamento e Consiglio Europeo. L’autorizzazione vale 10 anni su tutto il territorio europeo e include gli Stati che si erano opposti.
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Carpeoro: pensiero magico, così il potere ci tiene prigionieri
La manipolazione è una diretta conseguenza del potere: non c’è potere senza manipolazione. Ognuno fa quello che vogliono altri, perché è manipolato. L’errore che molti di noi commettono è quello di soffermarsi sulla manipolazione di cui ci accorgiamo, senza capire come nasce il potere. Se non si capisce come funziona il potere, non si può decodificare la manipolazione, che del potere è figlia. Nel libro “Dominio”, Francesco Saba Sardi spiega che il potere nasce quando l’uomo abbandona il nomadismo. L’uomo che non ha bisogno di conquistare, gestire, governare, coltivare e sfruttare la terra non ha neanche bisogno del potere. Quel bisogno nasce quando qualcuno diventa propritario di un territorio. E quel territorio lo governa, lo gestisce, lo difende, lo sfrutta economicamente. E come nasce, il potere? Per un passaggio obbligato: la guerra. Devo fare una guerra per conquistare un territorio, per difenderlo, per conservarlo. Prendermi la terra significa che devo fare la guerra. Per poi coltivarla e sfruttarla, questa terra, che diventa sempre più grande (non posso coltivarmela la solo), devo avere dei servi. E per avere dei servi devo aveve una religione. Alla fine, tutto questo, secondo Saba Sardi, si chiama “dominio”.Il dominio è il rapporto tra la terra, la guerra e la religione: alla fine, configurano il potere. E’ chiaro che, per sfruttare gli altri, li devo manipolare: perché mai una persona non manipolata dovrebbe farsi sfruttare da me? Questo meccanismo si chiama pensiero magico. Nel momento in cui io sono uno che conosce, io sono un “magister”. La radice “Mg”, in sanscrito, significa “conoscere”. Nel momento io cui io conosco, per espandere il mio essere e accrescere la mia consapevolezza, io sono un “magister”; nel momento in cui utilizzo questa mia conoscenza non per l’essere ma per il potere, e quindi per cambiare il comportamento degli altri, allora io sono “magus”. Si passa dal “magister” al “magus”: il “magus” è l’elemento che caratterizza il potere, e quindi è l’elemento che manipola. E’ il “magus”, il pensiero magico, la fonte della manipolazione. Il pensiero magico stabilisce un’area all’interno della quale non valgono le regole vere, quelle dell’universo; valgono le regole del “magus”, e quel territorio si chiama “cerchio magico”. Il mago faceva un gesto, tracciava un cerchio, e all’interno di quel cerchio non valevano più le regole del mondo, valevano le regole per cui aveva ragione lui, essendo lui lo strumento del potere – che poteva essere sacerdotale, regale o di qualunque altra natura.Noi siamo talmente contaminati e impressi di pensiero magico che ne viviamo fin dalla prima infanzia. Non diciamo a nostro figlio “non fare questa cosa perché è sbagliata”, gli diciamo “non farla perché viene l’Uomo Nero”. Quello è pensiero magico, perché stabiliamo una regola diversa da quella della natura: nella natura non esiste, l’Uomo Nero. Sembra una cosa piccola, ma poi ci segna. Tutti quanti scegliamo le vie magiche: il Superenalotto che ci cambia la vita, la grande vincita, la fortuna, la sfortuna. Tutti quanti preferiamo disegnare itinerari che ci mettono in condizione di essere all’interno di cerchi magici, dove poi siamo manipolati: chi pone le regole di quel cerchio ci fa fare quello che vuole lui, senza che neanche ce ne accorgiamo. Il tonno Rio Mare, “così tenero che si taglia con un grissino”, ha dietro un’operazione magica: trasformare un difetto in una qualità. E’ magia. Un tonno non può essere tenero; se è tenero, è perché lo fanno con le frattaglie pressate. Ma è “così tenero che si taglia con un grissino”, e voi infatti lo comprate. Sono le manipolazioni della pubblicità, e sono operazioni magiche: io vi costringo ad accettare non le regole della natura, che imporrebbero di capire cos’è un tonno, ma le mie regole.Quando una certa ditta ha voluto vendere un famoso biscotto, ha detto: sono biscotti che potete comprare perché non c’è l’acido tartarico. Nessuno vi spiega che in nessun biscotto c’è l’acido tartarico. Perché dovrebbe essere una qualità? Avete mai visto vostra nonna che fa i biscotti con l’acido tartarico? Eppure, passa per una qualità. L’operazione magica non è fondata su una realtà; è fondata sulla manipolazione del soggetto passivo, che vede come realtà una cosa che realtà non è. Tecnicamente si chiama: stabilire un dogma. Significa farvi vedere le cose in modo diverso, anche rispetto alla loro effettiva connotazione. Quando la Chiesa disegna l’Immacolata Concezione – la Madonna, vergine nonostante abbia concepito – fa un’operazione magica, perché non vi porta in realtà sul vero problema. Da un punto di vista medico, sappiamo che per una donna è possibile concepire rimanendo vergine; la cosa veramente difficile è rimanere vergini dopo avere partorito. Ma non c’è l’Immacolato Parto. Neanche la Chiesa arriva a mettersi in contrapposizione con regole assolute, per cui rimane il mistero: la Madonna è rimasta vergine anche dopo aver partorito? Questo, tra i dogmi della Chiesa non c’è.Il dogma non è credere in qualcosa, è non poter discutere di qualcosa, e non accettare che ne discutano nemmeno gli altri. Nel momento in cui le Chiese sono diventate potere, hanno imposto un meccanismo dogmatico anche a chi non lo voleva. C’è gente che è finita sul rogo, per questo. In Europa, sono morte bruciate 600.000 streghe in trecento anni. Quando l’uomo possiede una fede, trattasi di religione; quando una fede possiede l’uomo, trattasi di setta. Una persona che ha una fede è libera, una persona che ha un dogma no, non è libera. Non è la religione a operare la manipolazione, ma la struttura. Non c’è scritto da