Archivio del Tag ‘Carpeoro Racconta’
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Carpeoro: fango disonesto, i 5 Stelle restano una speranza
«Non è ancora una soluzione, per l’Italia, però resta una speranza: perché la base grillina è fatta di persone pulite, che non ne possono più di questo sistema». Dedicato a chi spara sui 5 Stelle, alla vigilia delle elezioni, tentando di spacciare per un illecito quella che invece è solo una “infedeltà” alle regole interne: la cessione, volontaria, di una parte dello stipendio da parlamentare. «Di costa stiamo parlando? Di una decina di casi? Una percentuale irrisoria, rispetto al numero dei 5 Stelle che rivestono cariche pubbliche. E’ ridicolo anche solo parlare di “tradimento”: sono percentuali fatalmente fisiologiche, in un movimento politico di massa». Per Gianfranco Carpeoro, simbologo e saggista nonché esponente del Movimento Roosevelt, è inaccettabile (benché prevedibile) la “macchina del fango” che sta colpendo i grillini: «Semplicemente, si vuole evitare che stravincano». La grottesca crociata interna contro i candidati massoni nelle liste pentastellate? «Forse è una contromossa a livello di immagine, per bilanciare la polemica sui mancati versamenti dei parlamentari “infedeli”. Ma i grillini sbagliano: anziché la massoneria in sé, dovrebbero attaccare la vera massoneria di potere che ha in mano l’Europa, e quindi l’Italia, ma non lo fanno. E certo non lo fa Di Maio, che proprio alle porte di quella massoneria ha bussato ripetutamente».
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‘Figlio mio, drogato vincerai’. Carpeoro: siamo oltre l’umano
«Piacere di conoscervi, spero che indoviniate il mio nome. Ma ciò che vi lascia perplessi è la natura del mio gioco». Così Mick Jagger allude alla “comprensione per il diavolo”, cioè la parte meno presentabile di noi stessi. «Guardate San Bernardo, nell’affresco dell’abbazia di Chiaravalle alle porte di Milano: non uccide il demonio ma si limita a domarlo, a tenerlo al guinzaglio», fa notare Gianfranco Carpeoro nel recente convegno romano “Ultime notizie dal futuro”. La celebre “Sympathy for the devil”? Consapevolezza della nostra parte oscura. Comprensibile? Non sempre: Carpeoro si arrende, «di fronte a genitori che consigliano ai figli minorenni di drogarsi, per vincere gare di ciclismo». Emerge dalle intercettazioni dell’indagine di Lucca sul doping imposto ai ciclisti in erba della Altopack-Eppela: 6 arresti e 17 indagati, dopo la morte di Linas Rumsas, giovane promessa di origine lituana. «Sono genitori, capite? E non è il caso isolato di un pazzo. Sono tanti, papà e mamme. Che ai loro ragazzi, spesso perplessi di fronte ai farmaci loro proposti, dicono: ma no, dai, ti devi fidare dell’allenatore. Devi prendere quella roba, se vuoi vincere, se vuoi comprarti il macchinone. Genitori che premono sui figli perché si droghino: è qualcosa che va oltre l’umano. O almeno, oltre la mia capacità di comprensione. C’è qualcosa di terribile, nell’aria».Con queste parole, Carpeoro – saggista e romanziere, avvocato di lungo corso (vero nome, Pecoraro) – si confida con Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming “Carpeoro Racconta”, su YouTube. La notizia: i genitori dei baby-ciclisti di Lucca che raccomandano ai figli, ragazzini di 13-14 anni, di assumere le sostanze dopanti prescritte dalla squadra: epo, ormoni per la crescita e antidolorifici a base di oppiacei, tutti farmaci vietati dalla normativa sul doping. L’ipotesi di reato: associazione a delinquere, con lo scopo di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti. «Ma l’aspetto di gran lunga più sconcertante – riflette Carpeoro – è l’atteggiamento dei genitori: come siamo arrivati a una società in cui oggi il mafioso seppellisce rifiuti tossici nel prato dove gioca suo figlio?». Stupisce meno, se così si può dire, il dilagare del doping nel ciclismo: «Nessun altro sport richiede altrettanta fatica agli atleti. Niente a che vedere con il calcio. Nel tennis, una partita di quattro ore rappresenta l’eccezione, mentre nel ciclismo la super-fatica è la regola: il ciclista mette il suo corpo alla frusta anche per 6 ore, e magari – nei grandi tour – anche per venti giorni di fila». Ovvio che i ciclisti siano le cavie perfette, per sperimentare sostanze dopanti: «Meglio ancora nel ciclismo dilettantistico, lontano dai riflettori dei media».E’ un grande business, inquietante e oscuro, ha spiegato Carpeoro dopo la morte di Michele Scarponi, già vincitore del Giro d’Italia. «Avevo previsto che ci sarebbero stati fatti continui e molto clamorosi sul ciclismo», ricorda Carpeoro. «E ancora ce ne saranno, ancor più clamorosi: ci sarà il botto, perché il fenomeno è ormai diffuso a livello di massa». Le giovani cavie rischiano la pelle, sperimentando sostanze continuamente create in laboratorio: «Il numero di nuove droghe, ogni anno, è il doppio di quello dei nuovi farmaci». Movente? «Testare sostanze perfomanti, destinate a militari e soprattutto terroristi». Mandanti? «Ambienti supermassonici e servizi segreti, con l’inevitabile complicità di case farmaceutiche: il fenomeno ha una dimensione industriale». Vittime: i ciclisti, innanzitutto. La follia? «I genitori: non riesco a capire il loro comportamento», ammette Carpeoro. «E’ qualcosa che sfugge alle mie capacità razionali: come siamo potuti arrivare fino a questo punto?». Sembra un’escaltion in termini di civiltà, qualcosa di abominevole. E’ vero, la storia umana è comunque costellata di atrocità: «Ma noi conosciamo uno spicchio molto piccolo del nostro passato: cosa sono, qualche migliaio di anni, rispetto a milioni di anni?».Persino l’omicidio è meno inspiegabile, come fenomeno, «rispetto al caso di un padre che dice al figlio: devi drogarti, per vincere e fare soldi». La barbarie dell’omicidio fa meno paura, perlomeno a Carpeoro: «L’uccisione non è sempre un percorso», spiega. «A volte è un moto, è un attimo, un momento di follia, un cortocircuito. A volte è un accidente, favorito da determinate circostanze». Invece, «un genitore che alza il telefono e dice al figlio “se vuoi vincere ti devi drogare” non è la stessa cosa». C’è una premeditazione cinica, ottusa e cieca. «Uccidere, anche in maniera bestiale, fa parte comunque di questo ordine di cose: noi viviamo in un mondo dove si uccide, anche barbaramente». Altra cosa è chiedere al proprio figlio di “uccidersi”, a rate, per acquisire un successo temporaneo, premiato con denaro. «Come fai a pensare una cosa del genere? Non arrivo a capire cosa possa muovere determinate condotte», ammette Carpeoro. «C’è qualcosa che mi sfugge, in questo: forse perché è al di fuori dall’umano?». Il fatto «non è spiegabile con ragionamenti elementari, distinguendo il buono e il cattivo: oltre un certo livello c’è qualcosa che non fa parte, evidentemente, delle mie potenzialità».E’ come se intervenissero logiche diverse, aggiunge Carpeoro. «Intendo: logiche che stanno al di fuori fuori dalla nostra dimensione, e che operano certi distorcimenti all’interno della nostra dimensione, per motivi che magari io non posso capire». “Entità” provenienti da altre dimensioni? «Sicuramente non sono dentro la nostra; poi, di quali altre dimensioni siano non lo so». Simbologo, esoterista e severo giudice della deriva magica dell’occultismo, di fronte ai genitori che “tradiscono” i figli si ferma, non riesce farsene una ragione: «Dobbiamo pensarci a fondo, su come si possa arrivare a tanto. E’ qualcosa che io non posso inglobare in una definizione: anche perché il nostro linguaggio l’abbiamo creato in base a questo mondo, non ad altri». “Pleased to meet you”, dice il diavolo dei Rolling Stones: è stato un piacere conoscervi, e spero che abbiate indovinato il mio nome. Nel caso dei baby-ciclisti, è come se il demonio dell’affesco di Chiaravalle fosse sfuggito al guinzaglio di San Bernardo. Ma a “traviare” i giovanissimi atleti non è un’insidia esterna alla loro vita: la tragedia si svolge in famiglia. Perché? «Non riesco a capirlo», dice Carpeoro. Inquieto, come il pubblico a cui si rivolge il diavolo di Mick Jagger? «Ciò che vi lascia perplessi – ripete il ritornello – è la natura del mio gioco».«Piacere di conoscervi, spero che indoviniate il mio nome. Ma ciò che vi lascia perplessi è la natura del mio gioco». Così Mick Jagger allude alla “comprensione per il diavolo”, cioè la parte meno presentabile (e meno accettabile) di noi stessi. «Guardate San Bernardo, nell’affresco dell’abbazia di Chiaravalle alle porte di Milano: non uccide il demonio ma si limita a domarlo, a tenerlo al guinzaglio», fa notare Gianfranco Carpeoro nel recente convegno romano “Ultime notizie dal futuro”. La celebre “Sympathy for the devil”? Consapevolezza della nostra parte oscura. Comprensibile? Non sempre: forse si annida anche «in altre dimensioni, diverse da questa». Carpeoro si arrende, «di fronte a genitori che consigliano ai figli minorenni di drogarsi, per vincere gare di ciclismo». Emerge dalle intercettazioni dell’indagine di Lucca sul doping imposto ai ciclisti in erba della Altopack-Eppela: 6 arresti e 17 indagati, dopo la morte di Linas Rumsas, giovane promessa di origine lituana. «Sono genitori, capite? E non è il caso isolato di un pazzo. Sono in tanti, papà e mamme. Che ai loro ragazzi, spesso perplessi di fronte ai farmaci loro proposti, dicono: ma no, dai, ti devi fidare dell’allenatore. Devi prendere quella roba, se vuoi vincere, se vuoi comprarti il macchinone. Genitori che premono sui figli perché si droghino: è qualcosa che va oltre l’umano. O almeno, oltre la mia capacità di comprensione. C’è qualcosa di terribile, nell’aria».
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Luna, immagini “fake” per nascondere tecnologie aliene?
