Archivio del Tag ‘Cia’
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Così lasciarono che Moro venisse assassinato dalle Br
Mentre il 9 maggio l’Italia rendeva omaggio ai magistrati caduti sotto il piombo dei terroristi, solo “Rai Storia” ha dedicato un focus a quello che resta il capitolo peggiore di quegli anni, il più eclatante e – tuttora – il più misterioso: la fine di Aldo Moro. Rapito proprio all’esordio della “solidarietà nazionale” e trucidato dai killer delle Br dopo 55 giorni di prigionia. Nei quali, scrisse Leonardo Sciascia, si fece di tutto per evitare di salvarlo, grazie alla doppia intransigenza dei due grandi partiti: i comunisti erano spaventati dall’idea di apparire “morbidi” con le Br, ma perché tanta durezza anche dai democristiani? Scenario oscuro, voci: Usa e Urss, servizi segreti, Israele, mafia. Ma anche la P2 di Licio Gelli, il dossier che negli anni ‘90 accusa il “consulente” americano Steve R. Pieczenik, che prima dice che l’unità di crisi per salvare Moro era infiltrata e lo sapevano anche i golpisti in Argentina, e poi ammette: la fine di Moro l’abbiamo decisa noi.
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Il generale: basta trucchi, l’uomo ucciso non era Bin Laden
L’uomo ucciso ad Abbottabad non era Osama Bin Laden, e non è escluso che i servizi segreti pachistani riescano a dimostrarlo, smentendo clamorosamente Barack Obama davanti al mondo intero. Lo sostiene il generare Hamid Gul, potente ex capo dell’Isi, l’intelligence di Islamabad, uomo-chiave per anni dei rapporti con gli Usa per le operazioni tra Pakistan e Afghanistan. Il generale Gul non crede alla versione ufficiale sul blitz di Abbottabad, che fa acqua da tutte le parti, a cominciare dalla inaccettabile sparizione del cadavere, “sepolto in mare”. Ma se un giorno Obama dovesse riuscire a dimostrare – esibendo foto e video autentici – che l’uomo ucciso era davvero Bin Laden, sarebbe peggio: come “martire”, sarebbe più pericoloso da morto che da vivo.
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Orwell, i “nuovi” video e la fabbrica degli Osama
I nuovi “video di Bin Laden” rilasciati dal Pentagono sono una favola. Nelle favole di un tempo a un certo punto irrompeva il bambino che con il suo candore scopriva il male e il bene, il giusto e l’ingiusto, il vero e il falso. Era quel bambino a urlare che «il re è nudo», con una verità semplice e affilata, che risuonava davanti a un pubblico, spezzava l’incantesimo dei tanti che lodavano i vestiti inesistenti del sovrano. Il dramma dell’era di Photoshop è che l’urlo si perde nel rumore di fondo delle Tv e dei giornalisti alla Giovanna Botteri del Tg3, incapaci di un’ombra di dubbio, meri amplificatori degli uffici stampa del potere. Eppure il punto di rottura della menzogna non può essere rinviato, almeno finché siamo tenuti a credere il verosimile. Ora, non è verosimile che quello lì sia Osama Bin Laden.
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Capitan America e gli OsamaLeaks: pronti alla Guerra 2.0
A parte gli “asini che volano”, finiti subito nel radar di Giulietto Chiesa, quello che più colpisce nella “fiction” andata in scena in Pakistan, dove «stavolta gli sceneggiatori della Cia hanno davvero esagerato con le loro fantasiose teorie della cospirazione» è l’enfasi con cui i media “mainstream” parlano della «miniera d’oro» ritrovata in casa Osama. Ebbene sì, perché «l’inafferrabile primula rossa del terrorismo islamico» non solo abitava da anni stabilmente nello stesso luogo, in barba alle più elementari regole di qualunque fuggiasco (e senza nessun serio dispositivo di difesa), ma «addirittura deteneva tranquillamente con sé, a disposizione, i computer con le memorie e centinaia di dischetti contenenti tutti i segreti, ma proprio tutti tutti, della sua fantomatica organizzazione. Ops, sono caduti in mano al nemico, che sfortuna!».
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Fidatevi, Osama è morto: tutto il resto è fiction
Una messinscena, come quella per l’uccisione di Salvatore Giuliano? L’ex ministro degli esteri craxiano Gianni De Michelis evoca la tragica montatura con cui si tentò di archiviare la liquidazione del bandito Giuliano, custode di troppi segreti: a ucciderlo per conto dello Stato, che se n’era a lungo servito in Sicilia, fu il suo braccio destro Gaspare Pisciotta, a sua volta poi avvelenato in carcere. Ma all’opinione pubblica fu data in pasto una versione assai più presentabile: un cavalleresco “conflitto a fuoco coi carabinieri”. L’impostura allestita a Castelvetrano nel remoto 1950 come la “fiction” andata in scena ad Abbottabad nel 2011? «Tutto può essere», dice De Michelis, «e la verità verrà fuori chissà quando, o forse mai». Purché nessuno pensi davvero che Bin Laden sia ancora vivo: fidatevi, il capitolo è chiuso.
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Cia e Pakistan: verità a doppio fondo e omicidi eccellenti
Osama Bin Laden “venduto” dal Pakistan, che lo aveva sempre protetto, sottraendolo alla vistosa caccia scatenata dalla Casa Bianca dopo l’11 Settembre 2011? E’ una delle ipotesi che affiorano dopo lo storico blitz del 1° maggio nel compound di Abbottabad, nel quale sarebbe stato prima catturato e poi ucciso – con due colpi alla testa – lo “sceicco del terrore”, secondo quanto annunciato direttamente dal presidente Obama, responsabile della spettacolare operazione contro l’uomo-simbolo del terrorismo antiamericano. In attesa che gli Usa si decidano a rendere pubbliche le immagini che metterebbero fine ai dubbi sulla reale dinamica degli eventi, ci si interroga sul ruolo del Pakistan: i cui servizi segreti sono notoriamente addestrati dalla Cia.