nessuna parte che una Chiesa debba essere una struttura, che debba avere un tesoro, degli amministratori, dei beni, debba essere uno Stato, debba avere le Guardie Svizzere. Maometto aveva vietato all’Islam di diventare una Chiesa, aveva vietato di avere gli Imam. Gesù Cristo da nessuna parte ha detto che doveva nascere una Chiesa strutturata. Le strutture, se nascono, nascono per il potere, non per la fede. Alla fede non servono le strutture. Le cose buone le fanno gli fanno gli uomini, gli esseri umani, non le strutture. Le strutture – si chiamino massoneria, Chiesa, Stato – possono fare solo cose negative.Sono le strutture a manipolare, e voi trovate mille manipolazioni di questo tipo. Il Credo è una preghiera che nasce da un’operazione politica. Concilio di Nicea, 300 e rotti dopo Cristo, grande scontro tra eresia ariana e versione ortodossa: l’eresia ariana diceva che Gesù Cristo era un uomo, la Chiesa regolare diceva che Cristo era figlio di Dio, quindi era Dio. Siccome i due vescovi che dovevano mettere a posto questo complicato problema erano compagni di merende – si chiamavano Eusebio di Nicomedia e Eusebio di Cesarea – fanno un compromesso: voi oggi recitate una preghiera che è frutto di un compromesso. “Credo in Gesù Cristo, generato, non creato”. Gli uomini generano, Dio crea. Quindi, uomo: generato, non creato. E poi aggiungono: “Della stessa sostanza del padre”, ma non specificano il padre. Cioè fanno un’operazione in base alla quale ognuno può scegliere l’interpretazione più favorevole a sé. Nessuno ve la spiega così, quella preghiera. Ve la fanno dire automaticamente, perché il dogma è importante. Come l’Auditel, che in realtà è fondato su una convenzione.Ci sono 150 persone, in tutta Italia, che hanno una macchinetta che rivela i programmi che vedono. Il primo problema è statistico: uno mangia quattro polli, un altro non ne mangia nessuno, quindi ne mangiano due a testa. Così funziona la statistica. E poi: com’è gestita, questa cosa? Chi dovrebbe essere controllato in realtà controlla se stesso. Perché, chi sono i soci dell’Auditel? Le concessionarie. E’ come per le banche. Chi le controlla? I banchieri. In Italia chi controlla i magistrati? Altri magistrati. Da noi funziona tutto così. Il controllore dovrebbe essere avulso da ciò che deve controllare: in Italia, invece, il contollore controlla se stesso – per regola. Mentana, che sa benissimo cos’è l’Auditel, non fa nulla per l’Auditel, perché sa che molte cose sono concordate a monte. E sa anche di avere una professionalità, una simpatia, un appeal che gli consentono di evitare che gli vengano attribuite brutte figure. Il problema è: stabilire a quale cerchio magico risponde qualunque tipo di operazione. Perché nella nostra società non esiste nessuna operazione – di informazione, di finanza, di politica – che non risponda a un pensiero magico.Al pensiero magico si contrappone il pensiero simbolico, quello che ti spinge a chiederti “perché”. Il pensiero magico, che è funzionale a una società consumistica, ti spinge a chiederti solo “come”, non perché. Il perché è superato, non te lo devi chiedere. Tutti devono solo chiedersi come. Nessuno si deve chiedere perché comprare qualcosa, ma solo come comprarlo, come sbattersi per mettere insieme i soldi per comprare il modello nuovo sei mesi dopo, e così via. Nei meccanismi di manipolazione, il primo obiettivo è impedire alla gente di chiedersi perché. La manipolazione avviene perché quel gradino ve lo fanno saltare. Voi vi chiedete solo come, non perché. Ed è fondamentale, nel pensiero magico: non ti devi chiedere perché diventare ricco, ma come diventarlo. Non ti devi chiedere perché una donna si dovrebbe innamorare di te: al mago, tu chiedi come una donna si possa innamorare di te. Quel perché lo dovresti chiedere a te stesso, non al mago.L’uomo diventerebbe libero, se non ci fosse il pensiero magico, perché farebbe le domande a se stesso. Col pensiero magico non è libero, perché è costretto a fare le domande al mago. Immaginando la magia, siamo ancora legati al tipo col cappello a cono e le stelline, ma la magia è sofisticata. Bin Laden è l’Uomo Nero. Noi disegnamo scenari in base ai quali, per interi decenni, pensiamo che tutto il problema sia legato a una persona. Ci hanno spiegato che il problema dell’Italia era Sindona, poi Sindona è sparito ma i problemi sono rimasti. Poi ci hanno detto che era Gelli, ma – via Gelli – i problemi son rimasti. Poi Craxi, idem. Ma perché? Perché noi siamo costretti a immaginare la logica dell’Uomo Nero, che applichiamo dall’inizio. E’ connaturata in noi, col modo in cui abbiamo costruito questa società, che è costruita sul pensiero magico.La nostra società è costruita sul mito secondo cui qualsiasi cittadino americano possa diventare presidente degli Stati Uniti. Ma anche fosse, perché un americano dovrebbe voler fare il presidente? Sarebbe felice? Sulla libertà, abbiamo costruito un dogma del piffero. La libertà non è poter fare tutto quello che vuoi. La libertà è sapere quello che veramente vuoi. Potete pensare una donna meno libera di una che voglia diventare madre? Sicuramente, dopo che fa dei figli, una donna può sembrare meno libera. Ma non è vero che sia meno libera, se l’ha scelto lei. In una democrazia si può essere meno liberi che in una monarchia. Il problema è a monte, ma non si risolve col dogma. Va risolto a livello individuale: sta nel chiedere il perché a stessi, e non il come al mago. Noi concepiamo una società dove calpestare i nostri diritti è normale, è fisiologico, perché siamo permeati di pensiero magico.Prima di combattere gli effetti, esaminiamo le cause. La manipolazione non nasce come un fungo in un prato, è il frutto di una costruzione di società: qualcuno decide che può stare meglio se gli altri stanno peggio. Ma nemmeno nel potere c’è libertà. La libertà è nell’essere, nella realizzazione di