E se le foto (farlocche) dello storico allunaggio del 1969 fossero un depistaggio? Secondo i maggiori fotografi internazionali, da Peter Lindbergh a Oliviero Toscani, le immagini di Apollo 11 diffuse in mondovisione dalla Nasa sono state palesemente girate in studio, e con anche le ombre “sbagliate”, cioè imitando in modo grossolanamente impreciso la luce del sole. Un clamoroso “fake”, dunque, come dimostra Massimo Mazzucco nel suo documentario “American Moon”, che fra l’altro sottolinea lo strano comportaneo dei pioneri dello spazio: astronauti come Neil Armstrong, che sarebbero potuti entrare da trionfatori nello star-system, condussero esistenze molto ritirate, e nel caso di Buzz Aldrin («la Luna ci ha distrutti») segnate dall’abuso di alcol e droga. Rarissime e laconiche apparizioni, con dichiarazioni sibilline come l’ultima di Armstrong: «Sta ai giovani rimuovere i molti veli che coprono la verità». Cosa dovevano nascondere, quegli astronauti? Davvero non misero mai piede, sulla Luna? «Questo non lo dice nemmeno Mazzucco», sottolinea Gianfranco Carpeoro, convinto che magari il “gran segreto” fosse un altro: «Per esempio, che sulla Luna si fosse giunti con altri mezzi, impossibili da rivelare». Un indizio? «La singolare massa di brevetti, tutti “top secret”, depositati all’indomani del famoso episodio di Roswell».L’incidente di Roswell, pietra miliare nell’ufologia, è un evento verificatosi a Roswell (Nuovo Messico, Stati Uniti) il 2 luglio 1947. La voce: cadde al suolo un Ufo, con tanto di corpi di extraterrestri a bordo, e l’aviazione Usa potè recuperare parti dell’astronave. La smentita ufficiale: a cadere fu un semplice pallone sonda dell’Us Air Force. Tre anni dopo, secondo l’agente Guy Hottel dell’Fbi, tre oggetti volanti non identificati precipitarono sempre nel New Mexico e furono “catturati” dal servizio investigativo americano. Accadde il 22 marzo del 1950, secondo gli archivi Fbi desecretati nel 2011. «All’interno dei velivoli c’erano nove corpi dalle fattezze umanoidi alti circa 90-100 centimetri», afferma Hottel. Gli oggetti non identificati, scrive Luigi Bignami su “Repubblica”, avevano un diametro di circa 16 metri ed erano leggermente rialzati al centro: insomma, Ufo nel senso più classico del termine. «Gli occupanti erano vestiti come i piloti dei jet», racconta Hottel nel suo documento. E’ possibile, conclude l’agente dell’Fbi, che gli oggetti volanti siano precipitati a causa delle interferenze dei numerosi radar presenti nell’area. Sembra la fotocopia dell’incidente di Roswell, scrive Bignami, ricordando che il primo comunicato stampa pubblicato dalla base aerea parlava proprio di un “disco volante”.Poi le dichiarazioni ufficiali statunitensi “spiegarono” che si trattava di un semplice pallone sonda, ma il caso ha continuato ad alimentare sospetti. «E ancora oggi viene avanzata l’ipotesi che a cadere nel deserto non fu un pallone sonda, ma qualcosa di sconosciuto». Oggi, l’Fbi sembra suggerire una soluzione: «Si parla di un oggetto che aveva la forma di un disco esagonale che doveva essere sospeso per mezzo di un cavo a un pallone, il quale aveva un diametro di circa sei metri e mezzo». In conversazioni telefoniche tra due basi aeree, si valuta «poco credibile» l’ipotesi del pallone sonda. «In ogni caso – ricorda “Repubblica” – il pallone e il disco vennero portati alla base aerea e lì trattenuti senza ulteriori analisi». Nel frattempo, segnala Carpeoro (in diretta web-streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights”) dopo Roswell – mentre l’opinione pubblica “tifava” per l’ipotesi Ufo – l’ufficio brevetti americano fu letteralmente bombardato di “scoperte” tecnologiche, di ambito militare, destinate a restare segrete. Possibile che gli americani siano andati sulla Luna con mezzi diversi dall’Apollo 11? Se lo domandano giornalisti come Benedetto Sette. «Non ne ho idea», mette le mani avanti Carpeoro: «Non sono un tecnico, tantomeno un fisico o un astrofisico».«Non sono nemmeno in grado di confutare le minuziose osservazioni fotografiche messe insieme dall’amico Mazzucco», aggiunge. «Ma sono abituato a far lavorare il pensiero, e so che uno come Jules Verne arrivò a immaginare con estrema precisione mondi, flora e fauna di posti che non aveva mai visto, e che la scienza ancora non conosceva». La tesi: è credibile che gli Usa – impegnati nella “corsa allo spazio”, massima espressione della guerra fredda con l’Urss – potessero commettere errori così grossolani (e non voluti) nella “ricostruzione artificiosa” della loro missione lunare? Per Mazzucco sì, è possibile: mezzo secolo fa, gli eventuali manipolatori non potevano immaginare che, oggi, sarebbe stato possibile analizzare con tanta precisione quelle immagini. Carpeoro propende per un’altra tesi: il depistaggio. Ovvero: per proteggere una verità inaccessibile, scegli di depistare l’opinione pubblica, già sapendo di dover fare i conti con gli scettici. E quindi non c’è niente di meglio che darle in pasto qualcosa come quelle immagini: tutti si chiederanno se siamo mai andati davvero sulla Luna, e nessuno si chiederà come ci siamo arrivati. Il vero segreto da proteggere era l’acquisizione di tecnologie aliene? «Se fossi al posto di Massimo Mazzucco – conclude Carpeoro – io andrei a dare un’occhiata là dove nessuno, finora, ha mai guardato: cos’erano tutti quei brevetti improvvisamente depositati dopo l’incidente di Roswell?».E se le foto (farlocche) dello storico allunaggio del 1969 fossero un depistaggio? Secondo i maggiori fotografi internazionali, da Peter Lindbergh a Oliviero Toscani, le immagini di Apollo 11 diffuse in mondovisione dalla Nasa sono state palesemente girate in studio, e con anche le ombre “sbagliate”, cioè imitando in modo grossolanamente impreciso la luce del sole. Un clamoroso “fake”, dunque, come dimostra Massimo Mazzucco nel suo documentario “American Moon”, che fra l’altro sottolinea lo strano comportaneo dei pioneri dello spazio: astronauti come Neil Armstrong, che sarebbero potuti entrare da trionfatori nello star-system, condussero esistenze molto ritirate, e nel caso di Buzz Aldrin («la Luna ci ha distrutti») segnate dall’abuso di alcol e droga. Rarissime e laconiche apparizioni, con dichiarazioni sibilline come l’ultima di Armstrong: «Sta ai giovani rimuovere i molti veli che coprono la verità». Cosa dovevano nascondere, quegli astronauti? Davvero non misero mai piede, sulla Luna? «Questo non lo dice nemmeno Mazzucco», sottolinea Gianfranco Carpeoro, saggista e giallista, convinto che magari il “gran segreto” fosse un altro: «Per esempio, che sulla Luna si fosse giunti con altri mezzi, impossibili da rivelare». Un indizio? «La singolare massa di brevetti, tutti “top secret”, depositati all’indomani del famoso episodio di Roswell».
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Non c’è posto per tutti, il sistema è progettato per escludere
Un famoso sociologo americano fece il ragionamento della nave da crociera. Dice: mettiamo che sia una grande nave, con a bordo 100 crocieristi. Ma chi ha fabbricato la nave l’ha progettata in modo che ci fossero solo 50 sedie sdraio. A quel punto, è assolutamente automatico che 50 crocieristi prendono il sole seduti e 50 no. E’ irrilevante, il modo in cui si crea la divisione tra le due classi: se sia la forza, se sia l’autorità, se sia l’autorevolezza, se siano i soldi pagati. Si creano due classi, cioè una prima gerarchia: 50 hanno la sedia sdraio e 50 non ce l’hanno. Il problema è che, i 50 che non ce l’hanno, la prima cosa che pensano è: come fottere la sedia sdraio a chi ce l’ha. E allora succede che questa gerarchia, chi le sedie le ha, decide di dividerla: e 20 li convince, con una serie di concessioni (magari cedendo loro le sdraio per un determinato giorno alla settimana) a diventare custodi delle sedie sdraio di quelli che ce l’hanno. Quindi si creano tre classi: quelli che hanno la sedia sdraio, quelli che custodiscono la sdraio per quelli che ce l’hanno, e quelli che la sedia continuano a non averla. Nel frattempo, qualche sedia sdraio si rompe, quindi variano anche le dimensioni quantitative tra quelli che hanno la sedia sdraio e quelli che non ce l’hanno.Apparentemente, quelli che ce l’hanno diventano la maggioranza, rispetto a quelli che non ce l’hanno, ma invece poi diventano minoranza: le sedie si rompono, il numero di quelli che non ce l’hanno rimane invariato e il numero di quelli che ce l”hanno diminuisce – anzi, qualcuno viene degradato a non averla. Questo avviene soprattutto per la famosa crisi delle sedie sdraio: se c’è la crisi, quelli che hanno la sdraio diminuiscono e quelli che non ce l’hanno aumentano. I custodi delle sedie sdraio a loro volta si dividono, tra quelli che decidono di usare lo spirito e quelli che decidono di usare la spada. Nascono i sacerdoti e i cavalieri, per difendere i possessori di sedie straio: la classe sacerdotale e la classe militare hanno stessa funzione (custodire le sedie sdraio) ma usano strumenti diversi, la religione o la guerra. A questo punto, nella classe di quelli che non hanno la sedia sdraio, invitabilmente, qualcuno – magari degradato perché prima la sedia l’aveva, magari perché ha strumenti intellettuali in più – decide di racimolare materiale presente sulla nave per costruire delle nuove sedie sdraio.Ma quelli che la sedia sdraio ce l’hanno si sono ormai abituati ad avere un certo spazio attorno a sé, a godersi in esclusiva i servizi del bar. E allora cosa fanno? Attivano i custodi delle sedie sdraio – in particolare i militari – per impedire che si costruiscano nuove sedie sdraio. A questo punto il sistema, che prima aveva delle aparture, fabbrica solo delle chiusure, perché quelli che hanno la sedia sdraio decidono di non rinunciare a niente di quello che hanno, in termini di spazio, di servizi, di agevolazioni. Non vogliono cedere nulla, nonostante il fatto che altri potrebbero avere una sedia sdraio senza rubargli la loro. Ecco, questo della crociera è lo schema della società dei consumi: è uno schema che mostra, nitidamente, il degrado della società dei consumi – la sua degenerazione, perché teoricamente la società dei consumi potrebbe anche funzionare un po’ meglio, ma è inesorabilmente destinata a questo tipo di degenerazione. Vie d’uscita? Una sola: non fare le crociere.(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming “Carpeoro Racconta”, su YouTube il 28 gennaio 2018).Vengo anch’io? No, tu no. Ma perché? «Perché no», è la non-risposta più famosa della canzone italiana, resa immortale dal grande Enzo Jannacci. Il concetto? Ferocemente chiarissimo: qualcuno non vuole che, a bordo, ci sia posto per tutti. Il posto ci sarebbe, beninteso, ma il sistema non lo prevede: chi si è accaparrato le migliori poltrone non le molla. E anzi, arruola guardiani per farsele difendere. «E’ lo schema del degrado inevitabile della società dei consumi», spiega Gianfranco Carpeoro, citando un caso di scuola della sociologia made in Usa: la parabola della nave da crociera. «Mettiamo che sia una grande nave: i crocieristi a bordo sono 100, ma chi ha fabbricato la nave l’ha progettata in modo che ci fossero solo 50 sedie sdraio». A quel punto, è assolutamente automatico che 50 crocieristi prendano il sole seduti e 50 no. «E’ irrilevante, il modo in cui si crea la divisione tra le due classi: se sia la forza, se sia l’autorità, se sia l’autorevolezza, se siano i soldi pagati. Si creano due classi, cioè una prima gerarchia: 50 hanno la sedia sdraio e 50 non ce l’hanno». Ovviamente, chi è rimasto senza sedia, la prima cosa a cui pensa è: come rubarla a chi la sdraio ce l’ha. E allora scatta la manipolazione: in cambio di qualche concessione (l’uso temporaneo della loro sdraio) i 50 possessori convincono 20 non-possessori a diventare custodi di quelle benedette sedie sdraio.