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Bin Laden: niente foto, mistero anche sull’ultimo atto
«Ma cosa aspettano a mostrare le foto?», si domanda Federico Rampini su “Repubblica”, perplesso per l’incredibile black out di informazioni seguito all’annuncio trionfale dell’uccisione di Osama Bin Laden. «L’attesa delle foto sta diventando snervante», scrive Rampini: comprensibile la prudenza e il vaglio dell’intelligence, ma «più aspettano, più le “teorie” hanno tempo di attecchire e proliferare: dopotutto, a 66 anni di distanza c’è ancora chi pensa che Hitler non morì in quel bunker di Berlino». E che dire della “notizia” della sepoltura in mare della salma? «Se venisse confermato sarebbe assurdo, perché così sparirebbe la prova della sua morte», dice il decano dei giornalisti pachistani, Rahimullah Yusufzay.
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Chi era davvero il Frankenstein creato e allevato dalla Cia
Figlio di un magnate delle costruzioni di origine yemenita (Mohammed Awad Bin Laden) e di una donna di origine siriana, Osama nasce il 10 marzo 1957 a Riyadh, capitale dell’Arabia Saudita. All’età di 13 anni perde il padre. A 17 si sposa con la prima delle tre mogli, una ragazza siriana, sua parente. Il matrimonio a una così giovane età fa parte – per il suo carattere di protezione dalla corruzione e dall’immoralità – della rigida educazione religiosa che gli viene impartita. Compie tutti i suoi studi nelle scuole della città di Gedda, fino a conseguire la laurea in Management ed Economia all’università Re Abdul Aziz.
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Abbiamo fame: l’Africa in rivolta, nel nome di Sankara
«Abbiamo fame». Semplice gesso bianco su un povero foglio di cartone trasformato in manifesto, dietro al quale spuntano occhi penetranti. Occhi scuri, quelli dell’Africa nera. Che fino a ieri esprimevano urgenze elementari: fame e paura. Da qualche giorno, la paura sta perdendo terreno: gli Uomini Integri, i “puri” burkinabé, sono in rivolta. Come il Maghreb, il Medio Oriente e metà del continente nero. Fame, paura e rabbia: la speculazione finanziaria mondiale gonfia i prezzi del grano e del riso, la corruzione locale frena la distribuzione e le redini del potere sono ancora in mano ai dittatori-stampella dell’Occidente, che ora è sul piede di guerra anche nel Mediterraneo, dove si sta giocando il suo futuro post-coloniale e l’accesso alle risorse strategiche.
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Terroristi islamici made in Usa: il nostro agente a Tripoli
Prima che la sua barba profetica, il suo kalashnikov e il suo sinistro sorriso diventassero l’icona planetaria della “minaccia islamista anti-occidentale”, Osama Bin Laden e il network che siamo abituati a sentir chiamare Al Qaeda erano una leva strategica della Cia per minare l’impero sovietico a partire dall’Afghanistan. Nessuna sorpresa, dunque, se poi si scopre che sono stati proprio veterani “afghani” a trapiantare il network anche in Cirenaica, contro il dittatore Gheddafi: era quello che serviva all’intelligence angloamericana, l’alibi perfetto per infiltrare la sicurezza del Colonnello fino ai massimi vertici: rappresentati dall’ex ministro ed ex capo dei servizi libici Moussa Koussa, «il nostro agente a Tripoli», oggi disertore riparato a Londra.
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La Cia, il boia Suleiman e la spazzatura della storia
Quattro morti e 1.500 feriti, museo egizio in fiamme, giornalisti picchiati a sangue: a far precipitare nel caos la protesta rivoluzionaria del Cairo, la comparsa di miliziani pro-Mubarak ora condannata da Obama, che si affretta a chiedere una «transizione immediata» fra il regime assediato – che non si rassegna a cedere il potere – e la vasta ondata popolare che ha portato in piazza milioni di persone, in nome della svolta democratica promossa dalle opposizioni coordinate da Mohammed El Baradei. Una situazione esplosiva, che sembra fatta apposta per esasperare la folla e rianimare così il fantasma dell’estremismo islamico, finora assente dalla contesa egiziana. E mentre Washington getta l’ex alleato Mubarak nella spazzatura della storia, la stampa americana riscopre – in ritardo – il “passato nero” di Omar Suleiman, formidabile aguzzino per conto della Cia durante l’era Bush.
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Giudice svizzero: dalla Cia l’atomica agli Stati-canaglia
Bomba atomica agli “stati canaglia”? La Cia sapeva tutto: era proprio il servizio segreto americano, nell’era Bush, a gestire le informazioni-chiave per mettere i “terroristi” nelle condizioni di sviluppare armi atomiche. Lo scrive il New York Times, dando rilievo alla clamorosa denuncia di un magistrato svizzero, Andreas Müller: secondo il giudice, le autorità elvetiche hanno distrutto le prove da lui raccolte, a carico di alcuni imprenditori che sarebbero stati incaricati di trasferire a Iran, Libia e Corea del Nord il know-how nucleare proveniente da Abdul Kader Khan, lo scienziato considerato “padre” dell’atomica del Pakistan, alleato problematico degli Stati Uniti, sospettato di aver a lungo controllato l’Afghanistan attraverso i Talebani, arrivando a far uccidere il leader afghano Massoud.