se stessi, nei modi e coi tempi di ciascuno.Abbiamo costruito una società del pensiero magico, basata sulla velocità: se una cosa la capisci dopo, sei ritardato. Ma siamo sicuri che capire subito sia un valore? Siamo certi che chi capisce dopo non capisca meglio? Il nostro concetto di tempo non è legato a cose che abbiamo deciso noi, sono altri che hanno deciso che dobbiamo fare in fretta. E questo, perché noi non dobbiamo avere tempo per pensare, per scegliere. Sono meccanismi assolutamente magici. La prima cosa che ci dev’essere sottratta è il tempo. La seconda è la linearità del desiderio. Nei supermercati, a mezzogiorno diffondono profumo di pane per stimolarci a comprare di più. Fa tutto parte del pensiero magico: stabilisco il cerchio, che è la mia area commerciale, decido che tu devi comprare più roba e quindi utilizzo il meccanismo di manipolazione, che è l’odore del pane. Dobbiamo conoscere, non esistono scorciatoie: può cose uno conosce, più è in grado di capire all’interno di quali cerchi magici si trova, come ne può uscire e come può evitare di entrarne in altri. Ma la conoscenza ha bisogno di tempo. E noi quanto tempo dedichiamo a conoscere?Internet può essere una fonte di conoscenza, ma richiede tempo (e ce ne sottrae) perché ormai è diventato talmente vasto da essere dispersivo. In più, Internet elimina la conoscenza casuale. Se da Napoli vai a Milano in auto, Bologna la vedi. Se ci vai in aereo, te la perdi. Voglio il passo del Paradiso dove si parla dell’aquila? Digito, e mi compare direttamente quel passo. Senza Internet, no: te la devi leggere, la Divina Commedia. E intanto che leggi, conosci. Non bisogna fare di niente un valore assoluto. Via i paraocchi: tutto, interpretato in chiave assoluta, ci preclude delle possibilità. Se Internet ci preclude la possibilità di leggere la Divina Commedia, allora non va bene. Ognuno di noi, tanti anni fa, teneva un diario, che conservava per anni. Avete mai provato a scoprire su Facebook cos’avete scritto un anno fa? In pratica, il sistema vi si blocca: pensate a cosa vi toglie, tutto questo. Poi, per conoscere, la seconda cosa che conta, oltre al tempo, qual è? La memoria. Senza memoria non si conosce nulla. Per conoscere, archiviamo dati che poi colleghiamo. Se non archiviamo, non possiamo collegare. Cosa ci ha tolto Facebook? La memoria. Senza accesso al passato, non posso rileggere i fatti oggi ed evitare di commettere gli stessi errori di ieri.Facebook è una delle conseguenze dell’11 Settembre. Doveva essere una mega-progetto della Cia per schedare tutti gli americani. Ma costava un sacco di soldi, perché bisognava raccogliere i dati. Al che, un cervello della Cia si è alzato e ha detto: “Ma perché i dati li dobbiamo raccogliere noi? Facciamoceli dare”. E hanno risparmiato non so quanti miliardi di dollari. Hanno trovato un nazistello, Zuckerberg, a cui hanno intestato la cosa e gli hanno detto “fai i quattrini”, e hanno schedato tutto il mondo. Perché spendere miliardi per quei dati? Meglio se faccio in modo che i dati vengano a me. E’ un pensiero magico, no? Il ricercatore è il “magister”, quello a cui piovono le cose nel piatto è il “magus”. Questa società deve vendere: è basata su una produzione posticcia, esigenze posticce, un mercato posticcio. Una società normale, agricola, rurale, non mangiava carne ogni giorno: McDonald’s sarebbe fallito. Ma anche i vegani sono schiavi del pensiero magico: disegnano quello che non si può fare (tutto il mondo che diventa vegano) anziché quello che si può fare (consumi gradualmente più responsabili).Chi pensa a soluzioni radicali esprime il pensiero magico: nessuna soluzione può essere radicale, in un cerchio diverso dal cerchio magico. Il radicalismo porta a rimanere dove si è. Se invece usciamo dal recinto, di giorno in giorno possiamo porci degli obbiettivi raggiungibili. Se di ogni cosa che facciamo ci chiediamo il perché, possiamo evitare di essere vittima di un cerchio magico. E’ successo anche alla massoneria, quando ha accettato di diventare un organismo unico e centralizzato. Un progetto di potere: pensiero magico. Non sono gli uomini che fanno progetti di potere. E’ il potere che fa progetti di uomini. Il potere è un meccanismo, non è identificabile con la persona. Nel momento in cui la società è vocata al potere, al pensiero magico, questa società – indipendentemente da Sindona, Gelli o Totò Riina – va avanti così. E’ lo schema, che si riproduce, non le persone. Puoi arrestare Provenzano, ma poi ti ritrovi Messina Denaro: la regola vale per la mafia, per la politica, per la religione, per tutte le aggregazioni umane. Ed è una società che può peggiorare. Ve l’immaginate, cent’anni fa, un camorrista che seppellisce scorie tossiche dove gioca il figlio?Nonostante la scelta di essere delinquente, un mafioso non avrebbe mai potuto seppellire scorie nucleari dove giocano i figli. Adesso invece è immaginabile. Perché le scelte di potere sono solo peggiorative, non sono mai un’evoluzione positiva. Il massone del ‘700 è comunque meglio del massone di adesso. Perché il potere peggiora, corrompe. Abbatte valori, limiti, paletti, confini. Questa riflessione, oggi, è l’unico atto rivoluzionario che possiamo fare. La vera rivoluzione che possiamo fare è minare il sistema consumistico dalle sue radici, e le sue radici sono il potere. Nella misura in cui riusciamo a sottrarci al potere – al potere che ci vuol far comprare, al potere che ci toglie il tempo e non ci fa pensare – noi facciamo un’operazione realmente rivoluzionaria, dove non c’è bisogno di spargere del sangue. C’è bisogno però di faticare noi, di fare un percorso di conoscenza e di consapevolezza – faticoso, lento. Ma dobbiamo entrare nell’ottica per la quale tutto deve essere fatto per noi stessi, non per la proiezione che questa società fa di noi stessi.La new age oggi vende la “regola dell’attrazione”, che