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Claretta Petacci fu anche violentata, prima di essere uccisa
Sommerso dalle polemiche per aver dato della “scrofa” a Claretta Petacci? Gene Gnocchi è un comico finito, da almeno dieci anni, e non ha più niente da dire. Fa battute sceme sul calcio, sulla “Gazzetta dello Sport”, ma davvero non ha più niente da dire, da almeno 10-15 anni. Avendo fatto bingo, cioè essendo stato inserito nella trasmissione de “La7” di Floris, ha cercato in ogni modo di attirare su di sé l’attenzione con delle cose trash, di cattivo gusto: delle autentiche idiozie, visto che una verve comico-satirica non ce l’ha più da anni. E ha utilizzato una foto del degrado di Roma – del presunto degrado di Roma, perché io a tutto questo degrado di Roma “per colpa dei pentastellati” non ci credo: penso che siano degli inetti, politicamente, ma non credo che la responsabilità della situazione di Roma sia esclusivamente loro. Gene Gnocchi ha preso la foto di un maiale che fruga tra i rifiuti e ha detto che quel maiale si chiamava Claretta Petacci. Ora, la Petacci rappresenta una pagina dolorosa della nostra storia. Claretta Petacci è stata violentata, ripetutamente. E successivamente trucidata, assieme a Mussolini – non voglio dire da chi, perché non lo so precisamente (alcuni se ne sono assunti la responsabilità, altri no, altri parzialmente) – senza che avesse nessuna responsabilità: né di guerra, né di pace.
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Secondo voi è “normale” dover scappare dal proprio paese?
«Già la Bibbia ci rivela la nostra natura errante, a cominciare da Abramo», diceva qualche anno fa Moni Ovadia, di fronte all’agitarsi bellicoso ed elettoralistico di più inquietanti “respingitori”, alcuni dei quali pronti – a parole – persino a sparare sui barconi dei naufraghi, carichi di donne e bambini. Che farci? «L’uomo è migrante per natura», ripete – anni dopo, in televisione – un altro esponente di prestigio della cultura italiana come Gabriele Lavia, di fronte al dilagare dell’esodo, oggi aggravato dalle ultime guerre. Solo in Grecia, languono 40.000 profughi da Siria, Iraq e Afghanistan, paesi dove i migranti li abbiamo “aiutati a casa loro” (a scappare a gambe levate). «Per carità, non voglio mettere la palla al piede a Marco Polo», premette Gianfranco Carpeoro: è sacrosanto che chiunque possa sempre decidere di cambiare aria, reinventandosi la vita dall’altra parte del mondo, «ma a patto che lo faccia per sua scelta, non per disperazione, inseguito dalla guerra e dalla fame». Perché altrimenti il buonismo è ipocrita: «Non scordiamoci che siamo stati noi a rendere impossibile vivere, nei paesi dai quali ora si scappa: per questo, quell’immigrazione è innanzitutto un vergogna, un’ingiustizia». Ma non se ne ricorda nessuno. Anzi: «La cosa più assurda è che ci abbiano ormai abituato all’idea che l’immigrazione sia un fatto perfettamente naturale, pacifico, fisiologico».Autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo” che rivela l’incubazione di matrice supermassonica del neo-terrorismo targato Isis, Gianfranco Carpeoro (che è appena tornato in libreria con “Il compasso, il fascio e la mitra”, un saggio sui retroscena massonici e vaticani all’origine del fascismo) torna a protestare contro la vulgata mainstream che impone l’accoglienza dei rifugiati in modo acritico, senza alcuna riflessione sulle vere cause di un esodo di massa così imponente e anomalo. Tanto per cominciare, premette Carpeoro – in diretta streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights” – evitiamo i trabocchetti della propaganda incrociata – per esempio, il tentativo di sminuire le intimidazioni come quella che gli skinheads veneti hanno rivolto all’associazione solidaristica “Como Senza Frontiere”, penetrando a forza negli uffici per leggere un proclama anti-migranti di fronte agli attivisti intimoriti, per lo più donne. «Quella è violenza privata», taglia corto Carpeoro, che ha alle spalle decenni di attività forense, come avvocato. «Ognuno a casa sua può dire quello che vuole, ma tu non puoi venire a casa mia a impormi quello che pensi, magari dopo aver forzato la porta: io ho tutto il diritto di cacciarti e denunciarti».Se da un lato le associazioni come quella comasca svolgono una funzione encomiabile di volontariato, dall’altra gli avvoltoi del “politically correct” ci speculano prontamente, fingendo di non sapere perché milioni di persone scappano dall’Africa e dal Medio Oriente: paesi rapinati e devastati dal colonialismo, affidati a corrotte dittature filo-occidentali e, all’occorrenza, bombardati e invasi, senza mai ripristinare condizioni di vita accettabili per i superstiti. Si ribella, Carpeoro, all’idea che sia considerato “normale” affrontare il Mediterraneo a bordo di barconi-colaborodo. «Al contrario – insiste – dovrebbe essere normale poter vivere dignitosamente a casa propria, innanzitutto: non è per niente normale essere costretti a fuggire». Ovviamente, sorvolare sul “movente” (la causa dell’esodo) rende invisibile il “colpevole”: i nostri governi, le nostre multinazionali. «Cosa devono pensare, di noi, gli africani? Sono morti come mosche per il virus Ebola, fino a quando non si è ammalato un occidentale: allora, magicamente, la cura si è trovata». Altra assurdità, la distinzione (un po’ nazista) tra tipologie di migranti: «Non capisco perché uno che muore di fame dovrebbe essere diverso da uno che muore a causa della guerra, o delle malattie». Molto più comodo, in fondo, rifugiarsi nel derby: migranti sì, migranti no. Lasciando indisturbato, come sempre, il sistema che provoca il terremoto al quale stiamo assistendo.«Già la Bibbia ci rivela la nostra natura errante, a cominciare da Abramo», diceva qualche anno fa Moni Ovadia, di fronte all’agitarsi bellicoso ed elettoralistico dei più inquietanti “respingitori”, alcuni dei quali pronti – a parole – persino a sparare sui barconi dei naufraghi, carichi di donne e bambini. Che farci? «L’uomo è migrante per natura», ripete – anni dopo, in televisione – un altro esponente di prestigio della cultura italiana come Gabriele Lavia, di fronte al dilagare dell’esodo, oggi aggravato dalle ultime guerre. Solo in Grecia, languono 40.000 profughi da Siria, Iraq e Afghanistan, paesi dove i migranti li abbiamo “aiutati a casa loro” (a scappare a gambe levate). «Per carità, non voglio mettere la palla al piede a Marco Polo», premette Gianfranco Carpeoro: è sacrosanto che chiunque possa sempre decidere di cambiare aria, reinventandosi la vita dall’altra parte del mondo, «ma a patto che lo faccia per sua scelta, non per disperazione, inseguito dalla guerra e dalla fame». Perché altrimenti il buonismo è ipocrita: «Non scordiamoci che siamo stati noi a rendere impossibile vivere, nei paesi dai quali ora si scappa: per questo, quell’immigrazione è innanzitutto un vergogna, un’ingiustizia». Ma non se ne ricorda nessuno. Anzi: «La cosa più assurda è che ci abbiano ormai abituato all’idea che l’immigrazione sia un fatto perfettamente naturale, pacifico, fisiologico».
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Totò Riina, un progetto organico al tritacarne del potere
Totò Riina? E’ stato un progetto di potere, inserito in uno schema. «Dobbiamo immaginare lo schema del potere come una specie di enorme tritacarne. Lo scopo del potere è realizzare la carne tritata. E’ indifferente di chi sia, la carne, nel senso che poi il potere utilizza di volta in volta schemi, persone, associazioni». E in Sicilia, storicamente, il potere ha utilizzato la mafia. Parola di Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo” e del nuovissimo “Il compasso, il fascio e la mitra”, che illumina i retroscena dell’origine del fascismo. «Sicuramente – dice – Riina ha risposto allo schema generale del potere, che di volta in volta attiva i personaggi che gli sono funzionali». L’ex super-boss di Corleone è stato accusato di oltre 100 omicidi? «Era il capo, di basso livello, di una associazione criminale che ha commesso quegli omicidi, ma che rispondeva comunque a uno schema di ordine superiore». Ingranaggi di un meccanismo infernale: quei personaggi che stanno al di sopra di Riina hanno certamente preordinato le varie azioni, «ma anche loro sono burattini, in mano a uno schema astratto». Semplice manovalanza criminale, Riina? «Sì, e anche di basso livello, oserei dire», afferma Carpeoro, in diretta streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights”. La narrativa sul “boss dei boss”? In parte, creata solo per depistare l’opinione pubblica: la fabbricazione dell’Uomo Nero, l’incarnazione del male.«Il potere – spiega Carpeoro – cerca sempre di additare un responsabile con cui te la devi prendere, altrimenti fininisci per mettere in discussione il vero potere: l’autoconservazione del potere impone che tu te la prenda con qualcuno, non con qualcosa». Per contro, aggiunge, per uno Stato che si ponga obiettivi di progresso «è necessario sgominare un’organizzazione criminale come quella di Totò Riina». E’ esistita una trattativa Stato-mafia? «Sì, più volte», risponde Carpeoro. «Nel momento in cui la mafia ha un riferimento nel potere politico che governa, di questi accordi ce ne saranno stati migliaia». Molte volte, addirittura, «è stata la mafia stessa a consegnare alla pubblica gogna (e alle forze dell’ordine) alcuni suoi esponenti divenuti ingombranti, indifendibili e ingestibili, troppo nell’occhio del ciclone». E l’ha fatto «con l’obiettivo (concordato) di tacitare tutte le altre iniziative di contrasto della criminalità mafiosa». Aggiunge Carpeoro: «Se uno vuole fare davvero la lotta alla mafia, deve combattere lo schema di potere che ha deciso di utilizzare la mafia, così come si è configurata nell’arco di decenni», a partire dallo sbarco alleato in Sicilia nella Seconda Guerra Mondiale.«Per gestire anche la mafia – aggiunge Carpeoro – gli americani hanno creato appositamente una loggia massonica: hanno dato vita al cosiddetto Progetto Colosseum, da cui sono nate numerose logge». Gli statunitensi «hanno utilizzato la mafia anche a scopi bellici, per assicurarsi un’invasione indisturbata della Sicilia (a fin di bene, in quel caso, perlomeno rispetto al contrasto del nazifascismo)». I rapporti tra gli Usa e Cosa Nostra sono sempre stati organici, dice Carpeoro: «Non a caso Andreotti, nel suo processo d’appello, per ottenere l’assoluzione ha citato come testimoni consoli, diplomatici e alti dirigenti degli Stati Uniti d’America». I politici uccisi dalla mafia, da Salvo Lima a Piersanti Mattarella? «Alcuni erano obiettivi tattici, cioè davano fastidio in quel momento; altri erano obiettivi strategici, cioè rappresentavano battaglie da dissuadere fin dall’inizio». Dipende dalle circostanze, dal periodo: «Ci sono stati dei momenti in cui alla mafia è convenuto essere meno visibile, e altri momenti in cui la mafia ha valutato invece che riaffermare le proprie prerogative sul territorio comportasse una certa visibilità».Cosa conteneva la famosa Agenda Rossa di Borsellino? «Elementi delle sue indagini, credo», ipotizza Carpeoro. «Non penso fosse arrivato a indicazioni generali; credo abbia indagato sui rapporti tra la mafia e una certa politica siciliana, e che fosse andato molto avanti, in questa direzione. Non scordiamoci che quel tipo di politica, in realtà, è indispensabile per vincere le elezioni, in Sicilia: quel tipo di politica utilizza anche la mafia, il voto di scambio, tant’è vero che troviamo continuamente casi di politici siciliani coinvolti». Storicamente, continua Carpeoro, la mafia in Sicilia è stata sempre collegata alla Democrazia Cristiana: «Quindi, basta andare appresso agli ex democristiani e si trovano le radici del problema. Borsellino poi indagò anche su Forza Italia, ma perché Forza Italia, in Sicilia, per vincere le elezioni si fece infiltrare da quel tipo di politica democristiana». Le indagini di Borsellino potevano illuminare anche i retroscena della grande svendita finanziaria dell’Italia? «Quelle sono logiche che poi si sono sovrapposte, nel potere. Esistono logiche generali e logiche locali; a volte queste logiche coincidono, e allora si creano questi coaguli di pressione».Il pentito Vincenzo Calcara parla della mafia come di una “entità” accanto ad altre, come la massoneria e il Vaticano. «Tutto ciò che gestisce potere, alla fine, finisce nel tritacarne», insiste Carpeoro: «Tutto il tritato generale della nostra vita civile è fatto di tante componenti; nel momento in cui un certo modo di fare politica ha infiltrato anche la massoneria, la stessa massoneria (almeno quella locale, non so quella nazionale) è diventata uno dei gangli di questo schema di potere. D’altro canto, la stessa massoneria internazionale si è resa “fruibile”, da parte di meccanismi di potere, quindi la cosa non mi meraviglia minimanente». Mafia Capitale a Roma? «Interpretare il termine “mafia” in senso estensivo, cioè riferibile a qualunque associazione criminale, è possibile in linea teorica ma non so quanto sia utile sul piano pratico: perché la mafia, pur essendo diventata di portata ultra-nazionale, è pur sempre un fenomeno molto radicato su territori». La mafia siciliana come prodotto dell’Italia unita? «Cerchiamo di capirci: tutti quelli che collegano la mafia all’Unità d’Italia dicono un cazzata», sostiene Carpeoro, sottolineando che, prima dell’Unità d’Italia, nel Meridione, il potere era in mano ai latifondisti, i cosiddetti baroni, con i loro temutissimi “camperi”.«Il principale alleato del barone era il capobastone del posto», ricorda Carpeoro, «perché la polizia borbonica non era così efficiente e ramificata da garantire l’ordine pubblico. E quindi in ogni paese c’era uno – più furbo, più arrogante, più violento, magari anche dotato di un certo magnetismo nei confronti di coloro che formavano la sua banda – che garantiva ai latifondisti l’esercizio di un potere incontrastato e lo sfruttamento indisturbato delle altre persone. Questa era già mafia», inutile negarlo. Nel momento in cui si crea l’Unità d’Italia, poi, la mafia diventa brigantaggio, «nella dissidenza di quelli a cui il potere è stato tolto». Ma attenzione: «C’è anche una vasta area di trasformazione e di coesione di questi vecchi sistemi nei confronti del nuovo assetto politico: per cui, poi, si creerà il nuovo asse, sul territorio, tra il potere politico e la mafia». Nell’atroce storia mafiosa, suscitano orrore delitti come l’omicidio di Giuseppe Di Matteo, il ragazzino rapito a 13 anni e poi, dopo oltre 700 giorni di prigionia, ucciso da Brusca e altri complici, che ne sciolsero il corpo nell’acido. «Come leggere un delitto di questo tipo? Come una barbarie, ricollegabile al basso livello della manovalanza mafiosa – basso livello da ogni punto di vista: non solo etico, ma anche pratico e strategico». Eppure, sottolinea Carpeoro, bisogna ricordarsi che la mafia di Brusca e Riina è stata usata e incorporata nello schema di potere dell’Uomo Nero, quello che fa in modo che ce la prendiamo sempre con qualcuno, non con il sistema stesso. E’ così che il gioco è destinato a non finire.Totò Riina? E’ stato un progetto di potere, inserito in uno schema. «Dobbiamo immaginare lo schema del potere come una specie di enorme tritacarne. Lo scopo del potere è realizzare la carne tritata. E’ indifferente di chi sia, la carne, nel senso che poi il potere utilizza di volta in volta schemi, persone, associazioni». E in Sicilia, storicamente, il potere ha utilizzato la mafia. Parola di Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo” e del nuovissimo “Il compasso, il fascio e la mitra”, che illumina i retroscena dell’origine del fascismo. «Sicuramente – dice – Riina ha risposto allo schema generale del potere, che di volta in volta attiva i personaggi che gli sono funzionali». L’ex super-boss di Corleone è stato accusato di oltre 100 omicidi? «Era il capo, di basso livello, di una associazione criminale che ha commesso quegli omicidi, ma che rispondeva comunque a uno schema di ordine superiore». Ingranaggi di un meccanismo infernale: quei personaggi che stanno al di sopra di Riina hanno certamente preordinato le varie azioni, «ma anche loro sono burattini, in mano a uno schema astratto». Semplice manovalanza criminale, Riina? «Sì, e anche di basso livello, oserei dire», afferma Carpeoro, in diretta streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights”. La narrativa sul “boss dei boss”? In parte, creata solo per depistare l’opinione pubblica: la fabbricazione dell’Uomo Nero, l’incarnazione del male.
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Delitto Matteotti: vero mandante il Re, socio dei petrolieri
Non fu Mussolini il vero mandante del delitto Matteotti, ma il Re: Vittorio Emanuele III decretò la morte del parlamentare socialista Giacomo Matteotti, assassinato a Roma il 10 giugno 1924 dalla squadraccia fascista capeggiata da Amerigo Dumini. Lo afferma Gianfranco Carpeoro, nel suo nuovissimo saggio “Il compasso, il fascio e la mitra”, che ricostruisce – sulla base di archivi inediti – il vero ruolo dei due massimi sponsor occulti del fascismo, la massoneria e il Vaticano. Due poteri che “coltivarono” un regime che forse mostrò il suo vero volto, per la prima volta, proprio con l’omicidio Matteotti. Il leader socialista, si disse per decenni, fu punito per il suo straordinario coraggio: il 30 maggio 1924 denunciò alla Camera i brogli e le intimidazioni che avevano permesso ai fascisti di vincere le elezioni, il 6 aprile. Solo in questi ultimi anni è progressivamente emerso l’altro movente, più segreto: la maxi-tangente pagata al governo italiano dalla società petrolifera Sinclair Oil, per lo sfruttamento del greggio in Emilia e in Sicilia. Lo stesso Matteotti, dopo un viaggio a Londra, aveva scoperto la verità e stava per renderla pubblica. Lo scandalo avrebbe travolto il neonato regime, dato che risultava implicato anche Arnaldo Mussolini, fratello del Duce. Ma quello era solo il “primo livello” della tangente: perché il maggiore beneficiario dell’affare non sarebbe stato Mussolini, bensì il Re.Era lui, Vittorio Emanuele III, il vero dominus del business petrolifero, e quindi anche del delitto Matteotti. A gettare nuova luce sul “peccato originale” del fascismo sono le carte dell’obbedienza massonica di Piazza del Gesù, il Rito Scozzese italiano, di cui lo stesso Carpeoro è stato “sovrano gran maestro”. «Attenzione: lo stesso Matteotti era un 33° grado del Rito Scozzese», premette l’autore, presentando alcune anticipazioni del libro nel corso della diretta web-streaming “Carpeoro Racconta”, condotta da Fabio Frabetti di “Border Nights”. Massone Matteotti, e massoni i “fratelli” inglesi che lo informarono dell’affare Sinclair Oil, spiegandogli – carte alla mano – che a intascare il grosso della colossale tangente petrolifera (addirittura una ingente quota azionaria della compagnia) non sarebbe stato il Duce, ma direttamente il numero uno di casa Savoia. A indagare sul ruolo occulto della massoneria all’origine del fascismo è anche il recente saggio “Mussolini e gli Illuminati”, del giovane Enrico Montermini, suffragato da un politologo del calibro di Giorgio Galli.Montermini ricostruisce il ruolo delle