spinge ancora una volta a mettersi al centro del mondo, ma nessuno di noi è il centro del mondo. E’ un’operazione magica, mettersi al centro del mondo – per questo il mago disegna il cerchio: lui è il centro del cerchio. Smettiamo di disegnare cerchi, e cominciamo a pensare che esiste un unico, grande cerchio di cui noi siamo parte. E cominciamo anche a immaginare che la legge vera non è quella dell’attrazione (per cui noi attraiamo o respingiamo le cose) ma è la legge della complementarietà, per cui noi combaciamo con tutto il resto. Vi siete mai guardati allo specchio? Vi mostra come vi vedono gli altri. E se non mettete assieme come vi vedete voi e come vi vedono gli altri, non vedrete mai come siete veramente. Solo portando nell’ambito della conoscenza tutto quello che non conoscete, potere avere la vera dimensione del vostro essere. Siamo tessere di un mosaico (meraviglioso, peraltro) che, se stanno nei loro limiti, ci entrano perfettamente, in quel buchetto. Ed entrando in quel buchetto concorrono a una grande bellezza.(Gianfranco Carpeoro, estratti dall’intervento al convegno “La manipolazione dell’informazione e delle coscienze” tenutosi il 20 dicembre 2014 a Ercolano, con relatori come Paolo Franceschetti e Massimo Mazzucco. Giornalista e saggista, già avvocato e pubblicitario, Carpeoro è stato “sovrano gran maestro” della comunione massonica di Piazza del Gesù; studioso di esoterismo, è un grande esperto di storia antica e linguaggio simbolico).La manipolazione è una diretta conseguenza del potere: non c’è potere senza manipolazione. Ognuno fa quello che vogliono altri, perché è manipolato. L’errore che molti di noi commettono è quello di soffermarsi sulla manipolazione di cui ci accorgiamo, senza capire come nasce il potere. Se non si capisce come funziona il potere, non si può decodificare la manipolazione, che del potere è figlia. Nel libro “Dominio”, Francesco Saba Sardi spiega che il potere nasce quando l’uomo abbandona il nomadismo. L’uomo che non ha bisogno di conquistare, gestire, governare, coltivare e sfruttare la terra non ha neanche bisogno del potere. Quel bisogno nasce quando qualcuno diventa propritario di un territorio. E quel territorio lo governa, lo gestisce, lo difende, lo sfrutta economicamente. E come nasce, il potere? Per un passaggio obbligato: la guerra. Devo fare una guerra per conquistare un territorio, per difenderlo, per conservarlo. Prendermi la terra significa che devo fare la guerra. Per poi coltivarla e sfruttarla, questa terra, che diventa sempre più grande (non posso coltivarmela la solo), devo avere dei servi. E per avere dei servi devo aveve una religione. Alla fine, tutto questo, secondo Saba Sardi, si chiama “dominio”.
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L’antispreco è servito, tra gli chef anche Serge Latouche
Bastano tre mele per fare un dolce-capolavoro. L’importante? E’ che siano bacate. Parola di Anna Blasco, “food stylist” e “food maker” torinese. Perché il capolavoro è doppio: non solo il gusto, ma anche il piacere del recupero del cibo che sta per finire nella spazzatura. Pura filosofia: il cibo non è solo un mezzo per vivere, come insegna Emmanuel Lévinas. «All’esteriorità del cibo corrisponde la nostra sensibilità», spiega il professor Enrico Guglielminetti, direttore di “Spazio Filosofico”. «Il rapporto che abbiamo col cibo è analogo al rapporto che abbiamo con gli altri». Mancanza di rispetto: «Lo spreco alimentare, che riduce il cibo a rifiuto, è un caso esemplare». Una sorta di abuso di potere. «Produrre rifiuti allora diventa un vizio, l’opposto della virtù». E noi di cibo ne sprechiamo troppo: 1,3 miliardi di tonnellate l’anno, cioè un terzo di tutta la produzione mondiale di alimenti destinati all’uomo, lungo la filiera-colabrodo dei consumi di massa. Rimediare? Ovvio che sì. Partendo dalla cucina di casa. Basta seguire, alla lettera, le ricette di grandi chef: che si chiamano Maurizio Pallante, Hilary Wilson, Rossano Ercolini, Pamela Warhurst. E Serge Latouche, naturalmente.«Mangiare meglio, non meno», raccomanda il caposcuola francese del pensiero della decrescita. «Partiamo dalla pratica, dalle piccole cose quotidiane: abbandonare l’abitudine di sprecare, di acquistare cibo che arriva dall’altra parte del mondo, rivestito di imballaggi in plastica». Latouche è il maître della tavola (digitale) imbandita da Alessandra Mazzotta, “L’antispreco è servito”, agile manuale in formato ebook. L’autrice, giornalista specializzata in comunicazione ambientale e sostenibilità, si definisce «pessima cuoca, ma buona forchetta». In città si sposta in bici e «viaggia come ecoturista anche in sogno», secondo l’editore, “Bookrepublic”. Sogni? Quello di Latouche è «un’utopia socialista» chiamata decrescita, per «aiutarci a sperare», fuori dal totalitarismo consumistico. Intanto, “L’antispreco è servito” propone ricette domestiche per un risveglio anche immediato. Formule divertenti, come quella del “mago” Ercolini che trasforma in funghi i fondi di caffè. E prodigi sensazionali come il miracolo di Todmorten, vicino a Manchester, dove due donne si sono inventate la rivoluzione verde di “Incredible Edible”, il villaggio dove gli ortaggi a disposizione degli abitanti crescono persino nelle aiuole della stazione di polizia.