società segrete nell’affermazione del fascismo “antemarcia”, a partire dalla manifestazione di piazza San Sepolcro, fino al macabro epilogo di piazzale Loreto, dove il cadavere del Duce viene simbolicamente “capovolto”, appeso a testa in giù, dopo esser stato fotografato con in mano uno scettro (come l’Imperatore dei tarocchi) e poi un ramo di acacia, inequivocabile “firma” massonica. Carpeoro conferma: prima di concorrerre ad abbattere il Duce, «la massoneria ha certamente appoggiato il primo fascismo, anche perché era Mussolini stesso a presentarsi come “vero socialista”». Poi, come sappiamo, il dittatore – mai iniziato alla libera muratoria – arrivò a mettere al bando le logge, in ossequio agli accordi di potere con il Vaticano che avrebbero portato ai Patti Lateranensi. C’era stato un piccolo precedente antimassonico del Duce, quando ancora era un dirigente socialista: impegnò il partito a escludere i massoni dai propri ranghi. «Ma era solo una ritorsione: Mussolini aveva ripetutamente chiesto di essere accolto, nella massoneria, ma non era stato accettato».Un’anomalia episodica, quell’improvvisa allergia socialista per i grembiulini: «E’ stata proprio la massoneria a partorire il socialismo», sostiene Carpeoro: «Anche all’epoca del fascismo, erano massoni i maggiori esponenti del partito socialista, a cominciare dal leader storico, Filippo Turati». Autore di accurati studi sui Rosacroce, leggendaria confraternita iniziatica, Carpeoro spiega che furono proprio i manifesti rosacrociani – come la “Fama Fraternitatis” del 1614 – a delineare l’orizzonte sociale egualitario (la fine dei privilegi di casta) che peraltro si riverbera in opere altrettanto “rosacrociane” del periodo, come “Utopia” di Thomas More, “La nuova Atlantide” di Francis Bacon e “La città del sole” di Tommaso Campanella. La stessa “Fama Fraternitatis” accenna, per la prima volta, a un mondo senza più la proprietà privata né i confini tra le nazioni: sono gli albori del futuro internazionalismo socialista, che riflette le sue luci persino nel primissimo fascismo delle origini, quello di piazza San Sepolcro, tenuto a battesimo dal Grande Oriente d’Italia (Domizio Torrigiani) e poi anche da Piazza del Gesù, il cui gran maestro era Raoul Palermi – ma il vero capo del Rito Scozzese, ipotizza lo stesso Montermini, probabilmente era il sovrano in persona, Vittorio Emanuele III.Di origine scozzese è la stessa famiglia Sinclair: gli antenati dei petrolieri coinvolti nell’affare costato la vita a Matteotti, racconta Carpeoro, in qualità di eminenti rappresentanti del network rosacrociano britannico, alla fine del ‘700 avrebbero fatto segretamente tradurre nel Regno Unito le spoglie del “confratello” Mozart, ufficialmente sepolto in una fosse comune in Austria. Ma, a parte i Sinclair – passati dalla musica al petrolio – il saggio di Carpeoro ricostruisce i passaggi cruciali (e occulti) all’origine del fascismo, mettendo a fuoco il ruolo della massoneria, e non solo. Se Montermini accende i riflettori sulle società segrete che allevarono il regime fascista, Carpeoro segnala il ruolo dell’altro grande potere, antagonista della massoneria eppure suo “socio in affari” durante il ventennio: il Vaticano. Entrambi i centri potere, quello massonico e quello cattolico, puntarono su Mussolini e cercarono di pilotarlo. E il Duce, «peraltro già a libro paga dei servizi segreti inglesi, nonché collaboratore dell’intelligence statunitense e di quella francese», tentò a sua volta di destreggiarsi, ritagliandosi una sua autonomia: «Si passò così dal masso-fascismo iniziale al catto-fascismo seguente», quello dei Patti Lateranensi.Figura cruciale e onnipresente, in quegli anni di precario equilibrio, il massone Filippo Naldi, che Carpeoro definisce «il Licio Gelli dell’epoca», capace di passare con disinvoltura da un tavolo all’altro, uscendone sempre indenne e traendone il massimo vantaggio personale. Carpeoro ricorda una celebre intervista televisiva all’anziano Naldi, a cura del grande Sergio Zavoli: «Riuscì a ottenere quell’intervista perché era massone anche Zavoli», rivela Carpeoro, che ricostruisce un altro momento decisivo della parabola del Duce, la destituzione del 25 luglio ‘43: «Era un piano progettato dallo stesso Mussolini, che voleva farsi arrestare per poi uscire dall’alleanza con Hitler, instaurando a Salò una vera repubblica di orientamento socialista». Ma fu tradito, Mussolini, proprio dall’uomo-ombra della massoneria (e della monarchia), che svelò gli intenti del Duce alla segreteria pontificia. A sua volta, la diplomazia vaticana si rivolse prontamente ai nazisti: temenva che a Salò potesse davvero nascere una repubblica anticlericale.“Il fascio, il compasso e la mitra” getta luce sui retroscena più oscuri del ventennio mussoliniano, rivelando il peso dei due superpoteri – massoneria e Vaticano – nelle decisioni del governo Mussolini. Anche la monarchia giocò le sue carte, comprese quelle (coperte) su cui aveva messo le mani Giacomo Matteotti. «Io il mio discorso l’ho fatto, ora voi preparate il discorso funebre per me», disse il deputato ai colleghi socialisti, in aula, consapevole che gli sarebbe costata carissima la sua clamorosa denuncia sui brogli elettorali. «Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere», rispose Mussolini, mesi dopo, di fronte alle proteste per l’insabbiamento delle indagini sull’omicidio. Ma non si trattò solo di una denuncia politica sulla regolarità delle elezioni del ‘24: il primo a rivelarlo, alla fine degli anni ‘80, è stato un ricercatore fiorentino, Paolo Paoletti, dopo aver scovato negli archivi di Washington una lettera in cui Dumini, il capo del commando omicida, rivela che Matteotti fu ucciso soprattutto per impedirgli di mettere in piazza lo scandalo petrolifero, che coinvolgeva Arnaldo Mussolini.Poche settimane prima del delitto, proprio alla Sinclair Oil (John Davison Rockefeller), il governo italiano aveva concesso l’esclusiva per la ricerca e lo sfruttamento per 50 anni di tutti i giacimenti petroliferi presenti in Emilia e in Sicilia. La compagnia aveva ottenuto condizioni di esclusivo vantaggio, tra cui l’esenzione da imposte. Per questo Matteotti doveva essere ucciso: aveva saputo della super-tangente. Tesi confermata dallo storico Mauro Canali nel ‘97 e poi da un ex dirigente Eni, Benito Li Vigni, nel saggio “Le guerre del petrolio” uscito nel 2004. All’inizio degli anni Venti, in Italia, l’80% del fabbisogno di idrocarburi era garantito dalla Standard Oil, tramite la “Società Italo-Americana pel Petrolio”, mentre la restante quota era fornita dalla filiale italiana della Royal Dutch Shell. Secondo Canali, la Standard Oil avrebbe stipulato un accordo sottobanco con la Sinclair Oil, delegando ad essa un’operazione strategica: bloccare la temuta espansione del Regno Unito sul mercato italiano. Guardando al Medio Oriente, a Londra faceva gola la posizione geografica dell’Italia, nel cuore del Mediterraneo: perfetta, per il trasporto del greggio. Per questo gli inglesi avevano sviluppato progetti con l’Italia, anche l’impianto di una raffineria, al punto da preoccupare gli Usa – che a quel punto risposero mettendo in campo la Sinclair Oil, a suon di dollari pagati sottobanco.Lo stesso Canali documenta come a intascare una maxi-rata dell’affare Sinclair fu Filippo Filippelli, un personaggio molto influente, legato ad Arnaldo Mussolini e fondatore del “Corriere Italiano”, giornale a cui – fra l’altro – era stato intestato il noleggio dell’auto con cui venne prelevato Matteotti. Gli accordi con la Sinclair Oil furono stipulati il 29 aprile del ‘24: sempre in cambio di cospicue mazzette, la compagnia ottenne dall’Italia la garanzia che nessun ente petrolifero statale avrebbe intrapreso trivellazioni nel deserto libico. All’accordo, Londra reagì a modo suo: tramite politici laburisti, rivelò a Matteotti i veri termini dell’accordo. Lo stesso Canali conferma che il leader socialista acquisì le carte che provavano la corruzione del governo italiano. Dopo l’omicidio, il “Daily Herald” accusò apertamente Arnaldo Mussolini di essere tra i politici destinatari di una tangente di 30 milioni di lire pagata dalla Sinclair Oil per ottenere la concessione. Sulla rivista “English Life” venne pubblicato (postumo) un articolo dello stesso Matteotti, in cui il deputato affermava di avere la certezza che vi era stata corruzione tra la Sinclair Oil e alcuni esponenti del governo.Tutto giusto? Sì, ma è una verità incompleta, spiega Carpeoro: perché finora le ricostruzioni sul delitto Matteotti non hanno inquadrato il principale colpevole, il Re d’Italia. «Mettendo a disposizione i killer, Mussolini ha fatto un favore innanzitutto alla monarchia», afferma Carpeoro, nel colloquio in streaming su YouTube con Fabio Frabetti. «Matteotti aveva fiutato che sull’Italia, tramite il fascismo, stavano mettendo le mani determinati poteri, in particolare petroliferi – uno su tutti, quello della Siclair Oil». Il leader socialista, continua Carpeoro, «andò a Londra con regolari referenze massoniche e venne accolto con tutti gli onori da una loggia inglese». Loggia che gli mise a disposizione una documentazione decisiva, che gli permise di scoprire «che la Sinclair Oil aveva dato delle quote azionarie a Vittorio Emanuele III». Tornò in patria di corsa, per far scoppiare lo scandalo. «E guardacaso, venne assassinato proprio al ritorno da quel viaggio quasi clandestino». Il regista dell’assassinio? «E’ colui che affittò le auto a noleggio e si fece dare da Mussolini i manovali del delitto: il massone Filippo Naldi, rappresentante degli interessi della Sinclair Oil in Italia ma, soprattutto, fedelissimo del Re».Lui, l’uomo-ombra: «E’ vero che Naldi aiutò Mussolini a uscire dal Psi e gli finanziò il “Popolo d’Italia”, ma sempre e soltanto per conto di poteri forti che volevano che in Italia rimanesse la monarchia e ci fosse sempre un certo tipo di regime». Tant’è vero che i soldi per finanziare il “Popolo d’Italia”, oltre a quelli della Sinclair Oil, sono quelli di Eridania (colosso mondiale dello zucchero) e di Ansaldo, leader dell’acciaio. «Sono i soldi che creano il fascismo, ma lo creano per mantenere un preciso assetto politico rispetto a forze che rischiavano di metterlo in discussione, come i socialisti e i repubblicani». Baricentro del potere, la monarchia. Clamorosa, la rivelazione di Carpeoro: sua maestà in persona era addirittura diventato socio della Sinclair, mentre il governo Mussolini si apprestava a favorire la compagnia. E da dove ricava, Carpeoro, le sue esplosive informazioni? Ovvio: dagli stessi archivi (massonici) ai quali, nel 1924, ebbe accesso l’eroe socialista Giacomo Matteotti, massone del 33° grado del Rito Scozzese.Non fu Mussolini il vero mandante del delitto Matteotti, ma il Re: Vittorio Emanuele III decretò la morte del parlamentare socialista Giacomo Matteotti, assassinato a Roma il 10 giugno 1924 dalla squadraccia fascista capeggiata da Amerigo Dumini. Lo afferma Gianfranco Carpeoro, nel suo nuovissimo saggio “Il compasso, il fascio e la mitra”, che ricostruisce – sulla base di archivi inediti – il vero ruolo dei due massimi sponsor occulti del fascismo, la massoneria e il Vaticano. Due poteri che “coltivarono” un regime che forse mostrò il suo vero volto, per la prima volta, proprio con l’omicidio Matteotti. Il leader socialista, si disse per decenni, fu punito per il suo straordinario coraggio: il 30 maggio 1924 denunciò alla Camera i brogli e le intimidazioni che avevano permesso ai fascisti di vincere le elezioni, il 6 aprile. Solo in questi ultimi anni è progressivamente emerso l’altro movente, più segreto: la maxi-tangente pagata al governo italiano dalla società petrolifera Sinclair Oil, per lo sfruttamento del greggio in Emilia e in Sicilia. Lo stesso Matteotti, dopo un viaggio a Londra, aveva scoperto la verità e stava per renderla pubblica. Lo scandalo avrebbe travolto il neonato regime, dato che risultava implicato anche Arnaldo Mussolini, fratello del Duce. Ma quello era solo il “primo livello” della tangente: perché il maggiore beneficiario dell’affare non sarebbe stato Mussolini, bensì il Re.
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Carpeoro: Fusaro e Di Pietro, tribuni dell’Italia non-pensante
Diego Fusaro in televisione accusa Antonio Di Pietro e i magistrati di Mani Pulite di aver fatto un colpo di Stato? Da un punto di vista linguistico, non definirei Mani Pulite un colpo di Stato, quanto piuttosto un complotto internazionale, nel senso che il golpe ha caratteristiche squisitamente politiche e personalistiche, che quella storia non ha avuto. Dietro c’erano interessi internazionali e servizi segreti: altre cose. Il colpo di Stato è il voler sostituire un regime con un altro regime. Qui non si voleva sostituire un regime politico: si voleva soltanto mandare a casa la sua dirigenza. Cosa che è stata fatta, con una serie di fattori che si sono incrociati, e una serie di persone che pensavano di poter gestire questo fenomeno e poi ne sono rimaste esse stesse vittime. Una di queste è stato Andreotti: quand’è stato fatto senatore a vita da Cossiga, insieme a Gianni Agnelli, circa sei mesi prima che esplodesse Mani Pulite, Andreotti sapeva bene cosa sarebbe scoppiato. Lo sapeva molto bene, come lo sapeva Cossiga – che guardacaso ha nominato due senatori a vita, Andreotti e Agnelli: vi sembra complicato dedurre che Giulio Andreotti e Gianni Agnelli sapessero cosa stava accadendo, e che lo sapesse anche Cossiga?Pensavano di poter gestire la situazione, ma queste cose scappano di mano: come diceva Craxi, prima o poi le volpi ci finiscono, in pellicceria. Poi si sono incrociate vendette internazionali: se uno sottrae all’arresto americano colui che ha materialmente ucciso uno dei capi del B’nai B’rith, non può pensare che quel braccio operativo, connesso col Mossad, “se la tenga”. E quindi ci è entrato il problema di Sigonella e tutta una serie di problemi. Di Pietro un golpista? No: Di Pietro è un opportunista, che ha lucrato politicamente (e probabilmente anche economicamente) sul fatto di trovarsi in una posizione gestita dai servizi segreti sin dalle origini, fin da quando da poliziotto diventa magistrato, sulla base di un certo piano, gestito anche dagli americani. E tramite questa posizione ha gestito rapporti con servizi segreti di tutto il mondo: dimessosi da magistrato, risulta che il primo viaggio che Di Pietro fa è in Turchia, dove partecipa a incontri con i servizi segreti turchi.Non è stato il primo, Fusaro, a sollevare la questione Mani Pulite in quei termini. Ma il problema è che Fusaro rappresenta una categoria non-pensante dell’Italia (per delle cose che ha detto prima, per come si pone). Non ho detto che lui è non-pensante: ho detto che è gradito ai non-pensanti. E questo è pericoloso, per Di Pietro, perché il suo successo lo ha dovuto ai non-pensanti. Questo per lui è un rischio forte: Di Pietro ha temuto lo scontro televisivo con Fusaro perché entrambi sono sullo stesso piano; affondano nello stesso pubblico, attingono allo stesso consenso, e quindi per Di Pietro è molto pericoloso, incrinare questo tipo di copertura. Il problema, in Italia, è che quelli che fanno qualcosa contro qualcuno vorrebbero prendergli il posto. Questa è la dinamica: attacco qualcuno perché voglio fare le cose che fa lui, al posto suo.Se questa è la dinamica, perché dovrei essere entusiasta di Fusaro? Se non lo sono stato di Di Pietro, non posso esserlo neanche di Fusaro. Le motivazioni sono uguali, le modalità sono uguali: le modalità di analisi, il populismo, la superficialità di certi giudizi, il non voler far pensare la gente (o forse, il non riuscirci). E quindi perché dovrei essere entusiasta di Fusaro se non lo sono stato di Di Pietro e di qualunque altro di questi Cola di Rienzo, di questi personaggi un po’ tribunizi che hanno cavalcato le scene italiane negli ultimi anni? Io sono per una politica diversa, una politica non fatta di tribuni. In Italia si sono abolite le tribune e si sono potenziati i tribuni. Io vorrei che venissero rispolverate le tribune e aboliti i tribuni. Magari ci riusciremo.(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” durante la diretta web-streaming “Carpeoro Racconta” del 22 ottobre 2017, ripresa su YouTube. Il filosofo Diego Fusaro si è scontrato il 19 ottobre nel corso della trasmissione “L’aria che tira”, condotta sul La7 da Myrta Merlino. Il riferimento di Carpeoro al B’nai B’rith è relativo a Lion Klinghoffer, israelo-statunitense ucciso dal commando palestinese del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina, che dirottò la nave da crociera Achille Lauro nel 1985. Dirottamento organizzato dagli uomini di George Habbash, leader del Fplp, e poi “risolto” dall’inviato di Arafat, Abu Abbas, con la collaborazione dell’Egitto e dell’Italia, il cui premier Craxi protesse poi il rimpatrio dei dirottatori e dello stesso Abu Abbas, dopo averli contesi a Sigonella ai marines schierati da Reagan per catturarli e tradurli negli Usa).Diego Fusaro in televisione accusa Antonio Di Pietro e i magistrati di Mani Pulite di aver fatto un colpo di Stato? Da un punto di vista linguistico, non definirei Mani Pulite un colpo di Stato, quanto piuttosto un complotto internazionale, nel senso che il golpe ha caratteristiche squisitamente politiche e personalistiche, che quella storia non ha avuto. Dietro c’erano interessi internazionali e servizi segreti: altre cose. Il colpo di Stato è il voler sostituire un regime con un altro regime. Qui non si voleva sostituire un regime politico: si voleva soltanto mandare a casa la sua dirigenza. Cosa che è stata fatta, con una serie di fattori che si sono incrociati, e una serie di persone che pensavano di poter gestire questo fenomeno e poi ne sono rimaste esse stesse vittime. Una di queste è stato Andreotti: quand’è stato fatto senatore a vita da Cossiga, insieme a Gianni Agnelli, circa sei mesi prima che esplodesse Mani Pulite, Andreotti sapeva bene cosa sarebbe scoppiato. Lo sapeva molto bene, come lo sapeva Cossiga – che guardacaso ha nominato due senatori a vita, Andreotti e Agnelli: vi sembra complicato dedurre che Giulio Andreotti e Gianni Agnelli sapessero cosa stava accadendo, e che lo sapesse anche Cossiga?
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Summa Symbolica: finalmente svelato il segreto dei simboli
«Vi siete mai chiesti perché l’acqua delle nostre fontane esce così spesso dalla bocca di un leone?». Il re della savana non è certo un animale acquatico. Eppure è associato, da sempre, alla sorgente d’acqua. Per quale motivo? E’ vero, non ce lo siamo domandato. «Infatti, non siamo più abituati al “pensiero simbolico”, cioè il pensiero contenuto nei simboli, che ci spinge a chiederci sempre il perché delle cose, che in prima battuta non capiamo». Parola di Gianfranco Carpeoro, simbologo con alle spalle trent’anni di appassionati studi. Tutto si aspettava, l’autore, tranne che vedere la sua ultima fatica, “Summa Symbolica”, schizzare in alto nelle classifiche librarie online: è il primo trattato divulgativo interamente dedicato a svelare il grande “segreto” dei codici simbolici che, in fondo, affollano la nostra vita quotidiana, con i loro “perché” a cui non facciamo caso. Il leone e l’acqua? «Qual è la città più acquatica d’Italia?». Venezia, ovviamente. «E qual è il simbolo araldico di Venezia? Il leone alato di San Marco, l’evangelista rappresentato appunto dal leone». Da Venezia al Nilo: «Gli egizi scolpirono teste di leone sulle chiuse in pietra che regimavano le acque del fiume durante la piena, quando nel cielo dell’Egitto campeggiava la costellazione del Leone». Il che rimanda a un archetipo ancestrale: il Diluvio. Simboli, che hanno viaggiato in incognito fino a noi, per raccontarci – a modo loro – la parte nascosta della nostra storia, la meta-storia dell’umanità.Autore di romanzi ermetico-esoterici come “Il volo del Pellicano”, “Labirinti” e (di prossima pubblicazione) “Il Re cristiano”, Carpeoro – al secolo Gianfranco Pecoraro, avvocato e già pubblicitario, saggista, musicologo, direttore di riviste – nel 2016 ha pubblicato per “Revoluzioni” il dirompente saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che svela il contesto simbolico destinato a “firmare” i peggiori attentati che hanno recentemente insanguinato l’Europa, dietro il paravento di sigle come l’Isis. Attentati che, per l’autore, sono opera della “sovragestione” dell’Occidente, un vertice occulto che mette insieme settori dell’élite politico-economica e apparati di intelligence al servizio dell’oligarchia reazionaria. Retroterra comune: il codice simbolico adottato dalla massoneria, «ormai