«In un mondo paradossale in cui un miliardo di persone soffre di fame e un altro miliardo di malattie connesse con l’obesità, le distorsioni pesano troppo nel piatto e assumono un sapore di immoralità», scrive Mazzotta. «Nei paesi industrializzati, solo per fare qualche esempio, si cestinano 222 milioni di tonnellate di cibo, che equivalgono – tonnellata più, tonnellata meno – alla produzione alimentare disponibile dell’intera Africa sub-sahariana». Gli sprechi alimentari sono ovunque: dalla produzione agricola fino alla distribuzione. «Per non parlare di quelli che avvengono a livello domestico, nelle nostre cucine», sui cui antidoti è concentrata la mappa operativa del libro, utilissima per orientarsi da subito, cercare maestri, trovare alleati preziosi. Associazioni, campagne antispreco, Last Minute Market. Un mondo, navigabile partendo dal computer. Dalla piccola distribuzione alla ristorazione, la spesa consegnata in bicicletta e il locale aperto a Leeds dallo chef Adam Smith, dove vengono serviti piatti di ogni genere, dalla bistecca alla zuppa, a base di ingredienti scartati dagli stabilimenti alimentari della città. «Buon cibo salvato dalla discarica, che aiuta anche a nutrire chi fatica ad arrivare alla fine del mese».Il libro propone una geografia confortante, dalla rete milanese dei ristoranti “ad avanzi zero”, ai sommelier dell’Ais che spiegano come portarsi a casa il vino avanzato. Cresce la rete del “food sharing”: negli Usa, puoi fotografare gli avanzi nel piatto per segnalarli e riciclarli. In Germania, via web, gli abitanti di sette città si scambiano il cibo in eccesso. Stessa cosa a Londra, grazie al “Casseroleclub”. In Italia, “Food Share” è una piattaforma web che permette a privati, produttori e rivenditori di offrire gratuitamente prodotti alimentari in eccedenza a scopi solidali. A Trento basta un’app sul telefonino per ritirare gli avanzi, a Torino provvede una piattaforma web, “NextDoorHelp”, mentre a Treviso lo smistamento dell’antispreco è affidato al frigorifero virtuale di “Ratatouille”, da cui esplorare l’offerta della dispensa eco-solidale. Sono tutti avamposti, per un futuro meno grigio: «Nonostante la crisi, noi italiani buttiamo via ancora troppo cibo: il 55% viene sprecato nella filiera agroalimentare e il restante 45% nel consumo domestico, mense e ristoranti compresi», scrive Alessandra Mazzotta. «Ogni anno, lo spreco domestico ci costa più di 8 miliardi di euro. In media, ogni famiglia getta nella spazzatura più di 500 euro in alimenti».Maurizio Pallante, leader dei decrescisti italiani, punta il dito contro «stili di vita ancora irresponsabili», e spiega: «Manca la consapevolezza del legame tra cibo e stagioni», e in più «non viene data sufficiente attenzione a quanto costa il cibo, produrlo, distribuirlo. Per cui si spreca tanto, con impatti ambientali altissimi». D’altra parte, «chi vende il cibo ha interesse a che se ne venda e se ne sprechi sempre di più». Colpa anche della vecchia agricoltura industriale, pensata come “industria estrattiva” per spremere la terra, allo scopo di vendere e guadagnare sempre di più, grazie anche all’autismo demenziale di una politica che pensa solo al Pil, gonfiato di veleni. L’antidoto si chiama «riscoperta della piccola produzione contadina, con la vendita delle eccedenze, in un’ottica di filiera corta come massima espressione della sovranità alimentare a livello territoriale». Questo, aggiunge Pallante, «favorisce la maturazione della consapevolezza e della responsabilità verso il cibo». Perché, ricordiamolo, l’accesso al cibo è un diritto. Dunque, «non sprecarlo è un dovere», chiarisce Lorenzo Bairati, docente di diritto degli alimenti all’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche a Pollenzo, creata da Carlo Petrini, fondatore di Slow Food.Se il sistema produce ancora passività sprecona, il “decalogo antispreco” di Alessandra Mazzotta propone una via d’uscita praticabile subito, da chiunque: pianificare i pasti, controllare il frigo, verificare etichette e scadenze, gestire gli avanzi e condividerli. C’è un mondo sconosciuto, nel frigorifero: dallo yogurt al tonno, si tratta di decifrare e vigilare sulle date, sulle modalità di conservazione. E di imparare: per esempio, a far “risorgere” ortaggi che ci stanno salutando. Patate e aglio che germogliano? Basta saperci fare, «la natura ha del miracoloso». Sedani, insalate, cipollotti: con poche mosse, un possibile rifiuto diventa una risorsa che ricresce sul davanzale. «Non ricordo di aver mai visto mia nonna buttare via del cibo avanzato», dice Alessandra. «Male che andava, c’era sempre il cane. Chi ha visto la guerra faceva così». Oggi, la “guerra” che abbiamo attorno è un’altra. Per fortuna, «complice forse la crisi e una maggiore coscienza, stanno fiorendo iniziative antispreco un po’ a ogni latitudine». E anche ottimi libri, che ti spiegano come fare. E intanto ti regalano la certezza di essere parte di una comunità. Un’umanità consapevole, che conosce le parole di Gandi: la Terra è abbastanza grande per soddisfare i bisogni di tutti, ma non l’avidità di pochi.(Il libro: Alessandra Mazzotta “L’antispreco è servito”, Bookrepublic, 625,8 Kb, euro 1,99. Mazzotta è redattrice del newmagazine “Econote” e gestisce il blog “Ecoavoi”).Bastano tre mele per fare un dolce-capolavoro. L’importante? E’ che siano bacate. Parola di Anna Blasco, “food stylist” e “food maker” torinese. Perché il capolavoro è doppio: non solo il gusto, ma anche il piacere del recupero del cibo che sta per finire nella spazzatura. Pura filosofia: il cibo non è solo un mezzo per vivere, come insegna Emmanuel Lévinas. «All’esteriorità del cibo corrisponde la nostra sensibilità», spiega il professor Enrico Guglielminetti, direttore di “Spazio Filosofico”. «Il rapporto che abbiamo col cibo è analogo al rapporto che abbiamo con gli altri». Mancanza di rispetto: «Lo spreco alimentare, che riduce il cibo a rifiuto, è un caso esemplare». Una sorta di abuso di potere. «Produrre rifiuti allora diventa un vizio, l’opposto della virtù». E noi di cibo ne sprechiamo troppo: 1,3 miliardi di tonnellate l’anno, cioè un terzo di tutta la produzione mondiale di alimenti destinati all’uomo, lungo la filiera-colabrodo dei consumi di massa. Rimediare? Ovvio che sì. Partendo dalla cucina di casa. Basta seguire, alla lettera, le ricette di grandi chef: che si chiamano Maurizio Pallante, Hilary Wilson, Rossano Ercolini, Pamela Warhurst. E Serge Latouche, naturalmente.
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Meno tasse? Chi ci crede è un fesso (e l’Iva sarà al 25,5%)
Le sorprese arrivano sempre dai codicilli, spiegano gli avvocati. E un governo truffaldino come quello in carica non poteva non ricorrere ai trucchetti democristiani più antichi. Renzi che va in tv a ripetere che «abbiamo ridotto le tasse» e «promuoviamo la crescita» avrebbe dovuto anche spiegare da dove prendeva “le coperture” per le voci della legge di stabilità inviata a Bruxelles e al presidente della Repubblica, addirittura priva dell’indispensabile esame della Ragioneria di Stato. Se dici che vuoi spendere, insomma, i trattati europei ti obbligano a dire dove prendi i soldi che vuoi impegnare. Dalle tasche dei cittadini più poveri, è l’inevitabile risposta. Nelle pieghe del ddl, infatti, ci sono decine di aumenti delle tasse, ma “nascosti”, rinviati, occultati. E si tratta sempre di tasse indirette, le quali – colpendo i consumi o determinate prestazioni – “pesano” di più sui meno abbienti che non sui riccastri. Vediamone alcune, anche se – trattandosi di un testo molto lungo e “tecnico” – la maggior parte verrà fuori un po’ alla volta.Il modo per non farsi fucilare dalla Commissione europea è, da qualche anno, l’inserimento della cosiddetta “clausola di salvaguardia”. In pratica il governo “stima” che determinate decisioni produrranno risparmi o maggiori spese, e se le previsioni non saranno rispettate per difetto (verranno cioè a mancare “le coperture” previste) allora entreranno in vigore misure correttive automatiche per rimettere in ordine il bilancio. Tra le misure automatiche previste dall’attuale legge di stabilità c’è l’aumento dell’aliquota Iva agevolata (oggi al 10%) di 2 punti percentuali nel 2016; se non dovesse bastare salirà di un altro punto nel 2017 (al 13%). E’ certamente il caso di ricordare su quali beni o servizi si applica l’Iva ridotta: cinema, alberghi, treni, autobus, carne, pesce, uova, zucchero, acqua, gas, elettricità, ristoranti e bar, per esempio. Identica dinamica anche per l’Iva “normale”, che dal 22% attuale salirebbe al 24% nel 2016, al 25% nel 2017 e addirittura al 25,5% nel 2018. Tombola!In pratica, il governo pensa di far cassa e «combattere la deflazione» depressiva, aumentando la tassazione sui consumi. Nemmeno il più scarso degli economisti consiglierebbe una terapia del genere in piena crisi… Calcolate che soltanto le tasse sulla benzina assommano ormai a 72,42 centesimi di accisa per litro, per la benzina verde, e 61,32 centesimi per il gasolio; sul prezzo totale (costo industriale più accisa) viene poi applicata l’Iva. Un aumento dell’Iva di tre punti in due anni comporterebbe dunque – a prezzo del petrolio invariato, ma non ci sperate – un incremento del prezzo finale alla pompa di circa 5-6 centesimi per litro. Che l’automobile sia considerata un bancomat è una vecchia storia. Ma spingersi fino a reintrodurre il bollo normale per auto storiche è una misura dell’ossessione. Non è nostra intenzione difendere i collezionisti, ma semplicemente i poveracci che vanno in giro – poco – con un’auto di oltre 25 anni di vita. Ma da una misura del genere potrebbero venire al massimo 7,5 milioni di euro.Gli esperti si sono affrettati a calcolare, come conseguenza diretta, la demolizione di circa 300-325mila veicoli classificati come “d’interesse storico-collezionistico”. La perdita patrimoniale complessiva viene stimata tra i 2,2 ed i 5,7 milioni. Ma potevano i pensionandi passarla liscia? Ma quando mai… Dopo aver obbligato centinaia di migliaia di lavoratori dipendenti ad aderire ai fondi pensione integrativi (e privati), concedendo una tassazione più bassa, ora si passa a tosare la pecora. I “proventi” percepiti dai fondi pensione vengono tasssati ora al 20% (erano all’11,5). Peggio: l’aumento avrà efficacia retroattiva dal 1° gennaio 2014, in barba ai più elementari princìpi giuridici. E tutto questo passa come “riduzione delle tasse”?(Claudio Conti, “Meno tasse? Chi ci crede è un fesso”, da “Contropiano” del 23 ottobre 2014).Le sorprese arrivano sempre dai codicilli, spiegano gli avvocati. E un governo truffaldino come quello in carica non poteva non ricorrere ai trucchetti democristiani più antichi. Renzi che va in tv a ripetere che «abbiamo ridotto le tasse» e «promuoviamo la crescita» avrebbe dovuto anche spiegare da dove prendeva “le coperture” per le voci della legge di stabilità inviata a Bruxelles e al presidente della Repubblica, addirittura priva dell’indispensabile esame della Ragioneria di Stato. Se dici che vuoi spendere, insomma, i trattati europei ti obbligano a dire dove prendi i soldi che vuoi impegnare. Dalle tasche dei cittadini più poveri, è l’inevitabile risposta. Nelle pieghe del ddl, infatti, ci sono decine di aumenti delle tasse, ma “nascosti”, rinviati, occultati. E si tratta sempre di tasse indirette, le quali – colpendo i consumi o determinate prestazioni – “pesano” di più sui meno abbienti che non sui riccastri. Vediamone alcune, anche se – trattandosi di un testo molto lungo e “tecnico” – la maggior parte verrà fuori un po’ alla volta.