quasi interamente infiltrata e corrotta dal potere, il cui linguaggio è quello del “pensiero magico”, cioè l’opposto del “pensiero simbolico”». Traduzione: «Il potere ha organizzato una sorta di deriva “magica” della conoscenza, in tutti i campi, introducendo il dogma». Tema sul quale Carpeoro ha spesso insistito, in seminari e conferenze, nonché nelle video-chat “Carpeoro Racconta”, su YouTube, la domenica mattina con Fabio Frabetti della trasmissione web-radio “Border Nights”.Pensiero magico e pensiero simbolico, dicotomia decisiva per il nostro destino: «Se ci piace una ragazza, andiamo dal “mago” a chiedere come potrebbe accorgersi di noi, anziché chiedere – innanzitutto a noi stessi – perché mai quella ragazza dovrebbe innamorarsi di noi». Così per tutto: «Se siamo malati ricorriamo al medico, ma finchè siamo sani preferiamo la cartomante». Per Carpeoro, il “pensiero magico” – funzionale al potere – ha scalzato il “pensiero simbolico”, condizionando negativamente l’evoluzione dell’umanità: «Finiamo per essere tutti prigionieri di “cerchi magici”, nei quali non valgono le regole della vita, della realtà, ma quelle del “mago” di turno: fattucchiera, pubblicitario, leader politico, economista». Tutti sapienti manipolatori. Il loro obiettivo: «Farci fare, a nostra insaputa, quello che vogliono loro». Capeoro cita il suo antico maestro, l’intellettuale triestino Francesco Saba Sardi, autore del saggio “Dominio” che ripercorre l’origine della civiltà. «Tutto nacque con la comparsa dell’agricoltura. I nomadi scoprirono l’importanza del possesso della terra. Servivano improvvisamente nuove figure: contadini e soldati. Fu lì che nacque il potere, in forma di dominio. E nacque grazie all’invenzione della religione: è stato il “magus”, preteso “ponte” tra l’umano e il divino, a utilizzare la sua superiore conoscenza per indurre gli altri a lavorare e combattere al posto suo. Potere, religione, guerra. Era l’inizio del Neolitico, e da allora quello schema non è cambiato, governa il mondo tuttora».Al “pensiero magico”, Carpeoro contrappone il “pensiero simbolico”: «Non ti spinge a imparare “come” fare una cosa, ma ti costringe innanzitutto a chiederti se farla, e perché». Risultato: la libertà dell’individuo, la sua crescente consapevolezza, l’espansione autonoma della coscienza. E’ il risultato di quella che Carpeoro, per spiegare il meccanismo simbolico, chiama “l’intelligenza del dado”: «Di ogni faccia riconosciamo immediatamente il valore numerico, senza dover contare i puntini: e questo dipende dalla loro precisa disposizione». Simbolo, dal greco “symballo”, unire: mettere insieme, in un’unica rappresentazione, aspetti lontani tra loro. Tutto, a monte, nasce dall’archetipo, cioè dall’insieme di eventi – materiali e immateriali – che sono «depositati nella memoria ancestrale dell’universo», a cui abbiamo accesso «soltanto in un modo, nei sogni del sonno profondo: quello che non sappiamo ricordare, perché non disponiamo del codice linguistico per tradurli». Così, nell’ètà classica, «l’umanità ha tradotto gli archetipi in due modi: nel mito, che è la narrazione dell’archetipo, e nel simbolo, che ne è la rappresentazione». E il simbolo, secondo il francese René Guénon, ha una caratteristica fondamendale: funziona, ci fa pensare, perché rappresenta sempre qualcosa di più grande.Il simbolo è come uno specchio, per dirla con Ermete Trismegisto: «Tutto ciò che è in alto è come ciò che è in basso, tutto ciò che è in basso è come ciò che è in alto». E questo, aggiunge il sommo esoterista, «per realizzare il miracolo di una cosa sola, da cui derivano tutte le cose, grazie a un’operazione sempre uguale a se stessa». L’editoria ha sfornato bellissimi volumi che catalogano i simboli, o si occupano specificamente di qualcuno di essi. Ma nessuno, finora, aveva mai presentato uno studio unitario sulla simbologia, «materia a cui di regola non è riconosciuta dignità propria». Spesso, afferma in una nota l’editore di “Summa Symbolica”, L’Età dell’Acquario, la simbologia viene affrontata solo in affiancamento ad altre discipline: semiologia, filosofia, letteratura, storia dell’arte. Lo studio di Carpeoro (di cui è uscito per ora solo il primo volume, 221 pagine) affronta invece la materia in modo finalmente organico e sistematico: la prima parte, da qualche giorno in libreria, svela le origini antiche del linguaggio simbolico e le sue dinamiche generali, verificate e catalogate con approccio scientifico: la sua essenza, i singoli simboli e gli schemi simbolici complessi, il rapporto con il mito e gli archetipi, le leggi che lo regolano, la presenza del simbolo nelle leggende, nelle fiabe, nei sogni.«Dopo aver studiato il mondo dei simboli fin dal 1981 – racconta Carpeoro – nel 199 ho maturato la decisione di raccogliere tutti i miei appunti in un’opera organica. L’ho terminata nel 2003, ma è stata più volte aggiornata nel corso degli anni, assumendo dimensioni tanto imponenti da rendere necessaria una sua suddivisione in più parti». In confidenza: «Non speravo che quest’opera avrebbe mai trovato un editore, né tantomeno che un libro simile potesse suscitare tanto interesse, tra i lettori». La prima parte – oggetto del volume appena uscito – ha un taglio esclusivamente metodologico, proviene da uno studio del 1994 che si intitolava “Il Metodo Carpeoro” e costituisce «il primo tentativo di individuare le regole e le leggi del mondo dei simboli in modo totalmente originale e autonomo rispetto ad altre discipline». L’auspicio dell’autore? E’ che «sia riconosciuto, agli studi simbolici e tradizionali, quel carattere di scientificità fino a oggi loro negato».La chiave della missione? I simboli, il potere, li conosce benissimo. E ovviamente li usa a nostro danno, in modo “magico”. Conoscerli a nostra volta significa innanzitutto imparare a difendersi dagli abusi della manipolazione quotidiana. Fino a scoprire che il mondo dei simboli racchiude in sé qualcosa di meraviglioso, che ci riguarda direttamente: è un racconto, per immagini, della nostra vera storia, che attinge all’universo della “memoria ancestrale” della specie. E’ un sistema profondamente analogico che può contenere vere e proprie rivelazioni: ci lascia intuire come siamo fatti, da dove veniamo, chi siamo davvero – e cosa potremmo diventare, se imparassimo a espandere la nostra coscienza. «Accanto alla dimensione fisica esiste una dimensione metafisica», sottolinea Carpeoro. «Analogamente, accanto alla storia esiste anche una meta-storia: è la storia del pensiero non ufficiale, che ha spesso viaggiato sottotraccia, giungendo fino a noi, utilizzando proprio il linguaggio cifrato dei simboli». Funziona, eccome: magari non capiamo perché l’acqua fuoriesca dalla bocca del leone, ma quelle fontane ci sono familiari, ci piacciono. Le troviamo bellissime, anche se non sappiamo perché.(Il libro: Giovanni Francesco Carpeoro, “Summa Symbolica. Istituzioni di studi simbolici e tradizionali, vol.1”, L’Età dell’Acquario, collana Biblioteca dei simboli, 221 pagine, 24 euro).«Vi siete mai chiesti perché l’acqua delle nostre fontane esce così spesso dalla bocca di un leone?». Il re della savana non è certo un animale acquatico. Eppure è associato, da sempre, alla sorgente d’acqua. Per quale motivo? E’ vero, non ce lo siamo domandato. «Infatti, non siamo più abituati al “pensiero simbolico”, cioè il pensiero contenuto nei simboli, che ci spinge a chiederci sempre il perché delle cose, che in prima battuta non capiamo». Parola di Gianfranco Carpeoro, simbologo con alle spalle trent’anni di appassionati studi. Tutto si aspettava, l’autore, tranne che vedere la sua ultima fatica, “Summa Symbolica”, schizzare in alto nelle classifiche librarie online: è il primo trattato divulgativo interamente dedicato a svelare il grande “segreto” dei codici simbolici che, in fondo, affollano la nostra vita quotidiana, con i loro “perché” a cui non facciamo caso. Il leone e l’acqua? «Qual è la città più acquatica d’Italia?». Venezia, ovviamente. «E qual è il simbolo araldico di Venezia? Il leone alato di San Marco, l’evangelista rappresentato appunto dal leone». Da Venezia al Nilo: «Gli egizi scolpirono teste di leone sulle chiuse in pietra che regimavano le acque del fiume durante la piena, quando nel cielo dell’Egitto campeggiava la costellazione del Leone». Il che rimanda a un archetipo ancestrale: il Diluvio. Simboli, che hanno viaggiato in incognito fino a noi, per raccontarci – a modo loro – la parte nascosta della nostra storia, la meta-storia dell’umanità.