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Russian Compact, addio export: l’Italia perde 300 milioni
È forte la preoccupazione tra gli imprenditori italiani dell’agroalimentare dopo il blocco delle importazioni annunciato dalla Russia: le sanzioni di Mosca costeranno almeno 100 milioni di euro per il 2014, e più del doppio – circa 220 milioni – nel 2015, colpendo duramente un comparto che nell’export verso la Russia vale oltre 700 milioni di euro. Un embargo totale su carne di manzo, suina e avicola, frutta e verdura, latte e formaggi provenienti dai paesi dell’Unione Europea, ma anche da Stati Uniti, Canada, Australia e Norvegia. Durerà un anno il divieto di importazione disposto dalla Russia in risposta alle sanzioni contro Mosca adottate da Stati Uniti e Unione Europea, spiega Adolfo Marino di “Pandora Tv” in un post ripreso da “Megachip”. «La via delle sanzioni è un vicolo cieco», sostiene il premier russo Dmitrij Medvedev, «ma la Russia è stata costretta a reagire». Stando ai calcoli del “Sole 24 Ore”, in un’economia in recessione come quella italiana le tensioni con la Russia bastano da sole a mettere in ginocchio l’export e il Pil.Le imprese italiane temono «una duplice, pesante ricaduta in un settore già in difficoltà come l’agroalimentare», perché lo stop di Mosca «apre la porta a forniture da Bielorussia, Argentina e Brasile, con la perdita di quote di mercato che l’Italia difficilmente potrà riconquistare». Inoltre, con l’embargo russo, «la produzione ortofrutticola di Grecia e Spagna si scaricherà sull’Europa con effetti drammatici», sottolinea il presidente di Confcooperative, Maurizio Gardini. «L’impressione – scrive Marino – è che la portata della crisi ucraina sia stata molto sottovalutata: le recenti tensioni internazionali rimettono in questione l’Europa nel suo complesso, che dovrà adesso pensare a una politica che superi la ricetta tedesca del rigore». Ovvero: «Non sarà più possibile continuare a mortificare i consumi interni, coltivando l’illusione di una crescita basata sulle esportazioni».Proprio sulla compressione della domanda interna, attraverso il blocco decennale dei salari, si è basato il super-export tedesco di questi anni, agevolato dall’avvento dell’euro e dai conti pubblici “a doppio fondo” della Germania, che attraverso un ente di credito come la Kfw trasferisce denaro al sistema privato: in pratica, “spesa pubblica fantasma” che la Germania effettua sottobanco, aggirando la rigida normativa di Bruxelles. E’ la stessa Germania che poi impone agli altri paesi europei il massimo del rigore, fino alla super-stangata del “Fiscal Compact”. Ora, avverte Marino, che il rischio concreto che ad esso si aggiunga «un altrettanto disastroso “Russian Compact”», col taglio delle esportazioni verso Mosca. Per la prima volta, attraverso la crisi esplosa in Ucraina, si incrociano in modo drammaticamente evidente le due linee di frattura che stanno mettendo in ginocchio la nostra economia: da un lato la pretesa neoliberista di azzoppare lo Stato sovrano come soggetto economico, fondamentale partner di imprese e famiglie, e dall’altro il precipitare della crisi geopolitica accelerata dal declino Usa: molti osservatori internazionali denunciano il pericolo che Washington forzi lo scontro con Mosca per sfuggire alla contabilità della recessione attraverso la peggiore delle scorciatoie, la guerra.È forte la preoccupazione tra gli imprenditori italiani dell’agroalimentare dopo il blocco delle importazioni annunciato dalla Russia: le sanzioni di Mosca costeranno almeno 100 milioni di euro per il 2014, e più del doppio – circa 220 milioni – nel 2015, colpendo duramente un comparto che nell’export verso la Russia vale oltre 700 milioni di euro. Un embargo totale su carne di manzo, suina e avicola, frutta e verdura, latte e formaggi provenienti dai paesi dell’Unione Europea, ma anche da Stati Uniti, Canada, Australia e Norvegia. Durerà un anno il divieto di importazione disposto dalla Russia in risposta alle sanzioni contro Mosca adottate da Stati Uniti e Unione Europea, spiega Adolfo Marino di “Pandora Tv” in un post ripreso da “Megachip”. «La via delle sanzioni è un vicolo cieco», sostiene il premier russo Dmitrij Medvedev, «ma la Russia è stata costretta a reagire». Stando ai calcoli del “Sole 24 Ore”, in un’economia in recessione come quella italiana le tensioni con la Russia bastano da sole a mettere in ginocchio l’export e il Pil.
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Il pupazzo Renzi ci sta spedendo nell’inferno del Ttip
Così pochi giorni fa abbiamo udito le voci del ventriloquo uscire dalle bocche dei nostri governanti. L’ineffabile Renzi, colui che il più delle volte parla senza dire alcunché (è anche questa una capacità molto importante per i politici di oggi, ma bisogna dare a lui il merito di averla portata alle vette del sublime), stavolta, animato dal ventriloquo, ha detto qualcosa di concreto: che bisogna firmare subito il Ttip, il trattato internazionale di libero commercio tra Usa ed Europa. «E’ tutto a nostro vantaggio», ha detto il ventriloquo. «Sst!… Guerrino dorme, non risvegliamolo. Vorrei sbagliarmi, ma credo che ogni giorno di più dubita di non esistere, d’essere un’armatura piena di vento…» (Gesualdo Bufalino). Dice che venderemo più facilmente i nostri prosciutti e il nostro parmigiano agli americani. Finalmente. Allora ci metteremo tutti a produrre prosciutti e parmigiano, e cargo di prosciutti e parmigiano, e magari vino Chianti e Brunello partiranno per l’America, inondando le mense Usa e sostituendo hamburger, popcorn, cibi in scatola e in plastica di ogni genere e tipo.Continueremo a importare grano, riso, carne, verdure, sementi, piante da orto e da giardino, soia e mais e farine animali da far mangiare ai maiali per i prosciutti e alle vacche per il parmigiano, pesticidi con cui irrorare i già troppo estesi vigneti del Chianti e del Brunello, ecc ecc, e molte di queste cose continueremo ad importarle dagli Stati Uniti, come già facciamo. Con una piccola differenza, però, rispetto ad ora: non potremo più rifiutare nulla. Non potremo più escludere ormoni, Ogm, veleni di qualsiasi genere dal nostro commercio e consumo, non potremo nemmeno più essere avvertiti della loro presenza da un’etichetta (e nemmeno da un articolo pubblicato su un giornale) perché sarebbe “concorrenza sleale”, punita con gravi sanzioni pecuniarie, se non peggio. Diventerebbe illegale anche un’etichetta che specificasse “esente da Ogm”: sarebbe sempre concorrenza sleale. “Sleale”! Ma dov’è finito il significato delle parole?Il Ttip (trattato di libero commercio), libererebbe le multinazionali Usa (e non solo) da ogni limite e vincolo che oggi la nostra legislazione prevede, e che abbiamo conquistato a seguito di tante lotte, mobilitazioni, impegno e lavoro di associazioni, gruppi e gente varia. Libererebbe le multinazionali e incatenerebbe noi. Ogni passo avanti nel cammino della globalizzazione imperialista è un passo avanti nella sottomissione dei popoli. Mentre quelli che ci stanno rendendo schiavi sventolano la bandiera della Santa Democrazia ogni volta che devono dare l’assalto a qualche paese refrattario e recalcitrante al farsi “globalizzare”. Il Ttip è un piano con cui le grandi corporations vogliono accaparrarsi tutto l’accaparrabile, controllare tutto il commercio, imporre a tutti i loro prodotti. Viene discusso in segreto, tenendone all’oscuro, con la complicità dei governi, i popoli che ne saranno vittime.E’ un’altra rapina di risorse naturali ed economiche, aumenterà la povertà dei molti e la ricchezza dei dominatori del mondo, accelererà la distruzione della Terra e della nostra salute. Se verrà approvato. Intanto, non lasciamo che a berciare sia solo il ventriloquo attraverso le sue marionette: la maggior parte dei cittadini non ne ha mai sentito parlare, se non da Renzi & C. Informiamoci e informiamo, facciamo conoscere la verità e gli obiettivi di questo trattato commerciale. Tutti devono capire, tutti quelli che sanno e hanno capito devono informare coloro che “cadono dalle nuvole” ma che pesano, eccome, sul piatto della bilancia. Il Trattato prevede che le legislazioni dei singoli Stati si pieghino alle norme di libero scambio stabilite dalle multinazionali, pena gravi sanzioni commerciali e risarcimenti (alle multinazionali) degli Stati contravventori. O delle Regioni, o dei Comuni.Sicurezza alimentare, norme sulle sostanze tossiche, sanità, medicinali, energia, cultura, risorse naturali, formazione professionale, appalti pubblici… tutto verrebbe piegato e ridisegnato secondo gli interessi delle multinazionali. Sarebbero creati appositi tribunali internazionali per tutelarne gli interessi. I servizi pubblici diventerebbero merce di libero scambio. Stiamo parlando di scuole, ospedali, ferrovie, musei, opere pubbliche, foreste e terreni, energia elettrica. Tutto “liberamente scambiabile”! Tutto arraffabile, accaparrabile, rapinabile dalle grandi industrie Usa ed europee. Nella delegazione americana che sta conducendo le trattative ci sono più di seicento (600!) rappresentanti mandati dalle multinazionali. Seicento loro lacché, funzionari, mercenari: dopotutto, è una guerra, e quei seicento si batteranno fino all’ultimo: per loro è questione di vita o di morte. Cioè di carriera e prestigio o di fallimento, che è tutto ciò che concepiscono della vita.Le istruzioni per tutti i lacché, Usa ed europei, politici e non, sono: non far trapelare nulla, fino alla fine, di ciò che si discute. Chissà perché? A noi italiani almeno lo potrebbero dire, dato che il Ttip “è tutto a nostro vantaggio”. «Con le monete in una mano, un bel niente nell’altra, persuasero tutti, eccetto il bambino – già sapeva… che, qualsiasi mano avesse toccato delle due tese avanti, sarebbe stata sempre quella vuota» (R. S. Thomas). Peccato che il trattato simile di libero commercio fatto tra Usa e Messico non sia stato anche lui a tutto vantaggio dei contadini messicani, che hanno visto inondare il mercato interno di mais Usa geneticamente modificato e a prezzi stracciati e, oltre a non riuscire più a vendere il proprio prodotto, vengono denunciati e rovinati dalla Monsanto perché il loro mais è contaminato.(Sonia Savioli, “Ventriloqui, pupazzi e accordo commerciale Usa-Ue”, da “Il Cambiamento” del 26 giugno 2014).Così pochi giorni fa abbiamo udito le voci del ventriloquo uscire dalle bocche dei nostri governanti. L’ineffabile Renzi, colui che il più delle volte parla senza dire alcunché (è anche questa una capacità molto importante per i politici di oggi, ma bisogna dare a lui il merito di averla portata alle vette del sublime), stavolta, animato dal ventriloquo, ha detto qualcosa di concreto: che bisogna firmare subito il Ttip, il trattato internazionale di libero commercio tra Usa ed Europa. «E’ tutto a nostro vantaggio», ha detto il ventriloquo. «Sst!… Guerrino dorme, non risvegliamolo. Vorrei sbagliarmi, ma credo che ogni giorno di più dubita di non esistere, d’essere un’armatura piena di vento…» (Gesualdo Bufalino). Dice che venderemo più facilmente i nostri prosciutti e il nostro parmigiano agli americani. Finalmente. Allora ci metteremo tutti a produrre prosciutti e parmigiano, e cargo di prosciutti e parmigiano, e magari vino Chianti e Brunello partiranno per l’America, inondando le mense Usa e sostituendo hamburger, popcorn, cibi in scatola e in plastica di ogni genere e tipo.