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Servizi deviati? No: a decidere è la politica (anche le stragi)
Perché chiamarli “servizi deviati”, se i servizi segreti si prestano a fare una manovra riguardo a un traffico di droga che gli consente di acchiappare dei terroristi che stanno per mettere delle bombe? I servizi segreti fanno un lavoro sporco, ci dobbiamo rassegnare: uno può rinunciare ad averli, i servizi, ma non può pensare di avere servizi segreti trasparenti. I servizi segreti, pur di sapere se viene fatto un attentato al Papa, devono fargli vendere l’eroina, a qualcuno. Devono fare cose inconfessabili: per questo si chiamano servizi segreti. Devono fare cose sotto copertura, che non si devono venire a sapere. Ci sono Stati – molto piccoli – che non li hanno, i servizi, eppure vanno avanti lo stesso. Ma se li hai, devono essere segreti. Poi, dato che rispondono al governo, semmai a essere “deviato” è il governo: è il governo a chiedere qualcosa di “deviato”, ai suoi servizi, che sono alle dipendenze di una responsabilità anche politica. Non puoi dare ai servizi segreti responsabilità che non hanno. Interventi di servizi stranieri? Fa parte del gioco: anche noi interveniamo nelle cose straniere. Ognuno ha il suo interesse nazionale, che non si tutela solo entro i confini. Ma è sempre l’autorità politica a dare l’input.Quando i servizi segreti italiani hanno ricevuto l’ordine di mettersi a disposizione della Gladio, l’operazione Stay Behind, l’hanno ricevuto da Cossiga, che era il ministro degli interni: dunque erano deviati loro o era deviato Cossiga? Certo che i servizi sono “al di sopra della legge”. E sono pure dotati della “licenza di uccidere”, proprio come il titolo del primo film di James Bond. Poi ci sono aspetti decisamente criminali, da parte di alcuni servizi segreti. C’è tutta una serie di attività di auto-finanziamento a cura di servizi come il Mossad (e, fino a dieci anni fa, i servizi bulgari), che fanno operazioni su commissione. Sono sempre autorizzate, questa operazioni: le autorità politiche non danno ai servizi tutti i soldi che loro richiedono, e quindi tollarano che, a scopo di auto-finanziamento, il servizio esegua azioni per conto terzi. A volte lavorano per qualche imprenditore che gli chiede qualche favore. Di mezzo c’è sempre, comunque, una responsabilità politica. In Italia i servizi rispondono solo a una commissione parlamentare e al ministro dell’interno, a cui si può contestare se è stato fedele, o meno, all’interesse nazionale. Da noi non puoi rivolgerti direttamente ai servizi: ti rivolgi al ministero dell’interno, chiedendo di attivare i servizi per monitorare ad esempio un’industria farmaceutica, o traffici finanziari. Ma tutto fa capo, sempre, al ministero.Il primo ministro può anche essere ignaro, dell’attività dei servizi, solo se non funziona il rapporto gerarchico con il referente diretto dei servizi, cioè il ministro dell’interno. Ma l’Italia è un paese bislacco, carente di responsabilità politica: da noi è capitato spesso che sia stato il presidente del Consiglio a chiedere espressamente al ministro dell’interno di non informarlo, su certe cose. E’ accaduto quando i servizi hanno gestito il pagamento del riscatto di certi sequestrati, e hanno pagato i rapitori con fondi che non dovevano comparire. Chi gestì quelle operazioni di liberazione, e con che soldi? Forse a questo punto vi date delle risposte, ricordando l’allora presidente della repubblica Oscar Luigi Scalfaro, già ministro dell’interno: rispose “non ci so”, quando gli chiesero dove fossero finiti certi famosi fondi neri. Scalfaro sapeva che gli sarebbe toccato tirar fuori l’elenco delle “operazioni” attuate per accumulare quei fondi neri. Quand’era ministro, il presidente del Consiglio aveva detto a Scalfaro: fa’ pure tutte quelle cose, ma fa’ in modo che io non ne sappia niente.Poi c’è l’ulteriore problema che è stato posto, ad esempio, durante il nazismo: la catena gerarchica ufficiale, che sotto il nazismo ha funzionato benissimo, era una catena perfetta. Gli ordini più terribili – uccidere, aprire i gas nei lager, sterminare ostaggi (come quelli delle Fosse Ardeatine) – gerarchicamente erano corretti. Ai soldati nazisti è stato contestato il fatto che, a certi ordini, bisognerebbe disobbedire. Ma è un problema molto delicato: perché, se fai passare questa linea, finisci col non ritrovartelo più, un esercito. Perché la linea gerarchica di un esercito, di un’operazione militare, dev’essere assoluta. Se tu la incrini, poi rimetti alle valutazioni individuali di ogni soldato a quale ordine obbedire e a quale no. Secondo voi sopravvive, un esercito, a questo? E’ un problema molto delicato, che vale anche per i servizi. Il servizio segreto che ha favorito la strage di Bologna, quello di Giannettini, si doveva rifiutare? Dire questo è eticamente giusto, però si stabilisce un principio che è contro la sopravvivenza di quell’organo: se uno mette in discussione la catena gerarchica, poi ognuno stabilisce per i fatti suoi quel che è giusto e quello che non è giusto, e quella cosa lì non esiste più.Attività criminali, come lo stragismo? Il rapporto con l’interesse nazionale lo stabilisce la responsabilità politica, siamo sempre lì. C’era una catena gerarchica che ha ritenuto utile, per l’interesse nazionale, la strategia della tensione e l’esistenza di opposti estremismi: “servivano” un estremismo violento di destra e un estremismo violento di sinistra, in maniera che la Dc sopravvivesse, potendo dire “noi, moderati, siamo i migliori”. Se c’è un potere politico che stabilisce qual è l’interesse nazionale, il funzionario dei servizi segreti esegue ordini. Ci sono dei campi in cui non esiste la libertà, etica, di fare o non fare una cosa: noi puoi rimettere alla valutazione di ciascun agente dei servizi quale ordine eseguire e quale no. A quel punto è meglio scioglierli, i servizi: fare a meno di averli. Quello che non si può fare è tenerli, e poi contestare il fatto che eseguano gli ordini che ricevono, dal potere politico, quando – per legge – sono assoggettati al potere politico.A volte i servizi segreti sono stati interessati ad acquisire informazioni dalla massoneria, altre volte sono stati interessati a utilizzare la massoneria come copertura per certe operazioni. A volte i servizi hanno avuto interesse ad affiancarsi a certe massonerie e non a certe altre, sperando che crescessero e proliferassero quelle più vicine al loro modus operandi. Ma è accaduto anche con i sindacati, con i partiti. Non fa una grossa differenza: se una funzione statuale come quella dei servizi, peraltro con uno status un po’ particolare, decide che per fare una certa operazione le è utile la Cgil, cerca di acquisire la collaborazione della Cgil. Anch’io ho avuto rapporti coi servizi: a suo tempo, mi era stato proposto anche di fare loro da consulente, con un bel compenso mensile. Solo che ho rifiutato. Ho detto: se la cosa è nell’interesse dello Stato la faccio gratis. Se non è nell’interesse dello Stato – e fortunamente non faccio parte di una catena gerarchica – perché dovrei farla pure a pagamento? Ho rifiutato proprio per quello: non volevo mettermi in un rapporto gerarchico, volevo essere io a valutare l’eticità di quello che mi veniva richiesto.(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web “Carpeoro Racconta” del 30 aprile 2017, ripresa su YouTube).Perché chiamarli “servizi deviati”, se i servizi segreti si prestano a fare una manovra riguardo a un traffico di droga che gli consente di acchiappare dei terroristi che stanno per mettere delle bombe? I servizi segreti fanno un lavoro sporco, ci dobbiamo rassegnare: uno può rinunciare ad averli, i servizi, ma non può pensare di avere servizi segreti trasparenti. I servizi segreti, pur di sapere se viene fatto un attentato al Papa, devono fargli vendere l’eroina, a qualcuno. Devono fare cose inconfessabili: per questo si chiamano servizi segreti. Devono fare cose sotto copertura, che non si devono venire a sapere. Ci sono Stati – molto piccoli – che non li hanno, i servizi, eppure vanno avanti lo stesso. Ma se li hai, devono essere segreti. Poi, dato che rispondono al governo, semmai a essere “deviato” è il governo: è il governo a chiedere qualcosa di “deviato”, ai suoi servizi, che sono alle dipendenze di una responsabilità anche politica. Non puoi dare ai servizi segreti responsabilità che non hanno. Interventi di servizi stranieri? Fa parte del gioco: anche noi interveniamo nelle cose straniere. Ognuno ha il suo interesse nazionale, che non si tutela solo entro i confini. Ma è sempre l’autorità politica a dare l’input.
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Moro ucciso da Gladio, per sabotare il socialismo in Europa
Cossiga è stato colui che ha lavorato per i registi di 40 anni di storia italiana. Ha sempre lavorato con copertura della massoneria inglese, però si è messo al servizio dell’operazione più vergognosa (non tanto nello scopo, ma ma nel modo) che sia stata fatta nell’ambito dell’intelligence sul territorio italiano: l’operazione Stay Behind, altrimenti detta Gladio. E poi è rimasto prigioniero, di questa cosa. Tenete presente che la vera responsabile della morte di Moro è la Stay Behind, cioè Gladio. Questa è una cosa che non ha detto nessuno, finora, e che è vera. E’ la cricca costituita da Cossiga, Gelli, Santovito. Non scordiamoci che Gelli partecipava alle riunioni, quand’è stato rapito Moro. La cricca – Gelli, Santovito, Michael Ledeen – che è la regia dell’operazione Stay Behind, è quella che ha deciso le cose più raccapriccianti della strategia della tensione. E’ una pagina vergognosa della storia italiana, della quale Cossiga – che ho conosciuto ed era una persona amabile, per certi aspetti – è rimasto prigioniero, tutta la vita. Ha avuto il rimorso di Moro, e lo ha manifestato in tutti i modi, ma nello stesso tempo sapeva di esser stato parte di quella regia, e di tutta una serie di regie.Purtroppo, la Stay Behind ha tanti morti sulla coscienza, tanti attentati. Ed è una cosa in cui la massoneria razionaria ha avuto parte, non solo tramite la figura di Gelli, ma anche tramite una serie di figure di raccordo, compreso Michael Ledeen, che è massone ma anche Ur-massone, perché fa parte di una Ur-Lodge; è massone del B’nai B’rith, la massoneria ebraica, e faceva anche parte di una Ur-Lodge. Perché, a un certo punto, della strategia della tensione non c’è stato più bisogno? Perché hanno praticamente smantellato la possibilità, per l’Europa, di essere socialista, progressista. Hanno ammazzato Olof Palme, hanno fatto fuori Craxi, hanno segato le gambe a Mitterrand: è stata una strategia complessa, che ha portato a determinare l’attuale quadro politico – molto stabile, peraltro. Hanno sabotato il socialismo. I socialisti di adesso sono solo fantocci, come Hollande. Il socialismo era una sorta di tutela di ogni individuo. Qual è stata la risposta del potere, al socialismo? Creare al suo interno il comunismo: perché il comunismo non tutela l’individuo, ma le masse. E le masse fanno sempre comodo, al potere: quando l’invididuo viene ridotto a massa, il potere festeggia. Che ce lo riduca il capitalismo o ce lo riduca il comunismo, è uguale.L’unica ideologia tanto laica da evitare questo esito era il socialismo, però ormai l’hanno disgregato dappertutto, riducendolo a simulacro. Il socialismo è la possibilità di ogni individuo di far valere i suoi diritti, e di avere dei diritti. Oggi il potere fa due cose: molti diritti te li toglie, e quelli che ti lascia ti invita a non esercitarli, li esercita lui per te. Il socialismo era fondato sulla tutela individuale. Quando poi muore il socialismo utopistico di Produhon, Leblanc, e nasce il socialismo materialista che si allinea con il capitalismo nel considerare gli individui “massa”, già lì si perde l’identità originaria. Il socialismo è un sistema per il quale ogni uomo ha diritto a lottare per la sua felicità, per la sua realizzazione. Non è un mettere tutti alla pari obbligatoriamente, è far partire tutti alla pari. Certo che poi non si arriva, alla pari: c’è chi arriva più avanti, chi resta più indietro; però la partenza dev’essere alla pari. E in questa società la partenza non è alla pari.(Gianfranco Carpeoro, dichirazioni rilasciate durante la diretta web-streaming “Carpeoro Racconta”, in collegamento con Fabio Frabetti di “Border Nights” il 15 gennaio 2017, su YouTube).Cossiga è stato colui che ha lavorato per i registi di 40 anni di storia italiana. Ha sempre lavorato con copertura della massoneria inglese, però si è messo al servizio dell’operazione più vergognosa (non tanto nello scopo, ma nel modo) che sia stata fatta nell’ambito dell’intelligence sul territorio italiano: l’operazione Stay Behind, altrimenti detta Gladio. E poi è rimasto prigioniero, di questa cosa. Tenete presente che la vera responsabile della morte di Moro è la Stay Behind, cioè Gladio. Questa è una cosa che non ha detto nessuno, finora, e che è vera. E’ la cricca costituita da Cossiga, Gelli, Santovito. Non scordiamoci che Gelli partecipava alle riunioni, quand’è stato rapito Moro. La cricca – Gelli, Santovito, Michael Ledeen – che è la regia dell’operazione Stay Behind, è quella che ha deciso le cose più raccapriccianti della strategia della tensione. E’ una pagina vergognosa della storia italiana, della quale Cossiga – che ho conosciuto ed era una persona amabile, per certi aspetti – è rimasto prigioniero, tutta la vita. Ha avuto il rimorso di Moro, e lo ha manifestato in tutti i modi, ma nello stesso tempo sapeva di esser stato parte di quella regia, e di tutta una serie di regie.